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L’EPIDEMIA DI OBESITÀ E I LICEALI DI BELLINZONA Comportamenti alimentari scorretti e inattività fisica nei giovani: una realtà anche presso il liceo di Bellinzona? Lavoro di Maturità in Biologia Anno 2012/2013 Prof. Davide Speziga Prof. Ottorino Pedrazzini Camilla Gallino Liceo Cantonale Bellinzona

L’EPIDEMIA DI OBESITÀ E I LICEALI DI BELLINZONA · 3.4 Le principali componenti degli alimenti ... 3.6 Muoversi è importante ... I bambini obesi già a partire dai 3 anni possono

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L’EPIDEMIA DI OBESITÀ E I LICEALI DI BELLINZONA

Comportamenti alimentari scorretti e inattività fisica nei giovani:

una realtà anche presso il liceo di Bellinzona?

Lavoro di Maturità in Biologia

Anno 2012/2013

Prof. Davide Speziga

Prof. Ottorino Pedrazzini

Camilla Gallino

Liceo Cantonale Bellinzona

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In copertina: Cartina liberamente tradotta riportante le prevalenze di obesità nei vari stati del mondo per i due sessi nel 2008: World Health Organisation Map Production: Public Health Information and Geographic Information Systems (GIS), World Health Organisation 2001 (online, http://www.downeyobesityreport.com/2012/10/weight-of-the-nations/)

Ritaglio di una fotografia del liceo di Bellinzona tratta da Corriere del Ticino, Un nuovo tetto per due a Bellinzona, 14.06.2012 (online, http://www.cdt.ch/ticino-e-regioni/cronaca/66612/un-nuovo-tetto-per-due-a-bellinzona.html)

Puppet con lente, liberamente modificato (online: http://www.biochem.uwo.ca/overview/overview.html)

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Sommario

Sommario ..................................................................................................................................................... 1

1 Abstract ................................................................................................................................................ 3

2 Ringraziamenti ...................................................................................................................................... 4

3 Introduzione ......................................................................................................................................... 4

3.1 Definizioni di sovrappeso, obesità e eccesso ponderale .............................................................. 4

3.2 L’obesità, una affezione in pieno sviluppo ................................................................................... 5

3.2.1 Il caso svizzero ...................................................................................................................... 7

3.3 I principali metodi per rilevare il sovrappeso ............................................................................... 8

3.3.1 Il Body Mass Index (BMI) ...................................................................................................... 8

3.3.2 La circonferenza del girovita e il tessuto adiposo (WC e WHR) ......................................... 17

3.4 Le principali componenti degli alimenti ..................................................................................... 22

3.4.1 I macronutrienti: siamo quello che mangiamo .................................................................. 22

3.5 Stili di vita sani e malsani ............................................................................................................ 26

3.5.1 Comportamenti alimentari corretti e scorretti .................................................................. 27

3.6 Muoversi è importante .............................................................................................................. 33

3.7 Principali fattori all’origine dell’eccesso ponderale ................................................................... 34

3.8 Conseguenze del sovrappeso ..................................................................................................... 43

3.8.1 Conseguenze fisiologiche del sovrappeso .......................................................................... 43

3.8.2 Conseguenze del sovrappeso in ambito psico-sociale ....................................................... 54

3.8.3 Conseguenze economiche: il costo del sovrappeso ........................................................... 57

4 La mia inchiesta: l’eccesso ponderale presso i liceali di Bellinzona ................................................... 58

4.1 Interrogativi di ricerca ................................................................................................................ 58

4.2 Parte pratica ............................................................................................................................... 58

4.2.1 Procedimenti e metodi ....................................................................................................... 58

4.2.2 Soggetti in esame ed entità condizionanti ......................................................................... 59

4.2.3 Metodologia nell’analisi dei dati ........................................................................................ 61

4.3 Ipotesi iniziali .............................................................................................................................. 62

4.4 Risultati ....................................................................................................................................... 63

4.5 Discussione ................................................................................................................................. 87

5 Conclusione ........................................................................................................................................ 97

6 Considerazioni generali sull’esperienza ............................................................................................. 98

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7 Bibliografia .......................................................................................................................................... 99

8 Indice delle figure ............................................................................................................................. 113

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1 Abstract BACKGROUND L’obesità e il sovrappeso sono attualmente un problema allarmante in molti paesi del mondo e negli ul-timi anni si è misurato un preoccupante sviluppo precoce di tali disturbi già in età infantile e adolescen-ziale. Data l’origine multifattoriale dell’eccesso ponderale risulta molto difficile risalire a delle cause spe-cifiche. Lo scopo del presente studio è quello di verificare la presenza del fenomeno presso il liceo di Bel-linzona e di indagare sulle sue principali possibili origini tenendo conto delle peculiarità del campione considerato. METODI Sono stati misurati -su base volontaria e anonima- i valori di massa e altezza di 200 liceali iscritti al primo e al secondo anno presso il liceo di Bellinzona e compresi in una fascia d’età fra i 15 e i 19 anni. Da questi dati si è calcolato il Body Mass Index (BMI; il peso in chilogrammi diviso per il quadrato dell’altezza in metri) di ogni studente. Alla stessa popolazione di liceali è stato proposto un questionario atto a indaga-re su alcuni fra i principali fattori che la letteratura medico-scientifica indica come cause dell’eccesso ponderale. Sono quindi state messe in relazione le risposte alle domande del modulo -inerenti perlopiù i comportamenti e le strategie alimentari, l’attitudine all’attività fisica e la consapevolezza individuale ri-guardo ad un’alimentazione sana- con il BMI dei partecipanti e in un secondo tempo sono stati confron-tati i risultati con quelli rilevati a livello cantonale, nazionale e negli Stati Uniti. RISULTATI Nel mio campione si è misurato un tasso di eccesso ponderale del 9,5%. Questa percentuale risulta leg-germente inferiore rispetto ai dati riportati dalla letteratura per il Ticino (10,2%) e per la Svizzera (12,4%) ed è drasticamente minore se la si confronta con quella rilevata di recente negli Stati Uniti (33% ca.). Inoltre nel mio studio la presenza di eccesso ponderale è stata associata con una tendenza ad alimentar-si solamente in funzione della propria sensazione di fame (P = 0,0051) e a quella di non assumere una prima colazione al mattino (P = 0,0113). Si è riscontrata pure una significativamente maggiore incidenza di eccesso ponderale nel gruppo di liceali che seguivano una dieta (P = 0,0022) e anche nel gruppo di li-ceali che non sottostimavano il tenore di zucchero nella Coca-Cola (P = 0,0290). Anche dal confronto fra i dati dei due sessi si sono delineate delle differenze interessanti: le ragazze mo-strano dei comportamenti alimentari più consapevoli e attenti alla salute rispetto ai loro coetanei limi-tando maggiormente le loro visite ai ristoranti fast food (P < 0,0001), i loro consumi di carne (P = 0,0007) e mostrandosi preoccupate a mantenere un peso-forma adeguato (P = 0,0165). Tuttavia i ragazzi si di-mostrano più diligenti per quanto concerne l’attitudine all’attività fisica e allo sport (P = 0,0024). Questi differenti atteggiamenti non sembrano tuttavia ripercuotersi in modo significativo sulla prevalenza di sovrappeso e obesità anche se si rileva una maggiore incidenza dell’eccesso ponderale fra i ragazzi (13,9%) rispetto alle ragazze (6,6%). Il campione considerato presenta diverse peculiarità quali principalmente un elevato livello di formazio-ne dei genitori (35,5% di questi possiedono un titolo di studio professionale o universitario professiona-le) e un particolare contesto geo-sociale che si presenta come un nucleo di piccole dimensioni e relati-vamente protetto dall’influsso degli stili di vita tipici delle metropoli nord occidentali. CONCLUSIONI Anche se le dimensioni relativamente ridotte del campione (n = 200) non permettono di trarre delle conclusioni decisive e limitano fortemente il confronto con i dati della letteratura, dall’indagine risulta comunque un profilo sostanzialmente soddisfacente dei liceali di Bellinzona, che dimostrano di adottare delle scelte alimentari più consapevoli e orientate verso la salute rispetto ai ragazzi analizzati a livello cantonale, nazionale e negli Stati Uniti. Con il mio studio voglio principalmente lanciare un’ipotesi che possa stimolare altri interessati al tema ad eventualmente corroborare la mia intuizione. Le discrepanze fra i miei dati e quelli ottenuti dalle altre indagini della letteratura medico-scientifica sembrano suggeri-

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re la grande importanza del ruolo che giocano l’educazione e il contesto sociale nella prevenzione dell’eccesso ponderale. Infatti sono proprio l’istruzione piuttosto elitaria e il microcosmo geografico e sociale distintivo del liceo di Bellinzona le principali peculiarità che caratterizzano il mio campione e in particolare l’elevato livello di studio dei genitori, la formazione scolastica dei ragazzi, le ridotte dimen-sioni del comprensorio bellinzonese e la ancora scarsa presenza di ristoranti fast food sono tutti fattori che si contrappongono agli ambienti “obesogenici” dei sobborghi delle grandi metropoli. Tali considera-zioni mi portano ad ipotizzare che siano proprio questi fattori a tutelare i nostri liceali dal rischio di obe-sità, ma per corroborare questa mia supposizione sarebbe indispensabile ripetere la medesima analisi su un gruppo di controllo prelevato da una scuola che presenti delle caratteristiche di inferiore scolarizza-zione, ad esempio una scuola professionale. 2 Ringraziamenti Tengo a ringraziare calorosamente innanzitutto i numerosi liceali che si sono messi a disposizione per partecipare al mio studio nonché il mio Professore di biologia Davide Speziga e il Professor Mario Bian-chetti -primario di pediatria all’Ospedale San Giovanni di Bellinzona- che mi hanno seguita con grande sostegno durante tutto il percorso del mio lavoro di maturità. Ringrazio di cuore anche tutti i docenti di educazione fisica -il Professor Leonardi, il Professor Galli, il Professor Livio, la Professoressa Bragagnolo e la Professoressa Cislini- che hanno messo a mia disposizione gli spazi e il tempo necessari per condurre la mia inchiesta dimostrando sempre una grande disponibilità. I miei ringraziamenti vanno anche alla di-rezione del Liceo Cantonale di Bellinzona che ha concesso l’autorizzazione a condurre la mia inchiesta. Ringrazio poi la gentile Signora Antonella Branchi

-coordinatrice del Programma d'azione cantonale "Pe-so corporeo sano"- e la Signora Alessia Antonietti -co-coordinatrice di tale programma- per le loro os-servazioni riguardo al mio lavoro di LAM. Inoltre ringrazio la Dottoressa Alessandra Porretta per i consigli e suggerimenti nell’analisi statistica dei miei dati. Infine ringrazio anche il compagno di classe Kiran Ku-ruvitadam per il suo contributo nell’inserimento dei dati nel database.

3 Introduzione

3.1 Definizioni di sovrappeso, obesità e eccesso ponderale L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il sovrappeso e l’obesità come anormale o ec-cessiva accumulazione di grasso che rappresenta un rischio per la salute. Una misura approssimativa dello stato ponderale è il Body Mass Index (BMI), ovvero il rapporto fra la massa corporea di una perso-na (in chilogrammi) e il quadrato della sua altezza (in metri2

3.3.1

). Si definisce in sovrappeso un individuo con un BMI compreso fra 25 e 30; si definisce obeso un individuo con un BMI pari o maggiore a 30 (cfr cap.

). Nel testo userò queste due definizioni per distinguere i soggetti obesi da quelli in sovrappeso e indicherò in maniera più generale come “soggetti con eccesso ponderale” gli individui che presentano un BMI pari o superiore a 25,[1].

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3.2 L’obesità, una affezione in pieno sviluppo L’obesità è ormai più che una problematica estetica. Cambia il corso delle nostre vite portando con sé tutta una serie di disturbi fisiologici e psicologici della salute ma anche molti problemi a livello socio-economico e politico-comunitario che complicano la quotidianità non più solo degli adulti ma, e sempre in maggior misura, anche quella dei bambini e degli adolescenti. Disturbi della salute come la sindrome metabolica e l’ipertensione arteriosa, fino a qualche decennio fa quasi totalmente esclusivi dell’età adul-ta, si presentano con tutte le loro conseguenze già in età infantile diminuendo la speranza di vita dei giovani. Infatti, secondo il Center for Disease Control (CDC) -il più importante organo statunitense di monitoraggio di tutte le malattie- un peso eccessivo già in età infantile è associato ad un maggiore ri-schio di grave obesità in età adulta, [2]. In particolare, i soggetti che presentano un eccesso ponderale già in fase adolescenziale hanno il 70% di chances di diventare obesi in età adulta e tale rischio sale all’80% se almeno uno dei due genitori è obeso, [3]. I bambini obesi già a partire dai 3 anni possono inol-tre presentare prematuramente dei segni premonitori di sviluppo futuro di malattie cardiache, di diabe-te e di alcune forme di cancro in età adulta,[2],[4]. Dal punto di vista psico-sociale i bambini obesi sono oltretutto maggiormente soggetti a discriminazioni che molto spesso causano una bassa autostima nel bambino, i cui effetti psicologici si possono inoltre protrarre anche in età adulta,[2]. La citazione seguente (liberamente tradotta) del MD statunitense Richard Carmona, denuncia molto be-ne la gravità della situazione venutasi a creare negli ultimi anni: “A causa delle crescenti proporzioni dell’obesità, delle abitudini alimentari malsane e dell’inattività fisi-ca, potremmo esser di fronte alla prima generazione che sarà meno sana ed avrà una speranza di vita più breve rispetto ai suoi genitori.” In quest’ottica la preoccupazione cresce ulteriormente quando si conoscono i dati relativi agli attuali tassi di eccesso ponderale a livello globale,[5]; A livello mondialeSecondo le analisi delle organizzazioni International Association for the Study of Obesity (IASO) e Inter-national Obesity Taskforce (IOTF), globalmente, nel 2010, circa un miliardo di adulti erano in sovrappeso (BMI 25-29.9 Kg/m

l’obesità ha più che duplicato la sua diffusione rispetto al 1980,[6].

2) e 475 milioni erano addirittura obesi (BMI ≥ 30 Kg/m2

). I bambini in età scolare con eccesso ponderale ammontavano a più di 200 milioni secondo le stime di quell’anno, 40-50 milioni dei quali erano classificabili come obesi. Nel 2004 si stimava, a livello internazionale, che circa il 10% dei bambini fra i 5 e i 17 anni fosse in sovrappeso e che il 2-3% fosse obeso, [7]. Ma le percentuali relative all’eccesso ponderale infantile variano molto da paese a paese, spaziando da un tasso minore al 5% in Africa e in alcune parti del continente asiatico, ad uno superiore al 20% in Europa fino a culminare con un tasso maggiore al 30% in America e in alcuni paesi del Medio Oriente,[8]. Va comunque notato che il 65% della popolazione mondiale vive in paesi dove l’eccesso ponderale causa più vittime rispetto al sot-topeso (prevalentemente i paesi ad alto reddito e la maggior parte dei paesi a medio reddito), [6], e che a livello internazionale l’abbondante miliardo di persone con eccesso ponderale ha ormai superato il numero di individui sottonutriti, che ammonta a 850 milioni (OMS; 2002; FAO, 2004),[9].

Nei 27 stati membri dell’UE

La situazione più drammatica si riscontra

si stima che il 60% degli adulti (i.e. circa 260 mio di individui) e più del 20% dei bambini in età scolare (i.e. circa 12 mio di individui) presentino un peso eccessivo,[10].

negli Stati UnitiFigura 1

, dove più di due terzi (68%) degli adulti presen-ta un eccesso ponderale (cfr. ),[11], [12]. Già nel 2004, anche i dati pertinenti all’eccesso ponderale infantile e puberale (6-17 anni di età) allarma-vano la salute pubblica americana, tanto che oggi, l’obesità infantile rappresenta la più grande preoccu-pazione dei genitori statunitensi superando quella per l’abuso di droghe e di tabacco (NHANES 2003-06); il 21.9 % dei ragazzi americani di sesso maschile presentava un sovrappeso e il 13.1 % degli stessi risulta-va addirittura obeso. Fra le ragazze si riscontrava un 22.3% di sovrappeso e un 13.6% di obesità, [13],[14].

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Negli ultimi vent’anni inoltre, si è assistito ad un rapido svilupparsi dell’obesità anche in molti paesi in via di sviluppo Figura 1, che hanno visto la loro popolazione obesa triplicarsi (cfr. ). Questi hanno infatti adottato uno stile di vita occidentale consistente perlopiù nell’inattività fisica e nel sovra-consumo di prodotti alimentari a basso costo ma ipercalorici e malsani. I fast food come Mc Donalds, Domino’s pizza e Burger King fanno ormai parte delle realtà urbane dell’India, del Brasile, del Messico , della Cina, e del Medio Oriente così come i distributori di snacks e bevande zuccherate, le scale mobili, i mezzi personali di trasporto a motore e i passatempi mediatici, come la televisione. La relazione che intercorre fra l’obesità e la povertà è molto complessa: sembrerebbe che essere poveri in uno dei paesi più poveri al mondo (Prodotto Nazionale Lordo pro capite minore a 800 dollari all’anno) sia associabile alla sottonutrizione e quindi al sottopeso, mentre essere poveri in un paese con un reddi-to medio (Prodotto Nazionale Lordo pro capite pari circa a 3000 dollari all’anno) sia correlabile con un maggiore rischio di obesità,[15]. Non vi è quindi nulla di sorprendente se l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha recentemente definito l’obesità con i tratti di un’autentica epidemia in pieno sviluppo, le cui conseguenze potrebbero imporre gravi costi socio-sanitari e politico-economici se non vengono da subito presi dei fermi provve-dimenti per la sua prevenzione. L’importante è comunque sempre tener presente che, con opportuni sforzi, l’obesità può essere sconfitta,[8].

Figura 1: recenti percentuali di eccesso ponderale e di obesità in vari paesi e nei paesi membri dell’OECD1

1L’OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) è un organizzazione che vuole promuovere delle politiche che possano migliorare il benessere economico e sociale ovunque nel mondo. Offre ai suoi 34 paesi membri un forum per radunare i propri sforzi e condivi-dere le proprie esperienze quindi cercare delle soluzioni a dei problemi comuni. Inoltre si occupa di analizzare e confrontare i dati dei suoi paesi membri per prevedere tendenze future. In particolare, nella figura 1 sono stati condensati tutti i dati relativi a obesità e sovrappeso relativi ai paesi membri dell’OECD.

, [16].

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Figura 2: tassi di obesità, evoluzione in vari paesi OECD negli ultimi quarant'anni, [17].

3.2.1 Il caso svizzero Fra il 1992 e il 2007 la percentuale di popolazione svizzera con eccesso ponderale è notevolmente au-mentata, passando da 30,3% a 37,3%. Questo incremento considerevole fu dovuto soprattutto all’aumento degli svizzeri in sovrappeso (da 24,9% a 29,2%) e in maniera meno importante al crescere dell’obesità (da 5,4% a 8,1%) (cfr. Figura 1),[18]. Ciò non toglie che fra il 2002 e il 2007 le cifre relative al sovrappeso e all’obesità non hanno subito au-menti considerevoli, ma sono rimaste pressoché stabili,[19]. Uno studio nazionale del 2002 stimava che un bambino (6-12 anni) su cinque presentasse un eccesso ponderale e uno su quattordici fosse obeso, proporzioni cinque volte superiori rispetto a quelle rilevate nel 1980. In particolare le prevalenze del sovrappeso e dell’obesità erano rispettivamente di 19,9% e 7,4% nei maschi e di 18,9% e 5,7% nelle ragazze,[20]. Ma da allora molti programmi preventivi sono stati introdotti a livello nazionale per cercare di contenere la diffusione del sovrappeso. Uno studio del 2007 effettuò le stesse misurazioni dell’indagine condotta nel 2002 per verificare se, in cinque anni, le campagne di prevenzione avessero avuto un impatto sullo stato ponderale dei giovani svizzeri. Nel 2007 la prevalenza di sovrappeso nelle ragazze risultava dimi-nuita in modo significativo così come anche quella dell’obesità per i due sessi (le percentuali relative ai soggetti in sovrappeso e obesi erano rispettivamente 11.3% e 5.4% per i maschi e 9.9% e 3.2% per le ra-gazze). Lo studio potette così concludere che l’obesità infantile era calata negli ultimi anni in Svizzera e che ciò era probabilmente dovuto alla maggiore conoscenza del problema, acquisita grazie alla presenza di campagne preventive volte ad incrementare uno stile di vita più sano, fondato sull’attività fisica e sull’alimentazione equilibrata,[21],[22]. Questo fatto molto positivo deve essere letto come un incorag-giamento a continuare la sensibilizzazione della popolazione svizzera; considerate poi le grandi recettivi-tà e disposizione al cambiamento tipiche dei bambini, gli sforzi preventivi dovrebbero concentrarsi so-

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prattutto nella fase infantile, attraverso un’educazione che promuova nei più giovani dei comportamenti ottimali per la salute.

3.3 I principali metodi per rilevare il sovrappeso

3.3.1 Il Body Mass Index (BMI) Il Body Mass Index (BMI), o Indice di Massa Corporea (IMC) è l’espressione del rapporto fra la massa (in Kg) e il quadrato dell’altezza (in m2) di un individuo (Kg/m2

Tabella 1

) ed è l’indicatore maggiormente diffuso per determinare lo stato ponderale (sottopeso, normopeso, sovrappeso, obeso) e quindi indirettamente la porzione totale di grasso corporeo. Fu inventato nell’Ottocento dall’astronomo e statistico belga Lam-bert-Adolphe-Jacques Quételet e per questo motivo può essere talvolta indicato come Quételet Index. I valori limite di BMI calcolati per gli individui adulti sono riportati nella tabella seguente (cfr.

),[23], [24]: Tabella 1: Tabella relativa ai valori limite per il BMI nelle definizioni dello stato pondera-le (adattata dalla tabella per la classificazione elaborata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), [25].

Stato ponderale

Valori limite per il BMI (kg/m2)

Sottopeso

<18.50

Magrezza severa <16.00 Magrezza moderata 16.00 - 16.99 Magrezza leggera 17.00 - 18.49 Normopeso

18.50 - 24.99

Sovrappeso

≥25.00bb

Pre-obeso 25.00 - 29.99 Obeso

≥30.00

Obeso classe I 30.00 - 34.99 Obeso classe II 35.00 - 39.99 Obeso classe III ≥40.00

La grande diffusione del BMI come indicatore di eccesso o difetto ponderale è probabilmente imputabile alla facilità nell’ottenere e nel capire tale rapporto (richiede solo i dati della massa corporea e dell’altezza), non solo per i medici ma anche per chi non è del mestiere. Il BMI permette inoltre di de-terminare velocemente se un individuo necessita di ulteriori analisi, come ad esempio la misura della circonferenza del girovita (cfr. cap. 3.3.2), la plicometria (misura dello spessore delle pliche cutanee per determinare la quantità di grasso corporeo), o eventualmente delle indagini sulla storia clinica della fa-miglia del soggetto. Infatti il BMI, permettendo una rapida classificazione del soggetto nel suo corrispondente stato ponde-rale (sottopeso, normopeso, sovrappeso o obeso), può fornire importanti informazioni sui rischi legati all’eccesso o al difetto di peso: in generale si correla un BMI ≥ 25 con un aumento del rischio di morte prematura, di malattie cardiovascolari, di diabete di tipo II e di sindrome metabolica, di osteoartrite, di alcune forme di cancro e di problemi respiratori (più raramente lo si associa anche ad un aumentato ri-schio di sterilità e di disturbi gastrointestinali).

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Per capire quanto il BMI possa essere uno strumento efficiente nella previsione di alcune affezioni, si consideri il seguente esempio tratto dalla letteratura medico-scientifica: delle meta-analisi hanno dimo-strato che un aumento di 5 Kg/m2

Una visione più approfondita delle conseguenze sulla salute che l’eccesso ponderale può comportare sarà proposta nel capitolo

nel BMI di un individuo maschio, comporterebbe un aumento del 24-30% del rischio di cancro al colon, [26], [27] e [28].

3.8.1. Anche dei valori di BMI inferiori a 18.5 possono essere indice di tutta una serie di disturbi della salute, quali fondamentalmente un sistema immunitario debole (e quindi un maggior rischio di infezioni), un’osteoporosi, dei disturbi respiratori e dei disturbi digestivi, [29].

Tuttavia il BMI non può essere considerato uno strumento diagnostico, poiché -dato che la sua grosso-lanità non gli permette di differenziare la massa del grasso corporeo dalla massa muscolare- può talvolta portare a sovra- o sotto-valutare i rischi per la salute legati all’eccesso ponderale: ad esempio una per-sona con un BMI sovrappeso potrebbe anche non correre i rischi che il suo indice di massa corporea sembrerebbe suggerire se la grandezza di tale indice è imputabile alla sovrabbondanza di massa musco-lare e non a quella di massa grassa. I limiti più grandi del metodo del BMI sono quindi i seguenti:

- i valori limite del BMI variano a seconda dell’età e del sesso (in maniera decisiva nei bambini e adolescenti, ma in misura trascurabile negli adulti) e dell’etnia di appartenenza. Perciò è importante tener conto che 1) a parità di BMI, le donne tendono ad avere più massa grassa rispetto agli uomini; 2) a parità di BMI, gli anziani tendono ad avere una massa grassa maggiore rispetto agli adulti

più giovani, [30]. - il BMI non permette di distinguere fra massa muscolare e massa grassa e può quindi portare a

sotto-/sovra-stime nella determinazione dello stato ponderale. Ad esempio un giovane molto muscoloso potrebbe, con questo metodo di valutazione, risultare erroneamente in sovrappeso a causa della sua importante massa muscolare e non perché porta un’eccessiva quantità di grasso corporeo. Oppure un soggetto anziano (o disabile), che presenta una massa muscolare inferiore alla norma, malgrado esibisca una sovrabbondante massa grassa, potrebbe risultare perfetta-mente normopeso dal calcolo del suo BMI.

- il BMI sovrastima la porzione di grasso corporeo nelle donne incinte, aumentando queste di massa corporea totale, ma non necessariamente in quantità di adipe, durante la gravidanza.

- il BMI non distingue fra le diverse distribuzioni del grasso corporeo; è noto che l’accumulazione di grasso attorno alla vita, secondo il modello “a mela”, è più pericolosa rispetto al depositarsi dell’adipe attorno ai fianchi, conformemente al prototipo “a pera”, ma questa differenziazione non è permessa dal calcolo del BMI (cfr. Figura 12 e Figura 13), [24].

Per questi motivi è consigliabile non basarsi unicamente sul calcolo del BMI per individuare eventuali ri-schi di salute legati all’eccesso ponderale, ma è opportuno confrontare il proprio indice di massa corpo-rea con risultati ottenuti con altri metodi antropometrici, in particolare con la misura della circonferenza del girovita, cui è dedicato il cap. 3.3.2 (o eventualmente con la plicometria, che è però un metodo poco preciso e per questo motivo scarsamente usato nella pratica clinica), [31]. Altri metodi utilizzati per stimare la porzione di massa grassa di un individuo sono:

- la pesata idrostatica, che consiste nel misurare la massa di un individuo fuori dall’acqua e total-mente immerso nella stessa e quindi nel calcolare la densità corporea dell’individuo e stimare la sua percentuale di massa grassa, nota la densità dell’acqua;

- la bioimpedenziometria, che permette di risalire alla massa magra, alla massa grassa e alla mas-sa dell’ acqua totali del corpo grazie alla misurazione dell’impedenza corporea, ossia della "resi-stenza" che l’organismo oppone al passaggio di una corrente elettrica alternata e di bassa inten-sità. Tale corrente è propagata attraverso degli elettrodi posizionati sulla mano e sul piede del soggetto,[32]. Questa metodologia è utilizzata soprattutto per capire se un individuo, pur pe-

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sando molto presenta poca massa grassa (ad esempio per un problema di ritenzione idrica), o viceversa se pur pesando poco il suo corpo porta un’eccessiva massa grassa;

- la mineralometria ossea computerizzata (MOC), con la quale si misura la densità minerale ossea per diagnosticare un’eventuale osteoporosi (l'assorbimento di un sottile fascio di raggi X è pro-porzionale alla densità dei tessuti ossei);

- la Risonanza Magnetica Nucleare (MRN) e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), che permettono una diagnosi per immagini in grado di quantificare il tessuto adiposo viscerale e sot-tocutaneo a livello dell’addome, [31], [30] e [33].

Queste metodologie possono essere utilizzate per confermare o eliminare eventuali sospetti solle-vati dai metodi antropometrici o per approfondire determinate questioni. Sono utilizzate più rara-mente rispetto al BMI e alla misura della circonferenza del girovita perché spesso sono più onerose, più complesse e invasive. Ad esempio la TAC presuppone un’esposizione del paziente a delle radia-zioni e, come l’RMN, è estremamente costosa, [24].

3.3.1.1 Il calcolo del BMI nei soggetti in età pediatrica Nei bambini e adolescenti (fino ai 19 anni di età), la valutazione del BMI e la conseguente classificazione del soggetto nella sua adeguata categoria di stato ponderale (sottopeso, normopeso, sovrappeso, obe-so) risulta più complessa. Questo perché come già accennato nel sottocapitolo precedente, il BMI di questi soggetti è fortemente dipendente dall’età e dal sesso oltre che dall’etnia. Infatti è proprio durante l’infanzia e l’adolescenza (fino a ca. 19 anni) che i corpi degli individui crescono in dimensione e si sviluppano anche fisiologica-mente, modificando il loro metabolismo e implementando varie funzioni organiche. Per questo motivo anche le esigenze nutrizionali di questi soggetti si distinguono notevolmente da quelle di un adulto: ciò vale sia sul piano quantitativo, poiché bambini e adolescenti -proprio a causa delle trasformazioni fisio-logiche e della rapida crescita che li contraddistinguono- necessitano di una porzione maggiore di nu-trienti, sia sul piano qualitativo, in quanto -per lo sviluppo ottimale dello scheletro e delle funzioni orga-niche- questi soggetti richiedono un’alimentazione particolarmente variata e capace di garantire un co-stante apporto di tutta una serie di macro- e micro- nutrienti indispensabili. Anche l’intensità e la costanza ideali per lo svolgimento di un’attività fisica sono determinate dal grado di sviluppo fisiologico e morfologico di ciascun soggetto. In generale la crescita rapida più marcata ha luogo tra i 10 e i 13 anni di età nelle ragazze, mentre nei maschi si verifica fra i 12 e i 15 anni. La pubertà è il periodo in cui l’essere umano presenta i bisogni nutritivi più elevati e in questa fase, se la crescita che porta l’adolescente a raggiungere la sua statura definitiva è ca. del 15%, la massa corporea del medesimo soggetto può invece arrivare addirittura a raddoppiare (crescita del 50%). È quindi impossibile trovare delle indicazioni univoche per i corretti bisogni nutrizionali degli individui in età puberale perché vi sono delle grandi differenze fra i due sessi e fra le etnie dei soggetti (per quel che riguarda l’Europa centrale, si considerano in fase puberale le ragazze dai 9 ai 16 anni e i ragazzi dagli 11 ai 17 anni). Inoltre tali bisogni dipendono fortemente dalla frequenza e dall’intensità con cui il singolo soggetto svolge un’attività fisica, nonché dallo specifico grado di sviluppo fisiologico e metabolico di cia-scun individuo, che varia soprattutto in funzione dell’età e del sesso. Bisogna quindi prendere in considerazione tutta una serie di fattori specifici per ciascun individuo, per poter stabilire i suoi effettivi fabbisogni nutrizionali e quindi aiutarlo a trovare un giusto equilibrio per il suo corpo, [34]. Per i bambini e gli adolescenti conviene perciò usare delle norme di classificazione dello stato ponderale più dettagliate rispetto a quelle degli adulti e che tengano conto perlomeno dell’età e del sesso di cia-scun individuo. I valori limite di BMI solitamente utilizzati per la valutazione della situazione ponderale dei soggetti in età pediatrica sono infatti rintracciabili in opportuni grafici, distinti per i due sessi e ripor-tanti ciascuno le curve dei percentili attraversanti ogni età. Si parla quindi di BMI-for-age (“BMI per età”) proprio perché i valori limite di BMI, contrariamente a quelli degli adulti, dipendono dall’età, oltre che dal sesso,[35].

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Il BMI-percentile indica la posizione relativa del BMI di un bambino (o di un adolescente) rispetto a quel-la del BMI dei bambini (o adolescenti) della sua stessa età e del suo stesso sesso. Se, ad esempio, il valo-re di BMI di un bambino si trova sulla curva del 50esimo percentile, ciò significa che su 100 soggetti del suo stesso sesso e della sua stessa età, 50 (ossia il 50% dei suoi coetanei) hanno un BMI maggiore al suo e 50 (quindi il rimanente 50% dei suoi coetanei) presentano invece un BMI minore al suo. Se invece il suo BMI si trova sulla curva del 75esimo percentile, su 100 bambini della sua stessa età e del suo stesso sesso, 75 (ovvero il 75% dei suoi coetanei) vantano un BMI inferiore e 15 (ossia il rimanente 15% dei suoi coetanei) presentano un BMI superiore rispetto al suo. Di seguito sono riportati i grafici per la valutazione dello stato ponderale in età pediatrica (in termini di BMI-percentile), elaborati nel 2’000 per gli Stati Uniti dal National Center for Health Statistics (NCHS), in collaborazione con il National Center for Chronic Disease Prevention and Health Promotion (NCCDPHP).

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Figura 3: Grafico del BMI-percentile per giovani maschi dai 2 ai 20 anni di età,[36].

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Figura 4: Grafico del BMI-percentile per giovani femmine dai 2 ai 20 anni di età,[36].

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Questi grafici (cfr. Figura 3 e Figura 4) permettono quindi di convertire il valore di BMI di un giovane in un valore di BMI-percentile che tiene conto del suo sesso e della sua età. Per classificare lo stato ponde-rale di un bambino o adolescente, dato il suo BMI-percentile, un comitato esperto ha elaborato la se-guente tabella (Tabella 2): Tabella 2: Libera traduzione in italiano della tabella di riferimento per la valuta-zione dello stato ponderale infantile adottata dall’organizzazione statunitense Centers for Disease Control and Prevention, [38].

Stato ponderale

BMI percentile

Sottopeso

< 5o

percentile

Normopeso

5o – 85o percentile

Sovrappeso

85o – 95o

percentile

Obeso

≥ 95o

percentile

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Di seguito, nella Figura 5, è riportato un esempio volto a favorire una migliore comprensione del metodo di valutazione del BMI-for-age con i grafici dei percentili:

Figura 5: Esempio di interpretazione del BMI di un bambino di 10 anni (figura liberamente tradotta in italiano da un grafico esplicativo proposto dall’organizzazione statunitense Centers for Disease Control and Prevention), [29]. Segue, nella Figura 6, un ulteriore esempio esplicativo, volto a mostrare la grande dipendenza del valore di BMI dall’età del soggetto, per quel che riguarda bambini e adolescenti, e quindi l’estrema importanza di basarsi su delle curve di percentili:

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Figura 6: Esempio di interpretazione del BMI di un individuo maschio in diverse età del periodo infantile (figura tradotta liberamente in italiano da un grafico esplicativo proposto dall’organizzazione statunitense Centers for Disease Control and Prevention), [29]. A 10 anni un BMI di 23 classificherebbe il bambino in questione come “soggetto obeso”, mentre lo stes-so BMI di 23 non risulta assolutamente preoccupante se rilevato in un individuo di 15 anni, poiché quest’ultimo è da considerarsi normopeso. Come per gli adulti, anche per bambini e adolescenti, la misura del BMI e la successiva classificazione nel corrispettivo stato ponderale, servono a stimare eventuali rischi di salute legati all’eccesso ponderale. Il CDC (Center for Disease Control and prevention) e l’AAP (American Academy of Pediatrics) raccoman-dano l’utilizzo del calcolo del BMI già per i soggetti a partire dai 2 anni di età.

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Anche in questo caso valgono le limitazioni del metodo del BMI citate nel sottocapitolo precedente (si ricordi che il BMI è un indice abbastanza grossolano, che non tiene conto di molti fattori quali l’etnia di appartenenza, l’attività fisica individuale, ecc. e può perciò portare a delle sovra- o sotto-stime nella dia-gnosi) per questo possono talvolta essere estremamente necessarie delle ulteriori analisi di approfon-dimento, conformemente a un parere medico, [37].

3.3.2 La circonferenza del girovita e il tessuto adiposo (WC e WHR) Misurare la circonferenza del girovita (Waist Circumference, WC) è il più semplice modo per risalire all’eventuale presenza di obesità addominale. Tale misura è infatti una delle più affidabili per determi-nare la quantità di grasso addominale presente nel soggetto ed è più attendibile rispetto al rapporto vi-ta-fianchi (Waist to hip ratio, WHR), perché quest’ultimo -ottenibile dividendo la misura della circonfe-renza del girovita (WC) per la circonferenza delle anche (Hip Circumference, HC) misurata nel loro punto più largo (WC/HC)- può talvolta mascherare la presenza di obesità a livello addominale nei casi in cui i soggetti abbiano delle anche sproporzionatamente larghe. La WC è particolarmente indicata per le persone che hanno molta muscolatura, perché nel loro caso un BMI elevato non corrisponde necessariamente ad una presenza di eccesso ponderale in quanto il rap-porto massa/altezza2

può risultare più elevato a causa della grande massa del tessuto muscolare e non della massa del tessuto adiposo.

L’obesità addominale consiste in un’eccessiva accumulazione di grasso, principalmente viscerale, nella regione dell’addome. Dato che il grasso viscerale è alimentato dal sistema portale (o sistema della vena porta) ed è quindi cir-condato da tutta una serie di capillari sanguigni, se è presente in eccesso viene in parte rilasciato nei vasi adiacenti ed entra così nel sistema circolatorio. La presenza di questo grasso nel sangue è responsabile della maggior parte delle complicazioni associate all’obesità (malattie cardiovascolari, diabete di tipo II e sindrome metabolica, cancro dell’endometrio). L’obesità addominale è particolarmente presente nei soggetti anziani poiché l’invecchiamento è accom-pagnato da una ridistribuzione del grasso corporeo verso l’addome. In media, le donne alla vigilia della menopausa hanno la metà del grasso addominale rispetto ai loro coetanei di sesso maschile, malgrado il totale e la percentuale di grasso corporeo siano maggiori nelle femmine; questo importante divario è dovuto alle differenti forme del corpo che caratterizzano i due sessi. Infatti si dice che gli individui ma-schi abbiano un corpo a forma di mela, proprio per la loro tendenza ad accumulare i grassi nella regione addominale (cfr. Figura 12); le femmine invece hanno un corpo a forma di pera e il loro grasso corporeo si localizza soprattutto nelle anche e nelle cosce (cfr. Figura 13). Recenti studi sostengono che la valutazione del solo BMI è insufficiente per prevenire eventuali futuri rischi associati all’obesità, perché si basa unicamente sul grasso corporeo totale e non su quello addo-minale ed è solo quest’ultimo ad avere delle correlazioni dirette con le patologie legate all’eccesso pon-derale. Ciononostante il BMI è considerato come migliore indice per rilevare il sottopeso, e la misura della circonferenza del girovita è invece da scartare per diagnosi di questo tipo. È importante notare che due persone con BMI identici possono ciononostante presentare proporzioni di grasso corporeo molto diverse (una può avere ad esempio una percentuale di massa muscolare molto più importante rispetto all’altra e quindi una minor percentuale di grasso corporeo a parità di BMI) e allo stesso modo una persona con un normale BMI può essere dotata di una quantità di grasso addominale eccessiva rispetto ai valori ritenuti normali. Questo fenomeno si presenta ancora una volta soprattutto fra gli anziani, che, perdendo molta massa muscolare, ridistribuiscono il grasso corporeo accumulandolo come grasso addominale. Il loro peso, la loro altezza e quindi il loro BMI non variano in maniera conside-revole ma la proporzione di grasso addominale aumenta notevolmente, così come la misura del loro gi-rovita. Questo mostra come sia importante, specialmente nella fase di invecchiamento, misurare accu-

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ratamente la circonferenza all’addome per non rassicurarsi semplicemente con valori di BMI apparen-temente nella norma perché talvolta possono essere fuorvianti. La misura del girovita va effettuata con un metro srotolato all’altezza dell’ombelico in modo da circon-dare totalmente, sul piano orizzontale, la vita del soggetto, aderendovi. Il dato dev’essere preso quando la persona espira e il suo addome è rilassato. Come già enunciato più sopra, la misura del girovita permette di stabilire con buona approssimazione qual è il livello di rischio di alcune complicazioni legate all’obesità. In generale si può dire che un WC di 94 o più cm per un individuo maschio, rispettivamente di 80 cm o più per una donna, sono associati ad un maggiore rischio per la salute legato all’obesità; un WC di 102 o più cm per un maschio o di 88 o più cm per una donna, aumentano considerevolmente tale rischio, mentre un uomo che presenta un WC maggiore o uguale a 120 cm, e rispettivamente una femmina che ha un WC di 110 o più cm, corrono un rischio estremamente alto di riscontrare problemi di salute corre-lati all’obesità. È importante sottolineare che i valori standard della misura del girovita -come nel caso del BMI- variano a dipendenza delle etnie considerate perché queste presentano delle differenze nelle proporzioni e nelle strutture del corpo. Ad esempio gli asiatici hanno per natura un’ossatura molto fine e minuta e per questo motivo i cinesi, giapponesi e gli asiatici del Sud si basano su dei limiti di WC inferiori rispetto a quelli standardizzati dai caucasici. Ciò implica immediatamente che un asiatico con un valore di WC identico a quello di un cau-casico correrà un rischio maggiore rispetto a quest’ultimo di doversi confrontare con dei disagi di salute legati all’obesità. In particolare sono state elaborate, per ogni etnia, delle tabelle che presentano i valori limite di WC per un aumento del rischio di complicazioni legate all’obesità (cfr. Tabella 3): Tabella 3: valori limite di WC per rischio aumentato di sindrome metabolica e diabete di tipo II

Circonferenza del girovita (cm)

Etnia Maschio Femmina

Europea 94 80

Sud Asiatica 90 80

Cinese 90 80

Giapponese 90 80

Sud & Centro Americana* 90 80

Africana** 94 80

Mediterranea orientale & Medio orientale** 94 80

* Non sono ancora disponibili dei dati appropriati per questo gruppo, perciò devono essere usati i valori limite dell’etnia Sud Asiatica ** Non sono ancora disponibili dei dati appropriati per questo gruppo, perciò devono essere usati i valori limite dell’etnia Europea

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Per quel che riguarda le malattie cardiovascolari (Cardiovascular disease, CVD) il rischio aumenta forte-mente per i soggetti maschi che presentano un WC di più di 102 cm e per le donne con un WC superiore a 88 cm, ma già con un WC di 90 cm per i maschi, rispettivamente di 83 cm per le femmine, si possono vedere delle -pur moderate- correlazioni con queste patologie. Donne con un WC di 72 o più cm hanno mostrato di correre un rischio di cardiopatie doppio rispetto a quello corso dalle femmine più magre. Fra tutti i metodi disponibili, la misurazione della circonferenza del girovita è il migliore indicatore per la stima del rischio di malattie cardiovascolari. I maschi che presentano un WC maggiore a 102 cm, così come le femmine il cui girovita oltrepassa gli 88 cm, corrono un alto rischio di sviluppare un’ipertensione. Lo stesso pericolo minaccia gli individui con un BMI fra 25 e 29.9. Inoltre gli individui che presentano un WC superiore a 100 cm sono più a rischio di sviluppare un’ernia e un WC eccessivo è stato oltremodo associato ad un maggiore rischio di carcinoma del colon-retto, so-prattutto fra i soggetti maschi. Per quel che riguarda i bambini e gli adolescenti, solitamente la misura del girovita non è utilizzata per identificare i fattori di rischio legati all’obesità. Questo perché non si posseggono ancora dati a sufficienza per poter stabilire dei valori limiti standard per questa fascia di età. Per questo motivo in questo capitolo mi limiterò ad esporre alcune raccomandazioni:

- un bambino affetto da steatosi non alcolica e che esibisce un WC superiore al 90esimo percenti-le corre un forte rischio di sviluppare una fibrosi al fegato;

- Ragazzi tra i 12 e i 19 anni che ostentano un WC superiore ad un intervallo compreso fra i 66.8 e gli 87.5 cm, rispettivamente fra i 71.5 e gli 87.2 cm per le ragazze, corrono un maggior rischio di sviluppare malattie cardiovascolari. I range sono molto larghi a causa delle differenze di etnia e età.

- Un elevato WC nei bambini e adolescenti può oltremodo essere associato all’ipertensione, a bassi tassi di colesterolo HDL (“buono”), a un aumento dello spessore della parete ventricolare sinistra del cuore, ad alti tassi di colesterolo e trigliceridi nel sangue.

In generale, se negli adulti l’adiposità addominale va associata specialmente ad un maggiore rischio di malattie cardiovascolari, nei bambini è soprattutto fortemente relazionata ad un profilo alterato di lipo-proteine aterogeniche -per gli individui fra i 12 e i 14 anni,[38]- e all’iperinsulinemia nei ragazzi di 5-17 anni, [39]. Di seguito, nella Tabella 4, è riportata la tabella proposta e integrata nelle proprie linee guida dalla So-cietà svizzera di pediatria per la valutazione di sovrappeso e obesità (Adipositas-Arbeitsgruppe der Schweizerischen Gesellschaft für Pädiatrie) con i relativi Standart Deviation Score (SDS) riferiti ai valori di WC dei bambini e adolescenti olandesi, [40]:

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Tabella 4: Taillen (WC), Hüftumfangs- (HC) und Taillen-zu-Hüft-Ratio (WHR)-Referenzbereiche innerhalb von 2 Standardabweichungen (SD), für Jungen (oben)und Mädchen (unten), [40].

Ho scelto di riportare questa tabella perché non sono ancora state elaborate delle curve di riferimento in funzione del sesso e dell’età con i valori limite di WC standardizzati per i bambini svizzeri. Infatti solo recentemente ci si è resi conto dei vantaggi che presentava questa misura rispetto al BMI e solamente alcuni paesi (Olanda, Italia, Stati Uniti, Germania et al.) hanno già provveduto ad elaborare delle curve nazionali dei percentili del girovita per la loro popolazione in età pediatrica. In un recente studio sono state elaborate delle curve riportanti i percentili nazionali per campioni di soggetti in età pediatrica africani-americani, europei-americani e messicani-americani.

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Queste curve sono state riprese e pubblicate leggermente modificate e sottoforma di tabella (cfr. Tabel-la 5 e Tabella 6) dalla Rivista della Società Italiana di Pediatria, [41]: Tabella 5: Centili della WC in funzione dell'età e del sesso e riferiti alla popolazione europea, [41].

Tabella 6: Criteri per la diagnosi della sindrome metabolica in soggetti pediatrici, [41].

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Vista però la mancanza di tali curve specificamente per i giovani soggetti svizzeri, e non avendo nella mia indagine misurato gli altri parametri necessari per trarre considerazioni interessanti (trigliceridi, coleste-rolo HDL, pressione arteriosa, glucosio), ho scelto di non basarmi sul metodo del WC nella mia ricerca e limitarmi a basare la mia analisi sul calcolo del BMI. Anche se il WC si dimostra essere un migliore indicatore dei rischi di salute legati all’obesità, perché permette di evidenziare un aumento della mortalità anche nei soggetti che presentano un BMI nella norma, rimane molto importante calcolare BMI e WHR in quanto ciascun metodo mostra dei vantaggi precisi rispetto agli altri nell’identificazione di specifici aspetti dell’obesità. Inoltre, recentemente sono stati pubblicati degli studi che mostrano come determinate combinazioni fra questi tre metodi si rivelino efficaci per la prevenzione di determinati rischi di salute. Per esempio, una persona con un BMI basso e un WC elevato corre un maggior rischio di morire a seguito di un infarto rispetto ad una persona che presenta elevati valori sia di BMI che di WC; questo perché il soggetto con BMI basso presenta una mi-nore massa muscolare ed un carenza di tessuto adiposo sottocutaneo. Uno studio pubblicato dall’American Journal of Epidemiology ha concluso che gli individui con un BMI nella norma (tra 18.5 e 15) e un WC eccessivo (maggiore a 102 cm nei maschi, maggiore a 88 cm nelle femmine) corrono un ri-schio di mortalità aumentato del 20% rispetto ai soggetti che vantano un BMI e un WC normali,[42]. In un altro studio pubblicato dall’American Journal of Clinical Nutrition è stato calcolato che il rischio di cancro del colon cresce del 33% nei maschi e del 16% nelle donne per ogni aumento di 10 cm di girovita, [43]. Il più grande limite del WC è che incorrono differenze molto marcate tra i vari gruppi etnici, e di questo ostacolo ne risentono soprattutto i paesi multiculturali come ad esempio l’Australia; per questo è indi-spensabile basarsi sui valori limite standardizzati per la propria etnia,[44].

3.4 Le principali componenti degli alimenti

3.4.1 I macronutrienti: siamo quello che mangiamo Le grandi molecole biologiche sono suddivise in quattro classi principali di sostanze: proteine, glucidi (o carboidrati), lipidi e acidi nucleici. Essendo di dimensioni relativamente grandi, queste sostanze vengono comunemente indicate come macromolecole. Le macromolecole vengono formate per la maggior parte dalle cellule unendo fra loro delle molecole i-dentiche o simili e più piccole, e consistono quindi in lunghe catene che nel complesso vengono dette polimeri. I loro costituenti (le singole unità legate fra loro nella catena) sono invece definiti monomeri. In natura esiste un numero enorme di polimeri diversi e, potenzialmente, la loro varietà è infinita. Le cel-lule riescono ad esempio a sintetizzare tutte le proteine a partire da soli 20 tipi di amminoacidi combina-ti in modi diversi. Il DNA è invece costituito di quattro tipi differenti di monomeri, detti nucleotidi. È pro-prio questo numero infinito di combinazioni possibili fra monomeri a spiegare la diversità fra gli organi-smi. La sintesi dei polimeri avviene tramite delle reazioni dette di condensazione e -dato che queste compor-tano solitamente la liberazione di una molecola d’acqua- si parla anche, più nel dettaglio, di reazioni di disidratazione. Il monomero che si va ad aggiungere alla catena che compone il polimero è infatti dotato di un gruppo funzionale ossidrilico -OH ad una estremità, e di un atomo di idrogeno -H all’altro suo e-stremo. Le due estremità del polimero sono costituite dai due medesimi gruppi funzionali (-OH e -H). Durante la reazione di condensazione, il gruppo ossidrilico del polimero si lega al gruppo -H del monomero (o vice-versa se il monomero si attacca all’altra estremità della catena) formando una molecola d’acqua (H2O)

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che viene subito liberata, in modo che il monomero si possa unire alla catena con un legame covalente (cfr. Figura 7).

Figura 7: Reazione di condensazione (disidratazione) per la sintesi di un polimero, [45]. Nell’alimentazione, i polimeri delle macromolecole contenute negli alimenti vengono scissi in monomeri poiché, innanzitutto sono troppo grandi per riuscire a diffondere nelle cellule e nondimeno perché la lo-ro scissione è necessaria affinché l’organismo possa ricombinare le varie unità monomeriche a seconda dei suoi bisogni più pressanti. La demolizione delle catene polimeriche avviene tramite delle reazioni di idrolisi, catalizzate da vari en-zimi presenti lungo il tratto digestivo. L’aggiunta di una molecola d’acqua (H2

O) spezza il legame fra un monomero e la catena polimerica. Si formano così un gruppo ossidrilico e un atomo di idrogeno, che si legano, a dipendenza dei casi, l’uno alla catena e l’altro al monomero staccato. Una volta scomposti i po-limeri, i monomeri che li costituivano vengono assorbiti dal sangue e quindi distribuiti a tutte le cellule dell’organismo, che possono quindi ricombinare queste piccole unità nelle macromolecole di cui neces-sitano attraverso delle reazioni di condensazione.

Figura 8: Reazione di idrolisi per la demolizione di un polimero [45].

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3.4.1.1 Proteine Le proteine sono dei polimeri formati dalla condensazione di monomeri detti amminoacidi. Ne esistono moltissimi tipi e le loro strutture specifiche conferiscono loro una grande quantità di funzioni diverse. I ruoli principali che rivestono le proteine si possono riassumere alle funzioni enzimatiche, strutturali, contrattili, di difesa, regolatrici, recettive, di trasporto, e di riserva. Sono quindi importanti costituenti dei muscoli, dei capelli, delle unghie, delle cellule del sangue e degli ormoni e contribuiscono alla catalisi di molte reazioni che avvengono nell’organismo. Possono inoltre contribuire a combattere le infezioni e alla comunicazione fra le cellule, nonché al riconoscimento e al trasporto di varie molecole. Le proteine animali sono più simili a quelle dell’uomo è sono perciò più facilmente utilizzabili rispetto a quelle di origine vegetale[46],[45].

3.4.1.2 Glucidi I glucidi, o carboidrati, sono delle catene polimeriche dette disaccaridi o polisaccaridi formate dalla con-densazione di monomeri, detti monosaccaridi, o zuccheri semplici. La formula molecolare generale di un monosaccaride è un multiplo di CH2O e i monosaccaridi più noti sono gli isomeri glucosio e fruttosio (C6H12O6

I polisaccaridi sono detti zuccheri complessi e sono dei polimeri costituiti da tre o più monosaccaridi condensati. Gli organismi li usano perlopiù come depositi di energia o come componenti strutturali. Un esempio di polisaccaride è l’amido, formato dalla condensazione di monomeri di glucosio nonché princi-pale molecola per la riserva di energia nelle piante. Le cellule vegetali possono idrolizzare i granuli di a-mido presenti al loro interno per ottenere il glucosio da cui trarre energia con la respirazione cellulare. Gli uomini e molti animali possiedono degli enzimi in grado di scindere il polisaccaride dell’amido e pos-sono quindi utilizzarlo per estrarne i monomeri di glucosio. Le principali fonti di amido nella dieta uma-na sono patate, cerali, frumento, mais e riso. Ma a differenza delle piante, gli animali e l’uomo stoccano i carboidrati in eccesso, non come amido, bensì come glicogeno. La maggior parte di questa molecola viene immagazzinata sottoforma di granuli nelle cellule dei muscoli e del fegato, che in caso di necessità, provvedono alla sua idrolisi per ottenere glucosio da cui trarre energia. Un terzo importante polisaccari-de è la cellulosa, che costituisce delle fini fibrille nelle pareti delle cellule vegetali. I monomeri di cui è costituita sono sempre di glucosio ma sono uniti fra loro con legami differenti rispetto a quelli nelle ca-tene polimeriche di amido e glicogeno. La maggior parte degli animali, uomo compreso, non si avvale degli enzimi indispensabili per l’idrolisi della cellulosa, la quale non rappresenta quindi per loro una so-stanza nutritiva. Contribuisce tuttavia a migliorare le funzioni intestinali, attraversando inalterata il tubo digestivo e per questo motivo è anche chiamata la fibra insolubile. Si incoraggia pertanto il consumo di frutta e verdura fresche e di cereali, poiché sono alimenti molto ricchi di questa fibra. Bovini e termiti possono invece trarre nutrimento dalla cellulosa, poiché il loro tubo digerente accoglie gli enzimi neces-sari per la sua idrolisi,[45].

). Il miele, ad esempio, è uno zucchero complesso costituito prevalentemente da monomeri di glucosio e fruttosio. I monosaccaridi, ed in particolare il glucosio, sono i principali “combustibili” per le attività cellulari; ma le cellule possono anche usarli per formare altre molecole, ad esempio gli ammino-acidi. I monosaccaridi che non vengono utilizzati subito dalle cellule vengono incorporati nei disaccaridi e polisaccaridi. I disaccaridi sono anche considerati zuccheri semplici e costituiscono delle catene poli-meriche formate esclusivamente da due monosaccaridi condensati. Un esempio può essere il maltosio, sintetizzato a partire da due monomeri di glucosio. Questa sostanza si trova per esempio nei semi in fa-se di germinazione e può essere impiegata per produrre birra. Ma il disaccaride più comune è il saccaro-sio, i cui due monosaccaridi condensati sono glucosio e fruttosio. Questo disaccaride è presente nella lin-fa delle piante e, estratto dal fusto delle canne da zucchero o dalle radici delle barbabietole, viene co-munemente usato come zucchero da tavola.

Nell’ambito dell’alimentazione si può dire che i carboidrati sono le principali macromolecole per il rifor-nimento di energia, in quanto vengono subito messi a disposizione dal nostro organismo per le attività e

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gli sforzi. Il loro apporto giornaliero dovrebbe indicativamente ammontare al 45-55% del totale apporto nutritivo quotidiano, ma le persone particolarmente attive fisicamente possono tranquillamente supera-re questi valori. In particolare gli zuccheri semplici (monosaccaridi e disaccaridi) vengono assorbiti molto velocemente dal sangue, mentre gli zuccheri complessi (polisaccaridi) impiegano più tempo a passare dal tubo digerente al circolo sanguigno. I primi causano pertanto un veloce aumento del tasso glicemico nel sangue, che stimola una intensa secrezione dell’ormone insulina e sul lungo periodo può portare allo svi-luppo di una insulinoresistenza e quindi di un diabete mellito di tipo II (cfr. cap. 3.8.1). Inoltre, rimanen-do solo per un breve intervallo di tempo nello stomaco, hanno un potere saziante molto limitato. Oltre a prolungare la sensazione di sazietà, i polisaccaridi contengono una maggior quantità di fibre alimentari, vitamine, sali minerali e altri micronutrienti importanti ed oltretutto comportano un minor rischio di ca-rie,[46]. In molte bevande zuccherate e nei succhi di frutta, i due monosaccaridi costituenti del saccarosio (gluco-sio e fruttosio) sono presenti sottoforma di sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio. Si tratta di un dolcificante molto potente attualmente pesantemente accusato di essere una delle maggiori cause dell’attuale obesità epidemica. Il mais è costituito prevalentemente dal polisaccaride amido. I processi industriali, tramite degli enzimi, riescono ad idrolizzare questo carboidrato nelle unità monomeriche di glucosio che lo compongono. Non essendo però il glucosio dolce quanto il saccarosio, ed essendo il frut-tosio molto più dolce rispetto al glucosio, negli anni settanta si sviluppò un nuovo processo industriale enzimatico in grado di riorganizzare gli atomi del glucosio per ottenere il suo isomero di fruttosio, dal gusto più dolce. Dai monomeri di glucosio dell’amido, si riusciva così ad ottenere uno sciroppo di frutto-sio. Questo veniva infine miscelato con dello sciroppo di mais in modo da ottenere una soluzione di frut-tosio al 55% e glucosio al 45% detta appunto sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio, proporzio-nalmente non molto divergente da una miscela di saccarosio e allo stesso tempo economicamente mol-to più vantaggiosa. Negli Stati Uniti un aumento del 25% del consumo di questa miscela fra il 1980 e il 2000, è stato associa-to ad un contemporaneo aumento dell’incidenza di obesità, diabete di tipo II e altre malattie croniche legate all’eccesso ponderale; tuttavia tale correlazione non è mai stata definitivamente dimostrata, [45].

3.4.1.3 Lipidi A differenza delle altre macromolecole, i lipidi non sono degli autentici polimeri, ma costituiscono piut-tosto una classe di composti, alcuni dei quali vengono similmente formati assemblando molecole più piccole tramite reazioni di condensazione. Ad esempio, i grassi, o trigliceridi, sono delle molecole lipidiche costituite da una molecola di glicerolo unita a tre molecole di acidi grassi (solitamente di diverso tipo). La funzione principale dei grassi consiste nell’immagazzinare energia di riserva. Infatti la quantità di e-nergia che un grammo di grasso può contenere (9 calorie) è più che doppia rispetto a quella contenuta da un grammo di carboidrato o di proteina (4 calorie). L’immagazzinamento di energia nei grassi diventa così una soluzione molto meno ingombrante e voluminosa rispetto a quella che prevede il suo stoccag-gio nelle altre macromolecole. Inoltre i grassi assicurano la protezione degli organi vitali e l’isolamento termico dell’organismo. Il tessuto adiposo del nostro corpo è costituito in gran parte da trigliceridi. Inol-tre nella categoria dei grassi rientrano anche gli oli (ad esempio l’olio d’oliva). I grassi si possono suddividere ulteriormente in grassi saturi e grassi insaturi a dipendenza dei tipi di le-gami che caratterizzano gli acidi grassi che li compongono: alcuni possono infatti presentare dei doppi legami che comportano delle pieghe nella catena carboniosa. In tal caso contengono anche un numero inferiore di atomi di idrogeno rispetto agli acidi grassi senza legami doppi. Le pieghe impediscono alle molecole di grasso di compattarsi ordinatamente e solidificare a temperatura ambiente. Questa proprie-tà è propria dei grassi insaturi, che sono quindi liquidi a temperatura ambiente e comprendono tutti gli oli fuorché quello di cocco, di palma e di guscio di palma. I grassi i cui acidi grassi non presentano doppi legami e quindi nemmeno una riduzione degli atomi di idrogeno, né delle pieghe nella catena carbonio-

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sa, sono detti grassi saturi e sono solidi a temperatura ambiente. L’idrogenazione dei grassi insaturi, è un processo industriale tramite il quale si aggiungono degli atomi di idrogeno agli acidi grassi degli oli in-saturi, solidificandoli. La margarina è un esempio di grasso insaturo idrogenato. Un consumo frequente di questo tipo di grassi è stato associato ad un maggior rischio di malattie cardiovascolari. Un’ulteriore tipo di composto appartenente alla classe dei lipidi è quello dei fosfolipidi. Queste sostanze sono i maggiori costituenti delle membrane cellulari e a livello strutturale assomigliano ai trigliceridi: si formano dalla condensazione di due acidi grassi con un glicerolo, mentre al posto del terzo acido grasso si trova un gruppo fosfato caricato negativamente. Gli steroidi sono invece dei lipidi con uno scheletro carbonioso di quattro anelli uniti fra loro. In partico-lare, il colesterolo è uno steroide presente nelle membrane cellulari degli animali e dell’uomo e viene soprattutto impiegato dalle cellule per sintetizzare altri steroidi, perlopiù ormoni sessuali e vitamina D. Inoltre è una sostanza base negli acidi biliari, indispensabili per la digestione dei grassi. Può provenire dall’alimentazione attraverso il consumo di grassi animali (colesterolo esogeno) oppure può essere sinte-tizzato nel fegato (colesterolo endogeno). Un suo eccesso all’interno dell’organismo è un importante fat-tore di rischio per lo sviluppo di arteriosclerosi, poiché -se presente in grandi quantità nel flusso emati-co- si deposita sulle pareti delle arterie provocandone un restringimento. In ambito alimentare e della salute si sente spesso parlare di colesterolo “buono” e colesterolo “cattivo”. Questa distinzione si fonda prevalentemente sulle due possibili modalità con cui il colesterolo circola nel sangue. Se viene trasportato dalle lipoproteine a bassa densità (Low-Density Lipoproteins, LDL), il rischio che si accumuli sulle pareti arteriose è maggiore e da questo fatto gli deriva l’attributo di colesterolo “cattivo”. La funzione delle LDL consiste nel trasportare il colesterolo dal fegato ai vari organi che ne ne-cessitano. Se sono invece le lipoproteine ad alta densità (High-Density Lipoproteins, HDL) a trasportarlo nel flusso ematico, il rischio di restringimento delle arterie è minore poiché tali lipoproteine convogliano il coleste-rolo in eccesso verso il fegato, dove viene scomposto, quindi eliminato nell’intestino. Il colesterolo HDL svolge quindi un effetto contrastante quello del colesterolo LDL e previene quindi dal rischio di arterio-sclerosi. Per questo motivo viene volgarmente chiamato colesterolo “buono”,[45], [47] e [48].

3.4.1.4 Acidi nucleici Gli acidi nucleici, o polinucleotidi sono del polimeri formati dalla condensazione di monomeri detti nu-cleotidi. In natura sono presenti due tipi di acidi nucleici, ovvero l’acido desossiribonucleico, comunemente noto come DNA, e l’acido ribonucleico, più semplicemente detto RNA. Il primo contiene tutte le informazioni ereditarie indispensabili per la sintesi delle proteine di un organismo, mentre il secondo interviene nel medesimo processo traducendo nelle esatte sequenze di amminoacidi le istruzioni contenute nel DNA,[45].

3.5 Stili di vita sani e malsani Per conservare un peso corporeo sano è sufficiente mantenere nel tempo un equilibrio nel bilancio e-nergetico che soddisfi la semplice equazione: “assunzione di energia tramite l’alimentazione = consumo di energia tramite il metabolismo” Questa equivalenza non deve forzatamente essere soddisfatta quotidianamente, ma è importante piut-tosto cercare di pareggiare il calcolo sul lungo termine. Agendo in questo modo il successo è assicurato e aggira l’effetto jojo delle diete su breve periodo.

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Prima di tutto bisogna conoscere il proprio fabbisogno energetico giornaliero, che varia considerevol-mente da persona a persona e si distingue in fabbisogno energetico di base -che cambia in funzione dell’età, del sesso, e della statura ed è necessario per mantenere le funzioni vitali del corpo (metaboli-smo basale)- e fabbisogno energetico per le prestazioni (attività fisica) -determinato dall’intensità di movimento svolto al quotidiano,[49].

3.5.1 Comportamenti alimentari corretti e scorretti Le scelte alimentari rivestono un ruolo fondamentale nella prevenzione del sovrappeso, dell’obesità e dei rischi per la salute ad essa correlata (varie malattie croniche come le malattie cardiovascolari, la sin-drome metabolica e varie forme di cancro, cfr. cap. 3.8.1). In particolare nell’ambiente occidentale odierno, dove l’offerta di cibo ha assunto dimensioni abnormi, è importante conoscere i propri bisogni nutrizionali e ponderare di conseguenza le proprie scelte alimen-tari. È in special modo raccomandata una riduzione del consumo di cibi ricchi di calorie ma poveri o total-mente privi di valore nutrizionale, come ad esempio le bevande zuccherate e gli alimenti con zuccheri aggiunti, comunemente disponibili e spesso relativamente a basso costo presso i ristoranti fast food, nei distributori automatici e nei supermercati. Questi cibi sono oltretutto molto spesso ricchi in grassi saturi, grassi trans, colesterolo e sodio. Andrebbe invece preferito il consumo di frutta e verdura, pesce (preferibilmente grasso), carne magra, pollame senza pelle, cereali integrali ricchi in fibre, legumi, noci, semi, latte e latticini magri, [50]. Anche la quantità di cibo consumato ha un forte impatto sull’aumento di peso (cfr. più sotto, L’aspetto quantitativo dell’alimentazione, ovvero l’apporto calorico

Il fenomeno del supersizing si sta diffondendo in modo eccessivo influenzando troppo fortemente la quantità di calorie assunte: per esempio vent’anni fa un cheeseburger conteneva in media 333 calorie, mentre oggi ne contiene 590. Un surplus di 110-165 calorie al giorno, se protratto per un anno intero, può causare un acquisto di 10 chili, [51]. Alcuni studi hanno mostrato che le persone tendono ad au-mentare l’apporto di cibo del 30% quando è disponibile la porzione più grande, [52],[50].

) e ancora una volta l’ambiente cui le società occidentali sono sottoposte quotidianamente non è di aiuto in questo senso: negli ultimi anni le porzioni offerte sul mercato hanno aumentato drammaticamente le loro dimensioni senza pertanto vedere cre-scere il loro prezzo; al contrario, non sono le allettanti offerte di saldi a mancare sulla “pizza famiglia gi-gante” o sulla confezione da 10 bottiglie di Coca-Cola.

Per “comportarsi” in modo ottimale a livello alimentare occorre curare sia l’aspetto quantitativo che quello qualitativo del cibo che si sceglie. L’aspetto quantitativo dell’alimentazione, ovvero l’apporto calorico Per quel che concerne la quantità di cibo che va consumata giornalmente non vi possono essere delle raccomandazioni universali poiché dipende da vari fattori, come il sesso, l’età, la massa corporea e la statura nonché il grado e la frequenza con cui si svolge un’attività fisica, che concorrono tutti a variare metabolismo o tasso metabolico. Con questi termini si indica il tasso totale di energia consumata dall’organismo per lo svolgersi di tutte le reazioni biochimiche in un certo periodo di tempo. Il metabolismo comprende il metabolismo basale, quindi l’energia necessaria ad un organismo animale a riposo per alimentare i processi vitali in dato in-tervallo di tempo. Tutte le altre attività che non siano funzioni vitali, anche se estremamente sedentarie (ad esempio stare seduto alla scrivania per lavorare), esigono un supplementare apporto energetico. In termini di alimentazione il contenuto energetico degli alimenti si esprime in kilocalorie, abbreviate “kcal” o “Cal” (1 kcal = 1000 cal), oppure in kilojoule, abbreviati “kJ” (1kcal = 4,2 kJ).

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Diventa quindi essenziale conoscere i valori calorici relativi ai vari alimenti presenti sul mercato nonché -sebbene approssimativamente- i propri bisogni energetici giornalieri. Con questa consapevolezza si pos-sono regolare di conseguenza i propri consumi alimentari e il livello di attività fisica. Indicativamente, un deficit di 500 o più calorie al giorno è già un comune scopo iniziale per gli adulti che vogliono perdere peso.

I carboidrati, le proteine e i grassi sono dei macronutrienti presenti in varie combinazioni e quantità in pressoché tutti gli alimenti e bevande; sono perciò le principali fonti di calorie nella dieta. Un’altra im-portante sorgente di calorie è rappresentata dall’alcool. Un maggiore e prolungato consumo di alcool è stato infatti correlato con l’acquisto di peso. Le raccomandazioni relative alle proporzioni con cui i macronutrienti andrebbero consumati variano in funzione delle età: la dieta dei bambini e adolescenti di 4-18 anni dovrebbe costituirsi per il 45-65% di carboidrati, per il 10-30% di proteine e per il 25-35% di grassi. I rispettivi valori per gli individui di 19 anni o più sono 45-65%, 10-35%, 20-35% (quindi leggermente maggiori per l’apporto di proteine e appena minori per consumo di grassi) e per i bambini di 1-3 anni 45-65%, 5-20%, e 30-40% (sensibilmente minori per l’apporto di proteine e decisamente maggiori per l’apporto di grassi).

È stato calcolato che per i ragazzi americani di 9-18 anni, la pizza e le bevande zuccherate sono maggiori fonti di calorie che per i bambini più giovani mentre, per gli adulti, fra i principali fornitori di calorie, figu-rano le bevande alcoliche [53].

Va oltremodo notato che l’ossidazione di un grammo di grassi libera una quantità più che doppia di e-nergia (9 cal) rispetto a quella liberata da un grammo di proteine o di carboidrati (4 cal). Un grammo di alcool fornisce da solo ben 7 calorie, ma bisogna anche tener presente che spesso si trova miscelato in cocktails che hanno oltretutto un elevato tenore di zuccheri aggiunti, il che non fa altro che aumentare l’apporto calorico di queste bevande senza pertanto aumentare il loro valore nutrizionale, bassissimo o talvolta nullo, [54]. Se si introducono più chilocalorie di quelle necessarie per soddisfare il proprio metabolismo, le cellule dell’organismo non eliminano questo surplus ma conservano le chilocalorie eccedenti immagazzinando-le come glicogeno nel fegato e nei muscoli, oppure come grasso nelle cellule. È da sottolineare che, a differenza di quel che si potrebbe dedurre, ciò avviene anche nel caso di un’alimentazione povera in grassi, poiché il nostro fegato può convertire i carboidrati e le proteine ec-cedenti in grasso. Malgrado le evidenti limitazioni, già citate, intrinseche alla standardizzazione dei valori per gli apporti calorici, sono state elaborate delle tabelle che riportano le calorie stimate necessarie per soddisfare i bi-sogni giornalieri in funzione dell’età, del sesso e del livello di attività fisica. Questi dati vanno considerati quindi solo fino ad un certo punto, in quanto non tengono in considerazione tutta una serie di altri fatto-ri che influiscono sul metabolismo (i.e. statura, massa, ecc.), [54], [55].

Almeno altrettanto importante, se non in maggior misura è la tipologia, quindi la qualità, delle derrate alimentari scelte per la propria dieta.

L’aspetto qualitativo dell’alimentazione, ovvero i valori nutritivi del cibo

Infatti, oltre all’energia necessaria per il metabolismo, gli animali devono poter ottenere dalla loro ali-mentazione le sostanze organiche di base (macronutrienti) necessarie per costruire le proprie molecole complesse nonché tutta una serie di sostanze nutritive essenziali che il loro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente. Ad esempio, per sintetizzare i lipidi, le cellule combinano gli acidi grassi con altre molecole (e.g. il glice-rolo); quasi tutti gli acidi grassi vengono sintetizzati autonomamente dall’organismo umano, ma una mi-noranza importante deve necessariamente provenire dall’alimentazione, ovvero gli acidi grassi essenzia-li. Fra questi, l’acido linoleico è particolarmente importante poiché indispensabile per la sintesi di certi fosfolipidi costituenti delle membrane cellulari. Va però detto che una carenza da acidi grassi essenziali è un evento molto raro, perché quasi tutte le diete ne garantiscono un apporto sufficiente.

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Fra i venti amminoacidi indispensabili per la sintesi proteica, sono invece otto gli amminoacidi essenziali per quel che concerne gli adulti (valina, treonina, fenilalanina, leucina, isoleucina, triptofano e lisina), mentre i bambini devono introdurne nove attraverso la dieta, in quanto necessitano anche dell’amminoacido istidina. L’organismo umano non è capace di stoccare gli amminoacidi in eccesso per-ciò, se per la sintesi di una proteina manca anche solo un amminoacido, questa non può avvenire. La carenza proteica colpisce molti individui, soprattutto i bambini dei paesi più poveri -dove il consumo di carne rimane tutt’oggi un lusso che pochi si possono permettere- ed ha come principale conseguenza uno sviluppo ritardato a livello fisico e mentale. La via più facile per garantire l’apporto di tutti gli ammi-noacidi essenziali consiste nel nutrirsi regolarmente con carne, uova, latte e formaggio, alimenti che contengono tutti e 8 gli amminoacidi essenziali nelle quantità necessarie. Le proteine contenutevi ven-gono perciò definite proteine complete. La maggior parte delle proteine di derivazione vegetale invece è priva di almeno un amminoacido essen-ziale e per questo motivo si parla piuttosto di proteine incomplete. Sono invece tredici le vitamine essenziali, sostanze organiche che l’uomo deve per forza introdurre con l’alimentazione. Fra queste si distinguono le vitamine idrosolubili (solubili in acqua) e le vitamine liposo-lubili (solubili nei lipidi). Il loro apporto è tuttavia necessario in quantità ridottissime; un ipotetico cuc-chiaio da tavola colmo di vitamina B12 basterebbe per coprire il bisogno giornaliero di un milione di in-dividui. Tuttavia, una carenza di vitamine (ipovitaminosi) così come un loro eccesso (ipervitaminosi) possono a-vere delle gravi conseguenze sulla salute; in particolare il sovra consumo di vitamine liposolubili rappre-senta un rischio poiché -a differenza delle vitamine idrosolubili- non possono essere eliminate attraverso le urine, ma si accumulano nel grasso corporeo e possono avere degli effetti tossici sull’organismo. Anche i minerali essenziali, sostanze inorganiche semplici, vanno assunti attraverso la dieta e sono indi-spensabili in piccole quantità. Anche in questo caso, sia una carenza che un sovra-consumo di queste so-stanze può avere conseguenze negative sulla salute; ad esempio il cloro e il sodio consumati in quantità eccessive, comunemente attraverso il sale da cucina, sono correlati con un maggior rischio di iperten-sione, [55]. Per non correre il rischio di incorrere in carenze nutritive pericolose è quindi importante seguire un’alimentazione molto variata. Nella letteratura scientifica sono disponibili varie guide che riportano le raccomandazioni inerenti agli alimenti da consumare regolarmente per garantire un beneficio massimo per la salute. Queste prendo-no dunque in considerazione contemporaneamente sia il valore calorico che quello nutrizionale del cibo e la miglior combinazione di questi due aspetti si ritrova negli alimenti ad alto contenuto nutrizionale che, oltre a garantire un completo apporto di nutrienti essenziali, contengono relativamente poche calo-rie. Questi alimenti non contengono infatti grassi solidi, zuccheri, amido o sale aggiunti. Fanno parte di questa categoria tutta la frutta e la verdura, i cereali integrali, il latte e i latticini magri, il pesce, le carni magre, il pollame, le uova, i legumi (come piselli, ceci e fagioli), le noci e i semi. Di seguito saranno esposti i benefici per la salute conferiti da un’alimentazione fondata su questi tipi di alimenti:

- la frutta e la verdura conferiscono un apporto calorico ridotto e nel contempo sono ottimi forni-tori di vitamine (A, C, K), sostanze minerali (magnesio e potassio), antiossidanti e sostanze vege-tali secondarie e sono inoltre importanti sorgenti di fibre alimentari. Gli antiossidanti sono delle sostanze in grado di catturare i radicali liberi, molecole estremamen-te reattive che si formano di continuo nell’organismo come prodotti di reazione nei processi me-tabolici o a seguito di influssi esterni, quali radiazione UV, smog, veleni ambientali e fumo da si-garetta. I radicali liberi partecipano al processo di invecchiamento nonché allo sviluppo di arte-riosclerosi e di cancro. Gli antiossidanti essenziali, che vanno quindi necessariamente introdotti tramite l’apporto alimentare, sono le vitamine E e C, il beta-carotene (precursore della vitamina A), i minerali selenio, rame e zinco, e le sostanze vegetali secondarie. Queste ultime costituiscono un gruppo di migliaia di sostanze prodotte dalle piante per difen-dersi dai parassiti e dalle malattie, ma hanno anche degli effetti positivi sulla salute dell’uomo. Fra tali sostanze si distinguono i fenoli, particolarmente favorevoli per il cuore.

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Le fibre alimentari sono delle forme non digeribili dei carboidrati e della lignina che aumentano la sensazione di sazietà (ritardando lo svuotamento dello stomaco) e possono ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, di obesità e di diabete mellito di tipo II. Per il loro contenuto nutrizionale, la frutta e la verdura contribuiscono quindi a ridurre il rischio di malattie croniche come le malattie cardiovascolari (grazie specialmente agli antiossidanti e ai fenoli) e alcune forme di cancro (grazie agli antiossidanti). Sono inoltre capaci di migliorare l’attività intestinale e favorire il sistema immunitario, [49], [56]. Gli individui adulti dovrebbero assumere giornalmente tre porzioni di verdura (min. 120 g) e due di frutta (min. 120 g), preferibilmente con la buccia per non perdere importanti vitamine e fibre. Al massimo una di queste porzioni può essere sostituita con del succo di frutta non zuccherato o di verdura (2 dL) al 100%, [46].

- I cereali integrali tendono ad essere consumati meno volentieri rispetto ai cereali raffinati, alcu-ni dei quali possono nascondere molti grassi solidi e zuccheri aggiunti. I primi andrebbero tutta-via privilegiati in quanto forniscono all’organismo i minerali ferro, magnesio e selenio, la vitami-na B, e le fibre alimentari. Il loro consumo è stato associato ad un minore rischio di malattie cardiovascolari e ad un minor peso corporeo. Alcuni studi portano delle prove, ancora relativamente fragili, di una possibile correlazione fra tale consumo e un minor pericolo di diabete mellito di tipo II, [56]. È raccomandato un consumo di tre porzioni al giorno di farinacei di cui almeno due sottoforma di cereali integrali (una porzione corrisponde a 75-125 g di pane, oppure 60-100 g di leguminose (peso crudo), oppure 180-300 g di patate o 45-75 g di fiocchi di cereali come ad esempio pasta, mais e riso (peso crudo)), [46].

- Il latte e i latticini (yogurt e formaggio) forniscono proteine, i minerali calcio e potassio e la vita-mina D. Il consumo di questi prodotti alimentari è stato associato ad un miglioramento della salute delle ossa soprattutto nei bambini e negli adolescenti, nonché ad un minor rischio di malattie cardio-vascolari e di diabete mellito di tipo II e ad una minor pressione sanguigna negli adulti. Consumare latte e latticini magri garantisce il medesimo apporto di nutrienti ma riduce il con-sumo di grassi e quindi di calorie. Bisognerebbe inoltre preferire il latte e lo yogurt al formaggio poiché incrementano l’apporto di potassio e di vitamine A e D diminuendo allo stesso tempo quello di sodio, colesterolo e acidi grassi saturi, [56]. Bisognerebbe assumere tre porzioni di latte o di latticini al giorno (una porzione corrisponde a 2 dL di latte o a 150-180 g di yogurt, rispettivamente a 200 g di formaggio fresco/ cottage oppure a 30-60 g di formaggio a pasta dura), [46].

- Gli alimenti proteici comprendono il pesce (crostacei compresi), la carne, il pollame, le uova, i legumi, i prodotti a base di soia, le noci e i semi. Ulteriori fornitori di proteine, come visto, sono il latte e i latticini. Questa lista di alimenti conferisce al nostro organismo, oltre alle indispensabili proteine, le vi-tamine B e E ed i minerali ferro zinco e magnesio. I grassi presenti nella carne, nel pollame e nelle uova sono considerati grassi solidi, e vanno quindi preferiti le carni ed il pollame magri, mentre i grassi nel pesce, nelle noci e nei semi sono definiti oli. Le noci e i semi hanno un contenuto calorico particolarmente alto ed il loro consumo va quindi limitato a piccole porzioni che devono sostituire e non aggiungersi alle altre porzioni di alimenti proteici. Inoltre questi due prodotti alimentari presentano spesso un elevato contenuto di sali aggiunti, il cui consumo eccessivo è documentato come negativo per la pressione arteriosa. I fagioli e i piselli, fatta eccezione per quelli verdi, sono delle ottime fonti sia di proteine, ferro e zinco, che di fibre alimentari, potassio e acido folico. A causa del loro contenuto nutrizionale ambivalente possono essere talvolta classificati oltre che come alimenti proteici anche come ve-getali. Il consumo di pesce andrebbe incrementato poiché fornisce gli acidi grassi omega-3 eicosapen-taenoic (EPA) e docosahexaenoic (DHA). Recentemente un consumo di circa 30 g settimanali di

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una varietà di pesce, è stato associato con una minor mortalità per malattie cardiache con o senza malattie cardiovascolari pre-esistenti. Il beneficio per la salute sembrerebbe essere mag-giore del rischio associato all’apporto di metil-mercurio (metallo pesante) associato al consumo di pesce. Ad ogni modo vanno prediletti i pesci ricchi in DHA e EPA con un basso contenuto di metil-mercurio, quindi il salmone, le acciughe, le aringhe, le sardine, le ostriche, la trota, e lo sgombro del Pacifico o dell’Atlantico. I pesci più ricchi del pericoloso metallo pesante e il cui consumo va quindi evitato sono invece il tile gibboso, lo squalo, il pesce spada e lo sgombro reale. Recenti studi mostrano inoltre probabili benefici del consumo di pesce soprattutto durante la crescita del feto e durante l’età gestazionale. Le donne gravide e quelle che allattano i loro figli dovreb-bero incrementare il loro apporto di pesce elevandolo a 225-340 g settimanali; gli acidi grassi omega-3, in particolare il DHA, migliorano lo sviluppo visivo e cognitivo del bambino. Le raccomandazioni per gli adulti documentano un consumo giornaliero che alterni o una por-zione di carne (100-120 g, peso a crudo), o di pesce (100-120 g, peso a crudo), oppure di uova (2-3 pezzi) o di formaggio (200 g di formaggio fresco/ cottage o 60 g di formaggio a pasta dura )o di altri prodotti proteici come il tofu o il quorn (100-120 g), [46]. Per le sue proprietà sopracitate, il pesce andrebbe consumato almeno due volte a settimana,[57].

- Gli oli sono dei grassi che contengono un’alta percentuale di acidi grassi monoinsaturi e polinsa-turi e generalmente sono liquidi a temperatura ambiente. Sono inoltre importanti fornitori di vi-tamina E (ma anche delle vitamine A, D e K). Sostituire l’apporto di alcuni acidi grassi saturi con acidi grassi insaturi abbassa i livelli di lipoproteine totali nel sangue e quelli di lipoproteine LDL, diminuendo il rischio di arteriosclerosi, [56]. Inoltre l’azione antiossidante degli acidi grassi insaturi favorisce il sistema cardiovascolare pro-teggendolo dalle ostruzioni dei vasi, [55]. In particolare gli acidi grassi monoinsaturi, influenzano positivamente il tasso lipidico nel sangue, la coagulazione del sangue, le reazioni infiammatorie, le allergie e la pressione arteriosa. Al contrario, una dieta ricca di acidi grassi saturi e carne rossa può favorire l’insorgenza di cancro alla prostata o al colon, [55]. Gli oli (e quindi gli acidi grassi insaturi) si trovano naturalmente nelle olive, nelle noci, negli avo-cado e nel pesce. Alcuni oli di uso comune sono invece estratti da varie piante come ad esempio l’olio di colza, di oliva, di semi di girasole, di semi di mais, di semi di soia, di arachidi e di carta-mo. Ma bisogna badare a delle particolari eccezioni: l’olio di cocco, l’olio di palma e l’olio di guscio di palma devono essere considerati grassi solidi (e non oli) a causa del loro elevato contenuto di a-cidi grassi saturi. Allo stesso modo si devono considerare gli oli parzialmente idrogenati a segui-to di processi industriali di solidificazione degli oli vegetali, poiché contengono acidi grassi trans che possono compromettere la salute dei vasi sanguigni, [56], tra l’altro diminuendo il tasso di lipoproteine HDL nel sangue, [55]. Questi particolari grassi solidi sono contenuti perlopiù in al-cuni prodotti da forno e nelle patatine chips e fritte, il cui consumo va per quanto possibile evi-tato. Gli alimenti costituiti per la maggior parte da oli sono la maionese, i condimenti per l’insalata a base di olio e la margarina senza acidi grassi trans. Nella dieta bisognerebbe quindi preferire gli oli che contengono acidi grassi monoinsaturi (e.g. olio d’oliva) a quelli che contengono acidi grassi saturi o acidi grassi trans e ai grassi solidi (e.g. burro). Ciò non vuol dire che gli oli monoinsaturi vanno consumati in abbondanza: il loro conte-nuto calorico è altrettanto elevato di quello degli altri oli perciò vanno usati con estrema mode-razione, [56]. Indicativamente si raccomanda di usare ogni giorno 2-3 cucchiaini da tè (10-15 g) di olio vegeta-le (e.g. olio di oliva o di colza) per il condimento di cibi freddi, come l’insalata. La stessa dose di olio vegetale è raccomandata giornalmente per la preparazioni di cibi caldi, come lo stufato o l’arrosto.

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Dieci grammi di burro o di margarina possono essere usati ogni giorno per spalmarli sul pane. Allo stesso tempo di consiglia di consumare una porzione di frutta oleaginosa (20-30 g di man-dorle, noci , nocciole ecc.) giornalmente, [46], [57].

Sono quindi questi gli alimenti che bisognerebbe preferire nelle proprie scelte alimentari, chiaramente nelle giuste quantità. Va prestata particolare attenzione agli alimenti disponibili sul mercato che na-scondono grandi quantità di sale e di grassi, in particolare se questi sono saturi. Un esempio sono le pa-tatine chips, le nocciole e le arachidi salate, nonché alcune barrette energetiche. Anche i cibi fritti, i cibi dei fast food, i piatti precotti, i prodotti a base di latte intero, il gelato alla crema e alcune salse per con-dire già pronte possono nascondere un elevato contenuto di grassi. Per quanto concerne il consumo di alcool, se è costituito da vino rosso o eventualmente da birra e si li-mita ad una quantità relativamente ridotta (1-2 dL al giorno per le donne, 1-3 dL al giorno per gli uomi-ni), può avere degli effetti positivi sul sistema cardiocircolatorio poiché aumenta leggermente il tasso di colesterolo HDL. Si consiglia comunque di inserire nella settimana 2-3 giorni senza alcool e si scongiura un suo consumo per le donne durante la gravidanza, [57]. I dolci vanno consumati con moderazione a causa del loro elevato tenore di carboidrati semplici (zuc-chero) che sono atti ad una immediata produzione di energia poiché entrano molto velocemente nel sangue elevando rapidamente i livelli glicemici. Ciò costringe l’organismo a produrre elevate quantità di insulina, il che fa calare velocemente il tasso di zucchero nel sangue. Di conseguenza la sensazione di fame torna entro un breve intervallo di tempo e si è portati a ingerire ulteriore cibo. Generalmente quindi i dolci hanno uno scarsissimo potere saziante e spesso contribuiscono in modo eccessivo all’apporto di grassi mentre il loro valore nutrizionale è nullo o comunque molto basso. Le seguenti e-quivalenze rendono bene la scarsa sensazione di sazietà che possono fornire i dolci rispetto ad altri ali-menti: a livello calorico una tavoletta di cioccolata corrisponde a ben sette mele, 5-6 teste di moro pa-reggiano le calorie di 9 patate e 2 dL di Coca-Cola equivalgono a 5-6 fette di pane integrale. Ad ogni i dolci vanno preferibilmente consumati dopo e non tra i pasti, per evitare che la glicemia si alzi troppo (le fibre riducono ad esempio la sensazione di fame) [49]. Tuttavia la cioccolata -soprattutto se amara- con-sumata in piccole quantità, può contribuire all’apporto di fenoli e antiossidanti, [57]. Un’altra importante indicazione riguardo alle abitudini alimentari è quella di prendersi il tempo di man-giare lentamente; l’organismo impiega infatti ben venti minuti per comunicare al cervello che è sazio e ne consegue che chi ingurgita cibo molto velocemente può consumare entro questo intervallo di tempo una grande quantità di alimenti che non gli sarebbero affatto necessari, [49]. Costituita per il 15% di proteine, per il 60% di carboidrati e per il 25% di lipidi, nonché ricca di vegetali, cereali e olio d’oliva e povera in grassi di derivazione animale, la dieta mediterranea, è risultata, secondo molti studi, il tipo migliore di alimentazione. Ad esempio con lo studio Seven Countries, celebre per aver confrontato le diete di 1200 individui provenienti da sette nazioni differenti (Finlandia, Giappone, Gre-cia, Italia, Olanda, Stati Uniti ed ex Jugoslavia), si osservò una minor mortalità a seguito di infarto nelle popolazioni mediterranee, rispetto a quella rilevata in tutti gli altri paesi. Le diete ovo-lacto-vegetariane, che escludono solamente la carne e il pesce dalla loro dieta, possono rappresentare una soluzione positiva per la salute a patto che siano molto variate e provvedano in parti-colare a garantire un sufficiente apporto di amminoacidi essenziali a partire da proteine di origine vege-tale. La combinazione ideale per assicurare tale apporto è quella che abbina i cereali, come ad esempio il mais (sorgente dell’amminoacido essenziale metionina), con dei legumi, come i fagioli (fonti per i ri-manenti 8 amminoacidi essenziali). In media i vegetariani consumano minori porzioni di grasso, in parti-colare di acidi grassi saturi, meno calorie, più fibre, potassio e vitamina C rispetto agli individui che non seguono una dieta vegetariana. Questo tipo di dieta è oltretutto stato associato con una minore inciden-za di obesità, un ridotto rischio di malattie cardiovascolari e con una minore mortalità, [58], [55]. In nessuna dieta può mancare l’apporto di acqua. In particolare sono raccomandati come minimo 1,5 litri di tale bevanda naturale ogni giorno. Gli sportivi e le persone che perdono molti liquidi (e.g. le per-

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sone che hanno febbre) dovrebbero aumentare ulteriormente la dose giornaliera. Costituendo il 75% del peso corporeo di un neonato, il 60% di quello di un adulto e il 50% di quello di una persona anziana si può ben immaginare l’importanza di questa sostanza: è infatti un indispensabile solvente per tutte le sostanze che circolano nel corpo e quindi un ottimo mezzo di trasporto per la diffusione dei soluti, non-ché un fondamentale regolatore termico. La progressiva diminuzione della percentuale di acqua che compone l’organismo che si produce con l’invecchiamento è da imputarsi al contemporaneo aumento di tessuto adiposo. Essendo i due terzi dei muscoli costituiti di acqua ed avvalendosi generalmente le don-ne di una minor massa muscolare, il loro corpo è allo stesso modo costituito da una minor porzione di acqua rispetto a quella presente nei maschi, [46].

3.6 Muoversi è importante Malgrado l’obesità abbia delle origini decisamente multifattoriali, la sua principale causa prettamente fisiologica risiede, come detto, in uno squilibrio energetico che vede l’apporto di energia superare am-piamente il suo consumo. Di conseguenza, così come un minor apporto energetico, anche un incremen-to nel consumo di energia potrebbe contribuire a ristabilire un peso corporeo sano. Molti studi suggeri-scono pertanto che aumentando il dispendio energetico, anche un’attività fisica regolare potrebbe svol-gere una funzione preventiva nei confronti dell’obesità, [59], [60]. Lo stesso ragionamento logico è seguito da altri studi che associano una scarsa attività fisica con un maggiore rischio di obesità nei bambini, negli adolescenti e negli adulti, [61], [62].

Definizione di attività fisica: Gli effetti benefici dell’attività fisica sulla salute sono stati provati sia per il benessere fisiologico sia per quello psicologico [63]. La pratica di un’attività fisica regolare durante il tempo libero è un fattore protet-tivo importante riconosciuto contro le malattie cardiovascolari, il cancro al colon e al seno, il diabete di tipo II, l’osteoporosi, il mal di schiena, i calcoli biliari, la frattura dell’anca e l’obesità. Grazie ai suoi effetti sulla salute psichica, fare movimento permette pure di prevenire, rispettivamente alleviare i sintomi della depressione e di meglio tollerare lo stress. Infine, chi si muove a sufficienza ha una speranza di vita mag-giore di chi è sedentario. Secondo le raccomandazioni dell’Ufficio federale della sanità pubblica e dell’Ufficio federale dello sport, gli adulti dovrebbero muoversi ogni giorno almeno 30 minuti con intensi-tà media (respirazione leggermente accelerata). Ogni attività di 10 minuti consecutivi conta2

,[64].

Secondo le raccomandazioni pubblicate dall’Ufficio federale della salute pubblica e dall’Ufficio federale dello sport, i bambini e gli adolescenti svizzeri dovrebbero svolgere un’attività fisica di intensità media e della durata di almeno un’ora ogni giorno. I periodi di attività fisica di almeno dieci minuti consecutivi possono essere sommati per raggiungere questo obbiettivo (OFSP, 2006), [65]. Nel caso particolare degli adolescenti, numerosi studi mostrano come l’attività fisica regolare e modera-ta, oltre che a prevenire il rischio di eccesso ponderale, può migliorare le funzioni cardiache e l’irrigazione del cuore e di tutto il corpo, nonché lo sviluppo delle ossa e dei muscoli, [66]. A lungo ter-mine può persino prevenire il rischio di diabete e di alcune forme di cancro, [67], [68], [69], [70] e [71]. Sono più dibattuti i benefici psicologici legati all’attività fisica, ma molti studi riportano un probabile mi-glioramento delle facoltà cognitive e delle prestazioni accademiche nei soggetti che svolgono regolar-mente un’attività fisica, [70], [72], [73] e [74]. Inoltre, la pratica di un’attività fisica durante l’infanzia e

2 Citazione dalla scheda sull’attività fisica elaborata dall’UVPS (Ufficio di Valutazione e di Promozione Sanitaria) assieme alle altre schede sugli indicatori della salute dei ticinesi nel 2009.

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l’adolescenza è stata associata, anche a livello svizzero, con una maggiore probabilità di diventare adulti fisicamente attivi, [75], [76]. Va subito specificato che con attività fisica non si intende solo lo sport, ma anche tutte le attività che implicano un certo sforzo, quali, ad esempio, camminare rapidamente, sfogarsi con gli amici, fare le pu-lizie o fare giardinaggio. L’attività fisica comporta comunque anche una serie di rischi, ovvero principal-mente gli incidenti e le ferite che si verificano perlopiù nel contesto dello sport, soprattutto quando questo è praticato in maniera intensiva e frequente, [77], [78] e [79]. Tuttavia, i benefici per la salute psico-fisica forniti dall’attività sportiva, superano, i danni complessivi che può causare, [65].

3.7 Principali fattori all’origine dell’eccesso ponderale Non esiste un’unica causa cui si spossa imputare l’intera responsabilità per l’ormai definibile “epidemia di obesità” attualmente in corso, ma vi sono piuttosto tutta una serie di determinanti genetici, famiglia-ri, politico-comunitari e sociali, i cui effetti sommati fanno sì che molte persone adottino degli stili di vita malsani che li portano ad assumere, attraverso l’alimentazione, più calorie di quante non ne consumino attraverso il loro metabolismo, e di conseguenza ad acquistare continuamente peso. All’origine dell’obesità si nasconde quindi un principio termodinamico, per cui vi è uno squilibrio fra l’apporto energetico e il consumo energetico e in questo senso le abitudini alimentari e l’attività fisica rappresentano due importanti fattori per lo sviluppo di un eccesso ponderale. Ma vi sono molti altri fattori che possono influenzare l’acquisto smoderato di peso; alcuni sono irrever-sibili mentre altri possono essere scongiurati con sforzi specifici. Il loro impatto può essere più o meno forte a dipendenza del contesto e dell’individuo considerati. Per motivi di chiarezza ho deciso di presen-tare in questo capitolo solo i principali fattori che possono rivestire un ruolo determinante per lo svilup-po di un sovrappeso e di raggrupparli in categorie distinte come di seguito:

A) fattori attualmente totalmente irreversibili: - patrimonio genetico che favorisce l’acquisto di peso (obesità genetica); B) fattori modificabili solo grazie alla volontà e disposizione dei famigliari/ educatori

dell’individuo (e dell’individuo stesso): - cattive abitudini all’interno del nucleo famigliare (e.g. abitudini alimentari e di movimento dei

genitori/ educatori scorrette, abitudine degli stessi ad insistere perché il figlio finisca il piatto an-che se sazio e anche se non ha scelto personalmente le dimensioni della porzione, ecc.);

C) fattori debellabili o comunque limitabili solo per via interventi di enti statali e socio-sanitari: - componente famigliare

-

: basso livello socio-economico del nucleo famigliare, scarsa disponibilità di tempo extra-lavorativo dei genitori, ambiente abitativo inadeguato; componente politico-comunitaria

-

: successo delle tecniche di marketing delle industrie alimenta-ri fra i consumatori (soprattutto giovani), scarsità di spazi pubblici riservati al movimento in sicu-rezza e di percorsi pedonali o piste ciclabili, scarsità di campagne di sensibilizzazione sulla tutela della salute in ambito alimentare che contrastino le campagne pubblicitarie incoraggianti il con-sumo di prodotti malsani e ipercalorici, presenza nelle scuole di distributori automatici che for-niscono prodotti controindicati (come le bibite dolci e le merendine zuccherate), scarsità di mense che propongano menu equilibrati nelle scuole, ecc.; componente sociale: grande disponibilità sul commercio di cibo a basso costo ma spesso di mi-nor qualità e ad elevata densità calorica, aumento delle dimensioni delle porzioni vendute spe-cialmente nei fast food, ampia diffusione di pubblicità per prodotti alimentari favorenti l’eccesso ponderale (soprattutto attraverso la televisione), larga accessibilità a mezzi di trasporto che non implicano alcuno sforzo fisico (anche lift e scale mobili), attività quotidiane sempre più sedenta-rie, ampia diffusione di catene fast food (che mirano soprattutto ad una clientela di bambini e incoraggiano gli stessi a consumare cronicamente alimenti malsani attraverso l’offerta di giocat-toli e promozioni che accompagnano i pasti), ecc.

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In questo capitolo mi preoccuperò di analizzare i più importanti di questi fattori, in quanto per debellare un’epidemia, la prima cosa da conoscere è la sua origine.

L’obesità è il risultato di un disequilibrio cronico fra assunzione e consumo di calorie, per cui una perso-na si nutre continuamente in maniera eccessiva rispetto a ciò che richiederebbe il suo metabolismo, e non si muove a sufficienza. Il rapido aumento di soggetti obesi nella popolazione mondiale negli ultimi decenni è da attribuirsi all’evoluzione dell’ambiente del mondo occidentale, che offre un sempre più fa-cile accesso ai cibi ipercalorici e cancella qualsiasi opportunità di movimento integrato nella vita quoti-diana. Non sono però solamente di tipo ambientale i fattori che possono favorire l’acquisto di peso, bensì anche i geni possono giocare un ruolo rilevante in questo fenomeno. Infatti, nonostante negli ul-timi decenni l’obesità abbia raggiunto livelli epidemici nelle popolazioni costantemente a contatto con un ambiente promuovente l’inattività fisica e il consumo di alimenti fast food e snack, non tutte le per-sone che vivono in tali circostanze risultano obese e nondimeno non tutti gli individui che invece soffro-no di obesità presentano la stessa distribuzione di grasso corporeo e gli stessi disturbi legati all’eccesso ponderale.

Obesità genetica e familiarità

Queste differenze possono mostrarsi anche fra persone appartenenti alla stessa etnia o addirittura alla stessa famiglia. Tale variabilità nel reagire ad uno stesso ambiente sembrerebbe suggerire che i geni possano ricoprire un ruolo importante nello sviluppo dell’obesità, malgrado le mutazioni genetiche negli umani si sviluppino troppo lentamente per poter spiegare completamente l’epidemia del sovrappeso. I geni danno le istruzioni all’organismo su come reagire ai cambiamenti ambientali. Svariati studi che hanno analizzato le analogie e le differenze fra membri di una stessa famiglia, gemelli e bambini adotta-ti, forniscono in modo indiretto delle prove scientifiche sul fatto che una parte delle differenze di stato ponderale fra gli adulti sia imputabile a dei fattori genetici. Per esempio è stato effettuato uno studio che confrontava il BMI di gemelli cresciuti insieme e di gemelli educati separatamente: i risultati mostra-vano che i fattori genetici ereditati condizionavano maggiormente il BMI rispetto a quelli ambientali. In altri studi si è invece indagato -confrontando individui obesi e non obesi- sui geni che potrebbero in-fluenzare i comportamenti individuali -quali l’istinto di abbuffarsi e la tendenza a condurre una vita esa-geratamente sedentaria- o il metabolismo (come per esempio una ridotta capacità di impiegare i grassi come carburante per le attività fisiche o un’elevata tendenza ad immagazzinarli come corporeo tessuto adiposo). Queste indagini hanno così identificato in alcuni geni delle mutazioni che potrebbero favorire l’obesità aumentando il senso di fame e, di conseguenza, l’apporto di cibo. L’obesità ereditata in una famiglia non è quasi mai riconducibile a specifiche variazioni in un singolo ge-ne (obesità monogenica) ma solitamente è il risultato di interazioni complesse fra molteplici geni e fat-tori ambientali (obesità multifattoriale), al giorno d’oggi ancora molto poco conosciute. Nei rari casi di obesità monogenica, il più comune gene dove sono presenti delle mutazioni è il gene MC4R, il quale ha la funzione di codificare la proteina Melanocortin receptor 4. Questa è a sua volta re-sponsabile della codificazione di un’altra proteina, la MC4

Finora sono state scoperte rare mutazioni che sono implicate nell’obesità monogenica in almeno nove geni. Come detto però, nella maggior parte delle persone affette da obesità, la causa dell’eccesso pon-derale non è imputabile a delle mutazioni di un singolo gene, ma è bensì riconducibile a delle interazioni fra più geni e fattori ambientali.

protein, che è implicata nella regolazione dei comportamenti alimentari e nel metabolismo, oltre che nel comportamento sessuale e nell’erezione maschile. Nel 1998 si è scoperto che le mutazioni in questo gene sono associabili con l’obesità ereditaria negli umani; infatti le modificazioni di questo gene ne riducono la sua funzione, il che porta molti bam-bini affetti dalla mutazione a percepire continuamente una grande sensazione di fame e quindi ad iper-nutrirsi abbuffandosi (iperfagia). Le mutazioni nel gene MC4R appaiono in 1-2.5% delle persone che pre-sentano un BMI di 30 o più, il che le rende i più noti difetti genetici che predispongono gli umani all’obesità, [80].

Il cervello regola gli apporti nutrizionali rispondendo ai segnali che riceve dal tessuto adiposo, dal pan-creas e dal tratto digestivo. Questi segnali vengono trasmessi da vari ormoni, quali principalmente la

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leptina, l’insulina e la ghrelina e altre piccole molecole. Dopo aver correlato questi segnali con altri im-pulsi, il cervello risponde trasmettendo delle “istruzioni” al corpo che possono essere rispettivamente l’ordine di mangiare di più e ridurre l’impiego di energia oppure di limitare le entrate di cibo ed aumen-tare il dispendio energetico. Essendo i geni alla base di tutta questa rete di trasmissione di segnali e istruzioni, ci si può ben figurare come anche minime mutazioni del patrimonio genetico possano avere effetti devastanti su meccanismi vitali per l’organismo, [81]. Una spiegazione all’epidemia di obesità deve pertanto considerare simultaneamente sia i fattori genetici che quelli ambientali. James V. Neel propose una soluzione nel 1962, formulando l’ipotesi divenuta nota come “the thrifty genotype hypothesis”, ovvero “l’ipotesi dei geni risparmiatori” che fu e rimane peral-tro molto discussa. Secondo Neel l’obesità epidemica sarebbe il frutto del cattivo abbinamento fra que-sti ipotetici geni (la loro esistenza non è mai stata definitivamente provata) e l’ambiente obesogenico odierno. Questi geni avrebbero la funzione di aiutare l’organismo a sopravvivere in condizioni in cui il cibo è estremamente scarso e si sarebbero quindi selezionati in alcuni uomini della preistoria in occasio-ne di periodi di carestia. Ciò avrebbe permesso loro di sopravvivere pur assumendo quantità infime di cibo, in quanto un patrimonio genetico simile sarebbe stato in grado di estrapolare comunque dai loro scarsi apporti alimentari, le calorie e i nutrienti minimi ed essenziali per non soccombere. Questi geni sa-rebbero sopravvissuti e, trasmettendosi di generazione in generazione, sarebbero ancora oggi presenti in una parte della popolazione mondiale. Fra questi figurerebbero ad esempio quelli della resistenza pe-riferica all’insulina. Un adattamento quindi molto utile per i nostri antenati primitivi, fra i quali chi presentava tali geni sa-rebbe risultato avvantaggiato nella competizione per la sussistenza durante le carestie. Non si può dire lo stesso per gli uomini che vivono nel mondo odierno, per i quali la presenza di tali geni nel DNA risulterebbe un grosso problema, perlomeno nei paesi dove il cibo è sovrabbondante e non rappresenta quindi più un fattore limitante: in questo contesto i “geni risparmiatori” favorirebbero l’insorgenza dell’obesità e della lunga lista dei rischi di salute ad essa legati (diabete di tipo II, malattie cardiovascolari, ecc., cfr. cap. 3.8.1), [82]. Un’ulteriore ipotesi, che si fonda allo stesso modo sul passato evolutivo dell’uomo, prende in considera-zione delle mutazioni nel gene per l’ormone leptina. Questo ormone è prodotto dalle cellule adipose e riveste una funzione chiave per la regolazione dell’appetito sul lungo termine nei mammiferi. I livelli di leptina nel sangue crescono con l’aumento di tessuto adiposo e il loro aumento viene segnalato al cer-vello che risponde sopprimendo la sensazione di appetito. Viceversa, se il tessuto adiposo diminuisce, anche il tasso di leptina nel sangue descresce il che spinge il cervello ad incrementare lo stimolo dell’appetito. Delle ricerche effettuate sui topi hanno mostrato una implicazione di questo ormone nell’acquisto di peso: sono stati selezionati dei roditori che presentavano una mutazione ereditata nel gene per la leptina. Questa comportava una minore sintesi dell’ormone, il che portava conseguente-mente i roditori con tale mutazione a percepire una continua sensazione di fame e quindi a sviluppare un’obesità. La leptina circolante nel sangue di questi topi non era infatti sufficiente per stimolare una riduzione dell’appetito. I ricercatori ovviarono a questo problema iniettando l’ormone leptina nei rodito-ri malati, guarendoli. Tale successo fu accolto con grande eccitazione nel mondo scientifico alla luce del fatto che anche gli esseri umani possiedono il gene per la leptina. I bambini obesi che presentano la stessa particolare forma mutata del gene dei roditori vengono curati allo stesso modo con delle iniezioni di leptina e perdono peso in modo sicuro ed efficiente. Ma questi individui rappresentano una minoran-za netta poiché nella maggior parte delle persone obese la leptina è presente addirittura in quantità ec-cessive. Il loro cervello tuttavia non risponde al segnale inviato dagli alti tassi dell’ormone nel sangue e non provvede quindi a sopprimere il senso di fame. L’ipotesi più assodata vede le origini di questo fe-nomeno nel passato evolutivo umano, supponendo che la leptina abbia negli uomini una funzione diffe-rente rispetto a quella che riveste negli altri mammiferi: invece che prevenire l’aumento di peso, l’ormone, nell’uomo, ne ostacolerebbe la perdita. Un tessuto adiposo ridotto e dei conseguenti bassi li-velli di leptina nel sangue manterrebbero la loro capacità di stimolare l’appetito anche nell’uomo, ma un adipe eccessivo e quindi un tasso elevato dell’ormone non sarebbero invece più in grado di ridurre la

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sensazione di fame. Similmente a quanto proposto dall’ipotesi di Neel, questomeccanismo di regolazio-ne della fame sarebbe subentrato nei lontani tempi in cui l’accesso al cibo era molto limitato e la sele-zione naturale avrebbe favorito gli uomini che avevano una fisiologia tale da indurli a consumare grandi quantità di grassi ogni qualvolta ne avessero avuta la possibilità. Questa ipotesi spiegherebbe allo stesso tempo perché a molte persone piacciono gli alimenti ricchi di grassi, come le patatine fritte, gli hambur-ger, il formaggio e il gelato. Se questo meccanismo poteva risultare vantaggioso per i nostri antenati, nell’ambiente obesogenico odierno -dove la disponibilità di cibo non è semplicemente garantita ma ha assunto dimensioni abnormi- i suoi effetti sull’apporto di cibo delle persone affette dalla mutazione ge-nica risulterebbero devastanti, [55]. Ma dato che l’obesità è una malattia multifattoriale, che quindi non dipende solo dai geni ma anche dall’interazione dell’uomo con il suo ambiente -ovvero fondamentalmente dai suoi comportamenti ali-mentari e di movimento- e malgrado diverse ipotesi e studi mostrino come possa essere favorita dalla predisposizione genetica, è inesatto e controproducente parlare di questa epidemia come fosse un’inesorabile processo iscritto nel DNA di una gran parte della popolazione. Infatti ciò porterebbe mol-te persone geneticamente predisposte a rassegnarsi abbandonando qualsiasi tentativo di perdere peso, mentre cambiando le proprie abitudini alimentari e muovendosi maggiormente potrebbero ridurre di molto il rischio di incorrere in gravi disturbi legati all’eccesso ponderale. Ad ogni modo è importante che i medici raccolgano informazioni sulla storia clinica della famiglia dei lo-ro pazienti, perché questa rimane comunque un fondamentale dato su cui basarsi per identificare i sog-getti che corrono un forte rischio di riscontrare malattie come il diabete di tipo II, le malattie cardiova-scolari e alcune forme di cancro. Infatti la storia clinica famigliare riflette sia la condivisione di determi-nati geni che quella delle abitudini alimentari e di movimento comuni ai membri della famiglia. Rimane il fatto che le famiglie non sono in grado di modificare il proprio corredo genetico ma possono migliorare notevolmente le loro consuetudini, ottimizzando insieme alla loro salute anche la storia famigliare delle generazioni successive, [83]. Una revisione sistematica delle informazioni raccolte in più di 200'000 adulti ha mostrato che i portatori della mutazione più comune del gene FTO, fortemente correlata all’obesità, erano in grado di ridurre il loro rischio attraverso l’incremento della loro attività fisica. Questo fatto mostra bene come sia impor-tante non rassegnarsi pensando che un DNA predisposto all’obesità non lasci via di scampo indipenden-temente dalle proprie abitudini alimentari e di movimento, in quanto le proprie azioni possono contare molto e talvolta scongiurare dei rischi anche fatali. Recentemente si sono svolti degli studi epidemiologici che prendono in considerazione il fatto che l’esposizione ad un dato ambiente durante dei periodi critici dello sviluppo umano possono causare dei cambiamenti permanenti dell’attività di un gene senza tuttavia modificarne l’informazione contenuta (e quindi le sequenze del DNA). Queste ricerche potrebbero aiutare a capire ad esempio il peso che posso-no avere l’alimentazione di un neonato o di un bambino per lo sviluppo di un’obesità in età adulta, [84]. Per quel che riguarda i dati statistici circa l’influenza della familiarità sullo sviluppo di un eccesso ponde-rale, si può dire che in generale il rischio di diventare adulti obesi cresce nei bambini che hanno dei geni-tori con eccesso ponderale; Secondo uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine, [85], il rischio di diventare adulti obesi cresce notevolmente e indipendentemente da se presentino o meno un eccesso ponderale, per i bambini che hanno almeno un genitore obeso. In particolare, questo rischio risulterebbe doppio per i bambini -obesi e non- sotto i 10 anni di età. Sotto i 3 anni di età lo stato ponderale dei genitori risulta essere un migliore indice di rischio di obesità adulta rispetto allo stato ponderale del soggetto stesso. L’obesità in uno o entrambi i genitori influenza il rischio di obesità futura nella prole probabilmente a causa della condivisione dei geni e dei fattori ambientali tipici del nucleo famigliare (i.e. principalmente le abitudini alimentari e di movimento). Gli adolescenti obesi hanno il 70% di rischio di diventare adulti obesi e questo rischio sale all’80% se uno o entrambi i genitori sono in sovrappeso o obesi, [50].

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È da notare che sono fondamentalmente tre i periodi critici dell’età pediatrica in cui si può sviluppare un sovrappeso che può permanere nell’età adulta: il periodo prenatale, il periodo detto del “rebound di a-diposità” -che si verifica durante la prima infanzia (normalmente fra i 5 e i 6 anni)- e la fase puberale.

Fasi cruciali per lo sviluppo di un’obesità adulta

Infatti già l’ambiente intrauterino durante la gravidanza può avere un impatto sul numero di cellule, sui centri di sazietà nel cervello e sulla funzione endocrina, che -a dipendenza dei casi- può portare ad una crescita limitata o eccessiva del feto. I neonati che presentano un peso eccessivamente ridotto per l’età gestazionale sembrerebbero correre un maggior rischio di diabete e malattie cardiovascolari in età adul-ta, mentre quelli che presentano un elevato peso alla nascita sarebbero soggetti ad un maggiore rischio di futuro sovrappeso, [86]. In generale, i neonati che pesano troppo poco mostrano successivamente un intenso recupero della cre-scita, il quale accresce il loro rischio di disturbi futuri legati all’obesità. Infatti la rapida crescita postnatale che si avvia per recuperare il deficit ponderale alla nascita conduce ad una sovra-regolazione dell’appetito: in particolare è l’ormone ghrelina ad essere sovra-regolato e ciò comporta un precoce acquisto di peso. L’allattamento al seno può svolgere una funzione preventiva per l’acquisto di peso in età infantile, per-ché la composizione del latte materno, a basso contenuto di proteine (7% delle calorie totali) e elevato tenore di grassi (50% delle calorie totali), è ottimale per il corretto sviluppo del neonato. Il latte vaccino contiene invece troppe proteine animali e troppo pochi grassi rispetto ai bisogni nutrizionali in questa fase della vita. Un apporto eccessivo di proteine animali nei neonati, scatena infatti una maggiore pro-duzione dei fattori di crescita e stimola eccessivamente la sintesi proteica e di conseguenza il proliferare cellulare in tutti i tessuti. Ciò comporta inoltre una maggiore differenziazione dei preadipociti in adipoci-ti e quindi un aumento delle cellule adipose (iperplasia). Un bambino che dispone di un maggior numero di adipociti, vedrà inevitabilmente, al momento della replicazione delle cellule adipose che accompagna la crescita, il suo tessuto adiposo aumentare più drasticamente rispetto a quello di un bambino che ha avuto una riproduzione cellulare normale nel periodo neonatale. Da ultimo, il basso contenuto di grassi del latte vaccino comporta una riduzione della densità energetica della dieta (calorie/100 g) e questo precoce deficit calorico, secondo R. Cachera, indurrebbe l’organismo ad attivare di un meccanismo di risparmio energetico grazie a cui accumulerebbe con maggior facilità i grassi sottoforma di riserva e consumerebbe meno energia con il metabolismo basale. Se successiva-mente però, con lo svezzamento, il bambino viene ipernutrito o anche solo normo-nutrito, gli effetti di questo meccanismo sono devastanti per il suo stato ponderale, poiché la sua massa aumenta smisura-tamente accrescendosi il suo tessuto adiposo, [87]. Nella prima infanzia, i bambini sono spesso paffutelli; infatti, durante il primo anno di età, il BMI dei bambini cresce rapidamente per poi cominciare a calare e raggiungere il suo valore minimo ai 5-6 anni di età. Poi ricomincia a crescere gradualmente durante l’adolescenza e parte dell’età adulta (cfr. Figura 9). Il calo del BMI nel periodo da 1 a 5-6 anni è dovuto principalmente al fatto che il bambino inizia a cam-minare -e quindi a svolgere più attività fisica- e all’allungamento del suo corpo, per cui l’incremento in altezza supera quello in massa determinando una diminuzione del rapporto del Body Mass Index (BMI = peso/altezza2

). La successiva crescita del BMI a partire dai 5-6 anni di età è chiamata nel gergo scientifi-co “Adiposity rebound” (AR), letteralmente “rimbalzo di adiposità”, in virtù del brusco risalire del valore del BMI dopo aver raggiunto il suo punto di minimo. È stato dimostrato, [88], che un precoce AR (Early Adiposity Rebound, EAR) è associato ad un aumento del rischio di obesità in età adulta, indipendente-mente dal BMI del soggetto al momento dell’AR e dallo stato ponderale dei genitori, [87].

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Figura 9: Andamento del BMI in funzione dell'età del soggetto - dai primi mesi di vita all'età adulta [87] Infine, come detto, l’adolescenza costituisce la terza fase critica per il rischio di diventare adulti obesi. Il rischio di sviluppare un eccesso ponderale durante l’adolescenza sembrerebbe essere maggiore nelle ragazze rispetto che fra i loro coetanei maschi, probabilmente perché la pubertà femminile è caratteriz-zata da un aumento di massa grassa. Molti studi sostengono che più dell’80% degli adolescenti in so-vrappeso diventano obesi nell’età adulta. Inoltre l’obesità in età puberale aumenta la mortalità nei ma-schi adulti e incrementa il rischio di malattie cardiovascolari e diabete negli adulti dei due sessi. La pericolosità dello sviluppo di un eccesso ponderale nel periodo adolescenziale risiede nei cambia-menti della composizione del corpo che si verificano in tale fase:

- nei maschi, la massa magra priva di grasso tende ad aumentare, mentre la percentuale di massa grassa sul totale della massa corporea diminuisce; tuttavia il grasso si deposita specialmente nel-la regione addominale.

- nelle femmine sia la massa grassa che la massa magra tendono a crescere, mentre la proporzio-ne di massa grassa come percentuale della massa corporea diminuisce. Il grasso corporeo tende a depositarsi nelle natiche.

È quindi importantissimo, in questi tre periodi cruciali, identificare i fattori di rischio per lo sviluppo di un sovrappeso che porterebbe a gravi disturbi in età adulta. L’attenzione va focalizzata principalmente nei cambiamenti nella dieta e nell’attività fisica che si verificano in queste fasi (i.e. principalmente, la transi-zione dall’alimentazione via cordone ombelicale all’allattamento e allo svezzamento, e la maggiore indi-pendenza nell’alimentazione adolescenziale permessa dal consumo di pasti fuori casa). Cattive abitudini all’interno del nucleo famigliare Nel paragrafo Obesità genetica e familiarità

È dunque molto importante che i genitori e gli educatori, così come anche gli insegnanti, incitino i bam-bini e ragazzi a muoversi molto quotidianamente e gli abituino fin da piccoli ad un’alimentazione sana ed equilibrata.

è stato approfondito un fattore di causa dell’obesità molto difficile se non impossibile da sradicare completamente, ma l’uomo non eredita solo i geni dei propri an-tenati, bensì assume con essi tutta una serie di abitudini che gli vengono trasmesse dai suoi primi mo-delli assoluti: i suoi genitori (o autorità parentali). L’educazione riveste quindi un ruolo chiave nella pre-venzione del sovrappeso: l’esempio di un padre che passa le sue giornate ad abbuffarsi davanti alla tele-visione è sicuramente molto pericoloso per un bambino che non domanda altro fuorché imitare i suoi genitori.

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Un’inchiesta nazionale ha dimostrato che i bambini svizzeri che hanno dei genitori che non fanno cola-zione, presentano un BMI notevolmente più elevato rispetto a quelli i cui genitori iniziano la giornata con una colazione in famiglia. Inoltre la stessa indagine, mostra una maggiore tendenza a consumare spuntini mattinali o pomeridiani fra i giovani svizzeri che non fanno colazione. Questo fatto è inquietante perché normalmente la compo-sizione della colazione viene determinata a casa mentre gli spuntini vengono acquistati principalmente nell’area di studio o di lavoro grazie alla paghetta ricevuta dai genitori. Ma spesso l’offerta di spuntini ipercalorici stimola la golosità dei ragazzi che sono portati a scegliere un cornetto ripieno di cioccolato piuttosto che un frutto o un birchermuesli. Gli alimenti preferiti per gli spuntini sono quindi perlopiù ricchi in grasso e poveri in fibre e portano così ad un assorbimento di energia eccessivo accompagnato ad una debole sensazione di sazietà. I ragazzi percepiscono quindi nuovamente e quasi subito fame, fanno fatica a concentrarsi e risentono di sonno-lenze postprandiali. Infatti, in risposta alla massa di cibo che raggiunge lo stomaco e l’intestino tenue, l’attività del sistema nervoso parasimpatico -predisposto fondamentalmente a regolare i processi dige-stivi riducendo la frequenza cardiaca e aumentando le secrezioni e i movimenti del tratto gastro-intestinale- aumenta. Ciò comporta una riduzione dell’attività del sistema nervoso simpatico per cui lo stato di energia del soggetto diminuisce procurandogli un desiderio di riposo, [89], [90]. Ciò comporta inoltre una diminuzione delle prestazioni scolastiche dei ragazzi. La famiglia dovrebbe quindi offrire tempo a sufficienza per garantire il consumo in comune dei pasti e una loro pianificazione collettiva, in modo da promuovere un’atmosfera positiva e rilassata a tavola, fondamentale per miglio-rare l’approccio dei ragazzi con l’alimentazione. Il nucleo famigliare riveste infatti un’enorme importanza per quel che sarà poi il futuro stile di vita dei figli, in quanto di fatto questi tenderanno ad adottare le a-bitudini impartite loro dai genitori. È soprattutto il modello materno ad influenzare le preferenze ali-mentari dei figli, seguito da quello degli amici (“Peer group”). Per queste ragioni i genitori dovrebbero comportarsi in modo esemplare a tavola assaporando e pro-vando qualsiasi pasto proposto. I ragazzi che sono abituati fin da giovani ad un’alimentazione ricca e va-riata e che sono soliti provare un po’ di tutto, avranno meno difficoltà in futuro ad adattarsi fuori casa, mangiando con piacere e senza difficoltà i pasti offerti dalla mensa della scuola dei campi estivi. Va notato che, come genitori, non bisognerebbe cercare di condizionare troppo il comportamento dei propri figli con delle frasi come “Finisci il piatto; c’è gente che muore di fame” perché ciò può portare l’alimentazione ad esser controllata in maggior misura da un meccanismo di comportamento imparato con l’educazione piuttosto che dai naturali meccanismi di regolazione fisiologici. L’obbligo di finire il piatto può in tal modo distruggere i centri di regolazione della fame e della sazietà e talvolta può portare a dei disturbi del comportamento alimentare. Per questo motivo i genitori dovrebbero prestare atten-zione alle naturali sensazioni di fame e sazietà dei loro figli e cercare in ogni modo di preservarle. I genitori dovrebbero evitare qualsiasi tensione o arrabbiatura con i bambini a tavola, perché questi -notando che il loro rifiuto categorico verso un determinato alimento irrita l’autorità- possono risentire un sentimento di potenza. Ad ogni modo è evidente che sebbene l’influenza dei genitori sui figli (non solo in termini di abitudini a-limentari e di movimento) sia molto marcata sui bambini, il suo impatto diminuisce notevolmente sugli adolescenti, i quali tendono ad opporsi fermamente e con reazioni spesso irragionevoli a qualsiasi con-trollo da parte delle autorità parentali o scolastiche, nella ricerca di una propria indipendenza. Questa lotta per l’autonomia e la forte influenza dei ragazzi coetanei portano di frequente l’adolescente ad un rifiuto categorico dei vincoli famigliari legati all’orario e alla composizione dei pasti (Quandt, 1999); i ragazzi iniziano allora a saltare i pasti o a consumarli fuori casa e fuori dal perimetro scolastico, lasciandosi facilmente abbindolare dai modelli sociali promossi dai media e dalla pubblicità delle grandi catene ristoratrici fast food nelle loro scelte alimentari, [65]. Negli ultimi venticinque anni, la componente tradizionale della famiglia si è molto deteriorata e con essa l’aspetto sociale del consumare i pasti in comune. I genitori non trasmettono più ai figli la cultura della cucina insegnando loro ricette di famiglia e preparando con loro piatti gustosi.

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Sembra proprio che anche la cultura del mangiare abbia subito come gli altri settori una rapida evolu-zione con il progresso tecnologico degli ultimi anni. La famiglia odierna vuole che tutti i suoi membri mangino in momenti diversi e che ogni pasto non duri più di dieci minuti e venga spesso consumato in piedi o davanti ad un computer per non interrompere il lavoro che si sta svolgendo. L’industria alimentare ha soddisfatto l’esigenza di “mangiare fast” elaboran-do menu ricchi di energia, economici, e subito pronti per esser consumati. Insomma il sogno delle madri e dei padri delle famiglie monoparentali professionalmente iperattivi, dei genitori che non amano o non hanno tempo per cucinare, di tutte le persone che non vogliono perdere tempo a fare la spesa quando per un prezzo modico possono riempire lo stomaco senza sforzo e di molti altri fan del mangiare veloce ed economico. Persone che però rifiutano di guardare l’altra faccia della medaglia, perché come vedre-mo nel paragrafo inerente la componente sociale dell’obesità (cfr. più sotto, Salari famigliari ridotti e basso status sociale e L’ambiente “obesogenico”: sovra-offerta, cibo spazzatura a basso costo, fast food, supersizing, mezzi di trasporto a motore, tecnologia e pubblicità

L’aumento delle famiglie monoparentali e dell’attività professionale delle madri o di entrambi i genitori hanno portato ad importanti trasformazioni della struttura tradizionale della famiglia. In particolare il forte aumento di madri attive professionalmente si è dimostrato un fattore di rischio per l’eccesso pon-derale dei bambini; i figli sono infatti lasciati più frequentemente soli in casa e gli orari lavorativi dei ge-nitori non permettono ai membri famigliari di ritrovarsi per pranzare insieme. I bambini e gli adolescenti si adattano optando per la soluzione più comoda: niente di più pratico che estrarre un surgelato dal congelatore o riscaldare un piatto precotto o comandare direttamente una pizza. Non c’è nemmeno bi-sogno di mettere tavola o di lavare le stoviglie e si riesce così a non mancare la propria serie televisiva preferita.

), il prezzo dell’alimentazione fast food è molto più alto di quanto non si creda se si considerano i rischi che corre salute dei suoi fedeli consumatori.

Consumare pasti pre-cucinati impedisce la pianificazione dei menu secondo i gusti dei membri della fa-miglia, e di conseguenza elimina la scelta e la preparazione degli alimenti diminuendo notevolmente il piacere e l’attenzione con cui si mangia. Infatti cucinare i pasti può essere molto accattivante per i bam-bini, che sviluppano così la voglia di mangiare in modo variato. Il fatto che molti ragazzi partino di casa senza saper cucinare è un ulteriore fattore di rischio per l’eccesso ponderale perché, non riuscendo a prepararsi i pasti da soli, si conforteranno consumando pasti già pronti e alimenti fast food. È importante che i genitori non proibiscano nessun tipo di alimento perché i tabu assoluti rendono i cibi interdetti più attraenti per i bambini e possono quindi favorire delle perturbazioni nella loro alimenta-zione. Anche la scuola riveste un ruolo rilevante nell’adozione dei comportamenti alimentari e di movimento dei ragazzi: tant’è che per garantire l’adozione a lunga durata o, nella migliore delle ipotesi, definitiva di abitudini sane è necessario che l’ambiente scolastico si sovrapponga all’ambiente quotidiano. Infatti per consumare pasti fuori casa i ragazzi necessitano di una paghetta e se l’istituzione scolastica offre cibi malsani, come ad esempio merendine snack, gelati, dolci e bibite zuccherate, i ragazzi rischiano di adot-tare dei vizi alimentari scorretti e difficilmente sradicabili, [34]. Salari famigliari ridotti e basso status sociale Sono numerosi gli studi che associano un basso stato socioeconomico con un aumento del rischio di o-besità, in particolare nei paesi industrializzati, [91],

Un basso reddito finanziario è anche stato correlato ad un minore accesso ai supermercati, [98]. Questo fatto diventa importante se si considera che una maggiore accessibilità a questi e altri negozi alimentari fornitori di prodotti sani (e.g. frutta e verdura al dettaglio) è stata associata ad un minor BMI e ad una

[92] e [93]. Altri studi mettono in evidenza come un salario più alto sia spesso associato ad un’alimentazione più sana e ad una maggiore attività fisica nell’adulto,[94]. Dei redditi più bassi sono al contrario stati correlati ad un minore accesso ad associa-zioni, squadre ed impianti sportivi, soprattutto per quanto concerne i bambini, [95]. Oltretutto diversi studi hanno potuto mostrare come i bambini che vivono vicino a dei parchi o ad altri spazi verdi adatti al movimento siano fisicamente più attivi, [96], [97].

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minore prevalenza di eccesso ponderale e di obesità negli adulti, [50]. Infatti la scarsa possibilità di ac-cesso ai supermercati nei quartieri poveri (specialmente negli Stati Uniti, ma non solo) fa in modo che, per le famiglie con i redditi più bassi, la scelta alimentare economicamente più conveniente sia il con-sumo di pasti presso ristoranti fast food, [98]. I prezzi delle derrate alimentari hanno un impatto estremamente importante sullo stato ponderale; un aumento dei costi dei prodotti malsani, come ad esempio i cibi fast food e le bibite zuccherate, accom-pagnato da una diminuzione dei prezzi di alimenti sani, come la frutta e la verdura, è stato messo in re-lazione con un minor peso corporeo e di conseguenza con un minor rischio di obesità, soprattutto fra gli adolescenti e i bambini, [99]. Inoltre, nel 2004, 1.6 milioni di bambini statunitensi, a causa delle ristrettezze economiche e dell’inacessibilità dei sistemi medico-sanitari, non potevano permettersi un’assistenza sanitaria adegua-ta, il che comportava oltretutto una minor probabilità di diagnosticare un’eventuale obesità e curarla di conseguenza, [100],[50]. L’ambiente “obesogenico”: sovra-offerta, cibo spazzatura a basso costo, fast food, supersizing, mezzi di trasporto a motore, tecnologia e pubblicità Si parla sempre più frequentemente di ambiente “obesogenico” nell’ambito del sovrappeso. Con questo termine si vuole indicare un tipo di ambiente che solleciti costantemente le persone ad acquistare peso, alimentandosi in maniera malsana e svolgendo troppo poca attività fisica.

Un fenomeno molto pericoloso per il decorso epidemico dell’eccesso ponderale è il preoccupante “su-persizing”, ovvero l’aumento smisurato della dimensione delle porzioni dei pasti e delle bibite disponibili sul mercato e in particolare presso i ristoranti fast food. Per fare un esempio, vent’anni fa un hamburger conteneva in media 333 calorie, mentre oggi ne contiene 590. Così, rispetto al 1971, nel 2000 un adulto americano consumava in media 250-300 calorie in più ogni giorno, il che equivale ad un aumento di 12-14 Kg di massa corporea nel corso di un anno. Anche l’apporto in cibo degli adolescenti statunitensi è cresciuto dell’8% ca. rispetto a trent’anni fa,[101]. Ma pure il semplice mangiare fuori casa, in particola-re presso i ristoranti fast food, è stato associato ad un maggior consumo di calorie e grassi saturi e ad un minor apporto di frutta, vegetali e latte, [102], [103], [104], [105] e [106].

Le scale mobili, gli ascensori, i fast food ad ogni angolo della strada, i distributori di cibo snack, la televi-sione e i ritmi accelerati della società odierna sono tutti fattori ambientali determinanti per lo sviluppo di sovrappeso e obesità.

Tuttavia il problema non risiede solo nell’aumentata quantità di cibo consumata oggigiorno, ma anche nelle scelte qualitative dei prodotti alle quali l’ambiente ci sollecita quotidianamente. Vi è infatti un’enorme disponibilità di cibo marchiato ormai in molte testate di giornale come cibo spazzatura. Co-me visto (cfr. cap. 3.5.1, L’aspetto qualitativo dell’alimentazione, ovvero i valori nutritivi del cibo),

3.8.1

è importante che il nostro corpo venga quotidianamente rifornito di nutrienti indispensabili per il suo cor-retto funzionamento, ma moltissimi prodotti alimentari non sono in grado di garantire questi apporti fondamentali. Si tratta di derrate con un elevato tenore calorico ma i cui valori nutrizionali sono di fatto bassissimi. Inoltre sono molto spesso ricchi in grassi saturi e trans, sodio, colesterolo e zuccheri aggiunti. Tuttavia il basso costo e la grande e rapida accessibilità di questi prodotti alimentari spingono moltissi-me persone ad optare per questa facile scelta nella loro dieta, inconsci delle sue conseguenze nefaste, che analizzeremo nel capitolo successivo (cfr. cap. ). Gran parte del successo di queste derrate ali-mentari è imputabile alla pubblicità che le industrie alimentari diffondono correntemente, perlopiù alla televisione. Il tempo trascorso davanti allo schermo televisivo, non aumenta quindi solamente la seden-tarietà, ma ogni ora passata in questo modo è stata associata ad un incremento di 167 calorie, il cui ap-porto si realizza perlopiù attraverso il consumo di prodotti alimentari pubblicizzati alla televisione, [107]. La pubblicità può quindi avere un grande impatto sulle scelte alimentari specialmente dei giovani, ed è stata correlata ad un aumento di obesità nei bambini, [108]. Gli adolescenti statunitensi di 13-17 anni vedono mediamente 17 pubblicità televisive di prodotti alimentari ogni giorno, [109], mentre uno studio condotto a livello svizzero (che considerava solo i canali televisivi nazionali) ha calcolato che, mediamen-te, un giovane telespettatore è sottoposto a 18,5 spot pubblicitari ogni ora; un quarto di queste pubbli-

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cità -diffuse durante programmi destinati ad un pubblico perlopiù infantile- riguardano delle derrate a-limentari e McDonald’s appare per il 49.9% fra tutte le marche presenti, [110]. Ciò è preoccupante se si considera che la pubblicità per cibi ad alto tenore calorico e scarso contenuto nutrizionale contribuisce ad un maggior consumo di questi prodotti alimentari e figura fra le cause dell’epidemia di obesità, [111]. L’ambiente che si è venuto a creare negli ultimi anni rende estremamente difficile lo sradicamento delle cattive abitudini alimentari e di movimento della popolazione, tanto da farlo apparire come impossibile anche agli occhi di alcuni esperti in materia: in un articolo, [112], il Dr. Darrel Francis esprime molto be-ne la sua disperata mancanza di fiducia nel cambiamento dei nostri stili di vita suggerendo che i ristoran-ti fast food potrebbero introdurre l’offerta di statine contro il colesterolo per combattere gli effetti ne-gativi degli hamburger serviti alla clientela (cfr. Figura 10).

Figura 10: Immagine parodica della paradossale proposta di un articolo dell’American Journal of Cardiology in cui si figurava una possibile introduzione di statine nelle offerte alimentari di McDonald's come ultima spe-ranza per combattere gli effetti dell'alimentazione fast food, [113].

3.8 Conseguenze del sovrappeso

3.8.1 Conseguenze fisiologiche del sovrappeso Sono numerose le conseguenze dell’adiposità sulla salute conosciute nell’adulto, [114], [115]. In Europa, l’eccesso ponderale è responsabile dell’80% circa di tutti i casi di diabete di tipo II, del 55% dei casi di i-pertensione e del 35% delle cardiopatie ischemiche negli adulti, [116]. In generale, l’obesità è ritenuta un’importante causa di morbosità, infermità e morte prematura (WHO, 2004) e aumenta il rischio di una lunga serie di malattie croniche. Nel 2004, le stime di studi alcune statistiche riportavano che un BMI e-levato fosse responsabile, da solo, di 2.8 milioni di morti e, se combinato con l’inattività fisica, gli si po-tevano imputare 6 milioni di decessi, numero peraltro superiore alla mortalità associata al consumo di tabacco, [8]. Lo stato di obesità può portare notoriamente ad un’alterazione metabolica nell’ organismo umano -la cosiddetta sindrome metabolica- associata all’apparizione di diabete di tipo II (dovuto fonda-mentalmente ad un malfunzionamento dei ricettori dell’ insulina delle cellule nel soggetto obeso), di i-pertensione arteriosa (valori della pressione arteriosa eccessivi), e di iperlipidemie (con rialzo dei lipidi

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circolanti nel sangue), [117]. Da queste alterazioni, consistenti principalmente in un’eccessiva circolazio-ne di glucosio e sostanze grasse nel flusso ematico, consegue un progressivo danno fisico associato ad un elevata pressione sanguigna sulla parete vascolare (ipertensione). Ciò può portare nel tempo a delle lesioni delle arterie di tutto l’ apparato cardiovascolare: le implicazioni più frequenti e catastrofiche sono l’apparizione di infarto miocardico e ictus cerebrale. Oltre a questi danni cardiovascolari l’obesità può essere oltremodo associata a gravi problemi respirato-ri, i.e. la cosiddetta sindrome delle apnee notturne, [118]: i soggetti obesi possono infatti presentare una tendenza a fare delle pause del respiro (apnee) durante il sonno: queste apnee possono favorire a loro volta dei problemi cardiaci. Un’ altra conseguenza importante dell’ obesità è l’apparizione di gravi problemi articolari legati al danno meccanico esercitato nel corso degli anni dall’eccessivo carico ponderale su molte articolazioni. Queste lesioni si manifestano con l’apparizione di artrosi precoci: gli obesi sono infatti spesso handicappati da importanti problemi di deambulazione. Visto l’ apparire, già da una ventina di anni, nei paesi occidentali e specialmente negli Stati Uniti, dell’ obesità nei bambini e negli adolescenti, si hanno ormai dei dati anche sulle conseguenze del grave ec-cesso ponderale nei giovani, [119]. È ormai più che assodato che l’obesità in queste fasce d’età non fa-vorisce soltanto il permanere o l’aggravarsi dell’eccesso ponderale in età adulta, ma anche l’apparizione di diabete di tipo II, ipertensione arteriosa e arteriosclerosi precoce già in età pre-adulta, [120]. Tutto ciò fa sì che l’ aspettativa di vita e la qualità di vita di questi soggetti giovani risulti gravemente compromes-sa. L’eccesso ponderale, quindi, porta con sé tutta una serie di fattori di rischio che, intrecciati e combinati in vari modi, possono dare origine ad una enormità di disturbi della salute. Di seguito sono riportati i principali disturbi cronici della salute che sono stati correlati all’obesità:

- malattie cardiovascolari (Cardiovascular Diseases, CVD): l’ arteriosclerosi è la causa principale di queste affezioni;

- disturbi del metabolismo: sindrome metabolica e diabete di tipo II; - -

affezioni polmonari: asma, apnee notturne;

- affezioni epatiche: affezioni ortopediche: artrosi, gotta, difficoltà motorie, reumatismi alla schiena;

- disturbi psicologici: depressione, cattiva qualità di vita; epatopatia steatosica non alcolica, calcoli biliari;

- affezioni oncologiche: varie forme di cancro.

Nei paragrafi seguenti mi preoccuperò di dare un’idea generale delle implicazioni dei principali di questi disturbi: L’aterosclerosi e le malattie cardiovascolari Le malattie cardiovascolari (CVD) sono delle malattie che, come suggerisce il termine, colpiscono il si-stema cardiovascolare, quindi il cuore e l’apparato di vasi in cui circola il flusso sanguigno (vene e arte-rie), e sono causate per la maggior parte dall’ arteriosclerosi e dall’ipertensione sanguigna. Nei paesi oc-cidentali l’espressione più frequente di queste malattie sono l’angina pectoris e l’infarto. L’arteriosclerosi consiste nel depositarsi di placche arteriosclerotiche (cfr. Figura 11), ovvero di ammassi di grassi, nei vasi sanguigni; da ciò consegue un limitato rifornimento di ossigeno nella regione di perti-nenza dell’arteria. A seguito di questi depositi infatti, le pareti arteriose mostrano delle calcificazioni, quindi una minore elasticità e un diametro diminuito che possono portare progressivamente all’occlusione del vaso. Il sangue fatica a fluire nell’arteria e di conseguenza il trasporto di ossigeno e nu-trienti verso gli organi e gli arti risulta insufficiente per cui questi ultimi hanno difficoltà a svolgere le loro funzioni. Questo disturbo cronico, se non adeguatamente trattato e sorvegliato, può condurre fino all’ostruzione totale del vaso causando una necrosi dell’organo interessato (infarto).

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L’infarto del miocardio, dovuto all’occlusione di un’arteria coronarica, e l’ictus cerebrale, causato dall’ostruzione di un vaso che vascolarizza il cervello sono le conseguenze più pericolose e frequenti dell’aterosclerosi, perché cuore e cervello sono organi che necessitano di una grande quantità di ossige-no. I disturbi della circolazione a livello di braccia e gambe si manifestano soprattutto quando gli arti sono sotto sforzo e necessitano quindi una maggior quantità di ossigeno e perciò di sangue. Se in queste oc-casioni il flusso ematico nella zona interessata è troppo debole si presentano dei dolori crampiformi. Se i disturbi circolatori persistono a lungo si possono verificare delle lesioni permanenti del tessuto, ad e-sempio la gamba del fumatore. Un’ostruzione completa delle arterie delle gambe può degenerare in ul-cere del piede che, nella peggiore delle ipotesi, vengono trattate con l’amputazione dell’arto. Fra i principali fattori di rischio per l’arteriosclerosi (e di conseguenza per le malattie cardiovascolari) le-gati all’eccesso ponderale ci sono l’ipertensione arteriosa, le iperlipidemie, l’insulinoresistenza o il diabe-te di tipo II e l’inattività fisica. Per praticità, essendo questi fattori ampiamente implicati nella sindrome metabolica, verranno trattati nel dettaglio nel paragrafo successivo (cfr. più sotto, La sindrome metabo-lica). Un ulteriore fattore di rischio per lo sviluppo di placche arteriosclerotiche, indipendente però dai comportamenti alimentari e di movimento, è il consumo nicotinico, [121].

Figura 11: Formazione di placche arteriosclerotiche a seguito di un accumu-lo di colesterolo sulla parete arteriosa, [122]. La sindrome metabolica Altrimenti nota come sindrome X, sindrome da insulino-resistenza, sindrome di Reaven, o come CHAOS in Australia, la sindrome metabolica è definita come una situazione clinica in cui un individuo è sottopo-sto contemporaneamente a tutta una serie di fattori di rischio e di sintomi tipici delle malattie cardiova-scolari (e delle loro complicazioni) e prevalentemente correlati ad uno stile di vita molto sedentario e ad un’alimentazione malsana, quindi alla conseguente condizione patologica di eccesso ponderale del sog-getto. Ogni singolo fattore può condurre ad una lesione dei vasi ematici perciò la complicazione più fre-quente è l’arteriosclerosi, che a sua volta può portare all’ictus cerebrale o all’infarto del miocardio. Un tempo, la sindrome metabolica era una caratteristica esclusiva dei soggetti più anziani, ma l’ambiente obesogenico odierno ha determinato la sua apparizione anche nei soggetti più giovani, ovve-ro nei bambini e adolescenti. L’aumento più marcato di questa malattia si sta rilevando nei paesi dove, fino a qualche decennio fa, la tradizione alimentare garantiva un peso forma snello della popolazione (Vicino e Lontano Oriente). Infatti il crescere epidemico del sovrappeso e dell’obesità favoriscono anche la diffusione di questa sindrome e si stima che un europeo su sei (in alcuni paesi europei addirittura uno su tre) sono affetti da questo quadro clinico che spesso degenera in diabete di tipo II. La sindrome X è correlabile sia ad un aumento di mortalità causata da malattie cardiovascolari, sia ad un aumento della mortalità complessiva. La sindrome metabolica è caratterizzata principalmente da un’obesità a livello addominale e quindi i-dentificabile misurando la circonferenza del girovita. Si distingue oltremodo con dei disturbi del metabo-lismo degli zuccheri che possono degenerare in diabete, con delle iperlipidemie (tasso di lipidi nel san-gue troppo elevato) e con l’ipertensione arteriosa. In definitiva si può quindi riassumere con quattro ca-ratteristiche principali quali:

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- l’eccesso ponderale (con un accumulo di grasso soprattutto a livello addominale); - il diabete di tipo II (o diabete mellito); - l’ipertensione; - le iperlipidemie.

Per questo motivo la sindrome è anche nota come il “quartetto pericoloso”. I vari disturbi del metabolismo sono arrecati da fattori che variano da persona a persona a dipendenza del patrimonio genetico famigliare. Ad esempio, se una persona è geneticamente predisposta al diabete di tipo II perché esso si è manifestato in più membri della sua famiglia, ci sono buone chances che anche in essa -se affetta da sindrome metabolica- si scateni il diabete. La sindrome metabolica è quindi soprattutto un importante fattore di rischio per diverse malattie car-diovascolari, quali principalmente l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale e altri disturbi della circolazione sanguigna. Le malattie cardiovascolari sono oggigiorno la prima causa di morte al mondo e, dato che pressoché un adulto su quattro ostenta una sindrome metabolica, presenta quindi anche un maggior rischio di morte prematura. La connessione che intercorre fra l’eccesso ponderale, i disturbi metabolici e le malattie cardiovascolari ha trovato una spiegazione solo di recente; Il tessuto adiposo a livello addominale è molto attivo nel metabolismo ed il suo aumento è da conside-rarsi la problematica maggiore nella sindrome metabolica. L’aumento del grasso nell’addome è accompagnato da una maggiore produzione di principi attivi simil-ormonali nel tessuto adiposo che scatena una insulinoresistenza, caratteristica fondamentale della sin-drome metabolica. L’insulina, ormone prodotto dal pancreas e adibito alla regolazione del tasso di glu-cosio nel sangue, non è più in grado di ridurre a sufficienza la concentrazione di zucchero nei tessuti mu-scolari e nel fegato. L’organismo reagisce allora aumentando la concentrazione di insulina nel sangue per normalizzarne l’azione ipoglicemizzante. Ciò disturba però l’equilibrio dei grassi nel sangue: la concentrazione dei trigliceridi aumenta e la loro presenza eccessiva nel flusso ematico porta alla degradazione del colesterolo HDL (“colesterolo buono”), mentre il colesterolo LDL (“colesterolo cattivo”) presenta allora una composizione anomala. Si viene quindi a creare una ipertensione arteriosa e si può inoltre scatenare un diabete di tipo II, nel caso vi sia una carenza relativa di insulina, ossia quando il pancreas non riesce più a coprire l’aumentata necessità di insulina. Ciascuna componente fattoriale della sindrome metabolica aumenta il rischio di arteriosclerosi e se si presentano tutte allo stesso tempo il rischio si accresce notevolmente. Vi sono fondamentalmente due strategie per schivare le pesanti conseguenze della sindrome X:

- la prevenzione è la via migliore: è importante intervenire precocemente sensibilizzando bambini e adolescenti perché adottino delle corrette abitudini alimentari e svolgano un minimo di attivi-tà fisica quotidianamente;

- se la sindrome si è invece già manifestata occorre trattare le singole componenti della malattia e allora non basta più adottare delle corrette abitudini nel modo di alimentarsi e muoversi al quo-tidiano, ma molto spesso bisogna ricorrere a dei medicamenti per normalizzare i parametri.

Le cause della sindrome metabolica possono consistere in una predisposizione famigliare ma di recente l’insorgere di questa sindrome viene sempre più frequentemente imputata ad uno stile di vita caratte-rizzato da un’alimentazione squilibrata e da una ridotta attività fisica. Questo spiega anche perché negli ultimi anni la sindrome sia fortemente aumentata e in modo particolare nella popolazione più giovane. Come detto, il quadro complessivo della sindrome può prevedere lo sviluppo di un eccesso ponderale, di un’ipertensione arteriosa, di valori sfavorevoli di grassi nel sangue (eccesso di colesterolo LDL e triglice-ridi e carenza di colesterolo HDL) e di un’insulinoresistenza; ogni malattia che caratterizza la sindrome descrive un fattore di rischio indipendente per lesioni ai vasi ematici, e in particolare per l’arteriosclerosi nei vasi coronarici (cardiopatia coronarica), per l’ictus cerebrale, per l’infarto miocardico e per l’arteriopatia obliterante (“malattia delle vetrine”).

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Lo sviluppo della sindrome è una sorta di susseguirsi a catena di reazioni che generalmente avvengono nell’ordine seguente: vi è inizialmente uno squilibrio fra l’apporto e il consumo delle calorie che vede un apporto nutritivo ec-cessivo e per nulla compensato dall’attività fisica. Ciò porta ad un bilancio calorico positivo e l’individuo aumenta di peso accumulando grasso che si deposita soprattutto nella regione dell’addome come tessu-to adiposo addominale. Tali depositi di grasso svolgono un’azione particolarmente sconveniente se si si-tuano nel cavo addominale e tra gli organi interni. L’adipe addominale interno viene detto tessuto adi-poso viscerale ed è estremamente attivo nei processi metabolici perché interferisce con il metabolismo dei grassi e dei carboidrati. In un soggetto sano, l’insulina mantiene stabile il livello di glucosio nel sangue (glicemia) trasportando quello in eccesso nelle cellule dei tessuti dell’organismo, che lo utilizzano ricavarne energia. Se l’eccessiva accumulazione di grasso nella regione addominale permane a lungo,le normali quantità di insulina prodotte non riescono più a svolgere questa azione di trasferta del glucosio dal sangue alle cel-lule e si dice che il soggetto soffre di una insulinoresistenza. Infatti, in questo caso, le cellule perdono la loro sensibilità verso l’ormone insulina e solo una minor quantità di glucosio riesce a penetrarle. Di con-seguenza il glucosio è presente in minor quantità nelle cellule e in quantità eccessiva nel flusso ematico (iperglicemia). Si può in queste condizioni sviluppare un diabete di tipo II. L’organismo identifica tale situazione e stimola di riflesso il pancreas a produrre una maggior quantità di insulina il che causa un aumento del senso di fame. Questo meccanismo innesta un circolo vizioso poiché l’individuo è portato ad ingerire una maggior quantità di cibo e quindi ad aggravare ulteriormente il suo eccesso ponderale e ad aumentare di conse-guenza il suo tessuto adiposo addominale. È vero sì che l’insulinoresistenza può essere causata da una predisposizione genetica, ma la sua origine può anche risiedere in fattori contenibili dall’individuo stesso attraverso il controllo del peso corporeo e in particolare del tessuto adiposo addominale. È da notare che il sovrappeso rende più difficile il movimento limitando l’attività fisica e favorendo di conseguenza l’aggravarsi dell’eccesso ponderale. L’inattività fisica e lo squilibrio alimentare sono quindi due fattori di rischio che si rinforzano a vicenda e vanno quindi corretti il prima possibile. La mancanza di attività fisica procura un aumento della pressione arteriosa e un’ipertensione arteriosa cronica può causare importanti lesioni alle pareti interne dei grossi vasi ematici. Tale danno vascolare, sommato ad un’eccessiva concentrazione di grassi nel sangue che li porta a depositarsi nelle pareti dei vasi, portano l’organismo a sviluppare un’arteriosclerosi, per cui importanti arterie vedono il loro lume restringersi. Se un grosso vaso coronarico si occlude totalmente perché colpito dall’arteriosclerosi, si verifica un in-farto del miocardio. Se è invece un’arteria cerebrale ad ostruirsi, può verificarsi un ictus cerebrale. Se si chiudono i vasi della retina nell’occhio, il soggetto può diventare cieco. Nel caso siano i vasi che irrorano i reni a danneggiarsi può verificarsi un danno renale. Gli effetti del diabete e dell’arteriosclerosi nei vasi che attraversano gli arti (malattia delle vetrine o arte-riopatia obliterante periferica) possono manifestarsi con il cosiddetto piede diabetico, che nella peggiore delle ipotesi viene trattato con l’amputazione. Per diagnosticare la sindrome metabolica devono esser presenti almeno tre dei cinque fattori di rischio riportati nello schema seguente.

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Tabella 7: Criteri della International Diabetes Federation per la diagnosi della sindrome metabolica (2006), [123].

Come già asserito, la caratteristica più evidente della sindrome metabolica è il grasso addominale, de-terminabile facilmente misurando la propria circonferenza del girovita (WC) con un metro nastro (cfr. cap. 3.3.2). Va notato che fra le persone che presentano un eccesso ponderale, quelle in cui il grasso si deposita prevalentemente nella regione addominale (disposizione “tipo mela”) corrono un rischio maggiore di sviluppare una sindrome X rispetto ai soggetti in sovrappeso nei quali il grasso tende ad accumularsi piuttosto sui fianchi e sui glutei (disposizione “tipo pera”). (cfr. Figura 12 e Figura 13)

Figura 12: Obesità tipo mela - accumulo di grassi a livello addominale, tipicamente maschile, [123].

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Figura 13: Obesità tipo pera - Accumulo di grassi sui fianchi e glutei, tipicamente femminile, [123]. Si distinguono così due tipi di obesità:

- l’obesità tipo mela appare negli individui che hanno tendenza ad immagazzinare i grassi come tessuto adiposo a livello addominale. Questa forma di obesità si trova prevalentemente nei sog-getti maschi e, seppur in modo meno pronunciato, nelle donne biologicamente più anziane. L’aumento della circonferenza addominale corrisponde ad un accresciuto depositarsi di grasso intorno agli organi interni (grasso intra-addominale o grasso viscerale) che, come si è visto, rap-presenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di un’insulinoresistenza, quindi di un’iperglicemia che può eventualmente degenerare in diabete di tipo II, disturbi tutti caratteri-stici della sindrome metabolica. L’obesità “tipo mela” colpisce circa l’80% dei maschi che pre-sentano un eccesso ponderale

- l’obesità tipo pera o tipo prevalentemente femminile si presenta nei soggetti che tendono ad ac-cumulare l’adipe sulle cosce e sui glutei ed è solitamente caratteristica delle donne biologica-mente più giovani. Circa l’85% delle femmine che presentano un eccesso ponderale ostentano questo tipo di disposizione del grasso. Questa distribuzione del grasso accresce veramente di poco il rischio di malattie vascolari e di disturbi metabolici rispetto ai soggetti normopeso. Un’obesità simile porta piuttosto allo svilup-parsi di calcoli biliari e di malattie articolari degenerative come ad esempio l’artrosi.

Si può quindi concludere che il rischio di sindrome metabolica e di conseguenza quello cardiovascolare sono nettamente più forti nei soggetti che presentano un eccesso ponderale a livello addominale piutto-sto che in quelli dove i depositi di grasso si concentrano a livello delle cosce e dei glutei. Non è quindi tanto significativa l’entità dell’eccesso di peso quanto piuttosto il tipo di distribuzione del grasso.

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I fattori di rischio per l’insorgere di una sindrome metabolica sono schematizzati nello schema seguente (cfr. Figura 14) e quelli che possono essere influenzati sono discussi nei paragrafi seguenti (evidenziati in grassetto):

Figura 14: Fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome metabolica e di altri disturbi della salute legati all'eccesso ponderale,[123]. Nella Figura 14, con “grassi sfavorevoli nel sangue” si allude alle iperlipidemie, quindi a concentrazioni eccessive di colesterolo LDL (ipercolesterolemia) e di trigliceridi (ipertrigliceridemia) nel sangue, rispetti-vamente ad una carenza di colesterolo HDL nel flusso ematico. È importante sottolineare che i lipidi presenti nel sangue (colesterolo HDL/LDL e trigliceridi) sono fon-damentali e presenti in concentrazioni normali sono totalmente inoffensivi. Il colesterolo si assume in parte con l’alimentazione ma per la maggior parte viene formato nell’organismo dal fegato. Nel gergo popolare si fa la distinzione fra “colesterolo buono”, ovvero il cole-sterolo HDL (High-Density Lipoprotein) e “colesterolo cattivo”, ossia il colesterolo LDL (Low-Density Lipo-protein). Il colesterolo circola nel sangue in queste due forme: trasportato, nel primo caso, in lipoprotei-ne concentrate molto più in proteine che in colesterolo e, nel secondo caso, in lipoproteine ad alta con-centrazione di colesterolo e bassa concentrazione di proteine. Le lipoproteine LDL trasportano il coleste-rolo dal fegato ai tessuti, che lo usano per svolgere tutta una serie di processi, ma se sono presenti in concentrazioni eccessive nel flusso sanguigno hanno tendenza a depositarsi sulle pareti danneggiate del-le arterie favorendo l’arteriosclerosi. Miglioramenti nel comportamento alimentare possono abbassare il colesterolo totale e il colesterolo LDL dal 5 al 10%. Le fonti alimentari più importanti di colesterolo sono il tuorlo d’uovo e le frattaglie. Le lipoproteine HDL invece, trasportano il colesterolo in eccesso dai tessuti al fegato, dove viene imma-gazzinato e poi smaltito dalla cistifellea. Queste lipoproteine proteggono quindi dal rischio cardiovasco-lare e una loro concentrazione elevata è un fattore positivo per la salute. L’attività fisica può contribuire a mantenere elevata la concentrazione di colesterolo HDL nel sangue. Rimane ad ogni modo il fatto inesorabile per cui la predisposizione famigliare all’ipercolesterolemia ren-de qualsiasi sforzo di alimentarsi in modo equilibrato vano.

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I trigliceridi sono pure indispensabili al nostro organismo perché costituiscono il “grasso di deposito” e sono quindi un’importante riserva energetica. Inoltre proteggono gli organi vitali (come ad esempio i re-ni) agendo come una sorta di imbottitura e isolano l’organismo dal freddo. Sono dei grassi neutri e ven-gono assunti soprattutto attraverso l’alimentazione. In particolare il loro tasso aumenta se si assumono troppe calorie, grassi, glucidi e alcool con l’alimentazione. Come nel caso del colesterolo LDL, una loro concentrazione eccessiva nel sangue favorisce l’arteriosclerosi e di conseguenza lo sviluppo di malattie cardiovascolari e di diabete di tipo II. I trigliceridi reagiscono più del colesterolo ai cambiamenti positivi nelle abitudini alimentari e un’alimentazione più consapevole riesce spesso a normalizzare la loro concentrazione nel flusso emati-co. Anche per i trigliceridi i fattori ereditari rivestono una certa importanza, ma interventi sull’alimentazione possono arrivare a contrastarne gli effetti negativi. La tabella seguente (cfr. Tabella 8) riporta i valori di concentrazione standard di riferimento per i princi-pali lipidi disciolti nel sangue: Tabella 8: Valori normali di riferimento dei principali lipidi disciolti nel sangue, [123].

Con ipertensione arteriosa si indica comunemente una condizione cronica di eccessiva pressione eserci-tata dal sangue sulle pareti delle arterie. La pressione arteriosa viene influenzata dal diametro dei vasi (arterie) e dalla forza con cui il muscolo cardiaco -contraendosi e rilassandosi- pompa il sangue nelle ar-terie verso le periferie dell’organismo. Nelle persone che presentano un eccesso ponderale si sviluppa con una frequenza quattro volte maggiore di quella nelle persone con un peso normale. Un’eccessiva circonferenza del girovita (cfr. cap. 3.3.2) è correlata ad un rischio sei volte più grande di ipertensione arteriosa. Anche l’ipertensione è direttamente correlabile con l’apparizione della sindrome metabolica. Si può determinare la pressione sanguigna nelle arterie facendo uso di un manicotto, che misura la pres-sione arteriosa al momento della contrazione del cuore (valore massimo, detto pressione arteriosa sisto-lica) e quella nella fase di rilassamento del muscolo cardiaco (valore minimo, detto pressione arteriosa diastolica). Per la diagnosi, si considerano i seguenti valori limite (cfr. Tabella 9):

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Tabella 9: Valori ri riferimento per la valutazione dell’ipertensione negli individui adulti (>18 anni), [123].

Si parla di diabete di tipo II quando l’ormone insulina non viene più sintetizzato in misura sufficiente dal pancreas, oppure quando il suo effetto sulle cellule dell’organismo è disturbato (insulinoresistenza). La caratteristica principale di questa forma di diabete è che l’insulina è ancora presente all’interno dell’organismo, ma le cellule hanno sviluppato una resistenza a questo ormone, ovvero sono troppo po-co sensibili alla sua azione. Ne consegue un’iperglicemia cronica perché il glucosio viene più difficilmente trasportato dall’insulina dal sangue alle cellule dei tessuti. L’organismo cerca di ovviare all’inefficacia dell’insulina stimolandone la produzione da parte del pancreas fino a quando si esaurisce e l’organo ces-sa completamente di sintetizzare l’ormone. Il rischio di riscontrare un diabete di tipo II è ereditario, ma le cause dello scatenarsi di questo disturbo metabolico sono principalmente l’eccesso ponderale (il 90% dei pazienti affetti da diabete mellito sono in sovrappeso), l’inattività fisica e l’età. È la forma di diabete maggiormente diffusa: circa il 90% di tutti i pazienti diabetici sono affetti da diabe-te di tipo II. Mediamente questa patologia viene diagnostica solo nove anni dopo il suo insorgere nel paziente per-ché nella maggior parte dei casi ha, per molti anni, un decorso totalmente asintomatico. Solo quando la glicemia si accresce notevolmente si possono manifestare una polidipsia (intensa sensa-zione di sete), una poliuria (aumento del bisogno di urinare), una diminuzione del rendimento fisico a causa di un’intensa stanchezza, una perdita di peso e una maggiore predisposizione alle infezioni, sin-tomi peraltro identici a quelli causati dal diabete di tipo I [123], [121], [124], [125], [126], [127], [128] e [129]. Malattie oncologiche È ormai sempre più assodato nella letteratura scientifica che il sovrappeso e l’obesità sono anche corre-lati al rischio di cancro. Molti studi recenti infatti denunciano la mancanza di interesse e di conseguenza di prevenzione nei con-fronti della connessione fra un elevato BMI e varie forme di tumori: da tempo è noto che fra gli animali che hanno un consumo energetico ridotto del 60%, rispetto a quello degli animali che si nutrono a vo-lontà, si riscontra una minor frequenza di cancro. Degli studi simili sugli umani hanno confermato questa relazione fra corporeo massa corporea e incidenza di cancro, senza però riuscire a stimolare l’attenzione di programmi preventivi. Questo disinteresse è probabilmente dovuto al fatto che il rischio associato all’eccesso ponderale per varie forme di tumore è relativamente piccolo se messo a confronto con gli effetti del fumo o di cause altri agenti causali che incrementano il pericolo di cancro. Le campagne preventive sono quindi sempre rimaste concentrate piuttosto sul rischio cardiovascolare, più saldamente correlato all’eccesso pondera-le.

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I meccanismi biologici che sarebbero alla base dell’influenza del sovrappeso sul rischio di cancro riguar-derebbero gli steroidi e l’insulina. L’implicazione di questi meccanismi nella cancerogenesi legata all’eccesso ponderale non è tuttavia ancora completamente stata dimostrata, ma il ruolo del tessuto a-diposo nella produzione e regolazione degli ormoni lascia perlomeno presupporre un probabile nesso fra l’obesità centrale e il rischio di cancro, [130]. Secondo il rapporto « Alimentation, Nutrition, Activité Physique et Prévention du Cancer : une Perspec-tive Mondiale» del Fondo Mondiale di Ricerca Contro il Cancro, il mantenimento di un peso-forma otti-male nel corso di tutta la vita potrebbe essere uno dei principali modi di proteggersi contro il cancro. Nel medesimo rapporto, infatti, l’alimentazione e l’attività fisica figurano tra i fattori di rischio ambienta-li e quindi modificabili per lo sviluppo di un cancro, assieme al tabacco, ai microrganismi patogeni, alle radiazioni, ai prodotti chimici industriali, all’inquinamento, a vari medicamenti e ad altri fattori. I ricercatori sarebbero riusciti a mostrare una correlazione convincente fra eccesso ponderale e rischio di sviluppo delle seguenti forme di cancro: cancro dell’ esofago, cancro del pancreas, cancro al colon-retto, cancro al seno (post-menopausale), cancro all’endometrio e cancro ai reni, [131]. Altre affezioni e disturbi Anche l’artrosi (o osteoartrite) può sopraggiungere come conseguenza di un eccesso ponderale ed è ca-ratterizzata da una degenerazione progressiva della cartilagine che riveste le articolazioni fino alla sua distruzione totale. Se questo processo permane nel tempo il danno non si limita più solo alla cartilagine ma anche il tessuto osseo attiguo, la capsula articolare, i muscoli, i tendini e i legamenti possono venir colpiti:l’assottigliamento dello strato di cartilagine causa un irrigidimento delle ossa che le sottostanno e si formano dunque delle escrescenze ossee, le osteofiti, fino a quando le ossa rimangono totalmente scoperte. Ne risulta un’articolazione deformata che, sollecitata con dei movimenti, provoca dolore. L’infiammazione articolare che deriva dall’usura della cartilagine viene detta artrite. La capsula secerne allora una quantità troppo elevata di liquido sinoviale, il che determina un versamento articolare. Que-sto accentua il fenomeno della degenerazione cartilaginea e a lungo andare l’artrosi si estende anche ai muscoli e ai legamenti vicini. L’organismo non è capace di riparare in modo spontaneo questi danni e l’artrosi rimane così una malat-tia irreversibile; il suo trattamento è volto quindi a diminuire i sintomi che provocano dolore, e rallenta-re il suo decorso favorendo una migliore mobilità. Consiste fondamentalmente in sedute di fisioterapia, ausili ortopedici, farmaci o talvolta interventi chirurgici. Il costante sovrappeso è determinante perché implica un carico eccessivo sulla cartilagine articolare fa-vorendo il suo assottigliamento. Altre cause possono essere i difetti di postura (e.g. ginocchio varo o valgo) ma anche le malattie e lesioni articolari (al menisco, alla capsula o ai legamenti) e l’artrite posso-no degenerare in artrosi, [132].

Figura 15: Sviluppo di un'artrosi - confronto fra cartilagine lesa dall'artrosi e cartilagine sana, [132].

Strato di cartilagine sano

Cartilagine distrutta

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Anche la gotta può svilupparsi a seguito del sovrappeso. Si tratta di una malattia dovuta solitamente ad un’iperuricemia, ovvero ad una concentrazione eccessiva di acido urico nel sangue. È caratterizzata in principio da attacchi di artrite concentrati su un’unica articolazione e che le procurano delle lesioni irreversibili; l’attacco di gotta consiste nel depositarsi di cristalli di acido urico nel medesimo spazio articolare, noti come tofi gottosi. Questi interessano soprattutto il padiglione auricolare, i gomiti, le mani e il ginocchio. Possono inoltre venir compromesse le funzioni renali a seguito della formazione di calcoli. L’acido urico è prodotto all’interno dell’organismo attraverso il metabolismo di sostanze chiamate puri-ne, presenti a livello nucleare in tutte le cellule umane e in alcuni alimenti. Quando le cellule invecchiate vengono degradate per favorire il ricambio cellulare, o quando le purine degli alimenti vengono digerite, viene formato acido urico, che entra quindi nel flusso ematico. In condizioni normali l’acido urico viene espulso dal corpo come urina tramite i reni (in realtà, una parte delle purine assunte viene usata dall’organismo per formare nuove cellule mentre l’altra parte viene trasformata in acido urico e quindi espulsa). Dato che le purine sono contenute in minor misura nelle cellule vegetali rispetto a quelle animali, si rac-comanda ai soggetti a rischio di gotta, una alimentazione caratterizzata da uno scarso apporto di carne (evitando assolutamente fegato, reni, trippa e milza, pesce in scatola, crostacei) e di legumi bilanciato da un elevato consumo di cibi di origine vegetale, come verdura, frutta, prodotti integrali e latticini. Questi cambiamenti introdotti nell’alimentazione favoriscono la solubilità dell’acido urico nelle urine limitando la deposizione di cristalli di acido urico nei reni e prevenendo in tal modo la formazione di calcoli renali. Le persone in sovrappeso che presentano un’iperuricemia devono tentare di perdere peso gradualmen-te in quanto le diete ipocaloriche troppo drastiche favoriscono gli attacchi di gotta. Le bevande alcoliche, in particolare la birra, aumentano la concentrazione di acido urico nel sangue e il loro consumo va quindi evitato. Si raccomanda piuttosto di bere giornalmente almeno due litri di liquidi, preferibilmente ipocalorici, poiché più grande è la quantità di urina, minore sarà la concentrazione di a-cido urico nel flusso ematico. La concentrazione eccessiva di acido urico nel sangue, oltre che dalle abitudini alimentari e dal sovrap-peso, è causata più frequentemente da una disfunzione renale congenita che limita l’eliminazione di tale acido. Altre malattie caratterizzate da un’elevata distruzione di cellule o da una disfunzione renale possono fa-vorire un’iperuricemia. Da ultimo anche usi abbondanti di determinati farmaci (soprattutto diuretici) possono influenzare l’apparizione della gotta. Obesità infantile In particolare, l’obesità infantile è associata ad un maggior rischio di obesità adulta, di morte prematura e di handicap. Oltre che con la minaccia di questi potenziali pericoli futuri per la sua salute, il bambino obeso può dover convivere con disturbi della respirazione, maggiori rischi di fratture, ipertensione, indi-catori precoci di malattie cardiovascolari, insulinoresistenza e ripercussioni psicologiche, già in età pe-diatrica. Per la coerenza dei contenuti, i disturbi psicologici causati dall’eccesso ponderale verranno trattati as-sieme alla problematica psico-sociale del sovrappeso nel capitolo successivo (cfr. cap. 3.8.2), [128].

3.8.2 Conseguenze del sovrappeso in ambito psico-sociale Le conseguenze dell’eccesso ponderale si manifestano anche attraverso seri problemi psicologici e socia-li. La forte crescita globale dell’obesità sembrerebbe aver infatti rinforzato i pregiudizi contro gli indivi-dui con un peso eccesivo, che troppo spesso si ritrovano soggetti a pesanti stigmatizzazioni. La depres-sione si fa allora sentire accompagnata da una bassa autostima e assieme queste influiscono negativa-

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mente sulla qualità di vita, la salute mentale, il rendimento scolastico e le prospettive di lavoro dell’individuo. Va notato però che in alcuni paesi, notoriamente nelle isole del Pacifico e in alcuni parti del continente africano, la cultura può alterare la percezione dell’obesità, tanto da farla considerare co-munemente come un attributo favorevole, quasi un simbolo di potenza e bellezza. In questi casi l’impatto sociale è ben diverso e non rappresenta un motivo di discriminazione, [8]. Ma questi sono esempi di circostanze isolate, perché nella maggior parte dei paesi l’obesità è comune-mente riconosciuta come un difetto estetico e di salute da biasimarsi. Gli obesi vengono spesso associati a caratteristiche negative e sono considerati dai più come golosi ingordi, poco intelligenti e indisciplinati. In particolare l’obesità infantile e puberale possono avere un forte impatto sugli sviluppi emozionali. I bambini obesi vengono spesso automaticamente considerati amici poco desiderabili dagli altri bambini e sono inoltre molto più soggetti agli scherni. Gli individui obesi già in età infantile corrono un rischio maggiore di avere una cattiva immagine del loro corpo e una bassa autostima anche in età adulta. In particolare è stato osservato che i bambini con eccesso ponderale sono capaci di mantenere una perce-zione positiva del loro corpo e una buona stima di sé, mentre gli adolescenti, in particolar modo le ra-gazze, con eccesso ponderale hanno tendenza a sviluppare una cattiva immagine di sé che permane an-che in età adulta. Tutti questi fattori concorrono a restringere la cerchia sociale dei ragazzi con eccesso ponderale, il che si tramuta poi in un maggior rischio di depressione e ansia, di insuccessi scolastici e amorosi e conseguentemente di avere un’educazione più breve e dei salari minori, [133]. La frustrazione che ne deriva chiude il circolo vizioso portando i soggetti obesi, isolati socialmente, a so-vra-nutrirsi e a condurre una vita sedentaria e solitaria peggiorando ulteriormente il loro stato pondera-le, [134]. Oggigiorno, la stigmatizzazione dell’obesità è estremamente forte: le persone cercano in ogni modo di prevenire l’acquisto di peso. Un sondaggio condotto nel Nord America ha rilevato che il 24% delle donne e il 17% degli uomini rinuncerebbero a tre o più anni della loro vita pur di raggiungere il peso che vor-rebbero. Alcune donne hanno addirittura confessato che avevano rinunciato alla gravidanza a causa del-la paura di ingrassare, [135]. Altri individui si spingono fino a prendere sopra di sé tutti i rischi del fumo nella speranza che le sigarette gli aiutino a rimanere magri. Tutti questi fatti mostrano come la società sia oggi impregnata di ideali di bellezza magra e conseguentemente di pregiudizi, soprattutto estetici, contro il sovrappeso. Le discriminazioni contro l’eccesso di peso si fanno sentire in moltissimi ambiti sociali: i problemi principali si riscontrano sul lavoro, dove -secondo molti studi- gli individui obesi avrebbero meno probabilità di essere assunti rispetto alle persone normopeso a parità di qualificazione professio-nale,[136]. Questo, verosimilmente, perché anche negli ambienti lavorativi esiste una percezione molto negativa dei soggetti con grave sovrappeso, i quali -anche in questo caso- vengono visti come persone meno competenti, pigre e poco autodisciplinate, [137]. Tali pregiudizi possono avere un impatto negati-vo anche sui salari e le promozioni sul lavoro [138], [139], [140] e [141]. Ma questo tipo di stigmatizzazione è stato osservato anche negli ambiti sanitari, dove dottori, infermie-re, psicologi e studenti di medicina si sono detti testimoni di atteggiamenti negativi nei confronti di pa-zienti in sovrappeso, [142], [143], [144], [145] e [146], addirittura anche nei reparti specializzati nella cu-ra dell’obesità, [147]. Non è noto se questi pregiudizi influenzino negativamente o meno la qualità delle cure fornite ai pazienti obesi, ma degli studi mostrano che i soggetti con eccesso ponderale sono rilut-tanti al ricercare assistenza sanitaria [148], [149]. Il contesto forse più pericoloso per la discriminazione degli obesi è quello dell’educazione: i dispetti e il rigetto dei coetanei a scuola, nonché gli atteggiamenti negativi degli insegnanti possono influire forte-mente sullo sviluppo psico-sociale dell’obeso [150], [151]. Alcuni studi sono addirittura arrivati a suppor-re che il sovrappeso sia talvolta preso come pretesto per espulsioni ingiustificate dal college,[150]. Altri studi, [152], arrivano invece a denunciare degli atteggiamenti discriminatori da parte dei genitori nei confronti dei loro stessi figli in sovrappeso, ai quali non esitano a comunicare i loro pregiudizi. L’impatto di questi comportamenti potrebbe avere delle conseguenze catastrofiche sullo sviluppo emozionale so-prattutto dei più giovani. È importante capire a che età la stigmatizzazione contro l’obesità diventa evidente. Alcuni studi, [153], sostengono che i pregiudizi verso i soggetti in sovrappeso si manifestano già fra i bambini di 3-5 anni. I

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bambini di tre anni appena tenderebbero ad associare l’eccesso ponderale con l’essere cattivi, stupidi, brutti, infelici, pigri e con l’avere pochi amici, [154]. I bambini della scuola elementare tenderebbero si-milmente a pensare che i bambini obesi siano brutti, egoisti, pigri, stupidi, bugiardi, canzonati e abbiano pochi amici, [155]. Essendo oggi confrontati quotidianamente con il problema dell’eccesso ponderale ed in misura quindi molto maggiore rispetto a quarant’anni fa, si potrebbe pensare che la stigmatizzazione abbia tendenza a diminuire, ma recenti studi hanno rieseguito le stesse metodologie di inchieste condotte in passato sco-prendo un decorso inverso, per cui la discriminazione sarebbe oggi persino più marcata, [156]. A questo punto è legittimo chiedersi quale sia il meccanismo che incrementi a tal punto i pregiudizi con-tro l’obesità; la maggior responsabilità della stigmatizzazione è probabilmente imputabile ai mass me-dia. Non sono infatti le derisioni degli attori in sovrappeso a mancare nei film (cfr. Figura 17) o nei pro-grammi televisivi, così come i cartoni animati per i bambini (cfr. Figura 16) riportano spesso battute di spirito che ridicolizzano i personaggi obesi, [157].

Figura 16: L'eccesso ponderale nei cartoni animati, [158].

Figura 17: L'eccesso ponderale nei film di Hollywood, [159].

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Non è sorprendente che questi atteggiamenti discriminatori siano associati con una maggior probabilità di depressione, di pensieri suicida e persino di tentativi di suicidio, [160]. Rimane comunque molto difficile, per i ricercatori e gli operatori sanitari, trasmettere alla società odier-na la coscienza della forza d’impatto che i comportamenti discriminatori verso l’obesità possono com-portare, [157].

3.8.3 Conseguenze economiche: il costo del sovrappeso Ma l’obesità non si ripercuote solamente sulla salute psico-fisica e sociale di adulti e bambini, bensì rap-presenta un grande problema anche per il nostro sistema economico. Negli Stati Uniti

Va notato che a queste cifre andrebbero addizionati i costi indiretti associati all’obesità che comprendo-no una minor produttività, un maggiore assenteismo e dei più elevati premi assicurativi, [162].

, i costi relativi al trattamento delle malattie associate all’obesità sono quasi raddoppiati rispetto al decennio scorso, passando da 78 bilioni di dollari nel 1998, a 147 bilioni nel 2008, [161].

In Europa

, in media, le nazioni investono 2-8% del budget dell’assistenza sanitaria, esclusivamente per saldare i costi legati all’obesità, [163].

In Svizzera

Nel 2006 i costi per la salute direttamente legati al sovrappeso e all’obesità rappresentavano circa il 7.3% delle spese totali per la salute svizzera che ammontavano, in quell’anno, a 52.7 mia di franchi. In particolare, nel 2007, ben il 79% delle spese totali relazionate all’obesità è stato investito per la cura di diabete di tipo II, cardiopatia coronarica, osteoartrosi (al ginocchio e all’anca) e asma, [164].

, le spese per la salute legate all’obesità sembrano essersi più che raddoppiate fra il 2001, quando i costi ammontavano a 2648 milioni di franchi, e il 2006 quando il dispendio totale raggiungeva i 5755 milioni di franchi.

Per migliorare il finanziamento delle cure e della prevenzione dell’eccesso ponderale, molti fra i 34 stati membri dell’Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD) hanno introdotto (o pre-vedono di introdurre a breve) delle tasse sugli alimenti e sulle bevande malsani. Infatti, oltre che a cer-care di migliorare le abitudini alimentari della popolazione e quindi di contenere la crescita del sovrap-peso, queste tasse rappresentano delle entrate importanti che possono venir sfruttate per finanziare campagne preventive, progetti e ricerche mediche inerenti al sovrappeso e all’obesità e per migliorare la qualità delle cure delle patologie legate all’eccesso di peso. Ad esempio la Danimarca, nel 2011, ha introdotto una tassa di questo tipo sui cibi che contengono più del 2.3% di grassi saturi (carne, formaggio, burro, snack, ecc.) e, nel 2010, aveva già aumentato del 25% le accise sulla cioccolata, sul gelato, sulle bevande zuccherate e sui dolciumi. Anche in Ungheria e in Francia sono state e rispettivamente verranno adottate misure simili [17].

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4 La mia inchiesta: l’eccesso ponderale presso i liceali di Bellinzona

4.1 Interrogativi di ricerca L’attualità della problematica dell’eccesso ponderale, descritta ormai in termini pandemici nelle società occidentali, ha sicuramente stimolato il mio interesse per la tematica dell’obesità e di conseguenza la mia curiosità nel comprendere in che misura questo fenomeno tocchi anche il nostro microcosmo appa-rentemente privilegiato in rapporto ad altre realtà del mondo industrializzato. Mi sono pertanto posta i seguenti interrogativi di ricerca:

1. La problematica del sovrappeso e dell’obesità sono presenti anche presso il liceo di Bellinzona? 2. Anche i nostri studenti adottano delle cattive abitudini alimentari e tendono a condurre una vita

eccessivamente sedentaria? Come sono relazionati i comportamenti alimentari e l’attività fisica dei liceali con il loro stato ponderale? 4.2 Parte pratica

4.2.1 Procedimenti e metodi

Essendo lo scopo della mia indagine verificare se anche presso il mio liceo si potessero rintracciare even-tuali segnali di allarme che annunciassero una tendenza crescente ad alimentarsi in maniera poco salu-tare ed a muoversi in misura insufficiente ogni giorno, ho voluto analizzare i comportamenti alimentari e l’intensità e la frequenza di attività fisica in un campione di duecento studenti ticinesi frequentanti il primo e il secondo anno di liceo e compresi in una fascia d’età fra i 15 e i 19 anni. Per fare ciò, dopo aver opportunamente consultato la letteratura scientifica e le varie inchieste condotte a livello ticinese (ISPA Ticino 3

Tramite queste, oltre ai principali dati anagrafici (sesso, età, comune di residenza, paese d’origine -inteso come nazionalità- ultimo titolo di studio conseguito da ciascun genitore, professione di ciascun genitore), venivano richiesti la misura dell’altezza (in metri), della massa corporea (in chilogrammi) e della circonferenza del girovita (in centimetri).

), nazionale (ISPA Svizzera), e internazionale inerenti i temi dell’eccesso ponderale, dei comportamenti alimentari e dell’attività fisica, ho elaborato -con il software google docs- un questionario che comprendeva 28 domande.

Per raccogliere dati queste misure con le maggiori precisione e attendibilità possibili ho deciso di anno-tare io stessa questi tre dati, dopo averli personalmente misurati in ogni liceale del campione in esame. Una volta discusso e corretto il questionario -grazie alla grande collaborazione del Prof. Dr. Med. M. Bianchetti, primario in pediatria presso l’Ospedale San Giovanni di Bellinzona, e del Prof. Speziga, inse-gnante di biologia presso il liceo di Bellinzona- e dopo aver legittimato con adeguate fonti medico-

3 L’inchiesta Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) si svolge ogni quattro anni sotto l’egida dell’Organizzatione Mondiale della Salute (OMS-Europa) con lo scopo di raccogliere dati inerenti la salute, il benessere, gli ambienti sociali e i comportamenti legati alla salute di ragazze e ragazzi adolescenti. Nel 2006 vi hanno partecipato 41 paesi e in Svizzera l’organo responsabile di questa inchiesta è l’Istituto Svizzero di Pre-venzione dell’Alcolismo e altre Tossicomanie (ISPA). In Svizzera la raccolta dei dati si è svolta nel 2006 da gennaio ad aprile, [65]; il questionario è stato proposto durante un’ora lezione (45 minuti) a 9'791 allievi di 11-15 anni la cui partecipazione era volontaria il cui anonimato era garan-tito. Nel 2006 l’indagine ISPA è stata condotta anche a livello ticinese ed ha preso in considerazione un campione di 1'136 allievi di scuole non private e di un’età sempre compresa nella fascia dagli 11 ai 15 anni. Per evitare confusioni fra l’indagine ISPA condotta a livello svizzero e quella condotta esclusivamente su allievi ticinesi, nel testo l’inchiesta nazionale sarà riportata come “indagine ISPA Svizzera”, mentre quella cantonale verrà designata come “indagine ISPA Ticino”.

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scientifiche ciascuna domanda del modulo, ho contattato i docenti di educazione fisica del liceo di Bel-linzona. Ho richiesto la loro disponibilità ad interrompere i propri corsi con alcune classi di prima e se-conda liceo per mettere a mia disposizione, per mezz’ora circa, i loro studenti in modo da poter effettu-are le misurazioni e distribuire i questionari. Ho scelto di eseguire la raccolta dei dati durante le lezioni di educazione fisica poiché in queste occasioni i ragazzi sono relativamente poco vestiti e in tal modo la loro massa corporea non risulta troppo aggra-vata da quella degli indumenti. Ad ogni modo, prima delle misurazioni, veniva chiesto ai soggetti di to-gliere le scarpe da ginnastica. I professori di educazione fisica si sono mostrati subito molto disponibili e sono così riuscita a procurar-mi tutti i dati nell’arco di tre settimane circa. Mi recavo nelle opportune palestre e installavo i miei strumenti di misura (bilancia, metro a nastro, fles-sometro e questionari) in un locale appartato dove i ragazzi della classe prevista per il test giungevano a gruppetti di 7-8, in modo da non dover interrompere totalmente la lezione di educazione fisica. La procedura consisteva nel misurare, con un flessometro -fissato all’altezza opportuna di uno stretto palo di legno (alto 2.20 m)- la statura di ciascun individuo, con una bilancia -avuta in prestito dal Centro di Ricerca Cardiovascolare dell’Ospedale San Giovanni- la massa corporea di ogni soggetto e da ultimo, con un metro a nastro la misura della circonferenza del girovita di ciascun giovane (conformemente alle raccomandazioni della letteratura scientifica, ossia srotolando il metro a nastro sul piano orizzontale all’altezza dell’ombelico). Eseguite e annotate le misure su un questionario, porgevo il medesimo al ragazzo appena misurato e lo pregavo di registrare le sue risposte nei campi successivi. Va notato che la raccolta dei dati è stata effettuata in maniera assolutamente anonima e che ciascun soggetto ha partecipato su base volontaria all’inchiesta; infatti, prima di iniziare le misurazioni e di far compilare il questionario, parlavo ai ragazzi spiegando loro lo scopo della mia indagine, informandoli sull’anonimità del questionario e incoraggiandoli a partecipare alla mia ricerca. Eccetto qualche occasione isolata in cui alcune ragazze mi hanno dichiarato il loro imbarazzo nel rispon-dere al questionario, non ho avuto particolari problemi con i giovani esaminati, la cui collaborazione si è al contrario dimostrata ottimale (nessun astenuto, un solo questionario scartato per mancanza di infor-mazioni). I dati sono progressivamente stati inseriti nel database di google docs e quindi convertiti in un documen-to excel. Il metodo adottato per l’analisi dei dati sarà esplicitato nel sottocapitolo inerente metodologia nell’analisi dei dati (cfr. cap. 4.2.3).

4.2.2 Soggetti in esame ed entità condizionanti Soggetti in esame Nella mia ricerca ho preso in esame un campione di 200 studenti di prima e seconda liceo, compresi in una fascia d’età dai 15 ai 19 anni. L’età dei soggetti è molto importante da considerarsi, infatti praticamente tutti i ragazzi della mia ricerca (84%) si trovano ancora in età pediatrica (età inferiore ai 18 anni), e -come già visto nel capitolo dedica-to al Body Mass Index (cfr. cap. 3.3.1)- in questa fascia d’età il rilevamento di un eccesso ponderale non è così immediato come nel caso degli adulti perché bisogna basarsi sulle curve dei percentili che sono specifiche per ogni sesso ed età. Infatti il metabolismo degli adolescenti e quindi i loro bisogni nutrizionali si differenziano da quelli degli individui adulti e presentano un’ampia variabilità nelle diverse fasi del periodo puberale. Come spiegato precedentemente (cfr. cap. 3.3.1.1), queste differenze sono dovute principalmente al fatto che in tale periodo il corpo dell’adolescente subisce varie trasformazioni crescendo rapidamente, cambiando mor-fologia e sviluppando le varie funzioni organiche. Va ricordato che queste differenze nei bisogni nutri-

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zionali esistono tanto sul piano quantitativo, quanto su quello qualitativo e di fatto, sono specifiche per ogni individuo e dipendono perlopiù dall’attività fisica, dalla fisiologia e dalla morfologia (che variano per altro con l’età e il sesso e l’etnia). Pur essendo impossibile -proprio a causa di questa grande variabilità- standardizzare i corretti bisogni nutrizionali dei soggetti in età infantile e puberale, ci si può basare sui valori limite dei grafici con i percentili del BMI-for-age (diversi per ognuno dei due sessi) per identificare con abbastanza buona approssimazione l’eventuale presenza di un eccesso ponderale (cfr. cap. 3.3.1.1) ed eventualmente -secondo il parere medico- modificare i propri apporti nutrizionali. Per un’analisi più approfondita e maggiormente mirata a rilevare specifici rischi per la salute legati al sovrappeso, ci si può appoggiare ai grafici riportanti i percentili della misura della circonferenza del girovita che, oltre a distin-guere fra l’età e il sesso degli individui, tengono conto delle differenze morfologiche fra le varie etnie (cfr. cap. 3.3.2). In questa inchiesta, viste le peculiarità del campione da me considerato, ho scelto di misurare la massa e l’altezza di ogni soggetto per poterne calcolare in un secondo momento l’indice di massa corporea e quindi stabilirne lo stato ponderale (sottopeso, normopeso, sovrappeso, obeso) conformemente alle in-dicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dell’ente statunitense Centers for Disease Control and Prevention (CDC) inserendo i dati raccolti in calcolatore online (http://www.halls.md/body-mass-index/av.htm

). Durante l’indagine ho inoltre misurato la circonferenza del girovita di ogni parteci-pante, con lo scopo di individuare eventuali rischi per la salute legati all’eccesso ponderale. Tuttavia non essendo ancora disponibili i valori limite per le misure della circonferenza del girovita dei bambini e ado-lescenti svizzeri, ho deciso di limitarmi ad analizzare i dati del BMI (i dati relativi alla misura della circon-ferenza del girovita sono comunque riportati come allegato), [34].

Entità condizionanti Il gruppo di soggetti selezionati nella mia ricerca è costantemente sottoposto all’influenza di varie entità sociali e persone. Queste possono condizionare in modo significativo lo stato ponderale dei ragazzi mo-dificando le loro abitudini alimentari e di movimento come già visto nel capitolo sui principali fattori di influenza per l’aumento dell’eccesso ponderale quando si è parlato dei fattori famigliari, politico-comunitari e sociali che possono condurre all’acquisto di peso (cfr. cap. 3.7). Per la popolazione da me considerata i fattori di rischio per l’eccesso ponderale sono condizionati spe-cialmente da:

- i genitori o le autorità parentali, - il medico pediatra, il medico di famiglia e il medico dentista, - gli insegnanti, - la cerchia di amici, - le associazioni promuoventi la salute, - i dipartimenti dello stato responsabili della salute pubblica (che potrebbero ad esempio incorag-

giare l’attività fisica aumentando la disponibilità di spazi adatti al movimento, o migliorare l’accessibilità a prodotti alimentari di qualità, o ancora limitare la pubblicità per alimenti iperca-lorici e promuovere campagne di sensibilizzazione),

- le industrie alimentari e le catene di fast food.

Nella mia inchiesta ho cercato di sondare il peso che potevano avere alcuni di questi fattori con deter-minate domande del questionario:

- l’influenza dell’educazione da parte genitori, grazie alle domande “Qual è l’ultimo titolo di stu-dio conseguito da tuo padre?” e “Qual è l’ultimo titolo di studio conseguito da tua madre?”, che volevano verificare se delle supposte maggiori sensibilità e conoscenza dei genitori verso la salu-te -conferite loro da un diploma post-liceale- potessero avere un impatto positivo sul modo di a-limentarsi dei figli.

- l’influsso della presenza fisica dei genitori nel nucleo abitativo, attraverso gli interrogativi “Qual è la professione di tuo padre?”, “Qual è la professione di tua madre?” e quindi della loro disponibilità di tempo per preparare dei pasti sani e equilibrati (una casalinga ha verosimil-

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mente più tempo da consacrare alla spesa e alla cucina rispetto ad una infermiera a tempo pie-no, ad esempio);

- l’impatto della mancanza di infrastrutture che promuovono un’alimentazione sana (per esem-pio, al liceo di Bellinzona è presente solo una caffetteria che offre panini di vario stile e se gli studenti vogliono pranzare in modo più variegato devono recarsi alla mensa della Scuola Canto-nale di Commercio) e l’attività fisica (palestre accessibili, piste ciclabili che coprano il tragitto casa-scuola,ecc.), attraverso le domande “Dove pranzi più frequentemente in settimana (lu-ve)?” e “Con che mezzo di trasporto vai abitualmente a scuola?” (quest’ultimo interrogativo, combina-to alla domanda “In che comune abiti?”, mi ha permesso di valutare se i liceali per i quali la lun-ghezza del tragitto casa-scuola rendeva fattibile lo spostamento a piedi, in bicicletta o con altri mezzi che implicassero uno sforzo fisico, sfruttavano tale possibilità o in caso contrario mi por-tava a chiedermi se la scelta di non svolgere un’attività fisica per spostarsi fosse dettata dalla pi-grizia o dalla scarsa sicurezza garantita sul tragitto).

- l’influenza del successo che riscuotono le catene fast food nella popolazione da me considera-ta, per mezzo della domanda “Quanto spesso consumi un pasto presso un fast food (McDo-nald’s, Mc Joe, Kebab,…)?”;

- l’effetto della misura con cui i liceali consumano alcuni prodotti alimentari, attraverso le do-mande a scelta multipla “Cosa mangi abitualmente a colazione?” e “Cosa bevi generalmente a colazione?”, “Cosa consumi in queste occasioni?” (riferita a “Mediamente quante volte al giorno mangi fuori dai pasti principali? (colazione, pranzo cena)?”), “Quanto spesso mangi carne?”, “Quanti frutti mangi al giorno?” e “Quanto spesso mangi verdura al giorno?”;

- l’impatto della televisione e degli altri mezzi telematici specialmente sulla sedentarietà dei soggetti (le ore passate davanti a tali tecnologie sostituiscono spesso in misura eccessiva le ore di attività fisica che la salute dei ragazzi esigerebbe) ed eventualmente, presupponendo che i ra-gazzi visionino le réclametelevisive alimentari, sull’induzione al consumo di prodotti malsani at-traverso la pubblicità.

Sarebbe stato ottimale condurre l’indagine coinvolgendo anche i genitori/autorità parentali dei ra-gazzi proponendo loro un questionario che sondasse al meglio la loro influenza sul comportamento dei figli, ma per motivi di tempistica ho dovuto rinunciare a questo progetto.

4.2.3 Metodologia nell’analisi dei dati Per ogni ragazzo è stato calcolato il BMI tramite il rapporto [massa (Kg)] / [altezza (m)]2, e il BMI-percentile, grazie ad un calcolatore avanzato online (disponibile al link seguente: http://www.halls.md/body-mass-index/av.htm)

Le risposte alle varie domande del questionario sono invece state sottoposte a diversi test statistici con l’ausilio del programma Prism. In particolare è stato usato il Chi Square test (Chi

. Ogni liceale è quindi stato classificato, in base al suo BMI-percentile, nella sua corrispondente categoria di stato ponderale (sottopeso, normopeso, sovrappe-so, obeso).

2

) per scovare eventuali differenze statisticamente significative fra i gruppi di studenti. I confronti sono stati effettuati perlopiù fra i liceali con eccesso ponderale e liceali senza eccesso ponderale, e rispettivamente fra i liceali di ses-so maschile e i liceali di sesso femminile. Il Chi Square test for trend è stato utilizzato per verificare la presenze eventuale di tendenze fra i vari gruppi d’età (liceali quindicenni, liceali sedicenni, liceali dicias-settenni, liceali diciottenni). Per quest’ultima analisi non sono stati considerati i dati relativi ai liceali di-ciannovenni, perché numericamente troppo poco rappresentativi (tre individui).

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4.3 Ipotesi iniziali Tenendo conto delle dimensioni piuttosto limitate del campione preso in esame (n = 200), mi aspetto una minor significatività dei miei dati rispetto a quelli rilevati dalle inchieste condotte a livello ticinese, nazionale e negli Stati Uniti, che hanno invece considerato un maggior numero di individui (cfr. cap. 4.5). Tuttavia, tali inchieste, basandosi perlopiù su dati antropometrici auto dichiarati, presenteranno dei dati meno precisi di quelli da me ottenuti. Inoltre, dato che l’ambiente dove ho estrapolato i miei dati è molto più selettivo ed elitario rispetto a quello dei ragazzi considerati dalle altre indagini, che hanno invece prelevato le informazioni da più con-testi scolastici e -considerando una fascia d’età inferiore- solo a livello di scuola elementare e scuola media, e visto che la letteratura medico-scientifica associa una minor prevalenza di eccesso ponderale con uno statuto sociale più abbiente e coltivato (cfr. cap. 3.7 Salari famigliari ridotti e basso status so-ciale 3.8.2 e cap. ), mi aspetto che tale prevalenza risulti minore nel mio campione rispetto a quella rile-vata a livello cantonale, nazionale e negli Stati Uniti. Vista la minor diffusione di catene alimentari fast food nel nostro paese (Gli Stati Uniti sono al primo po-sto nella classifica dei paesi con più ristoranti McDonald’s contando ben 12'804 ristoranti sul loro terri-torio, mentre la Svizzera occupa il 24esimo posto con 119 ristoranti, [165]) rispetto agli Stati Uniti, pre-vedo che -similmente ai dati ottenuti nazionalmente e a livello cantonale- i risultati che otterrò mostre-ranno una decisamente più contenuta abitudine di frequentare questo tipo di ristoranti. Inoltre, vista la più grande accessibilità di prodotti alimentari sani (come ad esempio la frutta e la verdu-ra vendute al dettaglio) in Svizzera, si pensi ai supermercati Migros e Coop, in rapporto a quella dei sob-borghi di grandi metropoli come New York, mi aspetto delle scelte alimentari più sane da parte dei ra-gazzi del mio campione, rispetto a quelle riportate dalle inchieste condotte sui giovani statunitensi. Nondimeno, dato il livello di studio più elevato dei ragazzi del mio campione (tutti studenti liceali), ri-spetto a quello dei soggetti delle indagini condotte a livello cantonale, nazionale e negli Stati Uniti, mi aspetto di rilevare una maggior sensibilità verso la salute, quindi dei comportamenti alimentari più equi-librati (cfr. domanda del questionario “Scegli tra le seguenti opzioni quella che rispecchia maggiormente il tuo atteggiamento di fronte al cibo”) e una maggiore coscienza riguardo la composizione delle derrate alimentari (cfr. domanda “Quante zollette di zucchero pensi possa contenere questa lattina di Coca-Cola (355 mL)?). Da ultimo, vista la minor disponibilità di tempo libero dei liceali rispetto agli studenti di scuole meno im-pegnative (scuola elementare e scuola media) considerati nelle altre indagini, prevedo di rilevare un uti-lizzo meno frequente di mezzi telematici -quali televisione, videogiochi e computer- rispetto a quello ri-portato dalle inchieste condotte in Ticino, in Svizzera e negli Stati Uniti su delle popolazioni di individui meno selezionate. Potrebbe anche darsi che tale minor disponibilità di tempo si traduca con una minor percentuale di soggetti che svolgono un’attività sportiva extrascolastica nel mio campione. Tuttavia l’attività fisica dei liceali del mio campione potrebbe risultare favorita dalle piccole dimensioni del nostro territorio in rapporto a quelle delle grandi metropoli, poiché il microcosmo bellinzonese po-trebbe incentivare l’attitudine al movimento integrato nella vita quotidiana.

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4.4 Risultati Dati antropometrici e anagrafici Tabella 10: dati relativi allo stato ponderale dei liceali (n = 200)

Stato ponderale N Studenti % Studenti

Studenti sottopeso (BMI < 5° percentile)

3 1.5

Studenti normopeso (BMI = 5°-85° percentile)

178 89

Studenti in sovrappeso (BMI = 85°-95° percentile)

16 8

Studenti obesi (BMI ≥ 95° percentile)

3 1.5

I dati antropometrici relativi ai 200 studenti in esame riportano l’89% di studenti normopeso, l’8% di studenti in sovrappeso, l’1,5% di studenti obesi e l’1,5% di studenti sottopeso. La prevalenza di eccesso ponderale (soggetti in sovrappeso e soggetti obesi) risulta quindi del 9,5%. Tabella 11: Dati suddivisi per categorie con caratteristiche anagrafiche (sesso, età e paese d'origine) simili

Caratteristiche N studenti % studenti N studenti con eccesso ponde-rale

% studenti con eccesso ponde-rale

Sesso

Maschio 79 39.5 11 13.9 Femmina 121 60.5 8 6.6 Età (anni)

15 26 13 4 15.4 16 82 41 8 14.3 17 61 30.5 2 9.8 18 28 14 4 3.3 19 3 1.5 1 33.3 Paese d’origine

svizzero 164 82 15 9.1 straniero 35 17.5 4 11.4

Considerazioni sull’intero campione Il 60,5% del campione è costituito da ragazze, il rimanente 39,5% da studenti maschi. Sono stati studiati ragazzi da 15 a 19 anni, con un totale di 26 quindicenni (13%), 82 sedicenni (41%), 61 diciassettenni (30,5%), 28 diciottenni (14%) e 3 diciannovenni (1,5%). Tutti gli studenti frequentavano la prima e la seconda classe presso il liceo di Bellinzona.

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L’altezza media calcolata per il campione considerato corrisponde a 1,68 metri, mentre la massa corpo-rea media ammonta a 60,00 Kg. La media di tutti i BMI calcolati riporta un valore pari a 21,06 Kg/m2

.

Considerazioni in base al confronto fra i sessi

Figura 18: stato ponderale fuori norma per i due sessi: sottopeso, sovrappeso, obeso (n = 200) La prevalenza del sottopeso è maggiore fra le studentesse (1,7%, n = 121) che fra i maschi (1,3%, n = 79). La percentuale del sovrappeso è invece nettamente maggiore fra i maschi (12,7%, n = 79) che non fra le femmine (5%, n = 121), ma l’obesità è più presente fra le studentesse (1,7%, n = 121) che fra i maschi (1,3%, n = 79). Si può infine notare come la più generale prevalenza dell’eccesso ponderale (individui in sovrappeso e obesi) colpisca maggiormente i maschi (13,9%, n = 79) che non le femmine (6,6%, n = 121), ma questa differenza non è statisticamente significativa (cfr. Tabella 14). Le interpretazioni dei risultati e della loro significatività statistica saranno fornite nelle pagine dedicate alla discussione (cfr. cap. 4.5). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età Come già annunciato, i dati dei diciannovenni devono essere tralasciati per fare delle considerazioni ba-sate sulle differenze fra i gruppi d’età a causa del numero troppo ristretto di individui esaminati (n = 3). Escludendoli, la prevalenza di eccesso ponderale risulta maggiore fra i quindicenni (15,4%, n = 26), subi-to seguiti dai diciottenni (14,3%, n = 28), dai sedicenni (9,8%, n = 82) e dai diciassettenni (3,3%, n = 61). Considerazioni in base al confronto fra i paesi d’origine L’82% degli studenti ha delle origini svizzere, contro un 17,5% che ha invece radici straniere. Uno stu-dente (0,5%) non ha completato il campo che chiedeva quale fosse il proprio “paese d’origine” (cfr. Ta-bella 11). Una proporzione maggiore di eccesso ponderale (11,4%, n = 35) è riscontrata fra i ragazzi di provenienza estera rispetto a quella che risulta se si considerano solamente gli individui con origini svizzere (9,1%, n = 164). Questa divergenza non è tuttavia risultata statisticamente significativa (P value = 0.6766).

1.7%

5%

1.7% 1.3%

12.7%

1.3%

0%

2%

4%

6%

8%

10%

12%

14%

sottopeso sovrappeso obeso

Stato ponderale fuori norma, confronto fra i sessi

femmine (n=121)

maschi (n=79)

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Livello di istruzione dei genitori Il grado di istruzione dei genitori dei liceali in esame, varia dalla licenza della scuola media, al titolo uni-versitario. Più di un genitore su tre possiede un titolo universitario o comunque universitario professio-nale (35,5% dei genitori dei due sessi). Il numero di genitori con titolo di studio universitario o universitario professionale è inversamente pro-porzionale alla prevalenza di eccesso ponderale: quest’ultima è infatti maggiore fra gli studenti che non hanno nessun genitore diplomato a livello universitario/universitario professionale (10%, n = 90), decre-sce per i liceali con almeno un genitore che ha conseguito un diploma di questo tipo (9,5%, n = 63) ed è minima per i ragazzi i cui due i genitori possiedono un titolo di studio universitario/universitario profes-sionale (7,7%, n = 39). Questo trend non è però risultato significativo dalle analisi statistiche (P value = 0.6972). Distretto di residenza Determinato il distretto di residenza dei liceali in esame, i ragazzi considerati potenzialmente capaci di recarsi al liceo senza far uso di mezzi a motore (residenti a Bellinzona, Sementina, Giubiasco, Arbedo, Castione, Monte Carasso, o Gorduno) rappresentano il 42.5% dell’intero campione. Si noterà meglio in seguito, parlando di mezzi di trasporto, come una grande parte degli studenti rima-nenti si rechi al liceo in treno o in bus ma è comunque costretta a percorrere un relativamente lungo tratto di strada a piedi (tragitto stazione ferroviaria/fermata autopostale-sede liceale). Mezzi di trasporto per il tragitto casa-liceo

Figura 19: Mezzo di trasporto con cui i liceali si recano al liceo: a piedi, in monopattino, in bicicletta, in macchina o con altri mezzi a motore personali (motorino, scooter, ecc.), in bus o con altri mezzi pubblici (n = 200) La maggior parte degli studenti liceali del campione (56,5%) si reca al liceo in bus o con altri mezzi pub-blici. Questa scelta di trasporto implica un tratto relativamente lungo da percorrere a piedi (tragitto sta-zione/fermata autopostale-sede liceale). Uno studente su quattro va al liceo in bicicletta (25%), mentre

6.5%

25%

12%

56.5%

Mezzo di trasporto con cui i soggetti si recano abitualmente al liceo

A piedi

In bicicletta

In macchina o con altri mezzi a motore personali (motorino, scooter,ecc.) In bus o con altri mezzi pubblici

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il 12% sceglie di usare dei mezzi a motore personali. Una netta minoranza (6,5%) va abitualmente a piedi al liceo. Complessivamente si può dire che la grande maggioranza degli studenti svolgono un’attività fisica per recarsi alla sede scolastica (88%). La porzione di studenti bellinzonesi che svolge un’attività fisica per recarsi al liceo è estremamente ele-vata (87,9%, n = 32). Anche quella degli studenti per i quali la lunghezza del tragitto casa-liceo consenti-rebbe lo spostamento a piedi o in bicicletta -seppur prolungandolo notevolmente- si dimostrano per la maggior parte (61.2%, n = 85) disposti ad uno sforzo fisico. Definizione degli studenti in base alla loro attività sportiva Tabella 12: definizione dei soggetti in base al totale di ore di attività sportiva

Ore settimanali di attività spor-tiva a scuola

Ore settimanali di attività sportiva extrascolastica

Ore settimanali di attività sporti-va totale

Definizione del soggetto in base alla sua attività sportiva

3 3-4 o più 6-7 o più Attivo 3 1-2 o 2-3 4-5 o 5-6 Parzialmente atti-

vo 3 0 3 Scarsamente atti-

vo La tabella riportata sopra (cfr. Tabella 12) mi sarà utile per definire i liceali del mio campione in base alla loro attività sportiva. Va notato che il mio questionario non mi permetteva di monitorare il livello di atti-vità fisica svolto giornalmente dai liceali, ma poteva unicamente determinare le ore di sport svolte set-timanalmente dai ragazzi. Lo sport rappresenta solo una parte dell’attività fisica poiché, a differenza di quest’ultima, esclude tutta una serie di attività implicanti uno sforzo, come per esempio correre a pren-dere l’autobus, sfogarsi con gli amici o arrampicarsi sugli alberi (cfr. cap. 3.6). Tali movimenti contribui-scono, anche se in maniera meno importante rispetto allo sport, a migliorare lo stato di salute di una persona. Lo sport è quindi una forma di attività fisica praticata perlopiù nel tempo libero (si parla piutto-sto di educazione fisica se lo sport è praticato nel quadro scolastico) e che riveste un carattere intenzio-nale (de Araújo & de Araújo, 2003). A causa di questa distinzione, i questionari delle indagini condotte a livello ticinese, nazionale e internazionale richiedono separatamente le informazioni relative all’attività fisica quotidiana e all’attività sportiva settimanale. Non possedendo però io i dati relativi all’attività fisica dei liceali non potrò rapportare i miei risultati alle definizioni di attività fisica impiegate ad esempio dall’indagine ISPA Ticino 2006 condotta a livello ticinese su allievi di 11-15 anni di cui sono stati esamina-ti i comportamenti alimentari e di movimento. Tali definizioni si appoggiano sulle raccomandazioni di movimento per la Svizzera, elaborate congiuntamente dall’Ufficio Federale dello Sport (UFSPO), dall’Ufficio Federale della Sanità Pubblica (UFSP) nonché dalla Rete svizzera Salute e Movimento. Secon-do queste, i giovani si possono definire “attivi” se svolgono un’ora di attività fisica almeno 6-7 giorni alla settimana, “parzialmente attivi” se svolgono un’ora di movimento 2-5 giorni alla settimana, “inattivi” se praticano un’ora di movimento un giorno o meno a settimana. La raccomandazione più recente consiglia a bambini e adolescenti di svolgere almeno un’ora di movimento di media intensità ogni giorno (i perio-di di almeno 10 minuti consecutivi di sforzo fisico possono essere sommati nel computo delle ore) (Office fédéral de la santé publique (OFSP), 2006), [65]. Nel mio questionario veniva chiesto ai ragazzi di rispondere alle domande “Fai regolarmente un'attività sportiva extrascolastica?” e “(rispondi solo se hai risposto "sì" alla domanda precedente) Quante ore di tale attività sportiva fai a settimana?”. Per questo motivo posso solo limitarmi a conteggiare le ore di

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attività fisica settimanali praticate tramite lo sport dai liceali. Ho quindi elaborato una tabella per classi-ficare in tre categorie i ragazzi in base alle ore di sport che svolgono ogni settimana (cfr. Tabella 12). È da notare, che questa approssimazione classifica automaticamente (e solamente) gli studenti che non svol-gono un’attività fisica extrascolastica come scarsamente attivi. Considerazioni sull’intero campione

Figura 20: definizione degli studenti in base alla loro attività sportiva: scarsamente attivi, parzialmente attivi, attivi (n = 200) Complessivamente, la proporzione di studenti attivi (44%), secondo i miei criteri di classificazione, è maggiore sia rispetto a quella dei liceali parzialmente attivi (20,5%), che rispetto a quella degli individui scarsamente attivi (35,5%). Calcolando che le raccomandazioni per la popolazione svizzera inerenti l’attività fisica raccomandano almeno un’ora di movimento al giorno, posso -a titolo approssimativo- conteggiare come sicuramente conformi a questa norma, tutti gli studenti definiti attivi (6-7 o più ore a settimana), senza tuttavia poter verificare che le loro ore di attività fisica siano ripartite su tutti i giorni della settimana come raccoman-dato. Fatta questa premessa, risulta che il 44% degli studenti campionati svolge le minime ore settima-nali di attività fisica consigliate. Considerazioni in base al confronto fra i sessi I maschi scarsamente attivi (22,8%, n = 79) sono proporzionalmente molto inferiori alle ragazze con la stessa definizione (43,8%, n = 121). Questa differenza è risultata statisticamente significativa (P value = 0.0024). Più in generale, mantenendo la premessa fatta nel commento al grafico precedente (cfr. Figura 20), il 60,76% dei maschi (n = 79) è sicuramente conforme alla raccomandazione circa le ore minime di attività fisica da svolgere settimanalmente. Tale raccomandazione è rispettata in misura minore dalle ragazze (33,06%, n = 121).

35.5%

20.5%

44%

Attività sportiva degli studenti

scarsamente attivi

parzialmente attivi

attivi

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Considerazioni in base al confronto fra i gruppi di età Non si è rivelato un trend statisticamente significativo per quel che concerne le ore settimanali di attivi-tà sportiva fra i vari gruppi d’età. Per motivi già esplicitati, i dati dei diciannovenni non sono da prendersi in considerazione in questo confronto. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale La percentuale di ragazzi scarsamente attivi fra gli studenti con eccesso ponderale (52,6%, n = 19) è maggiore di quella rilevata fra i liceali senza eccesso di peso (33,7%, n = 181). Questa differenza non è tuttavia statisticamente significativa (P value = 0.1009). Sedentarietà

Figura 21: ore giornaliere che i liceali trascorrono abitualmente davanti ad uno schermo di televisione, computer e videogio-chi (n = 200)

Considerazioni sull’intero campione Tenendo presenti che le attuali raccomandazioni per i bambini sconsigliano manifestamente un utilizzo superiore a 1-2 ore al giorno di televisione e altri mezzi telematici, [166], [167], si può notare come la maggior parte degli studenti del mio campione rispetti questa direttiva (77%).

32.5%

44.5%

16.5%

6.5%

ore giornaliere trascorse davanti a tv, computer, playstation o altri videogiochi

0-1 ore 1-2 ore 2-3 ore 3 o più ore

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Considerazioni in base al confronto fra i sessi Confrontando i dati dei due sessi circa le ore di sedentarietà causate dall’uso di mezzi telematici, si può notare come la stragrande maggioranza delle ragazze (82,6%, n = 121) rispetta il limite di ore davanti a mezzi telematici raccomandato (non più di 1-2 ore al giorno). Una maggioranza molto meno marcata si distingue per lo stesso comportamento positivo fra gli studenti maschi (68,4%, n = 79) e questa differen-za è risultata statisticamente significativa (P value = 0.0189). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi di età In tutte le età la maggior parte dei ragazzi rispetta il limite di ore davanti a mezzi telematici raccomanda-to (84,61% dei quindicenni, n = 26; 76,83% dei sedicenni, n = 82; 80,33% dei diciassettenni, n = 61 e 64,29% dei diciottenni, n = 28), anche se questo comportamento è meno diffuso fra i diciottenni. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale Non sono risultate delle differenze significative a livello statistico per quel che concerne il confronto fra la proporzione di soggetti con eccesso ponderale che rispettano il limite di ore davanti a uno schermo raccomandate (68.4%, n = 19) e quella di soggetti senza eccesso di peso (77.9%, n = 181). (P value = 0.350) La colazione Considerazioni sull’intero campione

Figura 22: risposte dei liceali alla domanda “Fai colazione ogni giorno?”: mai, raramente, spesso, sì (n = 200) Una netta maggioranza di liceali (67,5%) è solita fare colazione ogni mattina. In ordine di prevalenze de-crescenti seguono gli studenti che fanno raramente colazione (16,5%), quindi quelli che la fanno spesso (12,5%) e quelli che non la fanno mai (3,5%).

3.5%

16.5%

12.5%

67.5%

Frequenza nel fare colazione ogni giorno

Mai

Raramente

Spesso

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Considerazioni in base al confronto fra i sessi L’abitudine di fare sempre o comunque spesso colazione alla mattina è più diffusa fra i ragazzi (86,1%, n = 79) che non fra le studentesse (76,1%, n = 121). Questa discrepanza non è tuttavia risultata statistica-mente significativa (P value = 0.0826). Considerazioni in base al confronto fra le età Non si è delineata una vera tendenza attraverso le diverse età per la frequenza nel fare colazione; in tut-te le età si notava che la maggior parte degli studenti è solito fare colazione spesso o sempre. Per i quin-dicenni, i sedicenni e i diciassettenni questa porzione di studenti era molto elevata (85-87%), mentre fra i diciottenni era decisamente più contenuta (53.6%, n = 28). Per motivi già esplicitati, i dati dei dicianno-venni non verranno presi in considerazione nemmeno in questo confronto. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale

Figura 23: Frequenza nel fare colazione: confronto fra i soggetti con eccesso ponderale e i soggetti senza eccesso ponderale Fra i soggetti in sovrappeso e obesi, la tendenza a saltare regolarmente o spesso la prima colazione al mattino è decisamente più diffusa (42,1%, n = 19) rispetto a quella fra i soggetti che non presentano un eccesso di peso (17,7%, n = 181). Questa differenza è risultata statisticamente significativa (P value = 0.0113). Nell’importante porzione di individui con eccesso ponderale che non fanno mai o quasi mai co-lazione, tutti gli studenti consumano almeno uno spuntino al giorno: il 75% (n = 8) fa una sola merenda mentre il 25% (n = 8) ne fa abitualmente due durante la giornata. Queste proporzioni non possono tut-tavia avvalersi di una grande rappresentatività poiché la popolazione di studenti considerata per calco-larle è eccessivamente limitata nelle sue dimensioni (otto liceali con eccesso ponderale che hanno l’abitudine di saltare sempre o quasi sempre la colazione).

42.1%

57.9%

17.7%

82.3%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

mai o raramente spesso o sempre

Frequenza dei liceali nel fare colazione , confronto in base allo stato ponderale

con eccesso ponderale (n=19)

senza eccesso ponderale (n=181)

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Composizione della colazione Considerazioni sull’intero campione

Figura 24: Cibo abitualmente consumato dai liceali come prima colazione al mattino: Niente, pane e nutella, frutta, biscotti, yogurt, corn-flakes, pane con burro e marmellata. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano se-lezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200) Le componenti alimentari maggiormente presenti nelle colazioni dei liceali sono pane, burro e marmel-lata (41%). Seguono i corn-flakes (38%), lo yogurt e i biscotti (entrambi 23%), la frutta e la nutella (en-trambi 16%). Una parte relativamente contenuta di studenti (12,5%) non mangia nulla a colazione.

Figura 25: Bevande abitualmente consumate dai liceali per la prima colazione al mattino: Niente, Coca-Cola/tè freddo/altre bevande zuccherate, sciroppo, tè caldo, ovomaltina, acqua, caffè/caffelatte, succo di frutta, latte, altro. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano selezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200) Una importante parte delle colazioni dei ragazzi prevede il consumo di latte (43%). La seconda bevanda più apprezzata al mattino è il succo di frutta (41%), seguito da caffè e caffelatte (23%), dall’acqua (21%),

12.5%

16%

16%

23%

23%

38%

41%

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45%

Niente

Pane e nutella

Frutta

Biscotti

Yogurt

corn-flakes

pane, burro e marmellata

Cosa mangiano abitualmente i liceali a colazione

1% 0.5%

1.5% 4%

11.5% 18.5%

21% 23%

41% 43%

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50%

Altro Coca-cola, tè freddo, altre bevande zuccherate

Sciroppo Niente

tè caldo ovomaltina

acqua caffè/caffelatte

succo di frutta latte

Cosa bevono abitualmente i liceali a colazione

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dall’ovomaltina (18,5%) e dal tè caldo (11,5%). Una netta minoranza di colazioni (4%) non prevede il consumo di nessuna bevanda, così come sono estremamente sporadici il consumo di sciroppo (1,5%), bevande zuccherate, come la Coca-Cola o il tè freddo, (0,5%) o di altre bevande (1%) per la prima cola-zione. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale Tabella 13: Alimenti abitualmente consumati dai liceali per la prima colazione al mattino: Niente, corn-flakes, pane, burro e marmellata, biscotti, yogurt, frutta, pane e nutella, altro. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti pote-vano selezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200)

Si può notare come sia gli studenti con che quelli senza eccesso di peso prediligano i corn-flakes alla mattina, nonché come questa preferenza sia più marcata fra gli studenti con eccesso ponderale (47,4%, n = 19) che non fra gli altri liceali (37%, n = 181), sebbene non in modo statisticamente significativo (P value = 0.3765). Il secondo alimento maggiormente presente nelle colazioni risulta ancora una volta lo stesso per en-trambi i gruppi e consiste in pane burro e marmellata (rispettivamente 31.6%, n = 19 e 35.4%, n = 181). Una parte molto più importante di studenti con eccesso ponderale preferisce non mangiare nulla a cola-zione (26,3%, n = 19) rispetto a quella degli altri liceali (11%, n = 181) (P value = 0.0556). Il consumo di yogurt e quello di biscotti sono sensibilmente più elevati fra gli studenti che non presentano un peso ec-cessivo (rispettivamente 23,8% e 24,3%, n = 181) che non fra gli individui in sovrappeso e obesi (en-trambi 10,5%, n = 19). Lo stesso importante divario risulta se si confrontano il consumo di frutta e quello di pane e nutella dei liceali senza eccesso ponderale (rispettivamente 17,7% e 17,1%, n = 181) con quelli degli studenti con un peso eccessivo (entrambi 5,3%, n = 19). Tuttavia nessuna di queste differenze è ri-sultata significativa a livello statistico.

% studenti con eccesso ponderale

% studenti senza eccesso ponderale

Cibo consumato a colazione

Niente 26.3% 11% Corn-flakes 47.4% 37% Pane, burro e marmellata 31.6% 35.4% Biscotti 10.5% 24.3% Yogurt 10.5% 23.8 % Frutta 5.3% 17.7% Pane e nutella 5.3% 17.1% Altro 0% 8.3% Bevande consumate a colazione

Latte 57.9% 40.9% Succo di frutta 31.6% 42% Caffè/caffelatte 21% 23.2% Acqua 26.3% 20.4% Ovomaltina 15.8% 19.3% Tè caldo 5.3% 12.1% Niente 5.3% 3.9% Sciroppo 0% 1.7% Altro 0% 1%

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Confrontando invece il tipo di bevande apprezzate a colazione dai soggetti in sovrappeso e obesi e con quello dei liceali che non presentano invece un eccesso di peso, si può notare come il latte abbia un suc-cesso più pronunciato fra i primi (57,9%, n = 19) rispetto a quello riscontrato fra i secondi (40,9%, n = 181), ma anche ciò non mostra rilevanza statistica (P value = 0.1536). Si tratta della bibita preferita in as-soluto dai liceali con eccesso ponderale, mentre quella favorita dagli altri studenti è il succo di frutta (42%, n = 181), anche apprezzato -ma in modo meno marcato- dagli individui in sovrappeso e obesi (31,6%, n = 19). Nei due gruppi il caffè e il caffelatte sono similmente apprezzati (compongono rispetti-vamente il 21% delle colazioni dei soggetti con eccesso ponderale, n = 19 e il 23,2% dei quelle dei sog-getti senza eccesso ponderale, n = 181), anche se, al contrario degli studenti senza eccesso di peso, i li-ceali in sovrappeso e obesi vi preferiscono il consumo di acqua per la prima colazione (26,3%, n = 19). L’ovomaltina, il tè caldo e lo sciroppo sono stati maggiormente scelti dai ragazzi senza eccesso pondera-le (rispettivamente 19,3%, 12,1% e 1,7%, n = 181) rispetto a quanto non è accaduto fra i liceali in so-vrappeso e obesi (15,8%, 5,3% e 0%, n = 19) ma l’ordine di apprezzamento di queste bevande è identico per i due gruppi. La proporzione di studenti che non beve nulla a colazione è maggiore fra gli studenti in sovrappeso e obesi (5,3%, n = 19) rispetto a quella rilevata fra i liceali che non hanno nessun eccesso di peso (3,9%, n = 181). Per quanto concerne le differenze fra i due gruppi (liceali con eccesso ponderale e liceali senza eccesso ponderale) nella composizione in cibo e bevande della colazione non si è quindi mostrata nessuna rile-vanza statistica. Lo spuntino Considerazioni sull’intero campione

Figura 26: Frequenza con cui i liceali consumano uno spuntino fuori dai pasti principali (colazione, pranzo, cena) durante la giornata: nessuna, 1 volta, 2 volte, 3 o più volte (n = 200) La stragrande maggioranza degli studenti consuma almeno uno spuntino fuori dai tre pasti principali du-rante la giornata (93%). Buona parte di loro è solito fare una merenda due volte nella giornata (30,5%).

7.0%

52.0%

30.5%

10.5%

Numero di volte al giorno in cui i liceali consumano uno spuntino fuori pasto

Nessuna

1 volta

2 volte

3 o più volte

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Considerazioni in base al confronto fra i sessi Non sono state rilevate delle differenze importanti per quel che riguarda il consumo di spuntini per i due sessi. Fra i maschi si riscontra semplicemente una maggiore tendenza a limitare il numero di spuntini a 0-1 volte al giorno (65,8%, n = 79) rispetto a fra le femmine (54,5%, n = 121). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età Escludendo, sempre per gli stessi motivi, i dati relativi ai diciannovenni, si può vedere come l’abitudine di consumare almeno uno spuntino fuori dai pasti principali ogni giorno sia più diffusa fra i diciottenni (96,4%, n = 28). Anche nelle altre fasce d’età quest’abitudine è comunque molto frequente (91,8-92,7%). Non vi è però nessuna tendenza lineare che attraversi le diverse età per quanto concerne questa abitu-dine. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale L’abitudine di consumare almeno uno spuntino ogni giorno è leggermente più diffusa fra gli studenti con un sovrappeso e obesi (94,7%, n = 19) rispetto a quanto non lo sia fra gli studenti che non presentano un eccesso ponderale (92,8%, n = 181), ma non in modo statisticamente significativo (P value = 0,7551). Tuttavia la proporzione di studenti che consumano due o più spuntini in una giornata è nettamente più grande fra i liceali senza eccesso ponderale (43,1%, n = 181) rispetto a quella fra gli studenti in sovrap-peso e obesi (21,1%, n = 19). È inoltre da notare come, se fra i ragazzi senza eccesso ponderale l’11,6% (n = 181) è solito consumare fino a 3 o più spuntini ogni giorno, quest’abitudine è totalmente assente fra gli studenti in sovrappeso e obesi. La composizione dello spuntino Considerazioni sull’intero campione

Figura 27: Tipo di prodotti alimentari consumati dai liceali in luogo degli spuntini consumati fra i pasti principali: Dolci, frutta, latticini, dolciumi, altro. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano selezionare più caselle di con-trollo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200)

7%

5%

33%

61%

65%

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70%

Altro

Dolciumi

Latticini (yogurt, formaggio, etc.)

Frutta

Dolci (croissants, cioccolata, biscotti, torte, etc.)

Composizione degli spuntini fra i pasti

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Gli spuntini prediletti dai liceali si compongono perlopiù di dolci (65%) e frutta (61%). Pressoché uno spuntino su tre si compone di prodotti latticini (33%) e solo una netta minoranza delle merende include il consumo di dolciumi (5%). Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale I dolci compongono la maggior parte delle merende degli studenti senza eccesso ponderale (66.8%, n = 181) mentre sono meno presenti, ma non in modo statisticamente significativo (P value = 0.0903) in quelle dei ragazzi in sovrappeso e obesi (47,4%, n = 19). Questi ultimi preferiscono degli spuntini a base di frutta (63,2%, n = 19) e di latticini (36,8%, n = 19). Anche nelle merende degli studenti normopeso si ritrova una forte presenza della frutta (60,8%, n = 181), e una più contenuta di latticini (32%, n = 181). Per quel che riguarda il consumo di dolciumi durante gli spuntini, questo è decisamente contenuto ed in modo molto simile sia per gli studenti senza eccesso ponderale che per quelli in sovrappeso e obesi. Il Pranzo Considerazioni sull’intero campione

Figura 28: Luogo dove i liceali sono soliti pranzare in settimana: Non faccio pranzo, a casa, in una mensa (e.g. arti e mestieri e commercio), in caffetteria (liceo), al McDonald's, al Mc Joe, in un Kebab, alla Migros/Coop/altri self service, in un ristorante, altro Il luogo scelto dalla maggior parte degli studenti per consumare il secondo pasto principale della giorna-ta è la caffetteria del liceo (36%), seguono la mensa (31%), quindi la propria casa (25,5%). Nettamente meno frequenti sembrano essere i pranzi consumati presso i ristoranti di Migros e Coop (3,5%), il risto-rante fast food di pizze al trancio Mc Joe (1,5%), e i vari Kebab della città (1%). L’abitudine di saltare il pranzo o di consumarlo presso un ristorante o altri luoghi di ristorazione non citati sono pressoché inesi-stenti. Nessuno studente è solito pranzare presso il celebre ristorante fast food McDonald’s.

0.5%

25.5%

31% 36%

0% 1.5% 1% 3.5%

0.5% 0.5% 0%

10%

20%

30%

40%

Dove pranzano i liceali in settimana

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Considerazioni in base al confronto fra i sessi I ragazzi di entrambi i sessi pranzano per la maggior parte in caffetteria, e in particolare le ragazze sem-brano apprezzare questo luogo per la pausa pranzo (39,7%, n = 121). Il secondo luogo di ristorazione scelto coincide ancora per i due sessi e si tratta delle mense della Scuola Cantonale di Commercio (SCC) e della Scuola Arti e Mestieri (SAM), nuovamente leggermente più frequentate dalle ragazze (32,2%, n = 121) che non dai maschi (29,1%, n = 79). Si nota invece una maggiore diffusione dell’abitudine di pranza-re in casa propria fra i ragazzi (29,1%, n = 79) rispetto a quella rilevata fra le ragazze (23,1%, n = 121). Tuttavia questo luogo di convivenza rappresenta la terza scelta maggiormente votata per entrambi i ses-si. Il consumo regolare di pranzi presso i fast food Mc Joe e Kebab è abituale solo per pochi liceali ed e-sclusivo dei liceali di sesso maschile (rispettivamente 3,8% e 2,5%, n = 79). I pranzi offerti da Migros, Co-op e altri self service sono similmente poco popolari fra la popolazione di studenti considerata, con una trascurabile preferenza di derrate questi luoghi di ristorazione da parte dei ragazzi maschi (3,8%, n = 79) rispetto alle femmine (3,3%, n = 121). Si può quindi dire che i maschi e le femmine mostrano pattern di scelta molto simili per quel che riguar-da il luogo di ristorazione per il pranzo. Considerazioni in base al confronto fra i gruppi di età Non vi sono differenze importanti nemmeno fra i vari gruppi di età per quanto concerne il luogo di risto-razione scelto per il pranzo; l’unico divario relativamente importante si riscontra nei diciottenni che ap-prezzano in modo molto più marcato il pranzare in caffetteria (60,7%, n = 28) mentre le loro visite in mensa sono decisamente più sporadiche (10,7%, n = 28) rispetto agli altri studenti. Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale I pranzi in caffetteria sono più frequenti fra i soggetti in sovrappeso e obesi (42,1%, n = 19) che non fra quelli che non presentano eccesso di peso (35%, n = 181) anche se questo divario non comporta alcuna significatività statistica (P value = 0.5600). I liceali senza eccesso di peso sono inoltre maggiormente abi-tuati a pranzare in mensa (31,5%, n = 181) rispetto ai liceali con eccesso ponderale (26,3%, n = 19). I pa-sti consumati a casa sono simili per i due gruppi, anche se leggermente più frequenti fra i ragazzi in so-vrappeso e obesi (26,3%, n = 19 per questi e 25,4%, n = 181 per gli altri). Pranzare presso i ristoranti di Migros e Coop, è un’abitudine maggiormente diffusa fra i ragazzi in sovrappeso e obesi (5,3%, n = 19) rispetto a quelli senza eccesso di peso (3,3%, n = 181), che però mostrano una maggiore -seppur estre-mamente limitata- tendenza a consumare i pranzi presso Mc Joe (1,7%, n = 181) e Kebab (1,1%, n = 181). Nessuna di queste differenze si è rivelata statisticamente significativa.

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Mangiare fast food Considerazioni sull’intero campione

Figura 29: Frequenza con cui i liceali consumano un pasto presso un fast food: mai o quasi mai, 1-3 volte al mese, 1 volta a settimana, 2 volte a settimana, 3 o più volte a settimana (n = 200) Le visite ai fast food sono inesistenti o comunque sporadiche per una buona parte degli studenti (37,5%). Inoltre la maggior parte dei liceali riesce a contenerle ad una frequenza massima di 1-3 volte al mese (74,5%). La porzione di studenti che consuma una volta a settimana un pasto fast food diminuisce nettamente (12,5%) ed è appena inferiore a quella degli studenti le cui visite a simili catene alimentari sono più frequenti (13%). Va comunque notato che più di un quarto dell’intero campione (25.5%) si reca settimanalmente presso un ristorante fast food. Considerazioni in base al confronto fra i sessi I maschi che visitano settimanalmente i ristoranti fast food sono proporzionalmente più numerosi (45,5%, n = 79) rispetto alle ragazze con un comportamento simile (12,4%, n = 121) e questa differenza si avvale si una significatività statistica molto importante (P value < 0.0001). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età La tendenza generale mostra i quindicenni come più assidui habitués dei pasti fast food (30,8% di loro è abituato a alimentarsi settimanalmente presso un ristorante fast food, n = 26). Il consumo settimanale di questo tipo di alimentazione diminuisce in modo simile per i sedicenni e i diciassettenni (rispettiva-mente 26,8%, n = 82 e 26,3%, n = 61) e cala ulteriormente fra i diciottenni (17,9%, n = 28). Le visite me-no frequenti ai ristoranti fast food si riscontrano fra i sedicenni (il 41,5% di loro non si reca mai o quasi mai in un ristorante fast food, n = 82). Questo trend non è però risultato statisticamente significativo (P value = 0.3111).

37.5%

37.0%

12.5%

8.5%

4.5%

Frequenza con cui i liceali consumano un pasto presso un fast food

Mai o quasi mai

1-3 volte al mese

1 volta a settimana

2 volte a settimana

3 o più volte a settimana

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Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale Il consumo di pasti fast food una volta a settimana è quasi doppio fra i soggetti in sovrappeso e obesi ri-spetto a quello fra i ragazzi senza eccesso ponderale. Tuttavia questi ultimi si permettono delle visite più frequenti presso i ristoranti fast food, per cui -in definitiva- il consumo settimanale di pasti presso que-ste catene alimentari è più elevato fra i ragazzi senza eccesso ponderale (26%, n = 181) che non fra quelli con eccesso ponderale (21%, n = 19). Il consumo raro o inesistente di alimenti fast food è perciò un fe-nomeno più diffuso fra i ragazzi in sovrappeso e obesi del campione. Consumo di carne Considerazioni sull’intero campione

Figura 30: frequenza dei liceali nel consumo di carne (pesce escluso): mai, 1-3 volte al mese, 1-2 volte a settimana, 3 volte a settimana, 4 o più volte a settimana (n = 200) L’assenza o la presenza rara di carne nella dieta dei liceali sono eventi piuttosto insoliti (9%). I liceali fa-voriscono piuttosto un consumo di carne di 1-3 volte alla settimana (52%), ma in ogni caso vi è un’importante parte di studenti che mangia carne 4 o più volte durante la settimana (39%). Considerazioni in base al confronto fra i sessi La proporzione di studentesse con consumo di carne inesistente o molto insolito (12,4%, n = 121) è più che tripla rispetto a quella dei liceali maschi con lo stesso comportamento alimentare (3,8%, n = 79). Il consumo di carne limitato ad un massimo di 1-2 volte alla settimana è allo stesso modo decisamente più frequente fra le ragazze (42,1%, n = 121) che non fra i ragazzi (19%, n = 79). Queste differenze sono ri-sultate statisticamente significative (rispettivamente P value = 0.0033 e P value = 0.0007). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi di età Il più raro consumo di carne è riscontrato fra i quindicenni (11,5%, n = 26), quello più frequente fra i di-ciassettenni (47,5%, n = 61).

6%

3%

24%

28%

39%

Frequenza dei liceali nel mangiare carne

Mai

1-3 volte al mese

1-2 volte a settimana

3 volte a settimana

4 o più volte a settimana

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Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale I consumi più elevati di carne (tre o più volte a settimana) si riscontrano maggiormente fra i liceali con eccesso ponderale (79%, n = 19) che non fra gli studenti senza eccesso di peso (65,7%, n = 181), ma ciò non assume nessuna rilevanza statistica (P value = 0.2443). Consumo di pesce Considerazioni sull’intero campione

Figura 31: frequenza dei liceali nel consumo di pesce: Mai, 1-3 volte al mese, 1-2 volte a settimana, 3 o più volte a settimana (n = 200) Quasi la metà dei liceali non mangia mai o mangia raramente pesce (47,5%). La parte restante ne man-gia perlopiù 1-2 volte a settimana (46%) e solo una piccola porzione di studenti ne consuma più frequen-temente (6,5%). Considerazioni in base al confronto fra i sessi Le femmine mostrano un consumo più frequente di pesce nella loro dieta. Più della metà di esse mangia pesce almeno una volta a settimana (54,5%, n = 121), mentre fra i maschi, un comportamento simile è meno diffuso (49,3%, n = 79). Tuttavia non vi sono grandi differenze fra le frequenze di consumo di pe-sce per i due sessi. Considerazioni in base al confronto fra le età I quindicenni mostrano il consumo più sporadico di pesce (57,7%, n = 26), subito seguiti dai diciottenni (57,1%, n = 28). Il consumo più frequente di pesce si ritrova fra i diciassettenni; quasi i tre quinti di loro (57,4%, n = 61) mangia pesce almeno una volta a settimana.

11.0%

36.5% 46.0%

6.5%

Frequenza dei liceali nel mangiare pesce

Mai

1-3 volte al mese

1-2 volte a settimana

3 o più volte a settimana

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Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale Il consumo settimanale di pesce è leggermente più frequente fra i soggetti in sovrappeso e obesi (57,9%, n = 19) che non fra quelli privi di eccesso ponderale (51,9%, n = 181). Vegetariani Il 3,5% degli studenti del mio campione segue una dieta vegetariana che esclude il consumo sia di carne che di pesce. Questo gruppo è costituito esclusivamente da individui normopeso, perlopiù da femmine (85,7%, n = 7) e questo tipo di alimentazione si ritrova soprattutto fra i diciassettenni (71,4%, n = 7), se-guiti dai quindicenni e dai diciottenni (entrambi 14,3%, n = 7). Non mi è possibile distinguere fra gli ovo-lacto-vegetariani e i vegani in basandomi sui miei risultati. Consumo di frutta e verdura Considerazioni sull’intero campione

Figura 32: consumo giornaliero di frutta e verdura fra i liceali (n = 200) La percentuale di studenti che non mangiano regolarmente ogni giorno verdura (18%) è meno elevata rispetto a quella dei liceali che non mangiano tutti i giorni un frutto (25%). La Figura 32 riporta il consumo complessivo di frutta e verdura fra i giovani liceali e la parte evidenziata in giallo indica la porzione di studenti che non è conforme alle raccomandazioni dei vari enti responsabili della promozione della salute in Svizzera, secondo le quali bisognerebbe mangiare almeno cinque por-zioni di frutta e verdura ogni giorno. Della fetta verde del grafico a torta fanno parte gli studenti che si avvicinano, e talvolta raggiungono appena il numero di porzioni giornaliere raccomandate, mentre l’area

2%

55% 25%

18%

Porzioni giornaliere di frutta e verdura fra i liceali

0 porzioni 0-3 porzioni 3-5 porzioni ≥5 porzioni porzioni giornaliere insufficienti

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viola racchiude gli studenti che arrivano a mangiare ogni giorno le cinque porzioni di frutta e verdura consigliate o che addirittura eccedono in questo consumo. Considerazioni in base al confronto fra i sessi Le femmine che consumano almeno un frutto ogni giorno sono proporzionalmente più numerose (78,5%, n = 121) rispetto ai maschi che si comportano in modo simile (68,3%, n = 79), ma ciò non è stati-sticamente significativo (P value = 0.1071). Il consumo più frequente di verdura (2 o più volte al giorno) è riscontrato fra le ragazze (49,6%, n = 121) e supera quello dei ragazzi (34,2%, n = 79). Ben l’85,1% delle ragazze (n = 121) consuma verdura almeno una volta al giorno, contro il 76% risultato nei maschi (n = 79), ma anche questi dati non si avvalgono di alcuna significatività statistica. Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età La porzione di studenti che consuma al minimo un frutto al giorno è massima fra i sedicenni (69,3%, n = 82). I ragazzi che consumano meno frequentemente frutta sono perlopiù diciottenni (32,1%, n = 28). Non si sono delineate tendenze lineari fra le età per il consumo di frutta. Il consumo di verdura più frequente (due o più volte al giorno) si ritrova fra i quindicenni (54%, n = 26), che sono oltremodo in testa anche per il consumo giornaliero (almeno una volta al giorno) di tale ali-mento (84,8%, n = 26). Rispettivamente, i ragazzi che mangiano verdura meno frequentemente (non mangiano mai verdura o non ne mangiano tutti i giorni) hanno perlopiù 18 anni (32,1%, n = 28). Nelle altre età il consumo di ver-dura è perlopiù di due o più volte al giorno. Per quel che riguarda il consumo di frutta e verdura attraverso le varie età si può dire che i ragazzi che dimostrano il minor consumo di tali prodotti alimentari sono per la maggior parte diciottenni. Il loro con-sumo massimo è invece proprio dei quindicenni.

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Consapevolezza degli studenti riguardo alla composizione dei prodotti alimentari sul mercato Considerazioni sull’intero campione

Figura 33: stime degli studenti circa il numero di zollette di zucchero contenute in una lattina di Coca-Cola da 355 mL (solu-zione corretta=10 zollette): 1-8 zollette, 9-11 zollette, 12 o più zollette, (n = 200) La stragrande maggioranza degli studenti ha stimato correttamente o sovrastimato il numero di zollette di zucchero contenuto in una lattina da 355 mL di Coca-Cola (81,4%). Un solo studente non ha completa-to la risposta. Considerazioni in base al confronto fra i sessi La percentuale di ragazze che tende a sottostimare il tenore di zucchero di una lattina di Coca-Cola (20,7%, n = 121) è maggiore di quella dei maschi con lo stesso parere (15,2%, n = 79). Le femmine sono tuttavia proporzionalmente più numerose ad aver indovinato il numero corretto di zollette (42,1%, n = 121) rispetto ai ragazzi (40,5%, n = 79), che hanno invece una maggior tendenza a sovrastimare il conte-nuto di zucchero (44,3%, n = 79) rispetto alle loro coetanee (36,4%, n = 121), ma ad ogni modo le diffe-renze che intercorrono fra i due sessi per questo confronto sono minime e non hanno alcuna significati-vità statistica. Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età Le maggiori percentuali di studenti che ha fornito una stima corretta circa il contenuto zuccherino della Coca-Cola si ritrovano perlopiù fra gli studenti più anziani, ovvero fra i diciassettenni (45.9%, n = 61) e fra i diciottenni (42,9%, n = 28). I più giovani, quindi i quindicenni e i sedicenni, hanno invece una mag-giore tendenza a sovrastimarlo (rispettivamente 46,1%, n = 26 e 41,5%, n = 82), ma non vi sono grandi differenze percentuali fra i vari gruppi d’età.

18.6%

41.7%

39.7%

Stima del numero di zollette contenute in una lattina da 355 mL di Coca-cola

1-8 zollette 9-11 zollette 12 o più zollette

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Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale Più di un quinto degli studenti senza eccesso ponderale (20.6%, n = 181) sottostima il contenuto di zuc-chero della lattina di Coca-Cola in questione, mentre nessuno studente con eccesso ponderale riporta questo stesso falso parere; questa divergenza si avvale oltretutto di una significatività statistica (P value = 0.0290). Gli studenti in sovrappeso e obesi che hanno indovinato il reale contenuto di zollette di zuc-chero della lattina sono inoltre proporzionalmente più numerosi (52.6%, n = 19) di quelli senza eccesso ponderale (40.6%, n = 181) e in entrambi i gruppi di studenti si osserva un’importante tendenza a sovra-stimare il tenore di zucchero della bibita, in particolare fra i soggetti con eccesso ponderale (47.4%, n = 19 in questi e 38.9% negli altri, n = 181). Atteggiamento di fronte all’alimentazione Considerazioni sull’intero campione

Figura 34: Atteggiamento dei liceali nei confronti del cibo: Mangio quello che voglio quando voglio, mangio solo quando ho fame, cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza però seguire una dieta fissa, cerco di mangiare equilibra-to e variato, al momento sto seguendo una dieta, (n = 200) La maggior parte degli studenti (39,5%) cerca di mangiare equilibrato e variato. Una parte importante degli stessi (28,5%) sostiene di mangiare quando e ciò che gli pare. Meno numerosi sono quindi gli stu-denti che sono soliti mangiare solo quando provano una sensazione di fame (15%) e quelli che sono at-tenti a limitare il loro apporto di cibo per non ingrassare senza pertanto mettersi a dieta (13,5%). Una minoranza di liceali, comunque non priva di significato (3,5%), sta seguendo una dieta per perdere peso.

28.5%

15%

13.5%

39.5%

3.5%

Atteggiamento dei liceali di fronte al cibo

Mangio quello che voglio quando voglio

Mangio solo quando ho fame

Cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza però seguire una dieta fissa

Cerco di mangiare equilibrato e variato

Al momento sto seguendo una dieta

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Considerazioni in base al confronto fra i sessi

Figura 35: atteggiamento dei liceali nei confronti del cibo: confronto fra i sessi La porzione di studenti che segue una dieta per dimagrire (3,5%, vedi Figura 34) è costituita esclusiva-mente da ragazze, fra le quali il 5.8% (n = 121) segue un regime per dimagrire. Questo dato risulta signi-ficativo dalle analisi statistiche (P value = 0.0295). I ragazzi hanno un comportamento decisamente me-no attento rispetto a quello delle ragazze nei confronti dell’alimentazione. La parte maggior parte di loro mangia ciò che vuole quando vuole (38%, n = 79), quasi il doppio rispetto alle ragazze con la stessa stra-tegia alimentare (22,3%, n = 121), e anche questa differenza si avvale di significatività statistica (P value = 0.0165). Anche se i ragazzi che mangiano solo in funzione della loro fame (20,2%, n = 79) sono propor-zionalmente più numerosi rispetto alle ragazze con lo stesso comportamento (11,6%, n = 121), ciò non riveste alcuna rilevanza statistica (P value = 0.0927). Al contrario la maggior diffusione del comporta-mento Cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza però seguire una dieta fissa fra le studentesse (19%, n = 121) rispetto che fra i maschi (5,1%, n = 79) si è rivelata significativa a livello stati-stico (P value = 0.0048). Le proporzioni di studenti che si sforzano di mangiare equilibrato e variato sono per entrambi i sessi le più elevate (41,3%, n = 121 fra le femmine e 36,7%, n = 79 fra i maschi). Considerazioni in base al confronto fra i gruppi d’età Le percentuali di studenti che cercano di mangiare equilibrato e variato sono le più elevate anche in ogni gruppo di età, con un valore massimo fra i quindicenni (46.1%, n = 26) e uno minimo fra i diciottenni (32.1%, n = 28). Gli studenti che cercano di dimagrire limitando i loro apporti di cibo (Cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza però seguire una dieta fissa e Al momento sto seguendo una dieta) sono proporzionalmente più numerosi fra i diciottenni (21,4%, n = 28) -anche se fra questi la ten-denza a seguire una vera e propria dieta è nulla- e fra i sedicenni (20,7%, n = 82). Gli studenti che seguo-no una dieta fissa sono proporzionalmente più numerosi fra i sedicenni (6,1%, n = 82).

22.3%

11.6%

19%

41.3%

5.8%

38%

20.2%

5.1%

36.7%

0% 0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

Mangio quello che voglio quando voglio

Mangio solo quando ho fame

Cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza

però seguire una dieta fissa

Cerco di mangiare equilibrato e variato

Al momento sto seguendo una dieta

Atteggiamento dei liceali di fronte al cibo, confronto fra i sessi

femmine (n=121) maschi (n=79)

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Considerazioni in base al confronto fra studenti con e senza eccesso ponderale

Figura 36: atteggiamento di fronte al cibo dei liceali con eccesso ponderale e senza eccesso ponderale Il numero di studenti a dieta è proporzionalmente maggiore fra gli studenti in sovrappeso e obesi (15,8%, n = 19) rispetto a quello fra gli studenti senza eccesso ponderale (2,2%, n = 181) e in modo stati-sticamente significativo (P value = 0.0022). Anche se fra questi ultimi la percentuale di studenti che si sforzano di avere un’alimentazione equilibrata e variata (40,9%, n = 181) è molto maggiore rispetto a quella presente fra gli studenti con eccesso ponderale (26,3%, n = 19) questo divario non è significativo a livello statistico (P value = 0.2166) così come quello rilevato fra gli studenti con e quelli senza eccesso ponderale che cercano di limitare i loro apporti di cibo per non ingrassare senza però seguire un’autentica dieta dimagrante (rispettivamente 14,4%, n = 181 fra gli studenti senza eccesso ponderale e 5,3%, n = 19 fra gli individui in sovrappeso e obesi). La proporzione di studenti senza eccesso pondera-le che mangiano quello che vogliono quando vogliono (29,8%, n = 181) è quasi doppia rispetto a quella dei liceali con peso eccessivo che mostrano un comportamento simile (15,8%, n = 19), anche se ciò non rivela significatività statistica (P value = 0.1970). Va però notato che se gli studenti senza eccesso di peso sembrano adottare perlopiù una strategia alimentare caratterizzata da una dieta fondata su equilibrio e varietà (40,9%, n = 181), quelli il cui peso è invece sopra la norma sembrano favorire piuttosto un com-portamento che associa l’apporto di cibo unicamente alla propria sensazione di fame (36,8%, n = 19), comportamento adottato in modo statisticamente significativo (P value = 0.0051) da una minor porzione di liceali senza eccesso ponderale (12.7%, n = 181).

15.8%

36.8%

5.3%

26.3%

15.8%

29.8%

12.7% 14.4%

40.9%

2.2%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

40%

45%

Mangio quello che voglio quando voglio

Mangio solo quando ho fame

Cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza

però seguire una dieta fissa

Cerco di mangiare equilibrato e variato

Al momento sto seguendo una dieta

Atteggiamento dei liceali di fronte al cibo, confronto in base al peso-forma

con eccesso ponderale (n=19) senza eccesso ponderale (n=181)

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Le tabelle Tabella 14 e

Tabella 15 riassumono le differenze statisticamente significative fra studenti di sesso maschile e femmi-nile e rispettivamente fra studenti con eccesso ponderale e studenti senza eccesso ponderale. Tabella 14: differenze statisticamente significative fra i due sessi

Tabella 15: differenze statisticamente significative fra gli studenti con e senza eccesso ponderale

Sesso Pasto fast food

≥ 1-3 volte al mese

Carne ≥3 volte a settimana

Limita ciò che mangia per non

ingrassare senza essere a die-

ta

Scarsamente attivo

Non rispetta il limite

raccomandato di ore davanti a uno

schermo

Mangia ciò che vuole

quando vuole

Segue una

dieta

Maschio (n = 79)

+ + - - - + -

Femmina (n = 121)

- - + + + - +

P value summary

**** *** ** ** * * *

Sesso Pasto fast food

≥ 1-3 volte al mese

Carne ≥3 volte a settimana

Limita ciò che mangia per non

ingrassare senza essere a die-

ta

Scarsamente attivo

Non rispetta il limite

raccomandato di ore davanti a uno

schermo

Mangia ciò che vuole

quando vuole

Segue una

dieta

Maschio (n = 79)

+ + - - - + -

Femmina (n = 121)

- - + + + - +

P value summary

**** *** ** ** * * *

Stato ponderale Mangia solo quando ha fame

Segue una dieta

Non fa mai o fa rara-mente colazione

Sottostima tenore di zucchero nella Coca-Cola

Con eccesso ponderale

(n = 19)

+ + + -

Senza eccesso ponderale (n = 181)

- - - +

P value summary ** ** * *

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4.5 Discussione

Eccesso ponderale: liceo di Bellinzona, Ticino, Svizzera e USA a confronto

I risultati rilevati sull’incidenza del sovrappeso e dell’obesità nella popolazione di liceali fra i 15 e i 19 an-ni da me considerata (9,5%, n = 200), risultano comparabili a quelli raccolti dall’indagine ISPA Ticino 20064

Se paragonata invece con le percentuali di sovrappeso e obesità in altre nazioni nord occidentali, l’incidenza di eccesso ponderale riscontrata fra i nostri liceali risulta alquanto confortante. In particolare negli Stati Uniti le statistiche indicano che nel 2008 più di un terzo dei bambini e adolescenti americani presentava un eccesso ponderale (33% ca., n = 3281, [168]), più del triplo rispetto alla percentuale di studenti in sovrappeso e obesi riscontrata presso il mio liceo.

(10,2%, n = 1136) condotta su dei ragazzi ticinesi tuttavia compresi entro una fascia d’età fra gli 11 e i 15 anni, differenza che limita la comparazione con i dati della mia inchiesta. Il confronto dei risultati della mia indagine con quelli riportati per la popolazione svizzera risulta parimente difficile, a causa della mancanza di statistiche nazionali per la fascia d’età da me presa in esame. Ciononostante dati recenti riportano una prevalenza leggermente maggiore di eccesso ponderale fra i giovani svizzeri di 11-15 anni (12,45%, n = 9791, secondo i dati raccolti dalla più recente indagine ISPA Svizzera 2009-2010) rispetto ai tassi riferiti al Ticino e alla mia indagine.

Considerando separatamente le incidenze dell’obesità da quelle del sovrappeso, osserviamo che la per-centuale di ragazzi obesi presso il mio liceo (1,5%, n = 200) è, seppur in misura estremamente debole, appena superiore a quella riscontrata a livello ticinese con l’indagine ISPA Ticino 2006 (1%, n = 1136) e che anche la prevalenza di obesità a livello svizzero si aggira attorno all’1% (n = 9791) secondo l’indagine ISPA Svizzera 2006. Questi dati risultano tuttavia nettamente più bassi se li si rapportano a quelli calcola-ti nel 2008 negli Stati Uniti, dove l’obesità colpiva ben il 18% dei ragazzi di 12-19 anni, [169].

Eccesso ponderale: limiti del confronto

La problematica dell’eccesso ponderale è quindi anche presente presso il liceo di Bellinzona ed in misura apparentemente simile a quella riscontrata nella gioventù ticinese e svizzera dalle indagini ISPA Ticino 2006 e rispettivamente ISPA Svizzera 2006. Va però detto che il divario fra la percentuale di soggetti con eccesso ponderale da me rilevata e quella riportata dalle inchieste sopracitate potrebbe risultare più grande nella realtà, poiché tali indagini -a differenza della mia- si sono basate su delle misure auto di-chiarate per quanto concerne la massa corporea e l’altezza; l’autodichiarazione delle misure costituisce un limite per l’attendibilità dei risultati in quanto può portare a delle sottostime nell’identificazione della presenza di eccesso ponderale, [170]. Inoltre va notato che le età dei liceali da me campionati (15-19 anni) si sovrappongono solo per un anno con quelle delle indagini ISPA Ticino e ISPA Svizzera (11-15 an-ni), il che rende meno preciso il confronto fra i risultati dei tre studi. Da ultimo va sottolineato che i ra-gazzi della mia inchiesta costituivano un campione nettamente più piccolo (n = 200) rispetto a quelli dell’indagine ISPA Ticino 2006 (n = 1136) e dell’inchiesta ISPA Svizzera 2006 (n = 9791). Oltretutto gli in-dividui del mio campione appartengono tutti ad una scuola che indirizza la maggior parte dei ragazzi ad 4 L’inchiesta Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) si svolge ogni quattro anni sotto l’egida dell’Organizzatione Mondiale della Salute (OMS-Europa) con lo scopo di raccogliere dati inerenti la salute, il benessere, gli ambienti sociali e i comportamenti legati alla salute di ragazze e ragazzi adolescenti. Nel 2006 vi hanno partecipato 41 paesi e in Svizzera l’organo responsabile di questa inchiesta è l’Istituto Svizzero di Pre-venzione dell’Alcolismo e altre Tossicomanie (ISPA). In Svizzera la raccolta dei dati si è svolta nel 2006 da gennaio ad aprile; il questionario è stato proposto durante un’ora lezione (45 minuti) a 9791 allievi di 11-15 anni la cui partecipazione era volontaria il cui anonimato era garanti-to. Nel 2006 l’indagine ISPA è stata condotta anche a livello ticinese ed ha preso in considerazione un campione di 1136 allievi di scuole non private e di un’età sempre compresa nella fascia dagli 11 ai 15 anni. Per evitare confusioni fra l’indagine ISPA condotta a livello svizzero e quella condotta esclusivamente su allievi ticinesi, nel testo l’inchiesta nazionale sarà riportata come “indagine ISPA Svizzera”, mentre quella cantonale verrà designata come “indagine ISPA Ticino”.

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un itinerario di studio universitario, mentre gli adolescenti considerati nelle inchieste ISPA Ticino e ISPA Svizzera sono stati prelevati da un ambiente meno selettivo. Il confronto fra i dati della mia indagine e quelli riportati per gli Stati Uniti risulta ancora più difficile, poi-ché è molto complicato trovare un’unica inchiesta di riferimento che verifichi tutte le variabili considera-te nel mio questionario e che presenti un campione simile a quello analizzato nel mio studio; pertanto, nel rapportare i miei dati agli Stati Uniti, ho dovuto attingere da più inchieste condotte su vari campioni di giovani americani.

Peculiarità distintive del campione del liceo di Bellinzona

Pur essendo molto simili a quelli rilevati a livello nazionale e cantonale, i miei risultati indicano comun-que una prevalenza di eccesso ponderale nel complesso inferiore presso il mio liceo. Se poi si confronta-no i dati della mia indagine con quelli riportati per gli USA il divario risulta veramente ampio. Di seguito cercherò di spiegare le possibili ragioni di tali differenze fra l’incidenza del sovrappeso e dell’obesità presso i miei compagni di liceo e quella riportata dalla letteratura per il Ticino, la Svizzera e gli Stati Uniti. È indubbio che le dimensioni relativamente ridotte del campione considerato costituiscano un limite in-trinseco metodologico della mia analisi; non si può escludere che esaminando una popolazione più nu-merosa di soggetti, l’incidenza del sovrappeso e in particolare dell’obesità potrebbe cambiare in manie-ra rilevante. È evidente che nell’ambito di un lavoro di maturità risulta molto difficile allargare le dimen-sioni del campione studiato, soprattutto se si considera che nella mia analisi ho scelto di effettuare per-sonalmente le misurazioni antropometriche, mentre nella letteratura i dati derivano spesso dalle auto-dichiarazioni degli individui considerati. Un’altra possibile spiegazione potrebbe risiedere nella stratificazione socio-culturale del gruppo da me analizzato: trattandosi di studenti provenienti da una scuola relativamente elitaria, è legittimo pensare che la probabile maggior sensibilità verso la salute abbia giocato un ruolo importante contribuendo a contenere la percentuale dell’eccesso ponderale. Per questo motivo sarebbe stato molto interessante ripetere la metodologia della mia indagine con un gruppo di controllo costituito da soggetti di età com-parabile, ma provenienti da una scuola professionale e successivamente confrontare i risultati. La letteratura medico-scientifica indica inoltre che il livello educativo dei genitori è determinante per la prevalenza del sovrappeso e dell’obesità nella prole. Questo diventa importante considerando che i ge-nitori degli studenti da me analizzati possiedono in buona parte un titolo di studio universitario o uni-versitario-professionale (35,5%). Va però segnalato come all’interno del mio campione il grado di forma-zione dei genitori non abbia un impatto significativo sull’incidenza dell’eccesso di peso (P value = 0.70). Un’ ulteriore causa riportata dalla letteratura è inerente allo stato sociale, elencato in molti studi fra i fattori di rischio per il sovrappeso e l’obesità (cfr. cap. 3.7, Salari famigliari ridotti e basso status sociale

Si può però notare che secondo una recente indagine, [171], in Italia, la famiglia di origine influisce sulla scelta della scuola superiore: la crescita del livello del titolo di studio e della posizione professionale dei genitori è infatti stata associata ad una diminuzione della percentuale di giovani che scelgono una scuola professionale o tecnica e alla corrispondente crescita della prevalenza di ragazzi che optano per il liceo. Da ciò, diventa legittimo pensare che anche presso il liceo di Bellinzona potrebbe esserci una presenza forte del ceto medio-alto. Se così fosse, la discrepanza fra la prevalenza di eccesso ponderale riscontrata al liceo di Bellinzona e quelle trovate a livello cantonale, nazionale e negli Stati Uniti potrebbe anche es-

). Si presuppone infatti che oltre ad avere una maggiore sensibilità nei confronti della salute (con-ferita da un generale maggior grado di istruzione), gli individui degli strati sociali più abbienti abbiano accesso a cibi di migliore qualità rispetto a soggetti di stato sociale inferiore, che basano la loro alimen-tazione piuttosto su prodotti a basso costo e spesso poco indicati per la salute (snack, bibite ipercalori-che, alimenti fast food, ecc.). Tuttavia non mi è possibile corroborare questa ipotesi non permettendo il mio questionario una valutazione approssimativa dello stato sociale in base al reddito famigliare che, per motivi di discrezione, non è stato richiesto ai liceali.

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sere imputabile allo status sociale supposto particolarmente favorevole presso la popolazione da me e-saminata. Mi sono inoltre chinata sul possibile influsso della presenza di una madre casalinga all’interno della fa-miglia dei ragazzi. La letteratura riporta infatti che questa costellazione potrebbe avere un influsso posi-tivo nella prevenzione dell’eccesso ponderale, contenendo i danni delle cattive abitudini alimentari (cfr. cap. 3.7 Cattive abitudini all’interno del nucleo famigliareI miei dati non confermano tuttavia un’ influenza significativa di questo fattore (9.37% di eccesso ponde-rale fra i soggetti con madre casalinga, n = 66; 9.77% fra i soggetti con madre con occupazione lavorati-va, n = 134).

).

Abitudini alimentari: fast food e pranzi fuori casa

Per quanto concerne la mia seconda ipotesi di lavoro, ossia verificare se anche presso il nostro liceo vi siano dei comportamenti alimentari scorretti che possano favorire l’eccesso ponderale, le risposte al mio questionario mi hanno permesso di constatare alcune tendenze interessanti. In generale i miei compagni di liceo presentano un’attitudine alimentare relativamente soddisfacente e simile alle indicazioni raccomandate dagli enti che promuovono la salute a livello cantonale e nazionale. Particolarmente positivo risulta l’insuccesso dell’alimentazione fast food fra i soggetti da me campionati. Infatti ben il 37,5% dei liceali non consuma mai o quasi mai un pasto in un ristorante fast food e un altro soddisfacente 37% mantiene le sue visite a questo tipo di catene alimentari limitate ad un massimo di tre volte al mese. Uno studio condotto a livello nazionale nel 2009, [34], riportava che il 54% dei giovani fra i 15 e i 24 anni consumava un pasto fast food una o più volte a settimana. La proporzione di studenti liceali che si recano presso un ristorante fast food almeno una volta a settimana (25,5%) è decisamente inferiore alla percentuale nazionale. Gli studenti liceali sembrano inoltre prediligere il consumo dei pranzi alla caffetteria del liceo (36%), in mensa (31%) o a casa (25,5%), mentre l’offerta dei self service di Migros e Coop (3,5%) e dei fast food Mc Joe (1,5%), Kebab (1%) e McDonald’s (0.5%) sembrano essere decisamente meno allettanti per i ra-gazzi. Ciò potrebbe essere nuovamente spiegato dalla stratificazione socio-culturale degli studenti considerati. Di nuovo sarebbe molto interessante poter avvalersi di un confronto per questo parametro con dei ra-gazzi coetanei provenienti da scuole non superiori. Questo dato favorevole sembra molto importante da sottolineare vista l’importanza, già ampiamente riferita nel capitolo sulle basi teoriche (cfr. cap. 3.7 L’ambiente “obesogenico”: sovra-offerta, cibo spazzatura a basso costo, fast food, supersizing, mezzi di trasporto a motore, tecnologia e pubblicità

Lo scarsissimo successo dell’importante filiale McDonald’s fra i liceali potrebbe essere imputabile alla grande distanza che ricopre il tragitto fra il liceo e questo ristorante fast food (una buona mezz’ora a piedi). Ma ciò non può spiegare la frequentazione quasi altrettanto limitata dei fast food Mc Joe e Ke-bab, in quanto queste catene alimentari presentano diverse sedi attorno al perimetro scolastico (5-7 minuti a piedi), ma malgrado ciò sono meno quotate dagli studenti che sembrano preferire persino un tragitto più lungo (10-15 minuti a piedi) per poter piuttosto avere accesso ai prodotti alimentari di Coop e Migros.

), dell’impatto negativo che le catene alimentari fast food comportano sui comportamenti alimentari.

In uno studio americano, [172], una distanza pari o minore ad un decimo di miglio (160 m ca.) fra un ri-storante fast food e la sede scolastica, è stata associata ad un aumento del 5% della prevalenza di obesi-tà presso la scuola in questione. I fast food Mc Joe e Kebab si trovano oltre la soglia di questo limite a differenza della caffetteria del liceo e della mensa più vicina (SCC). È possibile che questi pochi metri in più da percorrere preservino la popolazione di studenti del liceo dal rischio di obesità. Va comunque detto che il cibo proposto dalla caffetteria del liceo (luogo maggiormente frequentato dai liceali per la pausa pranzo) non rappresenta la scelta migliore per un’alimentazione sana e il consumo regolare dei pranzi in sede scolastica, oltre ad incrementare la sedentarietà dei ragazzi, non permette

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molte variazioni negli apporti nutritivi. Infatti gli alimenti offerti consistono prevalentemente in panini, spesso eccessivamente ricchi in salse e privi di verdura. Ad ogni modo anche la caffetteria scolastica si impegna a migliorare la qualità delle sue proposte alimentari obbligando da qualche anno la combina-zione delle focacce con un frutto a scelta. Ciò non toglie che il miglior modo per mangiare in modo equi-librato fuori casa rimane la consumazione dei pranzi in mensa, dove vengono proposti giornalmente dei menu molto variati per i giovani e a prezzi ancora molto ragionevoli. Oltretutto le visite in mensa favori-scono l’attività fisica dei liceali di Bellinzona, in quanto la sede scolastica del liceo non si avvale di un re-fettorio e gli studenti sono perciò costretti a recarsi o alla Scuola Cantonale di Commercio (3 minuti a piedi) o alla Scuola Arti e Mestieri (10 minuti a piedi). Inoltre le mense scolastiche offrono solamente ac-qua per accompagnare i pasti, mentre i pranzi in caffetteria vengono spesso abbinati a bibite zucchera-te, disponibili sia alla buvette che in due distributori automatici. Con il mio questionario non ho indagato la composizione dei pasti che gli studenti sono soliti consumare a pranzo e non posso quindi stabilire se l’alimentazione consumata a casa sia migliore o meno dal punto di vista della salute rispetto a quella proposta dalle mense scolastiche, dai fast food e dagli altri offerenti alimentari. Ad ogni modo la proporzione degli individui in sovrappeso e obesi era pressoché identica (ca. 10%) sia fra i soggetti soliti pranzare a casa (n = 51) che fra i liceali che consumano il pranzo fuori casa (n = 148), e non vi sono quindi differenze statisticamente significative a questo proposito (Chi2). La preva-lenza dell’eccesso ponderale si è mostrata più elevata fra i liceali che sono soliti pranzare in caffetteria (11.3%, n = 72) rispetto a quelli che hanno l’abitudine di pranzare in mensa (8.2%, n = 62), ma anche questa differenza non è risultata statisticamente significativa (Chi2). È oltremodo da segnalare che nes-sun individuo che presenta un eccesso ponderale è solito consumare i suoi pranzi nei fast food di McDo-nald’s, Kebab e Mc Joe, ma anche in questo caso i test statistici non hanno restituito dei valori significa-tivi (Chi2

).

Abitudini alimentari: il ruolo alimentare della colazione e degli spuntini

Nella mia analisi, un dato interessante e risultato statisticamente significativo per la mia indagine è quel-lo relativo alla consuetudine alimentare di consumare quotidianamente una prima colazione alla matti-na: i ragazzi in sovrappeso e obesi del mio campione riportavano un’abitudine statisticamente significa-tiva nel saltare la prima colazione (Chi2

3.7

, P value = 0,0113). La letteratura inerente ai disturbi alimentari riporta in effetti che i soggetti che non sono abituati a prendere regolarmente una colazione tendono a consumare più spuntini ipercalorici durante la giornata (cfr. cap. , Cattive abitudini all’interno del nucleo famigliare)

Sembrerebbe esserci una relazione inversa fra eccesso ponderale e numero di spuntini giornalieri, per cui gli individui in sovrappeso e obesi avrebbero una tendenza minore a consumare 2 o più spuntini al giorno

. Ho allora voluto verificare se i soggetti con eccesso ponderale che non fanno mai o che fanno raramente colazione (ca. 42%, n = 19) confermassero questa tendenza nel consumare cibo fuori dai pasti principali: il 100% di questi soggetti (n = 8) consuma almeno uno spuntino fuori dai pasti principali e il 25% è solito consumarne due. Questi dati vanno però valutati solo fino a un certo punto, in quanto il numero di individui considerati è veramente troppo ridotto per essere rappresentativo.

(21%, n = 19) rispetto ai liceali normopeso (43%, n = 181), ma le analisi non riportano una significatività statistica per questo dato. Un’ipotesi potrebbe allora essere che gli individui con eccesso ponderale compensino la mancata assunzione di una prima colazione, invece che con degli spuntini fra i pasti, con un importo calorico eccessivo a pranzo e a cena. Considerando l’intero campione si rileva che la cattiva abitudine di saltare colazione coinvolge una buo-na parte degli studenti: il 32,5% dei ragazzi non fa regolarmente colazione tutte le mattine, di questi (n = 65) il 38,5% recupera il mancato apporto calorico con due o più spuntini nella giornata mentre il 59% dei liceali (n = 200) si accontenta di fare solo uno spuntino supplementare. Osservando che secondo la letteratura medico-scientifica la colazione dovrebbe rappresentare un quar-to dell’apporto energetico quotidiano degli adolescenti, le percentuali rilevate nel mio campione si cari-cano di un significato ancora più importante, specie se si considera che molti studi, [173], [174], correla-

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no l’assenza della prima colazione con degli apporti nutrizionali giornalieri inadeguati e con una riduzio-ne delle capacità cognitive, quindi con delle prestazioni scolastiche peggiori nella mattinata, [175]. Ma i miei dati perdono la loro nota allarmante quando li si confrontano con quelli raccolti a livello na-zionale e ticinese (indagini ISPA Svizzera 2006 e ISPA Ticino 2006) condotte tuttavia su ragazzi di 11-15 anni: gli studenti del mio campione che fanno sempre o comunque spesso colazione raggiungono l’80% del totale, mentre i giovani considerati a livello svizzero che prendono una prima colazione 5 o più giorni a settimana raggiungono appena il 52,9%, a livello ticinese il 57,8%. Per quel che riguarda la composizione dei pasti, non ho potuto, per ovvi motivi, sondare la quantità di cibo consumato dai ragazzi, ma mi sono limitata ad interrogarli circa il tipo di alimenti consumati: la co-lazione prediletta dei ragazzi sembrerebbe così costituirsi di pane, burro e marmellata -presenti nel 41% delle colazioni- accompagnati con del latte, figurante nel 43% delle colazioni. Altri alimenti molto ap-prezzati al mattino sono i corn-flakes (presenti nel 38% delle colazioni) lo yogurt e i biscotti (presenti 23% delle colazioni), la frutta e il pane con nutella (presenti nel 16% delle colazioni). Fra le bevande più apprezzate, oltre al latte, emergono il succo di frutta (presente nel 41% delle colazio-ni), il caffè o caffelatte (presente nel 23% delle colazioni), quindi dall’acqua (presente nel 21% delle cola-zioni), l’ovomaltina (presente nel 19% delle colazioni) e il tè caldo (presente nel 12% delle colazioni). Il 16% dei ragazzi non beve niente al primo mattino. Secondo le schede inerenti l’alimentazione, realizzate in collaborazione con Evelyne Battaglia -dietista diplomata HF, nonché rappresentante dei consumatori nella Commissione federale svizzera dell’alimentazione- e con la collaborazione dell'Ufficio di promozione e di valutazione sanitaria (DSS), la colazione ottimale per i giovani di 13-18 anni si comporrebbe proprio di pane -preferibilmente nero- burro, marmellata e latte -mischiato eventualmente con 2-3 cucchiaini di cacao dolce- una frutta even-tualmente sottoforma ad esempio di spremuta d’arancia. In alternativa al pane si consiglia l’assunzione di cereali o fiocchi d’avena. In una buona parte delle colazioni dei liceali (95%) figura almeno uno di que-sti alimenti (pane, burro e marmellata, corn-flakes e frutta) e nel 43% delle colazioni è presente il latte. Una buona parte dei liceali sembra quindi operare delle scelte sane per quel che concerne il tipo (e non necessariamente la quantità!) di alimenti consumati in luogo della prima colazione. Sempre secondo le schede sopracitate, la merenda (o spuntino) dovrebbe essere consumata una sola volta nella giornata o eventualmente due (in mattinata e in pomeriggio/serata) per i ragazzi che saltano la prima colazione e per quelli che fanno molto sport. Si dovrebbe inoltre comporre di un frutto a piace-re e un dolce (una riga di cioccolata o una fetta di torta fatta in casa) o una fetta di pane con marmellata. In alternativa si può optare per uno yogurt o budino con della frutta e dei cereali oppure per una me-renda a base di pane con carne o formaggio e frutta. I liceali sembrano prediligere per gli spuntini gior-nalieri, in primo luogo, i dolci come croissants, cioccolata, biscotti, torte ecc. (compongono il 65% delle merende). Questi sono subito seguiti dalla frutta (presente nel 61% dei casi) e dai latticini, tipo yogurt, formaggio ecc. (figuranti nel 33% degli spuntini).

Abitudini alimentari: frutta e verdura

Altri dati interessanti del mio LAM, ancorché non significativi statisticamente per quanto concerne la prevalenza di sovrappeso e obesità, sono quelli che indicano un eccessivamente ridotto consumo di frut-ta e verdura fra gli studenti considerati: più di un quarto dei liceali non mangia mai o quasi mai frutta e quasi un ragazzo su cinque non consuma mai o quasi mai verdura. Inoltre risulta che il 57% dei ragazzi esaminati non arriva a consumare quotidianamente le cinque porzioni di frutta e verdura raccomandate nelle campagne di prevenzione della salute. Questo risultato desta più di qualche preoccupazione, considerando -come già indicato nei capitoli pre-cedenti (cfr. cap. 3.5.1)- che questi due alimenti sono essenziali fonti di nutrienti che non possono man-care al nostro organismo. Inoltre, secondo la letteratura scientifica, il loro consumo regolare è determi-nante per la prevenzione dell’eccesso ponderale e va ricordato che questi due alimenti possono oltre-modo, grazie alle loro proprietà antiossidanti, prevenire il rischio di cancro e di malattie cardiovascolari.

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Sono oltretutto degli importanti fornitori di fibre, micronutrienti che non possono mancare in una dieta seppure necessari in quantità relativamente piccole. Queste aumentano infatti il senso di sazietà e mi-gliorano la regolazione delle funzionalità intestinali nonché quella del livello di glicemia e del colesterolo nel sangue (cfr. cap. 3.5.1). Altri cibi che possono contribuire all’apporto di questi micronutrienti sono i cereali integrali, ma il mio questionario non mi permette di verificare l’entità del consumo di questo tipo di alimenti. Posso solo limitarmi a calcolare che il 38% degli studenti della mia inchiesta è solito mangia-re corn-flakes a colazione, ma vista la varietà della qualità di questo cibo disponibile sul mercato diventa difficile stabilire se si tratti di una buona fonte di fibre o piuttosto se, per il suo elevato contenuto di zuc-cheri e la sua povertà in nutrienti essenziali, è da considerarsi poco indicato per la salute (e.g. 100 g corn-flakes al cioccolato contengono 3 g di fibre e 84 g di zucchero [176]). Ad ogni modo il confronto del consumo di frutta e verdura degli studenti del liceo con i dati nazionali (I-SPA Svizzera 2006) e ticinesi (ISPA Ticino 2006) risulta quantomeno confortante: nella popolazione da me considerata, il 74,5% dei ragazzi mangia almeno un frutto al giorno, percentuale nettamente più ele-vata rispetto al 41,1% rilevato a livello svizzero e al 19,6% riportato dall’inchiesta ticinese. Gli studenti del liceo si mostrano similmente più diligenti per ciò che concerne il consumo quotidiano di verdura: l’81,5% mangia verdura una o più volte al giorno, quindi più del doppio rispetto al 39% rilevato a livello nazionale e nettamente superiore al 13% riportato a livello ticinese.

Abitudini alimentari: consumo di carne

Per quel che concerne invece il consumo di carne, ancora una volta, i test statistici non riportano un’influenza significativa sulla prevalenza di sovrappeso e obesità. Tuttavia si rileva un’importante diffe-renza statisticamente significativa riguardo al consumo di carne fra i due sessi: i maschi hanno una ten-denza decisamente più marcata nel consumare carne tre o più volte a settimana rispetto alle loro coe-tanee (P value = 0.0007). La letteratura scientifica raccomanda una frequenza di consumo inferiore alle cinque volte a settimana[65] , provvedimento rispettato dalla maggior parte dei liceali in esame , fra cui il 61% mangia carne meno di 4 volte a settimana. A livello svizzero, l’inchiesta ISPA Svizzera 2006 riporta una porzione inferiore di ragazzi che si adeguano alle raccomandazioni: solo il 48,7% dei ragazzi campio-nati mangia carne meno di 5 volte a settimana. Si nota una minore -ma non statisticamente significativa- prevalenza di eccesso ponderale fra i liceali che consumano carne meno di 4 volte a settimana (8.3%, n = 122) rispetto a quelli che ne mangiano più frequentemente (11,7%, n = 78). Il consumo di carne è infatti stato associato ad un aumentato apporto di grasso totale, grassi saturi e ca-lorie totali nonché ad un ridotto apporto di verdura, [177], [178]. È inoltre correlato con un maggiore ri-schio di malattie cardiovascolari, [177], e di diabete mellito di tipo II [179], [180]Ma il dibattito sul consumo di carne nell’alimentazione è tutt’oggi ancora molto controverso: alcuni ri-cercatori si dicono convinti degli effetti positivi di una dieta povera in carboidrati e ricca in proteine, per esempio la cosiddetta “dieta Atkins”, sul BMI e quindi sulla capacità di prevenire l’obesità, [181], [182]

.

Ad ogni modo, per garantire dei pasti variati quanto più possibile, un consumo eccessivo di carne è poco indicato perché rischia di trasformare questo alimento in un surrogato della verdura e degli altri cibi.

; altri ricercatori arrivano invece a sostenere una dieta vegetariana come migliore modo per prevenire malattie croniche legate all’alimentazione, obesità compresa, [183], [184] e [185].

Dalla mia indagine risulta che il 3.5% dei ragazzi seguono una dieta vegetariana e, di questi (n = 7) tutti sono normopeso. L’86% di questo gruppo è costituito da femmine e la maggior parte degli individui ve-getariani ha 17 anni (71%). Stando ai dati dell’HBSC, le proporzioni di ragazzi svizzeri che escludono la carne e il pesce dalla loro alimentazione è inferiore (2,8% delle ragazze e 0,8% dei ragazzi) ma si riporta la stessa maggior tendenza delle ragazze a seguire un regime di questo tipo rispetto ai ragazzi. E’ legitti-mo pensare che questi ragazzi ovo-lacto-vegetariani siano quantomeno più attenti alla loro alimentazio-ne perché devono costantemente badare a che questa risulti molto variata per riuscire a compensare le proteine, il ferro zinco, il selenio, la vitamina B12, la vitamina D e gi acidi grassi n-3 non assunti con la carne, attraverso il consumo di alimenti di origine vegetale. Sono quindi costretti a mangiare più legumi,

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latticini, uova, verdura, frutta e cereali, variando molto la composizione dei loro pasti e costruendo spesso il loro piano alimentare organizzandosi con cura, [186] (cfr. cap. 3.5.1).

Abitudini alimentari: consumo di pesce

Per quanto concerne il consumo di pesce, i risultati mostrano un basso consumo fra gli studenti liceali: quasi la metà di loro non mangia mai (11%) o quasi mai (36,5%) pesce, il 46% ne mangia 1-2 volte a set-timana e il 6,5% ne consuma una porzione 3 o più volte a settimana. La situazione vigente presso il liceo di Bellinzona è comunque meno allarmante rispetto a quella rilevata a livello nazionale con l’indagine ISPA Svizzera 2006: la prevalenza di ragazzi che mangiano pesce almeno una volta a settimana è del 52,5% nel mio campione e del 40% fra i giovani svizzeri. Ricordiamo comunque che il pesce riveste una grande rilevanza nella dieta alimentare in quanto è un importante fornitore di acidi grassi polinsaturi. Non essendo il nostro organismo in grado di produrre questi nutrienti, è fondamentale che vengano introdotti attraverso l’alimentazione. Sono delle sostanze base per la sintesi di vari ormoni tessutali implicati nel sistema immunitario e un’alimentazione ricca di acidi grassi polinsaturi influisce positivamente anche sui livelli dei grassi trigliceridi e colesterolo nel cir-colo sanguigno, proteggendo così il sistema cardiocircolatorio dall’arteriosclerosi. Un corretto apporto di pesce può quindi contribuire a ridurre il rischio delle malattie cardiovascolari, di cancro, di osteoporosi, e di malattie infiammatorie e autoimmuni, [187] (cfr. cap. 3.5.1). Si consiglia per-tanto un consumo minimo di una porzione di pesce grasso a settimana, [46].

Consapevolezza alimentare dei liceali di Bellinzona

Un altro dato interessante ricavato dal mio questionario è quello relativo alla coscienza che gli studenti hanno riguardo alla composizione degli alimenti: durante la compilazione del modulo veniva chiesto loro di stimare quante zollette di zucchero potesse contenere una comune lattina di Coca-Cola (355 mL). Ben il 41.7% ha restituito la risposta esatta (10 zollette di zucchero). La questione si fa ancora più inte-ressante se si considera che il 39,7% dei ragazzi ha sovrastimato il tenore di zuccheri (scegliendo la ri-sposta 12 o più zollette). Purtroppo il mio questionario non mi ha permesso di verificare se questa con-sapevolezza relativamente marcata tuteli gli studenti del liceo da un consumo eccessivo di questo tipo di bevande: una domanda inerente la frequenza di consumo di Coca-Cola e bevande simili sarebbe sicura-mente stata giustificata in un’indagine di questo genere. Ad ogni modo le risposte a questa domanda hanno rivelato una statisticamente significativa minor tendenza a sottostimare la concentrazione di zuc-chero nella Coca-Cola da parte dei ragazzi con eccesso ponderale (P value = 0.0290). Ciò potrebbe essere sintomo di una consapevolezza della loro situazione di salute e di una conseguente maggiore attenzione da parte loro verso le calorie consumate attraverso l’alimentazione.

Strategie alimentari e atteggiamenti di fronte al cibo

Altri aspetti interessanti nel confronto fra i miei dati e quelli riportati dalla letteratura sono emersi dall’analisi delle strategie e degli atteggiamenti che i ragazzi attuano di fronte al cibo: circa due studenti su cinque (39,5%) si sforzano di mantenere un’alimentazione equilibrata e variata. L’incidenza di tale comportamento risulta simile a quella rilevata per la popolazione svizzera secondo i dati dell’indagine Nutri-Trend-Studie, che riportano una percentuale del 42% di elvetici che affermano di alimentarsi in modo equilibrato [188]. Il 28,5% dei liceali del mio campione è solito mangiare ciò che vuole quando più lo desidera mentre tale attitudine è più frequente a livello nazionale, coinvolgendo il 36% degli svizzeri.

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Gli studenti del mio liceo che limitano gli apporti di cibo per non ingrassare senza pertanto seguire una dieta fissa rappresentano il 13,5% dell’intero campione, e la percentuale di svizzeri che cercano allo stesso modo di limitare le loro porzioni di cibo è simile (15%). Secondo l’inchiesta ISPA Svizzera 2006, il 20,9% dei giovani elvetici affermerebbe prestare attenzione alla propria alimentazione, mentre nel mio campione il 56,5% dei liceali dichiara di sforzarsi limitando gli apporti nutritivi, mettendosi a dieta o cercando di mangiare equilibrato e variato. La maggiore diffusione di queste strategie alimentari nel mio liceo, in rapporto alla gioventù svizzera, potrebbe contribuire al-meno in parte a spiegare il divario fra la prevalenza di eccesso ponderale riscontrata nella mia indagine e quella riportata dalle statistiche nazionali. Inoltre questa maggiore tendenza a badare alla propria ali-mentazione presso il liceo di Bellinzona può trovare spiegazione nuovamente in una maggiore sensibilità verso la salute, che potrebbe -come si è detto- a sua volta derivare dalla forte presenza del ceto medio-alto nel campione e dal fatto che un’importante parte dei genitori dei liceali abbia conseguito degli studi universitari o universitari professionali. Il confronto con l’indagine ISPA 2006 fa emergere un’ulteriore differenza nei comportamenti alimentari dei miei liceali rispetto alla gioventù svizzera: nel mio campione la porzione di studenti che segue una dieta (3,5%) è più che tripla rispetto ai ragazzi svizzeri che sono sottoposti ad una dieta sotto controllo professionale (1%). Ancora una volta, ricordiamo che le dimensioni ridotte del mio campione moderano fortemente il significato dell’ampiezza di questa differenza e va oltremodo segnalato che il mio questio-nario non permette di verificare se la dieta seguita dai miei liceali è stata prescritta da un professionista o meno. Un altro aspetto interessante constatato nella mia ricerca è che la tendenza a seguire delle diete dima-granti è risultata significativamente maggiore nei soggetti in sovrappeso e obesi rispetto agli altri liceali (P value = 0.0024). Questo dato apparentemente scontato, può fornire importanti indicazioni: può da un lato segnalare la presa di coscienza del proprio sovrappeso da parte dello studente e allo stesso tempo può essere sintomo delle importanti difficoltà cui il soggetto deve far fronte già in età adolescenziale per raggiungere uno stato ponderale idoneo. A questo riguardo va ricordato che l’impatto di una dieta di-magrante, in particolare se questa non è stata prescritta da un medico o da un nutrizionista, può avere degli effetti contro-produttivi e deludenti le aspettative dell’individuo. Considerando unicamente il mio campione posso dire che le ragazze tendono ad avere un’alimentazione più attenta a limitare l’input di cibo rispetto ai ragazzi, in modo statisticamente significativo (P value = 0,0295): infatti le prime si mostrano decisamente proporzionalmente più numerose a ridurre i propri apporti alimentari per evitare l’acquisto di peso (19%, n = 121) rispetto ai loro coetanei (5,1%, n = 79), che hanno invece una tendenza molto più marcata a mangiare quello che vogliono quando vogliono (38%, n = 79) rispetto alle ragazze (22,3%, n = 121) (P value = 0,0165). Queste differenze nel rapporto con il cibo che intercorrono fra i due sessi potrebbero spiegare parzial-mente la più che doppia incidenza di eccesso ponderale riscontrata fra i maschi del campione rispetto a quella rilevata fra le loro coetanee. Anche nel confronto fra soggetti con e senza eccesso ponderale si delineano dei trend interessanti per quel che riguarda gli atteggiamenti nei confronti dell’alimentazione: i ragazzi senza eccesso di peso adot-tano perlopiù una strategia alimentare fondata su varietà ed equilibrio (40,9%, n = 181), riscontrata in modo sensibilmente minore (quantunque non significativo dal profilo statistico) fra i ragazzi con eccesso ponderale (26,3%, n = 19). Questi ultimi favoriscono principalmente un’alimentazione associata esclusi-vamente alla sensazione di fame (il 36,8% di loro dichiara di adottare la strategia alimentare Mangio so-lo quando ho fame, n = 19), tattica adottata in misura significativamente minore dai loro coetanei senza eccesso ponderale (12,7%, n = 181). Questi dati potrebbero suggerire che il relazionare l’apporto di cibo unicamente all’appetito risulta peri-coloso per lo stato ponderale ed una possibile spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che fra le princi-pali cause dell’obesità possono esserci delle mutazioni genetiche che impediscono al cervello di regolare correttamente la sensazione di fame, la cui inibizione può talvolta venir meno totalmente (cfr.cap. 3.7).

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Attività fisica e sport

Anche per ciò che concerne l’attività fisica e la sedentarietà dei liceali, si sono profilati dei risultati abba-stanza soddisfacenti: considerata la lunghezza del tragitto che separa la stazione ferroviaria dal liceo si può dire che ben l’88% degli studenti compie uno sforzo fisico per raggiungere la sede scolastica, mentre la parte di liceali rimanente fa uso di mezzi a motore personali. Considerando che agli effetti benefici di questa attività fisica si sommano a quelli provenienti dalle ore di sport esercitate settimanalmente dai ragazzi, risulta ancor più apprezzabile il fatto che il 64,5% dei liceali svolga un’attività sportiva extrasco-lastica. Tuttavia se si confronta questo dato con quelli raccolti a livello nazionale l’ottimismo si smorza un poco di fronte ad un 70,1% di giovani svizzeri svolgenti 2 o più ore a settimana di attività sportiva fuori dalla scuola (ISPA Svizzera 2006). Questa minor frequenza nel praticare sport riscontrata fra gli studenti del liceo di Bellinzona può forse trovare una spiegazione nella minor disposizione di tempo libe-ro fra i ragazzi da me campionati. Infatti il liceo richiede un grande impegno da parte degli studenti an-che al di fuori della griglia oraria, mentre l’indagine condotta a livello svizzero ha considerato degli ado-lescenti più giovani (11-15 anni) e quindi confrontati con un ambiente di studio meno gravoso che per-mette di riservare spazi di tempo più ampi per la pratica di attività sportive extrascolastiche. Va comunque ricordato che dalla prima alla terza liceo, gli studenti sono tenuti a svolgere tre ore di edu-cazione fisica in seno alla scuola (durante il quarto anno di liceo tali ore si riducono a due a settimana), ore di movimento che si vanno quindi a sommare a quelle svolte al di fuori del programma scolastico e all’attività fisica praticata dalla maggior parte degli studenti per recarsi al liceo. Le differenze che la mia indagine riporta fra l’attività sportiva dei maschi (77,2%, n = 79) e quella delle femmine (56,2%, n = 121) rispecchiano quelle riportate a livello nazionale e internazionale dall’indagine HBSC 20065

3.3.1

, confermando una statisticamente significativa maggior tendenza dei maschi a svolgere più ore di sport ogni settimana rispetto alle loro coetanee. Ciò può apparire controverso se si considera che la prevalenza di eccesso ponderale è maggiore fra i liceali di sesso maschile che non fra le studentesse sia nella mia indagine che nell’indagine ISPA Svizzera 2006. Inoltre l’incidenza di eccesso ponderale rile-vata all’interno del mio campione non mostra differenze statisticamente significative fra gli studenti sportivi e quelli che non svolgono alcuna attività sportiva extrascolastica, mentre addirittura nell’indagine ISPA Svizzera 2006 si nota una diminuzione significativa della percentuale di eccesso pon-derale parallelamente all’aumento dell’attività fisica. Quest’apparente incongruenza può essere spiega-ta ricordando che l’eccesso di peso ha delle origini multifattoriali e, anche se il suo impatto può giocare un ruolo preventivo molto importante preservando l’equilibrio fra importo e consumo energetico, l’attività fisica sola non può scongiurare totalmente il rischio di obesità. Ma tale incoerenza nei risultati può oltremodo comprovare la grande limitazione che caratterizza l’indice di massa corporea, ovvero l’impossibilità di distinguere fra massa grassa e massa muscolare (cfr. cap. ).

Sedentarietà

I ragazzi del mio liceo riportano un’altra tendenza positiva per ciò che concerne le ore passate davanti ad uno schermo (televisione, computer, videogiochi e simili). Infatti, il 77% di loro afferma di limitare il tempo trascorso in tale modo ad un massimo di 1-2 ore ogni giorno, rispettando così le attuali racco-

5 5 L’inchiesta Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) si svolge ogni quattro anni sotto l’egida dell’Organizzatione Mondiale della Sa-lute (OMS-Europa) con lo scopo di raccogliere dati inerenti la salute, il benessere, gli ambienti sociali e i comportamenti legati alla salute di ra-gazze e ragazzi adolescenti. Nel 2006 vi hanno partecipato 41 paesi e in Svizzera l’organo responsabile di questa inchiesta è l’Istituto Svizzero di Prevenzione dell’Alcolismo e altre Tossicomanie (ISPA). In Svizzera la raccolta dei dati si è svolta nel 2006 da gennaio ad aprile; il questionario è stato proposto durante un’ora lezione (45 minuti) a 9'791 allievi di 11-15 anni la cui partecipazione era volontaria il cui anonimato era garanti-to. Nel 2006 l’indagine ISPA è stata condotta anche a livello ticinese ed ha preso in considerazione un campione di 1'136 allievi di scuole non private e di un’età sempre compresa nella fascia dagli 11 ai 15 anni. Per evitare confusioni fra l’indagine ISPA condotta a livello svizzero e quella condotta esclusivamente su allievi ticinesi, nel testo l’inchiesta nazionale sarà riportata come “indagine ISPA Svizzera”, mentre quella cantonale verrà designata come “indagine ISPA Ticino”.

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mandazioni degli enti promuoventi la salute a livello nazionale. Questa tendenza può nuovamente esse-re spiegata dalla più scarsa disponibilità di tempo libero fra i liceali rispetto ad esempio a quella fra gli allievi delle scuole medie inferiori, infatti fra i ragazzi di 11-15 anni campionati con l’indagine ISPA Sviz-zera 2006 si riporta un trend nettamente inferiore nel rispettare il massimo numero di ore raccomanda-te: solo il 23% dei giovani svizzeri non oltrepassa le due ore giornaliere davanti ad uno schermo telema-tico. A livello ticinese tale comportamento è riscontrato nel 42,1% dei casi (ISPA Ticino 2006). Si può inoltre notare come sia dai miei dati che da quelli raccolti a livello ticinese dall’inchiesta, risulti una significati-vamente maggiore tendenza a guardare televisione e simili fra i ragazzi rispetto a quella riscontrabile fra le femmine (P value = 0.0189); in particolare il 68,4% dei liceali maschi del mio campione (n = 79) rispet-tano il limite di ore raccomandate davanti ad uno schermo, percentuale relativamente alta ma sensibil-mente inferiore rispetto a quella che caratterizza le studentesse (82,6%, n = 121). Rimane comunque il fatto che, nel mio campione, non si sono delineate delle differenze significative nel-la prevalenza di eccesso ponderale in base al numero di ore trascorse davanti ai mezzi telematici. Ancora una volta ciò può essere riconducibile alla natura multifattoriale del fenomeno dell’eccesso ponderale, e posso solo limitarmi ad asserire che la sedentarietà -citata nella letteratura medico-scientifica fra le cau-se dell’acquisto di peso- non sembra giocare un ruolo significativo nella presenza di sovrappeso e obesi-tà fra gli studenti del liceo di Bellinzona.

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5 Conclusione Conformemente a quanto si era inizialmente ipotizzato (cfr. cap. 4.3), si può segnalare la presenza del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità anche presso il liceo di Bellinzona, ma va subito sottolineato che l’ampiezza di questo problema è inferiore rispetto a quella che si misura a livello cantonale, naziona-le e internazionale. Presso i nostri liceali si profilano infatti dei comportamenti alimentari più conformi alle raccomandazioni degli enti responsabili della promozione della salute rispetto a quelli rilevati fra i giovani ticinesi, svizzeri e statunitensi. In particolar modo si delineano delle tendenze meno allarmanti per quanto concerne il consumo di frutta e verdura, nonché il consumo di carne e pesce. Inoltre i liceali di Bellinzona sembrano essere decisamente poco influenzati dalle catene alimentari dei fast food e mo-strano perlopiù una grande sensibilità e attenzione nei confronti della composizione cibo comunemente disponibile sul mercato. Sono infatti numerosi i liceali che affermano di prestare attenzione alla propria alimentazione e che dimostrano di conoscere e non sottovalutare le implicazioni che determinati pro-dotti alimentari ampiamente diffusi, come la Coca-Cola, comportano sulla salute. I giovani liceali presen-tano inoltre una minore tendenza a passare troppe ore davanti agli schermi di televisione, compu-ter,ecc. in rapporto ai loro coetanei svizzeri e ticinesi, anche se va segnalata una abitudine meno diffusa fra gli studenti del liceo di Bellinzona nel praticare settimanalmente un’attività sportiva extrascolastica rispetto a quella riportata a livello svizzero. Tuttavia nella popolazione da me considerata è decisamente frequente l’abitudine di compiere quotidianamente uno sforzo fisico per recarsi alla sede liceale, poiché gran parte degli studenti provengono da distretti abbastanza lontani dal Bellinzonese e, optando per lo spostamento ferroviario, si vedono costretti a compiere un tragitto relativamente lungo a piedi dalla stazione al liceo. Malgrado le limitazioni intrinseche del mio campione -date principalmente dal numero eccessivamente esiguo di individui considerati (n = 200) e dalla mancanza di statistiche cantonali e nazionali per la fascia di età da me presa in esame- non permettano un’analisi multivariata dell’incidenza di eccesso ponderale e limitino il confronto con le indagini della letteratura medico-scientifica, si può intuire che sono princi-palmente due i fattori che potrebbero spiegare l’ampio divario che distingue la situazione del nostro li-ceo da quella di altre realtà del mondo occidentale industrializzato, nell’ambito del sovrappeso: da un lato, gli aspetti culturali ed educativi peculiari del microcosmo del liceo di Bellinzona potrebbero contri-buire a tutelare la popolazione studentesca dal rischio di obesità ripercuotendosi soprattutto sui com-portamenti alimentari e sulla sensibilità dei liceali verso la salute; dall’altro, anche proprio il contesto geo-sociale della sede scolastica, che ricordiamo relativamente isolata da ristoranti fast food come McDonald’s e vicina ad una mensa accessibile e le cui offerte alimentari si orientano verso la salute, po-trebbe altresì giocare un ruolo preventivo fondamentale. Il contesto scolastico privilegiato del liceo, l’elevato grado di istruzione dei genitori, le piccole dimensioni della città di Bellinzona e l’ambiente ancora relativamente poco contaminato dagli stili di alimentazione e movimento nord occidentali che caratterizza la realtà della capitale ticinese potrebbero infatti giocare un ruolo determinante nella prevenzione dell’eccesso ponderale presso gli studenti del mio campione. Tuttavia solo un confronto con un altro contesto scolastico meno elitario, ad esempio con la popolazio-ne studentesca di una scuola professionale, e dei campioni di dimensioni maggiori potrebbero corrobo-rare questa mia ipotesi.

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6 Considerazioni generali sull’esperienza Personalmente ho svolto questo lavoro di maturità con molto interesse e grande passione. L’attualità del tema ha largamente contribuito a rendere lo studio ancora più stimolante ed ha fatto sì che il mate-riale scientifico e medico a disposizione in rete e in varie pubblicazioni e riviste di spicco fosse ricchissi-mo. Per quel che riguarda la parte pratica, mi sono trovata molto bene sia con la collaborazione degli stu-denti che con quella degli insegnanti. In particolare l’appoggio del mio professore di biologia, Davide Speziga, e del Professor Bianchetti, pri-mario in pediatria all’Ospedale di Bellinzona, sono stati molto preziosi soprattutto per la progettazione dell’inchiesta, la redazione del questionario e la stesura definitiva del documento. Ad indagine conclusa posso forse lanciare uno stimolo per altri studiosi interessati al tema dell’obesità nella nostra realtà ticinese, attestando che sarebbe stato molto interessante ripetere la metodologia uti-lizzata sui coetanei della popolazione da me analizzata che frequentano una scuola post-obbligatoria di minor prestigio, per esempio l’arti e mestieri o la commerciale, dove verosimilmente il tasso di studenti con genitori diplomati all’università è inferiore così come lo è, generalmente, il reddito famigliare; due fattori questi che favoriscono l’acquisto di peso negli adolescenti.

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8 Indice delle figure Figura 1: recenti percentuali di eccesso ponderale e di obesità in vari paesi e nei paesi membri dell’OECD, [16]. ............................................................................................................................................ 6Figura 2: tassi di obesità, evoluzione in vari paesi OECD negli ultimi quarant'anni, [17]. ........................... 7Figura 3: Grafico del BMI-percentile per giovani maschi dai 2 ai 20 anni di età,[36]. ............................... 12Figura 4: Grafico del BMI-percentile per giovani femmine dai 2 ai 20 anni di età,[36]. ............................ 13Figura 5: Esempio di interpretazione del BMI di un bambino di 10 anni (figura liberamente tradotta in italiano da un grafico esplicativo proposto dall’organizzazione statunitense Centers for Disease Control and Prevention), [29]. ................................................................................................................................. 15Figura 6: Esempio di interpretazione del BMI di un individuo maschio in diverse età del periodo infantile (figura tradotta liberamente in italiano da un grafico esplicativo proposto dall’organizzazione statunitense Centers for Disease Control and Prevention), [29]. ............................................................... 16Figura 7: Reazione di condensazione (disidratazione) per la sintesi di un polimero, [45]. ........................ 23Figura 8: Reazione di idrolisi per la demolizione di un polimero [45]. ....................................................... 23Figura 9: Andamento del BMI in funzione dell'età del soggetto - dai primi mesi di vita all'età adulta [87]

.................................................................................................................................................................... 39Figura 10: Immagine parodica della paradossale proposta di un articolo dell’American Journal of Cardiology in cui si figurava una possibile introduzione di statine nelle offerte alimentari di McDonald's come ultima speranza per combattere gli effetti dell'alimentazione fast food, [113]. ............................. 43Figura 11: Formazione di placche arteriosclerotiche a seguito di un accumulo di colesterolo sulla parete arteriosa, [122]. .......................................................................................................................................... 45Figura 12: Obesità tipo mela - accumulo di grassi a livello addominale, tipicamente maschile, [123]. .... 48Figura 13: Obesità tipo pera - Accumulo di grassi sui fianchi e glutei, tipicamente femminile, [123]. ...... 49Figura 14: Fattori di rischio per lo sviluppo di una sindrome metabolica e di altri disturbi della salute legati all'eccesso ponderale,[123]. ............................................................................................................. 50Figura 15: Sviluppo di un'artrosi - confronto fra cartilagine lesa dall'artrosi e cartilagine sana, [132]. .... 53Figura 16: L'eccesso ponderale nei cartoni animati, [158]. ........................................................................ 56Figura 17: L'eccesso ponderale nei film di Hollywood, [159]. .................................................................... 56Figura 18: stato ponderale fuori norma per i due sessi: sottopeso, sovrappeso, obeso (n = 200) ............ 64Figura 19: Mezzo di trasporto con cui i liceali si recano al liceo: a piedi, in monopattino, in bicicletta, in macchina o con altri mezzi a motore personali (motorino, scooter, ecc.), in bus o con altri mezzi pubblici (n = 200) ..................................................................................................................................................... 65Figura 20: definizione degli studenti in base alla loro attività sportiva: scarsamente attivi, parzialmente attivi, attivi (n = 200) .................................................................................................................................. 67Figura 21: ore giornaliere che i liceali trascorrono abitualmente davanti ad uno schermo di televisione, computer e videogiochi (n = 200) .............................................................................................................. 68Figura 22: risposte dei liceali alla domanda “Fai colazione ogni giorno?”: mai, raramente, spesso, sì (n = 200) ............................................................................................................................................................. 69Figura 23: Frequenza nel fare colazione: confronto fra i soggetti con eccesso ponderale e i soggetti senza eccesso ponderale ...................................................................................................................................... 70Figura 24: Cibo abitualmente consumato dai liceali come prima colazione al mattino: Niente, pane e nutella, frutta, biscotti, yogurt, corn-flakes, pane con burro e marmellata. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano selezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200) ....................................................... 71

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Figura 25: Bevande abitualmente consumate dai liceali per la prima colazione al mattino: Niente, Coca-Cola/tè freddo/altre bevande zuccherate, sciroppo, tè caldo, ovomaltina, acqua, caffè/caffelatte, succo di frutta, latte, altro. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano selezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200)

.................................................................................................................................................................... 71Figura 26: Frequenza con cui i liceali consumano uno spuntino fuori dai pasti principali (colazione, pranzo, cena) durante la giornata: nessuna, 1 volta, 2 volte, 3 o più volte (n = 200) ................................ 73Figura 27: Tipo di prodotti alimentari consumati dai liceali in luogo degli spuntini consumati fra i pasti principali: Dolci, frutta, latticini, dolciumi, altro. N.B. Trattandosi di una domanda a scelta multipla, gli utenti potevano selezionare più caselle di controllo, pertanto le percentuali possono dare una somma maggiore del 100%. (n = 200) ..................................................................................................................... 74Figura 28: Luogo dove i liceali sono soliti pranzare in settimana: Non faccio pranzo, a casa, in una mensa (e.g. arti e mestieri e commercio), in caffetteria (liceo), al McDonald's, al Mc Joe, in un Kebab, alla Migros/Coop/altri self service, in un ristorante, altro ............................................................................... 75Figura 29: Frequenza con cui i liceali consumano un pasto presso un fast food: mai o quasi mai, 1-3 volte al mese, 1 volta a settimana, 2 volte a settimana, 3 o più volte a settimana (n = 200) ............................. 77Figura 30: frequenza dei liceali nel consumo di carne (pesce escluso): mai, 1-3 volte al mese, 1-2 volte a settimana, 3 volte a settimana, 4 o più volte a settimana (n = 200) .......................................................... 78Figura 31: frequenza dei liceali nel consumo di pesce: Mai, 1-3 volte al mese, 1-2 volte a settimana, 3 o più volte a settimana (n = 200) .................................................................................................................. 79Figura 32: consumo giornaliero di frutta e verdura fra i liceali (n = 200) .................................................. 80Figura 33: stime degli studenti circa il numero di zollette di zucchero contenute in una lattina di Coca-Cola da 355 mL (soluzione corretta=10 zollette): 1-8 zollette, 9-11 zollette, 12 o più zollette, (n = 200) . 82Figura 34: Atteggiamento dei liceali nei confronti del cibo: Mangio quello che voglio quando voglio, mangio solo quando ho fame, cerco di limitare quello che mangio per non ingrassare senza però seguire una dieta fissa, cerco di mangiare equilibrato e variato, al momento sto seguendo una dieta, (n = 200) 83Figura 35: atteggiamento dei liceali nei confronti del cibo: confronto fra i sessi ...................................... 84Figura 36: atteggiamento di fronte al cibo dei liceali con eccesso ponderale e senza eccesso ponderale 85

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La sottoscritta Camilla Gallino dichiara di aver compilato e redatto di persona il lavoro di maturità. Di-chiara pure di non aver commesso plagio e di aver indicato chiaramente e coscienziosamente le parti prese dalle diverse fonti.

Dichiarazione

Bellinzona, 29.12.2012 Camilla Gallino

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Risultati

I dati antropometrici relativi ai 200 studenti in esame (cfr.

Dati antropometrici

Tabella 1) riportano 178 studenti normopeso (89%), 16 sovrappeso (8%), 3 obesi (1,5%) e 3 sottopeso (1,5%). La prevalenza di eccesso ponderale (soggetti sovrappeso e soggetti obesi) risulta quindi del 9,5%. Il numero di ragazze è di 121 individui (60,5%), più elevato rispetto a quello dei ragazzi che ammonta a 79 soggetti (39,5%). Sono stati studiati ragazzi da 15 a 19 anni, con un totale di 26 quindicenni (13%), 82 sedicenni (41%), 61 diciassettenni (30,5%), 28 diciottenni (14%) e 3 diciannovenni (1,5%). Tutti gli studenti frequentavano la prima e la seconda classe presso il liceo di Bellinzona. L’altezza media calcolata per il campione considerato corrisponde a 1,68 metri, mentre la massa corporea media ammonta a 59,97 Kg. La media di tutti i BMI calcolati riporta un valore pari a 21,06.

Tabella 1: Dati antropometrici: sesso, età, altezza, massa, BMI, BMI percentile, peso forma

Sesso Età Altezza (in m)

Massa (in Kg) BMI

BMI Percentile

Peso forma

maschio 16 1.703 67.5 23.27418 54th percentile normopeso

maschio 17 1.835 81 24.05542 62nd percentile normopeso

maschio 16 1.901 65 17.9866 21st percentile normopeso

maschio 17 1.724 73 24.56113 61st percentile normopeso

maschio 17 1.68 65 23.03005 50th percentile normopeso

maschio 16 1.713 61.5 20.95851 35th percentile normopeso

maschio 18 1.876 67 19.03747 22nd percentile normopeso

maschio 16 1.783 70 22.01889 46th percentile normopeso

maschio 17 1.791 78 24.31663 61st percentile normopeso

maschio 16 1.761 72 23.21741 55th percentile normopeso

maschio 17 1.763 60 19.30397 20th percentile normopeso

femmina 17 1.671 50 17.90676 18th percentile normopeso

femmina 16 1.614 49 18.81001 29th percentile normopeso

femmina 16 1.685 69 24.30241 62nd percentile normopeso

femmina 17 1.584 49 19.52926 34th percentile normopeso

femmina 17 1.67 52 18.64534 23rd percentile normopeso

femmina 16 1.73 64 21.38394 46th percentile normopeso

femmina 17 1.708 57 19.53886 29th percentile normopeso

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femmina 16 1.674 50 17.84264 20th percentile normopeso

femmina 16 1.578 64.5 25.90274 73rd percentile sovrappeso

femmina 17 1.535 54 22.91802 58th percentile normopeso

femmina 16 1.543 79 33.18144 92nd percentile obeso

femmina 16 1.646 51 18.82394 27th percentile normopeso

femmina 17 1.596 50 19.62927 33rd percentile normopeso

femmina 16 1.642 51 18.91576 28th percentile normopeso

femmina 17 1.73 57 19.04507 25th percentile normopeso

femmina 17 1.72 50 16.90103 10th percentile sottopeso

femmina 16 1.75 66 21.55102 48th percentile normopeso

femmina 16 1.66 52 18.87066 27th percentile normopeso

femmina 16 1.67 55 19.72104 33rd percentile normopeso

femmina 16 1.634 48 17.97782 22nd percentile normopeso

femmina 16 1.69 46 16.10588 8th percentile sottopeso

maschio 16 1.795 66 20.48401 33rd percentile normopeso

femmina 16 1.53 50 21.35931 52nd percentile normopeso

femmina 17 1.677 65 23.11252 53rd percentile normopeso

maschio 15 1.72 57 19.26717 24th percentile normopeso

maschio 15 1.69 61 21.3578 42nd percentile normopeso

maschio 16 1.815 82 24.89205 69th percentile sovrappeso

femmina 15 1.601 42 16.38576 18th percentile normopeso

femmina 16 1.652 55 20.15313 37th percentile normopeso

femmina 16 1.628 54 20.37441 39th percentile normopeso

femmina 16 1.649 61 22.43306 52nd percentile normopeso

femmina 16 1.67 48 17.21109 16th percentile normopeso

femmina 16 1.639 48 17.8683 21st percentile normopeso

femmina 15 1.568 45 18.30292 32nd percentile normopeso

femmina 15 1.702 48 16.56999 12th percentile normopeso

femmina 15 1.58 61 24.43519 67th percentile sovrappeso

femmina 15 1.6 51 19.92188 40th percentile normopeso

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femmina 15 1.69 52 18.20665 24th percentile normopeso

femmina 17 1.696 64 22.24991 49th percentile normopeso

femmina 16 1.697 55 19.09849 28th percentile normopeso

femmina 16 1.576 52 20.93587 46th percentile normopeso

femmina 16 1.687 51 17.92008 20th percentile normopeso

maschio 15 1.784 54 16.96696 10th percentile normopeso

maschio 16 1.706 55 18.89751 19th percentile normopeso

femmina 16 1.636 52 19.42839 32nd percentile normopeso

femmina 15 1.607 55 21.29761 48th percentile normopeso

femmina 15 1.694 54 18.81772 29th percentile normopeso

femmina 16 1.63 44 16.56065 14th percentile normopeso

maschio 15 1.736 65 21.5682 43rd percentile normopeso

maschio 16 1.69 56 19.60716 25th percentile normopeso

maschio 15 1.614 52 19.96164 35th percentile normopeso

maschio 16 1.65 65 23.87511 61st percentile normopeso

maschio 16 1.79 85 26.52851 78th percentile sovrappeso

maschio 16 1.645 59 21.8032 45th percentile normopeso

maschio 16 1.706 55 18.89751 19th percentile normopeso

maschio 16 1.729 70 23.41575 55th percentile normopeso

maschio 18 1.823 77 23.16954 53rd percentile normopeso

maschio 18 1.74 85 28.07504 81st percentile sovrappeso

maschio 17 1.82 87 26.26494 76th percentile sovrappeso

maschio 16 1.79 76 23.71961 59th percentile normopeso

maschio 17 1.727 60 20.11716 25th percentile normopeso

maschio 16 1.82 67 20.22703 32nd percentile normopeso

maschio 17 1.765 74 23.7543 56th percentile normopeso

maschio 16 1.795 70 21.72547 44th percentile normopeso

maschio 17 1.83 75 22.39541 50th percentile normopeso

maschio 17 1.709 65 22.25508 43rd percentile normopeso

maschio 19 1.81 100 30.5241 90th percentile obeso

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maschio 16 1.74 82 27.08416 80th percentile sovrappeso

maschio 16 1.715 69 23.45961 56th percentile normopeso

femmina 18 1.625 56 21.2071 39th percentile normopeso

femmina 16 1.706 56 19.2411 29th percentile normopeso

femmina 19 1.678 53 18.82313 23rd percentile normopeso

femmina 18 1.573 54 21.8241 47th percentile normopeso

femmina 17 1.49 45 20.26936 48th percentile normopeso

femmina 17 1.6 48 18.75 27th percentile normopeso

femmina 17 1.67 56 20.0796 33rd percentile normopeso

femmina 18 1.685 59 20.78032 35th percentile normopeso

femmina 17 1.705 54 18.57569 22nd percentile normopeso

femmina 17 1.627 61 23.04383 53rd percentile normopeso

femmina 18 1.61 56 21.6041 42nd percentile normopeso

femmina 16 1.74 53 17.50562 16th percentile normopeso

femmina 16 1.604 58 22.54339 53rd percentile normopeso

femmina 17 1.62 51 19.43301 30th percentile normopeso

femmina 18 1.73 70 23.38869 54th percentile normopeso

femmina 18 1.68 58 20.54989 34th percentile normopeso

maschio 16 1.73 54 18.0427 13th percentile normopeso

maschio 16 1.815 66 20.03506 30th percentile normopeso

maschio 16 1.708 50 17.13935 8th percentile normopeso

maschio 16 1.7 65 22.49135 48th percentile normopeso

maschio 17 1.745 68 22.33151 44th percentile normopeso

maschio 17 1.72 68 22.9854 49th percentile normopeso

maschio 17 1.87 67 19.15983 24th percentile normopeso

maschio 16 1.68 60 21.2585 39th percentile normopeso

maschio 17 1.665 54 19.47894 23rd percentile normopeso

maschio 16 1.73 53 17.70858 11th percentile normopeso

maschio 17 1.794 77 23.92466 59th percentile normopeso

maschio 17 1.764 70 22.49577 46th percentile normopeso

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maschio 18 1.66 77 27.9431 82nd percentile sovrappeso

maschio 17 1.893 63 17.58083 16th percentile normopeso

maschio 17 1.82 79 23.84978 60th percentile normopeso

femmina 16 1.597 57 22.34936 53rd percentile normopeso

femmina 16 1.592 49 19.33348 34th percentile normopeso

maschio 15 1.67 67 24.02381 64th percentile sovrappeso

femmina 16 1.76 74.5 24.05088 63rd percentile normopeso

femmina 16 1.63 52 19.57168 33rd percentile normopeso

femmina 15 1.73 61 20.38157 41st percentile normopeso

maschio 15 1.73 62 20.71569 36th percentile normopeso

maschio 15 1.714 56 19.06191 23rd percentile normopeso

maschio 16 1.606 54 20.93643 41st percentile normopeso

femmina 17 1.565 47 19.18974 33rd percentile normopeso

femmina 16 1.575 50 20.15621 41st percentile normopeso

femmina 16 1.63 54 20.32444 38th percentile normopeso

femmina 15 1.68 61 21.61281 49th percentile normopeso

maschio 16 1.72 58 19.60519 24th percentile normopeso

femmina 15 1.572 51 20.63788 46th percentile normopeso

femmina 16 1.595 56 22.01236 51st percentile normopeso

femmina 16 1.695 64 22.27617 51st percentile normopeso

femmina 16 1.686 56 19.7003 33rd percentile normopeso

femmina 16 1.66 63 22.86253 54th percentile normopeso

maschio 16 1.702 57 19.67686 25th percentile normopeso

maschio 16 1.693 63 21.97995 44th percentile normopeso

maschio 15 1.71 78 26.67487 79th percentile sovrappeso

maschio 15 1.738 52 17.21487 10th percentile normopeso

maschio 15 1.66 42 15.24169 2nd percentile sottopeso

femmina 16 1.76 72 23.2438 58th percentile normopeso

femmina 16 1.64 60 22.30815 51st percentile normopeso

maschio 15 1.688 57 20.0046 31st percentile normopeso

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maschio 15 1.6 61 23.82813 66th percentile sovrappeso

femmina 16 1.61 64 24.69041 63rd percentile sovrappeso

femmina 15 1.632 50 18.77283 30th percentile normopeso

femmina 16 1.64 61 22.67995 53rd percentile normopeso

femmina 15 1.543 54 22.68098 60th percentile normopeso

femmina 16 1.67 72 25.81663 69th percentile sovrappeso

femmina 16 1.63 60 22.58271 53rd percentile normopeso

maschio 17 1.74 78 25.76298 70th percentile sovrappeso

maschio 18 1.871 64 18.28237 17th percentile normopeso

femmina 18 1.55 62 25.80645 70th percentile sovrappeso

femmina 17 1.609 58 22.4035 50th percentile normopeso

femmina 17 1.68 56 19.84127 31st percentile normopeso

femmina 17 1.583 48 19.15488 31st percentile normopeso

maschio 17 1.755 70 22.72709 48th percentile normopeso

maschio 17 1.82 62 18.71755 18th percentile normopeso

femmina 17 1.68 54 19.13265 26th percentile normopeso

maschio 17 1.73 57 19.04507 18th percentile normopeso

femmina 18 1.619 52 19.83854 30th percentile normopeso

maschio 17 1.824 81 24.34643 64th percentile normopeso

maschio 17 1.772 63 20.0638 25th percentile normopeso

femmina 18 1.51 44 19.2974 38th percentile normopeso

femmina 17 1.549 56.5 23.54754 60th percentile normopeso

femmina 17 1.677 59 20.97905 39th percentile normopeso

femmina 16 1.657 53 19.30327 30th percentile normopeso

femmina 18 1.57 51 20.69049 40th percentile normopeso

femmina 17 1.73 56 18.71095 23rd percentile normopeso

femmina 18 1.52 53 22.93975 58th percentile normopeso

femmina 17 1.791 64 19.95211 35th percentile normopeso

femmina 17 1.774 62 19.70083 32nd percentile normopeso

femmina 16 1.6 50 19.53125 35th percentile normopeso

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femmina 17 1.62 51 19.43301 30th percentile normopeso

femmina 17 1.712 63 21.49478 44th percentile normopeso

maschio 17 1.785 61 19.14491 20th percentile normopeso

maschio 16 1.63 50 18.81892 22nd percentile normopeso

maschio 18 1.848 75 21.96126 46th percentile normopeso

femmina 16 1.63 59 22.20633 51st percentile normopeso

femmina 16 1.63 54.5 20.51263 40th percentile normopeso

maschio 16 1.81 60 18.31446 17th percentile normopeso

femmina 18 1.704 65 22.38588 47th percentile normopeso

femmina 18 1.614 58 22.26491 47th percentile normopeso

femmina 18 1.742 64 21.09034 39th percentile normopeso

femmina 16 1.57 64 25.96454 74th percentile sovrappeso

femmina 17 1.676 51 18.15608 19th percentile normopeso

femmina 16 1.62 48 18.28989 25th percentile normopeso

femmina 17 1.68 63.5 22.49858 50th percentile normopeso

femmina 17 1.674 50.5 18.02107 19th percentile normopeso

femmina 19 1.74 66 21.79945 46th percentile normopeso

maschio 16 1.776 64 20.29056 30th percentile normopeso

maschio 17 1.785 78 24.48038 62nd percentile normopeso

femmina 17 1.696 57 19.81633 31st percentile normopeso

maschio 18 1.77 74 23.62029 53rd percentile normopeso

femmina 18 1.602 51 19.87216 32nd percentile normopeso

femmina 17 1.61 48 18.5178 25th percentile normopeso

femmina 18 1.712 61.5 20.983 37th percentile normopeso

femmina 18 1.63 77 28.98114 78th percentile obeso

femmina 18 1.625 55 20.8284 37th percentile normopeso

femmina 18 1.67 60 21.51386 41st percentile normopeso

femmina 17 1.613 52 19.9864 34th percentile normopeso

femmina 17 1.69 53 18.55677 22nd percentile normopeso

femmina 18 1.7 57 19.72318 28th percentile normopeso

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femmina 18 1.52 47 20.3428 43rd percentile normopeso

femmina 16 1.562 48 19.67339 39th percentile normopeso

Questionario

Questionario per lavoro di maturità (LAM): Come ti alimenti?

Questo questionario è anonimo. Ho voluto proporvelo per trarre alcuni dati statistici riguardo al comportamento alimentare dei giovani ticinesi prendendo in esame la vostra fascia di età. È molto importante che rispondiate in modo sincero alle domande affinché il mio lavoro di ricerca possa avvalersi della maggiore veridicità possibile.

Ringraziandovi per la collaborazione

Camilla Gallino

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