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LE RADICI DEL PRESENTE On line p. 92, vol. 3 T. CHIAMBERLANDO, Lo specchio dei cieli © SEI 2011 I patimenti come insegnamenti Le sofferenze ci fanno toccare con mano i limiti del nostro essere, della nostra natura. Quando tutto va bene e stiamo bene, noi ci crediamo onnipotenti; noi attribuiamo, sia pure inconscia- mente, a noi tutto quel che abbiamo, e alimentiamo così il nostro orgoglio, la nostra superbia; siamo portati a disprezzare e a imporci agli altri. La sofferenza, la malattia, la morte ci fanno sentire tragicamente che tutto quel che siamo e che abbiamo non ci appartiene, e ci può essere ritirato da un momento all’altro senza che possiamo far nulla con la nostra volontà e il nostro potere per conservarci le ricchezze, la salute, la vita che in quel momento stiamo per perdere. Il dolore ci pone dunque nelle nostre giuste dimensioni. I patimenti aguzzano l’ingegno, stimolano le nostre facoltà, esaltano il nostro sentimento. Noi certamente non avremmo avuto la Divina Commedia se Dante non avesse tanto sofferto; non avremmo avuto le sinfonie immortali di Beethoven se quel genio non si fosse affinato e appro- fondito alla prova del dolore. Del resto la storia è lì a documentare che i popoli crebbero e si svi- lupparono nella civiltà e nel valore finché seppero affrontare difficoltà e fatiche; ma si corruppero e decaddero quando ebbero la vita facile, comoda, piacevole, scevra di rinunzie e di sacrifici. Il dolore che unisce Ancora. Il dolore ci affratella. È un’esperienza che tutti abbiamo fatto. La gente che soffre è unita, la gente che gode si isola. Il piacere e il successo gonfiano, alimentano l’egoismo; il dolore e le infermità ci dispongono all’altruismo. Chi non ha visto soffrire non sa compatire, non conosce il sentimento della pietà, nel significato più grande e umano della parola. Chi non ha mai sofferto è chiuso nel cerchio gelido dei propri interessi, è spiritualmente un sottosviluppato. La socialità, l’unità, la fraternità, tematica tan- to cara alle ideologie e ai propagandisti della nostra era, non comincerà mai a essere realtà fin quando gli uomini non saranno disposti alla tolleranza, alla vicendevole sopportazio- ne, alla generosità, all’altruismo concreto. Cose tutte che richiedono spirito di sacrificio, vale a dire capacità di soffrire. La gente che non è capace di soffrire non è capace di ama- re. (Da G. Albanese, Alla ricerca della fede, Cit- tadella Editrice, Assisi 1984, pp. 113-114-115). Una donna malata di Alzheimer confortata dall’amore e dal sostegno delle figlie. 1 Unità 2 Vivere davvero Il dolore è maestro

LE RADICI DEL PRESENTE p. 92, vol. 3 Il dolore è maestroLe sofferenze ci fanno toccare con mano i limiti del nostro essere, della nostra natura. Quando Quando tutto va bene e stiamo

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I patimenti come insegnamentiLe sofferenze ci fanno toccare con mano i limiti del nostro essere, della nostra natura. Quando tutto va bene e stiamo bene, noi ci crediamo onnipotenti; noi attribuiamo, sia pure inconscia-mente, a noi tutto quel che abbiamo, e alimentiamo così il nostro orgoglio, la nostra superbia; siamo portati a disprezzare e a imporci agli altri. La sofferenza, la malattia, la morte ci fanno sentire tragicamente che tutto quel che siamo e che abbiamo non ci appartiene, e ci può essere ritirato da un momento all’altro senza che possiamo far nulla con la nostra volontà e il nostro potere per conservarci le ricchezze, la salute, la vita che in quel momento stiamo per perdere. Il dolore ci pone dunque nelle nostre giuste dimensioni.I patimenti aguzzano l’ingegno, stimolano le nostre facoltà, esaltano il nostro sentimento. Noi certamente non avremmo avuto la Divina Commedia se Dante non avesse tanto sofferto; non avremmo avuto le sinfonie immortali di Beethoven se quel genio non si fosse affinato e appro-fondito alla prova del dolore. Del resto la storia è lì a documentare che i popoli crebbero e si svi-lupparono nella civiltà e nel valore finché seppero affrontare difficoltà e fatiche; ma si corruppero e decaddero quando ebbero la vita facile, comoda, piacevole, scevra di rinunzie e di sacrifici.

Il dolore che unisceAncora. Il dolore ci affratella. È un’esperienza che tutti abbiamo fatto. La gente che soffre è unita, la gente che gode si isola. Il piacere e il successo gonfiano, alimentano l’egoismo; il dolore e le infermità ci dispongono all’altruismo. Chi non ha visto soffrire non sa compatire, non conosce

il sentimento della pietà, nel significato più grande e umano della parola. Chi non ha mai sofferto è chiuso nel cerchio gelido dei propri interessi, è spiritualmente un sottosviluppato.La socialità, l’unità, la fraternità, tematica tan-to cara alle ideologie e ai propagandisti della nostra era, non comincerà mai a essere realtà fin quando gli uomini non saranno disposti alla tolleranza, alla vicendevole sopportazio-ne, alla generosità, all’altruismo concreto. Cose tutte che richiedono spirito di sacrificio, vale a dire capacità di soffrire. La gente che non è capace di soffrire non è capace di ama-re. (Da G. Albanese, Alla ricerca della fede, Cit-tadella Editrice, Assisi 1984, pp. 113-114-115).

Una donna malata di Alzheimer confortata dall’amoree dal sostegno delle figlie.

1Unità 2 Vivere davvero

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Lo SPECChIo DELLE DISCIPLINE

Tre pittori, il dolore e la “ricerca di senso”

Caspar David Friedrich, Monaco sulla spiaggia, 1809, olio su tela, 110 × 171,5 cm (Berlino, Alte Nationalgalerie).

Il bisogno di trovare il senso del dolore, un buon motivo per combattere; il bisogno di riempire la solitudine e di trovare la “verità” di ciò che accade – delle cause, degli effetti...Le “bufere interiori” dell’adolescenza possono talvolta assomigliare alle atmosfere di opere come quelle che ti presentiamo.

Monaco sulla spiaggiaCaspar David Friedrich (1774-1840), uno dei maggiori esponenti del Romanticismo tedesco, raffigura nelle sue opere il rapporto, esaltante ma tormentoso, con la natura: una natura immensa e sconosciuta, di fronte alla quale l’uomo può solo meditare sulla sua solitudine, sulla sua fragilità. Essa si fa metafora sia della sete umana di infinito che del Mistero, di tutto ciò che non si riesce a comprendere.Nel Romanticismo si esaltano il sentimento, la fantasia, le tradizioni popolari e la ricerca spirituale; accanto all’intimismo, emergono valori corali quali la lotta per la libertà e la de-nuncia degli orrori della guerra. L’espressione artistica rivela in genere, tuttavia, una profon-da mestizia in relazione alla condizione umana; a partire dai primi decenni dell’Ottocento, molti artisti avvertono come gli ideali di uguaglianza della Rivoluzione francese siano falliti; in Europa, i regimi monarchici avviano politiche autoritarie, la rivoluzione industriale deter-mina squilibri sociali...

Caspar David Friedrich (1774-1840), uno dei maggiori esponenti del Romanticismo tedesco,

EDuCAzIONE ARtIStICA

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Testa di Angelo ispirata a Rembrandt Nel 1886 vede la luce in Francia un mo-vimento culturale e artistico di grande importanza: il Simbolismo, tramite cui si rappresenta ciò che può essere intuito, immaginato o sognato e nel cui ambito emerge spesso una ricerca di spiritualità. Il grande Van Gogh (1853-1890) utilizza soprattutto i colori per esprimere senti-menti ed emozioni; nonostante la sola-rità dei soggetti e delle tinte faccia sem-brare le sue tele l’emblema dell’amore per la vita, l’artista olandese comunica invece il suo dramma personale e quel-lo dell’intera umanità attraverso violenti impatti visivi, che evocano la disperata intensità delle passioni.L’“Angelo” è stato dipinto ad Arles, dove l’Autore trascorse gli ultimi anni della sua vita, ricoverato di sua volontà in un ospedale psichiatrico.Esso è al centro del movimento incessan-te del colore e della luce, quasi a rappre-sentare la forza della dimensione sopran-naturale; ha tuttavia una struttura fisica solida, da essere umano, e un volto che potrebbe sembrare mesto e teso, con gli occhi chiusi, quasi concentrato su un do-lore, o su tutti i possibili dolori.“E quando ognuno di noi torna alla vita quotidiana e ai doveri quotidiani, non dimentichiamo che le cose non sono come appaiono, che Dio ci insegna, attraverso le cose della vita quotidiana, le cose più alte, che la nostra vita è un pellegrinaggio e che noi siamo stranieri sulla terra, ma che abbiamo un Dio e un Padre che protegge e custodisce gli stranieri” (V. Van Gogh).

Vincent Van Gogh, Angelo a mezzo busto (da Rembrandt), acquerello, 1889 (Collezione privata).

Nel 1886 vede la luce in Francia un mo

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Il gridoEdvard Munch (1863-1944) è il più importante tra i pittori norvegesi e uno dei principali precursori dell’Espressionismo. Gravi lutti costellarono tutta la sua vita e lo segnarono pro-fondamente; soltanto la pittura lo aiutò ad affrontare l’esistenza (“Io vivo con i miei morti, mia madre, mia sorella, mio padre ...”).Nelle sue opere, cerca di rappresentare il destino umano, tentando di dare risposte esisten-ziali a domande su vita, amore e morte. “La mia pittura è, in realtà, un esame di coscienza e un tentativo di comprendere i miei rapporti con l’esistenza. È, dunque, una forma di egoi-smo, ma spero di riuscire grazie a lei ad aiutare gli altri a vedere chiaro”. Isolatosi sempre più negli anni, Munch dipinse molti autoritratti con lo scopo di mettere a fuoco finalmente la sua stessa persona: ne emerge un uomo desolato, che vive come un fantasma rassegnato tra gli spettri e le ossessioni del passato e di una vita che non ha mai colto nella sua pienezza.

L’artista è stato descritto come un padre della società in cui viviamo, una società ansiosa e che spesso rischia di lasciare chi ci vive solo nei propri problemi ossessivi, una società che rischia di togliere spe-ranza. In Munch, le linee ondulate, i colori accesi, l’onnipresente spettro della violenza simboleggiano il cedi-mento ai fantasmi interiori. Il grido è l’opera più celebre: un grido di dolo-re, terrore, morte. L’uomo che urla è simbolo dell’artista stesso, rap-presentato in maniera visionaria: dall’aspetto molle e sinuoso, richia-ma un ectoplasma, ha la testa calva che ricorda un teschio, lo sguardo allucinato, il naso quasi assente, la bocca che si apre in un innaturale spasmo e che è il vero centro com-positivo del quadro. Si tratta più che altro di un corpo “mentale”, l’urlo mette in movimento l’intera opera agitando sia il corpo che le onde che definiscono cielo e panorama. Si contrappongono impasti cromatici crudi e violenti.“Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò,

il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco, i miei amici con-tinuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura” (E. Munch).

Edvard Munch, Il grido, 1893, tempera e oliosu cartone, 91 × 74 cm (Oslo, Nasjonalgalleriet).

Edvard Munch (1863-1944) è il più importante tra i pittori norvegesi e uno dei principali

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EDuCAzIONE ARtIStICA

Mettiti alla prova Faccio mio il quadro.

• Osserva attentamente i dipinti proposti. L’insegnante di educazione artistica ti po-trà fornire ulteriori dettagli di tipo tecnico, notizie sugli autori e sugli stili. Rispondi alle domande seguenti.

• Quale delle tre opere ti colpisce di più? Perché la definiresti “bella”?

• Quali emozioni e sentimenti evocano in te le opere?

• Quali messaggi cogli, personalmente?

• Avverti in esse, in qualche modo, un collegamento con la “dimensione religiosa”?

Linguaggio non verbale.

A tua scelta, volendo esprimere la ricerca di senso della vita:

• fai un disegno simbolico, utilizzando la tecnica che preferisci;

• oppure, fai una piccola composizione di soggetti simbolici, anche molto comuni (un ragazzo di torino, per esempio, ha abbinato una conchiglia, simbolo dell’infinito-mare e quindi del bisogno di infinito, a una stella di carta costruita da lui, simbolo di trascendenza, di “Cielo” ...);

• scegli un brano musicale, di qualsiasi genere, che sottolinei il messaggio della composizione.

Spiega brevemente, per scritto, il significato simbolico che attribuisci a ciò che hai realizzato. Gli inse-gnanti di educazione artistica e religione potranno organizzare una piccola mostra dei lavori.

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Proponiamo la visione del film Io sono leggenda (2007), diretto da Francis Lawrence, protagonista Will Smith, tratto da un romano di Richard Matheson.

Io sono leggendaVicenda e personaggiSiamo nel 2012. Robert Neville, virologo militare, so-pravvive a una spaventosa epidemia causata dal virus del morbillo, che è stato geneticamente modificato nel tentativo di trovare un rimedio contro il cancro. La maggior parte dell’umanità è morta, comprese la mo-glie e la figlioletta di Robert, molti hanno subito una degenerazione simile a quella provocata dalla rabbia, divenendo i mostri assetati di sangue, senza più nulla di umano, obbligati a vivere nelle tenebre per l’intolle-ranza ai raggi del sole e pronti ad aggredire, nelle città divenute cumuli di macerie, i pochissimi sopravvissuti risultati immuni.In un clima post-apocalittico, Robert vive nella desola-zione di quella che era New York, lotta per sopravvivere procurandosi durante il giorno, quando i mostri non pos-sono uscire dai loro rifugi, cibo e rifornimenti per l’auto, munizioni e tutto ciò che serve per fare della casa in cui vive un rifugio blindato inespugnabile. Nel sotterraneo,

compie esperimenti su cavie infette sperando di trovare un antidoto al virus… Nella sua terribile solitudine è confortato dalla presenza di Sam, il cane della figlioletta, e si abitua a conversare con i manichini di un centro commerciale; ogni giorno, si reca al porto per inviare un messaggio radio che lo metta in contatto con eventuali sopravvissuti. La perdita di Sam, che viene infestata da cani malati e che deve sopprimere, lo getta in una pro-fonda prostrazione; la sua vita, tuttavia, cambia con l’incontro con due superstiti: la giovane Anna e un bimbo. Anna è convinta che Dio abbia salvato Robert per un motivo preciso e pensa che debba unirsi a loro per raggiun-gere una colonia di sopravvissuti nel Vermont, di cui ha notizie; là, il freddo dovrebbe neutralizzare il virus. La situazione precipita quando gli infetti, sempre più agguerriti, riescono a forzare le difese del rifugio di Robert; intanto, egli scopre che una donna-mostro, da lui catturata e curata con il suo vaccino sperimentale, sta dando evidenti segni di miglioramento. Mentre gli infet-ti invadono il laboratorio, Robert affida ad Anna una fiala del sangue della donna: è la speranza di sopravvivenza dell’umanità. Anna e il bimbo riescono a fuggire lungo un cunicolo sotterraneo, grazie a Robert che ferma i mostri con un potente esplosivo, sacrificando consapevolmente la pro-pria vita. Nell’ultimo istante della sua vita, Ro-bert ricorda il gesto della sua bambina quando gli indicava una farfalla. Il film termina con la voce della ragazza, che grazie a Robert ha consegnato il vaccino alla colonia: “Noi siamo il suo lascito, lui è Leggenda… Illumina l’oscurità”.

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Il messaggioCon straordinaria bravura, l’attore Will Smith “buca” lo schermo come personag-gio unico in gran parte di questo film, più psicologico che “dell’orrore” e ricco di situazioni metaforiche che rimandano al significato del dolore umano. Robert non si trova soltanto ad affrontare gravissime difficoltà, nel tentativo di sopravvivere fa-cendo appello al proprio ingegno in mez-zo a tremendi pericoli; egli sperimenta l’abisso della solitudine dopo aver perso la propria famiglia, ogni amico e conoscente; il disastro planetario che il Dio in cui credeva ha permesso gli fa perdere anche la fede. Eppure, stringendo i denti, Robert cerca ostinatamente di fare ancora qualcosa per l’umanità di cui si sente disperatamente ma profondamente parte, cercando di produrre un vaccino. Egli è metafora dell’uomo che vive in un deserto affettivo che ha perso il senso della vita; per lui gli altri divengono “mostri” incapaci di relazione e la vita è un meccanismo da incubo a cui non può sottrarsi… Eppure, non c’è vita che non abbia un senso secondo la giovane Anna, che vive di fede: Dio può permettere, nelle vite indi-viduali come nelle società, terribili prove per nuovi inizi: il senso della vita di Robert diverrà chiaro quando affiderà ad Anna e al bimbo il segreto della sopravvivenza, sacrificandosi perché possano fuggire e ricomin-ciare. La farfalla, mentre l’uomo sta per morire, diviene simbolo di una speranza nata soltanto dall’amore: quello per la famiglia perduta, in qualche modo alimento costante di Robert; quello per l’umanità, nato nonostante tutto dall’orrore stesso della situazione.

Può essere anche simbolo di una fede nuovamente percepita nel momento in cui, forse, Robert comprende di “dover” salvare

la ragazza e il bimbo, che probabilmente non ha incon-trato “per caso”; doveva avere lui, con le sue capacità e le sue caratteristiche, il tempo e le occasioni per trovare l’antidoto che avrebbe donato all’umanità superstite un nuovo inizio; doveva avere l’opportuni-tà di usare la sua libertà e di scegliere se sacrificarsi,

realizzando così pienamente un’esistenza nell’ambi-to, forse, di un Progetto… e divenendo Leggenda.

Lavora sul film Rispondi alle domande e confrontati con i tuoi compagni, poi inventa un racconto.

• Quali sono le caratteristiche psicologiche di Robert, gli aspetti positivi e negativi della sua personalità?

• Quali sono i motivi principali della sua perdita di fede?

• Quali, al contrario, le convinzioni di Anna?

• Secondo te, il dolore umano ha sempre un significato e uno sbocco positivo? Spiega motivando le tue posizioni.

Inventa ora un racconto (realistico, di fantascienza, fantasy…) in cui una grande catastrofe divenga occasione di “nuova nascita” per un individuo o una comunità grazie a scelte altruistiche e coraggiose.

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