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1 Le tendenze di fondo della finanza globale
Scopo di questa presentazione è duplice. Da un alto, vuole descrivere brevemente
lo scenario della finanza in cui si svolge l’attività di corporate e investment ban-
king. Ciò, al fine di aiutare la comprensione della natura dell’attività stessa, della
sua evoluzione nel tempo, delle sue differenziazioni tra aree economiche e geogra-
fiche, dei fattori determinanti dei suoi cambiamenti strutturali. Dall’altro lato, vuo-
le introdurre nelle linee essenziali i temi che sono sviluppati nel volume. Le attività
del corporate e investment banking saranno introdotte con l’intento di indicarne il
contenuto principale, l’approccio metodologico seguito nel lavoro e il filo condut-
tore che lega insieme le diverse parti.
1.1 I mercati finanziari internazionali: lo sviluppo degli anni Novanta
Stati Uniti, Europa e Giappone rappresentano i tre principali poli della finanza inter-
nazionale. Vi trovano sede i mercati più rappresentativi, New York, Londra e Tokio,
quantomeno in termini di volumi trattati, relativamente alle grandi aree di negozia-
zione del capitale azionario, del debito e degli strumenti di gestione dei rischi. Come
si vedrà più avanti, questo dato essenziale avrà bisogno di qualche precisazione per-
ché alcune attività, tra queste la gestione dei rischi, non corrispondono strettamente ai
tre centri finanziari in senso stretto, ma all’area geografica di riferimento.
Complessivamente, tra il 1995 e il 2005, lo stock di securities in circolazione
(azioni e obbligazioni), passa da 45.000 a 102.000 miliardi di dollari. Il rapporto con
il GDP passa da 162 a 230 per cento. I tassi di incremento medi del periodo sono più
alti per i titoli «privati» (+9,4 per cento) rispetto ai titoli governativi (+6,1 per cento)1.
Il peso delle principali categorie di emissioni di conseguenza cambia: il rapporto
azioni/GDP passa da 64 a 98 per cento; quello tra obbligazioni private e GDP passa
da 52 a 80 per cento mentre rimane relativamente stabile il peso dei titoli governativi
(da 46 a 52 per cento).
L’altro dato di fondo da tenere presente è la crescita dei flussi finanziari cross-bor-
der (6.000 miliardi di dollari nel 2005). Il loro tasso di incremento, dagli anni Novan-
ta, è sistematicamente al di sopra di quello delle grandezze reali (+10,7 per cento,
rispetto a +3,5 per cento del GDP e +5,8 per cento del commercio internazionale).
Anche per questa via aumenta il grado di integrazione dei mercati dei capitali nazio-
nali in un «unico» mercato globale.
¨ I mercati azionari
I tre mercati principali rappresentano circa il 70 per cento dei mercati azionari
mondiali. La quota è più o meno invariata tra il 1990 e il 2000, anche se al suo
interno si evidenzia il ridimensionamento di Tokyo (da 31 per cento a 10 per cen-
to), l’ulteriore crescita di New York (da 35 per cento a 49 per cento) e il progressivo
XVIII Introduzione
1 McKinsey Global Institute, Mapping the Global Capital Market, 2007.
maggior peso dell’Europa (da 25 per cento a 30 per cento). Naturalmente, il merca-
to giapponese riflette una lunga fase di debolezza dell’economia, espressa da un
tasso di crescita reale nel decennio al di sotto di quelli europei e americani, e il pro-
gressivo sgonfiamento della bolla dei prezzi azionari, alimentata dalle aspettative
esagerate degli anni Ottanta.
Nel decennio, il valore totale della capitalizzazione di mercato passa da 9.400 a
31.000 miliardi di dollari. L’incremento è rilevante soprattutto tenendo conto della
perdita di Tokyo, il cui indice di borsa, nel decennio si svaluta di oltre il 50 per cento.
La misura della capitalizzazione rispetto al GDP dei paesi di riferimento evidenzia
differenze importanti tra i mercati. In qualche modo, se ne traggono indicazioni circa
la dimensione del mercato, vista in termini di rappresentatività rispetto al peso dell’e-
conomia reale. Anche attraverso questo indicatore, è possibile osservare il ruolo cre-
scente dei mercati azionari all’interno dell’area euro e il declino del mercato di Tok-
yo. L’incremento è particolarmente forte se si considera la seconda metà degli anni
Novanta. Uno degli assunti possibili è che questo dinamismo sia stato favorito dalla
prospettiva della moneta unica2.
Qualche ulteriore elemento di valutazione può essere tratto dai dati relativi al numero
di società quotate. L’incremento più sensibile è quello dei mercati dell’eurozona. La
diminuzione nel caso degli Stati Uniti riflette principalmente operazioni di LBO che si
concludono o con un going private o con acquisizione, o più in generale operazioni di
M&A. I numeri non corrispondono necessariamente a una crescita stabile ed economi-
camente consistente dei mercati. Il fenomeno infatti richiede una valutazione anche al
netto della bolla finanziaria scoppiata nella seconda metà del 2000. Per esempio, solo
sui cosiddetti «nuovi mercati», nel biennio 1999-2000 sono state quotate circa 400
società; di queste, la parte di società del settore ICT è stata importante, come purtroppo
il tasso di fallimento che le ha successivamente caratterizzate.
La rilevanza crescente dei mercati azionari della zona euro è osservabile anche
attraverso i dati sulla dimensione e sullo sviluppo del mercato primario, quindi la
contribuzione al finanziamento delle società quotate. Questo appare dall’osservazio-
ne di diversi indicatori: l’ammontare di fondi raccolto, la percentuale della raccolta
rispetto alla capitalizzazione, la percentuale riferita a IPO.
¨ I mercati obbligazionari
Per quanto riguarda la parte costituita dai titoli di debito pubblico, si osserva ancora
una netta prevalenza quantitativa del mercato americano; mantiene rilievo il mercato
giapponese per un decennio di politica di deficit pendine a sostegno della debolezza
dell’economia; si riduce il peso dell’Europa sotto l’influenza dei vincoli di bilancio
dell’UE. Nel decennio, l’ammontare in circolazione passa da 15.700 a 29.700 miliar-
di di dollari; dunque, un tasso di crescita nettamente al di sotto di quello dei mercati
azionari. Naturalmente bisogna tenere presente che i mercati obbligazionari si misu-
XIXIntroduzione
2 ECB, Euro Equity Markets Report, August 2001.
rano con valori sostanzialmente vicini al nominale dei titoli in circolazione, mentre la
capitalizzazione del borse incorpora l’andamento delle quotazioni.
¨ I mercati dei derivati
Sono i mercati che nel decennio hanno avuto lo sviluppo quantitativo maggiore: limi-
tatamente ai derivati negoziati in borsa l’ammontare degli importi nozionali in circo-
lazione si moltiplica di sei volte, passando da 2.300 a 14.100 miliardi di dollari. Più
difficili sono le stime dei contratti OTC; un’indicazione di massima3 sta nella cifra di
103.900 miliardi di dollari come valore nozionale in essere nel 2000, cioè circa sette
volte l’ammontare dei derivati negoziati. L’incremento della dimensione complessiva
riflette, verosimilmente, diversi fattori tra cui: la grande volatilità dei mercati cash, la
diminuzione di costi di transazione in derivati, la sofisticazione delle tecniche di risk
management. Per quanto riguarda la ripartizione, c’è da osservare che, mentre i mer-
cati americani rafforzano la loro posizione già preminente, l’Europa assume un peso
crescente sostituendo in parte i mercati asiatici.
1.2 L’assestamento dopo la crisi del 2000
Il 2000 è stato un anno di svolta nella situazione dei mercati finanziari. Lo scoppio
della «bolla» tecnologica, l’emergere degli scandali societari negli Stati Uniti e in
Europea, la grave crisi di sfiducia degli investitori hanno contribuito in varia misura a
modificare lo scenario. Gli effetti sono stati aggravati dal permanere di una stasi
sostanziale del ciclo dell’economia reale. Di conseguenza, aree d’attività importanti
dell’investment banking, come M&A e underwriting, si sono ridimensionate in parte
compensate da altri settori di sviluppo. Una breve analisi dei dati può essere utile a
tracciare il quadro di questa fase più recente.
Come si può osservare dalla Fig. 1, dal 2001 all’inizio del 2004, il mercato primario
delle azioni attraversa una fase di stasi che da segni di risveglio negli ultimi trimestri
in corrispondenza della ripresa delle quotazioni. Il valori, peraltro, peraltro largamen-
te concentrati nel mercato americano. Il mercato obbligazionario presenta aspetti
analoghi, con la notazione interessante che una parte dello sviluppo delle emissioni si
concentra nel settore high yeld, negli Stati Uniti.
La Fig. 2 mette in evidenza la dinamica di alcune aree di investment banking; in tutti
e tre i casi, l’anno della crisi segna l’inizio di una fase di ridimensionamento, o
comunque di incertezza. In particolare, si osserva la frenata dell’M&A dopo il picco
del 2000, momento conclusivo di una delle classiche «ondate» che caratterizzano sto-
ricamente queste operazioni. Le stesse operazioni di IPO si ridimensionano significa-
tivamente. Le emissioni obbligazionarie, come si è visto, si stabilizzano, ma dopo un
trend storico di rapidissima crescita.
Un’ulteriore osservazione può essere fatta sui dati della Fig. 3 che misura il volume
XX Introduzione
3 Le statistiche degli strumenti derivati negoziati e di quelli OTC non sono direttamente confrontabili: nel
primo caso si usano valori si flusso, nel secondo valori di stock.
del mercato secondario dei prestiti. La crescita è rapidissima sia negli Stati Uniti, sia
in Europea. Il fenomeno ha evidentemente carattere strutturale e si ricollega alla ten-
denza di fondo verso la sempre più stretta integrazione e complementarità tra mercati
creditizi e mercati mobiliari. Si osserverà anche il peso crescente della componente
«prestiti in sofferenza», la cui importanza si accresce dopo lo shock del 2000.
XXIIntroduzione
Fonte: 74ª relazione annualeBanca dei Regolamenti Internazionali, , p. 138
Figura 2 Indicatori dell’attività di investment banking (in miliardi di dollari)
Fonte: 74ª relazione annualeBanca dei Regolamenti Internazionali, , p. 121
Figura 1 Raccolta nei mercati di capitali (emissioni lorde, in miliardi di dollari)1
1.3 Alcune tendenze strutturali
¨ La perdita di peso degli intermediari nel controllo dei flussi finanziari
Un fenomeno generalizzato è dato dallo spostamento dei flussi finanziari da strumen-
ti rappresentativi dell’attivo degli intermediari verso strumenti di mercato. La contro-
partita dei prenditori di fondi è quindi rappresentata dall’investimento da parte dei
risparmiatori, sia direttamente, sia tramite i portafogli degli investitori istituzionali. Il
riferimento è naturalmente solo agli strumenti di trasferimento delle risorse finanzia-
rie (azioni, obbligazioni e ibridi) e non agli strumenti derivati.
Per esempio, negli Stati Uniti, nel ventennio 1980-00 la quota di attività finanzia-
rie detenuta dalle banche è passata dal 60 per cento al 32 per cento. Per contro, si è
moltiplicata la quota dei fondi di investimento (dal 4 per cento a 23 per cento), è
aumentata quella dei fondi pensione dal 18 per cento al 25 per cento ed è leggermente
diminuita quella delle assicurazioni (dal 17 per cento al 15 per cento). In corrispon-
denza, la composizione delle attività finanziarie delle famiglie americane si sposta
drasticamente verso gli strumenti di mercato, in particolare, di mercato azionario: cir-
ca i 4/5 (80,4 per cento) è rappresentata da azioni o forme di investimento con una
forte componente azionaria, come quote di fondi comuni e di fondi pensione e riserve
assicurative. Solo il 13,5 per cento è costituito da moneta e depositi.
Più in generale, la perdita di peso degli intermediari finanziari può essere osservata
attraverso l’evoluzione di lungo periodo della struttura finanziaria delle imprese. Si
nota in tutti i paesi un incremento sensibile della componente azionaria; nell’Europa
continentale e Giappone, questo dato è compensato da una corrispondente riduzione
XXII Introduzione
Fonte: 74ª relazione annualeBanca dei Regolamenti Internazionali, , p. 145
Figura 3 Volume del mercato secondario dei crediti
di peso del credito bancario. Complessivamente, i due modelli (anglosassone ed
europeo-giapponese) convergono.
A fronte della perdita di peso degli intermediari finanziari, in particolare delle ban-
che, aumenta la quota controllata dagli investitori istituzionali. Questi ultimi, a loro
volta, accrescono la componente azionaria dei portafogli gestiti. Complessivamente,
si rafforzano i segnali di una crescente rilevanza dei circuiti azionari. Il fenomeno
viene indicato con il termine di equitization4.
In Italia, la quota azionaria degli investitori istituzionali è in crescita (dal 15 al 23
per cento dal 1998 al 2000). Il dato di partenza è tuttavia molto arretrato e la distanza
da colmare, anche rispetto agli altri paesi europei è notevole.
¨ Cosa spiega lo sviluppo dei mercati
Come si può spiegare il ruolo crescente dei circuiti di mercato? Vi sono diverse chiavi
di lettura, in parte sovrapposte.
La prima può essere fatta attraverso il paradigma dello sviluppo finanziario
secondo un «modello a stadi»5: bank oriented phase, market oriented phase, secu-
ritized phase.
Il primo stadio è quello della finanza dominata dalle banche sia nell’intermedia-
zione dei flussi finanziari, sia nelle funzioni di selezione e monitoring. Il secondo sta-
dio si caratterizza per un maggior peso dei mercati cui corrisponde la propensione
delle famiglie a detenere direttamente gli strumenti di mercato e l’emergere del ruolo
degli investitori istituzionali. Lo sviluppo dei mercati è tuttavia ancora incentrato sui
titoli pubblici e su una presenza selettiva, ma in crescita del comparto azionario. Nel
bilancio delle banche si riduce la contribuzione da margine di interesse per il minore
rilievo dei circuiti creditizi.
L’ultimo stadio (securitized phase), cui si avvicinano i casi degli Stati Uniti e del
Regno Unito, rappresenta la situazione in cui la gran parte del finanziamento dei set-
tori finanziario e non-finanziario passa attraverso i mercati finanziari: i corporate
bonds e le commercial papers sostituiscono in parte i prestiti bancari; i prestiti ipote-
cari, il credito al consumo e il credito bancario residuo vengono sempre più portati
sui mercati attraverso la securitization.
In questo quadro, i «circuiti di mercato» (mercati finanziari, con agenzie di rating,
investment banks e investitori istituzionali) svolgono parte delle funzioni che nel pri-
mo stadio sono essenzialmente di pertinenza delle banche specializzate nel lending
(trasferimento delle risorse, selezione e monitoring)6. A questo spostamento di peso
dai circuiti creditizi a quelli di mercato, la parte più dinamica del sistema bancario
reagisce cercando spazio verso le attività di mercato primario e secondario, di advi-
XXIIIIntroduzione
4 Sigma, I centri della finanza mondiale: nuovi orizzonti per i settori assicurativo e bancario. n. 7/20015 T. Rybczynsky, «A New Look at the Evolution of the Financial System», in J. Revell (a cura di), The
Recent Evolution of Financial Systems, Londra, McMillan, 1997.6 P. Davies, B. Steil, Institutional Investors, Boston, MIT Press, 2001.
sory e di asset management. Il conto economico vede prevalere la contribuzione dai
ricavi fee-based.
La seconda chiave di lettura della crescita dei mercati finanziari si basa sulle teorie
che spiegano le scelte di finanziamento delle imprese secondo uno schema basato sul
loro ciclo di vita. Per quest’ultimo aspetto, lo sviluppo dei mercati sarebbe associato
al progressivo consolidamento dimensionale, organizzativo e di mercato. Le banche,
attraverso il credito, sono controparti elettive negli stadi di vita iniziale dell’impresa,
potendo fare valere i vantaggi nella selezione e nel monitoring, oltre all’«assicurazio-
ne di liquidità» per i depositanti. Il ricorso al capitale di rischio comincia a diventare
importante, con la crescita dell’impresa, al fine di rispettare un certo grado di stabilità
della struttura finanziaria. Non si tratta necessariamente di ricorso al mercato attra-
verso la quotazione, ma più spesso di collocamento «privato» in una stretta cerchia
delle famiglie imprenditoriali e di altri portatori di interessi. Lo sviluppo dei corpora-
te bonds è correlato all’affermazione di un’alta reputazione delle società emittenti,
reputazione necessaria per compensare il basso potere di controllo rispetto a banche e
azionisti. Idealmente, gli investitori istituzionali rappresentano la tappa finale di que-
sto ciclo evolutivo. Essi possono fare valere il vantaggio del pooling, della specializ-
zazione nella selezione e nel trading e dell’influenza nel controllo7.
Un commento sul punto «sviluppo dei mercati azionari» può apparire inappropria-
to alla luce della crisi che ha afflitto i mercati azionari mondiali dalla metà del 2000
fino a buona parte del 2003. In realtà non è così: la crescita dei mercati europei ha una
forte componente strutturale, non legata cioè all’onda rialzista della seconda metà
degli anni Novanta. Questa può avere accentuato alcune tendenze, ma rimane, anche
post crisi, una profonda modificazione nelle scelte finanziarie delle famiglie e delle
imprese, espressa dalla quota crescente di investimento e di finanziamento attraverso
il circuito azionario.
Ciò premesso, ci si deve domandare quali fattori abbiano determinato il fenomeno.
Vi sono elementi da considerare sia dal lato della domanda (investitori), sia da quello
dell’offerta (emittenti), oltre che elementi di carattere più generale associati alle con-
dizioni di efficienza e funzionalità dei mercati finanziari.
Nel primo aspetto (domanda), hanno avuto un certo peso:
n in generale, la progressiva maggiore importanza dell’investimento istituzionale
(per sua natura dotato di un vantaggio comparativo rispetto all’investimento
individuale);
n in particolare, l’invecchiamento della popolazione e lo sviluppo delle formule di
previdenza integrativa, tipico segmento di investimento istituzionale;
n la discesa strutturale dei tassi di interesse e, quindi, la ricerca di investimenti alter-
nativi a rendimento atteso più elevato;
n le pressanti campagne di comunicazione a favore dell’investimento azionario indi-
viduale, svolte a sostegno delle grandi operazioni di privatizzazione.
XXIV Introduzione
7 P. Davies, B. Steil, op. cit., p. 26.
Dal punto di vista degli emittenti, alcune delle ragioni del maggior ricorso al capi-
tale di rischio riguardano:
n il basso costo del capitale durante la lunga fase di crescita delle quotazioni;
n i processi di ristrutturazione che hanno toccato profondamente vari settori (TMT –
tecnologia, media e telecomunicazioni, servizi finanziari, utilities ecc.), alla ricer-
ca di competitività in mercati sempre più globali;
n le ristrutturazioni, tramite M&A e LBO, non hanno prodotto solo delisting, ma, più
significativamente, un enorme aumento dei fabbisogni finanziari degli acquirenti;
n la quotazione come passaggio necessario per adottare una corporate governance
basata sui principi della creazione del valore, via pressoché obbligata quindi per le
società con obiettivi di crescita ambiziosi.
1.4 I principali fattori determinanti del nuovo scenario finanziario
Guardando alla trasformazione che i sistemi finanziari hanno avuto negli ultimi dieci
anni, ci si deve domandare quali siano stati i fattori guida, se essi siano destinati a
operare anche nel corso degli anni futuri e se vi siano differenze importanti tra aree
geografiche; in particolare quali siano le specificità del caso europeo. Alcuni di que-
sti fattori sono già emersi nelle considerazioni che precedono come naturali comple-
menti dei cambiamenti osservati. Ora tuttavia, è utile fare un quadro più generale dei
fattori stessi per ricostruire uno schema interpretativo più sistematico e, possibilmen-
te, più significativo.
¨ La rivoluzione nelle tecnologie informatiche e della comunicazione (ICT)
Si può considerare un fattore fondamentale di trasformazione della finanza per diver-
si motivi. Il primo riguarda la formazione della bolla finanziaria della seconda metà
degli anni Novanta che in effetti ha trovato alimento proprio nelle società Internet e di
telecomunicazione. Il secondo è che la tecnologia ha fornito la base per la ristruttura-
zione organizzativa degli intermediari finanziari, per l’emergere di nuovi modelli di
business tra quelli tradizionali, per la nascita di nuove forme di mercato (ETS) e per
l’emergere di nuove figure di intermediario. In parte non secondaria, queste nuove
condizioni sono alla base per l’intensificazione della concorrenza e per il processo di
consolidamento che, negli anni Novanta, è stato spinto dalla ricerca di efficienza e di
ampiezza di offerta.
¨ Globalizzazione della finanza
Solo per un accenno, la crescente integrazione finanziaria tra paesi e aree economi-
che è spinta dall’apertura commerciale, dal peso delle attività sovranazionali e dalle
opportunità della tecnologia e della comunicazione. Ma ci sono in più, elementi
endogeni alla finanza: la finanza «esterna» (attività e passività finanziarie per investi-
menti esteri diretti e di portafoglio) rapportata al GDP, tra il 1981-85 e il 1986-2001,
XXVIntroduzione
aumenta del 77,3 per cento, mentre il commercio aumenta del 3,9 per cento. (Europe-
an Foundation, 2003, p. 10). Ciò comporta non solo un’una correlazione crescente tra
mercati finanziari, ma un’intensificazione della concorrenza e un’esposizione più
forte ai rischi sistemici.
¨ Il mercato unico dei servizi finanziari e l’euro
Il mercato unico ha un suo percorso definito dal Financial Service Action Plan. Il
completamento del processo previsto dal Piano è destinato a rendere più concreto
l’impatto di unificazione prodotto dalla moneta unica. La caduta delle segmenta-
zioni rappresentate dal rischio di cambio si accompagna infatti a un progressivo
livellamento delle regole di funzionamento dei mercati, delle norme di condotta,
dei requisiti dell’informazione e delle norme di corporate governance. Il potenzia-
le insito in una mercato europeo di dimensione pari alla somma dei mercati nazio-
nali si avvicina sempre più alle condizioni necessarie per diventare effettivo. Sono
attesi quindi, e in parte vi sono già stati, impatti importanti sotto forma di maggiore
concorrenza e razionalizzazione o consolidamento dell’attuale assetto dei mercati
e degli intermediari.
¨ Le privatizzazioni
Sono state un evento importante nel determinare la dimensione attuale e la natura del-
l’attività finanziaria. Ne sono derivati, infatti, non solo un allargamento dei mercati
azionari, ma effetti più generali sui comportamenti finanziari. Da un lato, si è raffor-
zato il modello di finanza pubblica «in equilibrio», mentre dall’altro lato, si è diffusa
la scelta dell’investimento azionario anche verso il risparmiatore di massa. Nello
stesso tempo, ne ha tratta ulteriore impulso la tendenza verso l’istituzionalizzazione
del risparmio. Complessivamente, le famiglie sono diventate detentrici di una quota
importante del rischio dell’investimento azionario. In una certa misura, tutto questo
sottintende un certo livello di disintermediazione dei circuiti tradizionali.
¨ Ristrutturazione e concentrazione del sistema finanziario
Diversi punti precedenti si sono segnalati per le condizioni pro-competitive sottostan-
ti. In effetti gli ultimi dieci anni sono stati teatro di un ampio riassetto che ha riguar-
dato in primo luogo i sistemi finanziari nazionali, alla ricerca di un riposizionamento
dimensionale degli intermediari rispetto alla dimensione europea. In secondo luogo,
si è avviato, seppure in misura più contenuta, una fase di ristrutturazione cross-bor-
der, finalizzata a quella che dovrebbe essere la vera nuova dimensione del mercato e
cioè quella europea. In più, la concentrazione ha riguardato anche i mercato azionari,
come nel caso di Euronext, sotto la spinta della concorrenza in termini di efficienza e
di liquidità.
XXVI Introduzione
2 I contenuti essenziali del volume
Come si è detto, il volume si propone di analizzare le principali aree di attività che
caratterizzano gli intermediari finanziari operanti nel corporate banking e nell’inve-
stment banking. Il termine corporate banking è utilizzato per fare riferimento al mer-
cato dei servizi per le imprese, secondo un’accezione comune nelle banche europee e
che comincia a consolidarsi anche nel nostro paese. Con il termine investment ban-
king si vuole invece richiamare lo specifico campo di attività delle grandi investment
banks americane e incentrato, almeno in origine, nei servizi di advisory e di uderwri-
ting. Il duplice riferimento tiene conto del fatto che nessuno dei due termini, indivi-
dualmente, è sufficientemente indicativo dell’insieme dei servizi finanziari nel mer-
cato imprese. Le stesse strutture organizzative delle banche, non solo in Italia, seguo-
no modelli non uniformi in cui corporate e investment si combinano con pesi e
modalità differenti.
Per loro natura, i temi oggetto del volume possono essere esaminati in una duplice
prospettiva. Da un lato, vi è quella del corporate finance, cioè dei soggetti utilizzatori
dei servizi, prospettiva che porta a modellizzare e applicare le varie operazioni nel
quadro delle decisioni strategiche dell’impresa. Dall’altro lato, vi è quello della pro-
duzione e dell’offerta dei servizi finanziari, prospettiva che mette l’enfasi sulle attivi-
tà di corporate e investment banking come area di business all’interno dell’economia
degli intermediari finanziari. Naturalmente, i due lati non sono indipendenti; l’ogget-
to (le operazioni e i servizi) è sempre lo stesso, ma è del tutto diverso compierne un’a-
nalisi economica e osservarne le implicazioni applicative a seconda che si adotti la
visuale del soggetto «produttore» (intermediari finanziari e mercati), piuttosto che
quella dei soggetti «utilizzatori». In questo volume, ci si pone dal primo dei due punti
di vista; le attività e i servizi di corporate e investment banking sono analizzati cioè
come componente dell’economia degli intermediari finanziari.
L’impostazione dei vari contributi ha un taglio essenzialmente applicativo. La
finalità è cioè quella di illustrare «come» le operazioni e le attività sono originate,
definite e realizzate. Ciò porta a privilegiare i principi e le metodologie di analisi e di
valutazione economica e, in parte, i profili tecnici e le modalità con cui si svolgono i
processi operativi. Meno rilevanti restano invece i contenuti di analisi teorica.
Il volume si compone di quattro parti:
1. Il mercato, le istituzioni e gli strumenti;
2. Le attività del mercato dei capitali;
3. I servizi di advisory e le operazioni di riassetto aziendale;
4. Il credito e le attività di finanza strutturata.
La prima parte («Il mercato, le istituzioni e gli strumenti») comprende quattro con-
tributi; sostanzialmente contributi di carattere complementare rispetto ai contenuti
specifici delle attività e delle operazioni. Sono infatti dedicati a un inquadramento del
contesto di mercato e istituzionale in cui si svolge l’attività di corporate e investment
XXVIIIntroduzione
banking e ai metodi di valutazione, cioè alla principale ed essenziale strumentazionetecnica per operare.
Il primo capitolo (S. Caselli, «La struttura del mercato italiano dei servizi di corpo-rate e investment banking») esamina brevemente la struttura finanziaria dell’impresaitaliana e cerca stabilire alcuni nessi interpretativi tra le caratteristiche che essa assu-me e la domanda di servizi finanziari. Si concentra poi sull’analisi della struttura del-l’offerta dei servizi: come cioè si stia trasformando il modello della banca tradiziona-le di fronte all’evoluzione dai circuiti creditizi ai circuiti mobiliari. In Italia questatrasformazione assume un’intensità (almeno nelle aspettative) più forte che altroveper il ritardo con cui il processo è iniziato (e quindi per il gap ancora aperto) e per lapeculiarità del mercato dal lato della domanda. La parte conclusiva si concentra suimodelli organizzativi e sulle principali realtà operative esistenti.
Nel contributo «L’investment banking: origini e sviluppo» (G. Forestieri, Capitolo2), viene svolta una breve analisi descrittiva del modello delle investment banks ame-ricane, per diversi aspetti la punta più avanzata del mercato dei servizi per le impresenella competizione internazionale. Più in generale, si delineano i principali sviluppiche questo modello ha affrontato negli anni più recenti e come questi si confrontinocon altre trasformazioni di vasta portata: negli Stati Uniti, l’interesse sempre piùdiretto delle grandi commercial banks per l’area investment banking; in Europa, ana-logamente, la scelta delle maggiori banche universali (caratterizzate maggiormentedalle attività corporate non di mercato) di considerare prioritaria la conquista di unaposizione forte nella stessa area. Come conseguenza, è in atto una trasformazioneradicale della struttura dell’offerta; i confini delle diverse attività si attenuano e, allostesso modo, si disperde progressivamente il modello originario delle investment
banks. È interessante mettere a confronto lo scenario che va maturando nella partepiù avanzata del mercato con quanto si sta profilando in Italia.
Il terzo capitolo (G. Forestieri e G. Iannotta, «L’attività di investment banking e iproblemi della corporate governance») esamina i temi della corporate governance,essenzialmente per gli aspetti che rilevanti per il funzionamento dei mercati finan-ziari e il disegno delle operazioni societarie. Dopo avere delineato i contenutiessenziali del problema sul piano economico, finanziario e organizzativo, vengonoapprofonditi i problemi dei conflitti di interesse, problemi che sono emersi inmaniera così forte nelle crisi societarie e negli episodi di malfunzionamento delmercato dal 2001 in avanti.
Il quarto capitolo (V. Lazzari, «La valutazione delle aziende») presenta una ras-segna dei principali metodi utilizzati nella prassi finanziaria. Il presupposto di que-sto contributo sta nel fatto che tutte le attività di corporate e investment banking
sono caratterizzate da un processo di lavoro in cui la valutazione (di aziende, diassets, di strumenti) ha un ruolo critico. Questo accade in modo evidente nel-l’M&A, nelle ristrutturazioni aziendali, nelle emissioni azionarie, negli investi-menti in società non quotate. Lo ha tuttavia anche in tutte le operazioni legate aldebito, sia per la parte rivolta al mercato, sia per quella non di mercato e per quellastrutturata. Il capitolo, dopo aver definito cosa si debba intendere per «valore del-l’azienda» e quali siano le determinanti, è incentrato sulla presentazione dei diversi
XXVIII Introduzione
metodi di valutazione. In questo ambito, vengono esaminati il metodo finanziario
(con i relativi problemi di stima in sede applicativa, il metodo patrimoniale, i meto-
di misti che adottano elementi di entrambi, il metodo dei multipli che si distingue
per la sua natura empirica. La parte finale segnala i problemi di valutazione che
caratterizzano le imprese della new economy, imprese cioè che hanno un valore
immateriale molto importante, mancano di un track record, si inseriscono in mer-
cati innovativi di cui non sono del tutto chiare le dinamiche competitive e si avval-
gono di risorse prevalentemente firm-specific.
La seconda parte («Le attività sul mercato dei capitali») raccoglie i contributi
che trattano le operazioni di provvista di fondi sul mercato. La successione segue
una logica che si ispira allo sviluppo della finanza aziendale nell’ambito di un’ide-
ale ciclo di vita dell’impresa. Si comincia quindi con due contributi di C. Zara
(«L’attività di private equity», Capitolo 5, e «L’attività di venture capital», Capito-
lo 6) in cui vengono esaminati gli interventi nel capitale di rischio tipici delle fasi
di primo sviluppo delle imprese. l primo di questi si occupa appunto del mercato
del private equity in Italia o, come più spesso viene definita, dell’attività di mer-
chant banking. Esamina dapprima le diverse grandi tipologie di investimenti azio-
nari, in base alle caratteristiche settoriali delle imprese, all’origine e alle finalità
delle operazioni allo stadio di sviluppo aziendale in cui si colloca l’operazione. La
parte centrale del lavoro è dedicata a una rassegna dei criteri di selezione degli
investimenti e alla descrizione del processo di negoziazione. La conclusione è
dedicata all’analisi delle caratteristiche economiche e organizzative degli interme-
diari attivi in questo mercato. Il secondo è di carattere più specifico e affronta il
tema del capitale di rischio nelle imprese caratterizzate da innovazione tecnologi-
ca. L’analisi si sviluppa in uno schema che assume il ciclo di vita dell’impresa dalla
nascita, allo sviluppo e al consolidamento. In particolare, vengono poi approfondi-
te le connotazioni particolari che gli approcci di valutazione assumono, dati la
natura degli investimenti e il livello di rischio.
Nel terzo contributo (V. Lazzari e M. Fumagalli, «Gli intermediari finanziari e la
quotazione delle imprese», Capitolo 7), viene presentata una analisi delle tappe
fondamentali del percorso che le società compiono in fase di quotazione. Diversi
passaggi tecnici come quelli della scelta del mercato e degli investitori, della fissa-
zione del prezzo di collocamento, della ripartizione dei rischi del collocamento,
dell’esecuzione del placement sono strettamente legati alle competenze specifiche
degli intermediari che si specializzano nell’underwriting. Il capitolo adotta proprio
questa chiave di lettura. Risultano così particolarmente approfonditi i punti relativi
alla valutazione, alla strutturazione dell’operazione e alla messa a punto del sinda-
cato di collocamento. La conclusione è dedicata a una analisi delle implicazioni
che derivano all’equilibrio economico degli intermediari dalla partecipazione a
questa attività.
Nel Capitolo 8, M. Geranio e G. Zanotti trattano le operazioni sul mercato del
debito, distinguendo tra corporate bonds e prestiti sindacati. Nel primo caso, si
traccia un quadro evolutivo del mercato per incentrarsi, poi, sulle tecniche di emis-
sione e sul pricing dei titoli. Nel secondo caso, l’esame parte ancora dall’evoluzio-
XXIXIntroduzione
ne del mercato per approfondire in seguito la struttura tecnica del prestito e l’orga-
nizzazione del sindacato. Per entrambe le fattispecie, viene svolta una analisi della
struttura delle commissioni e, quindi, del contributo all’equilibrio economico degli
intermediari.
La seconda parte si conclude con il contributo sul mezzanine finance (Sironi e
Iannotta, Capitolo 9), cioè delle operazioni di finanziamento che si basano su una
formula intermedia tra capitale di rischio e capitale di debito (senior). Le compo-
nenti base dell’operazione sono un contratto di debito subordinato (rispetto ai dirit-
ti dei creditori senior) e un equity kicker, cioè uno strumento (warrant, opzione
call) che consente al finanziatore di partecipare agli incrementi di valore del capi-
tale azionario nei casi di successo. Come soluzione intermedia tra capitale e debito
può essere visto come una modalità attraverso cui possono essere definite, di volta
in volta, combinazioni diverse rischio/rendimento, corrispondenti alle preferenze
delle società emittenti, degli azionisti di questa, degli investitori. In questo aspetto
si evidenzia la caratteristica di flessibilità (nel montaggio delle varie componenti)
che ne rende appropriato l’utilizzo soprattutto nelle operazioni ad alto rischio
(LBO, per esempio).
La terza parte del volume è dedicata alle «Attività di advisory e alle operazioni di
riassetto aziendale». Si affronta dapprima il tema delle operazioni di M&A, con due
distinti contributi: il primo è dedicato alle attività di ristrutturazione in senso ampio e
di cui l’M&A è una delle componenti fondamentali (Capizzi, «Le attività e i servizi
originati dalle operazioni di ristrutturazione e riassetto societari», Capitolo 10). Ne
risulta, dapprima, una classificazione delle principali tipologie operative (fusioni,
scorpori, conferimenti, scissioni, carve-out); successivamente una analisi dei servizi
svolti dagli intermediari nel processo di lavoro dei deals. Quest’ultimo tema è affron-
tato essenzialmente in termini di risorse, competenze a profili organizzativi necessari
per operare. Il secondo approfondisce invece l’organizzazione e lo svolgimento dei
deals e le relative fasi critiche, dalla valutazione, alla definizione delle forme di
pagamento e di finanziamento. (V. Capizzi, «Gli intermediari finanziari e i servizi a
supporto delle acquisizioni aziendali», Capitolo 11).
Il terzo contributo è quello del leveraged buy-out, (P. Ferrari, Capitolo 12) cioè del-
le operazioni che si basano sul principio di realizzare una acquisizione facendo leva
sulla capacità finanziaria della stessa società acquisita (cash flow e/o capacità di inde-
bitamento). L’operazione è articolata su diversi aspetti operativi e può assumere quin-
di notevole complessità: innanzitutto quello del riassetto proprietario dell’impresa
target; in secondo luogo, quello della ristrutturazione aziendale attraverso operazioni
di finanza straordinaria (fusioni, scissioni, scorpori ecc.) finalizzate a fare emergere il
valore economico latente nelle strutture aziendali in essere, in terzo luogo quello del-
la messa a punto delle strutture contrattuali di indebitamento più idonee a massimiz-
zare gli effetti finanziari dell’operazione.
Questo gruppo di contributi si completa con il lavoro dedicato al ruolo delle ban-
che nella ristrutturazione delle imprese in crisi o comunque bisognose di processi di
turn-around (G. Zanotti, Capitolo 13). Il problema ha assunto grande rilievo nella
prima metà degli anni Novanta in coincidenza con la fase acuta che ha colpito le eco-
XXX Introduzione
nomie europee e in misura particolare quella italiana. Com’è comune a tutti gli inter-
venti definiti genericamente di «finanza straordinaria», le attività e i servizi svolti
dagli intermediari nelle crisi aziendali sono caratterizzati da articolazione di contenu-
ti e da complessità procedurale e gestionale. Sotto il primo aspetto, si può ricordare
come la messa a punto di un piano di ristrutturazione tocchi inevitabilmente questioni
di strategia industriale, di formule societarie e fiscali, di scelte finanziarie, di scelte
organizzative e manageriali. Nel secondo aspetto, è importante sottolineare almeno i
profili critici del timing degli interventi e del rapporto tra procedure giudiziarie ed
extra-giudiziarie.
La quarta parte del volume riguarda «Il credito e le attività di finanza strutturata».
In essa, si collocano innanzitutto due contributi in tema di risk management. Il primo
(V. Lazzari, «Il financial risk management come servizio di corporate banking»,
Capitolo 14) tratta dell’intervento degli intermediari a fronte del fabbisogno dell’im-
presa di gestire i rischi finanziari. Questo tipo di intervento può risolversi in un rap-
porto di consulenza, piuttosto che nell’assunzione da parte dell’intermediario di una
posizione di controparte in operazioni di copertura in derivati. In termini di processo
operativo, l’offerta del servizio di risk management comporta per l’intermediario una
azione su più fasi: l’identificazione dei rischi cui l’impresa è esposta, la misurazione
delle esposizioni ai fattori di rischio rilevanti, la definizione del livello di rischio
accettabile per l’impresa, la scelta delle operazioni da compiere per raggiungere il
risultato atteso. Le motivazioni teoriche e le modalità applicative per la messa in
opera di queste quattro fasi sono appunto l’oggetto di questo contributo.
Il secondo (G. Nocera, «Dal financial risk management all’enterprise risk manage-
ment», Capitolo 15) affronta un argomento di importanza crescente nel rapporto tra
imprese e sistema finanziario: quello cioè della progressiva integrazione e interdipen-
denza di diverse tipologie di rischio. Dal lato dell’impresa, questo vuol dire che sono
sempre più inadeguate gli approcci tradizionali che guardano, per compartimenti
separati, rischi puri e rischi finanziari. Dal lato del sistema finanziario, è ormai evi-
dente come le formule finanziarie innovative sviluppino una stretta connessione tra
mercato dei capitale e allocazione dei rischi puri.
Il contributo successivo (Sironi, Capitolo 16) presenta le principali innovazione in
tema di tecniche di misurazione del rischio di credito e della gestione dei portafogli
di crediti. Definisce innanzitutto le componenti del rischio e i relativi metodi di stima
dei singoli crediti e successivamente, esamina il problema del rischio connesso a un
portafoglio di crediti e quindi dei possibili effetti della diversificazione. Questa fase è
del tutto familiare nelle applicazioni ai rischi di mercato; con lo sviluppo delle regole
di Basilea II, tuttavia, è ormai in fase di completo recepimento anche per ciò che
riguarda i rischi creditizi. Sono evidenti le implicazioni positive che ne derivano dal
punto di vista della qualità delle relazioni di clientela (pricing), da quello della cor-
retta allocazione delle risorse (mix settoriale, geografico, dimensionale) e da quello
dell’uso efficiente del capitale proprio disponible della banca.
I capitoli conclusivi sviluppano diversi aspetti riconducibili all’argomento genera-
le della finanza strutturata. il tema prevalente in questo caso sono le operazioni di
debito o come forma diretta di finanziamento, o come sottostante su cui si innestano
XXXIIntroduzione
circuiti mobiliari (securitisation) o emissione di strumenti derivati. Si comincia con
le operazioni di project finance (Gatti, Capitolo 17). In questo caso, tra gli aspetti
fondamentali dell’analisi vi è stato, innanzitutto, quello della strutturazione dell’ope-
razione al fine pervenire all’allocazione appropriata dei rischi del progetto tra i diver-
si soggetti in causa. Il secondo punto chiave è stato quello della definizione della
struttura finanziaria dell’operazione e, in particolare, dei criteri di verifica della fi-
nanziabilità del progetto. Il terzo, infine, è costituito dall’analisi del ruolo degli inter-
mediari nell’organizzazione e nell’esecuzione delle operazioni e delle implicazioni
che derivano sul loro equilibrio economico.
L’argomento successivo (Spotorno, Capitolo 18) è quello della securitisation. La
prima parte si sofferma sui profili tecnici che sono alla base dell’operazione: la scelta
dei crediti da cartolizzare, la costituzione dello special purpose vehicle, il rating, la
definizione del rendimento dei titoli emessi. Il secondo punto approfondisce in parti-
colare la fase di «montaggio» delle operazioni e, quindi, il ruolo degli intermediari
finanziari in questa fase, per quanto attiene in particolare all’arranger. La parte con-
clusiva prende in esame gli aspetti di «arbitraggio» della cartolarizzazione classica e
le opportunità che le cartolarizzazione possono rappresentare per le banche.
Il contributo che segue è dedicato ai credit derivatives (A. Fabbri, Capitolo 19),
cioè di quella particolare categoria di derivati OTC che ha come oggetto il rischio
di credito. In pratica, il contratto prevede che una parte, in genere una banca (acqui-
rente della protezione) sostituisca il rischio di credito relativo a una posizione che
ha nel proprio portafoglio prestiti, con il rischio della controparte venditrice. Que-
st’ultima, invece, (venditore di protezione) riceve un compenso per assumere il
rischio del debitore originario. Si può intuire che attraverso queste operazioni sia
possibile ridefinire il mix di rischi che ogni banca ritiene opportuno mantenere a
proprio carico: trasferendo posizioni nei comparti in cui è sovraesposta e acquisen-
done, eventualmente, dove non ha posizioni. La composizione di portafoglio può
essere quindi ridefinita sul mercato dei derivati, lasciando la politica commerciale
libera di sfruttare le opportunità di mercato; dunque uno strumento di risk manage-
ment che un intermediario può utilizzare per ottimizzare la propria posizione. A
parte ciò, naturalmente, lo sviluppo di questi strumenti può essere visto come
opportunità di avviare una nuova area d’affari.
Un aspetto strettamente collegato e che viene affrontato successivamente (A. Fab-
bri, Capitolo 20) è quello della costruzione di cartolarizzazioni sintetiche attraverso
l’utilizzo di credit derivatives. Si tratta di una generazione più recente di cartolarizza-
zione che presenta diversi vantaggi rispetto a quella classica: il fatto che lo sponsor
non deve vendere il proprio attivo; la possibilità di evitare i problemi amministrativi e
legale del trasferimento; la maggiore snellezza della gestione e dell’amministrazione
dell’operazione; la possibilità di effettuare deals di importo consistente, senza dovere
affrontare problemi di liquidità del mercato.
XXXII Introduzione