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26 Claudio Vercelli LE TRAPPOLE SEDUCENTI DEL COMPLOTTISMO Fantasie arbitrarie di facile maneggio Ammoniva nel suo Amleto William Shakespeare, buon conoscitore di cose umane, che: “There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy”. L’invito del Bardo a tenere i piedi per terra (altrimenti si rischia di metterli nei posti più impensati, magari cascando dentro una buca) non sem- bra però trovare troppi riscontri. La propensione a la- sciarsi andare a fantasie arbitrarie, quando si tratta di giudicare gli eventi storici come la cronaca, sembra in- vece essere a tutt’oggi piuttosto diffusa. Si pensi, solo per fare una fugace menzione, alla quantità di ipotesi sull’11 settembre 2001, la tragica vicenda delle Twin Towers, ossia sul fatto che ciò che è successo sia il pro- dotto di un Inside Job, un attentato ordito dagli stessi americani, per potere giustificare le scelte di politica estera poi succedutesi nei mesi e negli anni successivi. Il profluvio di interpretazioni, scatenatosi soprattutto sul Web, oggi il terreno elettivo dei deliri, indica qualcosa di più della sola disposizione alla rielaborazione tanto polemica quanto controfattuale delle vicende quotidia- ne, richiamando semmai il bisogno diffuso di istituire delle narrazioni alternative della storia, così come delle vicende di ogni giorno. Esiste una vera e propria fraseologia di senso comu- ne che rinvia all’automatismo evocativo della cospira- zione. Ed esiste una forma mentis che rende tale atteg- giamento non solo plausibile ma, in certi casi, quasi desiderabile. Infatti, l’evocazione del complotto come meccanismo che alimenterebbe il movimento delle co- se di questo mondo, risponde a due bisogni essenziali: sposta il fuoco dell’attenzione dall’oggetto della discus- sione a un presunto soggetto (nessuna cospirazione è possibile senza una volontà precisa, orientata in tal sen- so), che manipolerebbe i fatti nonché la loro percezio- ne ed elaborazione critica; offre una coerenza e una li- nearità interpretativa a ciò che, altrimenti, rischia di ri- Una o più persone, celate dietro false sembianze o mentite spoglie, sarebbero in grado di orientare il corso della storia

LE TRAPPOLE SEDUCENTI DEL COMPLOTTISMO · Yuri Pavlovich Annenkov, Ritratto dell’artista e fotografo Miron Sherling, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo. manere sospeso nel vuoto,

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Claudio Vercelli

LE TRAPPOLESEDUCENTI DELCOMPLOTTISMO

Fantasie arbitrarie di facile maneggio

Ammoniva nel suo Amleto William Shakespeare,buon conoscitore di cose umane, che: “There are morethings in heaven and earth, Horatio, than are dreamt ofin your philosophy”. L’invito del Bardo a tenere i piediper terra (altrimenti si rischia di metterli nei posti piùimpensati, magari cascando dentro una buca) non sem-bra però trovare troppi riscontri. La propensione a la-sciarsi andare a fantasie arbitrarie, quando si tratta digiudicare gli eventi storici come la cronaca, sembra in-vece essere a tutt’oggi piuttosto diffusa. Si pensi, soloper fare una fugace menzione, alla quantità di ipotesisull’11 settembre 2001, la tragica vicenda delle TwinTowers, ossia sul fatto che ciò che è successo sia il pro-dotto di un Inside Job, un attentato ordito dagli stessiamericani, per potere giustificare le scelte di politicaestera poi succedutesi nei mesi e negli anni successivi. Ilprofluvio di interpretazioni, scatenatosi soprattutto sulWeb, oggi il terreno elettivo dei deliri, indica qualcosa

di più della sola disposizione alla rielaborazione tantopolemica quanto controfattuale delle vicende quotidia-ne, richiamando semmai il bisogno diffuso di istituiredelle narrazioni alternative della storia, così come dellevicende di ogni giorno.

Esiste una vera e propria fraseologia di senso comu-ne che rinvia all’automatismo evocativo della cospira-zione. Ed esiste una forma mentis che rende tale atteg-giamento non solo plausibile ma, in certi casi, quasidesiderabile. Infatti, l’evocazione del complotto comemeccanismo che alimenterebbe il movimento delle co-se di questo mondo, risponde a due bisogni essenziali:sposta il fuoco dell’attenzione dall’oggetto della discus-sione a un presunto soggetto (nessuna cospirazione èpossibile senza una volontà precisa, orientata in tal sen-so), che manipolerebbe i fatti nonché la loro percezio-ne ed elaborazione critica; offre una coerenza e una li-nearità interpretativa a ciò che, altrimenti, rischia di ri-

Una o più persone, celate dietro false sembianzeo mentite spoglie, sarebbero in grado di orientare

il corso della storia

Yuri Pavlovich Annenkov, Ritratto dell’artista e fotografo Miron Sherling, Museo di Stato Russo, San Pietroburgo

manere sospeso nel vuoto, privo di una razionalità chelo giustifichi.

Le due funzioni, alle quali se ne legano altre, cheavremo modo di vedere, sono strettamente interconnes-se. Basti aggiungere, da subito, che l’argomentazionecomplottistica risponde all’esigenza di antropomorfizza-re gli eventi (dietro essi ci sarebbe sempre un’intenzio-nalità umana, quindi ascrivibile ad un essere in carne edossa); di renderli “gestibili”, ovvero prevedibili (secondouna razionalità dove ogni rischio può essere qualificatoe quantificato nonché, in ultima analisi, evitato); di sta-bilire delle causalità dirette, non comprovabili ma spes-so verosimili, che acquietano coloro che le fanno pro-prie, riducendo i margini di incertezza e di impondera-bilità. La teoria del complotto è infatti un pensiero con-chiuso, lineare, fideistico e non confutabile, che attri-buisce la ragione ultima di un fatto, o di una serie dieventi tra di loro interconnessi o concatenati, alla mani-festazione della volontà occulta di una o più persone.Costui o costoro, celati dietro false sembianze o mentitespoglie, sarebbero in grado di orientare il corso dellastoria verso certi esiti, prevedibilmente a proprio favore,giovandosi dell’asimmetria di forze determinata dall’agi-re in maniera non palesata e, quindi, manipolatoria.Così come succede in un gioco truccato, dove uno opiù dei partecipanti bara, avendo una carta nascostanella manica della giacca, da usare al momento giusto.In altri termini, se le regole sono giuste ci sono dei con-correnti così sleali da renderle inoperanti o, comunque,inefficaci.

I partecipanti al complotto sono in genere indicaticome individui che intendono coscientemente alterareil corso delle vicende umane rimanendo nell’ombra oassumendo atteggiamenti ingannevoli, che ne dissimu-lano le reali intenzioni. Il complotto, e la cospirazione,qui usati come sinonimi (anche se non sempre lo sono),rimandano ad un vasto sistema di teorie e di convinci-menti. Essi includono contesti, situazioni, ambiti tra diloro anche molto diversi, con livelli di plausibilità diffe-renti, raccogliendo e coniugando asserzioni radicali edestremamente improbabili, quindi implausibili, a ipote-si verosimili ma sempre e comunque non verificabili.L’atteggiamento complottistico deriva dal ricorso siste-matico a tali teorie. Il senso che si conferisce a questotermine è comunemente dispregiativo. Il complottista èconvinto che i fatti siano il prodotto del dispiegarsi diforze occulte. Alla visibilità di certi eventi (intesi comeeffetto) corrisponderebbe quindi il realizzarsi di una vo-lontà tanto forte quanto invisibile (intesa come causa).Quello che altrimenti potrebbe essere interpretato, e ve-locemente liquidato, come un delirio, a tratti non trop-po dissimile dal cupo solipsismo del paranoico, assume

invece la dimensione della concretezza, quindi dellafungibilità sociale, quando risponde a determinati pre-supposti.

La causalità cospirazionista parte da una premessa,incentivata dal bisogno di interpretare la realtà come fe-nomeno unitario. Per certi aspetti aderisce ad una con-cezione positivista, laddove ritiene che tutto sia conosci-bile e che nulla possa o debba essere affidato al caso. Senella paranoia la percezione della realtà è immediata-mente modificata dall’immaginazione, nel caso delleteorie cospirazioniste il presupposto è l’impossibilità dicogliere il mutamento storico, soprattutto quand’essoprocede come crisi, mettendo quindi in discussioneaspettative e convincimenti consolidati, utilizzando lecategorie concettuali e gli strumenti cognitivi tradizio-nali. Il mondo assume così la natura di ambiente ineffa-bile e ostile. È una sorta di realtà rovesciata, a testa ingiù, dove le cose “non vanno come dovrebbero andare”.Fin qui si è però ancora all’interno di una dimensionedi disagio intellettuale e null’altro. Il salto di qualità av-viene quando ad essere denunciata è l’esistenza di unadimensione parallela, che sarebbe all’origine della situa-zione che si sta vivendo. L’opposizione che viene istitui-ta, ossia tra ciò che si vede (che è reale ma non rispondepiù alle necessità degli individui) e ciò che è nascosto(che è ancora più reale nella proporzione in cui è espres-sione di interessi inconfessabili perché contrari alla co-munità, capaci però di condizionarne i destini), noncorrisponde, come nel caso dei deliri paranoidi, allaperdita del senso della realtà bensì ad una sua ricostru-zione secondo nuove coordinate.

Mentre nella follia individuale prendono spessore ifantasmi e le fantasie della propria mente, del tuttoavulsi, gli uni e le altre, da qualsiasi riscontro con i si-gnificati culturali e i codici collettivi, nel cospirazioni-smo si struttura un pensiero forte, basato sull’enfatizza-zione di singoli elementi empirici e sull’estromissione -o sulla negazione - di quanto invece non corrobori taleobiettivo. Se il paranoico perde i confini, nel caso delleplot theories si vuole invece ricostruirli. La fantasia col-lettiva di una persecuzione consolida i legami tra coloroche si sentono perseguitati, riducendo i margini di in-certezza e di ansia. Si innesca un fenomeno di socializ-zazione e solidarizzazione tra quanti ritengono di averequalcosa da condividere, ossia il senso della perdita edell’ingiustizia subite. In genere, affinché ciò possa ef-fettivamente innescarsi, occorre che vi sia una figura au-torevole, che si investe del ruolo di legittimatore di taliatteggiamenti. È il caso, per intendersi, della Chiesa du-rante il lunghissimo periodo della persecuzione dellestreghe, di una parte delle pubbliche amministrazioni edella politica americana negli anni del maccartismo,

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dello Stato tedesco con le persecuzioni degli ebrei. Inogni manifestazione di delirio cospirazionista necessitaquindi un soggetto collettivo che possa dettare legge,ovvero che abbia una qualche veste di autorità, per faresì che certe credenze, preordinate e preesistenti, da sen-tire diffuso ma non strutturato, si trasformino in atteg-giamenti politici, destinati ad incidere sulla società an-che in maniera durevole.

La questione della legittimazione è quindifondamentale in ogni passaggio del processo cospirazionista.Il quale si interrompe solo nel momento in cui l’avvita-mento a spirale delle sue procedure produce la distruzio-ne di una parte degli stessi legittimatori. È il caso, tra glialtri, della violenza di Stato stalinista contro i comunisti,della ricerca di traditori tra i vertici dell’esercito america-no da parte del senatore Joseph McCarthy, della demo-nologia applicata contro gli stessi inquisitori delle streghe:in tutte queste circostanze, l’avvilupparsi delle ossessioninon risponde più all’esigenza di governare l’angoscia, sem-mai producendone di nuova. Inoltre, minando le basistesse della credibilità delle istituzioni e dei soggetti che sisono valsi dei benefici che derivavano dall’alimentare talemeccanismo, diventa pericolosamente disfunzionale. Aquel punto, il processo di solidarizzazione, che aveva faci-litato, viene meno e il sospetto, nella sua sistematicità, di-venta tale da rischiare di rompere la coesione sociale.

Chi si avvale di una visione complottista ritiene che esi-sta un compito essenziale da assolvere, quello di smasche-rare i disegni di coloro che tirerebbero i sottili fili di una tra-ma, dentro la quale gli individui ingenui, poiché incon-sapevoli, rischierebbero altrimenti di rimanere prigionie-ri, così come l’insetto nella tela del ragno. Ne deriva che lalettura dei processi storici e sociali in chiave dicotomica (vi-sibile/invisibile) e moralista (bene/male) è un asse centra-le del processo di autolegittimazione della cospirazione.L’autoreferenzialità del discorso si spinge al punto di con-validare da sé ogni suo aspetto retorico, sostituendo alla lo-gica della probabilità la certezza dell’assiomaticità. Ancheper questa ragione il complotto è dotato, nella sua funzionefalsamente euristica, di un alto tasso di plausibilità. C’è chiha osservato che: “La forma specifica di ‘irrazionalità’ checaratterizza le teorie cospiratorie è dotata di una peculia-re logica altamente razionale e operativa. In effetti le teo-rie cospiratorie non possono venir confutate scientifica-mente. Esse non soltanto sono coerenti dal punto di vistalogico, ma possono anche essere dotate di tutti quegli at-tributi che caratterizzano un paradigma scientifico” (Ciuffo-letti, 1993). La teoria del complotto è parte di quel più ge-nerale fenomeno, lo scientismo, di cui si nutrono fenomeni

politici contemporanei che assumono aspetti della razio-nalità vigente trasfondendoli all’interno di un processomentale fideistico. Non è quindi oppositiva ai sistemi di go-verno delle società di massa, semmai costituendone unaspetto significativo laddove questi ricorrono abitual-mente – come nel caso dei totalitarismi – alla dicotomiz-zazione amico/nemico e alla manicheizzazione sistemati-ca dei giudizi. Forme all’apparenza arretrate, se non bar-bariche, di valutazione pregiudiziosa della complessità so-ciale, possono benissimo incontrarsi con il ricorso a raffi-nate tecniche di gestione del mutamento storico. I fascismisi sono abbondantemente incaricati di dimostrarlo.

Parrà a certuni inverosimile, ma è senz’altro appropria-to affermare che viviamo un’epoca di “dibattito politico sen-za comunicazione”. Così si era espresso, già più di vent’an-ni fa, il sociologo Albert Hirschman e l’evoluzione delle co-se sembra sempre e solo confermare questa condizione. Cheè poi quella della cacofonia, dell’alternarsi e del sovrapporsidi una pluralità di suoni indistinguibili, che si fanno poirumori, molto spesso molesti. Non c’è bisogno di scomo-dare la sociologia delle comunicazioni, e men che meno lacibernetica, per sapere che in un insieme di sistemi com-plessi, quali sono quelli in cui ognuno di noi vive simul-taneamente, l’eccesso di informazioni e di messaggi inge-nera prima il disorientamento e poi lo sconcerto, in formadi dissonanza cognitiva. In altre parole, alle premesse sem-brano non seguire i debiti effetti, e ciò ingenera nelle per-sone una sgradevolissima sensazione di spiazzamento, al-la quale quasi sempre si accompagna il timore di essere piùfragili, se non altro perché non si hanno gli strumenti percapire il senso di ciò che sta capitando. L’insieme delle co-se, nella loro incomprensibilità, ci paiono quindi assomi-gliare ad uno specchio infranto, nel quale ognuno di noicerca inutilmente di raffigurarsi senza riuscire a riconoscerela sua fisionomia. Non c’è nulla di peggio del dovere viveresenza riuscire a darsi una ragione compiuta, lineare diquanto ci sta avvenendo. Poiché è allora che subentra il ti-more di essere nelle mani di forze tanto impalpabili e im-perscrutabili quanto potenti e, fors’anche, devastanti. Lapercezione di essere fatto oggetto di un’immeritata espro-priazione accompagna l’uomo contemporaneo. Ne costi-tuisce, almeno dalla Rivoluzione francese in poi, l’ontologianegativa, la cifra capovolta dell’emancipazione. Se c’è unnesso tra rivoluzione, come mobilitazione cosciente diuna collettività, e mutamento, come cifra del tempo odier-no, questo è dato dalla difficile dialettica tra il desiderio d’es-sere protagonisti della propria storia, che l’età rivoluzionariainaugura, e la sensazione di non esserne capaci poiché im-pediti da forze occulte. Il complotto lega, nel senso che con-nette, questi due distinti livelli della coscienza di sé dei mo-derni. Da questo punto di vista non può essere liquidatotanto facilmente, come se ci si trovasse al cospetto di un re-

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siduo del passato. È senz’altro vero che la retorica della co-spirazione ai propri danni si alimenta della fantasia di unparadiso perduto, quello dell’Ancien Régime. Come tale,rimanda anche alla nostalgia per un mondo che non c’è piùe che, qualora fosse ricostituito, risarcirebbe gli uomini del-la perdita di ruolo (e di status, per i ceti più elevati) subi-ta a causa dei rivolgimenti rivoluzionari trascorsi. È la re-torica dell’Eden negato, di una mitica età aurea, da recu-perare fermando la storia, per definizione luogo della de-cadenza e della corruzione e quindi sentina delle peggio-ri nequizie, di contro alla “purezza”, alla “genuinità” e al-la cristallinità dei rapporti umani venuti a mancare.

Questa nostalgia elegiaca, tanto seducente quantofalsa, è l’indice di come la complessità che si accompa-gna alle trasformazioni indotte dalla crescente divisionedel lavoro e dall’evoluzione dei sistemi di produzionemateriale e simbolica, risultino a molti indigesti. Nonsolo a chi perde, con essi, una parte dei privilegi e delleguarentigie che gli erano state garantite, ma anche e so-prattutto a quell’ampia platea di soggetti in condizionesubalterna che vivono con disagio il mutamento. Tra-sformandosi quindi in destinatari elettivi di un’offertadi mobilitazione politica che indica nelle trame occultele ragioni delle loro disgrazie. Ma non è meno vero cheal cospirazionismo, come specifica forma di organizza-zione e di pratica della politica, rimandano anche l’Illu-minismo e, nel secolo successivo, molte delle dinamicherisorgimentali in Europa. Per più aspetti quei criteri diorganizzazione moderna della partecipazione pubblicatrovano in tale dimensione il loro fondamento. Il maz-zinianesimo, così come l’anarchismo, ne sono dueespressioni significative, anticipando una serie di temiimportanti, poi recuperati, sia pure in forme e con mo-dalità diverse, nel Novecento: il partito di quadri,l’azione politica come esercizio consapevole della forza,la comunicazione politica riservata ai soli fiduciari, ilproselitismo sono tutti aspetti che se verranno poi por-tati alla luce del sole, divenendo parte integrantedell’odierno modo di vivere e praticare la democraziapolitica, trovano, ai loro esordi e nei successivi sviluppi,proprio nella dimensione del segreto, ossia del celato,un fondamento imprescindibile. Il raccordo tra il biso-gno di riservatezza, di contiguità e di immediata reci-procità che caratterizza le prime forme moderne di mo-bilitazione politica cosciente, quindi organizzata, con ilconvincimento che qualsiasi mutamento sia possibilesolo attraverso l’azione di forza, di natura cospirazioni-sta, è alla radice dell’adozione del paradigma complotti-sta nella politica contemporanea. Si traduce in un effet-to specchio, dove alla irriducibilità delle istituzioni sicontrappone la impenetrabilità del movimento eversivo.Pensare per complotti serve quindi sia a garantire che a

minare lo status quo.Il cospirazionismo diventa così la secolarizzazione di

credenze antiche, a partire da quella per cui i poteri co-stituiti sono modificabili solo attraverso un’azione tantopervasiva quanto occultata. Poiché il nocciolo dei primi,la loro legittimazione più intima, la sacertà di cui si am-mantano, non riposa in una volontà immanente ma inuna sfera trascendente. La quale, per sua natura, sfuggealla visione diretta, immediata di chi è escluso da essa. Ilcomplotto rimanda quindi a quella sorta di alter egoobbligato che è l’ordine costituito, contro il quale in-tende scagliarsi. Nell’estensione che se ne fa, è l’ordinevigente stesso ad essere il prodotto di una congiura per-manente, quella praticata da chi ha e può contro chi èespropriato a priori di tali facoltà. Non va poi sottovalu-tato un altro aspetto importante, ovvero che il complot-to richiama l’idea di alleanza, ossia di un sistema di ac-cordi consapevoli tra persone che, per il fatto di condi-videre e praticare comuni interessi, si sentono omolo-ghe. D’altro canto, se si osserva l’etimo del sostantivo“cospirazione”, che è il latino conspirare, ci si accorgeràche esso indica una condizione di comunanza, rinvian-do al “respirare insieme”, ovvero allo “sperare insieme”.Alleanza - quindi - tra quanti complottano, ma anche esoprattutto alleanza tra quanti si oppongono a tale atti-vità. Il complottismo crea il senso di un’appartenenzache è suggellata da un falso egualitarismo: quello chederiva dall’idea di possedere qualcosa di comune, dicondividere una consapevolezza, di essere contitolari diun sapere. Il nesso logico, quindi, non è tra complotto edisordine ma tra complotto ed ordine, laddove poi que-st’ultimo termine si connota per gli interessi materiali,concreti che gli ruotano intorno. Il complotto diventaallora la forma clandestina del potere, ossia, weberiana-mente, della capacità di imporre la propria volontà dicontro all’altrui opposizione. Poiché, ci ammonisconotutti i sostenitori delle plot theories, il potere è e rimaneper definizione qualcosa di invisibile nella sua naturapiù autentica. Anche e soprattutto per questo chi ragio-na in tali termini non può che definirsi antinomica-mente rispetto all’impostazione democratica, la quale sibasa, comunque venga declinata, sul presupposto che ilpotere, e quindi i processi decisionali, siano invece visi-bili, riconoscibili, identificabili e quindi, come tali, an-che e soprattutto partecipati liberamente.

Il complottismo si dà come un sistema di razionalità“altra” e al contempo alta. Altra perché sfugge all’empi-ria, alta perché si dota di una coerenza superiore a quel-la che i dati della realtà sensibile, e la loro interpretazio-ne, ci offrono. Trova in sé, pertanto, le sue radici e nonè smentibile con le classiche obiezioni razionalistiche. Ilrischio, altrimenti, è di alimentare, in un gioco di spec-

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chi riflessi, con le stesse argomentazioni razionali, l’at-teggiamento irrazionalistico che lo connota nel suo im-pianto di fondo. Poiché l’aspetto condiviso, dalla fanta-sia complottista così come peraltro dall’ordine materialedelle cose è, in ultima istanza, non la prova della fonda-tezza ragionevole dell’una come dell’altro ma il fatto dicredervi. Si tratta di un atto fideistico, o comunque diuna convenzione, non di un problema di prova e con-troprova. È però in opera, in questo caso, la condizionegià identificata da Karl Popper, quella della non falsifi-cabilità di principio, che destituisce di fondamento epi-stemico il teorema scientista.

A tale riguardo va comunque rilevato chenon tutte le ipotesi fondate sul complotto sono necessa-riamente false. Esse intercettano, a volte, aspetti dellarealtà, che vengono però manipolati all’interno di unacostruzione intellettuale la cui solidità è data dalla suaintima coerenza, a discapito di qualsiasi oggettivo ri-scontro. La struttura logica del complotto è infatti basa-ta sulla dichiarazione di esistenza di una qualche situa-zione indipendentemente dalla sua verifica sperimenta-le. La non osservabilità è imputata alla natura stessa diciò che è oggetto di valutazione. Alle obiezioni di meri-to viene quindi risposto, con un sillogismo, che se si de-nuncia qualcosa di celato è inevitabile faticare a trovar-ne dei precisi riscontri, poiché proprio nella non visibi-lità, nell’omissione, nella sottrazione trova la sua ragiond’essere. Un riscontro emblematico, al riguardo, è ladiffusa e pervicace teoria del complotto sui dischi vo-lanti, attribuito al governo americano: non vi sarebberole prove definitive, inconfutabili perché sarebbero le au-torità stesse ad essersi impegnate a nasconderle. Equand’anche gli archivi governativi fossero consultabili,risulterebbero inattendibili perché privati dei documen-ti più importanti. Ragion per cui, si argomenta in que-sti casi, l’inesistenza di un dato comproverebbe la fon-datezza degli assunti di principio: ovvero, una cosa esi-ste perché non si ha prova di essa. Il paradosso alimentase non la verosimiglianza quanto meno la seduzione ditali affermazioni, basate sull’autoriscontro.

D’altro canto, nella costruzione di paradigmi cospi-razionisti si riscontra sempre un’ipertrofia dell’argomen-tazione pseudologica. Di contro agli assunti fideisticipiù elementari, spogliati di qualsiasi costrutto che nonsia la semplice reiterazione del principio che contengo-no, le teorie della cospirazione presentano spesso nonsolo un elevato grado di sofisticazione ma anche un no-tevole apparato motivazionale, ossia un insieme di spe-cificazioni a supporto della tesi centrale. Ciò facendo,

corroborano circolarmente l’assunto di base. Sono so-stegni ad hoc, ipotesi che ne fanno da puntello. La ratiointrinseca di questo agire è il proteggere quella che altri-menti potrebbe rivelarsi per ciò che in effetti è, una fan-tasia o un’idea senza fatti, spostando quindi l’assedell’attenzione sullo sforzo argomentativo, che dovreb-be comprovare di per sé la bontà scientifica dell’assuntoprincipale. Il vero obiettivo di tale prassi pseudoscienti-fica, che va a ricalco della metodologia scientifica scim-miottandone più aspetti, non è il comprovare qualcosa– di per sé incomprovabile – ma il consolidare il dubbiotra gli osservatori e gli astanti, sulla bontà e la credibilitàdi chi denuncia l’inconsistenza e l’impostura del com-plottismo. Si tratta di un’ossessione calcolata, in buonasostanza, che si nutre degli stessi elementi della scienza.Diventa quindi impossibile smontare le affermazionicomplottistiche, quanto meno quelle più raffinate.Queste condividono con l’ordine costituito dei fatti, inuna sorta di reciprocità capovolta, un fondamento basi-co che, nel loro caso, è però di natura mitica. Tale fon-damento afferma che nulla è casuale, tutto deve inveceessere considerato causale. “Dal punto di vista struttura-le le teorie cospiratorie si lasciano ricondurre ad imma-gini del modo manichee di ‘infanzia cosmica’ (Erik H.Erikson). Esse pertanto consentono di individuare ine-quivocabilmente il responsabile di uno stato di fattoconsiderato come fatalità, sventura, devianza rispetto al-la via ‘giusta’” (Groh, 1992).

Nel caso del complotto l’agire umano è ricondotto espiegato da una logica paradigmatica ferrea e inossidabi-le, dove all’azione cosciente e misurabile, al confrontotra forze ed interessi variamente identificabili ma co-munque storicamente tangibili, si sostituisce, in quantoindice univoco della lettura del trascorrere del tempo,l’ossessione per l’esistenza e l’operare di un meccanismoocculto, la cui volontà condizionerebbe il tempo e adesso conferirebbe addirittura il suo senso ultimo. Unavolontà tanto oscura quanto capricciosa si adopererebbenella storia. Un dio imperscrutabile, la cui forma laiciz-zata, ma non per questo meno superstiziosa, riposereb-be nella volontà occulta dei “poteri forti”, che tirerebbe-ro i fili del destino collettivo. Quanto questo modo dipensare le cose abbia da condividere con il teismo degliantichi è cosa immediatamente evidente. Se quest’ulti-mo era però funzionale ad atteggiamenti fatalistici, dovesolo la sfida dell’eroe individuale poteva sbrecciare la te-la di divinità incostanti e malevoli ma pervicaci, l’atteg-giamento scettico del complottista demanda invece allapresa di coscienza collettiva. Da quest’ultimo punto divista, ossia per il suo rivolgersi a collettività mobilitabili,coalizzabili verso obiettivi comuni, la teoria del com-plotto è intrinsecamente moderna. Si confronta, infatti,

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non solo con la secolarizzazione delle superstizioni reli-giose, ma anche e soprattutto con le forme di specializ-zazione dell’organizzazione della politica nell’età delconsenso e della partecipazione di massa, così come conla questione, in sé capitale, della comunicazione collet-tiva, della trasmissione accelerata di informazioni, dellastrutturazione di giudizi di senso comune.

Gli elementi comuni alle teorie del complotto sonoriconducibili a quattro fattori principali. Il primo di essiè la deliberata sottovalutazione della complessità delprocesso storico. In genere, nel meccanismo d’imputa-zione complottistica opera il criterio della decontestua-lizzazione dei singoli fatti, che vengono eletti a indiceassoluto di una situazione generalizzabile. Le connessio-ni che essi intrattengono con altri eventi sono cancella-te, non importa quanto coscientemente. A quest’ultimoriguardo, infatti, va sottolineato che oltre a una mani-polazione, o a una mistificazione consapevole, può af-fiancarsi e sovrapporsi un vero e proprio autoinganno.Chi denuncia il complotto si convince, se già non lo è,che la storia funzioni secondo questo criterio. La logica,la coerenza, la causalità e l’esplicatività della plot theory èsempre superiore a qualsiasi riscontro di realtà semplice-mente perché cerca di colonizzare quest’ultima con lapropria logica argomentativa. Un secondo elemento è laferrea convinzione che le conseguenze dell’azione possa-no essere imputate direttamente e linearmente ad un’in-tenzione (o ad un agire intenzionato). La causalità com-plessa dei processi viene deliberatamente interrotta, enegata, a favore di una lettura immediata, semplificato-ria, pavloviana, per cui ad azione corrisponde reazione.E ad ogni azione corrisponde un’intenzione. Ne derivail convincimento, ed è il terzo fattore da prendere inconsiderazione, che gli attori abbiano un elevato gradodi controllo sulle loro azioni e, di riflesso, sugli eventi.

Come ebbe a notare François Furet, riguardo allecomplesse e contraddittorie dinamiche della Rivoluzio-ne francese, il fatto assume una fisionomia umana poi-ché porta con sé l’impronta di una strenua volontà per-sonale. Questo volere-potere è in realtà una pantomimadei reali rapporti di forza, ovvero della consapevolezzadell’asimmetria che vige nell’area pubblica tra individuie coalizioni che presentano capacità performative pro-porzionali alle risorse di cui dispongono. L’attribuzioneai propri avversari di una forza spropositata, vincolatada una volontà malevola, ossia all’intenzione di usarlacontro gli interessi altrui e in maniera subdola e occul-tata, arrecando il maggiore danno possibile, è il simula-cro della denuncia delle diseguaglianze. Si dice quindiche ad esse può essere apportato rimedio con un’azionedi pari intensità ma di segno contrario a quella messa incampo da chi sta complottando. L’ultimo elemento da

considerare è la connessione tra due o più fatti median-te un rapporto causale forte. La coerenza interna delteorema complottistico deve svellere ogni forma di me-diazione, a partire dal pluralismo degli eventi e degli at-tori, stabilendo nessi diretti o, al limite, quand’essi nondovessero darsi, inventandoli di sana pianta. L’antisemi-tismo è l’idealtipo di questa stratificata costruzionementale. A tale impianto si può contrapporre la rifles-sione di Dieter Groh quando afferma che “sono gli uo-mini stessi a fare la storia, ma quel che consegue dal lo-ro fare non è la loro storia, nel senso dell’intenzionalitàdelle azioni. In altri termini: soggetto di riferimento esoggetto di azione non coincidono. Se ciò è vero, alloragli uomini possono appropriarsi della ‘loro’ storia solomediante ‘atti di autoinvestitura retorica’ [...]. Le storiesono processi che non si piegano alla ragione intenzio-nale degli attori; sono processi senza soggetto d’azione,il che significa che noi non siamo i soggetti d’azione diquanto ci accade; perché il processo storico produce si-stemi complessi, i quali, per definizione, non sono a di-sposizione del soggetto agente. Per una ragione struttu-rale, pertanto, la storia non contempla nessun soggettod’azione ma solo un solo un soggetto di riferimento”(Groh, 1992).

All’interno della concezione complottistica, basata suuna epistemologia semplificata, e come tale rassicuran-te, si costituisce e si rafforza una visione scandalistica e,quindi, moralista del processo storico. Lo scandalismosta nell’atto stesso della denuncia: la storia è corrottaper definizione, essendo il campo di una manipolazionepermanente e di un occultamento ripetuto. Da ciò nonpuò che derivare sconcerto, indignazione e, per l’ap-punto, scandalo. La storia è pervertita perché promanadal potere, il quale può raccontare se stesso solo alteran-do i dati dell’esperienza sensibile. Il potere è ingiustonella misura in cui rappresenta interessi particolaristici,piegando la volontà comune al servizio di questi ultimi.In prospettiva, è il potere stesso, in quanto tale, ovveroper il fatto stesso di esistere, a costituire un impedimen-to alla piena realizzazione dell’interesse collettivo. Ilmoralismo sta invece nel contrapporre a quella che è vi-sta come una decadenza continua la futura vittoria della“virtù”. La quale non consiste nella conoscenza bensìnella rivelazione, ossia una coscienza ben guidata, rivol-ta all’azione. Si tratta di una precettistica che ha avutomolti addentellati nelle ideologie rivoluzionarie. Poichéessa istituisce una forma astratta di eguaglianza, di cui ilgiacobinismo fu la quintessenza. Essa predica la distru-zione degli interessi particolari attraverso il governounanimistico e plebiscitario, una fittizia trasparenza(che è semplicemente l’escamotage per attribuire ai pro-pri avversari intenzioni malevole riconoscendo a sé la

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volontà di fare luce), un’ossessione per il tradimentoche, invocando la vigilanza, istituisce un sistema imper-meabile di sospetto, delazione e riparazione attraverso larepressione.

Lo stalinismo è, storicamente, la formacompiuta di tale circuito mentale, che riduce le relazioniumane a fenomeni strettamente giudiziari, dove l’unicadinamica possibile è quella tra colpa e punizione. Neifatti il nesso tra complotto e potere è quindi stretto, masecondo una logica che è opposta a quella predicata daicomplottisti: se per costoro si tratta di rivelare il maleche alberga nel potere, per questo, invece, tanto piùquando intenda essere coeso e quindi totalitario, è neces-sario dotarsi del fantasma di un nemico perenne, uncontropotere astratto, pervasivo e impalpabile, dichia-randosi costantemente sotto attacco. In tale modo sipossono giustificare scelte e condotte altrimenti inaccet-tabili. Il complotto, in tale chiave, funge ad una molte-plicità di obiettivi. Il primo è il sospendere la normaledialettica democratica, affermando la retorica di una vo-lontà indivisibile e, come tale, unitaria: qualsiasi cosa siponga contro tale concezione dello stato delle cose, è es-sa stessa espressione di ciò che si intende combattere;ogni manifestazione di differenziazione diventa quindiuna minaccia da eliminare al più presto. Il secondoobiettivo è di destabilizzare i vecchi ordinamenti, legitti-mando il movimento che si muove in tale senso. Ma af-finché si produca l’effetto di mobilitazione collettiva nonbasta solo la promessa di un bene a venire, occorrendosemmai il timore di una minaccia presente e incomben-te. Tale minaccia sarà tanto più avvertita quanto tema-tizzata come qualcosa che nasce da dentro il movimento,intestina alle dinamiche di trasformazione e, come tale,letteralmente da espellere. Il bisogno di purificarsi, ovve-ro di purgare il corpo collettivo, diventa così un obietti-vo prioritario, terzo elemento nella catena di riflessioniche andiamo facendo. E da ciò deriverà anche la procla-mazione di una condizione di eccezione permanente,quella che consegue dalla necessità di sospendere le for-me di organizzazione e di gestione delle relazioni inter-personali e pubbliche attraverso le norme di diritto co-mune, queste ultime dichiarate decadute in ragione dellaloro inadeguatezza non di meno che dell’essere espressio-ne del vecchio, aborrito potere. Le forme grezze ed ele-mentari di egualitarismo rivendicano quindi l’accesso apari opportunità e risorse distruggendo il pluralismo. Lateoria del complotto ne è un contenitore efficace.

L’unica smentita efficace del complotto è il fatto stes-so che non abbia prodotto effetti concreti. Peraltro, i

suoi sostenitori rimangono il più delle volte comunqueconvinti della bontà e della verosimiglianza di quantodenunciato, giacché una delle sue caratteristiche, soprat-tutto dal momento in cui si riveste di significati religiosie teleologici, presentandosi come vera e propria filosofiadella storia, è di segnare una sorta di “tempo dell’avven-to”. La mitologizzazione dei fatti storici, così come la de-nuncia di una congiura dalla cui individuazione ne deri-verebbe la trama e l’ordito, è funzionale ad affermare cheil “vero tempo”, quello della liberazione, dell’emancipa-zione (dalle menzogne altrui, che sono le simboliche ca-tene in cui si trova l’uomo reso schiavo delle circostan-ze), è sempre a venire e mai veramente realizzato. Ilcomplotto assume così una valenza escatologica. La suaratio si pone quindi su un piano non solo diverso macontrapposto a quello della dialogicità e dello scambio.Esso, infatti, istituisce un campo di significati a sé e uncodice per definirne la rilevanza degli oggetti della suaanalisi, offrendo a chi li fa propri un elevato grado dicongruità e coerenza. Tutti elementi che sfuggono però aqualsiasi verifica. Da questo punto di vista, posto ancheche il problema della demarcazione - ossia i criteri perdefinire i confini tra ciò che è scienza e ciò che non lo è -risulta a tutt’oggi per più aspetti irrisolto, continua a co-stituire una sfida per gli ordinamenti democratici. I qua-li non si confrontano sulla distinzione tra vero e falso matra conoscenza reale e cognizione fittizia e, non di meno,tra sapere condiviso e inganno sistematico.

Claudio Vercelli

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