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FEDERALISMO: IL CENTRO NORD A VRA PIUSOLDI, IL SUD MENO In questo numero Famiglie italiane in affanno La Cgia di Mestre ha di ff uso i dat i sull indebitamento medio delle fa- migl ie consumatr ici ital iane, lan- ciando un allar me su come esso sia cresciuto a settembre 2010 (r ispet- to a settembre 2008) del 28, 7 per cento. P A GINA 2 L appello di Don Sturzo , oggi di grande attualità Dopo quasi un secolo, l appello di Don Sturzo a tutti coloro che in questa grave ora sentono alto il do- vere di cooperare ai ni super io- r i della patr ia, senza pregiudizi né preconcettir iesce ancora a suscita- re stupore e ammirazione. P A GINA 4 Regione Lombardia Il Presidente Napolitano ha inaugu- rato insieme a Roberto Formigoni la nuova sede a Milano, un monu- mento all Italia delle autonomie. P A GINA 9 Chiara Zanetti Isabella Falbo inter vista la fashion accessor ies designer che lavora at- traverso il pellame tra sper imenta- zione e r icerca. P A GINA 10 Italia Unita Un insieme di popoli vincolati a un comune destino che accumula tante diversità: così per il sociologo Ulde- r ico Aldrovandi. P A GINA 11 Con il decreto sul federalismo municipale, a guadagnarci, almeno per il momento , sono le Regioni del Centro Nord. Chi ci guadagna? Chi ci rimette? Con il decreto sul federalismo muni- cipale, a guadagnarci, almeno per il momento, sono le Regioni del Cen- tro Nord. Lo dicono i r isultati di una proiezione della CGIA di Mestre, che ha calcola- to la differenza tra le imposte che sa- ranno lasciate ai Comuni ( ovvero Irpef sui redditi fondiar i; Imposta di bollo e di registro sui contratti di locazione; compartecipazione del 30% al gettito delle imposte sui trasfer imenti immo- biliar i; compartecipazione del 21, 7% al gettito della cedolare secca sugli af t- ti; compartecipazione al gettito Iva per un importo di 2,889 mld di euro) e i trasfer imenti ( al netto dei tagli previsti dal DL n° 78/ 2010, par i a circa 1,3 mld di euro) che, invece, saranno soppres- si: le realtà comunali del Centro Nord avranno più soldi in tasca, quelli del Sud invece meno. Secondo i dati, allo stato attuale, i Co- muni dell Emilia Romagna sono almeno per ora i maggior i bene- ciar i di questa operazione: il vantaggio scale pro-capite è di +73 r ispetto al 2010, seguono i veneti, con +52 , i ligur i, con +51 euro, i toscani con +49 d, i lombardi + 39 , i laziali con +31 , i piemontesi con +10 d e i marchi- giani con +8 . Di segno negativo, invece, il r isultato che emerge per il Sud. I più penalizza- ti sempre momentaneamente r i- sultano essere i Sindaci lucani, con -155 euro pro-capite r ispetto al 2010. Male anche per i pr imi cittadini campani, con -134 euro, i calabresi con -132 euro e di seguito tutte le altre realtà del Sud. Oltre a queste, ci r imette anche l Um- br ia con -34 pro-capite. Un r isultato sottolinea il segretar io della CGIA di Mestre Giuseppe Bor- tolussi molto parziale visto che con listituzione del Fondo sper imentale di r iequilibr io, così come previsto dal decreto sul federalismo municipale, queste dispar ità terr itor iali dovranno essere eliminate. Una cosa però è certa: per le casse dello Stato centrale con- clude Bortolussi loperazione è a somma zero. A fronte di un taglio dei trasfer imenti ai Co- muni di 11,243 mld di euro, al- trettanti 11,243 mld di euro sa- ranno devoluti ai Comuni. Nella legge delega, infatti, il legislatore ha chiaramente espresso linten- zione che tale operazione fosse a costo zero per lErar io. A livello terr itor iale, però, alcuni potrebbero guadagnarci e altr i in- vece r imetterci, anche se il Fondo di r iequilibr io avrà il compito di smussare queste dispar ità. L uso improprio di migliaia dintercettazioni ha tolto certezza al diritto individuale della privacy La libertà esiste se esistono gli uomini liberiLuigi Einaudi La libertà esiste se esistono uomini liberi; muore se gli uomini hanno lanimo di ser- vi... La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica. Luigi Einaudi In questa stagione politica così travagliata ser ve r iettere sulla Libertà: un beneche troppo spesso si dichiara disponibile per tutti i cittadini, ma che nella realtà ha molte restr izioni in diversi contesti. I giorni che viviamo sono emblematici: l uso impropr io di migliaia dintercettazioni ha tolto certezza al dir itto individuale della pr ivacy; la scelta dei candidati al Parlamento non è fatta dai cittadini, ma è impo- sta dalle nomine dei partiti che ormai sidenticano con il nome di una persona. Una parte della Magistratura si sente al di sopra di ogni controllo e abuso; no agli anni 90 si è schierata palesemente a sostegno politico degli anti democr istiani ( tutti, tranne i cattocomunisti) , successivamente si è schierata a sostegno degli anti Berlusconi. Nei giorni scorsi un altro eccesso: la Magistratura è arr ivata all esagera- zione di fare perquisizioni nalizzate a svelare la provenienza delle fonti; iniziative di questo tipo sono già state duramente sanzionate dalla Corte europea. Ser ve una stagione di serenità, di ver ità e di r iconoscimento da parte di tutti dei valor i fon- danti della nostra Repubblica, unitamente ai valor i umani e cr istiani della nostra or igine e identità. Ser ve soprattutto una classe dir igente e politica che sia al reale ser vizio del miglioramento del bene comune, ma nel r ispetto dell etica i cui valor i andrebbero esplicitati pubblicamente in tutte le attività. Antonino Giannone T ettamanzi: ritroviamo un orizzonte di senso Cè un messaggio molto forte r ivolto a tutto il mondo dellinfor- mazione ma soprattutto ai singoli gior nalisti, nel discorso che lAr- civescovo di Milano, il cardinale Dionigi T ettamanzi, ha pr onun- ciato in un incontr o con i media in occasione della festa di san Francesco di Sales, Patr ono dei gior nalisti, a ne gennaio. Oggi, ha sottolineato T ettamanzi, limmagine del nostr o paese offer- ta dai mezzi di comunicazione, è quella di un Paese che sembra pre- da di un litigio ister ico per manente. P ersonalizzazione, esasperazione, drammatizzazione, contrapposi- zione sono il salecon il quale si tenta di dare sapore a una realtà che, altr imenti, si r itiene destinata alla inevidenza. Se ogni pioggia è un diluvio, se tutti gli immigrati sono delinquenti, se ogni politico è corr otto, se ogni inuenza è pandemia, come potrà vivere sereno chi di tv e gior nali è utente abituale e non ha mezzi e capacità per esper ire personalmente la realtà presentata dai media con questo stile fuorviante? Come potrà non pr ovare ansia nei confr onti della vita quotidiana? P er la v er ità non manca chi sper imenta la sensazione opposta, r ima- nendo quasi anestetizzato davanti a ciò che accade. Se è sempre emergenza, non sarà mai emergenza, nemmeno nelle ev enienze rea- li: la tensione non può essere sostenuta a lungo e nisce per genera- re assuefazione. Molti poi pr ovano una specie di straniamento dalla realtà, una distanza scettica da ciò che non sper imentano direttamen- te, r iducendo così il reale solo a ciò che mater ialmente è sottoposto ai pr opr i sensi. Come può il gior nalista, con r esponsabilità, corr egger e questa per- cezione? Come contrastar e la rassegnazione che è scesa tra la gente? Nella Bibbia, ci racconta T ettamanzi, la ver ità (a-letheia) giunge alluomo mediante un pr ocesso continuo di svelamento. a ver ità di Dio non si offre solo allintelligenza, e quindi non è pos- sibile scopr irla solo con la r icerca razionale, nella for ma del possesso. La ver ità si offre a noi nella for ma di un Dio che si china sulluomo dentr o un pr ocesso damore, di cura, di crescita. T estimoniare la ver ità signica inser ire i fatti della realtà in un più ampio contesto, gli episodi in un or izzonte di senso. Pr opr io que- ste sono le domande che il gior nalista deve porsi: qual è il senso complessivo dei fatti che quotidianamente viviamo, incontr iamo, raccontiamo? In quale contesto complessivo dobbiamo inser irli? La ver ità non si esaur isce nei fatti puntuali, non è sequestratada una ser ie frammentata di episodi. Né i singoli episodi della realtà pos- sono essere usati per dare forza a questo o a quello schieramento politico. Secondo T ettamanzi, Un gior nalista sia cattolico che laico - testi- monia la ver ità se non ostacola ma per mette alle persone di acce- dere alla ver ità complessiva, più grande: di quel deter minato evento, della realtà che sta vivendo, del momento stor ico che si sta attraver- sando, della pr opr ia esistenza. L augur io dellarcivescovo, per le donne e gli uomini impegnati nel gior nalismo, è quello di saper r iconoscere ogni gior no le grandi responsabilità esercitate nella pr ofessione, di essere consapevoli del contr ibuto che possono dare o negare alla vera realizzazione delle persone e del bene del Paese. P er questo occorre recuperare passione per la vita reale della gen- te, svegliare il Paese dal suo torpore e r iuscire anche a mostrare il Paese che ce la fa, lazione di quanti operano per uscire dalla cr isi morale, sociale, economica, politica, la lor o volontà, la lor o passione, la forza, la gener osità, la lungimiranza: atteggiamenti quotidiani ma che diventano straordinar i in un momento in cui lordinar io pare essere sempre più legoismo, lavidità, le scorciatoie, la corruzione, limmoralitàQuesta realtà è lunica via che può spingere a quel sussulto collet- tivo capace di toglierci dalle secche in cui siamo arenati. L’ermetico Errante Periodico d’informazione contemporanea Numero 1 anno 1 Giugno 2011 3,00 Euro CHI CI GUADAGNA (pro-capite) – prima dellistituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio Trasferimenti Imposte lasciate Saldo soppressi ai Comuni ai Comuni (a) (b) (b-a) 1-EMILIA ROMAGNA 204 278 73 2-VENETO 182 234 52 3-LIGURIA 269 319 51 4-TOSCANA 222 263 41 5-LOMBARDIA 199 238 39 6-LAZIO 214 245 31 7-PIEMONTE 226 236 10 8-MARCHE 200 208 8 CHI CI RIMETTE (pro-capite) - prima dellistituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio Trasferimenti Imposte lasciate Saldo soppressi ai Comuni ai Comuni (a) (b) (b-a) 9-ABRUZZO 197 173 -23 10-UMBRIA 225 190 -34 11-PUGLIA 209 159 -50 12-MOLISE 230 153 -77 13CALABRIA 258 126 -132 14-CAMPANIA 278 144 -134 15-BASILICATA 276 121 -155 «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e innito» (Antoine de Saint-Exupéry)

L'Ermetico Errante giugno 2011

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L'Ermetico Errante giugno 2011, numero 1

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Page 1: L'Ermetico Errante giugno 2011

FEDERALISMO: IL CENTRO NORD AVRA’ PIU’ SOLDI, IL SUD MENO

In questo numero

Famiglie italiane in affannoLa Cgia di Mestre ha diffuso i dati sull’indebitamento medio delle fa-miglie consumatrici italiane, lan-ciando un allarme su come esso sia cresciuto a settembre 2010 (rispet-to a settembre 2008) del 28,7 per cento. PAGINA 2

L’appello di Don Sturzo, oggi di grande attualitàDopo quasi un secolo, l’appello di Don Sturzo a tutti coloro che “in questa grave ora sentono alto il do-vere di cooperare ai fini superio-ri della patria, senza pregiudizi né preconcetti” riesce ancora a suscita-re stupore e ammirazione. PAGINA 4

Regione LombardiaIl Presidente Napolitano ha inaugu-rato insieme a Roberto Formigoni la nuova sede a Milano, “un monu-mento all’Italia delle autonomie”. PAGINA 9

Chiara ZanettiIsabella Falbo intervista la fashion accessories designer che lavora at-traverso il pellame tra sperimenta-zione e ricerca. PAGINA 10

Italia UnitaUn insieme di popoli vincolati a un comune destino che accumula tante diversità: così per il sociologo Ulde-rico Aldrovandi. PAGINA 11

Con il decreto sul federalismo municipale, a guadagnarci, almeno per il momento, sono le

Regioni del Centro Nord.

Chi ci guadagna? Chi ci rimette?

Con il decreto sul federalismo muni-cipale, a guadagnarci, almeno per il momento, sono le Regioni del Cen-tro Nord. Lo dicono i risultati di una proiezione della CGIA di Mestre, che ha calcola-to la differenza tra le imposte che sa-ranno lasciate ai Comuni (ovvero Irpef sui redditi fondiari; Imposta di bollo e di registro sui contratti di locazione; compartecipazione del 30% al gettito delle imposte sui trasferimenti immo-biliari; compartecipazione del 21,7% al gettito della cedolare secca sugli affit-ti; compartecipazione al gettito Iva per un importo di 2,889 mld di euro) e i trasferimenti (al netto dei tagli previsti dal DL n° 78/2010, pari a circa 1,3 mld di euro) che, invece, saranno soppres-si: le realtà comunali del Centro Nord avranno più soldi in tasca, quelli del Sud invece meno.

Secondo i dati, allo stato attuale, i Co-muni dell’Emilia Romagna sono — almeno per ora — i maggiori benefi-ciari di questa operazione: il vantaggio fiscale pro-capite è di +73 ! rispetto al 2010, seguono i veneti, con +52 !, i liguri, con +51 euro, i toscani con +49 d, i lombardi + 39 !, i laziali con +31 !, i piemontesi con +10 d e i marchi-giani con +8 !.

Di segno negativo, invece, il risultato che emerge per il Sud. I più penalizza-ti — sempre momentaneamente — ri-sultano essere i Sindaci lucani, con -155 euro pro-capite rispetto al 2010. Male anche per i primi cittadini campani, con -134 euro, i calabresi con -132 euro e di seguito tutte le altre realtà del Sud. Oltre a queste, ci rimette anche l’Um-bria con -34 ! pro-capite.

“Un risultato – sottolinea il segretario

della CGIA di Mestre Giuseppe Bor-

tolussi – molto parziale visto che con

l’istituzione del Fondo sperimentale

di riequilibrio, così come previsto dal

decreto sul federalismo municipale,

queste disparità territoriali dovranno

essere eliminate”.

“Una cosa però è certa: per le

casse dello Stato centrale — con-

clude Bortolussi — l’operazione

è a somma zero. A fronte di un

taglio dei trasferimenti ai Co-

muni di 11,243 mld di euro, al-

trettanti 11,243 mld di euro sa-

ranno devoluti ai Comuni. Nella

legge delega, infatti, il legislatore

ha chiaramente espresso l’inten-

zione che tale operazione fosse a

costo zero per l’Erario.

A livello territoriale, però, alcuni

potrebbero guadagnarci e altri in-

vece rimetterci, anche se il Fondo

di riequilibrio avrà il compito di

smussare queste disparità”.

L’uso improprio di migliaia d’intercettazioni ha tolto certezza al diritto individuale della privacy

“La libertà esiste se esistono gli uomini liberi” Luigi Einaudi

“La libertà esiste se esistono uomini liberi; muore se gli uomini hanno l’animo di ser-vi... La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”.Luigi Einaudi

In questa stagione politica così travagliata serve riflettere sulla Libertà: un “bene” che troppo spesso si dichiara disponibile per tutti i cittadini, ma che nella realtà ha molte restrizioni in diversi contesti. I giorni che viviamo sono emblematici: l’uso improprio di migliaia d’intercettazioni ha tolto certezza al diritto individuale della privacy; la scelta dei candidati al Parlamento non è fatta dai cittadini, ma è impo-sta dalle nomine dei partiti che ormai s’identificano con il nome di una persona. Una parte della Magistratura si sente al di sopra di ogni controllo e abuso; fino agli anni ‘90 si è schierata palesemente a sostegno politico degli anti democristiani (tutti, tranne i cattocomunisti), successivamente si è schierata a sostegno degli anti Berlusconi. Nei giorni scorsi un altro eccesso: la Magistratura è arrivata all’esagera-zione di fare perquisizioni finalizzate a svelare la provenienza delle fonti; iniziative di questo tipo sono già state duramente sanzionate dalla Corte europea. Serve una stagione di serenità, di verità e di riconoscimento da parte di tutti dei valori fon-danti della nostra Repubblica, unitamente ai valori umani e cristiani della nostra origine e identità. Serve soprattutto una classe dirigente e politica che sia al reale servizio del miglioramento del bene comune, ma nel rispetto dell’etica i cui valori andrebbero esplicitati pubblicamente in tutte le attività.

Antonino Giannone

Tettamanzi:ritroviamo un orizzonte di senso

C’è un messaggio molto forte rivolto a tutto il mondo dell’infor-mazione ma soprattutto ai singoli giornalisti, nel discorso che l’Ar-civescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, ha pronun-ciato in un incontro con i media in occasione della festa di san Francesco di Sales, Patrono dei giornalisti, a fine gennaio.Oggi, ha sottolineato Tettamanzi, l’immagine del nostro paese offer-ta dai mezzi di comunicazione, è quella di un Paese che sembra pre-da di un “litigio isterico permanente”. “Personalizzazione, esasperazione, drammatizzazione, contrapposi-zione sono il ‘sale’ con il quale si tenta di dare sapore a una realtà che, altrimenti, si ritiene destinata alla inevidenza. Se ogni pioggia è un diluvio, se tutti gli immigrati sono delinquenti, se ogni politico è corrotto, se ogni influenza è pandemia, come potrà vivere sereno chi di tv e giornali è utente abituale e non ha mezzi e capacità per esperire personalmente la realtà presentata dai media con questo stile fuorviante? Come potrà non provare ansia nei confronti della vita quotidiana?Per la verità non manca chi sperimenta la sensazione opposta, rima-nendo quasi anestetizzato davanti a ciò che accade. Se è sempre emergenza, non sarà mai emergenza, nemmeno nelle evenienze rea-li: la tensione non può essere sostenuta a lungo e finisce per genera-re assuefazione. Molti poi provano una specie di straniamento dalla realtà, una distanza scettica da ciò che non sperimentano direttamen-te, riducendo così il reale solo a ciò che materialmente è sottoposto ai propri sensi”.

Come può il giornalista, con responsabilità, correggere questa per-cezione? Come contrastare la rassegnazione che è scesa tra la gente?Nella Bibbia, ci racconta Tettamanzi, “la verità (a-letheia) giunge all’uomo mediante un processo continuo di svelamento. a verità di Dio non si offre solo all’intelligenza, e quindi non è pos-sibile scoprirla solo con la ricerca razionale, nella forma del possesso. La verità si offre a noi nella forma di un Dio che si china sull’uomo dentro un processo d’amore, di cura, di crescita”.Testimoniare la verità significa inserire i fatti della realtà in un più ampio contesto, gli episodi in un orizzonte di senso. Proprio que-ste sono le domande che il giornalista deve porsi: qual è il senso complessivo dei fatti che quotidianamente viviamo, incontriamo, raccontiamo? In quale contesto complessivo dobbiamo inserirli? La verità non si esaurisce nei fatti puntuali, non è “sequestrata” da una serie frammentata di episodi. Né i singoli episodi della realtà pos-sono essere usati per dare forza a questo o a quello schieramento politico.Secondo Tettamanzi, “Un giornalista – sia cattolico che laico - testi-monia la verità se non ostacola ma permette alle persone di acce-dere alla verità complessiva, più grande: di quel determinato evento, della realtà che sta vivendo, del momento storico che si sta attraver-sando, della propria esistenza”. L’augurio dell’arcivescovo, per le donne e gli uomini impegnati nel giornalismo, è quello di saper riconoscere ogni giorno le grandi responsabilità esercitate nella professione, di essere consapevoli del contributo che possono dare o negare alla vera realizzazione delle persone e del bene del Paese. Per questo occorre recuperare passione per la vita reale della gen-te, svegliare il Paese dal suo torpore e riuscire anche a mostrare il Paese che “ce la fa”, l’azione di quanti operano per uscire dalla crisi morale, sociale, economica, politica, la loro volontà, la loro passione, la forza, la generosità, la lungimiranza: atteggiamenti quotidiani ma che diventano straordinari in un momento in cui l’ordinario pare essere sempre più l’egoismo, l’avidità, le scorciatoie, la corruzione, l’immoralità…Questa realtà è “l’unica via che può spingere a quel sussulto collet-tivo capace di toglierci dalle secche in cui siamo arenati”.

L’ermetico ErrantePeriodico d’informazione contemporanea

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Numero 1 anno 1Giugno 2011

3,00 Euro

CHI CI GUADAGNA (" pro-capite)

– prima dell’ istituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio

Trasferimenti Imposte lasciate Saldosoppressi ai Comuniai Comuni(a) (b) (b-a)

1-EMILIA ROMAGNA 204 278 73

2-VENETO 182 234 52

3-LIGURIA 269 319 51

4-TOSCANA 222 263 41

5-LOMBARDIA 199 238 39

6-LAZIO 214 245 31

7-PIEMONTE 226 236 10

8-MARCHE 200 208 8

CHI CI RIMETTE (" pro-capite)

- prima dell’ istituzione del Fondo sperimentale di riequilibrio

Trasferimenti Imposte lasciate Saldosoppressi ai Comuniai Comuni(a) (b) (b-a)

9-ABRUZZO 197 173 -23

10-UMBRIA 225 190 -34

11-PUGLIA 209 159 -50

12-MOLISE 230 153 -77

13CALABRIA 258 126 -132

14-CAMPANIA 278 144 -134

15-BASILICATA 276 121 -155

«Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la

nostalgia per il mare vasto e infinito»(Antoine de Saint-Exupéry)

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Page 2: L'Ermetico Errante giugno 2011

2 Notizie del mese

Famiglie italiane in affanno: l’indebitamento medio sfiora ormai i 20.000 euro

A livello provinciale il record spetta a Roma, con 28.790 ". Negli ultimi 2 anni l’indebitamento medio delle famiglie italiane è aumentato del +28,7%.

Preoccupa la situazione al Sud: qui troviamo livelli record di sofferenze bancarie

Debito pubblico e privato insieme per valutare un PaeseChe il nuovo Patto di Stabilità in Europa tenga conto anche del debito privato dei cittadini, e non solo del debito pubblico: è la battaglia che il ministro dell’Econo-mia, Giulio Tremonti, da tempo sta promuovendo in Europa all’interno dell’Eco-fin, il Consiglio composto dei ministri dell’economia e delle finanze degli Stati membri dell’Unione Europea.In ottobre, dopo l’accordo per la revisione, il ministro aveva annunciato che “Nel nuovo Patto di stabilità ci sono formule flessibili, ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano. Questo Patto ridisegnato e ridelineato ci consente di recepire alcuni insegnamenti che sono venuti dalla crisi”.La conferma del consenso, da parte dell’Europa, per inserire il debito privato insie-me al debito pubblico nell’esame della situazione economica di un Paese, è arrivata anche dopo l’ultima riunione di Ecofin, il 15 febbraio 2011, durante la quale è stata raggiunta un’intesa sugli indicatori che saranno utilizzati per monitorare gli squi-libri macroeconomici globali. Tra essi sarà inserito anche il debito privato, cioè il valore di quanto i cittadini in media sono indebitati con banche e finanziarie.Si tratta di un’ottima notizia per il nostro paese, dove il debito privato è basso grazie alla elevata propensione al risparmio degli italiani, ma va anche ricorda-to che la tenden- za a considerare solo la finanza pubblica a scapito di quella pri-vata avrebbe portato anche nella direzio-ne di addossare tutte le colpe ai governi e le virtù alle ban- che e alla finanza, che invece nella crisi hanno avuto respon-sabilità considerevoli.“Abbiamo sempre detto” ha ricordato Tremonti “che è logico considerare che quando hai due tasche, se in una tasca hai il debito pubblico ma nell’altra hai il debito privato, non puoi guardare una tasca dello stesso vestito e non anche l’altra. Guardare solo al debito pubblico senza la finan-za privata oppure solo la finanza privata senza il debito pubblico, è un errore. Noi abbiamo un grande debito pubblico ma - ha concluso - abbiamo anche un minimo debito privato. La crisi non è tanto per il debito pubblico ma anche per la finanza privata, quindi quella è la posizione giusta”.Ora Tremonti auspica che questo principio possa essere inserito anche nel Patto di Stabilità.In proposito, Alessandro Barbera della Stampa rifletteva che “La questione non è meramente semantica: mai come negli incontri internazionali, dietro parole apparentemente aride si cela la sostanza. Infatti, se valutato con la stessa rilevanza a livello comunitario, quel concetto di «debito privato» sarebbe decisivo per difendere gli interessi dell’Italia nella battaglia sul nuovo Patto di stabilità. Fra i grandi Paesi, l’Italia è fra quelli a più alto indebitamento pubblico e a basso indebitamento privato. Il nuovo Patto, almeno nella versione che vorrebbe imporre l’asse franco-tedesco, punta a sanzionare anzitutto i Paesi ad alto debito, senza tenere conto che «all’origine della crisi ci sono le banche», il cui salvataggio, in molti casi, si è «scaricato sulle spalle dei bilanci pubblici»”.

Simona Cremonini

Sblocco addizionali: nel 2011 più tasse per 351 milioni di euro

Nel 2011, lo sblocco delle addiziona-li comunali Irpef costerà 351 milioni di euro ai contribuenti residenti in quei Comuni che potranno applica-re l’aumento dell’aliquota fino ad un massimo dello 0,2%. Quasi il 44% dei Sindaci italiani sarà nella condizione di applicare questa misura.L’incremento medio nazionale annuo delle tasse a carico dei contribuenti destinatari dello sblocco sarà pari a 40 euro, con una punta massima di 49 " in Lombardia. In termini dimensio-nali, come era prevedibile, saranno i Comuni con oltre 250.000 abitanti ad incassare di più: in queste realtà l’au-mento medio per contribuente sarà di 55 ".Sono questi i punti salienti emersi dall’analisi condotta dall’Ufficio studi della CGIA di Mestre che ha stimato gli effetti dello sblocco delle aliquote dell’addizionale comunale Irpef per il 2011.“Visto che gli 8 decreti delegati dovranno ottenere il via libera entro il prossimo 21 maggio - dichiara Giu-seppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre - c’è il pericolo che venga approvata una riforma sconclusiona-ta che partorisca, almeno nella pri-ma fase di applicazione, la possibilità di dare ai Sindaci la piena autonomia di agire sulla leva fiscale. Se avverrà così, il risultato che si presenterà sarà facilmente prevedibile: almeno in una prima fase, i cittadini rischieranno di vedersi aumentare il carico fiscale, con buona pace di chi ha sempre sostenu-to che il federalismo fiscale lo avrebbe ridotto. Un’ipotesi, viste le difficoltà di bilancio di moltissimi Comuni, che non è per niente da escludere: anzi, per altri versi è quasi certa. Tuttavia, è un rischio che dobbiamo correre. Infatti, solo il federalismo fiscale può consen-tire, nel medio periodo, una decisa contrazione della spesa pubblica con la conseguente riduzione delle imposte”.

Lo stupro e altre forme di vio-lenza sessuale contro le donne devono essere riconosciuti come

crimini in tutti i paesi dell’UE e portare alla persecuzione automatica, ha stabili-to il Parlamento Europeo in una risolu-zione che chiede nuove proposte legi-slative per combattere la violenza basata sul genere. In diversi Stati membri, lo stupro non è trattato come un reato di Stato. La protezione contro la violenza maschi-le garantita alle donne non è omoge-nea nell’Unione europea a causa della diversità di politiche e legislazioni nei vari Stati membri, secondo la risolu-zione elaborata da Eva-Britt Svensson (Svezia) e approvata per alzata di mano.

Il Parlamento sottolinea che tutti gli Stati membri dovrebbero riconosce-re come reati la violenza sessuale e lo stupro a danno di donne, in particola-re all’interno del matrimonio e di rela-zioni intime non ufficializzate e/o se commessi da paren-ti maschi. Gli Sta-ti membri dovrebbe-ro garantire che detti reati siano perseguiti d’ufficio. Le pratiche culturali, tradizionali o religiose come cir-costanze attenuanti in casi di violenza contro le donne, compresi i cosiddetti “delitti d’onore” e le mutilazioni geni-tali femminili, devono essere respinte.

Direttiva UE contro la violenza di genereLa risoluzione chiede inoltre una diret-tiva dell’Unione europea contro la vio-lenza basata sul genere. Nel documento si evidenzia che il 20-25% delle donne in Europa ha subito atti di violenza fisi-

ca almeno una volta nella loro vita adulta, e più di un decimo ha subito violenza sessuale che coinvol-ge l’uso della forza.Inoltre, il testo sot-tolinea che anche lo

“stalking” dovrebbe essere considera-to come una forma di violenza contro le donne ed essere oggetto di norme in tutti gli Stati membri.

La relatrice Svensson ha dichiarato: “Le donne sono vittime di violenza basata sul genere, ma dobbiamo smetterla di vederle come semplici vittime. Spesso si tratta di donne forti le quali, con un sostegno efficiente da parte della socie-tà, sono in grado di costruirsi una vita nuova e migliore per se stesse e per i loro figli. Mi rallegro che oggi il Parla-mento abbia deciso che la violenza con-tro le donne sia una priorità per l’Unio-ne europea e attendo con impazienza le proposte della Commissione per una strategia e un piano d’azione per com-battere tale violenza”. Prevenire lo sfruttamento, garantendo assi-stenza legale e aiutando le vittime.L’UE e i suoi Stati membri dovrebbe-

ro predisporre un quadro giuridico che accordi alle donne migranti il diritto di custodire personalmente il proprio pas-saporto e il proprio permesso di sog-giorno e che consenta loro di ritene-re penalmente responsabile chiunque s’impadronisca di tali documenti.Inoltre, i deputati chiedono standard minimi per assicurare che le vittime della violenza possano beneficiare del parere di un medico legale e dell’acces-so al patrocinio che consenta loro di far valere i propri diritti in tutta l’Unione. Infine, chiedono agli Stati membri di fornire una dimora sicura e strutture di assistenza ogni 10.000 abitanti per le vittime della violenza di genere.

Stupro e violenza diventino crimini per tuttiCosì si è pronunciato il Parlamento Europeo con una risoluzione

“Il Parlamento sottolinea che tutti gli Stati membri dovrebbero riconoscere come reati la violenza sessuale e lo stupro a danno di donne...”

L’indebitamento medio delle famiglie consumatrici italia-ne - generato dall’accensione

di mutui per l’acquisto della casa, dai prestiti per l’acquisto di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanzia-menti per la ristrutturazione di beni immobili, etc. - ha raggiunto, al 30 settembre del 2010, i 19.491 ". Rispet-to alla fine di settembre del 2008 (data di inizio della crisi finanziaria che ha colpito anche il nostro Paese), l’inde-bitamento medio nazionale è cresciuto del + 28,7%. A livello provinciale le “esposizioni” maggiori sono a carico delle famiglie della Provincia di Roma (28.790 "), seguite da quelle di Milano (28.243 ") e da quelle di Lodi (27.516 "). Al quarto posto troviamo Prato (26.294 "), di seguito Como (25.217 "), Vare-se (25.069 ") e, successivamente, tutte le altre.

Come interpretare questi dati?“Innanzitutto - esordisce Giuseppe Bortolussi segretario dell’Associa-zione Artigiani e Piccole Impre-se Mestre Cgia di Mestre che ha curato l’indagine - le province più

indebitate sono anche quelle che regi-strano i livel-li di reddito più elevati.

È chia-ro che tra queste famiglie vi sono molti nuclei appar-tenenti alle fasce sociali più deboli. Tuttavia, la forte esposizione bancaria di queste realtà, soprat-tutto a fronte di significati-vi investimenti avvenuti in questi ultimi anni nel settore immobi-liare, ci deve preoccupare rela-tivamente. Più allarmante, inve-ce, è il risultato che emerge dalla lettura dei dati riferiti all’inciden-za percentuale delle sofferenze sull’erogato. In questo caso notia-mo che nelle prime posizioni tro-

viamo tutte realtà territoriali del Mezzogiorno, a dimostrazione che la crisi ha colpito soprattutto le famiglie delle aree economica-mente più arretrate del Paese”.

Ritornando all’a-nalisi della CGIA, a vivere con minore ansia la preoccu-pazione di un debito da onorare agli istituti di cre-dito sono le

famiglie delle province delle 2

grandi isole: infatti, al quartultimo posto

troviamo Medio C am p i d a n o , con un indebi-tamento medio pari a 8.845 ", al

terzultimo Enna, con 8.833 ", al

penultimo Carbonia-

Iglesias, con 8.687 e, nell’ultimo gradi-no della classifica, troviamo la provincia di Ogliastra, con 7.035 ".

Il record della crescita del debito del-le famiglie avvenuta tra il 30 settem-bre 2008 (periodo di inizio della cri-si finanziaria) e il 30 settembre 2010, appartiene alla provincia di Grosseto, che in questi 2 anni è stata del +48,8%. Seguono Livorno, con un aumento del +47,5%, Asti, con +42,3 %, Foggia, con +41,7% ed Arezzo, con +41%. Infine, dalla CGIA segnalano che, al 30 settembre 2010, la maggiore incidenza percentuale delle sofferenze spetta alla provincia di Crotone, con il 5,9%. Vale a dire che in questo territorio, a fronte di 100 euro erogati alle famiglie croto-nesi, quasi 6 euro non sono stati resti-tuiti agli istituti di credito. Al secondo posto di questa particolare graduato-ria troviamo Caltanisetta (incidenza % delle sofferenze pari al 5,7) ed al terzo Enna e Benevento (entrambe con una % di insolvenza del 5,5). Il dato medio nazionale è pari al 3,5%.

L’Ermetico Errante

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Editore: Centro Studi Giovanile Ermes ‐ Mantova

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0%"(-%.,(1'2(3#-%.,(1'4))%,%56"#-%.,('('78$%&%.'#99.,#)(,6%/Via Grazioli 1046100 Mantova (MN)Tel. 345 4994337Fax: 0376382430Email: [email protected]

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“Nel nuovo Patto di stabilità ci sono formule flessibili,

ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano.”

Page 3: L'Ermetico Errante giugno 2011

3Notizie del mese

Una nuova divisione: mare profondo

I tempi sono sempre più veloci. Nel giro di vent’anni ci ritrovia-mo ad avere altri steccati, prima

si chiamavano “cortina di ferro” e con la Cina “cortina di bambù” ora potremmo chiamarla “cortina mare profondo”.I nuovi paesi di frontiera sono cam-biati ad eccezione dell’Italia, noi siamo sulla linea di confronto (con Spagna, Portogallo, Grecia) tra nord e sud, tra paesi emergenti dalle dit-tature, tra paesi di diverse religioni, con profondi germi fondamentalisti. Per molti anni la divisione sarà net-ta ed insidiosa, essa dividerà i paesi che stanno alle nostre spalle, dai paesi che stanno aldilà del mare. Il fattore petrolio, con l’aggiunta per l’Africa Centrale di altre materie prime pre-ziose per le nostre economie, sarà la chiave di lettura di ogni futura azione politica.La distinzione, nel ventesimo secolo, era geopolitica ora è geoeconomica, infatti la divisione non è più ideologi-ca, ma economico-religiosa. Un fatto nuovo stravolge le metodolo-gie di prima, i nuovi mezzi di comu-nicazione via internet, che possono raggiungere, in tempo reale, anche le tende nel deserto, pur senza elettrici-tà. Da lì si evidenzia velocemente la difformità sociale ed economica, con conseguente presa di coscienza delle libertà politiche ma soprattutto eco-nomico sociali.Le risposte politiche nell’attuale crisi sono purtroppo arrivate lente, rispet-to alla velocità degli avvenimenti,. Il tutto ci ricorda un precedente: la Società delle Nazioni che rimase bloccata e reagì troppo tardi rispetto all’avanzata del nazismo in Europa. Lo stesso vale anche per la titubanza di alcuni paesi dovuta, non al pro-blema umanitario e morale che porta con sé la guerra, ma alla ricaduta sulla

propria economia. L’incertezza ini-ziale dell’Italia non era legata all’acco-glienza di Berlusconi a Gheddafi ma alle concessioni petrolifere dell’Eni. Emblematica la posizione della Lega, che credo più rivolta al suo retroter-ra composto da soggetti economico-industriali del nord che ad una politi-ca nazionale ed internazionale. Allo stesso modo si comporta la Ger-mania per paura di pestare troppo i piedi con chi si pensa di fare ancora affari. La Francia spinge per l’attacco, la Germania frena e non partecipa al voto. L’Inghilterra spinge e partecipa attiva-mente per essere nel gioco degli inte-ressi economici delle super potenze. La prima vuol partecipare alle conces-sioni petrolifere che non ha in Libia, oltre al fatto che Sarkozy ha bisogno di recuperare la sua posizione dopo la caduta dei consensi per non essersi impegnato a fondo con la Tunisia e riaffermare la grandezza della Fran-cia; la Germania che opera già in Libia, in vari settori, in un ottica di potenza economica non vuole inimi-carsi la dirigenza libica per essere il garante per il prossimo futuro. L’Inghilterra per non essere esclusa dalla scena internazionale. Così cre-do, e penso di non sbagliarmi, che la scelta del PD (partito di lungo cor-so politico) di appoggiare l’Onu e la Nato, quindi l’azione del governo, sia per una visione nazionale del ruolo che l’Italia deve avere nel mondo, che per recuperare un’immagine e ruolo politico sui grandi temi nazionali.Esistevano paesi cuscinetto-neutrali, come l’Austria e la Svizzera, ora esi-ste solo la Svizzera, però avevano in comune, con noi, profonde radici cri-stiane, oltre ad un modello economi-co liberista. Ora vi è la Turchia che ha sempre avuto una doppia visione religiosa e quindi politica, anche se proiettata verso l’Europa. C’è anche la Siria, paese più vicino politicamente agli stati islamici-rigidi che all’Occidente. Gli Stati Uniti sono ideologicamente con l’Europa ma interfacciano pro-

blemi economici che annebbiano la visione dei rapporti politici ed ideo-logici. Noi non siamo solo una delle coste preferite dai profughi ma anche la terra più vicina all’altra sponda.Come allora siamo molto importan-ti per l’Occidente, Stati Uniti com-presi, (anche se ora sono po’ strabici verso l’Europa e quindi verso di noi) in quanto ubicazione geografica stra-tegica, ponte naturale verso il sud, ma anche più esposti ad ogni evenienza negativa. Dobbiamo cercare di sal-vaguardare e difendere la voglia di libertà e di autodeterminazione dei popoli che si affacciano al benessere occidentale avendo presente sempre gli interessi del nostro paese. Questa è la nuova sfida che abbiamo davanti. Esiste una sola via, finito il frastuono delle armi, quella politico-diplomati-ca (politica estera) che sappia, cono-scendo i mondi interessati, muoversi con intelligenza ed abilità, in una parola meno burocrazia e più cogni-zione del mondo che si ha di fronte. La consapevolezza, da parte dei ser-vizi segreti, è di saper leggere le real-tà con nuove lenti, con una visione geo-sociale e economica. Gli interlo-cutori non sono solo occidentali ma soprattutto i paesi emergenti ed arabi. Occorre più intuitività nel capire ed affrontare i problemi attraverso una politica estera ferma e duttile, risve-gliando l’Europa ad agire in modo unitario. Certo, ci vuole tempo a for-marla, ed attuarla. Ma bisogna farlo subito. Ora, comunque sia, usciremo più deboli per non esserci preparati ai cambiamenti che giorno per giorno ci siamo trovati di fronte. Purtrop-po, anche noi Italiani, negli scorsi abbiamo bruciato uomini e quindi idee, tutto sull’onda del cambiamento post-cortina di ferro. Cambiamento voluto dagli italiani, ma sostenuti, si dice, anche da “poteri forti” esteri.

Paolo CacciaGià deputato al Parlamento

ROMA, (ZENIT.org). “Un cammino che conti-nua”: è questo non solo il titolo ma anche il senso del Documento conclusivo della 46ma Settimana sociale dei cattolici italiani di Reggio Calabria pre-sentato a Roma alla stampa.

Obiettivo del documento, infatti, ha spiegato mons. Arrigo Miglio, vesco-vo di Ivrea e presidente del Comitato scientifico ed organizzatore delle Set-timane sociali è “allargare ulterior-mente la riflessione compiuta a Reggio Calabria, così come nel cammino pre-paratorio, sull’impegno concreto della Chiesa per il bene comune”.Il coinvolgimento di centinaia di dele-gati delle diocesi italiane e di associa-zioni e movimenti laicali rappresenta allora non solo “un elemento caratte-rizzante l’assise di Reggio Calabria” ma anche “un metodo di discerni-mento comunitario affidato alle chiese locali perché facciano altrettanto”.“Su questa strada – ha concorda-to Edoardo Patriarca, consigliere del Cnel e segretario del Comitato scien-tifico e organizzatore delle Settima-ne sociali – si stanno già muovendo numerose diocesi ed associazioni che stanno avviando esperienze di ‘labora-tori per il bene comune’”.“È emerso con grande convinzione – ha affermato Patriarca rispondendo a una domanda di ZENIT su quali siano oggi alcuni degli orientamenti condi-

visi dai cattolici italiani – il desiderio di tornare a fare politica”. Non “un popolo di Dio riottoso e titubante”, ha assicurato Patriarca, ha accolto l’invito di Benedetto XVI per una nuova generazione di politici cattolici ma, al contrario, “un laicato che esprime una convinzione davve-ro condivisa a recuperare la vocazione alla politica”, e capace di “uscire dalla paura di scelte plurali”.Grande concordanza c’è, in merito all’educare – uno dei 5 ambiti di rifles-sione dei lavori di Reggio Calabria - sull’attenzione da dare al “mondo degli adulti e al sostegno della funzio-ne educante di genitori e docenti”.Un’altra idea largamente condivisa dai cattolici presenti alla Settimana sociale dello scorso ottobre è che “il Paese per tornare a crescere deve investire sulla vocazione imprenditoriale”. Superata una certa visione degli scorsi decenni che “identificava nell’impresa un luogo di diseguaglianze” va invece accolta “la lezione della Caritas in veri-tate che vede nell’impresa un soggetto del bene comune”. Senza dimenticare, infatti “le ragioni del lavoro, va sotto-lineato che il lavoro stesso si difende inventandolo e costruendolo insieme”.Va, infine sottolineata, la questione dell’immigrazione. “A Reggio Cala-bria – ha affermato Patriarca – sono

emerse entrambe le linee dell’acco-glienza e del ‘realismo’ che chiede di predisporre delle condizioni per la stessa accoglienza, ma c’è concordanza sull’idea del riconoscimento dei diritti di cittadinanza”. In merito è emersa “una grande matu-rità e consapevolezza che farà bene al Paese”.Trasversale a tutte le questioni è, secondo Patriarca, “la rilevanza della questione antropologica intesa come premura prioritaria verso la persona e la famiglia”.“Il testo conclusivo della Settima-na sociale – ha sottolineato Franco Pasquali, segretario generale di Col-diretti e membro del Comitato scien-tifico e organizzatore – è un docu-mento di prospettiva che non intende rispondere, anche per il suo articolato iter preparatorio, a delle contingenze immediate ma offrire delle chiavi di lettura della realtà del nostro Paese”. Fondamentale, in questa prospettiva è “la sottolineatura del concetto di bene comune affidato non solo ai soggetti istituzionali ma a tutti i soggetti della società civile per una rinnovata parte-cipazione alla vita dei territori nei qua-li vivono”.

di Chiara Santomiero

I cattolici vogliono tornare a fare politicaPresentato il Documento conclusivo della Settimana sociale di Reggio Calabria

MADE IN MANTUA: NASCE IL NUOVO MARCHIO DELLA MODA ARTIGIANA

Un’idea di Federmoda Cna per promuovere le eccellenze di MantovaUn sito e un catalogo nuovi di zecca per promuovere un marchio altrettanto innovativo: “madeinmatua - La moda artigiana a Mantova”. Il progetto, presentato a Palazzo di Bagno, è promosso dall’Assessorato alle Attività Produttive della Provincia di Mantova con la Confederazione Nazionale Artigianato. La Provincia di Mantova ha sostenuto fin dall’inizio con grande entusiasmo e convinzione l’idea di Federmoda - CNA che punta a promuovere nei mercati globalizzati un gruppo di imprese di nicchia del settore tessile che producono in conto proprio abbigliamento di alta gamma e su misura. La forte attenzione ai temi dello sviluppo economico locale e all¹elaborazione di precise linee di intervento per quanto riguarda il sostegno alle imprese e ai loro processi di innovazione e internazionalizzazione è una caratteristica che contraddistingue da sempre l¹azione della Provincia di Mantova e della CNA.Da qui la nascita del catalogo delle aziende artigiane mantovane che producono abbigliamento in conto proprio: la pubblicazione, del tutto nuova e la prima nel suo genere per Mantova, rappresenta uno strumento importante per il consumatore, diventato molto esigente e che potrà quindi essere informato sulle piccole realtà, spesso ottime manifatture che operano sul territorio locale. Il marketing delle quattro P (Product - Price - Place - Promotion) non è più sufficiente per stimolare la curiosità dei consumatori e invogliarli all’acquisto. Passato il tempo della concorrenza infinita, le aziende cercano di imporsi sul mercato attraverso alleanze strategiche, in grado di stupire ed emozionare i consumatori. Si tratta del cosiddetto marketing associativo o collettivo in cui Federmoda CNA, assieme alla Provincia di Mantova, credono fortemente: promuovendo tutte insieme le aziende del tessile Made in Mantova, infatti è possibile abbattere i costi e pubblicizzare l’intero comparto.

Si può andare alla scoperta delle aziende interessate anche on line sul sito www.madeinmantua.it.

ROMA, (ZENIT.org).- Pubblichiamo di segui-to l’editoriale di Claudio Gentili apparso su “La Società”, la rivista di studi e documentazione del-la Fondazione Toniolo sulla Dottrina sociale della Chiesa.

L’Italia, di cui abbiamo celebrato il 17 marzo i 150 anni dall’Unità, è oggi un paese profondamente

diviso. Due narrazioni si contendono gli italiani. Molti pensano che il ventennio berlusconiano volga ormai alla sua con-clusione fisiologica. Vi è una parte che ritiene che il premier vada mandato a casa con ogni mezzo. E se sono insuf-ficienti i mezzi democratici del voto popolare possono essere utili anche al-tri mezzi, compreso il naturale decor-so dei numerosi processi che la magi-stratura sta conducendo a suo carico. Vi è un’altra parte che ritiene che nel 1994 si sia consumato in Italia un gol-pe mediatico-giudiziario che ha deca-pitato l’intero sistema politico italiano, fatta eccezione per gli eredi del Partito Comunista, che oggi rischiano di tra-sformarsi negli eredi del giustizialismo e sono inadatti a governare l’Italia. Le simpatie di molti cattolici si riconosco-no in queste due narrazioni, con mol-te sfumature. Ma queste due narrazio-ni sono entrambe inadeguate per deficit di analisi antropologica e tengono poco conto della realtà del nostro Paese. Se si esce dal furore degli scontri ideologi-ci e dal clima moralistico a cui giornali come Repubblica (o come i suoi imita-tori dell’altra sponda) ci spingono quo-tidianamente, ci si accorge che l’Italia non è solo un paese diviso ma è anche un paese fermo. Anzi, un paese bloccato.Assomigliamo a una barca che da vent’anni è bloccata in rada. Si litiga e quindi si ha l’impressione di muoversi. Ma si sta sempre fermi. Il Pil è fermo. La produttività è in calo. Le riforme non si riescono a fare. E quelle che si fanno trovano resistenza a essere applicate. Le performance degli studenti e la qualità della scuola non danno segni di signi-ficativo miglioramento. Le infrastruttu-re e i lavori pubblici sono caratterizzate da endemica lentezza di messa in ope-ra. Non solo aspettiamo da vent’anni il raddoppio della Salerno-Reggio Cala-bria ma non riusciamo neppure a fare la pedemontana nel Nord efficiente e produttivo. Il nostro debito pubblico non cala. E quindi non possiamo ab-bassare il carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese. Ben 2 milioni di giovani non studiano e non lavorano. La disoc-cupazione giovanile ha raggiunto cifre record ma le imprese non trovano ben 110mila tecnici e se si cercano artigia-ni spesso si trovano solo extracomuni-tari disponibili. L’età’ media di ingres-so al lavoro dei nostri figli è di 6 anni più elevata della media europea (da noi si comincia a 28 anni, in Europa a 22). L’età media dei membri dei CdA del-le banche è di 15 anni più elevata della media OCSE. Da noi gli over-65 hanno ormai superato gli under-15. Assistiamo a una vera e propria “emergenza edu-cativa” che ha spinto la CEI ha dedica-re alla sfida dell’educazione il program-ma pastorale del prossimo decennio. La fisiologia dialettica politica è diventata scontro tra istituzioni. Lo spirito civile si va indebolendo (l’età media di chi fa volontariato si è alzata in modo espo-nenziale). Le virtù pubbliche sono ne-glette. Domina una visione clientelare dei rapporti sociali e politici. Un con-tinuo mercanteggiamento ha indeboli-to l’etica pubblica e anche molti parla-mentari sono ormai (come al tempo del trasformismo giolittiano) pronti a con-tinui passaggi di campo.

Il bipolarismo selvaggio ha accentuato la personalizzazione della vita pubbli-ca, segnata da una crescente esposizione televisiva, da una concentrazione della politica nei talk-show e da un allonta-namento dalla vita reale dei territori, salvo la discussa ma reale eccezione del-la Lega, forse l’unico partito organizza-to rimasto nel Paese. Il federalismo va avanti con continui stop and go. Pre-vale (con un forte valore antieducati-vo per i nostri figli) la logica del “così fan tutti”. Viene sempre più trascurata la dimensione della formazione morale e della autonomia morale della persona. C’è stato - diciamolo senza timori re-verenziali verso il pensiero unico relati-vista dominante - un deficit di dottrina sociale. I principi basici che la fonda-no (il principio-persona, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune) sono quotidianamente disattesi nella pratica. Tutta colpa di Berlusconi? Basta manda-re a casa il premier per far ripartire l’I-talia? Sarebbe troppo semplice. Questo deficit di dottrina sociale ha riguardato sia chi ci ha governato che chi ha fatto in questi anni opposizione. Non tutto è ascrivibile insomma ai comportamenti di chi ignora che ogni funzione pubbli-ca necessita di una rigorosa vita privata. Per troppo tempo si sono intesi i richia-mi etici come privi di efficacia. Dietro questa concezione si cela la convinzio-ne che l’attività dell’uomo non è deter-minata in ultima analisi dalla sua libertà morale ma da leggi di natura economica e sociale. Perché il pensiero progressista (a cui tanto sta a cuore la dignità delle persone) è stato così miope da svalutare per anni il valore pedagogico della mo-rale sessuale? Perché il pensiero conser-vatore si è trasformato radicalmente in cultura dell’audience, in acquiescenza totale ai dogmi dell’apparire e alla in-sostenibile leggerezza dell’essere? Come hanno fatto i maitre à penser del cam-biamento sociale a trascurare per anni la necessità di un’etica privata dopo esse-re diventati i paladini dell’etica pubbli-ca? Tutti ci ricordiamo l’epoca di “Porci con le ali” e dell’opzione libertina del-la sinistra sessantottina e il disprezzo per gli immigrati della destra. Pochi inve-ce ricordano che negli anni Cinquanta, quando l’ethos di Peppone e Don Ca-millo affondava le sue radici nell’humus cristiano che ha edificato l’Europa e fondato le teorie dei diritti umani, En-rico Berlinguer indicava come model-lo alle ragazze del FGCI Maria Goretti e non per un sussulto di devozionismo cattolico, ma “contro l’uso consumistico della sessualità tipico dell’ideologia bor-ghese e il conseguente mancato rispetto della dignità della donna”. Oggi è meno credibile per i suoi ere-di dell’ opposizione imbarcarsi (dal caso Noemi al caso Ruby) in continue bat-taglie sulla morale dopo aver esaltato l’indifferentismo morale di chi ripete che ognuno sotto le lenzuola fa quello che vuole, compreso Roman Polansky. Un’opposizione che ha fatto dopo il 1994 della morale la sua più usata arma di battaglia politica, avrebbe dovuto ac-corgersi molto tempo prima, che la li-bertà si trasformava in licenza, e la so-cietà aperta in casa chiusa. Per il bene della democrazia italiana la destra faccia i conti fino in fondo con i residui di razzismo che albergano nelle sue fila, e la sinistra faccia i conti con la propria impotenza politica e con la propria ipo-crisia morale. L’enorme potere che in questi vent’anni Berlusconi ha esercitato sugli italiani è stato un potere ipnotico. Essendo lui l’espressione, nel bene e nel male, di più di una metà dell’inconscio

degli italiani ha fatto perdere la testa sia a chi lo vuole che a chi lo rifiuta. Chi vota per il centro-de stra non è cieco di fronte ai difetti di Berlusconi. E chi non lo vota in molti casi non si lascia andare all’odio e al rancore ma cerca di conti-nuare a pensare. Il silenzio pensoso di molti cattolici di fronte a queste vicen-de (lo ha spiegato molto bene De Rita in un coraggioso editoriale sul Corrie-re) non è il segno di una fuga dalle re-sponsabilità ma esprime l’esigenza di ricominciare a ragionare politicamente fuori dai fanatismi, ascoltando i richia-mi delle alte indicazioni del Capo dello Stato. Essere miti in politica, ragionare senza insultare, sembra talora il pragma-tismo degli imbelli. Il grido che reclama la pulizia morale (gonfio di risentimen-to) ha spesso la vibrazione del morali-smo. Ma perché chi parla di morale cade nel moralismo? Perché si è smarrito il rap-porto con Dio e non si coltiva la vita spirituale. Al contrario di quanto aveva profetizzato Feuerbach, il primo servi-zio che la fede fa alla politica è la libera-zione dai miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo. La morale po-litica consiste nel resistere alla seduzione dei grandi proclami. E al tempo stesso apprestarsi, sulle orme di chi ha scritto il Codice di Camaldoli, a preparare una Italia nuova, come chi porta avanti nei territori l’Agenda Sociale dopo la Set-timana di Reggio Calabria o partecipa ai Gruppi della DSC. I cattolici possono farsi strumento di una più solida unità del Paese e far ritrovare anche a chi non condivide i principi della dottrina so-ciale, i fondamenti di una politica dav-vero rispettosa della dignità della per-sona. Alexis de Tocqueville ha sostenuto nella sua penetrante analisi della nasci-ta della democrazia in America, che la democrazia si fonda assai più sull’ethos che sulle istituzioni. La libertà, ignota al mondo animale, che ci costituisce come persone, poggia su una relazione con la verità. Al fondo della questione morale troviamo dunque la relazione delle per-sone alla verità. La capacità di autenti-care un ethos, che nella nostra cultura è indubitabilmente fondato sulla espe-rienza cristiana del popolo italiano, è fonte di autonomia morale ed è la via d’uscita dal nichilismo di chi dice che non ci sono più valori. Al fondo dello scetticismo etico che ha attraversato il XX secolo noi troviamo una dissociazione tanto radicale quan-to ingiustificata tra i valori, la vita au-tentica e la ragione. Una dissociazione che affonda le sue radici nella pace di Westfalia, nella laicité, nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese ma soprat-tutto nel pensiero di quel gigante del-la filosofia che è stato Immanuel Kant. Da quell’epoca esercizio della ragione e esperienza del valore si guardano in cagnesco, generando scetticismo. E la riconciliazione di verità e ragione, di ragione ed etica, con una fede ragio-nevole e con una ragione non chiusa al trascendente, è il leit motiv della ri-cerca filosofica e poi del magistero di Ratzinger. L’invito di Papa Benedetto al mondo laico a vivere come se Dio ci fosse (rovesciando il paradigma di Gro-zio) va preso in seria considerazione da tutti, ma soprattutto da chi negli ultimi anni ha, sia pur tardivamente, scoperto l’importanza dei valori morali. Questo ci aiuta ad abbandonare i fanatismi e a ricominciare a pensare politicamente. Sapendo che il moralismo è una delle tante varianti del fanatismo e spesso ha poco a che fare con la moralità.

Dottrina sociale cattolica e moralismo politico

Massimo Salvarani - direttore CNA Mantova

Page 4: L'Ermetico Errante giugno 2011

4 Cultura politica

Davanti agli sbarchi continui di centi-naia e centinaia di migrantes dalle co-ste nordafricane, su barconi stracolmi di donne, bambini e uomini di ogni raz-za ed età, e all’impatto non più soppor-tabile dalla nobile e generosa gente di Lampedusa, non possiamo più far finta di niente.L’esodo biblico conseguente a quanto sta accadendo con la guerra in Libia e il ribollire dell’intera area della costa sud del Mediterraneo non può essere sop-portato dalla sola Sicilia.Certo, esistono precise responsabilità e doveri dell’Unione europea nella quale è ora di denunciare l’ottusa politica op-portunistica dei francesi, sempre pronti a innalzare la bandiera della difesa dei diritti umani, quanto impegnati soprat-tutto nella difesa dei loro interessi e alla mercé di un Presidente che cerca di re-cuperare consenso, dopo la fallimenta-re politica in Tunisia, con l’evocazione dell’antica grandeur.In attesa che si chiariscano responsabi-lità e impegni in sede europea, compito fondamentale del nostro governo, non possiamo che condividere quanto sin qui è stato posto in essere dai nostri mi-nistri dell’interno, Maroni e della difesa, La Russa.Non possiamo invece che condannare

le politiche di chiusura egoistica messe in campo da molte, troppe regioni, sen-za distinzione di colore politico.È l’ora di far scattare la solidarietà di tutta l’Italia e di favorire politiche di generosa disponibilità all’accoglienza di questi disgraziati.Una terra come quella veneta che, alla pari e, in molti casi, in misura assai mag-giore di altre regioni, ha conosciuto il fenomeno dell’emigrazione con cui il Veneto ha saputo fecondare molte parti del mondo, non può sottrarsi a questo dovere.Lo diciamo forte e chiaro al nostro go-vernatore Luca Zaia, convinti che anche gli amici della Lega, in coerenza con le politiche coraggiose del ministro Maro-ni, non si sottrarranno a questo elemen-tare dovere di solidarietà.Certo ci sarà il tempo di distinguere tra profughi e clandestini e di porre in esse-re ogni misura per facilitare il giusto tra-sferimento dei preventivati trecentomila arrivi nel resto d’Europa. Intanto, però, prepariamoci anche noi a fare la nostra parte. È un dovere morale cui non pos-siamo e vogliamo sottrarci.

Ettore Bonalberti - Presidente di ALEF ( Associazione Liberi e Forti)

Venezia, 28 marzo 2011

A più di cinquant’anni dalla sua scomparsa, Luigi Sturzo rie-sce ancora a suscitare in noi un

sentimento di stupore misto ad un gran-de senso di ammirazione. Nel suo stile conciso, nell’impegno che dedicò a tut-te le battaglie che lo accompagnarono in vita e che perpetuano il suo ricordo di portatore di libertà nel tempo affiora il ricordo di un grande personaggio sto-rico. Nei tempi in cui Sturzo intrapre-se il proprio cammino politico sociale l’Italia era un paese in piena mutazione sotto il profilo sociale. I grandi processi di unificazione che avrebbero portato lo stato Italiano a potersi dire unico e indi-visibile erano accompagnati da un pro-fondo silenzio della Santa Sede in mate-ria politico-sociale. Il 30 giugno 1886 la Penitenzieria Romana rivolse ai vescovi italiani la seguente nota sul fatto che essi si recassero a votare per le elezioni po-litiche: “Attentis omnibus circumstan-tiis, non expedit”. Dal non conviene considerare tutte le circostanze, il non expedit divenne un vero e proprio di-vieto con un decre-to del Santo Uffizio che il 30 giugno 1886 sancì che: “non expedit prohibitionem importat”.Tuttavia questo clima di chiusura da parte del mondo clericale nei confron-ti dell’operato sociale e politico non ri-guardava l’intero ambiente ecclesiasti-co. Il 15 maggio 1891 Papa Leone XIII pubblicò la famosa enciclica Rerum Novarum. Papa Pecci era ormai anziano ma il messaggio racchiuso tra le pagi-ne della sua enciclica denotava una sor-prendente lungimiranza. Nel decennio che seguì la pubblicazione della Rerum Novarum il pensiero del Papa e le sue posizioni furono tali da sostenere con autorevolezza gli orientamenti dei più giovani contro le resistenze degli am-bienti cattolici intransigenti.Come Sturzo stesso ricordava, la spinta all’azione, la legittimazione in un certo senso, perché anche un sacerdote potes-se occuparsi di questioni sociali, venne dalla pubblicazione della lettera encicli-ca Rerum Novarum.

L’enciclica leonina fu il vero punto di partenza di quel sentiero segnato da im-pegno e determinazione che portò il 18 gennaio 1919 dalla stanza dell’albergo Santa Chiara all’appello ai liberi e forti.La dichiarazione del 18 gennaio 1919 costituì un’importante assunzione di re-sponsabilità da parte di tutti coloro che “in questa grave ora sentono alto il do-vere di cooperare ai fini superiori della patria, senza pregiudizi né preconcetti.” L’appello ai liberi e forti era seguito da un programma stilato in dodici pun-ti che costituivano efficaci risposte ai quesiti e alle problematiche di uno stato bisognoso di un grande processo mo-dernizzatore sotto il profilo economi-co, amministrativo, ma anche in merito politico. Le scelte giolittiane, totalmente incapaci di fare fronte alle problemati-che di una nazione in grande fermen-to, risultavano quanto mai inadeguate e obsolete. Il progetto di Sturzo che aveva visto nella nascita del PPI un passo de-

cisivo avrebbe co-nosciuto un forte sviluppo collezio-nando importan-ti successi. Si pen-si per esempio alla nascita dei sindacati

bianchi, alla risoluzione delle problema-tiche legate all’agricoltura con il lodo Bianchi, alla riforma elettorale indiriz-zata verso il sistema proporzionale che limitò fortemente i clientelismi pre-senti nel vecchio sistema maggioritario. Purtroppo il grande lavoro dei popola-ri venne interrotto dall’avvento del fa-scismo, contro la cui violenza ben poco poté fare in una situazione così com-promessa il neonato PPI.Ai giorni nostri l’appello ai liberi e for-ti e i conseguenti dodici punti del pro-gramma popolare potrebbero apparire come semplice materia storica. Ci tro-viamo di fronte a tematiche di gran-de attualità. In un mondo in cui l’av-vento della globalizzazione rischia di obnubilare i fondamenti culturali dei popoli Sturzo avrebbe probabilmente indirizzato il suo appello a tutti coloro che nel pieno rifiuto di un’ottica pret-tamente faziosa e nichilista assumessero come punto di partenza la consapevo-

lezza del contesto sociale e culturale in cui ogni progetto politico può inserirsi. Si sarebbe probabilmente rivolto a tutti coloro che all’insegna di un vero plura-lismo avrebbero valutato il mondo nella sua interezza e complessità rifiutando il dogmatismo degli urlatori di piazza. Si sarebbe rivolto a tutti coloro che rifiu-tano l’idea di una negazione delle pro-fonde radici cristiane e cattoliche che da sempre contraddistinguono il nostro paese.Anche il programma in dodici punti presentato dal PPI, se opportunamen-te rivisto in base ai tempi in cui vivia-mo, conserva un forte carattere attua-le. Si pensi per esempio al punto primo: “Integrità della famiglia”, “protezione dell’infanzia”, “ricerca della paternità”. Se è vero che nel nostro paese si riscon-tra una prevalenza di imprese a gestione famigliare risulta evidente l’importanza della famiglia sia come organo sociale che economico. Determinante risulta quindi l’impegno a tutelare la famiglia come organismo vitale e fondamenta-le, come ricorda nella lettera enciclica Caritas in veritate Papa Benedetto XVI: “Diventa cosi una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza del-la famiglia e del matrimonio, la rispon-denza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità del-la persona. In questa prospettiva gli Sta-ti sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integralità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vi-tale cellula della società, facendosi cari-co anche dei suoi problemi economici e fiscali, nel rispetto della sua natura re-lazionale”.Il secondo punto, recante: “Libertà di insegnamento in ogni grado”, Riforma e cultura popolare, diffusione dell’istru-zione professionale” potrebbe essere tra-dotto in un’opera, in parte già intrapresa dall’attuale governo, di riforma dell’uni-versità e della ricerca quale cuore pul-sante dell’innovazione e dello sviluppo. Nel terzo e quarto punto risulta effi-cace l’osservazione che il Santo Padre nella sua lettera enciclica rivolge in ma-teria di tutela del lavoro: “L’estromissio-

ne dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti conseguenze sul piano psicologico e spirituale”.Se nel 1919 le necessità primarie per il paese dal punto di vista energetico coin-cidevano con la creazione di impianti di produzione e di distribuzione dell’ener-gia, oggi si potrebbe adattare il quinto punto del programma popolare rivol-gendo particolare attenzione allo svi-luppo di fonti energetiche ecosostenibi-li utilizzando le fonti rinnovabili che ci sono messe a disposizione. Il punto sesto e nono ci fanno riflettere su una pro-blematica alla quale l’attuale governo ha contribuito a dare soluzione. La “li-bertà ed autonomia degli enti pubblici locali” costituiva la carthago delenda est del programma popolare. Oggi si potrebbe chiamare federalismo. L’auto-nomia degli enti pubblici locali, come le regioni, rappresenta il punto di parten-za per un progetto di tutela e valorizza-zione delle arti, dei mestieri e della ric-chezza culturale locale, risorse che in un

paese fortemente eterogeneo come il nostro mutano di regione in regione. Il federalismo può inoltre contribuire alla creazione di competitività tra le azien-de locali, in particolare tra le imprese di gestione del territorio, contribuendo al miglioramento del servizio offerto.Il punto settimo imposta come tema fondamentale il tema della beneficen-za e dell’assistenza. Le profonde radi-ci cattoliche che contraddistinguono la nostra gente assumono come criterio di base lo sviluppo dell’uomo nella sua piena integrità. La dottrina sociale del-la chiesa, per mezzo del testo Caritas in veritate, suggerisce un’implicazione del termine etica in campo economico nel pieno rispetto dello stesso. L’impegno pertanto a una maggiore distribuzione della ricchezza risulta determinante al fine di scongiurare l’incremento del fe-nomeno dei “nuovi poveri”.L’ottavo punto assume un particolare significato alla luce degli ultimi eventi: ‘Libertà e sviluppo della coscienza cri-stiana, considerata come fondamento e presidio della vita della nazione e delle libertà popolari”. Pur assumendo come basilare il carat-tere laico delle istituzioni credo che sa-rebbe deleterio trasformare il laicismo in un perenne vuoto spirituale all’inse-gna del politically correct. La chiesa e la sua dottrina sociale hanno a cuore il bene e lo sviluppo dell’uomo nella sua integrità. Il caso della senten-za della corte europea dei diritti uma-ni suscita perplessità unita a un senso di amarezza. La giustificazione secondo

la quale il crocefis-so minerebbe la li-bertà di un genito-re di educare i figli in base alle proprie convinzioni non può essere sostenu-ta: l’educazione di un bambino deve essere finalizzata

necessariamente a un corretto svilup-po della persona nel contesto culturale in cui l’individuo è posto. L’educazione di un figlio in un paese cristiano deve assumere come principio fondamentale il rispetto di quelle radici culturali che

affondano nelle stesse origini religiose del paese. A prescindere dalle scelte spi-rituali in cui l’individuo è sovrano non devono venire meno le condizioni per una rispettosa convivenza. Le istituzioni da sole non bastano a garantire lo svi-luppo dei popoli e delle nazioni, occor-re non dimenticare le proprie radici, e basare i propri progetti su una profonda conoscenza del contesto culturale in cui andranno a inserirsi memori dell’antico detto: ‘siamo come nani sulle spalle dei giganti’.Un importante punto che non è com-preso nel programma popolare è la ne-cessità di integrare coloro che entrano a fare parte della nostra realtà cultura-le. Come osservato da Papa Benedetto XVI, bisogna prestare particolare atten-zione a non confondere l’integrazione con un eclettismo culturale. L’avvicina-mento di due o più realtà culturali senza un vero scambio di idee rischia di accu-mulare tensioni destinate a manifestarsi in episodi di cui ogni tanto ci rendiamo testimoni.Nella piena consapevolezza che un nuo-vo appello ai liberi e forti sia oggi non solo possibile ma necessario mi preme ricordare un aspetto che Sturzo tendeva a sottolineare spesso.Pretendere che un’associazione o un partito sia formato esclusivamente da personalità equivalenti sarebbe negare la stessa natura di essere umano. Senza sco-modare Eraclito e la sua perenne lotta tra i contrari si potrebbe dire che le cor-renti, di pensiero o di opinione, garanti-scono una certa criticità nello sviluppo di idee e di progetti. Stabiliscono inoltre una delle caratteristiche fondamentali del dibattito: il confronto, la discussione. Solo dal dialogo possono scaturire de-cisioni ampiamente condivisibili. Que-sto è il motivo principale per il quale Sturzo legittimava le correnti, purché si dimostrassero unite nel momento finale nel proclamare i propri ideali cattolici e popolari.

Matteo Fazzi

Dieci punti che si ricongiungono alla Caritas in veritate

L'appello di Don Sturzo ai liberi e forti resta oggi di grande attualità

È l’ora della solidarietà

Sì, c’è una grande confusione sotto il sole: siamo nel mezzo dell’età della crisi e della incer-

tezza. Perché il sistema capitalistico, in pro-fonda convulsione, stenta a ridefini-re delle regole per il mercato dopo il fallimento del fondamentalismo mer-catista; è lacerato nel costruire una indispensabile governance globale; è riluttante a muoversi lungo strategie di vasto respiro; è tentennante nel ri-fondare un’etica basata sugli interes-si planetari e sulla coesione sociale; quindi, continua a generare sussulti, incertezze, disoccupazione, aumento delle materie prime, focolai di tensio-ni sociali. Perché il mondo arabo è una polverie-ra dalle Colonne d’Ercole fino al fiu-me Oxus ed all’Hindu Kush: esclu-sione sociale mescolata alle ingiustizie ed alla repressione, una società giova-ne ed instabile dentro istituzioni rese fragili dalle strutture claniche e tri-bali, un enorme sottoproletariato in-tellettuale giovane senza speranze nel futuro, il magma confuso e coinvol-gente delle grandi megalopoli, il ruo-lo fondamentale ed aggregante dei so-cial network (Web, Internet, Twitter, Facebook), l’orgoglio panarabo di Al Jazeera, lo scontro strisciante tra Sun-niti e Sciiti, la capacità di attrazione del no-profit islamico, i militari come unica struttura stabile e con capacità di Governo. Perché l’America è investita violen-temente dal passaggio da un asset-to unipolare imperiale ad un nuovo equilibrio multipolare; quindi, con grande realismo, ha scelto la linea dello “smart power” e della selezione degli obiettivi d’intervento; “il guer-riero” appare riluttante, pronto ad un impegno defilato in un’area poco stra-tegica e per di più col rischio di con-traddire platealmente la linea cultu-rale, illustrata da Obama nel discorso del Cairo e di Ankara, nei confronti del mondo islamico. Perché l’Europa, che di fronte al defi-lato impegno dell’America dovrebbe assumere un ruolo di responsabilità globale attiva, sta invece consumando un tragico fallimento della sua politi-ca estera, impantanata nelle secche del tatticismo, dilaniata dal riemergere di antistorici nazionalismi e dai fantasmi

mai sopiti del colonialismo. Perché emergono di continuo segna-li che fanno presagire scenari futuri ancora più inquietanti: l’isolamento di Israele ormai senza sponde solide nel campo arabo; la crisi del Bahrein e le tensioni nel clan di governo Sau-dita (da questa area passa il 40% del flusso energetico planetario); il raf-forzamento dell’Iran; la guerra civi-le in Yemen, le tensioni in Giordania e le incognite del nuovo Egitto con la forte presenza dei Fratelli Musul-mani (dal Mar Rosso e da Suez passa un terzo del commercio mondiale); la tragedia giapponese, la guerra in Libia e l’aumento del petrolio produrranno inflazione particolarmente perniciosa per la fragile ripresa. Perché il Mediterraneo è diventato di nuovo un’area geopolitica crucia-le, traversata da tensioni e da conflitti, un confine magmatico per l’Europa che appare su questo problema senza strategia, senza politiche. Perché le bibliche ondate migrato-rie che investono le nostre coste sono giovani, cariche di disperata determi-nazione e di speranza; e l’Europa sta balbettando una risposta egoistica da “si salvi chi può”, incerta, spaventata del futuro; l’arroccarsi di un popolo vecchio, geloso del proprio presen-te, senza il coraggio e la speranza di guardare il futuro, di capire il cam-biamento. È il drammatico risultato della “gelata demografica”. Perché l’Occidente, tutto l’Occiden-te, pur dotato di grandi strumenti di indagine e di sensori raffinatissimi, non ha previsto nulla del futuro, per-ché non sta capendo il presente che si muove tumultuosamente ai nostri confini. Come muoversi in questa in-quietante confusione? Con lucida cautela, consapevole dei grandi rischi e della impossibilità di restaurare lo status quo ante; la tran-sizione sarà lunga, complessa, ardua, pericolosa, ma cambierà radicalmente il nostro presente. È prioritario ripristinare una solida unità dell’Occidente ed in particolar modo della UE, perseguendo alcuni obiettivi: grande vigilanza sui nodi della sicurezza; l’emergenza umani-taria è un problema di tutta l’Euro-pa e le modalità in cui affronteremo

questo problema fonderanno i nostri rapporti futuri con l’Africa e il Me-dio Oriente; è ora di porre le con-dizioni per uno sviluppo più equili-brato dell’area mediterranea (Piano Marshall, Bers, Mercato Comune, ecc.); va recuperato un rapporto di partnership solidale ed effettivo con la Turchia che appare sempre di più come il punto di riferimento più ef-ficace di tutto il Medio Oriente; va bloccato, ma subito, il processo di so-malizzazione della Libia. Per quanto riguarda l’Italia, i cittadini si aspettano che, di fronte a problemi così vasti ed allarmanti, l’élite politica sappia recuperare spirito di solidarie-tà nazionale. E che i Partiti non at-tizzino, per qualche consenso fugace, le paure e le ansie, ma sappiano scio-glierle nella speranza lungimirante della concretezza riformatrice. Ma c’è ancora spazio per questa spe-ranza?

Gianstefano Frigerio Membro dell’Ufficio Politico del PPE

C’è una grande confusione sotto il sole“Il sistema capitalistico, in profonda convulsione, stenta a ridefinire delle regole”

“A più di cinquant’anni dalla sua scomparsa, Luigi Sturzo

riesce ancora a suscitare in noi un sentimento di stupore”

“Nella piena consapevolezza che un nuovo appello ai liberi e forti sia oggi non solo possibile ma necessario mi preme ricordare un aspetto che Sturzo tendeva a

sottolineare spesso.”

Page 5: L'Ermetico Errante giugno 2011

5Cultura politica

ROMA, (ZENIT.org).

Aristotele definisce l’etica come “scienza pratica”[1], in quanto ritiene che essa esprima

un sapere causale che ha come oggetto determinazioni qualitative del “reale” che ne investigano l’essenza [2], non si tratta di un’analisi fatta dal punto di vi-sta della pura e semplice contemplazio-ne (come per quanto riguarda le scien-ze teoretiche, quali la matematica, la fisica e la filosofia primaria) né fatta dal punto di vista della “produzione” (come avviene in ambito poetico, ov-vero nelle arti), ma trattasi di tutto ciò che riguarda la prassi, l’azione [3].Il VI libro dell’Etica Nicomachea di Aristotele contiene la trattazione del-le virtù dianoetiche, che sono pro-prie dell’anima razionale; esse sono la scienza, l’arte, la saggezza, l’intelligen-za, la sapienza.La scienza è “una disposizione che di-rige la dimostrazione” ed ha per ogget-to ciò che non può essere diversamente da quello che è, vale a dire il necessario e l’eterno; l’arte, invece, è “una dispo-sizione accompagnata da ragionamen-to vero che dirige il produrre” ed è di-versa, pertanto, dalla disposizione che dirige l’agire, in cui consiste la saggez-za, che è definita “come l’abito pratico razionale che concerne ciò che è bene o male per l’uomo” ed ha una natura mutevole al pari dell’uomo; l’intelli-genza è un abito razionale che ha la fa-coltà di intuire i principi primi di tutte le scienze, nonché i “termini ultimi”, i fini, cioè, a cui deve indirizzarsi l’azio-ne, e insieme con la scienza costituisce la sapienza, che è il grado più elevato e universale del sapere, in quanto è “in-sieme scienza e intelligenza delle cose più alte per natura” e, come tale, è ben distinto dalla saggezza.Inoltre Aristotele, in questo testo, evi-denzia la dicotomia esistente tra le rea-ltà “che non possono essere diverse da quello che sono” (es. fenomeni natura-li) e quelle “che possono essere diver-samente da quello che sono” (es. l’azio-ne, l’agire).Fatta questa premessa, si può afferma-re che l’etica è la “scienza dell’agire” che cerca di capire come l’azione si produce, non limitandosi ad una sem-plice analisi descrittiva, cercando di trovare quindi solo i meccanismi ma-trice dell’azione, ma approfondendo gli effetti dell’azione, la loro natura e le loro finalità. Aristotele inoltre tratta la questione dell’etica con riferimento all’aspetto economico, escludendo che una vita dedita al guadagno e al perse-guimento della ricchezza possa portare al sommo bene, dato che il persegui-mento del lucro implica di dover far fronte alle necessità di sopravvivenza e che il denaro è un mezzo, non un fine,

essendo solo il bene supremo il fine che si vuole di per se stesso [4].L’economia, diversamente da altre scienze, è legata sia alla teoria della ra-zionalità sia all’etica, pertanto è diffi-cile tenere separati i problemi meto-dologici che hanno per argomento il carattere dell’economia dai problemi valutativi che riguardano le scelte in-dividuali, le loro condizioni e le loro conseguenze. L’economista non può essere estraneo alla morale e utilizza-re l’economia come semplice tecnica, dato che per poter fornire strumenti tecnici alla politica, ad esempio, deve collegare la teoria economica ai con-cetti morali che sono impiegati dai politici. Per fare questo deve essere in grado di orientarsi in tematiche quali i bisogni, l’equità, le opportunità, la li-bertà e i diritti.Ma un rapporto tra etica ed econo-mia fino agli anni Novanta risultava di difficile attuazione sia perché le leggi nazionali sembravano incapaci di ope-rare a livello transnazionale e globale, sia perché molti governi tendevano a mitigare le regolazioni stesse in favo-re di un liberalismo che permettesse una maggiore competitività. Questo ha quindi favorito il dilagare di deter-minati fenomeni quali lo sfruttamen-to del lavoro minorile, l’aumento della povertà in molti paesi come l’America Latina, le crisi finanziarie come quelle della Parmalat e della Wordcom e si-curamente ha comportato anche l’in-debolimento delle garanzie e della sta-bilità del lavoro.Un’impresa dovrebbe di fatto adot-tare un comportamento socialmente responsabile, monitorando e rispon-dendo alle aspettative economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori di interesse (stakeholders), riuscendo anche a raggiungere l’obiettivo di con-seguire un vantaggio competitivo e la massimizzazione degli utili di lungo periodo. Se si prende in considerazio-ne un qualsiasi prodotto si può notare, infatti, che non viene apprezzato uni-camente per le caratteristiche qualitati-ve esteriori o funzionali; il suo valore è stimato in gran parte per le caratteristi-che non materiali, quali le condizioni di fornitura, i servizi di assistenza e di personalizzazione, l’immagine ed infi-ne la storia del prodotto stesso. All’in-terno del mercato globale e locale, le imprese non hanno un’esistenza auto-noma stante, ma sono enti che vivo-no e agiscono in un tessuto sociale che comprende vari soggetti, sicuramente attenti all’operato imprenditoriale. Ma il comportamento più o meno etico di un’impresa interessa, soprattutto, ol-tre che gli stakeholder, tutti i cittadini, ai quali non bastano astratte dichiara-zioni di principi e valori: essi esigono ormai un impegno quotidiano e cre-

dibile, frutto di una precisa politica manageriale e di un sistema aziendale organizzato a tal fine.Durante il Consiglio Europeo di Li-sbona, la Commissione Europea sotto-lineò il ruolo che poteva svolgere la re-sponsabilità sociale delle imprese nella gestione delle conseguenze dell’inte-grazione dell’economia e dei mercati sull’occupazione e sul settore sociale e nell’adeguamento delle condizioni di lavoro alla nuova economia.[5] Venne redatto così nel 2001 il Libro Verde in-titolato: “Promuovere un quadro eu-ropeo per la responsabilità sociale delle imprese”. Il progetto era quindi quello di costruire un’economia della cono-scenza dinamica e competitiva basa-ta sulla coesione e che facesse appello proprio al senso di responsabilità socia-le delle imprese per arrivare a raggiun-gere alcuni obiettivi quali: una mi-gliore organizzazione del lavoro, delle pari opportunità, l’inserimento sociale e uno sviluppo durevole. L’iniziativa del CSR è nata in seguito ad alcune problematiche: la globalizzazione, gli scandali finanziari, il fallimento del si-stema di regulating business e la persi-stenza del conflitto di interessi. Prima della discussione sul Corporate Social Responsibility a livello comunitario, ogni paese dell’Unione Europea aveva attuato un proprio approccio al CSR a seconda delle singole caratteristiche del proprio Stato: cercando quindi di seguire il modello di capitalismo vi-gente, il grado di intervento dello Sta-to, le iniziative pubbliche e quelle pri-vate. Proprio le differenze strutturali di ogni singolo Paese avevano con-dotto ad una diversificazione del CSR partendo dall’utilizzo del top-down in Danimarca e Francia ed arrivando al bottom-up utilizzato in Gran Breta-gna e in Italia[6]. La tendenza odier-na è la convergenza degli approcci na-zionali verso il modello auspicato dalla Commissione Europea, nel quale per CSR si intende la responsabilità sociale delle imprese nei confronti della “so-cietà” nel suo insieme.

[1] Cfr. Aristotele, Metafisica, VI, cap. 1.[2] Cfr. Aristotele, Analitici Posteriori, I, cap. 2, pag. 71.[3] Cfr. M.E. Di Giandomenico, Management Etico, principi e fondamenti, Milano,Giuffrè Editore, 2007[4] Idem.[5] www.eur-lex.europa.eu, Libro Verde, Commissione Europea, 2001[6] Quando le iniziative che riguardano il CSR vengono intraprese dai soggetti pubblici, si parla di top-down; quando invece derivano dalle stesse imprese si parla di bottom-up.

prof. Tommaso Cozzi. Docente presso la Facoltà di Scienze della Formazione di “Economia e Gestione delle

Imprese” all’Università di Bari.

La responsabilità sociale delle attività economiche

Dopo un anno di tempesta fi-nanziaria sembra che le nubi della crisi si stiano allontanan-

do dal mondo.A questo punto è sembrato opportu-no al ministro Sacconi riunire i mini-stri delle politiche sociali dei 14 stati più industrializzati per ridefinire principi e regole di un nuovo modello di welfare, per dare seguito alla “strategia di Lisbo-na” che ha ideato l’idea di una nuova “società attiva”.Il nuovo modello sociale uscito, infatti, è orientato a promuovere l’autosufficien-za di ciascuna persona, di tutte le per-sone, per ricostruire la fiducia nel futu-ro, dove andranno coniugati gli obiettivi tanto di competitività, quanto di inclu-sione sociale.

L’incontro è servito anche per precisare i valori del nuovo modello che mette in soffitta il vecchio assistenzialismo.Ne è uscito alla fine un libro che è un po’ la pietra migliare, come si dice, dell’agire dei governi nel futuro. La prima cosa da tenere presente è la centralità della persona, per sviluppar-ne le potenzialità e per promuoverne le capacità umane. Al termine infatti tut-ti i ministri all’unisono hanno afferma-to “People first!”, la persona prima di tutto. Poi, la famiglia come nucleo eco-nomico fondamentale. Esiste infatti un legame inscindibile tra benessere della famiglia e benessere della società. La fa-miglia è un sistema di relazioni capace di tutelare ma anche può portare a solu-zioni e stimoli.

Di seguito, la comunità come società intermedia, una rete cioè che alimenta il senso di responsabilità, la fiducia e la solidarietà sociale. La salute con la necessità di spostare l’at-tenzione dalla fase acuta alla prevenzio-ne primaria e secondaria, alla promo-zione di corretti stili di vita, ai rapporti tra salute, sicurezza, ambiente di lavoro e di vita. Si dovrebbe quindi passare da un welfare assistenziale a un welfare delle responsabilità condivise con l’integra-zione socio-sanitaria-assistenziale.Sul lavoro il nuovo welfare si è detto non può manifestarsi soltanto nella tutela e nella promozione del lavoro dipendente, ma anche le professioni, il lavoro autonomo, il lavoro in forma cooperativa e associata, l’autoimpren-ditorialità devono essere riconosciute come valori di apprezzamento sociale e sostegno istituzionale.Per i giovani l’obiettivo è che le isti-tuzioni e le famiglie devono offrire un modello di comportamento fondato sulla responsabilità, per essere utili a se stessi e agli altri e dare opportunità di crescita e di inclusione. Sul problema di attualità dell’immigra-zione, esso va declinato oltre l’emer-genza, innanzitutto definendo quale sia l’effettiva capacità ricettiva del nostro paese, stabilendo una precisa strategia degli ingressi, a partire dalle attività di formazione nei paesi di origine.Oggi, il modello che finora abbiamo se-guito in Italia è stato giudicato un wel-fare “debole” negli istituti che sostengo-no la vita attiva, appesantito da un onere insostenibile sul reddito, condiziona-

Un “libro bianco”sul nuovo WelfareLa prima cosa da tenere presente è la centralità della persona, per svilupparne le potenzialità e per promuoverne le capacità umane.

C’è un problema cui i cristiani non possono sottrarsi e a cui devono dare una risposta: l’or-

ganizzazione della vita su questa terra, che alla fine fa capo alla sintesi politi-ca, è autonoma dalla religione oppure è insufficiente a fondare e a mantene-re se stessa? Dalla risposta a questa do-manda dipende il rapporto che si vuole instaurare tra la politica e la fede reli-giosa, tra il mondo con le sue logiche e il cristianesimo. Si può anche dire, con Sant’Agostino, che si tratta di stabilire il rapporto tra la “città di Dio” e la “città dell’uomo”. Lungo la storia si è cercato di trovare diverse soluzioni per questo problema e il grande filosofo e storico Étienne Gilson aveva scritto nel 1952 un libro proprio per analizzare le principali di queste soluzioni.Questo libro è stato ristampato dall’e-ditore Cantagalli di Siena con il titolo originario “Le metamorfosi della città di Dio”. Si sa che l’ago della bilancia può tendere più da un lato o dall’altro, ora a favore della città dell’uomo ora a favore della città di Dio. Lungo la storia è però stata anche pro-posta una soluzione con la pretesa di essere perfettamente equilibrata. Au-tore di questa proposta fu Dante Ali-ghieri e Gilson presenta questa solu-zione nel capitolo IV del suo libro. Può essere interessante, quindi, esaminare la proposta di Dante per poi vedere cosa ne pensa Gilson. È un esercizio utile anche per l’oggi, perché anche oggi molti cristiani ri-tengono che la politica e la religione siano due realtà autonome e indipen-denti ognuna nel suo ambito. Ma è ve-ramente così?Secondo Dante il potere politico non riceve la propria esistenza da quel-lo spirituale, ma solo una luce che lo aiuta spiritualmente nell’esercizio della sua autorità. La Chiesa è fondata su Cristo, il pote-re politico si fonda invece sul diritto. Il primo ha come scopo la salvezza dell’anima, il se-condo ha come scopo la salute del corpo. Il piano temporale è così pienamente auto-nomo. Il potere spirituale può aiutarlo a rag-giungere i suoi fini, ma non gli confe-risce la sua autorità. C’è un piano naturale dell’esistenza universale degli uomini che basta a se stesso. È quindi anche pienamente lai-co: tutti gli uomini ne fanno parte in base alla loro natura umana, siano essi di una o dell’altra religione. La natura è autonoma dalla grazia, anche se è nel suo interesse mettere a profitto i bene-fici della grazia. Dante ha quindi colto per la prima volta la nozione di un piano politico autonomo e sufficiente nel suo ordine, dotato di una sua propria natura, di un fine ultimo suo proprio e di mezzi au-tonomi per raggiungerlo. Anche oggi,

infatti, molti affermano che siamo tut-ti uomini prima di essere cristiani o di altre religioni. Con simili frasi si vuole intendere che il piano umano e natu-rale è esso stesso fonte di piena uma-nizzazione e che l’unione tra gli uomi-ni non ha in sé bisogno della religione. C’è come una Chiesa temporale, che

è il genere umano, autonomo nel suo ordine, e c’è poi una Chiesa religiosa guidata dal Papa e animata da Cristo.A sostegno della sua tesi Dante portava soprattutto due argomenti. La prima è che l’impero, vale a dire l’organizza-zione del piano politico senza la reli-gione cristiana, c’era anche prima del cristianesimo. Egli si riferiva, naturalmente, soprat-tutto all’impero romano, il quale era tendenzialmente universale. Quindi - egli diceva - il piano politico è in grado di stare in piedi da solo. La seconda era che la ragione umana me-diante la filosofia di Aristotele, ai suoi tempi pienamente assimilata nel mon-do occidentale soprattutto tramite San

Tommaso d’Aqui-no, dava l’impres-sione di essere pie-namente in grado di raggiungere da sola tutte le sue pro-prie verità. Que-sto dava l’idea che

la ragione fosse autonoma dalla fede e che fosse in grado di guidare con le sue forze l’agire politico dell’imperatore.Solo che ambedue gli argomenti non reggevano veramente, come fa notare Gilson, da valente storico del pensiero occidentale quale egli era. Sant’Ago-stino, per esempio, nel De civitate Dei aveva criticato moltissimo le leggi e i costumi deteriori dell’impero romano, sostenendo che il crollo dell’impero era proprio dovuto alla immoralità dilagante. Questo stava a dimostrare che senza l’avvento del Cristianesimo, il quale costruendo dei “buoni cristiani” costruiva anche dei “buoni cittadini”, la ragione e la morale naturali non sarebbero riuscite a costruire la città

terrena. Circa il secondo argomento: «siamo certi che il trionfo di Aristotele nel Medioevo sia stato puramente filo-sofico e razionale?». Grande domanda, questa. Senza che la fede cristiana purificasse gli errori presenti anche nella filosofia di Aristotele, sarebbe nata la grande filosofia medioevale? Come si vede si può dubitare che la ragione possa fare da sola. Che dire allora della proposta di Dan-te? È vero che il piano politico è au-tonomo da quello religioso e che è in grado di raggiungere da solo i suoi fini ultimi? Per accettare questa imposta-zione bisogna accettare che l’uomo ab-bia due fini: un fine temporale e un fine soprannaturale. Dante dice proprio questo, ma dal punto di vista cristiana si tratta di un errore.Egli, non riconoscendo il fatto che l’uomo ha un’unica vocazione, «mi-sconosceva il principio fondamentale, che ben lungi dal sopprimere l’auto-nomia di un qualsiasi ordine inferiore, la sua subordinazione gerarchica con-segue l’effetto di fondarlo, di portar-lo a perfezione, in breve, di garantirne l’integrità e di mantenerlo. La natura informata dalla grazia é più perfetta-mente natura. La ragione naturale il-luminata dalla fede diventa più inte-gralmente ragionevole. Accettando la giurisdizione spirituale e religiosa della Chiesa, l’ordine sociale e politico si fa più felice e più saggio sul piano tem-porale». Se, quindi, Dante aveva tor-to, non possiamo non porci, con Gil-son, la domanda più intrigante che ci sia al giorno d’oggi, ma difficilmente eludibile da parte di chi voglia anda-re fino in fondo alle cose: «Può esservi una Chiesa senza che vi sia unità po-litica sull a terra; ma può esservi unità politica della terra senza che vi sia il riconoscimento, da parte del tempora-le, dell’autorità diretta dello spirituale, non soltanto in campo morale, ma an-che in campo politico?».Scriveva San Tommaso d’Aquino: «In materia spirituale conviene obbedire al papa, in materia temporale é meglio obbedire al principe, ma meglio anco-ra al papa, che occupa il vertice dei due ordini». Secondo Gilson questo vuol dire che «Lo spirituale non è subordi-nato al temporale. Il principe, che ha autorità sul tem-porale, non ne ha dunque alcuna sul campo spirituale; ma il temporale è su-bordinato allo spirituale. Il papa, che ha autorità sullo spirituale, ha dunque anche autorità sul tempo-rale, nella misura stessa in cui questo dipende dallo spirituale. La formula è semplice ed è sufficiente applicarla per vedere come essa comporti un preciso significato. Il papa non è il sovrano politico, di nessun popolo della terra, ma ha auto-rità sovrana sul modo in cui tutti i po-poli conducono la loro politica».

ROMA, (ZENIT.org).di Stefano Fontana

L’organizzazione politica è autonoma dalla religione?

to da una polarizzazione eccessiva sul-la spesa per le pensioni ed è segnato da un servizio socio-sanitario inefficiente e oneroso nel Centro Sud.Nel 2050 in assenza di politiche di cor-rettive e di riequlibrio la spesa sanitaria potrebbe più che raddoppiare.Per non fare collassare il sistema (cosa che accade quando una quota troppo elevata del reddito prodotto viene prele-vata per finanziare prestazioni non pie-namente appropriate, che ingenerano fenomeni che incidono negativamente su occupazione e crescita) è opportu-no che il sistema sanitario sia legato a un sistema di governance che deve fa-vorire rigorosi principi di efficienza ed efficacia. Per la sostenibilità del modello sociale italiano ed europeo c’è un primo obiet-tivo, e cioè l’incremento della natalità e dei tassi di occupazione regolare.Inoltre per garantire la sostenibilità è necessario tener conto delle possibilità di spesa.È questo il principio dell’universali-smo selettivo che ne segnala la distanza dall’utopia di un universalismo assoluto che non fa i conti con la scarsità delle risorse e con la sostenibilità.Per concludere, si potrebbe dire che il nuovo modello di welfare governativo, che verrà man mano messo in cantiere, segna il passaggio da quello assistenziale a quello delle opportunità.Più semplicemente andiamo verso un welfare che si può così descrivere: “una vita buona in una società attiva”.

A.Todesco

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“È vero che il piano politico è autonomo da quello religioso e che è in grado di raggiungere da solo i

suoi fini ultimi?”

Page 6: L'Ermetico Errante giugno 2011

6 Scienza

ROMA, (ZENIT.org).

I dottori Ammar Hayani e Sharad M. Salvi del reparto di Ematologia pedia-trica-Oncologia dell’Advocate Hope Children’s Hospital and Christ Medi-cal Center di Oak Lown (Illinois), in-sieme al dottore David Morgan del re-parto di Radioterapia oncologica dello stesso ospedale, hanno pubblicato il primo rapporto su un trapianto auto-logo di sangue del cordone ombelicale per la cura della leucemia linfoide acu-ta in una bambina, con la collaborazio-ne del dottor Eberhard Lampeter del Dipartimento di Patologia della Mayo Clinic di Rochester (Minnesota). L’annuncio è avvenuto su Pediatrics[1], il prestigioso mensile ufficiale dell’As-sociazione Americana di Pediatria.La paziente E.M. è una bambina di 6 anni, che all’età di 3 aveva iniziato a manifestare emorragie e splenomega-lia, valori altissimi di leucociti, bassi di emoglobina e, soprattutto, di piastrine. L’esame del midollo osseo mostrava un 94% di linfoblasti immaturi con mor-fologia L-1.Vi è presenza di proteine oncogene (CD45), caratteristiche della forma lin-foblastica (CD10) o di parziale diffe-renziazione cellulare (CD19 e CD20): purtroppo, i segni di una leucemia lin-foblastica acuta.La paziente è stata curata con un pro-tocollo per la leucemia ad alto rischio a causa dell’alto numero di globuli bian-chi. Ha ottenuto una totale remissione dopo 4 settimane di terapia d’induzio-ne, seguita da 6 cicli di terapia di con-solidamento. La cura è stata terminata con una che-mioterapia di continuazione. Purtrop-po alla quarantaquattresima settima-na, una puntura lombare di controllo mostrava un alto numero di cellule nucleate tipo L senza globuli rossi nel liquido cefalo-rachidiano, mentre il midollo osseo risultava normale, se-gno di una ricaduta a livello del siste-ma nervoso centrale. La paziente ha ottenuto una seconda remissione con una chemioterapia intratecale settima-nale tripla.A causa della precocità della ricaduta è stato preso in considerazione un tra-pianto di cellule staminali autologhe dal cordone ombelicale della bambina crio-conservato dopo la nascita, anche per la mancanza di familiari compati-bili. Per primi sono stati eseguiti 3 cicli di chemioterapia di consolidamento. Il regime di condizionamento da irra-diazione totale del corpo e irradiazio-ne cranica a dosi elevate è stato seguito da trattamento con etoposside e ciclo-fosfamide a dosi alte.Sono stati effettuati test molecolari per individuare un eventuale clone della leucemia nel sangue del cordone. Non essendoci la presenza di marca-tori cromosomici specifici, sono stati ricercati riarrangiamenti dei geni per il recettore della catena pesante delle immunoglobuline (igH) e del recetto-re T-gamma Jg per mezzo della reazio-ne della catena polimerasi: fortunata-mente sono risultate negativi.Al momento dello scongelamento le cellule nucleate del sangue del cordone ombelicale erano 979 milioni e le cel-lule che producono la proteina CD34,

favorente l’adesività delle staminali al midollo osseo, 2,59 milioni. Il loro tas-so di recupero era del 92%, mentre la vitalità variava dall’80% al 98%, a se-conda del metodo usato: in ogni caso ottimi valori. Le staminali sono state infuse senza complicazioni ed il tra-pianto è stato portato a termine 15 giorni dopo.A distanza di 4 mesi la conta di tutte le cellule del sangue era divenuta del tutto normale. La paziente stava molto bene, senza infezioni serie, importan-ti complicazioni, né segni di rigetto del trapianto. Ad un anno l’esame del midollo osseo mostrava una dimi-nuzione del nume-ro di cellule a livelli nella media, nonché un’ematopoiesi normale [2]. La leucemia linfoide acuta è la più co-mune neoplasia nell’infanzia e oggi ha un tasso di sopravvivenza che si avvi-cina all’80%. Il sistema nervoso centrale è la secon-da localizzazione delle ricadute per in-cidenza dopo il midollo osseo. La so-pravvivenza libera da malattia nei 4 anni successivi è del 71% ; la percen-tuale migliora se la durata della prima remissione completa è maggiore di 18 mesi (83%), peggiora, invece, se mino-re (46%). Le cause favorenti una rica-duta nel sistema nervoso centrale sono la localizzazione iniziale specifica della leucemia nel SNC, così come la resi-stenza delle cellule linfoblastiche alte-rate alla chemioterapia. L’importanza di quest’ultima è eviden-ziata dal fatto che la ricaduta localizza-ta nel midollo osseo è la più comune forma di fallimento della terapia dopo ricadute delimitate al sistema nervoso centrale: 50% rispetto al 14%, che col-piscono il SNC[2].Questi dati consigliano una terapia si-stemica intensiva in aggiunta a quel-la per il sistema nervoso centrale, con l’uso di chemioterapia intratecale e di radioterapia, ad alte dosi, seguite da

trapianto di cellule staminali emopoie-tiche. Esso può essere indicato per pa-zienti leucemici con ricadute tempo-ralmente precoci circoscritte al sistema nervoso centrale. Il professor Bordigoni ha riscontrato nei suoi studi una sopravvivenza libe-ra da malattia del 77% dopo trapianto di staminali nei bambini, che aveva-no avuto ricadute delimitate al SNC, dopo aver ricevuto una chemioterapia. Questo è un risultato nettamente mi-gliore rispetto a quello ottenuto dopo

una tradiziona-le radioterapia o chemioterapia in questo tipo di pa-zienti [3].Inoltre questa bambina aveva avuto una ricadu-ta estremamente

precoce, nonostante l’utilizzo di dosi molto elevate: 10 mesi dall’inizio del trattamento. Ciò potrebbe comportare un altissimo rischio di fallimento del trattamento medico e di ricadute usan-do chemioterapie e radioterapie tradi-zionali. L’uso di staminali autologhe del san-gue del cordone ombelicale comporta-va i vantaggi di una diminuzione della mortalità e della morbilità; in partico-lare un calo del rischi di rigetto del tra-pianto da parte del sistema immunita-rio del ricevente di ben il 30%. Questi elementi positivi superavano ampia-mente i rischi, per altro non chiara-mente dimostrati, di una infusione accidentale del clone della leucemia e della mancata risposta immunitaria delle cellule trapiantate contro quelle neoplastiche sopravvissute.Al momento del rapporto la bambina era rimasta nella seconda remissione completa per ben 28 mesi: una ulterio-re ricaduta sarebbe stata estremamente improbabile. Il professor Ritchey afferma nei suoi studi che la maggior parte delle rica-dute in pazienti trattati per il rimanife-starsi precoce della leucemia linfobla-stica acuta del SNC avveniva entro 2

anni. Solo il 4% si verificava oltre i 28 mesi [2]. Il sangue del cordone ombeli-cale è stato utilizzato per la prima volta nel 1988 per un trapianto. Alcuni dei suoi numerosi vantaggi sono l’ampia disponibilità, la facilità di raccolta, la donazione priva di rischi, l’assenza d’infezioni, l’immediata re-peribilità delle unità crioconservate nel caso di necessità di un trapianto, e, soprattutto, il ridotto rischio di rigetto immunitario. Diversi studi hanno di-mostrato l’origine prenatale della leu-cemia dei bambini, con fusione di geni specifici per la leucemia o riarrangia-menti di altri. Per questa paziente la mancanza di ri-arrangiamenti del gene, che codifi-ca per il recettore della catena pesan-te delle immunoglobuline (IgH) e di quello per il recettore T-gamma JG, dava una forte assicurazione che il san-gue cordonale non contenesse il clone della leucemia.Inoltre non è affatto sicuro che la sfor-tunata presenza di tale clone nell’infu-sione porti ad alti rischi per il paziente, che senza l’uso del cordone ombelicale spesso avrebbe poche speranze di sal-vezza, come nel caso di questa bam-bina americana. Infatti l’incidenza del clone nella popolazione è ben 100 vol-te maggiore di quella della leucemia infantile, riducendo la probabilità di questo grave effetto collaterale all’1% dei casi trattati. Ciò fa supporre la ne-cessità di un secondo fattore scatenante di tipo ambientale successivo alla na-scita, perché si posa manifestare la ma-lattia [4].Il tasso d’incidenza della neoplasia nei bambini è stimato a 130 per milione, quindi con una percentuale di rischio di 2 casi su 1.000 durante tutta l’in-fanzia. L’uso delle staminali è indicato, se-condo il rapporto del dottor Hayani e colleghi, in caso di leucemia mielobla-stica acuta, quella fibroblastica acuta ad alto rischio, ricadute della leucemia e del linfoma, e stadi avanzati del neu-roblastoma, anche se nel periodo suc-cessivo a questo rapporto le indicazio-ni sono notevolmente aumentate: in meno di 4 anni da 1 caso su 2.000 di uso delle staminali ematopoietiche nel 2010 si è passati ad 1 su 1.000. Anche la vitalità delle staminali del cordone ombelicale crioconservate è passata da 5-15 anni a 40, grazie a recentissime scoperte [1].

1) Ammar Hayani MD e coll. - Pediatrics – 01/01/2007 - pag. e295-e3002) Ritchey AK e coll. - Improved survival of children with isolated CSN relapse of acute lym-phoblastic leukemia – J Clinic Oncol. - 1999 – 17:3745-37423) Bordigoni e coll. - Total body irradiation-high-dose cytosine arabinoside and melphalan followed by allogenic bone marrow transplantation... - A Societe Francaise de Greffe de Moelle study. - Br J Haematology – 1998 – 102: 656-6654) Mori H e coll. - Chromosome translocations and covert leukemic clones are generated during normal fetal development... Proct Natl Acad Sci USA – 2002 – 99: 8242-8247

Paolo De Lillo - dottore in Farmacia.

Si chiama “Isotta” la prima unità mobile di soccorso veterinario per le gravi emergen-ze (terremoti, inondazioni e altri catastrofi) presentata a Milano dall’Enpa nel corso di una conferenza stampa. Si tratta di un mezzo speciale allestito con i più moderni e avanzati dispositivi medico–veterinari, tra cui una macchina per l’ossigenoterapia; una lettiga speciale per il trasporto di animali fino a cento chilogrammi, che può essere usata anche su terreni accidentati e trasformata in tavolo operatorio itinerante; guide per il carico di animali pesanti e un porta-feriti supplementare. Il mezzo è stato pre-sentato dall’Enpa e ha come padrino d’eccezione Edoardo Stoppa di Striscia la Noti-zia; alla presentazione hanno partecipato i partner dell’Enpa che hanno reso possibile questo progetto (Pizzardi Editore e Royal Canin) nonché il presidente nazionale di Enpa, Carla Rocchi e Marco Bravi, responsabile del Centro Comunicazione e Svilup-po e membro della Giunta esecutiva Nazionale dell’Ente Nazionale Protezione Ani-mali. Isotta è il nome di una gatta che è stata salvata tra le rovine di Onna (L’Aquila) dalle Guardie Zoofile Enpa del Nucleo di Cuneo. Recuperare la micia non fu un’ope-razione difficile: fu lei stessa a scegliere i volontari della Protezione Animali, zampet-tando verso la loro auto di servizio e accucciandosi tranquillamente sul cruscotto dove attese il loro ritorno. Per alcuni giorni le Guardie Zoofile cercarono invano il pro-prietario di Isotta finché non decisero di portarla con loro a Cuneo. «Come rivela la storia della micia Isotta, tra le vittime incolpevoli di disastri e calamità ci sono anche gli animali, selvatici e d’affezione. Tuttavia, mentre per il soccorso degli uomini esiste una rete di enti istituzionali a ciò dedicati, spesso quello veterinario è rimasto inat-tuato o è stato affidato a iniziative volontaristiche dei singoli», ha spiegato Bravi, che ha poi aggiunto: «sarebbe invece necessario prevedere, nell’ambito della più generale organizzazione dei soccorsi, una unità destinata proprio a loro, equipaggiata cioè con dispositivi medici dedicati e con personale competente, che permetta di affrontare con lucidità tutti i problemi che si possono presentare. Con grande beneficio per l’intera collettività.» L’unità di soccorso veterinario “Isotta” rappresenta dunque un primo passo in questa direzione, reso possibile anche grazie al supporto dei partner di Enpa, Pizzardi Editore e Royal Canin. «Collaboriamo con Enpa fin dal 2007, da quando abbiamo iniziato l’avventura di Amici Cucciolotti, una collezione di figurine pensata per sensibilizzare i bambini al rispetto degli animali e dell’ambiente, e attraverso cui abbiamo veicolato anche diverse iniziative solidali a sostegno dell’attività della Prote-zione Animali – ha detto Alberto Glisoni, Reponsabile Progetti Educativi di Pizzardi Editore -. E l’edizione di quest’anno è stata dedicata proprio ad “Isotta”.» «Abbiamo aderito con entusiasmo a questa iniziativa mettendo a disposizione, in occasione di grandi calamità naturali, alimenti secchi per il sostentamento degli animali soccorsi e ricoverati dalla Protezione Animali – ha aggiunto Matteo Vestri, direttore Marketing della Royal Canin -. Da sempre cani e gatti sono al centro della nostra attività, il che significa farsi carico concretamente delle problematiche che spesso i nostri amici a quattro zampe si trovano ad affrontare. » Ma non è tutto. L’unità mobile di soccorso per le emergenze rappresenta solo un tassello di un progetto più articolato: sollecitare l’istituzione del 118 veterinario. Per questo, a partire da aprile e fino a giugno, “Isotta” sarà impegnata nella campagna “Soccorrerli, un gesto di civiltà”, un tour itinerante che toccherà alcune delle principali città italiane, durante il quale i cittadini potranno con-tribuire attivamente alla creazione del 118 veterinario firmando la petizione dell’En-pa. «Con l’iniziativa “Soccorrerli, un gesto di civiltà” l’attività dell’Enpa acquista una modalità “in movimento” per aumentare la sensibilità dei cittadini nei confronti dei modi corretti ed utili di intervenire in soccorso degli animali sia in condizioni di nor-malità sia in condizioni di emergenza.», ha detto presentando la campagna il presiden-te nazionale dell’Enpa, Carla Rocchi, che ha aggiunto: «questo per l’Enpa rappresenta il miglior modo di celebrare i 140 anni della propria storia. L’Enpa è nata infatti nel 1871 dalla sensibilità di Garibaldi che, vedendo due muli girare con fatica una macina si impietosì della loro sorte e chiese al Re Vittorio Emanuele di istituire quella che allora prese il nome di Società di Protezione degli Animali. Da quel giorno ci siamo occupati ininterrottamente di soccorrere gli animali, alleviare le loro fatiche, impedir-ne i maltrattamenti e promuovere le leggi a loro tutela. »

Presentata “Isotta”, Prima unità mobile di soccorso veterinario dell’Enpa per le gravi emergenze

Anche un cuore anziano può dona-re una vita’ è il titolo del convegno te-nutosi a Roma presso l’aula Marconi del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), organizzato dall’Istituto di fi-siologia clinica (Ifc-Cnr) di Pisa e dal Centro nazionale trapianti (Cnt), che ha dato il via alla creazione di un network nazionale per utilizzare cuori prelevati da donatori over 55 attraverso il coin-volgimento dei centri cardiochirurgi-ci di trapianto, dei livelli interregionali (AIRT, NITp e OCST) e creando una rete nei centri di neuro rianimazione che statisticamente forniscono il mag-gior numero di donazioni.La manifestazione ha visto la partecipa-zione del presidente del Cnr, Luciano Maiani e del direttore del Cnt, Alessan-dro Nanni Costa. Il convegno ha ri-cevuto il patrocinio di ministero della Salute, Associazione italiana per la dona-zione di organi, tessuti e cellule (Aido) e Cittadinanzattiva.Il progetto prende le mosse dai risultati scientifici acquisiti a partire dallo studio ‘Adonhers’ (Aged Donor Heart Rescue by Stress Echo) condotto dall’Istituto di fisiologia clinica di Pisa unitamente alle Regioni Emilia–Romagna e Tosca-na. “La ricerca in forma sperimentale ha

evidenziato la possibilità di prelevare, a fini trapiantologici, cuori da donato-ri superiori ai 55 anni d’età una volta escluse, attraverso il sistema di accer-tamento dell’eco-stress, coronaropatie prognosticamente significative e car-diomiopatie occulte, solitamente lega-te all’età anagrafica”, spiega il respon-sabile scientifico, Tonino Bombardini dell’Ifc-Cnr. “Il progetto ha permesso di effettuare con successo 19 trapianti, registrando un esito del tutto sovrappo-nibile a quello dei donatori standard. La novità è, dunque, la possibilità di usa-re questa tecnica nell’esame dello stato dell’organo per garantire una maggio-re attendibilità nella valutazione della funzionalità stessa, rispetto agli accerta-menti standard”.L’estensione del programma a livello nazionale sotto il coordinamento del Centro nazionale trapianti è stata ora finanziata dal ministero della Salute at-traverso il Ccm (Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle ma-lattie). “L’ampliamento della platea di donatori di cuore tra coloro che han-no superato i 55 anni potrebbe portare a una netta diminuzione dei pazienti in lista trapianto”, aggiunge Eugenio Pica-no, direttore dell’Ifc-Cnr di Pisa. “Con

l’aumento dell’età media dei donato-ri potenziali, è necessario collaudare il cuore anziano prima del disco verde alla donazione. Questo sistema può contri-buire a rilanciare la donazione di cuore, in lieve flessione nel 2010”. Secondo i dati del Cnt sono stati 273 i trapianti di cuore eseguiti nel nostro Paese al 31 dicembre 2010. I pazienti in lista di attesa sono 728 e la permanen-za media in lista è di 2,36 anni. Inol-tre, dal confronto con i registri europei, l’Italia è al di sopra della media euro-pea per quanto riguarda la sopravviven-za dell’organo.“Per rispondere alle richieste dei pa-zienti in lista d’attesa è necessario lavo-rare sulle opposizioni alla donazione e sulla comunicazione ai cittadini. Eppu-re, aumentare il numero degli interven-ti non è strettamente vincolato a quello delle donazioni”, commenta il direttore del Cnt, Alessandro Nanni Costa. “L’au-mento dell’età media dei donatori, ad esempio, ci pone di fronte a nuove sfide che il Centro ha già raccolto e l’esten-sione a livello nazionale del programma ‘Adhoners’ va nella giusta direzione”.

Già effettuati 19 trapianti

Un cuore anziano può ancora salvare una vitaCreato un network nazionale

Quasi un ragazzo palermitano su quattro soffre di rinite allergica e congiuntivite e oltre un ter-

zo di allergie. 56 su cento dichiarano di essere esposti al fumo domestico, il 21,1% lamenta l’intenso traffico pesante attorno alla propria abitazione e il 15% dichiara la presenza di muffe o umidità nella pro-pria camera da letto. Sono i dati emer-si dall’indagine epidemiologica condotta dall’Istituto di biomedicina e immuno-logia molecolare del Consiglio naziona-le delle ricerche di Palermo (Ibim-Cnr) sulla base di un finanziamento erogato da Arpa Sicilia, appena pubblicata sulla rivista scientifica Pediatric Allergy and Immunology, che indica come percen-tuali fino al 41% delle patologie respira-torie siano attribuibili ai fattori ambien-tali.Nella ricerca sono stati coinvolti 2.150 studenti di 16 scuole medie secondarie di primo grado del capoluogo siciliano, di età compresa fra gli 11 e i 14 anni. “I sog-getti sono stati indagati mediante que-stionari di salute respiratoria, test allergici cutanei e spirometria”, spiega Giovanni

Viegi, direttore dell’Ibim-Cnr. “Dalla valutazione delle risposte è risultata una prevalenza di asma corrente del 4,2% e di rinocongiuntivite del 17,9%, mentre il restante 77.9% dei soggetti era asinto-matico. La prevalenza di sensibilizzazione aller-gica, ossia la risposta positiva ad almeno uno degli 8 allergeni utilizzati per l’e-secuzione del test allergico, è stata del 39,2%”.Dati, questi, che si possono allineare con quelli dei maggiori centri urbani italiani e delle maggiori città del Nord d’Italia, anche se a Palermo non vi sono rilevanti insediamenti industriali. Va inoltre osser-vato come tali valori di prevalenza rile-vati nell’anno scolastico 2005-2006 siano in crescita rispetto a quelli rilevati sempre nel capoluogo siciliano e sulla medesi-ma fascia di età nell’anno 2002, nell’am-bito dello studio epidemiologico italia-no SIDRIA2 (+0,7% annuo per l’asma e +2,2%/anno per la rinocongiuntivite).“La presenza di traffico intenso intorno alla propria abitazione”, specifica il diret-tore dell’Ibim-Cnr, “è risultato fattore

di rischio significativo in particolare per asma corrente, rinocongiuntivite e ridot-ta funzione respiratoria rispetto a chi non riferiva traffico vicino casa”. Dai dati è stato possibile calcolare il Par (population attributable risk – rischio at-tribuibile di popolazione), ovvero la pro-porzione di una malattia dovuta all’espo-sizione a fattori di rischio e che potrebbe essere dunque eliminata se tale esposizio-ne fosse evitata. Il Par complessivamente dovuto a fatto-ri ambientali evitabili, come esposizione a fumo di sigaretta, presenza di umidità o muffe nell’ambito domestico ed espo-sizione a traffico veicolare pesante attor-no alla propria abitazione, è risultato del 40,8% per l’asma corrente, del 33,6% per la rinocongiuntivite e del 14,1% per la ri-dotta funzione respiratoria.“Un risultato”, conclude Viegi, “che di-mostra quanto la prevenzione sanitaria ed ambientale per la salute dei bambini e degli adolescenti sia importante e possa consentire enormi risparmi in termini di spesa, sia per i farmaci sia per l’accesso ai servizi sanitari”.

Asma? Eliminare fumo, muffe e smogI fattori di rischio ambientale incidono fino a oltre il 40% nelle patologie respiratorie. A sostenerlo un’indagine epidemiologica realizzata dall’Ibim-Cnr di Palermo, appena pubblicata sulla rivista scientifica Pediatric Allergy and Immunology

Il cordone ombelicale salva bimba di

6 anni dalla leucemia

“La leucemia linfoide acuta è la più comune neoplasia nell’infanzia e oggi ha un

tasso di sopravvivenza che si avvicina all’80%.”

Page 7: L'Ermetico Errante giugno 2011

7

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il maggiore Ente di ricerca pubblico italia-no, Rete Ventures, società controllata dal Cnr specializzata in operazioni di techno-logy transfer e creazione d’impresa ad alto contenuto tecnologico, e Mediocredito Italiano (Gruppo Intesa Sanpaolo) hanno formalizzato un accordo-quadro immedia-tamente operativo, con l’obiettivo di mol-tiplicare per le piccole e medie imprese le occasioni di trasferimento tecnologico e di conoscenza dal mondo della ricerca verso il mercato.Sottoscritto dal presidente di Mediocredito Italiano Roberto Mazzotta, dal presidente di Rete Ventures Luca Anselmi e dal presi-dente del Cnr Luciano Maiani, l’accordo è destinato a sviluppare e intensificare ulte-riormente i rapporti di collaborazione al fine di favorire e stimolare la cooperazione tra i centri di eccellenza dell’Ente di ricerca – con particolare riferimento ai suoi spin-off – e le piccole e medie imprese, anche mediante l’offerta da parte di Mediocredi-to Italiano di prodotti di finanziamento e di servizi. Il Cnr attraverso Rete Ventures, società di servizi in house con l’obiettivo di ge-nerare risorse per la ricerca valorizzando la proprietà intellettuale e l’insieme di as-set intangibili dell’Ente, aveva già stabilito contatti con Mediocredito Italiano con lo scopo di creare un sempre più proficuo in-contro tra finanza e ricerca grazie alla sensi-bilità del Mediocredito Italiano rispetto alle tematiche di comune interesse. L’accordo di conferma l’attenzione del Gruppo In-tesa Sanpaolo al mondo dell’innovazione, già ribadita con il sostegno da sponsor alla prima Start Cup Cnr–Sole 24 Ore. All’in-terno del Gruppo, Mediocredito Italiano è la banca di riferimento per sostenere lo svi-luppo delle Pmi italiane con particolare at-tenzione all’innovazione.Dotato di strutture specialistiche in grado di integrare con analisi delle prospettive di sviluppo la tradizionale valutazione cre-ditizia, Mediocredito Italiano, con questo accordo, potrà finanziare i progetti com-missionati dalle imprese al Cnr o ai suoi spin-off, velocizzando gli incassi da parte dell’Ente e finanziando correttamente a medio termine gli investimenti di innova-zione delle Pmi.In particolare, Mediocredito Italiano mette a disposizione delle imprese, proprie clien-ti o che intendono collaborare con il Cnr, due specifiche soluzioni di finanziamento: con Nova+ Università affiancherà le im-prese che intendono collaborare con strut-ture o spin-off che operano come veri e propri laboratori di ricerca e prototipa-zione conto terzi; con Nova+ Acquisto si rivolgerà alle imprese che intendono ac-quisire dagli spin-off del Cnr prodotti ad elevato contenuto tecnologico già pronti per essere trasferiti sul mercato con le op-

portune personalizzazioni. In particolare, tale soluzione di finanziamento consentirà di sostenere piani organici di investimento che comprendano, oltre all’acquisizione di tecnologie di processo e di prodotto, anche spese in beni immateriali e in formazione/addestramento. In quest’ambito, laddove possibile, le strut-ture specialistiche di Mediocredito Italiano lavoreranno in sinergia con il Cnr e Rete Ventures per realizzare una ‘prevalutazio-ne tecnologica’ del prodotto dello spin-off, in modo da rendere più snello e veloce il processo di valutazione tecnico-industriale delle singole operazioni.“Con questa iniziativa, Mediocredito Ita-liano costituisce un supporto concreto all’esigenza di sostenere la capacità di cre-are innovazione”, dichiara Roberto Maz-

zotta, presidente di Mediocredito Italiano. “Siamo l’unica banca che si è misurata sui temi della tecnologia, che dispone di un team di specialisti dedicati al finanziamento dell’innovazione e che ha attivato una serie di accordi strutturati con alcuni tra i più autorevoli atenei italiani al fine di favorire il trasferimento tecnologico dal mondo della ricerca alle imprese”.Il Cnr e Rete Ventures, da sempre impe-gnati sul fronte del trasferimento tecno-logico, sono convinti che “l’accordo sia particolarmente utile per rendere più com-petitivi, almeno negli aspetti tecnologici e finanziari, gli imprenditori-attori delle Pmi italiane, soprattutto nel Mezzogiorno, per rafforzarli nei confronti dei competitor in-ternazionali”, commenta il presidente di Rete Ventures Luca Anselmi.

Società

Sono sei i progetti di ricerca per l’inno-vazione e lo sviluppo nel Mezzogiorno coordinati dal Consiglio nazionale delle ricerche presentati a Reggio Calabria. I progetti sono finanziati dalla Legge di stabilità 2010 con uno stanziamento ad hoc del ministero dell’Economia, e ri-guardano le tecnologie avanzate per l’efficienza energetica, le fonti rinnova-bili, la geotermia per la produzione elet-trica, la gestione sostenibile della fascia costiera, il ‘Made in Italy’ agroalimenta-re e i farmaci innovativi. “La scelta del Governo di affidare al Cnr il coordinamento dei fondi per proget-ti legati allo sviluppo del Mezzogiorno ci inorgoglisce – commenta il presiden-te Luciano Maiani – e sapremo svolgere questo compito forti dell’approccio me-ritocratico che ci consente risultati di qualità internazionale, di una rete scien-tifica diffusa in modo capillare e coor-dinato nelle Regioni del Sud, e di una solida esperienza di collaborazione con università, enti di ricerca, industrie, isti-tuzioni e tessuto sociale locali”. Il Cnr al Sud conta 35 sedi principali di Istituti di ricerca, 72 sedi secondarie e sei aree di ricerca, con 2.241 unità di personale addetto alla ricerca su 2.522 totali (solo l’11% di personale amministrativo). “Il Cnr è il maggior ente di ricerca na-zionale ed è un motore di sviluppo per il Mezzogiorno. Oggi, in occasione del-la presentazione dei primi sei progetti – conclude il presidente Maiani – vo-gliamo rilanciare il nostro impegno af-finché Amministrazioni e imprese de-stinino sempre maggiori risorse alle attività di ricerca e innovazione che co-stituiscono un elemento ineludibile per lo sviluppo di questa parte importante del Paese. Chiediamo anche al Governo, e in particolare al Ministero del Tesoro e al Miur, di continuare a credere in que-sta nostra azione per il Mezzogiorno e a sostenere con nuovi investimenti le no-stre attività”. L’investimento stanziato per i proget-ti coordinati dal Cnr, alcuni dei quali si svolgeranno in collaborazione con Enea, è di 46,5 milioni di euro nel triennio, di cui 15 nel 2010, 13.5 nel 2011 e 18 nel 2012. Le ricerche affiancheranno le azioni previste dal Quadro strategico nazio-nale 2007-2013, cui fanno riferimento i progetti Pon e Por attivi nelle quattro regioni dell’obiettivo convergenza (Ca-labria, Campania, Puglia, Sicilia), esten-dendo il proprio campo di azione alle altre aree-obiettivo previste dall’artico-lo 44 della Legge finanziaria 2010 e in-tegrandosi con la rete degli istituti Cnr presente sull’intero territorio naziona-

le per il necessario raccordo Sud-Nord e per la proiezione internazionale del Mezzogiorno. Queste le schede dei progetti presenta-ti oggi.‘Efficienza energetica’. Prevede lo studio e la realizzazione di sistemi di trigenerazione avanzati, anche con in-tegrazione di fonti rinnovabili. È inoltre prevista la realizzazione di sistemi di ac-cumulo innovativi basati anche sull’uti-lizzo di celle a combustibile reversibili e la prototipazione di veicoli a impatto zero elettrico equivalente. Coinvolti gli Istituti Cnr di Napoli, Messina, Bari, Pa-dova e Parma, aziende motoristiche e di componentistica per impianti con fonti rinnovabili.‘Energia da fonti rinnovabili’. Il progetto è focalizzato sulle tecnologie per il fotovoltaico di prossima genera-zione e sulle tecnologie per la biopro-duzione di idrogeno attraverso processi economicamente e ambientalmente più convenienti. In particolare, nel fotovol-taico di prossima generazione, è stata si-glata la collaborazione degli Istituti Cnr (Itm Cosenza, Nnl Lecce, Iccom Bari, Ipcf Messina, Imm Catania, Ismn Paler-mo, Icb, Ictp e Imcb Napoli) con im-prese quali X Group, Tozzi Renewable Energy e Dyesol Italia, intenzionate ad applicare a livello industriale i risultati di innovazione tecnologica. Per la biopro-duzione di Idrogeno, accanto ad alcune Pmi ubicate nel territorio campano, una multinazionale italiana di grande rilievo è pronta a localizzare nel Mezzogiorno una linea di attività per rendere energe-ticamente sufficiente i propri impianti di produzione nel settore food. ‘Ambiente mare - Gestione soste-nibile della pesca nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia’. Questo pro-getto vuole sviluppare e implementa-re tecnologie per la gestione sostenibi-le della pesca ed essere uno strumento utile a una nuova fase di sviluppo delle attività ittiche nelle regioni meridionali, che permetta di conciliare redditività ed eco-compatibilità: osservazioni dell’am-biente marino in tempo reale, informa-zioni dirette ai pescatori per la gestione dello sforzo di pesca, radar costieri per il monitoraggio di aree critiche. Cruciale in tal senso è la collaborazione della rete scientifica del Cnr – Iamc di Mazara del Vallo, Capo Granitola, Messina e Ori-stano, Ismar di Foggia e Isac di Lecce e Roma - con il Mipaaf, le cooperative di pescatori, le organizzazioni di categoria, le capitanerie di porto e gli assessorati regionali.‘Geotermico Italia Meridionale’. Questo progetto di ricerca è focalizzato

sullo sfruttamento del potenziale geo-termico non convenzionale per la pro-duzione di energia elettrica e sulla rea-lizzazione di un atlante aggiornato delle risorse geotermiche. Il progetto preve-de anche attività di formazione e in-formazione a operatori scientifici, tec-nici e amministrativi per incrementare le competenze sui vari aspetti dell’e-nergia geotermica, in particolare quella non convenzionale. Tra gli Istituti Cnr coinvolti: Iamc e Irea di Napoli, Imaa di Potenza, Irpi di Cosenza e Bari, Igag di Cagliari e Roma, Irsa di Bari e Roma.‘Conoscenze integrate per soste-nibilità e innovazione del Made in Italy agroalimentare’. L’obiettivo del progetto è aumentare la conoscenza del patrimonio genetico di microorganismi, piante e animali, che sono alla base dei prodotti Made in Italy per migliorare la sostenibilità e la qualità della produzio-ne agroalimentare. Tra gli altri obietti-vi e le azioni del progetto, anche una rete di diagnostica avanzata ed efficien-te per la qualità, tracciabilità e sicurezza alimentare; nuovi prodotti e/o processi di interesse per l’industria alimentare e per l’interazione alimentazione-salute; comunicazione, informazione ed edu-cazione con strutture pubbliche e atto-ri del sistema produttivo. Collaborano Istituti del Cnr di Bari, Lecce, Napo-li, Palermo, Cosenza, Catania, Avellino, Sardegna e Lazio. Il Cnr già collabora con gruppi di Pmi in laboratori ‘pubbli-co-privati’ e in programmi finanziati da Ministeri, Regioni e Ue oltre che in di-stretti tecnologici e consorzi. Il Cnr im-pegna nel settore agroalimentare circa 900 persone, di cui circa due terzi ope-rano nelle Regioni e Province indicate dal progetto. ‘Genetica, medicina predittiva, svi-luppo di diagnostici e farmaci in-novativi’. Le attività di ricerca del pro-getto ‘FaReBio di Qualità’ (farmaci e reti biotecnologiche di qualità) mirano alla identificazione di nuove molecole per la cura di tumori farmaco-resisten-ti, malattie ereditarie rare, patologie au-toimmuni e sclerosi multipla e di inte-gratori alimentari per la prevenzione su base scientifica delle malattie. Il proget-to prevede due linee di attività: dal gene al farmaco e nuovi prodotti nutrizio-nali per la salute. Tra le collaborazioni, gli Istituti Cnr di Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia e un network esterno di collaborazioni con oltre 20 imprese, università e centri di ricerca anche esteri.

Progetti per il Mezzogiorno Ricerca e innovazione in 6 aree di attività

ROMA, venerdì, 11 febbraio 2011 (ZE-NIT.org).- Il dialogo tra credenti e non credenti non deve limitarsi a cercare un minimo comun denominatore, ma af-frontare le questioni fondamentali della vita di ogni essere umano.

Il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presi-dente del Pontificio Consiglio della Cul-tura, lo ha sottolineato in un’intervista ri-lasciata alla “Radio Vaticana” in vista della presentazione, all’Università di Bologna, del “Cortile dei Gentili”, la nuova strut-tura vaticana – inserita nel contesto del dicastero – creata per favorire l’incontro e il dialogo tra credenti e non credenti.

Il “Cortile dei Gentili” era in origine quello spazio dell’antico Tempio di Ge-rusalemme non esclusivamente riservato agli israeliti. Tutti vi potevano accedere liberamente, indipendentemente da cul-tura, lingua o orientamento religioso.

La creazione della nuova struttura è la conseguenza delle parole che Papa Bene-detto XVI ha pronunciato il 21 dicembre 2009: “Penso che la Chiesa dovrebbe an-che oggi aprire una sorta di ‘cortile dei gentili’ dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero”.

La presentazione all’Università di Bolo-gna, primo ateneo laico europeo, ha pre-ceduto il varo internazionale della strut-tura, in programma a Parigi il 24 e il 25 marzo.

L’ateneo bolognese, ha affermato il Pre-sidente del dicastero vaticano, “ha voluto idealmente rinverdire l’antica tradizione delle ‘questioni disputate’ - come si usa-va dire allora - tra credenti e non cre-denti in questo caso, mentre allora era tra le diverse opinioni e le diverse tesi. Sarà costituito da quattro docenti che, a loro modo, interloquiranno e presenteranno profili differenti, nei quali può accadere lo scontro e il dialogo tra credenti e non credenti: il diritto, la filosofia, la letteratu-ra e la scienza”.

“Un’attrice intervallerà questi momen-ti con la voce dei grandi del passato - Pascal, la voce di Agostino, ma anche la voce Nietzsche - in modo che si mostri che questo dialogo è un dialogo che af-fonda le sue radici anche in un lontano passato”.

Secondo il Cardinal Ravasi, il rischio eventuale del dialogo con i non creden-ti “potrebbe essere soltanto quello di un dialogo accademico, un dialogo che alla fine semplicemente trovi quel minimo comune denominatore”.

“Mi sto battendo perché non si corra questo rischio”, ha confessato. “Voglio che si pongano veramente questioni ra-dicali - questioni di antropologia, quindi bene e male, vita e oltre vita, l’amore, il dolore, il senso del male - domande che siano sostanzialmente alla base dell’espe-rienza umana”.

Gli obiettivi del Cardinale sono anche

altri: “che, per esempio, ci si interroghi sulla qualità della teologia, proprio per far comprendere che la teologia non è un relitto del paleolitico, del passato, è in-vece una disciplina che ha un suo statuto, una sua tipologia di metodo, è un altro sguardo dato alla realtà”.

Allo stesso modo, sottolinea la “spiritua-lità dell’ateo, perché la trascendenza non è soltanto ciò che insegna la teologia, è anche insita nella ragione stessa, la qua-le di sua natura vuole sempre andare ol-tre e, quindi, alla fine anche interrogarsi sull’oltre e sull’altro in assoluto”.

“Sono molte le piste, i percorsi che vo-gliamo proporre, tutti comunque di una certa provocazione”, ha indicato.

Per il porporato, non c’è il rischio di proselitismo che alcuni hanno paventato. “Sappiamo, e non bisogna mai negarlo, che le religioni di loro natura non sono solo informative, sono anche performa-tive, cioè vogliono formare le coscienze, vogliono dare il senso caloroso del mes-saggio che portano”, ha osservato, ma questa è anche una tendenza “dell’atei-smo serio”.

Quanto all’evento parigino, il Cardi-nal Ravasi ha detto che “si tratterà di un evento particolarmente complesso, vasto, perché sono coinvolte le presenze più alte della cultura francese”.

“I momenti fondamentali sono sta-ti quattro: il primo momento sarà alla

Sorbona e vedrà un dialogo tra intellet-tuali; il secondo momento si terrà all’U-nesco, dove verrà invece affrontata più la dimensione socio-politico-culturale; il terzo momento sarà rappresentato da un luogo esclusivo, dove saranno per ec-cellenza i membri ad essere interlocuto-ri e cioè l’Accademia di Francia, la ce-lebre ‘Coupole’; nel quarto momento, infine, abbiamo voluto allargare questo ‘Cortile’ ed entrare in un cortile spazia-le, l’immensa piazza che si trova davanti alla Basilica di Notre-Dame, dove saran-no convocati i giovani, che assisteranno certamente ad uno spettacolo, ma che avranno anche l’occasione per poter var-care - forse - questo ‘Cortile’ ed entrare - se lo vogliono - credenti e non credenti, all’interno del Tempio, dove la comuni-tà di Taizé preparerà un modulo di pre-ghiera per mostrare anche ai non creden-ti come il credente invoca il suo Dio”.

Gli incontri di Bologna e di Parigi saran-no solo i primi di una serie di iniziative internazionali.

Dopo i progetti per Tirana e Stoccol-ma, “si pensa poi di varcare l’Oceano e di andare in Paesi più remoti, partendo dagli Stati Uniti dove c’è già un interesse a Chicago e a Washington; e poi ancora in Paesi dove il cattolicesimo non è pre-sente in maniera significativa, ma dove è presente una religiosità di altro genere: pensiamo all’Asia”.

Card. Ravasi: il dialogo con i non credenti affronti questioni radicali

Commenta la presentazione del “Cortile dei Gentili”

Una festa per ripensare l’Italia futura

Il ricordo dei 150 anni dell’Unità d’Italia non dovrebbe esaurirsi nella pur do-verosa celebrazione dell’evento, ma dovrebbe particolarmente fornire l’occa-sione per un’approfondita riflessione relativamente alla nascita del nostro stato

nazionale e - come ha detto il Presidente Napolitano - alla sua rinascita su basi democratiche nel segno della costituzione repubblicana.E questo per affrontare adeguatamente il futuro.Un riferimento per tale riflessione potrebbe essere costituito dal 1961, centenario dell’Unità.

In non molti anni, dalla fine della guerra, dalla Costituzione, in forza della volontà di rinascita e insieme del rigore e dell’impegno dei go-vernanti, l’Italia seppe ottenere si-gnificativi risultati.In quel 1961, tra l’altro, il PIL sfio-rò un incremento dell’8% e la di-soccupazione si attestò al 3,4%. E il balzo in avanti compiuto dal nostro paese aveva ricevuto del resto auto-revoli riconoscimenti in ambito in-ternazionale: l’Oscar delle monete alla nostra Lira, la definizione di un “miracolo economico” per lo svi-luppo conseguito.Il progresso fu dovuto al fatto che l’opera di ricostruzione è stata col-legata a profonde riforme econo-mico-sociali e a concrete iniziative di modernizzazione, funzionali allo

sviluppo e alla solidarietà. E ciò in un ampio ventaglio di settori (agricoltura, in-dustria, energia, fisco, casa, scuola, lavoro).La ricostruzione e il progresso non furono solo economici e sociali ma anche civili e democratici. E in politica estera l’Italia raggiunse un ruolo di punta in Europa e nel Mediterraneo. Dalla riflessione su tali vicende possono trarsi indicazioni anche per il presente, ai fini di un’unità che risulti frutto di un’intesa etico-civile, prima ancora che territoriale, politica e giuridica. Per motivare i problemi economico-sociali oggi si invocano spesso le difficoltà derivanti dalla crisi internazionale.Ma non sono da dimenticare quali fossero le grandi difficoltà del nostro paese nel-la fase precedente all’anno centenario. Eppure l’impegno di cittadini e governanti fece fare allora importanti passi in avanti. Il che significa che il nostro popolo ha grandi potenzialità, grandi risorse di passione e di lavoro, ma queste devono esse-re valorizzate. La politica non può oggi tenere un atteggiamento di rassegnazione rispetto all’esistente, e ciò in particolare su due questioni tra loro collegate: lavoro e istruzione.Il lavoro deve essere il primo punto in ogni agenda politica, particolarmente in re-lazione alle donne e ai giovani. Abbiamo tra l’altro il triste primato in Europa per numero di giovani tra i 15 e i 30 anni che abbandonano gli studi, non lavorano, hanno gettato la spugna.Tale problema collegato a quello della crescita è certamente difficile, ma non si può certo risolvere con ininfluenti riforme costituzionali, come surroga al conti-nuo rinvio delle riforme economiche di impatto reale.Per il lavoro, la Costituzione si tratta non di riformarla, ma di attuarla. I Padri die-dero priorità assoluta al tema del lavoro, non a caso ponendolo all’articolo 1 gli stessi estensori dell’articolo si impegnarono, divenuti governanti, a darvi attuazio-ne.È da ricordare che la mancanza di lavoro per i giovani porta anche ad una serie di altre gravi conseguenze, agli effetti del matrimonio, dei figli… Del resto si dice che questa già sia, nel dopoguerra, la prima generazione della decrescita, un paese che non dà prospettive alle giovani generazioni non le ha per se stesso.Collegato al tema del lavoro è quello dell’istruzione. I Padri vedevano con lun-gimiranza nel potenziamento dell’istruzione il motore dello sviluppo economico del paese oltre che di quello democratico e civile e dell’avvicinamento tra ceti. Coerentemente misero in atto significative riforme, negli anni 60 l’impegno in materia divenne prioritario nel bilancio dello stato. Dovrebbe essere quindi modi-ficata l’attuale logica, non selettiva, che comporta tagli in tale settore fondamenta-le: come si conciliano infatti queste posizioni con l’economia dei paesi sviluppati e di quelli emergenti che fanno a gara nel potenziare gli investimenti nel capitale umano?Queste riflessioni specifiche sul lavoro e sull’istruzione (che andrebbero accom-pagnate da quelle sulla carenza di iniziative relative all’Europa e al Mediterraneo proprio in una fase in cui in quest’ultima area si stanno vivendo ore decisive) por-tano a considerazioni più generali.Alla necessità del ritorno alla politica, quella vera, non quella del pensiero “breve” o addirittura del non pensiero, essendo sostituito questo dalla politica spettacolo. I Padri invece avevano l’attitudine a guardare “lontano”.De Gasperi affermava: “La differenza tra un politico e uno statista è che un politi-co pensa alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni”. L’Unità si persegue adeguatamente quando dimostra che si opera effettivamente in funzione dei valori e della soluzione dei problemi concreti, per il bene e non dei singoli. Si sta sviluppando un circolo vizioso: al declino economico si accompagna un decli-no civile con un solco tra politica e cittadini.Questa occasione dei 150 anni dell’Unità dovrebbe quindi essere utilizzata per indispensabili riflessioni e conseguenti comportamenti, per ritrovare la rotta che portò l’Italia ad essere giudicata, proprio nel 1961 dal Presidente Kennedy come “l’esperienza più incoraggiante del dopoguerra”

Carlo Fracanzani

Favorire gli investimenti in ricerca delle PmiAccordo tra Consiglio Nazionale delle Ricerche, Rete Ventures e Mediocredito Italiano. Una sinergia capillare in tutta Italia tra oltre 100 istituti Cnr e circa 6.000 sportelli intesa sanpaolo per finanziare lo sviluppo. Un ulteriore passo avanti verso l’innovazione e il technology transfer

Page 8: L'Ermetico Errante giugno 2011

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ROMA, (ZENIT.org).

Il tema della vita è molto presente nel-la Caritas in veritate (CV), non però come un argomento tra gli argomenti, ma come un principio chiave di tut-ta la sapienza sociale e politica. La CV tratta esplicitamente del tema della vita soprattutto nei paragrafi 28, 44, 48, 74 e 75. Interessanti precisazioni ci sono anche nel n. 51 che riguarda l’impe-gno della Chiesa per la protezione del creato su cui tornerò alla fine. Dall’e-same di questi paragrafi si vede molto bene come la logica della vita influisca sulla generalità delle politiche, relative a tutti gli ambiti e che non possa asso-lutamente essere confinata in un ambi-to specifico.Nel paragrafo 28, per esempio, si dice che “Se si perde la sensibilità persona-le e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di acco-glienza, utili alla vita sociale, si inari-discono. L’accoglienza della vita tem-pra le energie morali e rende capaci di aiuto reciproco”. In altre parole il di-sprezzo della vita corrompe il “capitale sociale” (n. 32) di una comunità poli-tica, ecco perché “l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo”.Nel paragrafo 44 si parla delle politi-che demografiche. L’enciclica ribadisce i già arcinoti danni economici dell’in-verno demografico – dalla crisi dei si-stemi di welfare all’impoverimento delle reti di solidarietà intergenera-zionale, ma soprattutto conferma l’i-dea che la crescita demografica è anche un valore economico: “Grandi nazioni sono potute uscire dalla miseria anche

grazie al grande numero e alla capa-cità dei loro abitanti” – il pensiero va automaticamente a Cina ed India. “Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cru-ciale per le società di avanzato benes-sere”. Quante politiche sociali hanno a che fare con la denatalità? In occasio-ne della recente crisi finanziaria alcuni osservatori hanno messo in evidenza come essa abbia avuto all’origine pro-prio la crisi demografica, che avrebbe rarefatto il mercato e spinto le imprese, complici i prodotti finanziari derivati, a vendere a credi-to con grande faci-lità. Non è che un esempio delle pro-fonde connessio-ni tra denatalità e povertà economica nel lungo periodo.Nel paragrafo 48 si analizza il legame tra ecologia naturale ed ecologia del rispetto della vita uma-na. Il paragrafo ha una naturale prose-cuzione nei nn. 74 e 75 sulla valenza sociale e politica della bioetica. Leg-giamo qui uno dei passi più inquietan-ti dell’intera enciclica. Il papa ha appe-na parlato di aborto, di pianificazione eugenetica delle nascite e di mens eu-tanasica. Poi così prosegue: “Chi po-trà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire per l’indifferenza per le situazioni umane di degrado se l’in-differenza caratterizza perfino il nostro

atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettivi-tà arbitraria di quanto oggi viene pro-posto come degno di rispetto. Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco ri-schia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai in-capace di riconoscere l’umano”.Stupisce anche come tanti tra gli stessi cattolici, compresi organismi e istitu-zioni religiose in prima linea sul fron-te dello sviluppo e perfino conferenze episcopali, non abbiano ancora com-preso questo nesso inscindibile che

lega tra loro il ri-spetto della vita e l’autentico svilup-po. Anche il con-cetto di ecologia ambientale scivola verso interpreta-zioni ideologiche – l’ecologismo – se non è strettamente legato all’ecologia

naturale umana, il cui primo princi-pio è il rispetto della vita: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il con-cepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrio-ni umani alla ricerca, la coscienza co-mune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale” (n. 51).Come si può vedere da queste osser-vazioni, il tema della vita è all’origine di ogni riflessione sulla società, la sua natura e i suoi scopi ed è anche stret-tamente connesso con tutti gli aspetti

della politica, per cui si può veramen-te dire che con esso o contro di esso tutto cambia. Non faccio in questa sede la rincorsa alle possibili politiche sociali per dimostrare questo assun-to. Un interessante esempio di questa centralità politica del diritto alla vita ci è stato fornito dai vescovi degli Sta-ti Uniti sia durante la campagna elet-torale americana del 2008 sia in occa-sione del dibattito per l’approvazione della riforma sanitaria in quel paese. Durante la campagna elettorale mol-ti vescovi hanno insistito sulla priorità politica del tema del-la vita, altri si erano invece attestati con-tro la logica del “sin-gle issue”, sostenen-do che c’è sì l’aborto ma anche la povertà o l’immigrazione. Ad un certo punto è ve-nuto un fondamentale chiarimento da parte dei vescovi del Texas, poi fatto proprio dalla conferenza episcopale. I vescovi texani hanno fatto notare che mentre il tema della povertà, oppure quello dell’im-migrazione, ammette molte soluzioni e quindi lascia spazio a scelte pruden-ziali di carattere politico, quello di non uccidere è un divieto morale assoluto che come tale non ammette deroghe. Esso quindi non può essere posto sul-lo stesso piano di altre esigenze. Del resto questo era stato già autorevol-mente detto dalla Nota dottrinale del-la Congregazione della Fede circa al-cune questioni riguardanti l’impegno

e il comportamento dei cattolici nella vita politica del 2002. È anche presen-te nell’ordinario magistero di Bene-detto XVI ed ha trovato un momen-to molto espressivo nella indicazione dei cosiddetti principi non negoziabili e nell’dea che la democrazia non è un compromesso al ribasso perché il bene comune non è il minor male comune.Nel dibattito sulla riforma sanitaria, i vescovi americani sono intervenuti in molti modi, tra i quali tramite due let-tere indirizzate al Congresso in cui si puntualizzavano le critiche al testo di

legge, lo si con-frontava con le preceden-ti disposizioni de l l ’amm in i-strazione repub-blicana e si face-vano concrete proposte giu-ridiche ed am-ministrative al riguardo. L’im-pegno della

Chiesa cattolica americana su questi temi è encomiabile e le statistiche di-cono che ormai i fronti pro choice e pro life si equivalgono numericamen-te, fatto questo che ha forse indotto il presidente Obama a togliere nella ri-forma la parte riguardante il diritto alla vita.Vorrei concludere con una riflessione su un aspetto di grande interesse e im-portanza a mio parere. Il paragrafo n. 51 dice che “la Chiesa ha una gran-de responsabilità per il creato”. Si trat-ta di una affermazione dalle molteplici

fondamentali conseguenze che possia-mo capire meglio ricordando quanto Benedetto XVI ha detto nel dicem-bre scorso in un memorabile discorso alla curia romana per gli auguri nata-lizi. “Poiché la fede nel creatore è una parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli soltanto il messaggio della salvezza.Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa responsabili-tà anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appar-tenenti a tutti. Deve proteggere an-che l’uomo contro la distruzione di se stesso. È necessario che ci sia qualco-sa come una ecologia dell’uomo intesa nel senso giusto. Non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e come donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato… Le fore-ste tropicali meritano, sì, la nostra pro-tezione, ma non la merita meno l’uo-mo come creatura”. Il tema della vita (e della famiglia) si colloca quindi nel punto stesso in cui la missione pubbli-ca della Chiesa incontra la politica. La Chiesa non cederà mai su questo pun-to; i cattolici non cesseranno di impe-gnarsi in questo campo, la politica non riuscirà mai a liberarsi di questa spina nel fianco.

di Stefano FontanaDirettore dell’Osservatorio Internazionale “Car-dinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa www.vanthuanobservatory.org.

Dottrina Sociale e Bene ComuneIl diritto alla vita e le politiche sociali nella “Caritas in veritate”

ROMA, (ZENIT.org).

In un discorso pronunciato in occa-sione della riapertura delle scuole dopo le festività per l’inizio del nuovo anno persiano e afghano - il “Nowruz” -, il presidente dell’Afghanistan, Hamid Karzai, ha lanciato il 23 marzo scorso un appello ai talebani perché pon-gano fine ai loro attacchi contro le scuole del Paese, specialmente con-tro gli istituti femminili. “Incen-diare scuole è un atto codardo”, così ha detto Karzai (BBC, 23 marzo). I talebani e gli altri gruppi estremisti dovrebbero capire - ha ribadito il pre-sidente - che prendere di mira le scuole

e dare fuoco a edifici scolastici è sin-tomo di “inimicizia” verso la nazione. “Non distruggete il futuro di que-sta povera, sofferente nazione, che finalmente ha alcune opportunità”, ha implorato Karzai, spiegando che “la scuola è un luogo pubblico dove i figli e le figlie di questo Paese impa-rano come servire la nazione”. “Se volete che le truppe straniere lascino il paese, allora permettete ai figli e alle figlie dell’Afghanistan di essere istruiti”, ha aggiunto molto signi-ficativamente il capo dello Stato. Solo tre mesi fa, il ministro dell’Educa-zione di Kabul, Ghulam Farooq War-dak, si era dimostrato ancora ottimi-

sta. Intervistato a Londra dal Times Educational Supplement (14 gennaio), Wardak aveva affermato che i tale-bani - ironicamente la parola vuole dire “studenti”, ovvero delle scuole coraniche – stavano per abbandonare la loro opposizione all’educazione. “È un cambiamento di atteggiamento, è un cambiamento comportamentale, è un cambiamento culturale”, aveva sot-tolineato Wardak. “Quello che sento dire ai livelli più alti dei talebani è che non si oppongono più all’istru-zione, e neppure all’istruzione delle ragazze”, aveva continuato il ministro. Durante il breve dominio dei talebani sull’Afghanistan, durato dal 1996 fino

all’invasione statunitense nel 2001 e caratterizzato da una cruente appli-cazione della legge islamica o shari’a (incluse le amputazioni e la lapidazione pubblica), era proibito ad esempio alle ragazze di andare a scuola. Secondo le stime dell’UNICEF, sotto il giogo talebano appena due milioni di bam-bini afghani frequentavano la scuola e la partecipazione delle donne o ragazze era più o meno inesistente. Oggi invece, a dieci anni dalla caduta del regime, le iscrizioni scolastiche sono aumen-tate “in modo strabiliante”. Secondo i dati del ministero dell’Educazione di Kabul, attualmente circa 8,3 milioni di bambini vengono scolarizzati - o ssia 500.000 in più rispetto al 2010 -, il 39% dei quali sono bambine e ragazze. Ma la strada da percorrere è ancora lunghissima e molto insidiosa. Si cal-cola infatti che meno di un terzo della popolazione dell’Afghanistan è alfa-betizzato e che ben 4 milioni di bam-bini afghani (in maggioranza fem-minucce) non frequentano la scuola. Anzi, secondo un rapporto pub-blicato il 24 febbraio scorso sotto il titolo “High Stakes: Girls’ Education in Afghanistan” da un gruppo di 16 ONG e associazioni umanitarie, fra le quali Oxfam e CARE, la continua violenza, la povertà e la mancanza di investimenti rischiano di annichi-lire i frutti della campagna “Back to School” che ha permesso a milioni di bambini afghani di ritornare sui ban-chi di scuola. Anche se nel corso degli ultimi due anni sono state costruite nel Paese centro-asiatico 2.281 scuole, quasi nella metà dei casi (il 47%) man-cano veri e propri edifici scolastici. Finora, gli estremisti islamici non hanno mai smesso i loro attacchi inti-midatori nei confronti del neonato sistema scolastico afghano. Secondo quanto riferito dall’agenzia Associa-ted Press, l’esplosione di una bomba ha

ucciso martedì 15 marzo nel capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, Jalalabad, il preside della Najmul Jihad School, Bahram Khail Salehi, e ferito altri due insegnanti dell’istituto. Sabato 26 giugno 2010, alcuni sospetti tale-bani avevano decapitato nella pro-vincia orientale di Ghazni il preside della Al Berooni School, Sakandar Shah Mohammadi. Lo stesso giorno, estremisti islamici avevano incendiato anche due scuole elementari nell’area di Zardalo, nel sud del Paese (Deutsche Presse-Agentur, 27 giugno 2010). Del resto, come ha ricordato un rap-porto della nota organizzazione per i diritti umani Amnesty Internatio-nal, pubblicato nell’aprile del 2007 con il titolo “Afghanistan All who are not friends, are enemies: Taleban abuses against civilians”, il codice o manuale militare dei talebani (noto come “Laheya”) prevede esplicita-mente le intimidazioni nei confronti degli insegnanti e del personale scola-stico e anche la loro uccisione se dopo un primo e un secondo avvertimento continuano comunque l’attività. Un’altra feroce “tattica” usata dai tale-bani e simili prende di mira diretta-mente le alunne delle scuole. Spesso viene gettato loro sul volto dell’acido per sfigurarle per il resto della vita, anche se poi molte non si fanno inti-midire e appena possono riprendono i corsi, come nel caso di Shamsia Hus-seini e compagne. Come ha raccon-tato il New York Times (13 gennaio 2009), due mesi dopo aver subito nel novembre 2008 un attacco all’acido la coraggiosa ragazza e 10 delle sue com-pagne (erano state colpite anche quat-tro insegnanti) erano di nuovo al loro posto nei banchi della Mirwais School for Girls a Kandahar, capoluogo dell’o-monima provincia meridionale. Nel loro tentativo di smorzare il deside-rio di studiare nelle ragazze, gli estre-

misti hanno persino riempito intere aule scolastiche di gas tossici, una “tec-nica” utilizzata soprattutto nelle zone a maggioranza Pashtun (NYT, 31 ago-sto 2010). Ma anche se i talebani sono riusciti ad intossicare decine di ragazze ed insegnanti di varie scuole, fra cui la Zabihullah Esmati High School, situata in un quartiere periferico della capitale Kabul, l’attività scola-stica è stata ripresa molto rapidamente. L’oltranzismo talebano non si limita al solo Afghanistan: ha superato infatti i confini e si è diffuso anche in alcune regioni del Pakistan. Venerdì 25 marzo, sconosciuti hanno fatto saltare in aria due scuole elementari per ragazze nell’area di Landi Khotal, nella zona tribale Khyber Agency (nel nordovest del Paese). Secondo quanto riferito da Radio Free Europe/Radio Liberty (25 marzo) Hasham Khan Afridi, respon-sabile per l’Educazione nella Khyber Agency, circa 1.200 bambine frequen-tavano i due istituti femminili nel vil-laggio di Sultankhel. Con gli ultimi due attacchi dinamitardi, il numero delle strutture scolastiche fatte esplodere dal 2009 nella regione è salito ad almeno 38. Nella stessa zona, che ospita lo strate-gico passo di montagna Khyber, che collega il Pakistan all’Afghanistan, militanti islamici avevano distrutto solo due settimane fa, cioè giovedì 10 marzo, un’altra scuola governativa per ragazze, la Haji Yaseen Khan School. Secondo le stime di RFE/RL, gruppi estremisti hanno fatto saltare in aria più di 700 scuole nei distretti pachistani di Swat, Buner, Dir e Peshawar, e nelle Aree tribali di amministrazione fede-rale (FATA in acronimo inglese) di Bajaur e di Mohmand, la maggioranza delle quali erano istituti per ragazze, impedendo loro di continuare gli studi.

di Paul De Maeyer

L’Afghanistan affronta la sfida dell’istruzione A 10 anni dalla caduta dei talebani, ora anche le ragazze possono studiare

“Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo

ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua

porta”

“E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a

tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione

di se stesso.”

Page 9: L'Ermetico Errante giugno 2011

9Lombardia

“Palazzo Lombardia è certa-mente una sede istituzio-nale e un luogo di lavoro

di straordinaria funzionalità e moderni-tà, ma è anche un monumento all’Italia delle autonomie”. Sono parole del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha evidenziato la “significativa coincidenza tra l’inaugurazione dell’edificio regio-nale e le celebrazioni del 150° dell’Italia unita”. A Palazzo Lombardia Napolita-no è stato accolto dal presidente Rober-to Formigoni, con il quale si è intratte-nuto per 20 minuti a colloquio privato nell’ufficio al 35° piano, poi è salito al belvedere del 39° (dove ha ricevuto le chiavi simboliche del Palazzo) per en-trare infine nella Piazza Città di Lom-bardia, la grande piazza coperta, gremita di dipendenti regionali e di autorità, per la cerimonia dell’inaugurazione, aperta dalle note dell’Inno di Mameli. Erano presenti numerose personalità istituzio-nali, politiche, militari e civili: il vice-presidente Andrea Gibelli, gli assesso-ri della Giunta regionale, i consiglieri regionali con il loro presidente Davide

Boni, i vicepresidenti di Camera e Se-nato, Maurizio Lupi e Rosy Mauro, il prefetto Lombardi, i presidenti di Pro-vincia, il sindaco di Milano Letizia Mo-ratti, centinaia di sindaci in fascia tri-colore, figure di spicco dell’economia, vertici delle forze dell’ordine. Il cardi-nale di Milano, Dionigi Tettamanzi, ha impartito la benedizione e commenta-to il passo delle lettere di San Paolo (la prima ai Corinti, cap. 12) dove si parla di comunità, che, analogamente al cor-po, “ha diverse membra ma è una sola”, per dire che “le specificità devono ten-dere al bene comune”. A fare gli onori di casa, insieme al presidente Formigo-ni, il segretario generale Nicola Sanese e il sottosegretario alla Presidenza Pao-lo Alli.

L’OPERA COMPLETATA - È questa la seconda visita del presidente Napoli-tano alla nuova sede della Regione. La prima volta fu il 6 dicembre del 2007, a lavori appena iniziati, quando, dove ora sorgono gli edifici curvilinei di vetro e la torre di 161 metri, c’era solo un enor-

me scavo. Lo ha ricordato Formigoni nel suo intervento, in cui ha espresso a Napolitano “la gioia e la commozio-ne” per la sua presenza, insieme all’2or-goglio di mostrare al capo dello Stato questa grande opera completata”, “in-titolata ‘Palazzo Lombardia’ dall’esito di un sondaggio web di 100.000 persone”, “edificio di governo concepito e com-missionato perché parlasse di noi, della comunità lombarda, dei nostri territori, delle nostre città, della nostra concezio-ne della vita, del lavoro e della socie-tà civile”. I progettisti (Pei, Cobb, Fried & partner) studiarono e fotografarono ogni angolo della Lombardia, per “ap-propriarsi delle sue specificità, le acque, le foreste, il verde, le città, e trasmetterle nell’edificio e nelle sue forme”.

MODELLO DI GOVERNO - Formi-goni ha anche sottolineato che Palazzo Lombardia “affianca e dialoga con il Pi-relli” (che rimane patrimonio della Re-gione e sarà utilizzato soprattutto per il Consiglio), “con la sua trasparenza vuole esprimere un’idea di governo sussidiario

e non sovrastante la società”, è “l’unico che raggruppa insieme tutte le funzioni di una pubblica amministrazione, a be-neficio di cittadini e imprese”, ha im-pianti ecologicamente all’avanguardia a emissioni zero, e tra breve ospiterà ser-vizi e funzioni aperte al pubblico, crean-do vita 24 ore al giorno ed evitando “il rischio dopo le ore di ufficio di un luo-go deserto e magari pericoloso”, come è stato per vari grattacieli pubblici nel mondo.

FEDERALISMO - Ma anche un altro “grazie” ha espresso il presidente della Lombardia al capo dello Stato, il “grazie forte e sentito per il modo straordinario con cui esprime il sentimento dei nostri cittadini e delle nostre comunità, ricor-dando l’appartenenza e la figliolanza ri-spetto alla grande patria che è l’Italia”. “Grazie - sono ancora parole di Formi-goni - per aver sempre sottolineato che l’appartenenza alla nazione si accompa-gna bene con i sentimenti che ognuno di noi prova verso la sua città, la sua re-gione, il luogo dove è nato, vive e lavo-

ra”. “Con questi sentimenti - ha con-cluso Formigoni - guardiamo al futuro consapevoli delle difficoltà ma anche forti della tenacia di tanti nostri gio-vani, cittadini, imprenditori desiderosi di costruire e di competere nel mon-do”. Consapevoli della necessità anche di cambiare l’assetto del nostro Paese: “Abbiamo vissuto i primi 150 anni di un’unità d’Italia con la forma centra-lista, oggi questa forma appare supera-ta. Ed è il federalismo la nuova forma dell’unità italiana”.

UNITÀ E AUTONOMIE - Il capo dello Stato ha dunque preso le mosse dalla definizione data a Palazzo Lom-bardia di “monumento all’Italia delle autonomie”, per sottolineare che l’ “Ita-lia delle autonomie” è un’ “opera inizia-ta dai Costituenti”, “che non possiamo non completare” con la piena e giusta attuazione della riforma del Titolo V. Napolitano ha citato l’art. 5 della Co-stituzione, che “sancisce insieme l’uni-tà inscindibile dell’Italia e la promozio-ne delle autonomie” (comunali, locali,

regionali) e ha ricordato che dovette-ro passare 22 anni perché si istituisse-ro le Regioni, nel 1970, per arrivare ora alla “riforma del Titolo per una svolta più federalista”. “Non possiamo conce-derci il lusso - ha detto - di non com-pletare l’opera: portare a termine, con il massimo di condivisione, l’attuazione del nuovo Titolo V, trovando tutte le ne-cessarie strade di equilibrio e di piena corrispondenza tra ruolo delle istituzio-ni nazionali, in particolare il Parlamento (da riformare in conseguenza di questo processo) e quello di Regioni, Province e Comuni”.

Concetto scritto da Napolitano di suo pugno sul libro degli ospiti al 39° piano: “Inaugurare questa nuova sede di Re-gione Lombardia nei giorni del 150° della nascita del nostro Stato vale a con-solidare il legame profondo tra le auto-nomie nella loro evoluzione federalista e la rinnovata unità nazionale”.

(Ln)

FORMIGONI: IL FEDERALISMO NUOVA FORMA DELL’UNITÀ NAZIONALE

IL CAPO DELLO STATO ALL’INAUGURAZIONE UFFICIALE DELLA SEDE«Inaugurare questa nuova sede di Regione Lombardia nei giorni del 150° della nascita del nostro Stato vale a consolidare il legame profondo tra le autonomie nella loro evoluzione federalista e la rinnovata unità nazionale»

Utilizzare di più e meglio il legno dei boschi lombardi, sfruttandolo per i suoi usi più diversi, ma sempre nel massimo rispetto dell’ambiente. È questo l’obiettivo del Patto filiera bo-sco-legno-energia - sottoscritto lo scor-so dicembre - che negli scorsi mesi, alla presenza dell’assessore ai Sistemi verdi e Paesaggio della Regione Lombardia Alessandro Colucci, ha ufficialmente iniziato i propri lavori.

“Era quanto mai necessaria una cabina di regia, che mettesse un po’ di ordi-ne al sistema – ha spiegato Colucci - e oggi pensiamo davvero di essere riusciti a crearla. Il taglio degli alberi e la corretta manu-tenzione dei boschi non sono un male e, se eseguiti seguendo le norme, sono in-terventi necessari, non solo per rendere sempre più fruibili le nostre aree verdi, ma anche per la messa in sicurezza del

paesaggio e la prevenzione dei dissesti idrogeologici”.“Da questi tagli – ha aggiunto l’asses-sore - si ricava infatti materiale molto richiesto da segherie, cartiere, aziende d’arredamento e perfino da coloro che lo vogliono sfruttare, e lo stanno già fa-cendo, per produrre energia. Il tutto ov-viamente non inquinando”.“Il patto di filiera – ha proseguito l’as-sessore - renderà dunque le nostre fo-

reste una vera leva economica e occu-pazionale”. Il Patto di Filiera, dunque, riunisce attorno ad un unico Tavolo tutti coloro che sono interessati a que-sto uso della legna, pur avendo priorità differenti.Fanno parte del Tavolo Federlegno-ar-redo, Acimall (Associazione costrutto-ri italiani macchine lavorazione legno), Consorzi forestali, Imprese boschi-ve, Associazione pioppicoltori Italiani,

Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Fiper, Federazione produttori energie rinno-vabili, Ordine dei dottori Agronomi e Forestali, Upl e Uncem, che si sono ac-cordati sulla suddivisione dei lavori in tre gruppi tematici (sviluppo e semplifi-cazione; domanda e offerta di mercato; finalizzazione contributi).I risultati delle sessioni saranno illustrati a fine anno nel Rapporto annuale sullo stato delle foreste.

“Vogliamo anche incentivare l’approv-vigionamento locale della legna - ha detto Colucci -. La Lombardia è, infat-ti, una regione che presenta un fortissi-mo comparto della lavorazione e della trasformazione, ma oggi queste capacità sono ancora troppo poco sfruttate. Oc-corre quindi fare sistema e lavorare tutti insieme”.

Energia e complementi d’arredo da scarti legnocolucci: nostre foreste sono leva economica e occupazionale

De Capitani «Agricoltura Bio risorsa per l’ambiente»“Fare agricoltura oggi significa produrre beni primari nel pieno rispetto dell’ambiente, del territorio e della salute dei consumatori. Obiettivi che sono sempre stati propri della agricoltura biologica”.Lo ha affermato l’assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, Giulio De Capitani, intervenendo all’Assemblea nazionale dei produttori biologici Federbio.Rispetto alle preoccupazioni del settore sulla diffusione degli OGM, l’assessore ha ricordato l’impegno condiviso con tutti gli assessori regionali all’agricoltu-ra: “un unanime no alle coltivazioni transgeniche e alla praticabilità di una loro coesistenza con le colture convenzionali”.“L’obiettivo, anche per il settore biologico - ha detto De Capitani - è ridurre la distanza che separa il mondo agricolo dai cittadini, dai consumatori. Come Assessorato all’agricoltura stiamo portando avanti iniziative per introdurre i prodotti bio nelle mense scolastiche”.“Il mondo dell’agricoltura biologica conta 1.169 aziende – ha ricordato De Capitani - che, grazie alle politiche comunitarie, hanno potuto beneficiare di specifiche misure del Programma di sviluppo rurale (Psr): la 214E ‘pagamenti ambientali destinati a produzioni biologiche’ che ha finanziato in 4 anni 700 domande pari a un contributo complessivo di 1,8 milioni di euro; la 132 ‘par-tecipazione ai sistemi di qualità alimentari’ che ha finanziato 500 domande per 270.000 euro e la 133 ‘promozione sui mercati della comunità europea’ con 350.000 euro”.“Anche l’agricoltura biologica - ha concluso De Capitani – deve saper cogliere le opportunità di aggregazione offerte dalle organizzazioni di produttori e dai distretti agricoli, strumenti fondamentali per ottimizzare le risorse delle impre-se in una logica di squadra e per fare fronte a un mercato globale sempre più competitivo”.

Anno delle foreste, tante iniziative

Colucci «il verde fattore decisivo di sviluppo sostenibile»

Un fitto calendario di iniziative è in programma su tutto il territorio regionale per celebrare il 2011 come “Anno internazionale delle Foreste”.Lo ha ricordato l’assessore ai Sistemi verdi e paesaggio della Regione Lombardia, Alessandro Colucci, in occasione dell’avvio ufficiale dell’anno internazionale da parte dell’Onu avvenuta nel Palazzo di vetro a New York.Tra le iniziative al via con l’inizio della primavera l’ormai tradizionale appuntamento con Vivere le Foreste (una serie di eventi ludico-sportivi e culturali che renderanno più fruibili le nostre foreste) e una mostra fotografica d’autore - realizzata in collabo-razione con Assolegno - che, partendo da Milano, toccherà poi tutti i capoluoghi di provincia lombardi.Il 12 luglio Regione Lombardia organizzerà la festa in onore di San Giovanni Gual-berto, patrono dei forestali d’Italia. Le iniziative proseguiranno fino all’inizio dell’au-tunno con distribuzioni di piantine in piazza, piantumazioni simboliche, convegni e momenti di intrattenimento.“Dalle vallate alpine alle distese della pianura - ha detto Colucci - le 20 Foreste re-gionali sono il grande patrimonio verde della collettività lombarda e costituiscono un importante mosaico di ecosistemi naturali, abitati da una straordinaria varietà di fauna e flora. L’appuntamento dell’Anno internazionale delle Foreste sarà l’occasione per conoscerle da vicino e per promuovere quello scambio di conoscenza necessario a fa-vorire una loro gestione sostenibile”.Sul territorio lombardo ci sono circa 620.000 ettari di foreste e boschi (pari al 25,9% del territorio lombardo). Di questi, 23.000 sono di proprietà di Regione Lombardia la cui gestione, tutela e valorizzazione è affidata ad Ersaf, l’ente regionale per la valoriz-zazione e lo sviluppo delle foreste.“Le foreste - ha aggiunto Colucci - sono parte integrante dello sviluppo sostenibile globale. Le attività economiche a loro legate influiscono, infatti, sulle condizioni di vita di 1 miliardo e 600 milioni di persone in tutto il mondo, sono fonte di benefici a livello socio-culturale e costituiscono il fondamento del sapere delle popolazioni indi-gene. Le foreste giocano anche uno ruolo fondamentale nel proteggere la biodiversità e nell’attenuare gli effetti del cambiamento climatico”.Nell’occasione è stato presentato anche il logo dell’iniziativa: un albero stilizzato nella cui chioma sono rappresentate le peculiarità delle foreste

Formigoni: «Golfari maestro di regionalismo»A Palazzo Pirelli il convegno dedicato all’ex presidente(Ln - Milano, 26 mar) “La lezione di Cesare Golfari in tema di autonomia e regionalismo è ancora oggi preziosa per noi che ci avviamo a compiere quel percorso che uo-mini come lui hanno tracciato, con il coraggio delle idee e del pragmatismo, con la lungimiranza che nasce dall’osservazione della quotidianità”. Con queste parole Ro-berto Formigoni ha voluto ricordare la figura dell’ex presidente della Regione Lombardia, Cesare Golfari, negli anni Settanta. Lo ha fatto nel corso di un convegno dal titolo “Ricordo di un politico educatore” organizzato a Palazzo Pirelli dal Consiglio regionale e a cui sono stati invitati, tra gli altri, gli ex presidenti Piero Bassetti, Giu-seppe Giovenzana e Bruno Tabacci.

LA LEZIONE DI REGIONALISMO - “Dobbiamo a uomini come Golfari - ha proseguito Formigoni - se la Lombardia oggi rappresenta anche un punto di riferimento per le trasformazioni politiche e istitu-zionali auspicate per tutto il paese. A uomini come lui dobbiamo la maturazione della nostra idea di fede-ralismo, fondato sull’autonomia e sulla responsabilità, prima che su un nuovo meccanismo di distribuzione delle risorse: un federalismo fondato sull’opportunità di ridisegnare le competenze di servizio e di farvi fronte con risorse proprie”.

IL GRANDE AMMINISTRATORE - “Cesare Golfari - ha sottolineato Formigoni - è stato un grande amministratore, amatissimo dai galbiatesi e dai lecchesi, per i quali fortemente volle la Provincia proprio per le sue competenze di primo cittadino. Tra i suoi primi meriti, mi piace ricordare l’insistenza sull’organizzazione dei servizi a livello intercomu-nale, tramite strumenti giuridici come i consorzi e le società pubbliche. Dall’osservatorio privilegiato della vita amministrativa egli ha potuto comprendere l’importanza di una autonomia locale più spinta”.

L’ACQUISTO DI PALAZZO PIRELLI - Non è solo la lezione in materia di regionalismo e autonomia che Formigoni ha voluto ricordare a proposito di Golfari: “Per le istituzioni lombarde - ha detto - il 2011

è un anno dav-vero straordi-nario: abbiamo inaugurato, solo pochi giorni fa, il nuovo Palaz-zo di Governo della Regione, alla presenza del presidente del-la Repubblica. In questo stesso anno si compirà il trasferimen-to del Consiglio regionale lom-bardo in Palazzo Pirelli che dal 1978, proprio grazie all’inizia-tiva del presidente Golfari, è divenuto proprietà della Regione e suo stesso incon-fondibile simbolo. Questo è un motivo di vicinanza e riconoscenza a Golfari che intuì l’importanza concreta ma anche simbolica di un unico palazzo per l’espletamento delle funzioni regionali, in un momento in cui la Lombardia muoveva i primi passi come auto-nomia locale, a pochi anni dall’approvazione dello Statuto del 1971”. La stessa intuizione - ha proseguito Formigoni - “ci ha guidati a volere fortemente Palazzo Lombardia, con la cui edificazione abbiamo voluto rilanciare anche sim-bolicamente la fisionomia e il compito delle istituzioni come dialogo con la società e i cittadini”.

L’ALTA MISSIONE DELLA POLITICA - L’eredità di Golfari, infine, supera la Lombardia. E non solo perché da senatore promosse l’urgenza di una nuova con-sapevolezza sui temi della salvaguardia ambientale alla guida della Commissione Ambiente di Palazzo Madama, ma anche perché, dedicandosi in maniera totale, “ha testimoniato l’alta missione della politica. Le associazioni politiche e le istituzioni dovevano, secondo lui, soddisfare i bisogni e i diritti essenziali dei gruppi e degli individui, pena lo scoppiare di crisi incon-trollabili. Noi partiamo dalla sua lezione e la ampliamo, lanciando la sfida di una politica capace di pensare a un nuovo modo di fare governo, a una governance completa-mente nuova e adeguata alla domanda di democrazia, un sistema a rete in cui tutti i livelli di governo concorrono a formulare, a proporre, ad attuare le politiche e a verificarne i risultati”.

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10 Arte e cultura

ROMA, lunedì, 7 febbraio 2011 (ZENIT.org).

Nella Costituzione sulla Sacra Litur-gia del Concilio Vaticano II, Sacrosan-ctum Concilium, è scritto che le ope-re d’arte sacra «per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divi-na, che deve essere in qualche modo espressa dalle ope-re dell’uomo e sono tanto più orienta-te a Dio e all’in-cremento della sua lode e della sua glo-ria, in quanto nes-sun altro fine è sta-to loro assegnato se non quello di contribuire il più effica-cemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti de-gli uomini a Dio» (n. 122).Le opere d’arte religiosa e sacra, dun-que, devono “in qualche modo” esprimere la bellezza divina, l’infini-ta bellezza divina, con la quale intrat-tengono una relazione naturale, che è cioè propria della loro natura. Tramite l’espressione della bellezza, e in quanto si orientano verso la Bellezza infinita, esse possono esplicitare il loro “unico” fine di indirizzare “religiosamente” le anime a Dio.Ma che cosa è la bellezza?La tradizione – ma ancor prima di essa e a suo fondamento anche una auten-tica riflessione su quanto consta nella esperienza comune – lega la bellezza ad un’esperienza dei sensi che eccede gli stessi sensi. Già nella speculazione platonica, la bellezza è delineata nella sua complessità di realtà ideale visibi-le per gli occhi. Nel Fedro leggiamo: «Per quanto riguarda la Bellezza, poi, come abbiamo detto, splendeva fra le realtà di lassù come Essere. E noi, ve-nuti quaggiù, l’abbiamo colta con la più chiara delle nostre sensazioni, in quanto risplende in modo luminosis-simo. Infatti, la vista, per noi, è la più acuta delle sensazioni, che riceviamo mediante il corpo. Ma con essa non si vede la Saggezza, perché, giungendo alla vista susciterebbe terribili amori, se offrisse una qualche chiara imma-gine di sé, né si vedono tutte le altre realtà che sono degne d’amore. Ora, invece, solamente la Bellezza ricevette questa sorte di essere ciò che è più ma-nifesto e più amabile»[1].

Anche la tradizione scolastica, legge la bellezza come un godimento che parte dalla conoscenza sensoriale ma la supe-ra; così nel pensiero di San Tommaso, la celeberrima affermazione «Pulchrum est quod visum placet», vuole signifi-care che del bello conta l’apprensione e

in modo speciale il godimento: il bel-lo è “gradevole alla cono scenza”[2], perché il bello ri-chiede di essere “conosciuto” da un essere che ha l’anima razionale.La bellezza si carat-terizza per Tom-

maso come “integritas sive proportio”, ovvero compiutezza, come “debita proportio sive consonantia”, ovvero armonia proporzionale, e come “cla-ritas”, ovvero splendore, corporeo e spirituale. Tutto questo significa un legame stretto tra bellezza ed ordine; già Sant’Agostino affermava che «Non vi è nulla di ordinato che non sia bel-lo: come dice l’Apostolo, ogni ordine proviene da Dio.»[3]Il piacere causato dalla bellezza coin-volge non solo i sensi, ma tutta la per-sona: emozioni e passioni; ragione e intelletto; e si tratta di un piacere non finalizzato all’utile, dunque, è un pia-cere disinteressato, un piacere per pia-cere: cioè un provare piacere di fron-te a qualche cosa che si conosce, senza volerla comprare, possedere, modifica-re, firmare.Il piacere che si gode nella conoscen-za del bello trova ragione nel fatto che le cose belle sono anche vere e buone. Infatti, ci piacciono gli originali, non le imitazioni, ci piacciono le cose buo-ne, non quelle cattive.Anche per i Greci, il tema della bellez-za, indagato radicalmente nel suo spes-sore ontologico, si trova indissolubil-mente legato con il bene.Secondo san Tommaso, il bello e il bene «si identificano nel soggetto, per-ché si fondano sulla medesima realtà, cioè sulla forma, e per questo ciò che è buono è lodato come bello»[4]. Il bello implica una forma che desta ammira-zione e si riferisce all’intelletto, mentre il bene implica una forma che attrae e si riferisce alla volontà. Potremmo dire che il godimento della bellezza è gioia nella conoscenza del bene: unisce co-

noscenza e gioia, coinvolgendo tutta la persona.La bellezza della realtà è un segno del-la bellezza del Creatore. Le perfezioni di Dio sono da noi conosciute a parti-re dalla conoscenza della realtà creata. Ogni bellezza è partecipazione della bellezza divina.Giovanni Paolo II nella Lettera agli Artisti ha scritto: «Per questo la bel-lezza delle cose create non può appa-gare, e suscita quell’arcana nostalgia di Dio che un innamorato del bello come sant’Agostino ha saputo interpretare con accenti ineguagliabili: “Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato!”» (n.16).Le arti della pittura, della scultura e dell’architettura collocate all’inter-no del pensiero cristiano, hanno dun-que il compito di scrutare e descrivere tale bellezza, traducendola, attraverso i mezzi propri di ciascuna disciplina, in un canto di gioia che, esprimendo l’amore di Dio verso l’uomo, sia capa-ce di essere il canto, fatto con arte, che tutta la Chiesa innalza verso il cielo, come ringraziamento.L’artista, dunque, non solo deve co-noscere la bellezza, ma deve contem-plarla, per questo da sempre il primo testimone della verità della bellezza è l’artista; in più l’artista di opere d’arte sacra, per la sua particolare condizione, non può che essere un vero cristiano, che vive la propria vocazione artistica nella costante preghiera.

1) Platone, Fedro, 250 D-E2) Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 27, 1, ad 3um3) « Nihil enim est ordinatum, quod non sit pul-chrum. Et sicut ait apostolus: Omnìs ordo a deo est» Agostino, De vera Religione, cap. XLI (trad. it. a cura di O. Grassi, Milano 1997, pag. 136).4) Tommaso d’Aquino, Summa theol., I, 5, 4, ad 1um.

Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filoso-fia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di que-stioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; spe-cialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica set-timanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.

L’arte sacra e la bellezza Chiara Zanettidi Isabella Falbo

Abbiamo incontrato Chiara Zanetti in occasione del secondo appuntamento di Effefashion, la rubrica dedicata alla moda intesa come prodotto culturale creato con l’obbiettivo di soddisfare i bisogni immateriali dei consumatori, attraverso sintesi formali e figurative portatrici di sensazioni, atmosfere e stimoli della cultura collettiva. Chiara Zanetti (Desenzano del Garda 1974) è fashion accessories designer, nel 2006 ha fondato la propria linea di gioielli carat-terizzata da serie limitate e numerate e rientra nella nuova categoria di creativi definibili Fashion Intellectuals.Le sue creazioni sono realizzate interamente a mano e rigorosamente in pelle, sono sperimentali e raffinate, seguono una ricerca poetica come ogni “opera d’arte” e si possono considerare “piccole sculture indossabili”.

$%• Isabella Falbo: Cara Chiara, il tuo mez-zo espressivo è il “pellame” perché lo consideri materia viva, perché “lo senti” e sentendolo lo interpreti trasformandolo in gioielli che appaio-no sculture…• Chiara Zanetti: Utilizzare il pellame non è stata una scelta calcolata, ma semplice-mente attraverso il mio percorso di sperimenta-zione e ricerca la pelle è diventato il materiale con il quale riesco ad esprimere al meglio la mia creatività.• I.F: Bracciali con rose intagliate effetto ori-gami, lucidati tipo armatura, ritorti effetto opti-cal: le tue creazioni molto apprezzate sono sta-te segnalate su numerose testate di moda e del settore tra cui Elle, Woman on bikes, Fashion, Mood, Collezioni, Accessori, Sei di moda, Sti-le.it, ecc., le tue collezioni sono in vendita in vetrine di prestigio come Barney’s a NY. Fra gli ingredienti del tuo successo quanto pen-si possa essere stato influente il connubio arte/moda? • C.Z: Secondo me, la moda nasce ed invec-chia, l’arte, la vera arte, non ha tempo, il mio pensiero più ambizioso è quello di creare degli oggetti che riescano a vivere in armonia con i mutamenti del tempo mantenendo unicità ed originalità.• I.F. : Tra le tue news la collaborazione con Lankama, Associazione Onlus a favore dell’educazione e della crescita di bambini or-fani dell’India: ho visto alcuni dei tuoi bracciali ricamati dall’atelier di sartoria Ginger Fashion, affascinante connubio di artigianalità italiana e indiana.È possibile considerare questo tuo passo come una condivisione del fenomeno della “moda etica”?• C.Z. Lo definirei etico-sociale in quanto la collaborazione vuole essere in più, un progetto dove Chiara Zanetti e Lankama si uniscono non solo per la produzione dell’oggetto stesso, ma lo scopo è di dare dignità e valore alla per-sona che lo produce.• I.F. Grazie Chiara per la tua disponibilità, in bocca al lupo e buon lavoro.• C.Z: Grazie a te. Un caro saluto. Chiara

ISABELLA FALBO, Chiara Zanetti, in EFFESHION, rubrica a cura di Isabella Falbo, in METODO EFFE, progetto a cura di Silvia Fiorentino, www.metodoeffe.it/direfare/effeshion, 2010

150 anni dell’Unità d’Italia

La “Battaglia della Cernaia” a Palazzo Reale“La Battaglia della Cernaia” dipinta nel 1857 da Gerolamo Induno e appartenente alla collezione di opere d’arte della Fondazione Cariplo è una delle tele al centro della mostra “Le grandi battaglie del Risorgimento”, che ha aperto il 20 marzo 2011 al Palazzo Reale di Milano in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. L’esposizione è dedicata ai dipinti che documentano l’epoca risorgimentale e le sanguinose battaglie d’indipendenza. La “Battaglia della Cernaia” segna il debutto di Induno nel genere della pittura di storia monumentale ispirata alle vicende del Risorgimento, della quale l’artista diventerà uno dei più significativi interpreti. Gerolamo Induno e il fratello Domenico, anch’egli pittore, furono coinvolti in prima persona nei moti delle Cinque Giornate di Milano (18-22 marzo 1848) e presero parte come volontari alle campagne di Giuseppe Ga-ribaldi dieci anni più tardi. All’inaugurazione della mostra è intervenuto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

“L’artista, dunque, non solo deve conoscere la bellezza, ma deve contemplarla, per questo da sempre il primo testimone della verità della

bellezza è l’artista”

A Bologna la settima edizione di Biografilm Festival – International Celebration of Lives, è alle porte: si terrà dal 10 al 20 giugno presso la Manifattura delle Arti (via Azzo Gardino 65).

Gli anni 80 celebrati a Bologna a Biografilm Festival

Dopo Woodstock e l’Italia degli anni’60, a Biografilm 2011 si celebrano gli anni ’80 con ’85 /’86 - L’inizio del futuro. Il mondo globalizzato. La rivoluzione digitale. La coscienza ecologica: i prodromi della globalizzazione, l’avvio della rivoluzione digitale, la fine delle ideologie, il materialismo sfrenato, il risveglio di una coscienza ecologica. Un decennio che sarà raccontato attraverso i suoi anni centrali: il 1985 e il 1986, anni cruciali per cambiamenti importanti che hanno segnato la storia mondiale e che continuano ad influire sul mondo anche dopo 25 anni.

Come ogni anno Biografilm presenterà nella Selezione Ufficiale alcune tra le migliori produzioni cinematografiche internazionali a tema biografico, prodotte negli ultimi due anni e non ancora distribuite in Italia, che saranno in competizione per il Lancia Award | Biografilm Festival 2011, il Best Life Award | Biografilm Festival 2011 e da quest’anno il premio Together che nasce dalla collaborazione con Legacoop Bologna per celebrare le vite di chi ha saputo, attraverso un progetto condiviso, intrecciare la sua con alte biografie. Tutti i premi saranno assegnati da una giuria internazionale, mentre l’Audience Award |Biografilm Festival 2011 sarà attribuito come di consueto dagli spettatori.

Per info: www.biografilm.it.

Moby Dick ovvero i messaggeri dell’Imperscrutabile

(ZENIT.org)

«Per produrre un libro gran-dioso – scrive Herman Melville – si dovrà sce-

gliere un tema grandioso». Secon-do lo scrittore newyorkese la balena è il tema più ampio possibile, eppure, nonostante dia il titolo all’opera, Moby Dick balenerà fuori dalle onde soltanto nelle ultime pa-gine, in un’epifania fulminea e rovinosa. Se ne contempla la possanza attoniti e smarriti, come un uomo che apra gli oc-chi giusto in tempo per veder-si piombare addosso un tre-no. Di YHWH si possono vedere solo le spalle, della balena infuriata soltanto la coda.

Eppure Moby Dick è ossessivamente presente in ogni pagina del ro-manzo: lo col-ma con la sua assenza, in-combe dalle profondità abissali so-pra le qua-li navi-gano i s u o i incau-ti cac-ciator i. A n c h e le molte-

plici digressioni non fanno altro che piegare ogni branca del sapere a un suo tentativo di comprensione. Se in altre opere – dai romanzi picareschi al Viaggio sentimentale di Sterne – le digressioni sono centrifughe, quelle di Moby Dick appaiono invece come

insistite spinte centripete. Più che digressioni paiono in-gressi: porte, finestre, botole, infiniti tentativi di forzare, penetrando da un alto o dall’altro, il

Mistero di cui la balena è messaggero.

I cetacei – «elementi costituti-vi del caos» – sono descritti da Mel-ville come i custodi di ciò che sfugge all’uomo: «il mondo non può risolve-re il mistero di se stesso» e la scien-za «non è che una favola effimera». Moby Dick rappresenta l’implosione del paradigma conoscitivo dell’enci-clopedia: non basta accumulare tutto lo scibile esistente per possedere la re-altà. Così che l’uomo stesso si scruta senza comprendersi: «Queequeg era, nella sua stessa persona, un enigma da sciogliere, un’opera stupefacente in un solo volume, i cui misteri però non potevano essere letti neppure da lui, benché sotto di essi battesse il suo cuore vivo».

Di fronte a Moby Dick – e a ciò che essa rappresenta – sono possibili le re-azioni più diverse, come esemplifica-no i suoi personaggi in molte pagine.

C’è il narratore, Ismaele, colui che, davanti al Mistero,

viaggia animato da «una voglia insa-ziabile di cose lontane» per ampliare i propri orizzonti e per raccontarlo: è lo scolaro («ho traversato a nuoto le bi-blioteche») e il testimone («una nave baleniera fu la mia Harvard e la mia Yale»), lo scrivano e l’eterno princi-piante, l’uomo animato da un deside-rio di conoscenza finalizzato alla con-vivenza. Il primo ufficiale Starbuck è l’uomo devoto che davanti al Mistero s’inchina: sa riconoscerne i segni e li teme; il suo giudizio è sempre ponde-rato e non smarrisce la propria uma-nità neppure quando ne va della pro-pria vita. Stubb, il secondo ufficiale, riconosce che tutto è un segno, ma non saprebbe dire di cosa: ritiene che «una risata è la risposta più saggia e più semplice a tutto ciò che è bizzarro». E poiché «tutto è bizzarro, a pensar-si», il suo buonumore è inaffondabi-le, venato di fatalismo e «quasi empio» per costanza. Flask, terzo ufficiale, è prosaico e piatto; il Mistero semplice-mente non lo coglie, il suo sguardo si conclude con il visibile.

Infine, ecco il capitano Ahab, l’inca-pace di lode – «ogni bellezza per me è angoscia, perché non so mai gioir-ne» – colui che riconosce il Mistero e i suoi araldi, e volutamente vi si op-pone: «ciò che odio di più è proprio quell’imperscrutabilità, e che la balena bianca ne sia l’agente o il mandante, io le rovescerò comunque addosso il mio odio».

di Paolo Pegoraro

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11Arte e cultura

Le memorie d’Italia contengono le sue speranze! Lo ha scritto un grande italiano, che non ha po-

tuto dare ulteriormente il suo contri-buto alla causa nazionale, per la mor-te sopravvenuta nel 1852, quando tante aspettative venivano maturando. Era Vincenzo Gioberti, sacerdote, sosteni-tore di un “cristianesimo repubblica-no”, e per questo esule dalla sabauda Torino, dov’era nato. Uno dei padri dell’idea federale, che pensava a un’Ita-lia unita nelle sue diversità. Oggi che il nostro giovane Stato celebra, un poco burocraticamente i centocinquant’an-ni dalla fondazione, sarebbe quanto mai opportuno riproporre a tutti, ma in primo luogo alle giovani generazio-

ni, un pensiero come questo. Per rico-noscerci nelle nostre diversità, ed esal-tarci nella nostra unità: siamo siciliani e veneti, lombardi e campani, puglie-si e marchigiani, toscani e laziali, e in quanto tali tutti italiani! Lo dicono le nostre storie differenti, e la nostra pro-fonda, innata comprensione, che que-sta penisola gettata sul Mediterraneo, in dialogo millenario tra Oriente e Occidente, davanti al mondo è Italia. L’apprendere non è altro che il ricor-darsi, insiste Gioberti.E su questa riflessione tornerà un altro grande italiano, il veneto di Dalmazia Niccolò Tommaseo: La dimenticanza perde i popoli e le nazioni, perché le nazioni altro non sono che memoria! Se, con onestà, la celebrazione dell’u-nità italiana volesse sfuggire alla de-magogia, dovrebbe svolgersi come un progetto di approfondimento, nelle case, nelle scuole, e nelle piazze, del-le nostre storie, in ogni regione. Che ci restituirebbe finalmente una visione degna del divenire, e coerente con il desiderio di proseguire nel cammino di realizzazione dell’Unione Europea.E l’Italia si rivelerebbe per ciò che or-gogliosamente è: un insieme di popoli vincolati a un comune destino, il cui patrimonio ereditato dalle generazioni

è grande e prezioso proprio perché co-stituito nell’accumulazione di tante di-versità. Messe a confronto nei secoli, e sollecitate all’unità nello scambio e nel dialogo con il mondo intero. Ciò che i nostri emigrati all’estero hanno capi-to benissimo, affermandosi nel lavoro e nell’impegno secondo la loro pro-venienza regionale, ma presentandosi unitariamente nelle nuove patrie come Italiani. Originari di quell’Italia che si può considerare come un’Europa in piccolo, per la compresenza di tante culture differenti tra le Alpi e il Me-diterraneo, la cui civiltà si è plasma-ta intorno ai valori del cristianesimo. Quell’Europa che ancora otto secoli fa Abelardo definiva diversa non adversa. Dando dell’identità del vecchio conti-nente la migliore definizione. Tradita nelle disastrose guerre del Novecento.La nostra Repubblica, democratica-mente matura, può finalmente liberar-si dalla demagogia che ne é la peggior nemica. Non c’è miglior monumento che si possa alzare all’unità italiana che la realizzazione di un solido impianto federalista. Non ripiegato nel piccolo nazionalismo, ma aperto e solidale, ca-pace di riproporre il meglio dei con-tenuti d’ogni specificità regionale, nel comune vantaggio di un’appartenenza

unitaria rispettosa del valore dell’inter-culturalità. Con la speranza che i nostri governanti sappiano trarsi fuori dallo squallore del politicume, degli ideolo-gismi, dell’instabilità e del disimpegno morale, per offrire ai sessanta milio-ni di italiani in patria e agli altrettanti discendenti di italiani che vivono nei continenti (e che di rado hanno avuto momenti in cui sentirsi fieri dell’Italia da cui partirono gli antenati), un’im-magine degna del Paese che ha tanto dato e ricevuto dal mondo. Prenden-do atto delle due forze che oggi proce-dono in pari, inarrestabili entrambe: la spinta tecnologico-scientifica-econo-mica alla mondializzazione; e l’esigen-za di un radicamento saldo nei valori dell’appartenenza, che garantiscano di distinguere fra ciò che è possibile, tra quanto vengono proponendo le inno-vazioni, e ciò che è lecito secondo la propria tradizione.Aiutati in questo difficile compito da un’altra perla del pensiero giobertiano, che, nel Rinnovamento Civile d’Ita-lia invita a considerare che in politi-ca, come in ogni altro genere di cose, nulla prova né dura al mondo se non è spontaneo e nativo. Se non s’innesta cioè negli usi, nelle esperienze, nella memoria di un popolo.

Italia Unita del sociologo Ulderico BernardiBaudelaire, il canto della contraddizioneROMA, (ZENIT.org).Parigi è una città di cimiteri: si erge sopra fosse comuni ordinatamente occultate nel sottosuolo e alla luce del sole vanta tombe illustri ed eccentriche, mete di veri e propri pellegrinaggi. Tutti conoscono il Peré Lachaise, eppure è a Montparnasse che riposano i più grandi cantori della capitale francese. Qui non troverete Jim Morrison, ma Serge Gainsbourg. E neppure Oscar Wilde, ma il padre della poesia moderna, Charles Baudelaire. Colui che scrisse: «le tombe capiranno sempre il poeta»...All’appuntamento con I fiori del Male si sono presentati traduttori quali Bertolucci, Caproni, Raboni, Bufalino, ai quali si aggiunge questa nuova edizione (Salerno, pp. XLIII+519, " 22) curata dal poeta Davide Rondoni: fedele al testo, sensibilissima al ritmo e pronta - appena l’italiano lo permette - a restituire rime e assonanze dell’originale. Canzoniere d’amore e poema epico apparentemente rovesciati, I fiori del Male sono - nota Rondoni - «l’opera più grande della modernità sulla contraddizione umana». Nell’armatura della metrica classica vibra il contrasto, nell’ineccepibile musicalità delle costruzioni stona il canto di un «libro destinato a rappresentare l’agitazione dello spirito nel male», «la consapevolezza dentro il Male» (L’irrimediabile). A definirlo così è lo stesso Baudelaire, il quale nel 1857 fu condannato a una multa di 300 franchi per oltraggio alla morale pubblica e ai buoni costumi. Fu assolto invece dall’accusa di oltraggio alla religione: tra I fiori ci sono parodie del Veni Creator, d’accordo, e una benedizione a san Pietro per aver tradito Cristo, va bene, e un salmo a Satana, sia pure... ma di cosa parla l’opera nel suo insieme?«I poeti più illustri - ha scritto il francesista Giovanni Macchia - hanno fatto le loro scelte fra Dio e Satana, il trionfalismo e la bestemmia, il sogno e l’azione. In Baudelaire il dramma essenziale si ripropone di continuo, con caratteri più angosciosi e definitivi, per la coesistenza, la contemporaneità e la pari forza dei due termini». Inferno e Paradiso, Dio e Satana, voluttà animalesca e slancio spirituale... l’importante è non cadere nel mezzo, nella bocca spalancata del vizio «più basso e velenoso e immondo» dal quale il lettore viene redarguito fin dalle prime pagine: la Noia. Perché fintanto che l’insoddisfazione gli fa sanguinare il cuore, c’è speranza per l’uomo. La Noia è invece quello slancio speculare e opposto al desiderio, una fame d’infinito negativa nella quale tutto si schianta, tutto sprofonda, viene assorbito e nullificato. I Padri del deserto la conoscevano come akedìa. Per san Simeone «è il demone peggiore di tutti, la morte dell’anima e dell’intelligenza», per san Teodoro Studita rappresenta «il fondo dell’inferno». Uscire da questo pantano richiederà a Baudelaire l’invocazione di un soccorso potente:

Che tu venga dal cielo o dagli inferi - che importao Bellezza! Mostro ingenuo, terribile e grandioso!Se il tuo occhio, il sorriso, il piede mi aprono la portadi un infinito che amo, così misterioso?

Baudelaire si rivolge alla Bellezza, ma quale? Quando diciamo “bellezza” ci vengono automaticamente alla mente immagini come la Venere di Botticelli o il Discobolo di Mirone: i modelli dell’ideale ellenistico o umanista, insomma l’immagine di perfezione mondana. A Baudelaire non interessa. Nella lettera inviata alla rivista École paienne (22 gennaio 1852) egli accusa proprio i poeti della scuola neopagana di ricercare una Bellezza fine a se stessa, romantica e ossessivamente distinta dalla Verità. La Bellezza alla quale si rivolge Baudelaire non ha nulla di idealistico: è un tiranno capriccioso («governi tutto e rispondi di nulla») che tortura e può perfino annichilire, eppure è capace di “aprire una porta” verso l’infinito amato. Una Bellezza per nulla “graziosa”, dunque, ma con un compito rivelativo molto simile a quello della “Grazia”. E, davanti ad essa, il dramma. «Libertà e peccato - scrive Rondoni. - Senza il secondo l’una si muove nel nulla. E senza la prima il bene non ha senso». L’antropologia di Baudelaire - l’uomo moderno che egli chiama in causa - non ha nulla a che vedere con le sorti «magnifiche e progressive» annunciate dal suo secolo. L’uomo è un abisso di amarezze e bellezze segrete, dirà nel sonetto L’uomo e il mare, una cavità incolmabile, un rompicapo senza soluzione. I conti non tornano, i pezzi non combaciano. La creatura umana resta misteriosamente, mirabilmente incompiuta: splendida perché mutilata, come la Venere di Milo. Neppure l’arte, infatti, può sperare di varcare la soglia di cui pure intuisce l’esistenza. È la conclusione di uno dei componimenti più grandiosi della raccolta, I Fari, una galleria di tele (Rubens, Leonardo, Rembrandt, Michelangelo, Goya, Delacroix) consumate da una furia epigrammatica, come un Louvre incendiato:

Queste maledizioni bestemmie piantiqueste estasi grida lacrime e Te Deum,sono un’eco ripetuta per mille labirinti,un oppio celeste per i cuori mortali.È un grido ridato da mille sentinelle,un ordine rilanciato da mille messaggeri,è un faro acceso su mille cittadelle,in grandi boschi il richiamo di perduti cacciatori!Perché Signore la testimonianza più verache noi possiamo dare della nostra dignitàè questo ardente singhiozzo che va di èra in èrae viene a morire al confine della vostra eternità!

L’arte è un’eco. L’arte è un ordine. L’arte è un faro. L’arte è un richiamo. Un rimando, un segnale, un’indicazione: nulla di più. L’arte è un singhiozzo che muore sulle sponde di ciò che non muore. È l’invocazione di chi avverte in sé l’incompiutezza. Proprio qui è la sorgente della poesia di Baudelaire, in una contraddizione che non riesce a risolversi, in uno slancio che ricade su se stesso eppure non può fare a meno di tentare ancora una volta di rialzarsi in volo. Vivere la dismisura, patire la propria incongruenza, è il compito del poeta:«Io so che il dolore è la sola nobiltàche dalla terra e dall’inferno è mai annullata,e perché un’alta corona mi sia intrecciatasi deve spogliare ogni epoca e universo.Ma dell’antica Palmira il tesoro che fu perso,metalli ignoti, perle dei maripendenti alla vostra mano, sarà in difettoper un diadema così splendido, perfetto;sarà di sola, di pura e sola lucetratta dal fuoco sacro dei raggi primari,di cui gli occhi mortali, nel loro splendore,non son che specchi tristi, e così oscuri!»

Un assaggio dell’opera Elevazione

Al di sopra degli stagni, delle valli,dei monti, dei boschi, delle nubi, dei mari,al di là del sole, e dei cieli più puri,e delle sfere vorticose di stellespirito mio, ti muovi con agilitàe, come nuotatore che si diverte sull’onda,tu solchi felice la immensità profondacon maschile e indicibile voluttà.Vattene lontano da questi miasmi ammorbati;va’ a purificarti in un’aria superiore.E bevi, come puro e divino liquore,il fuoco chiaro che riempie gli spazi incontaminati.Alle spalle le noie e i vasti affanniche gravano col loro peso l’esistenza brumosa,felice chi può sul colpo d’ala vigorosaslanciarsi verso i campi luminosie chi ha pensieri come allodoleal mattino al cielo libere sgorgate- e plana sulla vita, intende senza faticala lingua dei fiori e delle cose mute! L’uomo e il mareUomo libero, sempre ti affascinerà il mare!È il tuo specchio, la tua anima è lànell’infinito moto delle onde,e il tuo spirito non è un abisso meno amaro.Nella tua immagine ami tuffarti,la trattieni con gli occhi e le braccia, e il cuore

a volte il battito sospendeal fragore indomabile e selvaggio di quel pianto.Voi due, tenebrosi e discreti. Nessunosonda il fondo dei tuoi abissi, uomo.Nessuno, mare, conosce le tue bellezze segrete,voi, gelosi, i vostri misteri tenete.Eppure da mille secoli, ecco, là!amando carneficina e mortevi combattete senza rimpianto o pietà,guerrieri eterni, implacabili fratelli in sorte. Armonia della seraEcco venire l’ora in cui tremando sullo steloogni fiore svapora come un incensiere;i suoni e i profumi vanno per l’aria della sera;valzer melanconico e dolce vertigine!Ogni fiore svapora come un incensiere;trema il violino che s’affligge come un cuore;valzer melanconico e dolce vertigine!Il cielo è triste e bello come un grande altare.Trema il violino che s’affligge come un cuore,cuore tenero che odia il nulla immenso e nero!Il cielo è triste e bello come un grande altare;il sole è annegato nel sangue che rapprende.Un cuore tenero che odia il nulla immenso e nerotrattiene ogni traccia del passato luminoso!Il sole è annegato nel suo sangue che rapprende...In me il tuo ricordo è un ostensorio che risplende!

Architetto, artigiano e falegname, progettista di interni e di mobili, ma anche docente, sapiente allestitore di mostre e progettista di spazi espositivi, anticipatore di molti sviluppi dell’architettura attuale e dell’idea con-temporanea di democratic design, che sposa la qualità alla produzione di massa. A Gerrit Rietveld (Utrecht 1888 - 1964) e al suo universo il MAXXI Architettura dedica la prima retrospettiva monografica in Italia, dal 14 aprile al 10 luglio 2011, coprodotta dal MAXXI con il Central Museum Utecht e NAi Rotterdam, a cura di Maristella Casciato, Domitilla Dardi e Ida van Zijl.La mostra - con oltre 100 opere di architettura e design

per un totale di circa 400 pezzi tra disegni, foto, modelli - ripercorre a 360 gradi l’attività del maestro olandese: dai suoi rapporti con gli artisti del gruppo De Stijl (Theo van Doesburg, Bart van der Leck, Vilmos Huszár, J.J.P. Oud) e con i protagonisti dell’avanguardia modernista (Le Corbusier, Gropius, Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright) fino agli influssi sull’architettura e il design con-temporanei (da Alessandro Mendini a Ettore Sottsass a Maarten Baas). Infine il rapporto di Rietveld con il XXI secolo, che irrompe dalle quattordici interviste ai progettisti con-temporanei trasmesse in loop nello spazio di mostra

(tra cui Gae Aulenti, Andrea Branzi, Vittorio Gregotti, Enzo Mari) e nelle loro opere esposte. Il percorso espo-sitivo è inoltre arricchito dall’installazione del Labo-ratorio Rietveld, a cura del Dipartimento Educazione del MAXXI: uno spazio esterno progettato dagli scan-dinavi Rintala Eggerstsson Architects - in perfetto spi-rito rietveldiano all’insegna dell’essenzialità - in cui i visitatori possono sperimentare la costruzione di alcuni mobili di Rietveld.

Info: www.fondazionemaxxi.it

ERRANDO PER MOSTRE“Matisse, la seduzione di Michelangelo” a Brescia – fino al 12 giugno 2011

“L’angolo obliquo”, a Milano - fino al 25 giugno 2011

“Le storie di Ester rivelate”, a Venezia – fino al 24 luglio

“UNIVERSO RIETVELD”, a Roma – fino al 10 luglio 2011

Attraverso 180 opere - dipinti, sculture, disegni, incisioni, gouaches découpées - che coprono l’intera vicenda artistica di Matisse, si analizzerà l’opera del grande artista francese da un punto di vista mai tentato finora in un’esposizione: la rela-zione con l’opera di Michelangelo. Infatti, benché Matisse abbia sempre affermato con forza la natura moderna della sua arte, come tutti i grandi geni, studiò e analizzò a lungo l’arte antica, in particolare l’opera di Michelangelo, traendone forza e suggestione nella sua ricerca di giungere a un’essenza assoluta della pittura. Particolarmente affascinante sarà il con-fronto tra due delle opere più importanti di Matisse, provenienti dalla National Gallery di Washington, come il grande dipinto Pianista e giocatori di dama e la

grandissima gouache découpée intitolata Venere che verrà affiancata da un dise-gno originale di Michelangelo raffigu-rante, per l’appunto, due Veneri. La mostra è curata da Claudia Beltramo Ceppi e coadiuvata da un comitato scien-tifico composto dai maggiori esperti di Matisse; è promossa dal Comune di Brescia, prodotta e organizzata da Fon-dazione Brescia Musei e Artematica, col patrocinio della Regione Lombardia-Cultura e del Ministero degli Affari Esteri.Accompagna la mostra, un catalogo GAmm Giunti.

Info e prenotazioni: Numero Verde 800 775083 www.matissebrescia.it

A conclusione di un lungo e complesso restauro, nella cornice straordinaria delle sale di Palazzo Grimani a Venezia, vengono proposti al pubblico i comparti su tela del soffitto della chiesa di San Sebastiano, raffigu-ranti il Ripudio di Vasti, Ester incoronata da Assuero e il trionfo di Mardocheo, temi tratti dal “Libro di Ester”. L’occasione di godere da vicino di queste opere eccelse, capolavoro giovanile di Paolo Veronese, è impedibile e irripetibile, poiché dopo quest’occasione i dipinti torne-ranno definitivamente nella loro sede originaria, nella chiesa di San Sebastiano, a molti metri d’altezza. L’occa-sione diviene ora ancora più ghiotta poiché l’intervento di restauro, appena concluso, ha restituito ai dipinti le loro straordinarie qualità cromatiche, luministiche e compositive.La chiesa di San Sebastiano è il tempio assoluto dell’opera di Veronese. Il grande artista comincia a lavorarvi a par-tire dalla sacrestia, dal 1554; interviene quindi sul sof-fitto, tra la fine del 1555 e l’ottobre dell’anno successivo, con le Storie di Ester. Passa ad occuparsi del disegno e

della esecuzione della decorazione, via via, di quasi tutto il resto: dagli affreschi delle pareti all’organo, dai dipinti dell’area presbitariale alle pale degli altari. Veronese lavora in San Sebastiano per un lungo tratto della sua esistenza e, a coronamento di questo rapporto privile-giato, sceglie di esservi seppellito.La mostra, inaugurata dalla Soprintendente Giovanna Damiani, rimarrà aperta fino al 24 luglio. L’esposizione curata da Giulio Manieri Elia è promossa dalla Soprin-tendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare, realizzata in collaborazione con la Curia Patriarcale di Venezia e con Save Venice Inc. e prodotta da Venezia Accademia. Il Corriere del Veneto è mediapartner dell’iniziativa. Catalogo Marsilio.

Info: www.polomuseale.venezia.beniculturali.it

La Galleria EFFEARTE presenta L’angolo obliquo, progetto espositivo con interventi di Daniele Bacci, Andrea Facco e Giovanni Termini.La mostra, presentata in concomitanza con la cinquantesima edizione del Salone del Mobile di Milano, vuole sottolineare l’importanza del disegno, qui inteso come pri-mum movens dell’idea, ossia di quel progetto che dal concetto passa alla forma, esten-dendosi sia in piano sia nello spazio. Concepito come una tripersonale, o, meglio, come una tri-angolazione tra tre differenti artisti, l’evento vuole porre l’accento direttamente sul percorso creativo che non può prescindere dalla “contemplazione della pura forma”, operazione possibile solo attraverso una fase progettuale. Le opere in mostra raccon-

tano se stesse, creando una linea narrativa tra il processo formante e l’opera formata, tra significato e significante. Il segno/disegno di Termini si estrinseca nel rapporto con l’ambiente, Bacci intesse invece un filo rosso tra concetto e sostanza, tra iconico e ani-conico, mentre le opere di Facco si dipanano in un iperstile che conferisce alla pittura il suo statuto materico; in questo senso si può parlare di angolo obliquo, ovvero di una visione “trasversale” rispetto al semplice atto del guardare.

Info: Effearte - [email protected] - www.effeartegallery.com

di Paolo Pegoraro Nato a Vicenza, 1977, si è laureato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e in Lettera-ture comparate presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Collabora da anni alle pagine culturali di numerose riviste, tra cui L’Osservatore Romano, La Civiltà Cattolica e Famiglia Cristiana. w w w. i n s i e m e w e b . n e t

Page 12: L'Ermetico Errante giugno 2011

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