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1 LE PROVE NEL PROCESSO CIVILE NELLA DIMENSIONE COMUNITARIA: IL REGOLAMENTO n. 1206/2001 - LE RICADUTE NELL’ORDINAMENTO INTERNO (Regolamento del Consiglio d.d. 28.5.2001, relativo alla cooperazione tra autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale, integralmente applicabile dal 1 gennaio 2004). 1. La “regolamentarizzazione” della cooperazione giudiziaria in materia civile Va premesso sul piano generale che il Trattato di Amsterdam ha trasferito la cooperazione giuridica dal terzo al primo pilastro dell’Unione Europea: in concreto questo significa che una semplice cooperazione governativa in ambito giudiziario viene ad essere convertita in politica comune (NOTA 1: HAUSMANN, La revisione della Convenzione di Bruxelles del 1968, in The European Legal Forum, 2000, 1, 40). Il Trattato CEE, nella sua attuale formulazione, perseguendo lo scopo di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, attribuisce al Consiglio il potere di adottare misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile ( art.61 lett. c). L’art. 65 specifica che tali misure di cooperazione rafforzata , caratterizzate da implicazioni transfrontaliere, riguardano le notificazioni, le rogatorie, il riconoscimento delle sentenze e dei lodi arbitrali (decisioni extragiudiziarie: art. 65, comma 1, lett. a); l’omogeneizzazione delle regole strumentali di diritto internazionale privato ed in materia di giurisdizione; l’omogeneizzazione delle regole processuali dei singoli ordinamenti per eliminare gli ostacoli al corretto svolgimento dei processi civili. Il tutto in chiave strumentale al funzionamento del mercato interno. L’art. 65 funge quindi da norma fondamentale (nei limiti dei principi di sussidiarietà e proporzionalità) per un completo allineamento del diritto internazionale privato e processuale attraverso fonti di diritto secondario degli organi dell’Unione. In questo quadro si inserisce - accanto al Regolamento C/E 1348/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, in vigore dal 31 maggio 2001 (NOTA 2: per un cui commento rinviamo al nostro Prime riflessioni sulla disciplina delle notifiche in materia civile e commerciale nell’Unione Europea in Giust. civ. 2001, 239) ed al Regolamento C/E. n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in vigore dal 1 marzo 2002, quello sulla cooperazione tra Autorità giudiziarie nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.. Per assicurare l’auspicato spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia garantita la libera circolazione delle persone, la Comunità deve adottare, nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, i provvedimenti necessari al corretto funzionamento del mercato interno (primo considerando).. Ciò presuppone, tra l’altro, che fra gli Stati membri sia migliorata, con opportune semplificazione ed accelerazioni, la cooperazione tra Autorità Giudiziarie nel settore dell’assunzione delle prove.

LE PROVE NEL PROCESSO CIVILE NELLA DIMENSIONE … · 2005-07-05 · giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o ... La normativa comunitaria

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LE PROVE NEL PROCESSO CIVILE NELLA DIMENSIONE COMUNITARIA: IL REGOLAMENTO n. 1206/2001 - LE RICADUTE NELL’ORDINAMENTO INTERNO (Regolamento del Consiglio d.d. 28.5.2001, relativo alla cooperazione tra autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale, integralmente applicabile dal 1 gennaio 2004).

1. La “regolamentarizzazione” della cooperazione giudiziaria in materia civile Va premesso sul piano generale che il Trattato di Amsterdam ha trasferito la cooperazione giuridica dal terzo al primo pilastro dell’Unione Europea: in concreto questo significa che una semplice cooperazione governativa in ambito giudiziario viene ad essere convertita in politica comune (NOTA 1: HAUSMANN, La revisione della Convenzione di Bruxelles del 1968, in The European Legal Forum, 2000, 1, 40). Il Trattato CEE, nella sua attuale formulazione, perseguendo lo scopo di creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, attribuisce al Consiglio il potere di adottare misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile ( art.61 lett. c). L’art. 65 specifica che tali misure di cooperazione rafforzata, caratterizzate da implicazioni transfrontaliere, riguardano le notificazioni, le rogatorie, il riconoscimento delle sentenze e dei lodi arbitrali (decisioni extragiudiziarie: art. 65, comma 1, lett. a); l’omogeneizzazione delle regole strumentali di diritto internazionale privato ed in materia di giurisdizione; l’omogeneizzazione delle regole processuali dei singoli ordinamenti per eliminare gli ostacoli al corretto svolgimento dei processi civili. Il tutto in chiave strumentale al funzionamento del mercato interno. L’art. 65 funge quindi da norma fondamentale (nei limiti dei principi di sussidiarietà e proporzionalità) per un completo allineamento del diritto internazionale privato e processuale attraverso fonti di diritto secondario degli organi dell’Unione. In questo quadro si inserisce - accanto al Regolamento C/E 1348/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile e commerciale, in vigore dal 31 maggio 2001 (NOTA 2: per un cui commento rinviamo al nostro Prime riflessioni sulla disciplina delle notifiche in materia civile e commerciale nell’Unione Europea in Giust. civ. 2001, 239) ed al Regolamento C/E. n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in vigore dal 1 marzo 2002, quello sulla cooperazione tra Autorità giudiziarie nel settore dell’assunzione delle prove in materia civile o commerciale.. Per assicurare l’auspicato spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia garantita la libera circolazione delle persone, la Comunità deve adottare, nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile, i provvedimenti necessari al corretto funzionamento del mercato interno (primo considerando).. Ciò presuppone, tra l’altro, che fra gli Stati membri sia migliorata, con opportune semplificazione ed accelerazioni, la cooperazione tra Autorità Giudiziarie nel settore dell’assunzione delle prove.

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Ciò, come accennato, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità di cui all’art. 5 (quinto considerando), il primo concretandosi negli interventi normativi in settori di competenza non esclusiva, allorchè gli obiettivi comuni, nell’insufficienza degli strumenti ordinari, meglio possano essere così realizzati; il secondo segnando il limite dell’azione comunitaria dato dal raggiungimento dell’obiettivo. La cooperazione giudiziaria in materia civile in punto rogatorie comporta una indubbia ricaduta sul nostro sistema processuale, di cui non stravolge certamente le regole, innestandosi tuttavia nel processo e nelle modalità acquisitive di elementi probatori funzionali al al momento cognitivo. In realtà l’”esecuzione di provvedimenti istruttori all’estero” è prevista in linea generale dal nostro codice di rito (art. 204); il nostro Paese ha inoltre aderito a numerose convenzioni internazionali in materia (NOTA 3: fra quelle di maggior rilievo ricordiamo avanti tutto quella dell’Aja del 1.3.1954, plurilaterali, legge 3.1.1957n, 4, nonché la successiva dell’Aja del 18.3.1970, plurilaterale, legge 24.10.1980, n. 745, oltre a numerose bilaterali, che hanno utilizzato come schema la più risalente delle due Convenzioni richiamate); può inoltre darsi che Paesi esteri, ancorché non aderenti, disciplinino tuttavia le rogatorie per loro passive (come avviene nel nostro ordinamento ex art. 69 della legge 31.5.1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (e processuale) (NOTA 3 bis : per il commento rinviamo al nostro Rogatorie attive e passive nella nuova disciplina del diritto internazionale privato e processuale( l. 31.5.1995, n. 218 in La nuova giur, civ,. comm. 1998, 185; per lo specifico riferimento alle convenzioni bilaterali si vedano pagg. 176 ss.). Va sottolineato che il Regolamento esplicita la sua prevalenza sulle convenzioni in tema di assunzione di prove all’estero in materia civile e commerciale (segnatamente quelle dell’Aja del 1974 e del 1970), al tempo steso ammettendo convenzioni successive ulteriormente facilitative, salva comunque la clausola di compatibilità. Le norme regolamentari saranno applicabili a partire dal 1 gennaio 2004; per consentire ciò si era previsto l’immediato vigore degli artt. 19, 21 e 22, per le parti che riguardano adempimenti propedeutici degli Stati e della Commissione In particolare gli Stati dovranno comunicare entro il 1 luglio 2002 le Autorità che assumeranno le prove, con le rispettive competenze territoriali, nonché gli Organi centrali e quelli che autorizzano l’assunzione diretta; entro la stessa data gli Stati comunicheranno notizie circa particolari intese facilitative. Dette informazioni saranno inserite in un manuale a cura della Commissione, che potrà introdurre opportuni aggiornamenti. 2. L’assunzione delle prove all’estero secondo il rito generale La normativa comunitaria s’innesta in un regime generale che, ovviamente, ben conosce l’istituto della rogatoria. L’art. 204 del c.p.c. prevede che - allorchè in una controversia pendente avanti al Giudice italiano, portatrice di elementi di estraneità la prova costituenda di fatti rilevanti ai fini del giudizio debba essere acquisita in un Paese diverso dal nostro -, si farà ricorso allo strumento della rogatoria. Se cose o persone da cui s’intenda trarre elementi funzionali alla soluzione della controversia, a sostegno delle allegazioni delle parti, appartengono a realtà estranee al nostro Paese, ciò comporterà un’inevitabile interferenza ogni qual volta la prova vada assunta all’estero, con ordinamenti diversi, a fronte dei quali lo Stato italiano - per il

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principio della limitazione territoriale della sovranità degli Stati - non può esercitare la propria funzione giurisdizionale in via diretta e coattiva (NOTA 4: l’osservazione è di FUMAGALLI, Conflitti tra giurisdizioni nell’assunzione di prove civili all’estero, CEDAM, 1990, 5-6). Di lì la necessità di avvalersi di forme di collaborazione apprestate dagli Stati nei cui territori la prova, utile alla definizione del giudizio nazionale, debba essere raccolta attraverso meccanismi preordinati d’intesa fra di loro, tali da contemperare la tutela della sovranità dello Stato d'assunzione con le esigenze acquisitive dello Stato del processo. L'assistenza giudiziaria internazionale può essere sia diretta che indiretta, a seconda che lo Stato di essa richiesto metta a disposizione l'attività dei propri organi, ovvero si limiti ad acconsentire che siano quelli dello Stato procedente a svolgerla nel loro territorio. È evidente che i meccanismi e procedure di assistenza giudiziaria convenzionale, definiti con apposite norme di origine pattizia interstatuale, possono essere attivati soltanto se esistono norme processuali interne che autorizzino i giudici a richiedere la cooperazione (ovvero a sperimentare la tolleranza) dello Stato straniero, con espressa attribuzione di rilevanza, ai fini del giudizio nazionale, del materiale probatorio così acquisito (NOTA 5: rileva FUMAGALLI, Conflitti tra giurisdizioni nell'assunzione di prove civili all'estero, cit. in nota 1, 2 l'assenza di norme internazionali di origine consuetudinaria che impongano la prestazione di assistenza attiva o passiva, pur constatandosi che nella pressoché totalità degli ordinamenti giuridici esistono norme interne che regolano, così rendendo possibile e concreta l'assistenza, le rogatorie sia attive che passive. In termini analoghi POCAR, L'assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, CEDAM, 1967, 65). Sarebbe infatti incongruo dar vita ad un meccanismo così complesso, se la sua efficacia potesse essere in qualche modo affievolita per il solo fatto di un'assunzione all'estero della prova, da parte di un'Autorità straniera, secondo regole diverse da quelle nazionali. Nel nostro ordinamento la possibilità di avvalersi dello strumento acquisitivo delle prove all'estero è, come accennato, sancita dalla norma dell'art. 204 cod. proc. civ., che prevede la trasmissione per via diplomatica delle rogatorie dei giudici italiani alle Autorità estere e la delega al console, allorché la rogatoria riguardi cittadini residenti all'estero (NOTA 6: osserva POCAR, L'assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, cit. in nota 5, che in tal modo da una parte si presuppone la possibilità di avvalersi della collaborazione straniera, dall'altra si esclude per implicito che il giudice italiano possa direttamente acquisire prove all’estero, compiendovi atti processuali e quindi di carattere autoritativo, come peraltro sottolineato da CANSACCHI, Nozioni di diritto processuale civile internazionale, Torino, 1970), in presenza altresì della norma di cui all'art. 203 cod. proc. civ. che — nel disciplinare le prove delegate interne — prevede deleghe ai soli giudici, con possibilità di assunzione diretta, ma sempre nell'ambito del territorio nazionale, previa autorizzazione del Presidente del tribunale, sulla concorde richiesta delle parti in causa. Sul piano sistematico, dovrà ancora osservarsi al riguardo che l'art. 204 cod. proc. civ. richiama soltanto gli ultimi tre dei quattro commi dell'articolo precedente - posto a disciplina dell'assunzione dei mezzi di prova al di fuori della circoscrizione del Tribunale - eccettuandone quindi il primo che prevede appunto la delega al giudice locale. Il principio desumibile dal sistema — in tema di poteri processuali del giudice — è quello dell'eccezionalità di un trasferimento al di fuori della sua circoscrizione territoriale, traendosi la regola della rigorosa limitazione dell'esercizio dei poteri suddetti nel ristretto ambito di questa, anche con riferimento al territorio nazionale. Come rilevato (NOTA 7: GROSSI, Rogatoria (diritto processuale civile), voce dell'Enciclopedia del diritto XLI, Giuffrè, 1989) fra i due istituti della rogatoria e della delega le analogie sono meno significative delle divergenze: entrambe costituiscono infatti eccezione al principio processuale

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dell'immediatezza e della concentrazione, che impone al giudice di condurre personalmente l'istruttoria, ma nella prima è insita una necessitata richiesta (rogare significa pregare, domandare) di chi non può procedere a chi, invece, è autonomamente dotato dei relativi poteri; nella seconda chi potrebbe procedere direttamente preferisce, con scelta discrezionale, incaricare il corrispondente, con spostamento temporaneo di competenza. L'unico mezzo offerto al giudice per l'assunzione di prove all'estero è quindi la rogatoria internazionale, definita (NOTA 8: VITTA, Corso di diritto internazionale privato e processuale, UTET, 1976, 70) quale richiesta rivolta da un giudice di uno Stato a quello di un altro Stato di acquisire al processo determinati atti istruttori. Con ciò non si opera alcuna attribuzione di competenza al giudice straniero, né alcun potere si aggiunge a quello che l'Autorità estera ha di per sé, ma le si richiede di esercitare i suoi poteri, non già per scopi propri all'ordinamento cui essa appartiene, ma ai fini di un processo instaurato dinanzi ad un giudice italiano (NOTA 9: va peraltro ricordato come, in una visione nazionalprocessualistica SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Giuffrè, 1971, 134, ritenga invece che attraverso la rogatoria si opera una vera e propria attribuzione di competenza al giudice straniero fondata o su di una norma interna dell'ordinamento straniero che consente la rogatoria, o su un obbligo di carattere internazionale”; MORELLI, Diritto processuale civile internazionale, CEDAM, 1954, 24, afferma per contro, in un'ottica più marcatamente internazionalistica, che la commissione rogatoria nulla aggiunge ai poteri propri dell'Autorità estera). Che non vi sia attribuzione di poteri da parte dell'Autorità richiedente a quella richiesta appare evidente, sol che si consideri la circostanza che la prima non può esercitare all'estero alcuna attività, quale quella giurisdizionale, implicante l'esercizio di sovranità, e non appare pertanto nella condizione di poter delegare ad altri, peraltro già munito dell'autonomo potere che la sua normativa interna gli conferisce, qualcosa che essa stessa non ha. La stessa terminologia opportunamente distingue fra delega nel territorio e rogatoria fuori dei confini, così sottolineando, anche sul piano meramente lessicale, la diversità dei due concetti: delega dei poteri nel primo caso, invito ad esercitarli nel secondo. Alla differente natura dei due istituti, costituenti entrambi eccezione al principio della concentrazione processuale, appare del tutto coerente una diversità di disciplina. In linea generale si osserva che, in tema di assunzione di mezzi di prova, è data facoltà al giudice di scegliere fra il provocare la comparizione davanti a sé di persone lontane per l'assunzione diretta, ovvero di delegare il giudice lontano, cui le persone stesse siano — invece — vicine. La giurisprudenza ha affermato che il potere di delega si riferisce non soltanto a quei mezzi di prova che è indispensabile espletare al di fuori della circo-scrizione del giudice adito, ma anche a tutti quei mezzi che, pur essendo per loro natura suscettibili di assunzione diretta, il giudice istruttore ritiene, per ragioni di opportunità e di economia, di delegare (NOTA 10: Cass. 23.12.1983, n. 7607 e – da ultimo – Cass. 10.11.1998, n. 11334, hanno ribadito che 1'art. 203 cod. proc. civ. facendo riferimento ai mezzi di prova che debbono assumersi fuori della circoscrizione del tribunale, riserva al potere discrezionale del giudice lo stabilire, per ragioni di economia o di speditezza ovvero di migliore reperimento della prova, se l'assunzione di questa debba avvenire direttamente ovvero per delega. Dal canto loro Cass. 30 gennaio 1968, n. 305 e Cass. 17 gennaio 1969, n. 92 avevano puntualizzato come tale scelta sia di carattere discrezionale e come il giudice possa giovarsi ai fini processuali degli ordinari poteri, colpendo ad esempio con sanzioni pecuniarie e con disposizioni coercitive anche il teste lontano che, notificato, non abbia ritenuto di affrontare il viaggio: art. 255 cod. proc. civ.). Il principio della discrezionalità e quindi della facoltatività del ricorso alla delega da parte del giudice vale per tutti i mezzi istruttori ad eccezione di quelli che, per loro natura, non consentono traslazioni. Così per l'ispezione l'art. 259 cod. proc. civ. dispone che il giudice

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procede in ogni caso personalmente, anche fuori della circoscrizione del Tribunale, essendo in questa ipotesi la delega ammessa solo in casi eccezionali, per impedimento ad allontanarsi dalla sede per esigenze di servizio, con evidente inversione della regola posta dall’art. 203 cod. proc. civ. Nell'ipotesi di delega il giudice titolare del processo, tenuto ad istruirlo personalmente, possiede quindi la discrezionale facoltà, incensurabile in sede di legittimità, valutare le ragioni di opportunità che lo consigliano di delegare ad altri, così spogliandosene settorialmente e per tempo da lui stesso determinato, il compimento dell'atto istruttorio. Così non avviene invece per le rogatorie, cui vi è obbligo di ricorrere senza necessità di sperimentare previamente e con esito negativo la possibilità di assumere direttamente. La giurisprudenza di legittimità (NOTA 11: Cass. 19.12.1993, n. 11446 e, da ultimo, Cass. 28.11.2001, n. 15096) ha infatti affermato che la rogatoria è l'unico necessitato mezzo per l'assunzione di testi residenti alI'estero e che pertanto non vi è alcuna necessità di intimare previamente costoro a comparire avanti al giudice italiano ai fini della rogatoria (NOTA 12: in dottrina POCAR, L'assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, CEDAM 1967, 271-272, così si era espresso: «L'invio di rogatorie alle Autorità estere o ai consoli italiani all'estero costituisce (dunque) la sola possibilità offerta dall'ordinamento interno per l'assunzione di mezzi istruttori in Paese straniero. Il loro impiego deve pertanto essere ritenuto inevitabile ogni qual volta debba procedersi all'esecuzione di un atto istruttorio che non può aver luogo nello Stato; né può ammettersi alcun potere discrezionale in proposito ». Nello stesso senso un'antica sentenza: Cass. 31.7.1939, n. 3017, in Foro it., 1940,1, 6. In tema CAMPEIS - DE PAULI, Obbligatorietà ed officiosità delle rogatorie internazionali, in La nuova giur. civ. comm. 1994, I, 831). In realtà una volta ammessa la prova, ove una sua assunzione da parte del giudice titolare del processo sia obiettivamente impossibile o soggettivamente incoercibile, appare inevitabile il ricorso alla rogatoria. E se ciò sembra senz'altro evidente nell'ipotesi di ammissione di un'ispezione giudiziale da eseguirsi all'estero, dovrà sembrarlo anche in ogni caso di ammissione di prova testimoniale di un soggetto residente all'estero, quanto meno una volta verificata la sua indisponibilità ad aderire spontaneamente all'invito rivoltogli di comparire dinnanzi all'ufficio giudiziario italiano. In entrambi i casi ammettere un mezzo istruttorio per poi non assumerlo equivale, sul piano effettuale, a non ammetterlo affatto, sì da porre una gestione del processo palesemente contraddittoria. Manifestato un positivo apprezzamento in ordine ad ammissibilità e rilevanza del mezzo di prova proposto, e perciò ammesso, se ne impedisce in concreto l'assunzione, venendo così ad annichilire la tutela giurisdizionale richiesta (NOTA: si veda tuttavia Cass. 13.12.1999, n. 13928 che, ai diversi fini della delibabilità della sentenza definitoria di un procedimento straniero, non ha ritenuto integrare la violazione di un principio di ordine pubblico processuale il rifiuto del giudice straniero all’assunzione per rogatoria di taluni testi) .

3. Oggetto della rogatoria: mezzi istruttori e mezzi di prova

Le rogatorie hanno per oggetto i provvedimenti istruttori, per tali intendendosi quelli che dispongono l'assunzione dei mezzi istruttori, finalizzati all'acquisizione al processo dei mezzi di prova. Ne deriva che la rogatoria avrà per scopo l'acquisizione— ad esempio—di un interrogatorio di una parte, di una testimonianza, di un'ispezione dei luoghi, al fine di dare al giudice la cognizione dei fatti che le parti offrono di provare. Oggetto di rogatoria potrà pertanto essere qualsiasi mezzo istruttorio; l'Autorità rogata dal titolare del processo potrà essere richiesta di ordinare al terzo l'esibizione di un documento,

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di richiedere a sua volta alla propria pubblica amministrazione determinate informazioni, di acquisire al processo, ai fini della verificazione della scrittura privata, scritture di comparazione presso depositari pubblici e privati esteri, di assumere l'interrogatorio formale o il giuramento di una parte, di procedere ad ispezioni e esperimenti ecc... Per quanto attiene all'ordine di esibizione di un documento o altra cosa di cui il giudice ritenga necessaria l'acquisizione al processo, quello rivolto alla parte costituirà, in genere, oggetto di rogatoria, in quanto la mancata adesione è comunque assistita da una sanzione endoprocessuale che spiega un effetto deterrente anche per la parte non costituita (il giudice potrà desumere argomenti di prova a suo sfavore da un ingiustificato rifiuto ex artt. 118, 2 comma e 116, 2 comma cod. proc. civ.). Non così se il destinatario dell'ordine sia un terzo: in tal caso il giudice nazionale, non fornito nemmeno della tenue coercizione indiretta costituita dalla possibilità di sanzionare pecuniariamente un suo rifiuto ex art. 118, 3 comma cod. proc. civ.— sempre che si ritenga applicabile tale norma, oltre che alle ispezioni, anche alle esibizioni—potrà richiedere l'Autorità rogata di esercitare a tale scopo quei poteri coercitivi (in ipotesi anche più ampi e convincenti) che il proprio ordinamento gli conferisce. Circa l’interrogatorio, potrà costituire oggetto di rogatoria quello formale, teso a provocare la confessione giudiziale, certamente non quello libero, in quanto non può ipotizzarsi un incarico al giudice straniero di interrogare liberamente le parti sui fatti di causa, attesa la particolare natura di questo atto, che da un lato non si colloca fra i mezzi istruttori e dall'altro è finalizzato ad un contatto diretto del giudice titolare del processo con le parti stesse, perchè forniscano chiarimenti e precisazioni sui fatti di causa e sulle proprie posizioni all'istruttore, che dei fatti stessi ha un'approfondita conoscenza. Appare rogabile anche il giuramento, sempre che la procedura della sua assunzione non risulti incompatibile con le leggi dell’Autorità dello Stato richiesto ex art. 10, comma 3 Reg. (si pensi ad esempio al riferimento del giuramento consentito alla parte dal nostro ordinamento fino a che non si sia dichiarata pronta a giurare). Anche la consulenza tecnica, potrà essere oggetto di rogatoria. Non si tratta certamente di un mezzo di prova (NOTA 13: salva l’ipotesi in cui costituisca l’unico mezzo per accertare fatti rilevabili solo con il sussidio di cognizioni tecniche: Cass. 25.9.1998, n. 9584, e beninteso soltanto in tale ambito: Cass. 20.6.2000, n. 8395), ma rientra senza dubbio nell'ampia categoria dei provvedimenti istruttori cui si riferisce la lettera dell'art. 204 cod. proc. civ., costituendo essa stessa un mezzo istruttorio, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al giudice, avente lo scopo di integrare le sue conoscenze nei casi in cui il giudice stesso, per percepire e valutare una prova, abbia necessità di cognizioni tecniche di cui è sfornito. La consulenza tecnica d'ufficio non è quindi mezzo di prova, né può esonerare la parte della prova dei fatti posti a fondamento della sua pretesa, dovendo invece servire alla valutazione di fatti già provati da chi aveva l'onere di dimostrarli . Si ammette tuttavia che l'indagine possa anche essere rivolta all'accertamento di accadimenti storici i quali, sia pure sul fondamento di dati obiettivi, possono essere posti in luce esclusivamente attraverso una particolare esperienza tecnica (NOTA 14: cfr. per tutte, Cass. 15.1.1997, n. 342). La pur scarna giurisprudenza in proposito ha espresso un orientamento prevalentemente positivo in ordine alla possibilità di disporre consulenze per rogatoria (NOTA 15: fra le rarissime pronunce in argomento segnaliamo che, mentre Trib. Ferrara, 13 aprile 1963, ord., in Foro it.,1963, 1, 2256,aveva rigettato una richiesta in tal senso formulata, Pret. Pontebba, 28 gennaio 1980, in Riv. giur circ. trasp. 1981, 1093 con nota di CAMPEIS-DE PAULI, Deprezzamento commerciale di veicolo estero: per l'ammissibilità della sua valutazione da parte di consulente straniero su commissione di un giudice italiano, l'aveva ammessa. Da ultimo Cass. 13 novembre 1992, n. 11906, in Riv. dir inter priv. proc., 1994, 417 ha ribadito l'ammissibilità dell'espletamento, con rito

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del lavoro, della consulenza tecnica a mezzo di rogatoria estera, osservando che la mancata conoscenza da parte del consulente estero non è ostativa, trattandosi di mera difficoltà superabile con la puntuale formulazione dei quesiti, mentre le risultanze sono comunque controllabili ex post dal giudice). La tesi negativa assume una sorta di indissolubilità del legame che sussiste fra giudice ed il suo consulente, peraltro facoltizzato ad assistere all'udienza di discussione, con possibilità di essere sentito in camera di consiglio (art. 197 cod. proc. civ.) e di compiere le sue indagini anche al di fuori della sua circoscrizione giudiziaria (NOTA 16: nel parallelo tema delle prove delegate (nell'ambito pertanto del territorio nazionale) la giurisprudenza di legittimità - Cass. 20 aprile 1962, n. 786 ha interpretato estensivamente la norma dell' art. 203 cod. proc. civ., affermando l'ammissibilità di delega ad altro giudice per l’espletamento della consulenza tecnica. Così anche Trib. Napoli, 5 settembre 1958, in Dir. giur., 1959, 50, con nota di SCOTTI, Sull'applicabilità dell'art. 203 del cod. proc. civ. alla consulenza tecnica. La giustificazione è data dal principio di economia processuale, nell'interesse della giustizia e delle stesse parti. In dottrina ha ritenuto SATTA, Commentario al codice di procedura civile, II, Giuffrè, 1971, 132 che siano delegabili tutti i mezzi previsti dalla terza sezione (istruzione probatoria: artt. 191 e ss.) del capo secondo (dell'istruzione della causa) del libro secondo (il processo di cognizione) del cod. proc. civ., e pertanto sarà possibile il ricorso alla delega per l'assunzione di qualunque prova in senso lato, nessuna esclusa. Riteniamo che ciò che vale per la delegabilità debba valere, a maggior ragione, per la rogabilità, e ciò, sotto il profilo letterale, perché l'espressione « provvedimenti istruttori » di cui all'art. 204 ha una latitudine evidentemente maggiore dell'espressione « mezzi di prova » di cui all'art. 203 cod. proc. civ., mentre sul piano logico deve osservarsi che il compimento di numerosi atti istruttori—cui nulla impedirebbe al nostro giudice di provvedere per-sonalmente nell'ambito del nostro territorio—potrà verificarsi all'estero, se non l'indispensabile intervento dell'Autorità giudiziaria straniera). Sul piano sistematico, a sostegno della tesi estensiva, non si potrà del resto trascurare quanto disposto dall'art. 69 della legge 31.5.1995, n.218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (e processuale) che, nel caso speculare di rogatoria passiva, dispone che ne possano formare oggetto, oltre che gli esami dei testimoni, gli interrogatori o altri mezzi di prova, anche gli “accertamenti tecnici”. Va ancora notato come la stessa Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970 sull'assunzione delle prove all'estero in materia civile e commerciale - legge 24 ottobre 1980, n. 745, oltre a riferirsi ad un concetto esattamente ampio di «atti d'istruttoria», all'att. 1, si occupa espressamente all'art. 14 di «esperti». Decisiva inoltre in tal senso appare l’espressa menzione dei “periti” nel regolamento UE 1206/2001. Quanto alle richieste di informazioni alla pubblica amministrazione, manca qualsiasi parallelismo fra delegabilità e rogabilità dei mezzi istruttori: in tema di informative scritte ad una pubblica amministrazione con sede in circoscrizione territoriale diversa da quella del giudice richiedente, non vi è infatti alcuna necessità di delega nell'ambito del territorio nazionale, mentre non può invece prescindersi dalla rogatoria se vanno indirizzate all'estero, in quanto la pubblica amministrazione straniera è di norma tenuta a fornire risposte soltanto all'Autorità giudiziaria del proprio Paese. Così ancora per 1'ispezioni di luoghi e cose, per le quali il ricorso alla rogatoria (in casi di collocazione estera) sarà necessitato, mentre la delega in Italia, seppure eccezionale, è comunque ammessa in ipotesi di impedimenti all'allontanamento della sede per ragioni di servizio (art. 259 cod. proc. civ.). In materia di consulenza tecnica invece l'opzione di incarico diretto conferito dal giudice al C.T.U., perché svolga i suoi accertamenti al di fuori della circoscrizione, sembra

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maggiormente opportuna allorché questi vengano compiuti nell'ambito del territorio nazionale piuttosto che all'estero. In quest'ultima ipotesi l'estraneità dell'ambiente, la conoscenza di dati e leggi anche economiche di mercato straniero, la diversità di lingua costituiscono tutti fattori che potranno giocare a favore di un incarico conferito ad esperto già calato nella realtà estranea sulla cui base andranno effettuate le sue valutazioni NOTA 17: si veda in proposito, sull'opportunità di un incarico da conferire a mezzo rogatoria ad un tecnico straniero per valutare gli effetti pregiudizievoli di un sinistro stradale, in capo ad un attore danneggiato che anche all'estero ne risente , CAMPEIS-DE PAULI, Il danno dello straniero, in La responsabilità civile, una rassegna di dottrina e giurisprudenza diretta da G. Alpa e M. Bessone, UTET, 1987, IV, 143) . 4. Impulso di parte e poteri d’ufficio nell’esecuzione delle rogatorie L’art. 204 cod. proc. civ. prescrive al comma 1 che le rogatorie vengano trasmesse per vie diplomatiche, mentre il comma 2 stabilisce che, qualora si tratti di cittadini residenti all’estero, il giudice nazionale si rivolge direttamente al console italiano territorialmente competente, perchè provveda ad esercitare le funzioni che per parte sua la legge consolare gli affida (rogatorie interne). L’art. 30 del D.P.R. 5.1.1967, n. 200 – disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, prevede infatti, tra l’altro, che l’Autorità consolare “ compie gli atti istruttori ad essa delegati delle Autorità nazionali competenti”. Come avviene per la delega ex art. 203 cod. proc. civ., alla parte interessata all'assunzione di un mezzo istruttorio a cura del console italiano all'estero spetta l'iniziativa di provocarne l'intervento. Dovrà a tal fine richiedere copia dell'ordinanza dispositiva, presentarla al Pubblico ministero per l'inoltro al console competente territorialmente, rispettarne il termine (ordinatorio) fissato dal giudice nazionale, presentando, se del caso, l'istanza della sua proroga comunque prima della scadenza. Per le rogatorie esterne (non consolari) si attribuisce alla parte l'onere di attivarsi in qualche modo, così traendo la significativa conseguenza che il mancato espletamento comporta la decadenza, per omessa vigilanza circa il rispetto dei termini fissati dal giudice e per difetto di tempestiva richiesta di proroga prima della loro scadenza (NOTA 18: Cass. 25.11.1975, n. 3942 aveva affermato: « La propulsione del processo nelle sue varie articolazioni è rimessa all'attività delle parti sicché, anche nel caso di prova delegata (art. 203, 204 cod. proc. civ.) incombe sempre alla parte interessata l'onere di svolgere l'attività necessaria perché il provvedimento del giudice abbia esecuzione. Pertanto, disposta la rogatoria all'Autorità straniera, spetta all'interessato richiedere copia della relativa ordinanza e presentarla all'Ufficio del P.M. perché provveda a trasmetterla al Ministro degli esteri (che vi darà corso nelle vie diplomatiche) o direttamente all'Autorità straniera (quando ciò sia consentito dalle convenzioni internazionali in materia). La parte, cui incombe tale onere, incorre in decadenza se non vigila a che l'espletamento delle pratiche avvenga nel termine fissato dal giudice o non si premura di chiedere all'autorità competente la proroga di detto termine prima che esso giunga a scadenza ». Tali principi costituiscono del resto conferma del precedente indirizzo: per tutte, Cass. 19 ottobre 1966, n. 2553, che aveva posto a carico della parte un’attività complessa, consistente in: a) richiedere la copia dell’ordinanza dispositiva; b) presentarla all'ufficio del P.M. per le trasmissioni del caso; c) vigilare a che l'espletamento della pratica avvenga nel termine fissato dal giudice; d) chiedere la proroga soltanto prima della scadenza del termine inizialmente fissato. Ribadisce l’onere di sorveglianza e sanziona con al decadenza la mancata richiesta tempestiva di

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proroga dei termini positivamente assegnati dal Giudice italiano Cass. 18.4.1997, n. 3340. Così ancora App. Torino, 19.5.1999, in Giur. piemont. 2000, 117 con nota di BALZI che ricorda il non condivisibile e risalente indirizzo giurisprudenziale secondo cui anche la rogatoria comporterebbe una delega di potere, sì che lo spirare del termine senza richiesta di proroga comporterebbe l’immediata estinzione in capo al rogato del potere delegatogli, con conseguente nullità assoluta ed inutilizzabilità di una prova egualmente assunta). Tale indirizzo può in realtà ritenersi condivisibile, non per l’(inesistente ) parallelismo con la prova delegata ex art. 203 cod. proc. civ. (non vi è una delega di poteri soggetta a scadenza, ma sollecitazione all’esercizio di poteri propri del delegato straniero in funzione adiutoria del processo italiano, che deve svolgersi secondo le proprie cadenze) ma perchè la parte non è richiesta di incidere in concreto sull’esercizio di poteri che non le sono propri, ma soltanto quello di vigilare sui tempi di espletamento e di informare il giudice delegante, con la tempestiva richiesta di proroga, dell’attualità di una mancata evasione della rogatoria. Valuterà poi il Giudice rogante, ai fini del corretto fluire del processo, se intervenire direttamente presso l’Autorità rogata, anche a salvaguardia del principio di ragionevole durata del processo medesimo. Una perdurante inerzia dell’Autorità rogata, in assenza di strumenti convenzionali e beninteso al di fuori dell’ambito di operatività del Regolamento europeo, comporterà l’impossibilità di assunzione del mezzo. (NOTA 19: ricordiamo ancora che Cass. 23.2.1985, n. 1633 aveva affermato: « Il termine fissato dal giudice istruttore per l'assunzione della prova delegata di cui all'art. 203 cod. proc. civ. ha carattere di termine ordinatorio e pertanto 1'eventuale istanza per la proroga di tale termine va proposta prima della scadenza del termine stesso; il decorso del termine senza che l'istanza di proroga sia stata proposta com-porta decadenza della parte dal diritto di far assumere la prova anche da parte del giudice delegante ». Il carattere officioso è sostenuto in dottrina da GROSSI, Rogatoria (diritto processuale civile), voce Enc. dir., XLI, Giuffrè, 1989, 110 e da SATTA, Commentario al codice di procedura civile, Giuffrè 1959/60, 137, che dà per scontato 1'impulso ufficioso, e conseguentemente esclude ogni imputabilità alla parte di ritardi ed omissioni. In giurisprudenza, nello stesso senso, App. Trento, 7 giugno 1971, in Giur. me-rito, 1973, I, 467 e Trib. Udine, ord. 14 febbraio 1979, in CAMPEIS-DE PAULI, La re-sponsabilità civile dello straniero, Giuffrè, 1982, 140 nonché Trib. Gorizia, ord. 13 dicembre 1990 in re Semlitsch/Doljan, inedita). Va da sé che, ove l’ordinamento del giudice rogato preveda oneri di attivazione della parte, per questa via essa potrà risultarne gravata, con conseguenze di carattere processuale da valutarsi sulla base della nostra normativa interna di rito. Si ipotizzi che l’ordinamento ad quem preveda che sia la parte a richiedere all’Ufficio del giudice la fissazione dell’udienza per l’assunzione dei testi e che alla citazione di costoro si provveda a cura della parte medesima. Una mancata attivazione andrà valutata nell’ottica del nostro ordinamento L’ufficiosità appare ancor più evidente nei casi in cui convenzioni internazionali (così come espressamente il Regolamento europeo all’art.2) prevedano un rapporto diretto tra giudice e giudice: si ponga mente, ad esempio, all'art. 6 della Convenzione fra Italia e Austria del 30 giugno 1975, legge 2 maggio 1977, n. 342 nonché all'art. 1 della Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970, n. 745, che dispone espressamente che la richiesta di rogatoria è avanzata dall'Autorità giudiziaria, con ciò escludendo ogni concreto intervento delle parti private nell'attività officiosa. La diversa natura della rogatoria internazionale rispetto alla prova delegata si connota quindi per quel carattere di officialità della prima che manca nella seconda. Nel primo caso soltanto si può registrare un'interferenza fra sovranità, che comporta una

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sensibile attenuazione del potere dispositivo delle parti, che non può certamente esercitarsi al di fuori dell'ambito territoriale nazionale ed avanti ad Autorità giudiziaria, con ciò escludendo ogni concreto intervento delle parti private nell'attività officiosa. Si era puntualizzato ( NOTA 20: App. Trento, 7.6. 1971, in Giur. merito, 1973, I, 467 ) che, non dipendendo l'esecuzione della prova all'estero della presenza delle parti avanti al giudice straniero, non si poneva neppure la necessità di tutelare i loro contrapposti interessi mediante l’applicazione dell’art. 208 cod. proc. civ. che, dettato in punto esecuzione della prova delegata nell'ambito del territorio nazionale, impone al giudice di dichiarare decadute le parti dal diritto di far assumere la prova se nessuno si presenta ovvero si presenta soltanto chi tale decadenza invoca. Quanto dispone l’art. 208 cod. proc. civ. in materia di prove, relativamente al rilievo d’ufficio della decadenza, e quanto stabilito dal nostro rito processuale relativamente all’onere delle parti di provvedere esse stesse alla citazione del teste, previo deposito del ricorso, della copia del provvedimento dispositivo, notificato ai procuratori costituiti e del fascicolo, va quindi riferito soltanto alle prove delegate, da assumersi dal nostro giudice nel nostro territorio e secondo il nostro rito, non già alla rogatoria, sullo svolgimento delle quali può avvenire che le parti non abbiano incidenza alcuna. In definitiva (al di fuori dell’ambito di operatività del Regolamento europeo e di convenzioni ad hoc e prescindendosi dalla fase di messa in contatto fra le Autorità) quanto al concreto espletamento della prova richiesta (retto dalla legge processuale interna del Paese di assunzione, salvo richiesta di forme particolari) deve aversi riguardo alla disciplina processuale interna di questo Paese. 5. La disciplina comunitaria in materia di assunzioni transfrontaliere Il Regolamento si ispira soltanto in parte alle regole poste dalla pur fondamentale Convenzione dell’Aja del 18.3.1970 sull’assunzione delle prove all’estero in materia civile o commerciale (già in vigore, come ricorda il sesto considerando in soli undici Stati membri). Tale Convenzione si è segnalata come la prima a regolare specificatamente la sola materia delle rogatorie estere, così realizzandone il sistema. Si caratterizza per l’istituzione di un’Autorità Centrale, ricettrice passiva in via diretta delle richieste provenienti dalle Autorità richiedenti dei Paesi aderenti (NOTA 21: per un ampio commento si veda SARAVALLE, La Convenzione dell’Aja sull’assunzione di prove all’estero, in Dir. comm. int. 1987, 511). Le disposizioni regolamentari sono ispirate al massimo della rapidità - attraverso la trasmissione diretta tra le Autorità delle richieste di procedere all’assunzione di mezzi di prova con “qualsiasi mezzo appropriato”– nel rispetto tuttavia delle esigenze di intelligibilità ed affidabilità del documento pervenuto, sì che risulti comprensibile nel suo contenuto e certo nella sua provenienza. In tale ottica si prevede ( nono considerando) la trasmissione a mezzo formulari standard, da compilarsi nella lingua dell’Autorità giudiziaria richiesta (od altra da questo Stato ammessa). L’impossibilità di provvedere all’evasione entro i novanta giorni comporta un onere di informazione motivata; il rifiuto di dare corso alla richiesta è previsto solo allorché si prospetti una situazione eccezionale; la normativa processuale applicabile è quella dello Stato ad quem, salva specifica richiesta dell’Autorità dello Stato a quo, che non risulti

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incompatibile con l’ordinamento dello Stato ad quem. Sarà possibile ai delegati dell’Autorità giudiziaria richiedente, alle parti (ed ai loro rappresentanti) assistere all’assunzione delle prove e svolgere un ruolo attivo, sempre che la legge dello Stato richiesto lo consenta. Sarà ancora possibile l’assunzione diretta da parte del giudice nell’ambito territoriale dello Stato richiesto, ove questo lo consenta. E’ prevista la gratuità interstatuale, salve le ipotesi in cui debbano compensarsi periti o interpreti ovvero utilizzare particolari procedure o speciali tecnologie di comunicazione. L’Organo centrale previsto dall’art. 3 Reg. non ha le funzioni attribuite dalla Conv. dell’Aja del 18.3.1970, ma si limita a svolgere attività di assistenza e consulenza (art.3: informazioni e ricerca di soluzioni di difficoltà insorte). Solo in casi eccezionali potrà esso stesso trasmettere la richiesta all’Autorità giudiziaria competente. 6. Ambito di applicazione della disciplina comunitaria Il Regolamento concerne le prove relative a controversie (radicate o radicabili avanti all’Autorità giudiziaria) in materia civile o commerciale (art.1, comma 1), e quindi privatistica, ancorché conosciuta da un giudice non ordinario. Nonostante il silenzio, ma analogamente a quanto previsto dall’art. 1 del Regolamento 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dovrà ritenersi l’inapplicabilità del presente Regolamento (oltre che alla materia penale) a quelle fiscale, doganale ed amministrativa; non così, in assenza di esplicita esclusione, per gli atti giudiziari relativi a stato e capacità delle persone, regime patrimoniale dei coniugi, testamenti, successioni, fallimenti e procedure affini, sicurezza sociale ed arbitrato. Nel Regolamento sulla giurisdizione e l’esecuzione delle sentenze sono così distinte le materie che, non appartenendo al settore civile e commerciale, ne sono perciò direttamente non comprese da quelle che, pur rientrandovi, ne sono esplicitamente escluse. L’altrimenti pleonastica precisazione delle materie non comprese nasce dalla circostanza che, nel diritto anglosassone, l’espressione civil law indica tout court tutto ciò che non è diritto penale, ivi compreso il diritto costituzionale, il diritto tributario, il diritto amministrativo. Ma se la mancata ricomprensione di materie comunque rientranti nel settore civile e commerciale ha una sua ragion d’essere nell’ottica della giurisdizione e del riconoscimento ed esecuzione delle sentenze, non ne avrebbe alcuna nell’ambito della disciplina sull’assunzione delle prove che - come quella sulle notificazioni (Regolamento 1348/2000) - si pone sul piano meramente strumentale, risultandone indifferente distinguere nel sostrato sostanzialistico (civile e commerciale) a monte. Quanto al richiamo operato dall’art. 2 comma 1, oltre a quelli pendenti, ai procedimenti “previsti” (in quanto non ancora pendenti) va inteso – nell’ottica del nostro ordinamento – con riferimento ai soli mezzi di istruzione preventiva (testimoni a futura memoria , accertamenti tecnici, ispezioni giudiziali), esclusi quindi i procedimenti cautelari ante causam , tecnicamente già pendenti. Deve quindi trattarsi di uno strumento che nel nostro ordinamento risulti preordinato ad una futura utilizzazione in un procedimento giudiziario, unitamente all’asserto del richiedente sull’intenzione di darvi seguito. Il plus è quindi dato dalla manifestazione di volontà di un’attivazione ulteriore, non richiesta nel nostro ordinamento per l’accoglimento delle richieste di istruzione preventiva ( art. 692

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c.p.c. : ”in una causa da proporre” per le testimonianze a futura memoria ; art. 696 c.p.c. “prima del giudizio” per gli accertamenti tecnici preventivi e le ispezioni giudiziali) senza tuttavia l’onere di incardinare poi il giudizio, a scanso d’inefficacia del provvedimento, come invece avviene per i procedimenti cautelari. Va da sé che si darà luogo a richieste funzionali ad un procedimento che sia, quanto meno, previsto. Esulerebbe dall’ambito di applicazione una richiesta rivolta ad un giudice straniero perché proceda ad un sequestro probatorio (art. 670, n.2 c.p.c.), atteso l’esercizio di poteri coattivi extra moenia che ciò implicherebbe. Il Regolamento non trova applicazione in funzione di giudizi arbitrali, in quanto richiedente può essere soltanto un’”Autorità giudiziaria” (art.1, 1), salvo si ritenga che il giudice nazionale possa essere a propria volta richiesto dalle parti di dar corso ad una richiesta di istruzione preventiva al suo corrispondente europeo, in funzione di un futuro giudizio arbitrale (rituale), analogamente a quanto espressamente previsto per i procedimenti cautelari ( artt. 818 e 669- quinquies) . Ma a ciò osta tuttavia l’esplicita, specifica limitazione al solo art. 669- septies (provvedimento negativo) dell’applicabilità della normativa cautelare uniforme ai procedimenti di istruzione preventiva, con conseguente esclusione anche della possibile supplenza cautelare del giudice ordinario, motivata dalla coercitività delle misure, incompatibile con l’esercizio della giurisdizione arbitrale. Quanto ai giudici diversi da quelli ordinari, senz’altro riconducibili al novero delle “Autorità giudiziarie”, varrà la selezione per materie. Ne restano quindi senz’altro escluse le Commissioni Tributarie, non i Tribunali Amministrativi Regionali e la Corte di Conti nell’ambito della loro cognizione esclusiva su diritti soggettivi, rientranti peraltro a pieno titolo nella categoria “Autorità giudiziaria”. 7. La richiesta: elementi formali e contenutistici Le prescrizioni sono date dall’art.4 e dai formulari A e I (nell’ipotesi di assunzione diretta). I dati personali risultano comunque protetti dalle specifiche direttive comunitarie richiamate dal diciottesimo considerando. Va ancora rilevato in particolare che per “rappresentanti”, da indicarsi ai sensi della lett. b) dell’art. 4, debbano intendersi quelli processuali (difensori); - che il legislatore comunitario ha tenuto presente l’opportunità che l’Autorità richiesta sia opportunamente informata dei fatti rilevanti in causa e delle specifico oggetto della prova ( es. circostanze capitolate, quesito da sottoporre al consulente, oggetti da ispezionare ecc…), al fine di consentire al giudice un’adeguata conoscenza dei termini della vertenza, funzionale alla gestione informata e congrua dell’assunzione; - che è prevista la trasmissione di atti e documenti allegati alla richiesta in quanto ritenuti necessari per la sua esecuzione (accompagnati dalla traduzione nella lingua in cui è stata formulata la richiesta stessa : art. 4.3). La richiesta conterrà inoltre l’indicazione delle eventuali forme e tecnologie comunicative speciali e specificherà se dovranno presenziare all’assunzione le parti ed i loro difensori ovvero i delegati dell’Autorità giudiziaria, con le informazioni del caso. Non è richiesta alcuna autenticazione o corrispondente formalità (art.4.2). Ciò che rileva è la leggibilità del documento spedito e la conformità e fedeltà di quello ricevuto a quello spedito. L’utilizzazione dei due termini “fedele e conforme” con riferimento al rapporto fra il

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contenuto del documento spedito e quello del documento ricevuto appare piuttosto ridondante, ma senz’altro chiara. 8. Audizione delle persone – dichiarazione d’impegno, incapacità, astensione Se la richiesta ha per oggetto l’esame di persone (testimonianze, interrogatori, giuramenti) oltre ai dati anagrafici, si indicheranno le domande ovvero i fatti su cui verterà l’esame, nonché ogni altra informazione ritenuta necessaria dall’Autorità richiedente (art. 4, comma1 , lett.e). Nel caso del giuramento, l’indicazione riguarderà la formula specifica da sottoporre alla parte. Il Giudice italiano indicherà inoltre le ipotesi in cui, secondo la nostra legge (art. 4.1 lett. e) Reg., il teste potrà o dovrà astenersi dal deporre (anche nell’ipotesi che difetti una norma parallela nell’ordinamento ad quem, chiamato per parte sua a disciplinare l’esecuzione della richiesta: art. 10, comma 2 Reg.) e specificherà la formula relativa alla dichiarazione d’impegno prevista dal nostro ordinamento. Laddove il diritto o l’obbligo di astenersi sia previsto dall’ordinamento ad quem, seguirà il rifiuto all’esecuzione di cui all’art. 14, comma 1 lett. a). Va da sé che il rifiuto stesso potrà seguire anche all’accertamento in concreto del diritto o dell’obbligo di astenersi, come specificati previamente, o attestati successivamente ad iniziativa del rogato, nella richiesta in base alla normativa dello Stato richiedente (art. 14, comma 1, lett. b). Potrà inoltre il Giudice italiano rogante informare il rogato delle ipotesi di incapacità dei testi secondo il nostro ordinamento, chiedendogli, in diversa ipotesi, se del caso di procedere egualmente all’assunzione del teste capace secondo il nostro ma incapace secondo l’ordinamento ad quem. Dato il principio dell’applicabilità dell’ordinamento processuale ad quem all’esecuzione della richiesta, è bene che il rogante, ove abbia sospetto di divergenze disciplinari fra i due ordinamenti, evidenzi la specificità delle proprie richieste. Ove il teste debba essere invece assunto direttamente dal Giudice richiedente nell’ambito territoriale dello Stato membro richiesto, l’assuntore dovrà comunque informare l’esaminando che ciò avviene su base volontaria (art. 17, comma 2 Reg.). Ciò significa che non soltanto difettano poteri coercitivi per ottenere la presenza del teste, ma che all’assunzione non si farà luogo se non vi sia adesione dell’interessato e che di ciò costui dovrà essere previamente informato. Un tanto si spiega sul rilievo che non è sufficiente allo scopo l’accordo dello Stato richiesto, ma necessita anche l’adesione della persona interessata, tenuta ad osservare l’Autorità dello Stato membro e non quella di altri Stati. Va da sé che, in caso di mancata collaborazione del teste, resta salva la possibilità per il richiedente di seguire poi le vie ordinarie, instando a che all’assunzione provveda in suo luogo l’Autorità Giudiziaria cooperatrice, che potrà avvalersi dei propri poteri autoritativi/coercitivi. Quanto al giuramento, va rilevato che l’ammonimento sulle conseguenze penali delle dichiarazioni false previsto nel nostro ordinamento dall’art. 238 c.p.c. ha rilievo solo ove il giurante all’estero sia cittadino italiano (in tal caso si tratta di reato, pur sottoposto a condizione di procedibilità ex art. 9 c.p.); non lo ha se il giurante all’estero è cittadino straniero, in quanto la pena edittale di cui all’art. 371 c.p. non raggiunge i minimi per la punibilità di cui all’art. 10 c.p.

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9. Rifiuto dell’esecuzione Sono previste talune ipotesi generali in cui alla richiesta non si darà corso (art. 14, 2 in relazione all’art.1 Reg.), oltre a quelle – già esaminate nel paragrafo precedente– relative all’audizione delle persone (art. 14, comma 1). La prima per esorbitanza (art. 14, comma 2, lett.a), allorché la richiesta non riguarda una materia civile o commerciale o non provenga da un’Autorità giudiziaria di uno Stato membro; la seconda per disciplina normativa, in quanto non sono ammesse richieste che l’ordinamento a quo (art.1, comma 1) non consenta (il che implica una conoscenza del diritto processuale estraneo da parte del giudice richiesto); la terza per difetto di strumentalità, riferita ad un giudizio pendente o che s’intende instaurare (art.1, comma 2); la quarta per difetto di attribuzione (art. 14, comma 2 lett.b) , in quanto all’Autorità richiesta difetta il potere di darvi esecuzione; la quinta e la sesta per sanzione, in quanto il richiedente non ha provveduto ad integrare la propria richiesta entro trenta giorni dalla comunicazione dell’invito a procedervi ovvero a costituire il deposito o l’anticipo entro sessanta giorni (art. 14 , comma 2 lett. c) e d). Per le particolari ipotesi di rifiuto in caso di assunzione diretta delle prove da parte dell’Autorità giudiziari richiedente (art.17.5) si dirà più oltre. Ulteriori motivi di rifiuto, tuttavia emendabili, si desumono dall’art. 10.3 Reg.: ove il richiedente non accetti di procedere secondo forme particolari bensì previste dall’ordinamento a quo ma incompatibili con quello ad quem nonchè nel caso che pur essendo in astratto compatibili, di fatto creino notevoli difficoltà di ordine pratico. Così ancora ove la richiesta comporti l’utilizzo di tecnologie di comunicazione (videoconferenza, teleconferenza o simili). Va da sé che l’incompatibilità secondo il nostro ordinamento non si riscontra nella mera diversità di mezzi istruttori o di forme processuali nei due ordinamenti in raffronto, ma nell’assoluto contrasto con l’ordine pubblico processuale (NOTA : cfr. App. Milano, 11.12.1998, in Riv. Dir. inter. priv. proc. 2000, 451che ha escluso l’incompatibilità di una richiesta implicante l’esercizio di poteri ufficiosi nell’acquisizione, peraltro non sconosciuti al nostro ordinamento). In tali casi l’Autorità richiedente viene informata e deciderà se dare corso egualmente alla richiesta in forme diverse e condivise ovvero rinunciare. Va segnalato che non è consentito al giudice richiesto rifiutare l’esecuzione in base ad una valutazione negativa dell’esistenza in capo al richiedente della competenza giurisdizionale in ordine alla causa (o al procedimento) per la cui definizione la rogatoria si pone in termini di strumentalità, né se il proprio ordinamento riconosca il diritto di azione al riguardo; il cooperatore processuale potrà negarsi solo nelle ipotesi di cui sì è detto (art.14.3). Dal che si desume che la cooperazione processuale risulta svincolata (salva la delimitazione dell’ambito di applicazione della disciplina regolamentare) dal sostrato sostanziale di riferimento. Ciò ben si spiega, in quanto l’estraneità processuale può darsi in forma del tutto indipendente dalla possibilità che il prodotto finale del provvedimento, un cui frammento si è svolto in territorio diverso da quello del Giudice procedente, venga poi ad interferire con l’ordinamento ad quem . Ad esempio, il fatto che debba assumersi in Olanda un testimone, i n causa del tutto italiana per il resto, rende indifferente il sostrato normativo materiale di

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quella causa rispetto all’ordinamento olandese, che mai più si vedrà interessato da quella vicenda. Che se pure lo fosse, l’eventuale contrasto con l’ordine pubblico materiale risulterebbe impeditivo della delibazione. In definitiva, può darsi corso a rogatoria relative a procedimenti le cui sentenze definitorie dovessero risultare irriconoscibili ed ineseguibili. 10. Le forme di cooperazione e legge processuale applicabile Il sistema prevede una pluralità di forme collaborative: a. la richiesta tradizionale all’Autorità giudiziaria del Paese membro a che assuma la prova (artt. 1, lett. a) e 10); b. la richiesta di assunzione ”presenziata“ con la partecipazione delle parti (art.11) c. la richiesta di assunzione “presenziata”, con la partecipazione dei delegati dell’Autorità giudiziaria richiedente (art.12) d. la richiesta di poter direttamente assumere la prova (artt.1 lett. b e 17) Le richieste tradizionali vanno indirizzate direttamente all’Autorità giudiziaria competente dell’altro Stato membro (art.2.1); quelle di assunzione diretta vanno invece rivolte all’Organo centrale designato dallo Stato richiesto (art.3) ovvero alla diversa Autorità competente a ciò specificamente designata (art.3.3), come previsto dall’art. 17. La procedura applicabile è quella dello Stato richiesto ( dodicesimo considerando, art. 10.2) con possibilità di instare per l’adozione di forme particolari previste dalla legge del giudice dello Stato richiedente, purchè compatibili con le leggi dello Stato ovvero per notevoli difficoltà d’ordine pratico (art. 10.3) . Si tratta di disposizioni strumentali di diritto internazionale processuale, in quanto non dettano una disciplina diretta, ma indicano quella applicabile in un frammento del procedimento recante elementi di estraneità, analogamente a quanto prevede il Reg. 1348/2000 CEE sulle notificazioni e comunicazioni L’esecuzione “presenziata” dalle parti è possibile se ciò l’ordinamento ad quem prevede (art.11.1); è da notare che essa può essere anche provocata d’iniziativa del giudice richiesto (art.11.5). Dal tenore del tredicesimo considerando sembra evincersi che nell’accezione “parti” rientrino anche i loro difensori, in quanto solo così è raggiunto il dichiarato scopo di “poter seguire i procedimenti come se le prove fossero state assunte nello Stato membro dell’Autorità Giudiziaria richiedente” … “al fine di svolgervi un ruolo più attivo”. La prevista determinazione da parte del giudice richiesto delle “condizioni” cui le parti possono partecipare va riferita, ferma l’applicabilità delle regole poste dall’ordinamento processuale ad quem, alla parte ordinatoria (e non normativa) del provvedimento. L’esecuzione presenziata dal delegato può darsi ove l’ordinamento a quo lo consenta. Non riteniamo che la delega prevista dall’art. 12, comma 2 possa applicarsi ai nostri Magistrati: ciò in quanto le pur previste deleghe del collegio ad un singolo giudice nel nostro ordinamento riguardano piuttosto l’attività da costui direttamente espletabile che una mera comprimarietà ; è invece prospettabile l’incarico di assistenza e partecipazione conferito ad un consulente .

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Le due “presenze” (artt. 11 e 12 Reg.), cui si correlano gli obblighi di comunicazione d’ufficio di data, luogo e condizioni di assunzione e partecipazione non sono sempre alternative, potendo darsi sia la presenza delle parti( il che costituisce la regola al fine di non vedere violati i diritti essenziali di difesa riconducibili al nostro ordine pubblico processuale), sia quella del delegato (costituente l’eccezione). L’assunzione diretta da parte del Magistrato italiano (che osserverà il proprio rito, nel rispetto della disciplina del Regolamento e delle eventuali condizioni prescritte in conformità delle legge dello Stato richiesto: art.17.6) si caratterizza dunque per volontarietà: non soltanto viene meno qualsiasi coercività, ma all’eventuale testimone va chiarito, come s’è detto, il carattere del tutto volontario della sua deposizione (art.17.2, seconda parte). Nel caso di ispezione, ad esempio, potrà procedersi direttamente a cura del Magistrato italiano soltanto se vi sia adesione volontaria dell’interessato. E’ inoltre previsto un possibile affiancamento di un Giudice locale in funzi111one garantista sia della corretta applicazione della disciplina regolamentare che delle eventuali condizioni prescritte dall’Organo centrale o dall’Autorità competente in conformità alla legge processuale dello Stato richiesto(art. 17.4 co. 2) Va ribadito che, nell’assunzione diretta, è prevista una particolare ipotesi di rifiuto, allorché la modalità di assunzione locale nei termini in cui sia stata richiesta risulti contraria ai principi fondamentali dello Stato membro (art.17.5 lett.c). Ulteriori motivi di rifiuto della richiesta di assunzione diretta stanno nell’esorbitanza (art. 17.5 lett.a) allorchè cioè la richiesta esuli dall’ambito di applicazione del Regolamento (in parallelo a quanto prescrive in linea generale l’art. 14.2 lett. a) e nell’insufficienza, allorchè cioè la richiesta non sia corredata da tutte le informazioni prescritte dall’art. 4 per forme e contenuto (art. 17.5 lett. b). Ovviamente l’autorità richiesta può avvalersi delle misure coercitive previste dal proprio ordinamento, ma ciò soltanto ove l’Autorità richiedente o una parte processuale ne abbiano fatto richiesta (art.13). 11. Lingua, termini e spese La lingua da utilizzare nella richiesta (e nelle comunicazioni) è quella ufficiale dello Stato richiesto ovvero altra lingua ufficiale delle Istituzioni della Comunità europea (ai sensi dell’art. 1 del Reg. del Consiglio del 15 aprile 1958 e succ. mod., che stabilisce il regime linguistico della CEE, elencando undici idiomi), nelle quali accetta siano compilati i formulari. Resta da vedere quali saranno le lingue che il nostro Paese dichiarerà di accettare entro il 1 luglio 2003 (art.22, lett.b) in uno con i mezzi tecnici per le comunicazioni. Quanto ai termini, ispirandosi il sistema al principio della ragionevole durata del processo, quelli finali sono considerevolmente brevi: sette giorni dalla ricezione per dare ricevuta al richiedente (art.7,1); 30 giorni per informarlo che la richiesta è carente e va integrata (art.8.1); 90 giorni per darvi esecuzione (art.10.1), oltre ai 60 giorni previsti a pena di rifiuto di esecuzione per costituire il deposito richiesto dall’Autorità procedente in caso di consulenza (art.14.1 lett.d). Si tratta comunque di termini ordinatori.

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Quanto alle spese, vale il principio di gratuità (art.18.1), con l’eccezione data dai casi in cui si debbano compensare periti (nel qual caso la costituzione di un deposito - se del caso a cura dello Stato richiedente ove non sia previsto che lo costituiscano le parti - è assunta addirittura come condizione per l’esecuzione della richiesta: art. 18.3) ed interpreti ovvero sostenere spese per procedure particolari che siano richieste ovvero per la necessità di avvalersi di tecnologie della comunicazione (in sostanza video e teleconferenze): art. 18.2. In tali casi dovrà inoltre l’Autorità richiedente farsi diligente a che le parti provvedano ai rimborsi, secondo quanto prevede la legge dello Stato richiedente. Ciò avverrà con apposito provvedimento ordinatorio, evocando tuttavia l’utilizzazione del termine vigila una prassi che va al di là della mera disposizione. 12. Riflessi e ricadute dell’assunzione di prove all’estero sul processo italiano. Rassegna breve di giurisprudenza e dottrina Poiché le condizioni per procedere all'assunzione di prove inerenti a processi stranieri sono regolate dai singoli ordinamenti interni, potrebbe darsi, in via d'ipotesi, che sia consentito al privato interessato di richiedere direttamente l'attivazione in tal senso, prescindendo da una richiesta da parte del giudice titolare del processo. Una volta che questi abbia ammesso il mezzo istruttorio da compiersi all'estero, la parte potrebbe—in astratto—richiederne l'assunzione al giudice (straniero rispetto al processo), in difetto di una rogatoria, nel caso che l'ordinamento di quest'ultimo lo consenta. Per il nostro ordinamento, l'assunzione all'estero di una prova ammessa in mancanza di rogatoria integra un evidente difetto di forma nell'avvio della procedura finalizzata alla raccolta della prova. Tale difetto non è stato tuttavia ritenuto impeditivo della utilizzabilità nell'ambito del procedimento di pertinenza, in applicazione del principio generale, posto dall'art. 156, 3 comma c.p.c.., che non può dichiararsi nullità se lo scopo dell'atto è stato comunque raggiunto (NOTA: in tal senso FUMAGALLI, Conflitti tra giurisdizione nell'assunzione di prove civili all'estero, Giuffrè, 1990, 69). Come si è detto, una volta disposta la rogatoria, l'attività d'impulso necessaria per darvi seguito fa capo all'Ufficio. Nondimeno la risalente giurisprudenza di legittimità (NOTA: Cass. 19 ottobre 1966, n. 2553, in Foro it., 1967, I, 2614) aveva ritenuto il contrario, sanzionando con la decadenza della prova una richiesta di proroga del termine formulata successivamente al suo spirare, partendo dal postulato (in realtà valido soltanto per le prove delegate) che la commissione rogatoria implica una delega di poteri di per sé eccezionale e pertanto ben limitata, sia nell'oggetto che nella durata, del giudice a quo (NOTA: così Cass. 5 maggio 1957, n. 1502, in Giust. civ., 1957, I, 1721) e che pertanto lo spirare del termine comporterebbe l'immediata estinzione in capo all'Autorità rogata del potere delegato, con la conseguenza che un'assunzione tardiva sarebbe affetta da nullità assoluta, in quanto raccolta da Autorità ormai priva di potere (si veda da ultimo Cass. 198.4.1997, n. 3340 e App. Torino 19.5.1999, in Giur. Piemont. 2117). App. Milano, 14 gennaio 1969, in Riv. dir. inter., priv. proc., 1970, 74 ha ritenuto nulla la prova assunta per rogatoria estera, allorché il giudice straniero abbia svolto la propria attività bensì durante la proroga richiesta dalla parte, ma dopo la scadenza del termine originariamente fissato. FRANCESCHELLI, L'istruttoria civile, Roma, 1963, 93-94, ribadendo 1'onere della parte di richiedere la proroga prima dello spirare del termine, afferma addirittura che vi sarebbe l'obbligo, per l'autorità rogata, di restituire gli atti a quella rogante a termine spirato, anche a prova non esaurita. Meno rigorosa appare l'interpretazione data da App. Trieste, 3 dicembre 1954, in Foro pad., 1955,II, 48—

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peraltro riformata da Cass. 5 maggio 1957, n. 1502, in Giust. Civ. 1957,I,1721 —che, in fattispecie in cui 1'inosservanza del termine era stata determinata da « impedimento degli uffici che dovevano curare la sollecita trasmissione al destinatario » del processo verbale di assunzione della prova delegata all'estero, ritiene inapplicabile la sanzione di nullità. App. Torino, 1 luglio 1969, in Riv. dir. inter. priv. proc., 1970, 138 dal canto suo, in un caso in verità assai particolare, fa salva la validità della prova assunta ove il termine spirato soltanto secondo la legge dell'Autorità rogata. Secondo la giurisprudenza più recente (Cass. 14 aprile 1981, n. 2218, in Giust. civ. mass., 1981, fasc. 4; 14 aprile 1981, n. 2241, in Giust. civ. mars., 1981, fasc. 4 e 27 gennaio 1986, n. 539, in Riv. dir. inter. priv. proc., 1987, 330) la nullità avrebbe comunque carattere relativo, e quindi sarebbe sanata se non dedotta nella prima udienza successiva al deposito dell'atto nella cancelleria del giudice rogante. L'assunzione della prova all'estero avverrà di regola nell'osservanza delle norme processuali del giudice richiesto: si veda in dottrina FRANCHI, Sull'illegittimità del modo di assunzione di prove delegate all'estero, in Riv. dir. proc., 1967, 553 ; per la giurisprudenza si rinvia ad App. Milano, 10 settembre 1968, in Dir. scambi int.,, 1968, 760; App. Torino, I luglio 1969, in Riv. dir inter. priv. proc., 1970, 141; App. Trieste, 29 settembre l9X3, in Riv. giur. circ. trasp., 1984, 389. Il principio generale dell'applicazione della legge del luogo di assunzione della prova (lo statuto rogato, assistente ed assuntore) trova il suo limite nella non contrarietà ai principi nazionali dell'ordine pubblico e la sua deroga nella possibilità di richiedere previamente l'osservanza di forme particolari. Ha puntualizzato MANDRIOLI, In tema di rogatorie richieste da un giudice straniero, in Giur. it., 1953, 1, 2, 159 che esiste un limite, sia pur generalissimo, all'assoluta parificazione dei mezzi istruttori raccolti all'estero a quelli assunti dal giudice italiano, dovendo i primi resistere e superare una prova idoneità sul piano astratto, per i caratteri che presentano e le garanzie che offrono, a sostituire i corrispondenti atti istruttori italiani. E cosi la giurisprudenza di legittimità (Cass. 4 maggio 1966, n. 1117, in Foro it., 1967, 1, 184), posta di fronte alla valutazione sulla validità o meno di una prova testimoniale assunta in Germania con il sistema previsto da quel rito della lettura del teste della sua deposizione scritta con conferma, giuramento e sottoscrizione successivi, ha ritenuto una tale assunzione del tutto compatibile con i principi del nostro ordinamento, e ne ha escluso la nullità in quanto il giudice italiano rogante non aveva espressamente richiesto particolari modalità di assunzione. In argomento, App. Torino, I luglio 1969, in Riv. dir. inter. Priv. proc., 1970, 138 ha enunciato il principio seguente. Ai fini dell'efficacia in Italia della prova assunta al-l'estero, l'ordinamento italiano si rimette a quello straniero: a) per le forme di esecuzione; b) per le norme ed i procedimenti diretti ad assicurare la disponibilità e la verità della prova; c) per i tempi in cui gli atti vengono eseguiti; d) per quanto attiene al computo dei termini processuali. Che il nostro ordinamento rinvii alla normativa processuale straniera per la regolamentazione di quel frammento di processo nazionale, che si compie all'estero, è in linea sia con quanto stabiliscono gli artt. 12 e 16 della legge 31.5.1995, n.218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, sia con quanto prevedono gli artt. 14 della Convenzione dell'Aja dell'1 marzo 1954 e 9 della Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970. L'art. 12 della legge 31.5.1995, n.218. è norma che, al di là della collocazione, non appartiene al novero di quelle di diritto internazionale privato, occupandosi, bensì in chiave internazionale, tuttavia di un fenomeno squisitamente pubblicistico qual'è il processo: essa affida alla legge del luogo in cui questo di volta in volta si svolge la sua disciplina (principio della territorialità della legge processuale). Conseguentemente la parte del processo che si svolge all'estero lì troverà la propria disciplina, ma sarà comunque recepita, sempre che

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non risulti violato il limite dell'ordine pubblico posto dall'art. 16 della medesima legge. In materia penale Cass. 19 aprile 1972, in Riv. dir inter, 1973, 833, aveva affermato: « Secondo l'art. 27 disp. prel. cod. civ. la legalità formale di una prova assunta all'estero deve valutarsi secondo la legge dello Stato nel quale è raccolta, mentre l'efficacia giuridica probatoria nel procedimento italiano è stabilita dalla legge italiana ». Osserviamo che , come allora l'art. 27 disp. prel. cod. civ, anche l’art. 12 della legge 31.5.1995, n.218 va letto anche in chiave di esclusione dell'applicabilità al processo italiano di norme di rito desunte da ordinamenti stranieri . Se l'assunzione avviene in violazione delle norme locali (che per volontà del nostro ordinamento disciplinano il frammento estero del processo nazionale), sì che quell'ordinamento preveda la nullità dell'atto processuale così assunto, sarà onere della parte interessata eccepire—interessandone il giudice italiano che dovrà operare la verifica—la nullità relativa o allegare quella assoluta—fermo restando che quest'ultima potrà in ogni caso essere direttamente rilevata dal giudice italiano a conoscenza della disciplina processuale a lui estranea. Per GROSSI, Rogatoria (diritto processuale civile), voce dell'Enc. dir., XLI, Giuffrè, 1989, 110, il giudice straniero ha competenza limitata alla sola assunzione del mezzo istruttorio, essendo riservata in via esclusiva al giudice rogante la verifica del procedimento di assunzione del mezzo istruttorio per rogatoria. Non sembra peraltro condivisibile l'opinione di FUMAGALLI, Conflitti fra giurisdizione nell'assunzione di prove civili all'estero, cit. in nota 92, 73, secondo cui l'osservanza della legge straniera non è in ogni caso un « requisito di ammissibilità del processo italiano della prova assunta all'estero ». Ciò quanto è la stessa legge italiana (art. 27 disp. prel. cod. civ.) a volerne 1'osservanza. Altra questione è quella afferente al momento successivo, della compatibilità del risultato della prova già raccolta con i principi generali del nostro ordinamento processuale, compatibilità che sarà valutata solo con riferimento ad una prova ritualmente assunta o affetta da una nullità relativa ormai sanata. Come accennato, anche le convenzioni internazionali multilaterali di maggior rilievo in materia prevedono espressamente l'applicazione tout court da parte del giudice rogato della legge del proprio Paese, salva richiesta espressa di forme particolari. La valenza nel nostro ordinamento della regolamentazione straniera è estesa dalla dottrina (si veda POCAR, L'assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, CEDAM, 1967, 286) non soltanto alle forme da seguire nell'assunzione, ma anche a tutte quelle norme ed a quei procedimenti dell'ordinamento straniero che assicurano alla prova disponibilità (mezzi di coercizione) e verità (repressione di comportamenti difformi, penalmente rilevanti ecc...) (sul punto si rinvia a MORELLI, Diritto processuale civile internazionale, CEDAM, 1954, 272). In definitiva, al di là delle norme formali sull'assunzione e di quelle strumentali, finalizzate ad assicurarne effettività e veridicità, cessa il dominio (voluto dalla nostra legge) della legge straniera: le eccezioni riguardanti l'utilizzazione dei risultati delle attività svolte all'estero sono disciplinate dalle regole del nostro ordinamento. Sarà compito del giudice italiano titolare del processo verificare la regolarità dello svolgimento dell'attività acquisitiva della prova alla stregua dell'ordinamento in cui il suo processo si è svolto (e, se del caso, delle sue specifiche richieste), con l'avvertenza che il rilievo di vizi di acquisizione comportanti nullità secondo la legge straniera andrà comunque operato secondo tempi e modalità propri del nostro ordinamento e quindi, in linea di massima, il rilievo della parte interessata dovrà essere tempestivo, nella prima istanza o difesa successiva alla ricezione del documento in cui l'attività svolta all'estero risulti trasfusa. In ogni caso appare preliminare il controllo di tipo delibativo che il giudice italiano deve operare circa la non contrarietà all'ordine pubblico dell'attività processuale compiuta all'estero e dell'atto che ne costituisce la risultante. Ciò perché la conformità all'ordine pubblico interno, concretantesi nell'insieme dei principi fondamentali, anche processuali, cui

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l'ordinamento si ispira, « condiziona in ogni caso l'acquisto di effetti nel territorio dello Stato da parte di atti di Stati esteri » (POCAR, L’assistenza giudiziaria internazionale in materia civile, CEDAM,1967, 289). In applicazione di tale principio, al fine di evitare il compimento di attività processuali inutili, il giudice richiesto di ammettere una prova da assumersi in un Paese il cui ordinamento applichi regole e pratichi meccanismi processuali incompatibili con i principi generali di quello italiano, dovrà, nella richiesta di rogatoria, pretendere l'osservanza di quelle forme speciali che salvaguardino la compatibilità del mezzo con il nostro ordine pubblico ed assicurino la conseguente utilizzabilità delle sue risultanze nell'ambito del procedimento. Se—ad esempio—la vicenda processuale abbia condotto all'assunzione per rogatoria della testimonianza di una delle parti, ovvero di persona incapace a deporre, in quanto portatrice di un interesse che ne legittimerebbe la partecipazione al giudizio (art. 246 cod. proc. civ.), le risultanze non potranno essere validamente utilizzabili nel processo nazionale, anche se l'ordinamento del giudice dell'assunzione in ipotesi non conosca incapacità di questo tipo, per il contrasto con il « il principio, proprio del nostro ordinamento processuale civile, di incompatibilità delle posizioni di teste e di parte nel giudizio » (Corte Cost. 23 luglio 1974, n. 248, in Foro it., 1974, I, 2220). Alla stregua di tale principio si ritiene incompatibile con la posizione di testimone non solo il titolare della situazione giuridica dedotta in giudizio, parte attuale, ma anche il portatore di un interesse che gli consentirebbe di parteciparvi, parte virtuale. I1 contrasto con l'ordine pubblico della prova assunta all'estero ne comporta l'insanabile nullità, come tale rilevabile d'ufficio (si veda MICHELI, La cooperazione internazionale in materia di procedura civile, in Riv. dir. proc., 1962, 570). Ha invece ritenuto App. Trieste, 29 novembre 1983, in Riv. giur. circ. trasp., 1984, 38, che non attenga all'ordine pubblico il giuramento dei testimoni, e che pertanto un'assunzione che ne sia priva non risulti di per sé incompatibile con i principi generali cui si uniforma il nostro ordinamento. Egualmente il principio del contraddittorio, nella fase di esecuzione della prova rogata, non sembra appartenere alla categoria di quelli inderogabili per ragione di ordine pubblico. Ciò va desunto dalla disciplina pattizia, immessa nel nostro ordinamento. In particolare sia l'art. 11, 2 comma della Convenzione dell'Aja dell'1 marzo 1954 che 1'art. 7 della Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970, nel subordinare ad un'espressa richiesta dell'Autorità rogante l'onere, per l'Autorità rogata, di dare notizia ad essa ed alle parti di data e luogo dell'assunzione, non ritengono all'evidenza la possibilità di instaurazione del contraddittorio anche in quella sede condizione assoluta ed inderogabile ai fini dell'utilizzabilità delle risultanze della prova. In verità anche il diritto di difesa e la garanzia del contraddittorio devono adeguarsi all'assoluta particolarità delle rogatorie. Ne deriva che la possibilità, pur offerta degli strumenti pattizi, di richiedere notizia di data e luogo d'assunzione della prova onde consentire alle parti ed ai loro procuratori di assistervi, va colta tempestivamente: sarà il procuratore della parte a sollecitare il giudice rogante perché si attivi in conformità; in difetto non potrà dolersi in seguito, a rogatoria esaurita. Trib. Roma, 12 giugno 1976, in Riv dir. inter. priv. proc., 1977, 639, ha ritenuto manifestamente infondata un'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 204 cod. proc. civ. in relazione all'art, 24 Cost., per asserita lesione dei diritti della difesa nella parte in cui ha previsto l'obbligo di comunicare alle parti tempo e luogo dell'assunzione della prova rogata. Il Tribunale trae da quanto dispone l'art. 11 della Convenzione dell'Aja del 1954, che subordina 1'onere della comunicazione all'esplicita richiesta, una regola d'ordine generale, secondo cui la tutela è assicurata a monte dalla possibilità di eccitare il potere del giudice rogante perché richieda esplicitamente al rogato una tale comunicazione App. Milano, 14 gennaio 1969, in Riv. dir. inter. priv. proc., 1970, 74 considera la

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comunicazione al di fuori del territorio dello Stato soltanto in presenza di esplicita richiesta. Trib. Treviso, 10 novembre 1966, in Giur. it., 1967, I, 2, 150, richiamandosi ad un principio di conservazione avanzata, insensibile alle ragioni delle parti circa l'effettività del contraddittorio all'estero, ha dal canto suo ritenuto valida la prova assunta all'estero senza ravvisi di sorta, anche se venne espressamente richiesto il contrario. In dottrina MANDRIOLI, In tema di rogatorie richieste da un giudice straniero cit. in nota 98, 159, ritiene che fra le garanzie elementari del contraddittorio debba invece rientrare la comunicazione alle parti di tempo e luogo di assunzione delle prove. Per FRANCHI, Difformità fra chiesto ed eseguito nella rogatoria estera attiva in Giur. it. 1967, I, 2, 150, il difetto del contraddittorio non è rilevante, purché sia comune ad entrambe le parti processuali, a meno che il rogante non abbia espressamente richiesto la comunicazione all'Autorità rogata. In proposito può ipotizzarsi quanto segue: a) nessuna delle parti ne fa richiesta ed il giudice non lo richiede autonomamente; b) la richiesta delle parti non viene accolta dal giudice; c) la richiesta formulata dal giudice italiano viene disattesa da quello straniero. Nel primo caso non potrà mai ravvisarsi una violazione del principio del contraddittorio. Nella sua osservanza sarà attribuito il diritto di influire concretamente sullo svolgimento del processo e sul suo esito, in modo da incidere direttamente ed attivamente sulla formazione del convincimento del giudice. Il principio del contraddittorio va bensì salvaguardato in ogni stato grado del procedimento ma nel senso di attribuzione alle parti della possibilità di interloquire sull'oggetto del giudizio, ivi comprese le prove. Le parti dovranno perciò essere poste in grado di esercitare il loro diritto sulla prova e di partecipare alla sua formazione: se non colgono tale possibilità, non potranno dolersi di un'inerzia a loro imputabile, né pretendere dal giudice una supplenza. Se alla richiesta non segue l'accoglimento da parte del giudice rogante (è l'ipotesi considerata sub b)), vi è violazione della norma posta dall'art. 101 cod. proc. civ. (principio del contraddittorio) da far valere con i consueti mezzi d'impugnazione. Se è invece il giudice straniero a non adeguarsi (ipotesi sub c)), l'utilizzabilità delle risultanze della prova comunque assunta è subordinata all'acquiescenza della parte interessata, che non si attivi ad eccepire tempestivamente, nella prima udienza o difesa successiva alla ricezione del documento in cui l'atto istruttorio è trasfuso, la nullità della prova stessa. Cass. 12 luglio 1991, n. 7789, in Rep. Foro it., 1991, v. Prova civile in genere, ha sanzionato con la nullità la rogatoria nel caso in cui l'Autorità che l'ha disposta, pur avendone fatto richiesta ai sensi dell'art. 7 della Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970, non sia stata informata di data e luogo di espletamento dell'atto affinché le parti potessero assistervi. Contra App. Trieste, 26 febbraio 1992, in Riv. dir. inter. priv. proc., 1993, 751. Trieste - Roma, 7 febbraio 2005