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The Circle – Introduzione 2 Proprietà e Applicazioni 4 Origini 6 Metodo di Esaustione 10 Integrazione Numerica 14 Il Giroscopio 18 I Fullereni 21 L’Eterno Ritorno 27 Ciclo Litogenetico 31 Bibliografia 35

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The Circle – Introduzione 2

Proprietà e Applicazioni 4 Origini 6

Metodo di Esaustione 10 Integrazione Numerica 14

Il Giroscopio 18 I Fullereni 21

L’Eterno Ritorno 27 Ciclo Litogenetico 31

Bibliografia 35

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La ricerca della perfezione è intrinseca nella natura dell’uomo: in ogni cosa si è

sempre cercato un senso di completezza, un’effimera necessità che per anni ha spinto l’umanità in una ricerca priva di senso.

Non potendo avere un vero riferimento al concetto di perfezione, in quanto questo concetto in natura non esiste, l’uomo si è sempre appoggiato a ciò che

trovava nel mondo senza comprenderne la natura: sole e luna sono eclatanti esempi di ciò, che rimandano alla più semplice delle figure: il Cerchio.

Ptolemaic

geocentric illustration of universe

Sin dai tempi antichi, il semplice cerchio ha rappresentato l’eternità, non avendo né principio né fine, ed irraggiungibilità: da quando ha mosso i suoi

primi passi l’uomo ha venerato sole e luna, attribuendogli caratteri divini nel suo disperato bisogno di completezza.

Altro concetto che ha sempre affascinato l’uomo e che spesso è accompagnato a quello del perfetto è l’ignoto: una figura apparentemente semplice come una

circonferenza cela invece proprietà matematiche e leggi fisiche così complesse da far credere di avere caratteri divini.

Gli antichi cinesi trovarono nell’espressione circolare un senso di ambivalenza: ogni cosa nell’universo è formata da due cerchi, simili di forma ma opposti per

natura, lo yin e lo yang, che nel loro insieme compongono il simbolo chiave del Taijitu, lo “yin-yang”, ovvero la rappresentazione dell’armonia.

Questa sopraggiunge quando le due parti, presenti in qualunque cosa esistente, sono in equilibrio fra loro: lo yin (nero) rappresenta il freddo, lo

scuro, la parte cattiva di ognuno; al contrario lo yang (bianco) rappresenta

calore, luce, la parte buona di tutte le cose, che bilancia lo yin in modo da dar forma all’universo così come lo conosciamo.

Yin-Yang most common

rappresentation

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Simbolo di instabilità, dinamicità, ma al contempo di perfezione e preludio

all’infinito, la parola Cerchio deriva sostanzialmente dal greco “kirkos”, parola primitiva che non esprime altri concetti al di fuori della figura geometrica:

figure come pentagono, quadrato e triangolo trovano le radici del loro nomi in proprietà matematiche che contraddistinguono queste figure, mentre la parola

unica “kirkos” rappresenta la definizione assoluta dell’ineccepibilità del cerchio. Il cerchio è presente in moltissimi alfabeti antichi ed è una delle prime figure

disegnate dai bambini. La circonferenza è comune anche nel mondo naturale,

ed in quanto tale viene spesso definita “linea organica”, al contrario delle linee rette e spigolose, più simili alle creazioni umane ed artificiali.

Water drops drawing

concentric circles in the water

Se da un lato la circonferenza suggerisce movimento ed instabilità, allo stesso tempo evoca un senso di protezione e di sicurezza.

Così come la sfera, il cerchio è l’unica figura che non appare mai “rovesciata” al nostro occhio, in qualunque modo la si disponga essa rimane in apparente

equilibrio, dritta, laddove figure come triangolo e cerchio appaiono stabili solo in poche angolazioni: sfera e cerchio evocano in modo immediato un senso di

ordine nelle nostre menti, e solitamente è la figura che per prima ci balza all’occhio osservando un disegno (così come il giallo per i colori).

Queste sono una minima parte di tutte le caratteristiche che rendono univoca la circonferenza.

Il suo studio millenario ha permesso all’uomo lo sviluppo tecnologico in moltissimi campi, ed ha rappresentato un importante e ricorrente elemento

anche nell’arte.

Leonardo’s studies about

human circular proportions

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L’utilizzo di cerchio e sfera ha segnato diverse fasi del progresso tecnologico dell’uomo: la ruota è il solido che oppone meno attrito a causa dell’assenza di

spigoli, e ciò gli permette di muoversi con facilità semplicemente grazie alla forza di gravità.

In natura questa figura trova diversi utilizzi, grazie ad una proprietà unica: la

sfera occupa il maggior volume nella minor area, e questo “risparmio” di spazio è molto sfruttato, ad esempio ghiandole di animali, ma anche frutta e verdura

hanno spesso forma sferica per questo motivo.

Il gas si espande uniformemente in tutte le direzioni, e quando viene intrappolato da un materiale flessibile si deforma costruendo piccole sfere: la

lamina di sapone, ad esempio, sotto l’effetto della tensione superficiale, oppone una resistenza mentre il gas al suo interno imprime una forza che dà la

caratteristica forma sferica delle bolle.

Oltre all’espansione, discorso simile vale per la contrazione: nelle gocce d’acqua, la forza di coesione fra le molecole avviene in maniera uniforme,

dando una forma sferica alle gocce.

Quando una sfera o una ruota si muove in un verso, al contatto con un’altra

sfera o ruota, quest’ultima ruota nel verso opposto di quello della prima, e questa è una delle basi della meccanica: gli ingranaggi si basano su questo

semplice principio fisico. Leonardo Da Vinci fece importanti progressi nella tecnica, studiando le

proporzioni ideali che relazionavano uomo e cerchio, ma soprattutto trovando applicazioni meccaniche pratiche per questa figura.

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Leonardo progettò diverse congegni in cui ruote ed ingranaggi hanno dato la

base alle macchine moderne: nel 1490 disegnò il primo progetto per la bicicletta; nel 1492 progettò quello che oggi è conosciuto come cuscinetto a

sfere.

Struttura di un

cuscinetto a sfere

Il cuscinetto a sfere è un dispositivo in grado di ridurre l’attrito fra due oggetti:

le sfere che ruotano all'interno di un cuscinetto hanno una superficie di contatto ridotta rispetto ad una comune bronzina, permettendo di ridurre

l'attrito (sia radente che volvente) e il calore generato dal moto. Nella meccanica moderna i cuscinetti a sfera sono largamente utilizzati in

macchinari di ogni tipo, sia industriali che di uso comune.

La maggior parte delle forze puntiformi si espande per simmetria radiale: le cariche elettriche ne sono un esempio.

Una carica elettrica posta su una sfera conduttrice, in particolare, tende a disporre la propria carica sulla superficie della sfera, ognuna equidistante

dall’altra in modo da essere stabile, generando campo elettrico interno nullo. Il campo elettrico sulla superficie e all'esterno della sfera è uguale al campo

che si avrebbe se tutta la carica Q fosse concentrata nel centro della sfera.

In una sfera isolante invece le cariche rimangono localizzate senza libertà di

movimento, non si trasferiscono in superficie e possono occupare tutto il volume del corpo.

Il campo elettrico cresce proporzionalmente al raggio della sfera isolante. Se in un conduttore possiamo parlare di densità superficiale di carica, in un

isolante è più opportuno parlare di densità volumetrica di carica.

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Da sempre la matematica ha cercato di dare una razionale misura a tutto

trovando difficoltà nello studio della più semplice delle curve, il Cerchio. Prime tracce degli studi sulla circonferenza risalgono al Rhind Papyrus, antico

papiro egiziano scritto tra il 2000 a.c. e il 1800 a.c., dove riscontriamo i primi tentativi di calcolo della circonferenza del cerchio, con una buona

approssimazione di un numero che mille anni dopo verrà chiamato “pi greco”.

Rhind papyrus fragments,

British museum

L’autore del papiro matematico è ignoto; nello scritto si spiega che, facendo rotolare una ruota tenendo presente uno stesso punto, esso torna

nella sua posizione originale quando la ruota avrà percorso 3,16 volte la misura del proprio diametro (approssimazione molto precisa del 3,14

considerando gli strumenti dell’epoca egizia).

La prima definizione del cerchio risale agli antichi greci: Platone espose, nella

“Settima Lettera”, la sua idea di “Regno delle forme”, che può essere interpretata matematicamente definendo la circonferenza come figura

geometrica superiore. Quando vediamo una circonferenza, per quanto perfetta possa sembrare, in

realtà è solo un’approssimazione di un concetto matematico che non si può

riprodurre in alcun modo.

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Partendo dal concetto di cerchio perfetto, non importa quanto precisi siano gli

strumenti utilizzati, non si potrà mai disegnare una circonferenza che rispetti esattamente il cerchio matematico.

Platone sostenne che il cerchio perfetto non esiste fisicamente, e non è mai stato visto da occhio umano, sebbene la sua idea sia chiara nella nostra

mente: sappiamo cos’è e che proprietà ha, ma non ne abbiamo esperienza. Possiamo distinguere chiaramente la posizione razionalistica di Platone contro

gli empiristi, secondo i quali non dovrebbe esistere il cerchio.

“Lo spazio compreso fra un’infinita serie di punti, posti ad una distanza

predeterminata da un punto, chiamato centro, è il cerchio”

Lo studio delle proprietà circolari ha portato oggi a questa definizione, risultato

di innumerevoli evoluzioni e teorie controverse. Importante sviluppo nello studio della circonferenza risale al 320 d.c., nelle

opere di Pappo di Alessandria, che riprende i pensieri scritti da Zenodoro cinque secoli prima, il quale gettò le basi del moderno Calcolo delle variazioni.

Il matematico greco cercò di dare risposta al problema isoperimetrico: consiste nel trovare, tra i poligoni di assegnato perimetro e assegnato numero

di lati, quello di area massima. La soluzione di questo problema è data dai poligoni regolari, cioè dai poligoni

aventi lati eguali ed angoli eguali, per coprire la maggior area possibile.

“La circonferenza racchiude una superficie maggiore di quella delimitata da

qualsiasi altra curva piana avente la stessa lunghezza”

Il Calcolo delle variazioni ha permesso di individuare nel cerchio la risposta al

problema isoperimetrico: questo campo della matematica che si occupa dello studio di estremi, minimi e massimi, di funzioni il cui dominio è composto da

altre funzioni, trovando il valore che rende minima o massima la funzione. Simile ai limiti, il Calcolo delle variazioni prende invece in considerazione tutte

le possibili variazioni della funzione: come risultato possiamo definire un

cerchio come un poligono regolare di infiniti lati. L’area di un poligono regolare qualsiasi è data,

generalmente, dalla seguente formula:

2

NumeroLatiLatoApotema

In cui Lato * Numero Lati corrisponde al perimetro,

ma prendiamo in considerazione il cerchio: il Lato è la distanza fra due punti infinitesimali, e il numero

del lati è infinito. L’apotema coincide con il raggio, e conoscendo l’area

del cerchio per cui 2rA , giungiamo a conclusione

che il prodotto Lato * Numero Lati in un cerchio è un limite notevole che da’, come risultato:

Si noti che il limite che

risultante 0 * ∞ è una forma di indecisione

matematica, ma che in questo caso equivale

a 2 pi*raggio

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Nel 499 d.c. abbiamo le prime tracce dell’utilizzo di Seno e Coseno negli studi

dei matematici antichi: in linguaggio Sanksrit, una sorta di dialetto arabo, riscontriamo l’uso della parola jya-ardha (letteralmente “mezza corda”), che

però è stata erroneamente tradotta in latino dall’italiano Gherardo da Cremona, nel 1150 d.c., nelle parole sinus e cosinus (complementi-sinus), da

cui oggi ne è derivata la parola Seno e Coseno.

Il seno è la proiezione verticale

(sull’asse y) del segmento dato dal centro del cerchio e di punto sulla

circonferenza che lo collega: analogamente, il coseno è la proiezione

orizzontale (sull’asse x). Divise le proiezioni per la misura del

lato, si ottengono due valori che sono indipendenti dal lato, dipendono solo

dall’angolo considerato.

Premesso ciò, ci si rende subito conto dell’importanza di questi due valori: si trovano applicazioni in moltissimi campi, oltre al geometrico (per lo studio di

funzioni trigonometriche), anche nel pratico: nello studio dell' elettrotecnica, dell' elettromagnetismo e nel dimensionamento e progettazione degli impianti

elettrici ha molta importanza lo studio delle funzioni trigonometriche.

Come siamo arrivati alle conoscenze delle proprietà fisico-matematiche attuali

sulla circonferenza?

La scoperta del fu essenzialmente difficoltosa e si

è protratta per diversi secoli:

già gli antichi egizi appresero che il rapporto fra circonferenza e diametro era costante, ma questa

costante fu per loro incalcolabile con accuratezza: vennero espressi diversi valori, sempre più precisi

con il passare del tempo (sotto forma di frazione fra due interi), ma con esso sorsero svariati problemi.

Non conoscendo l’esatto valore del , ogni tentativo

di calcolarne l’area fu inesatto, e di conseguenza

anche la misura del volume sferico.

Johann Heinrich Lambert, matematico francese, dimostrò nel 1768 l’irrazionalità del , e quindi l’impossibilità di esprimerlo

sotto forma di frazione fra numeri interi razionali. In matematica, un numero irrazionale è un numero reale non razionale.

I numeri irrazionali sono quei numeri la cui espansione in qualunque base (decimale, binaria, ecc) non termina mai e non forma una sequenza periodica:

2/3 corrisponde a 66.0 , mentre numeri come 2 o presentano una sequenza

infinita di numeri che mai si ripetono, senza seguire alcuna regola matematica.

Oggi con sofisticati computer siamo arrivati a determinare milioni e milioni di cifre del , e ancora non ci si spiega come, in natura, possa esistere un

numero così particolarmente complesso.

= 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279…

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A differenza dei numeri irrazionali, è anche trascendente (dimostrato da

Ferdinand von Lindemann nel 1882), ovvero è non algebrico: ciò significa che non ci sono polinomi con coefficienti razionali di cui è radice,

quindi è impossibile esprimere usando un numero finito di interi, di frazioni e

di loro radici.

Altro numero trascendente, da cui Lindemann

prese spunto per la dimostrazione della

trascendenza di , è “ e ”, la base dei logaritmi

naturali.

"QUADRATURA DEL CERCHIO: Non si sa che cosa sia, ma

quando se ne parla bisogna stringersi nelle spalle."

dal "Dizionario Dei Luoghi Comuni" - Gustave Flaubert

Spesso si è sentito parlare di Quadratura del

Cerchio, ma che cos’è?

Prima che Lindemann dimostrasse la trascendenza di , per secoli si è cercata

una soluzione a questo problema (dimostrato impossibile per la proprietà della

trascendenza, appunto). Il problema consisteva nel disegnare, semplicemente con riga e compasso, un

quadrato che avesse la stessa area di un cerchio. Apparentemente semplice, questo rompicapo non ha avuto soluzioni fino alla

dimostrazione della sua impossibilità nel 1882.

La formulazione di questo problema risale agli antichi greci, che trovavano

soluzione nella costruzione di un quadrato di lato , prendendo in

considerazione una circonferenza di raggio 1: in quanto l’area del quadrato è

Lato2, le aree delle due figure dovrebbero equivalersi (con =1.7724…).

Non esistendo polinomi razionali la cui radice sia , non esiste modo di

disegnare un quadrato la cui area sia perfettamente uguale ad un cerchio, nemmeno con l’ausilio dei più potenti computer.

Approssimare a tal punto che il nostro occhio non ne colga la differenza è possibile, ma l’impossibilità di questo problema permane nel tempo.

Fino a quel momento sono stati innumerevoli i tentativi della quadratura matematica del cerchio, tanto che l'espressione era (ed è) diventata sinonimo

di un'impresa vana, senza speranza o priva di un significato concreto. In senso meramente letterario, l'espressione "quadratura del cerchio", viene

spesso usata per indicare la soluzione perfetta a un dato problema (anche se, come abbiamo visto, non esiste).

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Il metodo di esaustione è una tecnica nata per risolvere problemi riguardanti

aree e volumi di figure ed oggetti curvi. Questo metodo consiste nel costruire figure geometriche sempre più piccole in

sommatoria, al fine di raggiungere un valore approssimato per l’area o volume della figura in questione.

Il nome “esaustione” deriva appunto dall’esaurirsi dell’area/volume disponibile sommando figure inscritte sempre più piccole, fino a quando questo fosse

totalmente riempito (in teoria). Eudosso da Cnida ideò questa tecnica nel 365 a.c. ma fu solo un secolo dopo,

nel 250 a.c. circa, che venne utilizzata con rigore e dimostrata.

Archimede utilizzò il metodo di esaustione nei suoi studi,

determinando con grande accuratezza la misura della circonferenza, area del

cerchio, volume di una sfera e

successivamente applicò questo metodo anche per curve e cicloidi, e

per confermare i teoremi che lui ed altri matematici avevano

precedentemente sostenuto.

Il metodo di esaustione getta le basi

per il moderno calcolo integrale, poiché anch’esso è basato

sull’approssimazione di una curva attraverso una sequenza crescente,

ma i Greci dell’epoca avevano una grande limitazione: concetti come

infinito, infinitesimo e limiti sono sopraggiunti parecchi secoli più tardi.

La prima figura su cui Archimede applicò questo procedimento fu proprio il cerchio: inscrivendo e circoscrivendo

due poligoni regolari di ugual numero di lati (per l’approssimazione per difetto e per eccesso), Archimede ripeté queste operazioni con una serie di poligoni

con un numero di lati sempre maggiore, finché raggiunse un valore accurato dell’area.

Precedenti studi avevano già ipotizzato un valore approssimato per l’area e il

perimetro di una circonferenza, ed Archimede poté confermarne le teorie. Mancante del concetto di limite, dimostrò l’efficacia di questo metodo per

assurdo (che poi venne contestato nei secoli successivi da altri matematici).

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“Supponendo che l’area A di un poligono inscritto del cerchio si avvicini sempre

di più al valore dell’area del cerchio, aumentando il numero di lati del poligono, si arriva a dedurre che prima o poi l’area A superi quella del cerchio.

Ciò è però impossibile siccome, per definizione, l’area di una figura inscritta in un cerchio è minore o uguale a quella del cerchio stesso”.

Questo ragionamento non propriamente rigoroso servì per compensare la mancanza di limite, che completò il metodo di esaustione quando venne

introdotto,a partire dalla fine del XVII secolo con Newton, Leibniz, Eulero e

D'Alembert. La definizione di limite così come oggi la conosciamo fu però introdotta

successivamente, nel XIX secolo con Cauchy, seguita dalla miglior formalizzazione di Weierstrass.

Archimede proseguì i suoi studi applicando il metodo di

esaustione anche a curve e parabole. Ne “La quadratura della parabola” Archimede provò

che l’area del segmento parabolico è pari a 4/3 di quella del triangolo ACB costruito in figura.

Costruendo dal rettangolo di partenza ulteriori rettangoli sui cateti del primo, Archimede riuscì

a trovare una buona approssimazione dell’area del segmento parabolico:

costruendo triangoli sempre più piccoli

infatti si “esaurisce” l’area della parabola, e analogamente al procedimento

utilizzato per il cerchio, arriva ad un valore piuttosto preciso.

Oggi possiamo utilizzare il concetto di limite per ripercorrere, in pochi

passaggi, il pensiero di Archimede senza dover sommare uno spropositato numero di triangoli sempre più piccoli:

S* )4/1(...)4/1()4/1()4/1()4/1( 210

0

NN

Il concetto di limite semplifica notevolmente i calcoli, in quando considerando

(1/4)N+1 come infinitesimo, si ottiene:

S* SSN

3

4

4/3

01*

4/11

)4/1(1 1

Analogamente Archimede arrivò a confermare di come l’area del cerchio sia

2r , mentre il volume della sfera corrisponda a 3*3

4r .

“L’infinito è solo in potenza: ci si può avvicinare per accrescimenti successivi di

quantità finite, ma non si può raggiungere, perché non esiste l’infinito in atto”

-Ignoto

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DIMOSTRAZIONE ATTRAVERSO GLI INTEGRALI

Oggi possiamo convalidare ulteriormente l’operato di Archimede attraverso il

calcolo integrale.

Si disegni una circonferenza di equazione ƒ: 222 rxy su un piano cartesiano.

Per comodità disegniamo una circonferenza di raggio = 1.

sIn

In forma esplicita l’equazione, sostituito il valore del raggio, è ƒ: 21 xy

La formula per calcolare il volume di un solido di rotazione, ottenuto facendo

ruotare attorno all’asse X una funzione nell’intervallo [A;B], è la seguente:

Vf = B

A

dx2[ƒ(x)]

Ruotando la circonferenza precedentemente disegnata, otteniamo una sfera di

cui possiamo conoscere il volume. Applicando questa formula alla circonferenza, nell’intervallo [-1;1] (gli estremi

del cerchio in questione) otteniamo:

Vf = dxx 2

1

1

2 )1(

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Risolvendo l’integrale e semplificando otteniamo:

Vf =

1

1

31

1

2

3)1(

xxx dx

Il calcolo nell’intervallo A

Bƒ(x) si ottiene come differenza della funzione

nell’intervallo superiore con la stessa funzione nell’intervallo inferiore:

A

Bƒ(x) = ƒ(B)-ƒ(A)

Quindi, applicando la formula all’integrale trovato in precedenza:

3

4

3

22

3

11

3

11

3

1

1

3

xx

Nella formula non compare r3 poiché vale 1, ma provando con diversi valori di

raggio si ottiene la formula del volume, come approssimata da Archimede. Procedimento analogo si può fare per qualunque solido di rotazione, a patto di

conoscerne la funzione che lo genera.

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La valutazione di integrali definiti quando non è nota la primitiva della funzione integranda o quando il procedimento analitico risulta complesso richiede l’applicazione di metodi numerici.

Le tecniche numeriche si basano sull’applicazione di una formula che usa i valori che la funzione integranda assume all’interno dell’intervallo di integrazione.

Ogni formula di integrazione numerica ha un suo grado di approssimazione, che viene indicato con Rn(f), errore di troncamento. La valutazione numerica dell’integrale avviene tramite la costruzione di una opportuna

successione di valori xi tale che risulti:

n b

lim ci f(x) = f(x) e Rn (f) = 0 n i=1 a

La successione xi dei valori ottenuti dipende dal procedimento iterativo applicato: prima dell’utilizzo dei limiti gli antichi greci sfruttavano questi metodi

per calcolare l’area di sezioni paraboliche o curve. Nel mio programma ho analizzato alcuni tra i metodi di integrazione numerica

ad iterazione: il metodo dei rettangoli e quello dei trapezi.

METODO DEI RETTANGOLI

Il metodo dei rettangoli è il metodo iterativo più semplice per calcolare l’integrale definito di una funzione f(x) reale e continua in un intervallo chiuso

e limitato [a,b]. Esso consiste nel suddividere l’intervallo di integrazione [a,b] in un certo

numero di sottointervalli n e nell’approssimare la funzione all’interno di ciascun intervallo con il valore costante che questa assume nel suo punto medio,

pertanto il calcolo dell’integrale numerico viene quindi a corrispondere con la somma dei rettangoli aventi come base l’ampiezza costante dei

sottointervalli h = (b-a)/n e come altezza il valore che la funzione assume nel

punto medio di ciascun rettangolo. La formula risultante definisce l’algoritmo per n generico e h= (b-a)/n si ha:

b n-1

f(x) h f(a+(1/2+i) h) a i=0 Il procedimento di calcolo dell’integrale, può essere semplicemente realizzato

prevedendo n iterazioni che conviene numerare con i da 0 a n-1 e incrementare ad ogni passo, come è riportato nel programma, la somma

integrale con il valore: F(A+(i+0.5)*h).

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Nel metodo dei rettangoli, la cui interpretazione grafica è riportata in figura, si

approssima la curva della funzione, in ogni sottointervallo, con una retta parallela all’asse x di equazione y = f(xi) (il cateto del rettangolo), viene

commesso un errore di approssimazione che richiede un elevato numero di iterazioni prima di giungere ad un risultato accettabile.

Analizzata la funzione –x^2 + 4 nell’intervallo individuato in [0,2], l’area

calcolata tramite questo metodo, con n = 8, ha dato come risultato 5.81: ulteriori iterazioni danno un risultato ancora più preciso.

(5.33 è l’effettiva area nell’intervallo)

METODO DEI TRAPEZI

Esso consiste nel suddividere l’intervallo di integrazione [a,b] in un certo

numero di sottointervalli n e nell’approssimare la funzione all’interno di ciascun

intervallo con la spezzata che congiunge i punti per cui passa il grafico della funzione agli estremi di ogni intervallo, pertanto il calcolo dell’integrale

corrisponde alla somma dei trapezi aventi come altezza l’ampiezza dei sottointervalli h = (b-a)/n e come base maggiore e minore il valore che la

funzione assume agli estremi dei singoli sottointervalli. per n generico si ha:

b n-1

f(x) h/2 [f(a+(i+1) h) + f(a+i h)]

Il calcolo dell’integrale è realizzato prevedendo n iterazioni che conviene

numerare con un indice i da 0 a n-1 e incrementare ad ogni passo la somma

integrale con il valore:

A=A+(h*0,5*(F(a+i*h)+F(a+(i+1)*h)))

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Si può dimostrare che l’errore commesso usando la formula trapezoidale è

molto minore rispetto a quello commesso usando la formula rettangolare, pertanto il risultato ottenuto a parità di sottointervalli risulta più approssimato:

Stessa funzione, stesso numero di inveralli, ma si ottiene un valore di area pari

a 5,31 che è molto più vicino al valore teorico (5,33) rispetto a quello calcolato con il metodo dei rettangoli (5,81), ed anch’esso si avvicina sempre più al

valore teorico tanto aumentano le iterazioni nell’algoritmo (ovvero aumenta il numero degli intervalli).

Limitazione del programma è che può calcolare l’area solo di sezioni al di sopra dell’asse X, in quanto l’implementazione del calcolo sulla parte negativa della

funzione più complessa, e quindi richiede l’inserimento di un intervallo che comprenda solo valori positivi.

Per agevolare la scelta di un intervallo più preciso, ho implementato il metodo della bisezione: la bisezione è il metodo iterativo più semplice e sicuramente

conveniente per calcolare le radici di un’equazione non lineare f(x) reale e continua in un intervallo chiuso e limitato [a,b] che assuma valori di segno

opposto agli estremi dell’intervallo: infatti se f(a) e f(b) sono discordi, sicuramente la funzione si interseca con l’asse X (e quindi nel valore 0).

Il metodo di bisezione consiste nel considerare il punto medio xm =(a + b)/2 dell’intevallo [a,b] e verificare se xm è una radice.

Per verificare questa condizione, si controlla se –p < f(xm ) < p con p che rappresenta la precisione scelta.

Se xm non è una radice si valuta il segno del prodotto f(a) .f(xm) e si procede

allo stesso modo nel sottointervallo [a, xm] se il segno è negativo, o nel sottointervallo [xm,b] se è positivo.

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Naturalmente iterando il procedimento si genera una successione di termini

{xi}, ciascuno dei quali rappresenta l’intersezione con l’asse X della retta individuata dai punti di coordinate (a, segno f(a)) e (b, segno f(b)) che solo

sotto le ipotesi fatte converge sicuramente alla radice richiesta.

Il metodo di bisezione ad ogni iterazione dimezza l’intervallo contenente la

radice che viene calcolata con la precisione desiderata.

Il punto di forza di questo metodo è nella sua semplicità e sicura convergenza, il suo punto debole è invece nella scarsa efficienza rispetto agli altri metodi

infatti poiché ad ogni passo viene dimezzato l’intervallo contenente la radice, pertanto richiede un numero elevato di iterazioni, sempre in relazione alla

precisione con cui si vuole lavorare.

Metodo bisezione:

immagine presa da google, non ho

implementato la grafica per il metodo di bisezione, non

ritenendola indispensabile come quella dei metodi di integrazione.

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L’uomo ha sempre studiato le proprietà fisiche della sfera e del cerchio: una

delle sue principali peculiarità è la capacità di ruotare attorno al proprio asse semplicemente poggiandolo su un piano inclinato grazie alla forza di gravità.

La rotazione è il movimento di un corpo che segue una traiettoria circolare, descrivendo un cerchio: questo particolare movimento è sempre stato oggetto

di studio in quanto il moto circolare ha caratteristiche uniche, soprattutto quando la rotazione avviene attorno ad un asse interno all’oggetto stesso (nel

caso in cui l’asse è esterno si tratta di orbita).

A differenza dei moti lineari infatti i parametri dinamici

sono velocità angolare e momento angolare, periodo e frequenza: queste grandezze delineano proprietà

uniche al moto circolare, in particolare si parla di velocità angolare (o velocità di rotazione) come il

rapporto fra la variazione di angolo compreso in un arco di tempo ( ω = Δθ / Δt dove theta rappresenta

l’angolo), la cui unità di misura secondo il Sistema Internazionale è radianti su secondo (cioè in s−1

dovuto dal fatto che il radiante è un numero puro, senza unità di misura).

Insieme alla rotazione nasce il concetto di periodo e frequenza, utilizzati anche nelle onde: il Periodo T (in secondi) rappresenta il

tempo in cui l'onda compie un'oscillazione e torna alla condizione iniziale, la Frequenza f è una grandezza scalare inversa di T ( f = 1 / T ), misurata in

Hertz (s−1), rappresenta quanti moti completi vengono effettuati nell’arco di un secondo.

Una delle applicazioni più significative della rotazione e delle sue particolari

caratteristiche le troviamo nell’invenzione del giroscopio, un dispositivo fisico che tende a mantenere il suo asse orientato sempre nella stessa direzione,

nonostante turbolenze esterne e cambi di orientamento del piano d’appoggio.

Composto da un rotore toroidale ed un’asse rigida, fu inventato nel 1852 dal

fisico J. Bernard Foucault, ed è il componente base di tantissime tecnologie moderne: durante la rotazione del rotore, il giroscopio sembra estraneo alle

leggi della gravità in quanto conserva l’equilibrio roteando sul proprio asse anche in situazioni apparentemente impossibili.

Il principio del giroscopio sfrutta la Legge di conservazione del momento angolare, il quale afferma che il momento angolare di un sistema è costante

nel tempo se è nullo il momento delle forze esterne che agiscono su di esso.

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Il momento angolare è una grandezza fisica che si conserva se un sistema

fisico è invariato sotto rotazioni; in altri termini costituisce l'equivalente per le rotazioni spaziali

della quantità di moto per le traslazioni: si può definire infatti come quantità di moto risultante

dall'invarianza dell'azione rispetto alle rotazioni tridimensionali, dove la quantità di moto è

calcolata come una semplice forza vettoriale Massa

per Velocità dell’oggetto in questione.

Entrambi i principi si basano sulla Terza Legge di Newton: ad ogni azione corrisponde una reazione

di ugual forza, infatti ogni forza è sempre prodotta in coppia con un’altra forza, chiamata comunemente reazione, di identica grandezza ma senso opposto.

Un esempio lampante di giroscopio è la semplice trottola, che roteando intorno al proprio asse si mantiene in equilibrio senza mai cadere.

Fenomeno fisico in grado di contrastare la forza di gravità con la rotazione è la Precessione: definita come la semplice rotazione di un corpo attorno ad un

asse esterno al corpo, questa forza in determinati casi (come mostrato in figura) imprime forza meccanica verticale al giroscopio permettendogli di

rimanere in equilibrio anche quando non ci sembra possibile.

In generale, maggiore è il momento angolare, maggiore è la forza sprigionata dalla rotazione,

che è in grado di mantenere l’angolo di

inclinazione costante e di annullare la forza di gravità: come spiegato in precedenza, il

momento angolare è dato dalla massa moltiplicata per la velocità dell’oggetto, ma

aumentando la massa dell’oggetto è necessaria maggior forza per mantenere la precessione del

giroscopio, quindi generalmente più un corpo ruota velocemente attorno ad un asse, maggiore

è la forza in grado di mantenerlo in equilibrio.

Il momento meccanico (forza motrice generata durante la rotazione )

dell’oggetto è dato dal rapporto della variazione di momento angolare L con la variazione di tempo t, che corrispondo al prodotto fra Inerzia dell’oggetto

moltiplicata con la sua Accelerazione angolare.

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Il momento meccanico si misura in N*metro, non si usa il Joule poiché è

considerato un momento vettoriale, non essendo un vettore scalare come ad esempio il Lavoro.

Si comprende meglio la relazione fra Momento angolare e Momento meccanico durante una rotazione guardando questa immagine:

Durante la rotazione della sfera nell’immagine 1 possiamo notare che viene generata una forza L

verticale all’asse di rotazione in modo proporzionale alla quantità di moto p, data dal

prodotto fra massa e velocità della sfera, con il raggio di rotazione r.

In figura 2 viene mostrata un’interferenza

meccanica esterna alla rotazione F, che genera una forza orizzontale opposta rispetto al momento

angolare; F può trattarsi di una qualunque forza esterna, inclusa la gravità: essendo il raggio r uguale per entrambe le forze, si spiega quindi che i

giroscopi vengono mantenuti in equilibrio solo se la quantità di moto ( massa*velocità*raggio) è in grado di superare la forza di gravità, imprimendo

quindi al momento angolare L maggior forza di quanto sia la forza generata dalla gravità ( 9,81 m/s2 * raggio ).

Il giroscopio è largamente utilizzato nella tecnologia moderna, solitamente

installato su una sospensione cardanica: questo meccanismo permette di mantenere su uno o più assi un oggetto orientato nella stessa direzione anche

se la posizione del suo supporto varia: si tratta degli anelli più esterni del

giroscopio, senza i quali la conservazione del momento angolare sarebbe possibile solo sull’asse verticale: inventato dallo scienziato italiano Girolamo

Cardano, isola un oggetto al suo interno dalla gran parte delle perturbazioni fisiche esterne.

Al giorno d’oggi l’effetto giroscopico è sfruttato in un gran numero di campi: la

Girobussola sta sostituendo la bussola tradizionale poiché quest’ultima indica il Nord magnetico e diventa imprecisa con l’usura, mentre la Girobussola si può

facilmente impostare su ogni tipo di riferimento, sia il Nord geografico sia determinate stelle, dimostrandosi un sistema di orientamento molto più

attendibile di quelli tradizionali.

Nei satelliti artificiali, nelle sonde spaziali e nella navi è alla base del sistema di

guida inerziale, che mantiene orientato il veicolo rispetto alle stelle fisse, ad esempio nel Telescopio Spaziale Hubble è usato per mantenere puntato con

precisione il telescopio verso il punto di osservazione. Molti dispositivi tecnologici che richiedono precisione dispongono di un

giroscopio al loro interno: senza andare nel tecnico, il giroscopio è largamente utilizzato anche in oggetti di uso quotidiano, come telefoni e macchine

fotografiche: Apple è stata la prima casa produttrice a realizzare l’inserimento di giroscopi nel suo Iphone, arricchendo il telefono di features specifiche

all’equilibrio, variabili con inclinazione e orientamento del telefono, nonché

applicazioni simili alla girobussola, funzionanti anche senza connessione internet.

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La forma circolare è sempre stata osservata in chimica, ed è noto che composti

ciclici hanno caratteristiche differenti rispetto a quelle lineari, in particolare presentano una grande stabilità.

Il Benzene è una molecola che presenta eccezionale stabilità e proprietà molto particolari, e gli studiosi non riuscirono a concepirne una possibile forma.

Friedrich August Kekulé (1865) ipotizzò la struttura della forma del benzene, fino ad allora sconosciuta, come un serpente che si morde la coda: la sua

ipotesi di ciclicità della molecola si rivelò esatta e diede l’inizio ad una serie di studi sui composti aromatici.

Analogamente, venne studiato che anche la maggior parte degli zuccheri presentano forme cicliche, molto più stabili e comuni in natura rispetto a quelle

lineari: esempio eclatante è il glucosio.

Formule cicliche

del Benzene (a sinistra)

e del Glucosio (a destra)

Recenti studi hanno scoperto una particolare molecola, di struttura sferica,

composta totalmente da atomi di Carbonio, che sta trovando particolari applicazioni in molti settori.

Il Carbonio è la base di tutte le forme di vita sul nostro pianeta grazie alle sue particolari proprietà:

ogni singolo atomo di carbonio è infatti in grado di legarsi con facilità ad quasi ogni altro atomo, in

particolare forma legami stabili con altri atomi di carbonio e di idrogeno.

Il Carbonio sulla tavola periodica è indicato con il simbolo C, rientra nella categoria dei non-metalli e

possiede numero atomico 6 ( possiede 6 elettroni ) Ogni atomo presenta più orbitali che vengono

riempiti progressivamente in base al numero di elettroni, in specifico ogni

orbitale può contenere 2 elettroni anti-paralleli (con spin opposto), e ogni orbitale viene disposto su un diverso livello energetico.

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Il primo livello energetico può contenere al massimo 2 elettroni, il secondo

8 elettroni: gli elettroni del Carbonio riempiono completamente il primo e metà del secondo livello, dove rimangono 4 gap elettronici, ragion per cui il Carbonio

è in grado di formare 4 legami. In natura non esiste l’atomo di Carbonio singolo, si lega solitamente ad altri

atomi al fine di raggiungere il cosiddetto “ottetto elettronico”, ovvero la completezza dell’anello elettronico più esterno ( 8 elettroni ).

La neutralità del legame carbonio-carbonio permette di formare enormi catene

di carboni legati fra di loro in diverse geometrie: l’angolo di legame che si forma fra il carbonio ed un altro atomo cambia in base al tipo

di ibridazione degli orbitali. L’angolo che si forma è di 109.5° quando sono legati quattro atomi (sp3), 120°

quando sono legati tre atomi (sp2) e 180° quando sono legati due atomi (sp). La possibilità di osservare diverse geometrie in

molecole contenenti gli stessi numeri di atomi (quindi stessa forma atomica) è chiamata Allotropia.

Un esempio classico di forma allotropica del carbonio

sono la Grafite e il Diamante: entrambi posseggono la stessa formula chimica (sono interamente composti

da carbonio) ma la diversa disposizione spaziale degli atomi di carbonio ha portato a diverse geometrie molecolari, che

influenzano notevolmente le proprietà

fisiche del composto: in questo caso la durezza è più alta nel diamante rispetto alla sua forma allotropica.

Fino al 1985 erano conosciute solo due forma allotropiche del carbonio, cioè strutture chimiche caratterizzate da un diversa struttura cristallina, il diamante

e la grafite.

Diversi studi di vapori di carbonio ottenuti da cristalli di grafite con laser ad

alta energia portarono alla scoperta di varie specie di carbonio in fase vapore, la più abbondante delle quali era un cluster costituito da 60 atomi di

carbonio a cui fu dato il nome di buckminsterfullerene (C60), in onore di Richard Buckminster Fuller (1895-1983), architetto celebre per aver

diffuso la cupola geodetica con la forma dello stesso poliedro.

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In natura possiamo trovare questa molecola nella fuliggine e negli scarti di bruciature Bunsen, ma sono stati osservati ritrovamenti di

fullereni anche in meteoriti e stelle lontane. I fullereni sono cluster (aggregato di atomi o molecole dello stesso tipo)

costituiti da un elevato numero (sempre pari) di atomi di carbonio: ma cosa caratterizza questi allotropi del Carbonio rispetto ad altre molecole?

La sua particolare geometria, come si può osservare in figura, tende alla

sfericità, conferendo a questa molecola una stabilità elevatissima per le sue

dimensioni: la presenza di 12 ciclopentani ( anelli formati da 5 atomi di carbonio )

circondati da 20 cicloeseni ( anelli con 6 carboni nei quali vi è la presenza di doppi

legami ) permette infatti la formazione di angoli di legami che conferiscono alla

molecola una struttura sfericamente quasi perfetta.

Non si è ancora capito perché, di tutte le forme di catene carboniose possibili, in

natura si vengano a formare i fullereni, che sono molecole relativamente

complesse, estremamente difficili da sintetizzare artificialmente.

Forme allotropiche più piccole (teoricamente il fullerene più piccolo sarebbe il C20 ) sono impossibili da mantenere stabili a causa della tensione di curvatura

che causa una facile rottura dei legami carbonio-carbonio. La scoperta dei fullereni conseguì l’assegnazione del premio Nobel per la

chimica nel 1996 a H.W. Kroto, R.F. Curl R.E. Smalley, autori della scoperta, ed ha definitivamente sancito l’interesse per questi nuovi materiali: dal punto

di vista chimico, il C60 è un composto difficilmente ossidabile, mentre può essere ridotto per via elettrochimica, formando sali fulleruri.

Reagisce facilmente con radicali, nucleofili (ioni - ) di vario tipo e

carbeni, formando composti di addizione in cui atomi o gruppi

di atomi sono legati alla struttura fullerenica.

Queste reazioni chimiche permettono alle molecole C60

di essere “funzionalizzate”, cioè legate a nuovi gruppi chimici

che ne modificano specifiche proprietà chimico-fisiche.

In altre parole la funzionalizzazione chimica dà la possibilità di

combinare le proprietà uniche dei fullerene con quelle di altri composti.

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L'aggiunta di ioni metallici modifica drasticamente le proprietà elettroniche e di

conducibilità elettrica del C60: normalmente isolanti, un fullerene può diventare conduttore e

addirittura superconduttore (al di sotto di una certa temperatura) in base tipo di ione metallico a cui si lega.

La sua struttura a gabbia chiusa presente anche molte altre particolarità elettriche, ma l’impiego dei fullereni ha trovato maggior spazio nella

farmaceutica rispetto all’elettronica.

L’interesse di un utilizzo del C60 nel campo farmacologico è dovuto ad una sua particolare proprietà: i suoi derivati idrosolubili sono capaci di passare la

barriera cellulare senza recar danni. Ciò li rende potenzialmente degli ottimi trasportatori di molecole

biologicamente attive: in altre parole è possibile “rinchiudere” in un fullerene un certo enzima senza modificarne le proprietà (grazie alla neutralità

della struttura carboniosa), facendolo agire solo su determinate aree del corpo, curando in modo più preciso le aree malate del nostro corpo senza

danneggiare altre aree, riducendo l’invasività di molte medicine. L’isolamento conferisce una proprietà antivirale ai fullereni e ai suoi derivati:

ad esempio, si sta recentemente studiando una forte implicazione nel trattamento dell’infezione HIV.

E’ stato mostrato che queste molecole possono inibire e fare complessi con la proteasi HIV, un enzima fondamentale per la sopravvivenza del virus

responsabile dell’AIDS.

Azione del Fullerene

nella zona cava del virus

Nel complesso virus infatti è presente una cavità sferica della proteasi dove

avviene il taglio delle proteine (responsabile della distruzione cellulare nel nostro organismo) la cui superficie interna è idrofobica:

come mostrato in figura, un particolare derivato ionico del C60 è in grado di stabilirsi nella cavità della proteasi, causando una forte interazione di Van Der

Waals ( forze attrattive e repulsive causate dalla diversa polarità tra due o più molecole ) tra la superficie fullerenica e la superficie

non polare del sito attivo, che viene inibita, bloccando la capacità

distruttiva e replicante dell’HIV, che necessita della scissione proteica per sopravvivere.

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I fullereni trovano grandi applicazioni anche nel campo energetico:

sono nate recentemente nuovi pannelli solari organici a basso impatto ambientale (sia a livello di produzione che di smaltimento ) che sfruttano il C60

come accettore di elettroni.

Ancora più recente è la scoperta degli IperFullereni, ovvero l’impiego di un

doppio strato di fullerene, un buckminsterfullerene all’interno di un fullerene di

dimensioni maggiori ( specificamente C60@C180 o C240 ), che è in grado di isolare completamente qualunque composto all’interno del C60: si è riusciti ad

isolare composti molto instabili e fortemente radioattivi al suo interno, comportando una grande svolta nello smaltimento dei rifiuti tossici e di scorie

nucleari. Questa proprietà è dovuta a meccanismi di assorbimento quantistico della radiazione emessa, grazie alle proprietà elettroniche del fullerene, che

agendo insieme fra loro fungono sia da isolante chimico-fisico sia da Gabbia di Faraday in miniatura ( sistema costituito da materiale conduttore che

permette l’isolamento da un qualunque campo magnetico esterno ), “imprigionando” letteralmente le sostanze radioattive, che vengono

totalmente isolate e, nel tempo, inibite.

L’impiego dei fullereni è molto propizio, presenta però molti ostacoli: primo tra questi, la difficoltà di produzione.

Per risultare effettivamente utile, si necessitano di grandi quantità di fullereni,

che nonostante si possano trovare in natura risultano molto rare: il metodo per sintetizzare fullereni più accreditato consiste nell’utilizzo di un arco elettrico, a

circa 5300 K, con l’ausilio di una bobina di tesla, a corrente elevatz ma con bassa tensione, utilizzando elettrodi in grafite in atmosfera inerte e pressioni

basse.

Struttura di un Iperfullerene, “bucky onion”

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Dall'arco elettrico il carbonio si trasforma in un residuo fuligginoso, composto da diversi tipi di catene carboniose, per lo più amorfe, e una percentuale

relativamente bassa di C60.

Tale sistema è molto costoso e poco redditizio, data l'elevata energia che va utilizzata, la bassissima resa in fullereni stabili rispetto al carbonio amorfo, e

inoltre il fatto che la grafite debba essere di elevata purezza (assenza totale di

atomi di idrogeno) e trattata elettricamente per essere ad alta conduttività.

Foto al microscopio TEM

di C60

-David Publishing -

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Il Cerchio rappresenta la perfezione, la compiutezza irraggiungibile di ciò che non ha rottura né cesura, di protezione.

Simbolo che non ha inizio né fine, formato da una linea unica le cui estremità si ricongiungono per annullarsi l’una nell’altra.

Maya Calendar,

the circular flow of the creation

Da sempre l’idea del cerchio perfetto ha condizionato il pensiero dell’uomo, e tanti matematici, fisici e chimici hanno fatto scoperte grazie allo studio di

questa figura (il moto perpetuo, la scoperta del benzene, ecc…). Fra religione, arte e filosofia questo è un elemento ricorrente, tanto che molti

considerarono l’idea stessa del tempo come un cerchio. Il movimento circolare, è perfetto, immutabile, senza inizio né fine, né

variazione; questo fa si che esso possa rappresentare il tempo, il quale, a sua

volta, può essere definito come una successione continua e invariabile di istanti tutti identici gli uni agli altri, e da qui il concetto di ciclicità: l’Ouroboros, il

serpente (o drago) che si mangia la coda, simboleggia questo ritorno.

Fra ogni istante esiste sempre un altro istante, in un insieme discreto ed infinito di momenti che, apparentemente, superati non tornano mai.

Ma come la Terra a occhio nudo sembra piatta, dallo spazio ci accorgiamo della sua sfericità, non potendo osservare da lontano il tempo come possiamo

essere sicuri che non sia veramente ciclico? Troviamo sostenitori del concetto del tempo come ciclo nei Maya e negli antichi

egizi, ma l’avvento del cristianesimo ha portato alla scomparsa di questa idea nell’Europa, mentre rimane ancora ben radicata nei paesi asiatici.

In Letteratura il concetto di ritorno temporale è molto usato, Leopardi affermava, nel suo pessimismo cosmico, che le grandi leggi cosmiche sono

destinate a ripetersi mentre quelle della storia,quindi dell'uomo no, in quanto

l’umanità è solo un istante nella vita dell’universo.

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Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco vissuto nella seconda metà del 1800, riprende questo pensiero facendolo

caposaldo della sua filosofia. L’uomo è un essere temporale, diceva Nietzsche,legato

alla propria memoria e quindi schiacciato dalla storia passata: l’uomo è destinato a non vivere pienamente il

presente a causa del peso del passato che si porta sulle

spalle, e se consideriamo il tempo come lineare, allora è impossibile apprezzare la vita nel nostro presente.

Nietzsche fonda l’ “Eterno Ritorno” del tempo su un pensiero logico semplice ma spesso incompreso: in un

insieme finito di eventi (la nostra vita) dove il tempo è infinito, è possibile che questi eventi prima o poi si ripeteranno.

“Tirando infinite volte tre dadi a sei facce, ognuna delle 216 combinazioni potrà

comparire infinite volte”

Il pensiero di Nietzsche rappresenta uno spartiacque fra la filosofia tradizionale

e quella moderna: tenendo presente l’impossibilità di vivere con pienezza il presente in un tempo lineare, la nostra volontà si scontra con il tempo, è

schiacciata fra passato e futuro.

“Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che

l'uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.”

-Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere, 1984

La vita dell’uomo è finita, e questa consapevolezza ci ha sempre portato alla ricerca di risposte, dove invece la linearità del tempo è ancora un enigma.

L’Eterno Ritorno invece presuppone che non ci sia una direzione nel tempo, ogni attimo può essere concepito come inizio, e prima o poi si ripeterà:

in questa prospettiva ogni attimo può essere considerato e vissuto in sé stesso, slegato dall’oppressione del passato e futuro.

Se tutto torna in eterno ogni istante ha la pienezza dell'eternità!

Drawing by Theodoros Pelecanos of the

Ouroboros. the tail-devouring snake.

-alchemical tract Synosius (1478)

Nietzsche non voleva sostenere la sua teoria come verità ontologica, bensì come una libera interpretazione che ognuno di noi può scegliere di seguire.

Esistono molteplici interpretazioni dell’Eterno Ritorno, ma come imperativo etico ci permette di vivere pienamente la propria vita: ogni attimo ritornerà in

eterno, e ciò ci da’ completa autonomia rispetto ad esso.

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Sostenendo l’Eterno Ritorno, Nietzsche ideò il concetto di Übermensch, in italiano l’ “Oltre-Uomo”, ovvero colui che riesce ad accettare la vita nella sua

totalità, dando un senso all’esistenza di una vita in mancanza di valori assoluti. L’Oltre-Uomo da’ senso al divenire senza fuggirne, accettando anche i lati

miserevoli della vita, abbracciando pienamente la sua parte dionisiaca.

“Non esistono fatti, soltanto interpretazioni” – Nietzsche

Il filosofo tedesco era solito esporre il proprio pensiero scrivendo aforismi, ed è per questo motivo che fu interpretato in modo diverso da molti studiosi.

Nietzsche auspicava un uomo superiore agli altri a livello intellettuale, in modo da gettare le basi per un’umanità innovata: molti dittatori sfruttarono invece il

concetto di Oltre-Uomo come persona superiore al fine di governare sugli altri, elevandosi sopra tutti in modo divino.

Queste idee condizionarono molti pensatori e letterati dell’epoca: D’Annunzio accettò il concetto di Oltre-Uomo (da lui chiamato Super-Uomo) ignorandone

però il significato profondo, ma deformandolo per adattarlo al suo temperamento sessuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione,

destinato a dominare sugli altri, attribuendo poi questo aggettivo a sé stesso.

Il pensiero di Nietzsche fu ripreso anche da molti dittatori, manipolando a proprio piacimento il concetto di Oltre-Uomo per renderlo idoneo al loro

governo: Hitler fondò la superiorità e purezza della razza ariana proprio su

questa filosofia. Nietzsche parlò degli ebrei come “distruttori di cultura” nichilisti: idolatri di

valori che per Nietzsche non significavano nulla (incluso Dio), il filosofo tedesco non aveva risentimenti razzisti contro gli ebrei, bensì sosteneva che i falsi

valori seguiti dalle religioni (incluso il cristianesimo) dovevano essere distrutti per sgombrare la mente dell'uomo e dargli così la possibilità di esprimere

liberamente i suoi impulsi vitali, laddove la religione lo opprimeva in una visione della vita più stretta di quella che in realtà è.

Il fraintendimento del pensiero di Nietzsche fu una delle cause per cui Hitler aizzò una campagna basata sull’esaltazione di una razza di uomini superiori,

cercando di cancellare la razza ebrea, usando come pretesto la filosofia di Nietzsche.

Aforismi in cui Nietzsche parla dell’Eterno Ritorno

La Gaia Scienza, Aforisma 341: « Che accadrebbe se un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo

nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte,

e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita

dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione [...]. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con

essa, granello della polvere!". Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta

un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina"?»

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Così parlò Zarathustra « "[...] proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia.

"Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.

Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e avanti è un'altra eternità.

Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro:

e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo".

Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?".

"Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo".

[...] Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono

accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche

questa porta carraia esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé

tutte le cose avvenire? Dunque anche se stesso? [...] E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo

chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti

non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via non

dobbiamo ritornare in eterno? [...] Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui

un greve serpente nero penzolava dalla bocca. [...] La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! Non riusciva

a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio

orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido.

[...] Giacché era una visione e una previsione: che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore,

cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?

Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene!

Lontano da sé sputò la testa del serpente; e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che

rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!" »

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La natura ha sfruttato pienamente le particolarità della sfera: questo solido

occupa il maggior volume avendo la minor area fra tutti i solidi possibili.

In natura abbiamo molti esempi di cerchi e sfere, ma ancora maggiori sono i

cicli naturali: a differenza dell’uomo, gli eventi naturali sono in grado di

ripetersi all’infinito mediante diversi sistemi ciclici.

Le origini delle rocce e terre sono anch’esse parte di un grande ciclo che si

ripete dalla genesi della Terra.

Il ciclo litogenetico è l’insieme delle relazioni genetiche che avvengono tra le

rocce e il magma all’interno della crosta terrestre, che si ripetono dalla genesi

della Terra ai giorni nostri, andando a formare un ambiente roccioso in

continua evoluzione.

Ogni roccia è caratterizzata da una

particolare aggregazione di minerali.

I processi di formazione delle rocce

non portano alla completa separazione

dei diversi minerali: in realtà

constatiamo che la maggior parte

delle rocce è formata da miscugli di

minerali diversi.

Il criterio fondamentale per la

classificazione delle rocce si basa sul

processo che ne ha determinato la

formazione: si conoscono rocce magmatiche, metamorfiche e sedimentarie.

I rispettivi processi di formazione delle rocce sono: il processo magmatico, il

processo sedimentario e il processo metamorfico.

Il pianeta Terra si formò circa 4,7 miliardi di anni fa, periodo in cui i vari

minerali, sottoposti alla forza di gravità, si localizzarono a distanze diverse dal

centro della terra a seconda della loro densità, con i più leggeri in prossimità

della superficie.

I materiali più esterni raggiunsero

in seguito una temperatura

inferiore al punto di fusione.

Da quel momento iniziarono a

formarsi composti solidi.

Il processo di solidificazione

determinò l'associazione di

minerali caratterizzati da punti di

fusione vicini tra loro.

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La struttura stratificata della terra si è mantenuta ancora oggi, l'interno del

pianeta è costituito da tre strati concentrici principali: nucleo, mantello e

crosta, più diversi stati intermedi.

Una massa di minerali allo stato fuso, spesso contenente in soluzione anche

sostanze allo stato aeriforme, prende il nome di magma.

La composizione del magma, presenta diverse percentuali di gas e silicati che

ne determinano la classificazione geodetica: la cristallizzazione o solidificazione

di un magma avviene gradualmente con l'abbassarsi della temperatura.

I minerali con temperatura di solidificazione più alta solidificano per primi e

solo successivamente diventano solidi i minerali con temperature di

solidificazione più basse. La formazione di rocce a seguito della solidificazione

del magma fluido è chiamata processo magmatico.

Le rocce che hanno avuto questa origine sono dette rocce magmatiche o ignee,

e si differenziano in base alla composizione del magma da cui hanno avuto

origine e in base a quanto rapidamente avviene il processo di cristallizzazione.

Il processo magmatico, che diede origine in tempi remoti alla crosta terrestre,

avviene anche attualmente, per esempio è in corso delle eruzioni vulcaniche.

Le rocce magmatiche costituiscono il 65% della crosta terrestre e, a seconda

che il magma sia solidificato all'interno della crosta terrestre (ad esempio in

filoni o dicchi) oppure all'esterno di essa, attraversando il condotto vulcanico

per forte pressione dei gas (come durante le colate vulcaniche), si ha l'ulteriore

suddivisione in:

rocce intrusive (o plutoniti), se la cristallizzazione è avvenuta in

profondità, per cui il raffreddamento e la solidificazione avvengono molto

lentamente e si possono formare cristalli di notevoli dimensioni che danno

alla roccia una struttura granulare; i corpi intrusivi rocciosi consolidati, in

funzione della loro forma e dimensione si distinguono

in plutoni, batoliti,laccolitie dicchi.

rocce effusive (o vulcaniche), se la cristallizzazione è avvenuta anche in

superficie per cui il raffreddamento è avvenuto rapidamente e a volte senza

che vi sia il tempo affinché si formino i cristalli, infatti nella maggior parte

dei casi presentano una struttura

amorfa (non cristallina); in base alla

loro disposizione sulla superficie

terrestre e al loro aspetto si

distinguono in lave se consolidate in

ambiente subaereo a seguito di

effusione del magma, bombe

vulcaniche eiettate

nell'aria, ignimbriti (formate dal

consolidamento di nubi ardenti,

sospensioni pesanti di ceneri,

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brandelli lavici etc., in gas ad elevata temperatura)

rocce ipoabissali (o filoniane) se il magma consolida a modesta

profondità nella crosta, penetrando all'interno di fratture dove,

raffreddando, cristallizza

Le condizioni ambientali in cui si originano le rocce magmatiche sono

caratterizzate da una temperatura piuttosto elevata, di almeno 700°C.

Rocce

Magmatiche

Rocce Intrusive Rocce Effusive Composizione

Sialiche

Silicati >65%

Granito Riolite Quarzo e pochi

min. femici

Neutre

52%< Silicati

<65%

Diorite Andesite Plagioclasi e min.

femici (anfiboli)

Femiche

45% < Silicati

<52%

Gabbro Basalto Assenza di

quarzo, molti

minerali femici

Ultrafemiche

Silicati < 45%

Peridotite Picrite Solo minerali

femici, nessun

sialico

L'azione dell'aria e dell'acqua tende a trasformare e a demolire i minerali delle

rocce magmatiche. Nelle condizioni fisiche di superficie, diverse da quelle in cui

si sono formati, questi minerali si trasformano in nuovi minerali più stabili.

La disgregazione delle rocce, magmatiche o di altra natura, produce frammenti

e detriti: il vento disgrega e disfa le rocce, l’acqua le erode chimicamente e il

ghiaccio le frattura internamente.

Le acque, il vento, i ghiacciai trasportano successivamente i detriti “sciolti” e li

accumulano.

Essi si accumulano nel tempo, quelli più antichi sotto, quelli più recenti sopra.

In questa maniera vengono sottoposti a pressioni via via più elevate. L'acqua

lentamente sfugge tra i detriti che così si compattano. Essa porta disciolti con

sé dei sali minerali che, una volta rilasciati tra i detriti, li cementano e li

trasformano così in rocce sedimentarie.

Questo processo si chiama diagenesi. Le rocce sedimentarie si riconoscono

perché sono sempre costituite da successioni di strati.

Tra uno strato e l'altro posso no esserci delle lamine, del vento e dell'acqua

che hanno trasportato il sedimento.

Le rocce sedimentarie si formano in condizioni di bassa temperatura e bassa

pressione.

Le rocce magmatiche si formano, invece, in condizioni di temperatura alta e

pressione relativamente bassa.

Le rocce sedimentarie e magmatiche, a causa di imponenti movimenti crostali,

possono essere trasportate in profondità. Qui le rocce incontrano temperature

e pressioni molto più elevate di quelle in cui si sono originate.

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Le rocce stabili in superficie diventano instabili al variare delle condizioni

fisiche. Il processo metamorfico consiste nella trasformazione della struttura

cristallina a causa dell'aumento della temperatura o della pressione, o di

entrambe.

Le rocce che subiscono il metamorfismo sono chiamate rocce metamorfiche.

Il processo metamorfico determina nelle rocce cambiamenti anche profondi

della struttura e della composizione mineralogica; le rocce rimangono

comunque sempre allo stato solido. Se la temperatura raggiunge valori

superiori al punto di fusione dei minerali, si forma di nuovo magma. Questo

processo prende il nome di rifusione. Se il magma poi torna a solidificare si

originano rocce magmatiche.

I processi di formazione delle rocce indicano che i diversi gruppi di rocce

possono trasformarsi gli uni negli altri. Le rocce magmatiche e quelle

metamorfiche sono trasformate in rocce sedimentarie. Le rocce magmatiche e

quelle sedimentarie possono subire metamorfosi. Le rocce di tutti e tre i tipi

possono andare incontro a un processo di rifusione ed essere di nuovo

trasformate in magma. L'insieme di tutte queste relazioni prende il nome di

ciclo litogenico o ciclo delle rocce. Il ciclo litogenico è un processo che ha avuto

inizio con la formazione della terra solida ed è destinato a continuare finchè il

pianeta manterrà la propria struttura. Gli incessanti processi di trasformazione

delle rocce indicano che la crosta terrestre è in continua evoluzione.

I materiali che si formano sono prima o poi ricondotti a condizioni nelle quali

non si trovano più in equilibrio e sono trasformati in rocce diverse.

Il termine ciclo, usato per indicare l'insieme di queste trasformazioni, mette in

evidenza che il processo passa ripetutamente per le medesime tappe. Il ciclo

litogenico mostra come le rocce superficiali possono venire sepolte in

profondità e trasformarsi in rocce metamorfiche.

Se subiscono forti aumenti di temperatura, queste rocce giungono al punto di

fusione e si trasformano in magma, e da esso possono riformarsi altre rocce

magmatiche.

Continua così l'incessante ciclo evolutivo delle rocce.

Le rocce che troviamo oggi sono la testimonianza delle operazioni fatte dal

ciclo fitogenico nel corso del tempo, dalla nascita del nostro pianeta.

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