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Università di Napoli Federico II, CdL Ing. Meccanica, A.A. 2017-2018, Elettrotecnica. Lezione 2 Pagina 1 Lez. 2 Intensità di corrente elettrica e tensione elettrica

Lez. 2 Intensità di corrente elettrica e tensione elettrica AA 2017-2018... · Meccanica, A.A. 2017-2018, Elettrotecnica. Lezione 2 Pagina 16 La forza che agisce sulla carica q è

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Lez. 2 Intensità di corrente elettrica e

tensione elettrica

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Lo studio dei circuiti elettrici può essere condotto attraverso le seguenti

grandezze fondamentali:

1) intensità di corrente elettrica i(t)

2) tensione elettrica v(t)

Le cariche, sotto l’azione di una forza, vengono messe in moto. La forza agente

sulle cariche compie un lavoro.

1) Per descrivere il moto delle cariche si usa la grandezza intensità di

corrente elettrica.

2) Per descrivere il lavoro compiuto per trasportare le cariche da una

posizione ad un’altra si utilizza la grandezza chiamata tensione elettrica.

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Corrente elettrica

Si distinguono due tipi fondamentali di corrente elettrica:

a) corrente di conduzione

Si manifestano nei mezzi materiali per la presenza di cariche libere che,

non essendo vincolate al reticolo cristallino, possono muoversi al suo

interno;

b) corrente di convezione

Sono dovute a corpi o particelle che si muovono trascinando con sé le

cariche elettriche su essi depositate. Ad esempio, correnti di

convezione possono prodursi per il moto di ioni (particelle

elettricamente cariche).

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Sono classificati come conduttori i materiali in cui hanno luogo significativi

fenomeni di migrazione di carica; i conduttori più diffusi sono i metalli, che

contengono un elevato numero di cariche libere per unità di volume (1023cm-3).

Queste possono muoversi all’interno del materiale su lunghezze

macroscopiche, dando luogo alla corrente di conduzione.

Si definiscono isolanti i materiali che, in condizioni ordinarie, non consentono

significativi fenomeni di migrazione di carica. Gli isolanti possono essere solidi,

liquidi, gassosi; l’isolante ideale è il vuoto assoluto.

La grandezza fisica che caratterizza le proprietà di conduzione dei materiali

è la conducibilità elettrica (il cui reciproco è la resistività). La conducibilità

elettrica dei conduttori può anche essere 20 ordini di grandezza più elevata

di quella degli isolanti.

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Intensità di corrente elettrica

L’intensità di corrente elettrica i(t) descrive il moto delle cariche

Per definirla è necessario fissare una superficie S interessata dalle cariche

in movimento. La superficie S deve essere orientata (in modo arbitrario), così

da distinguerne le due facce.

Nel loro movimento, le cariche potranno attraversare la superficie S.

Fissiamo un intervallo di tempo di osservazione (t , tt ).

n

S

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In tale intervallo valutiamo la carica “netta” tQS che ha attraversato la

superficie, concordemente con la sua orientazione.

Per valutare la carica “netta” tQS è necessario effettuare la somma

algebrica delle cariche che attraversano la superficie, considerando con il

proprio segno le cariche che la attraversano concordemente con il verso della

normale assegnato e con segno opposto le cariche che la attraversano

discordemente.

Ottenuto il rapporto Δ𝑄𝑆

Δ𝑡, passiamo al limite per 0t .

𝑖𝑆(𝑡) = limΔ𝑡→0

Δ𝑄𝑆(𝑡)

Δ𝑡=

𝑑𝑄𝑆(𝑡)

𝑑𝑡

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L’intensità di corrente elettrica 𝑖𝑆(𝑡) rappresenta la carica “netta” che

nell’unità di tempo attraversa la superficie S concordemente con la sua

orientazione.

Essa è una grandezza scalare e dipende dal tempo.

L’intensità di corrente elettrica dipende dalla superficie S attraverso la

quale è calcolata.

L’intensità di corrente elettrica non ha verso, ma ha segno che dipende dal

riferimento adottato per l’attraversamento di S e dipende dalla fisica

(moto di cariche). E’ chiaro che, cambiando il verso di riferimento

prescelto, cioè cambiando l’orientamento della superficie, cambia il segno

della intensità di corrente elettrica.

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L’espressione della intensità di corrente elettrica assume un preciso

significato solo se si è preventivamente fissata la superficie S e il verso di

riferimento di attraversamento della superficie

L’unità di misura nel sistema internazionale (SI) è l’ampere [A]. Spesso sono

usati i suoi multipli e/o sottomultipli (kA, mA, µA).

Generalmente, sono indicate con la lettera maiuscola I le intensità di correnti

elettriche che non dipendono dal tempo (costanti) e con la lettera minuscola

𝑖(𝑡) le intensità di corrente dipendenti dal tempo.

L’intensità di corrente elettrica di +1 A indica che nell’intervallo di tempo di

un secondo, la superficie S è stata attraversata, nel verso prefissato, dalla

carica di +1 C

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Intensità di corrente elettrica in un conduttore

Esistono situazioni nelle quali l’intensità di corrente elettrica è indipendente

dalla sezione attraverso la quale la si valuta. E’ il caso di un conduttore (che

per semplicità supporremo cilindrico) immerso in un mezzo isolante, ossia in un

mezzo in cui non vi sono cariche in movimento.

Consideriamo la superficie chiusa , che racchiude il volume , delimitato dalle

superfici di base qualsiasi Sa e Sb e dalla superficie laterale SL.

Sb Sa

na

nb

SL

Ω

nL

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Scriviamo per la superficie la legge di conservazione della carica

nell’intervallo t:

0 QQ

In cui Q è la carica netta che attraversa e Q è la variazione della

carica contenuta in nell’intervallo di tempo t. Dividendo per t e facendo

tendere t a zero e ricordando che attraverso la superficie laterale non c’è

passaggio di cariche perché il cilindro conduttore è immerso in un mezzo

isolante si ottiene:

Δ𝑄𝑆𝑎 + Δ𝑄𝑆𝑏 + Δ𝑄Ω = 0 → 𝛥𝑄𝑆𝑎 + 𝛥𝑄𝑆𝑏 = −𝛥𝑄𝛺 → 𝑖𝑆𝑎(𝑡) + 𝑖𝑆𝑏(𝑡) = −𝑑𝑄Ω

𝑑𝑡

In condizioni stazionarie (d/dt=0): titititi SbSaSbSa 0

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Scegliendo un unico verso di riferimento lungo il conduttore, si ottiene:

titi ba

In un conduttore, in condizioni stazionarie, l’intensità di corrente elettrica è

indipendente dalla sezione scelta.

Nel seguito nel caso di conduttori elettrici definiremo sempre un’unica

intensità di corrente elettrica e non specificheremo esplicitamente la

superficie attraverso la quale essa è calcolata. Come superficie S di

riferimento si intenderà sempre la sezione normale del conduttore.

Il verso sarà sempre specificato da una freccia sul conduttore o da pedici:

A B

i (t)AB

A B

i (t)BA

( ) ( )AB BAi t i t

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E’ importante osservare che definire un’unica intensità di corrente elettrica,

indipendentemente dalla sezione del conduttore, è rigorosamente valido solo

in regime stazionario.

Esistono però situazioni (molto diffuse, a dire il vero) in cui tale ipotesi

continua ad essere valida in quanto si ha comunque che:

dt

dQtiti SbSa

E’ il cosiddetto regime “lentamente variabile” in cui il termine dt

dQ può essere

trascurato rispetto alle intensità di corrente.

Tale ipotesi è richiesta dal modello circuitale.

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Notiamo, infine, che per circolare la corrente ha bisogno di che il circuito sia

costituito da un percorso chiuso e non da un percorso terminale.

In quest’ultimo caso, infatti, si avrebbe:

0 ti

i(t)

SL nL

La misura dell’intensità di corrente elettrica avviene tramite uno strumento

chiamato amperometro.

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Tensione elettrica

Il moto della carica elettrica richiede energia

La tensione elettrica è la grandezza fisica collegata alle forze

elettromagnetiche F che possono agire sulle cariche elettriche e compiere

lavoro.

Per definirla è necessario fissare una linea che congiunge due punti (A e B),

orientata in modo arbitrario da un verso di percorrenza (stabilito dal versore

t) che definisce quale dei due punti è il punto iniziale e quale il punto finale.

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Valutiamo il lavoro compiuto dalla forza F per portare la carica q dal punto A

al punto B lungo la linea nel verso che va da A (punto iniziale) a B (punto

finale). Il lavoro si calcola come integrale di linea (la somma di infiniti termini

dati dal prodotto scalare della forza in un punto per lo spostamento

elementare tdl) della forza da A a B lungo . Il lavoro si misura in Joule [J]

𝐿𝐴,𝐵,𝛾 = ∫ 𝑭 ∙ 𝒕 𝑑𝑙

𝐵

𝐴,𝛾

F

t

A

B

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La forza che agisce sulla carica q è la forza di Lorentz, per cui:

𝐿𝐴,𝐵,𝛾 = ∫ 𝑭 ∙ 𝒕 𝑑𝑙

𝐵

𝐴,𝛾

= ∫ 𝑞(𝑬 + 𝒗 × 𝑩) ∙ 𝒕 𝑑𝑙

𝐵

𝐴,𝛾

= ∫ 𝑞𝑬 ∙ 𝒕 𝑑𝑙

𝐵

𝐴,𝛾

La forza magnetica non compie lavoro perché è ortogonale a v. Essa non può

variare l'energia cinetica della particella.

Calcoliamo ora il lavoro per unità di carica:

𝐿𝐴,𝐵,𝛾

𝑞= ∫ 𝑬 ∙ 𝒕 𝑑𝑙

𝐵

𝐴,𝛾

= 𝑇𝐴,𝐵,𝛾

All’integrale 𝑇𝐴,𝐵,𝛾 viene dato il nome di tensione elettrica lungo la linea ,

valutata tra il punto A e B.

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La tensione elettrica tra due punti A e B, valutata lungo una linea

orientata che li unisce, rappresenta il lavoro che le forze del campo

elettromagnetico sono in grado di compiere sulla carica unitaria quando

essa si sposta dal punto iniziale al punto finale lungo la linea . Le sue

dimensioni sono [Joule/C] o, equivalentemente, [Volt].

La tensione elettrica è una grandezza scalare e dipende dal tempo.

La tensione elettrica dipende dalla linea lungo la quale è calcolata.

La tensione elettrica non ha verso, ma ha segno che dipende sia dalla

situazione fisica (forze elettromagnetiche), sia dal riferimento scelto

sulla linea. In particolare, la tensione elettrica cambia segno se si

invertono tra loro i punti di inizio e fine: 𝑇𝐴,𝐵,𝛾 = −𝑇𝐵,𝐴,𝛾

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“L’espressione della tensione elettrica assume un preciso significato solo se si

sono preventivamente fissati i punti A e B, la linea e il suo verso di

percorrenza”.

L’unità di misura della tensione nel sistema internazionale (SI) è il volt [V].

Spesso sono usati i suoi multipli e/o sottomultipli (MV, kV, mV).

Generalmente, sono indicate con la lettera maiuscola V le tensioni elettriche

che non dipendono dal tempo (costanti) e con la lettera minuscola 𝑣(𝑡) le

tensioni dipendenti dal tempo.

La tensione 𝑇𝐴,𝐵,𝛾 = 1𝑉 indica il lavoro di 1 Joule compiuto dalle forze del campo

per spostare la carica di un coulomb dal punto A al punto B lungo la linea .

La tensione elettrica si misura con uno strumento chiamato voltmetro.

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Esistono situazioni in cui la tensione elettrica tra due punti è indipendente dal

percorso, ma dipende solo dal punto iniziale (A) e dal punto finale (B). In questi

casi indicheremo la tensione con il simbolo 𝑣𝐴𝐵(𝑡), evidenziando solo il punto A

e il punto B del percorso e tralasciando la linea .

𝑇𝐴,𝐵,𝛾1= 𝑇𝐴,𝐵,𝛾2

Quando può verificarsi questa situazione?

F

t1 1

A

B

2

t2

Γ = 𝛾1 ∪ 𝛾2

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Consideriamo la curva chiusa di figura, data dall’unione delle linee 1 e 2.

Definita come circuitazione del campo elettrico la grandezza 𝜖Γ = ∮ 𝑬 ∙ 𝒕 𝑑𝑙Γ

,

ricordando la legge di Faraday-Neumann, si ha:

𝜖Γ = ∮ 𝑬 ∙ 𝒕 𝑑𝑙Γ

= −𝑑

𝑑𝑡∬ 𝑩 ∙ 𝒏 𝑑𝑆

𝑆Γ

= −𝑑ΦΓ

𝑑𝑡

In condizioni stazionarie (d/dt=0) tale circuitazione risulta nulla, il che

significa che il lavoro compiuto dalle forze del campo elettrico sulla carica

unitaria lungo un circuito chiuso è nullo e

ABABABBAABBAAB vTTLLLLL 2,1,2,,,2,, 011

Tale ipotesi è richiesta dal modello circuitale.

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Quali conseguenze comporta l’indipendenza della tensione dal cammino?

Supponiamo di essere in tali condizioni e scegliamo i punti A, B, C e il punto di

riferimento fisso O.

Calcoliamo il lavoro compiuto dalle forze del campo per spostare la carica

unitaria da AO (𝑣𝐴0(𝑡)), da BO (𝑣𝐵0(𝑡)), da CO (𝑣𝐶0(𝑡)).

A B C

O

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Poiché siamo nel caso in cui il lavoro è indipendente dal percorso, una volta

fissato il punto O, tale lavoro dipende solo dai punti A, B, C.

E’ possibile così costruire una funzione di punto scalare (P) pari al lavoro

necessario per portare la carica di prova dal generico punto P al punto O lungo

una qualsiasi linea che unisca P ad O: POP v t . Così, ad esempio, il lavoro

𝑣𝐴0(𝑡) può essere scritto come 𝜑(𝐴).

Tale funzione scalare è detta funzione potenziale (P).

L’introduzione della funzione potenziale consente di calcolare facilmente la

tensione 𝑣𝐴𝐵(𝑡) fra i due punti generici A e B.

Infatti, scegliamo di calcolare tale tensione utilizzando il percorso AOB:

𝑣𝐴𝐵(𝑡) = 𝑣𝐴𝑂(𝑡) + 𝑣𝑂𝐵(𝑡) = 𝑣𝐴𝑂(𝑡) − 𝑣𝐵𝑂(𝑡) = 𝜑(𝐴) − 𝜑(𝐵)

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Si osserva che la tensione 𝑣𝐴𝐵(𝑡) può essere calcolata come differenza tra il

potenziale di A (𝜑(𝐴), punto di partenza) e il potenziale di B (𝜑(𝐵), punto di

arrivo).

Ne consegue che, per conoscere la tensione 𝑣𝐴𝐵(𝑡) non interessa il potenziale

del punto O, ma solo la differenza tra il potenziale del punto A e quello del

punto B (d.d.p. tra A e B).

Notiamo che anche al punto di riferimento O deve essere associato un

potenziale 𝜑(𝑂), ma tale valore non interviene nel calcolo della tensione tra i

due generici punti A e B.

Per semplicità e convenzione in genere si sceglie (O)=0

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E’ lo stesso discorso che si fa quando si vuole conoscere la differenza di

altitudine tra due palazzi: essa è indipendente dal livello di riferimento, che

può essere qualsiasi e al quale può essere associata l’altitudine 0.

Il riferimento a potenziale nullo può essere scelto in un punto qualunque e può,

ad esempio, coincidere con il contenitore metallico (carcassa) di

un’apparecchiatura, oppure con la “terra” di un impianto di protezione.

La tensione tra due punti può essere indicata in vari modi, come illustrato:

A

B

vAB

A

B

vAB

+

-

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Energia dissipata – Effetto Joule

Le cariche elettriche in un circuito entrano in movimento perché accelerate

dal campo elettrico agente su di esse. Durante il loro moto interagiscono

tramite urti con le altre particelle del materiale, con conseguente cessione di

parte dell’energia cinetica posseduta, che viene trasformata in calore, e

successivo riscaldamento del conduttore (effetto Joule).

L’energia ceduta nell’intervallo di tempo t dipende, oltre che dall’intervallo

t , dalla natura (tramite la resistività/conducibilità elettrica) e dalla

geometria del conduttore, nonché dalla carica trasportata. Sperimentalmente

si può verificare che essa è uguale a:

𝑊(Δ𝑡) = 𝑘𝑖2(𝑡)Δ𝑡

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I generatori di f.e.m.

L’evidenza dell’effetto Joule ha interessanti conseguenze nella realizzazione

di un circuito elettrico.

Per mantenere una corrente stazionaria in un circuito è necessario spendere

un lavoro per compensare le perdite per effetto Joule nel conduttore. Il fatto

è che il campo elettrostatico è un campo conservativo e in un circuito chiuso il

lavoro fornito dalle forze del campo è sempre nullo: se si presentano nel

circuito effetti dissipativi, il campo non è in grado di compensare le perdite di

energia e, quindi, nel circuito non può circolare una corrente stazionaria.

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Occorre allora che, almeno in una zona g del circuito, possano agire sulle

cariche forze di altra natura (chimica, termica, meccanica), capaci di compiere

lavoro non nullo lungo un percorso chiuso.

Il tratto g sede di tali forze è il cosiddetto “tratto generatore”, in cui è

generata una forza Fm di natura non elettrostatica in grado di consentire un

moto stazionario (o non) in un circuito semplice.

𝛾

𝛾𝑔

𝑭𝒎

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Definendo il campo elettromotore Em come forza per unità di carica si avrà:

0 G

dldl

tEtE mm

𝐸 rappresenta la forza elettromotrice (f.e.m.) agente. Si sottolinea che 𝐸 non

è una forza perché ha le dimensioni di un lavoro diviso per una carica e ha,

pertanto, le dimensioni del Volt. Inoltre, la f.e.m. è una grandezza scalare e

non vettoriale.

In un circuito elettrico, i componenti in cui agisce un campo elettromotore e

che sono in grado di fornire un f.e.m. sono detti generatori. Esempi tipici di

generatori sono le pile, ma le tipologie possono essere molto vaste, passando

dai grandi generatori sincroni fino ad arrivare ai generatori di segnale.