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Le professionalità dell’audiovisivo in Lombardia

Le professionalità dell’audiovisivo10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo pag. 283 10.3.1 Autore vs produttore, ragioni espressive vs ragioni di mercato pag. 284 10.3.2 Prototipo

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Le professionalità dell’audiovisivo

in Lombardia

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Le professionalità dell’audiovisivo

in Lombardia

Hanno lavorato al progetto TV JOBAlessandra Alessandri, direttore di ricercaChiara Valmachino, coordinamento di ricercaGaetano Stucchi, consulenza scientificaFedra Fumagalli, ricercatrice seniorPaolo Mossetti, ricercatore juniorAntonio Costa, ricercatore junior

Andrea Bertoletti, coordinamento di progettoFrancesca Borghi, ricercatrice juniorStefano Baleria, ricercatore juniorPaolo Laudani, coordinamento

Fausto Colombo, consulenza scientificaAntonella La Seta Catamancio, ufficio stampaLaura Agnesi, coordinamento

Ideazione grafica ed impaginazioneCristina Carsana, direttore creativoGiulia Mantuano, art director juniorSimone Castiglioni, web designerSabrina Vicini, account

- maggio 2006 -

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TV JOB

Le professionalità dell’audiovisivo in Lombardia

Prefazione pag. 13

di Fausto Colombo

Introduzione. Obiettivi e metodologia della ricerca pag. 17

di Alessandra Alessandri

PARTE PRIMAMercato, aziende e lavoratori

01. IL COMPARTO DELL’AUDIOVISIVO E I SUOI SOGGETTI pag. 31

di Alessandra Alessandri

1.1 Definire il comparto audiovisivo pag. 32

1.2 La catena del valore: tipologie di soggetti pag. 37

1.2.1 L’opzione “make or buy”. Il rapporto tra editori e produttori pag. 38

1.2.2 Il ruolo del Network Provider: le Telco diventano editori? pag. 43

Focus Il rapporto editori-produttori.Alcuni website “commissioning” di emittenti internazionali pag. 45

indice

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02. LE AZIENDE AUDIOVISIVE pag. 47

di Chiara Valmachino

2.1 Lo scenario. Il peso della Lombardia nel mercato audiovisivo pag. 48

2.1.1 Gli editori televisivi leader pag. 492.1.2 Le emittenti locali pag. 522.1.3 I produttori leader pag. 542.1.4 Le associazioni di categoria dei produttori pag. 57

2.2 Lo scenario: le aziende audiovisive in Lombardia pag. 61

2.3 Il territorio: Milano (e i suoi distretti) capitaledella comunicazione? pag. 66

2.4 La ricerca: il censimento delle aziendeaudiovisive lombarde pag. 70

Focus Il centro di produzione RAI di Milano pag. 77

03. I LAVORATORI pag. 81

di Chiara Valmachino

3.1 Lo scenario: i trend occupazionali di settore pag. 82

3.2 La situazione occupazionale RAI e Mediaset pag. 91

3.3 La ricerca: composizione degli addetti e inquadramenti contrattuali pag. 95

Focus Il caso Skillset pag. 106

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PARTE SECONDAMestieri e competenze

04. I MESTIERI pag. 111

di Alessandra Alessandri con Fedra Fumagalli

4.1 La classificazione delle professioni audiovisive pag. 112

4.2 La nostra mappa: aree, ambiti, professioni,mansioni pag. 123

4.3 Le figure chiave pag. 126

4.3.1 Le figure commerciali pag. 1264.3.2 Le figure produttive pag. 1314.3.3 Le figure “crossmediali” pag. 137

4.4 Le figure vacanti pag. 140

4.5 Le figure trasformate pag. 141

Focus TF1 e la politica di Risorse Umane pag. 146

05. LE COMPETENZE pag. 149

di Alessandra Alessandri

5.1 Le competenze dell’audiovisivo pag. 150

5.2 Le competenze chiave per aziende e lavoratori pag. 153

5.3 Specializzazione o integrazione dellecompetenze: la divisione del lavoro pag. 159

5.3.1 Le newsroom digitali: giornalisti multimediali,telecineoperatori, videoreporter pag. 168

Focus Il modello produttivo di “Report”:il videogiornalismo pag. 178

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PARTE TERZAGli step di inserimento del lavoratore

06. LA FORMAZIONE pag. 185

di Chiara Valmachino con Francesca Borghi

6.1 Il censimento dell’offerta formativa per l’audiovisivo in Lombardia pag. 186

6.1.1 I corsi di laurea pag. 1886.1.2 Al supermercato dei Master pag. 1916.2.3 Scuole e corsi professionali pag. 193

6.2 Formare: per quali professioni? pag. 197

6.3 Offerta formativa e domanda delle aziende:percezioni e valutazioni pag. 200

6.4 Percorsi formativi: la valutazione dei lavoratori pag. 206

6.5 Linee guida per la progettazione formativanell’audiovisivo pag. 210

Focus La formazione europea per l’audiovisivo:il programma Media. EURODOC e EAVE pag. 214

07. ORIENTAMENTO E PLACEMENT pag. 217

di Alessandra Alessandri e Francesca Borghi

7.1 Definizioni e ambiti pag. 218

7.2 La ricerca: i servizi di placement e l’audiovisivo pag. 219

7.3 Lo stage: la percezione di aziende e lavoratori pag. 222

7.4 Linee guida per le attività di placement pag. 227

Focus Il Career Center UCLA pag. 230

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08. RECRUITMENT pag. 233

di Chiara Valmachino e Antonio Costa

8.1 Che cos’è il recruitment pag. 234

8.2 La ricerca: i canali di recruitment per l’audiovisivoe le criticità emergenti pag. 234

8.2.1 I canali di selezione informali pag. 2368.2.2 L’autocandidatura pag. 2388.2.3 Le società di selezione del personale pag. 2398.2.4 Job search on line. I siti delle aziende e le società

di e-recruitment pag. 2448.2.5 Le inserzioni a modulo pag. 249

8.3 Linee guida per le attività di recruitment nell’audiovisivo pag. 250

Focus I siti Internet “jobs” di BBC pag. 252

09. INSERIMENTO LAVORATIVO E PERCORSI DI CARRIERA pag. 255

di Alessandra Alessandri

9.1 I criteri di selezione delle aziende pag. 256

9.2 L’inserimento in azienda pag. 259

9.2.1 I percorsi di carriera e di sviluppo pag. 2599.2.2 La struttura “Human Resources”

nelle aziende audiovisive pag. 2649.2.3 La formazione in azienda pag. 265

9.3 I gruppi di lavoro: stabilità e composizione pag. 268

Focus La “diversity” nella politica HR. I casi 3M e Xerox pag. 274

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10. TEMI DI SFONDO pag. 277

di Alessandra Alessandri

10.1 La percezione dell’andamento e delle criticità del settore pag. 278

10.2 Il territorio pag. 280

10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo pag. 283

10.3.1 Autore vs produttore,ragioni espressive vs ragioni di mercato pag. 284

10.3.2 Prototipo vs serializzazione, artigianato vs industria pag. 28810.3.3 R&D vs marketing operativo.

Innovazione e qualità vs conservazione pag. 29110.3.4 Editori vs produttori. Oligopolio vs mercato pag. 297

Focus Le aziende che puntano sull’innovazione.Tecniche e strategie pag. 303

Postfazione pag. 307

di Gaetano Stucchi

YELLOW PAGES

1. Mappa dei mestieri pag. 315

2. Organigrammi pag. 341

3. Censimento aziende pag. 351

4. Censimento dell’offerta formativa pag. 373

5. Censimento orientamento/placement pag. 391

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Bibliografia pag. 395

Gli autori pag. 405

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PREFAZIONE

di Fausto Colombo

La ricerca che qui viene presentata costituisce un importante contributo allacomprensione delle trasformazioni in atto nelle professionalità legate all’audiovisivo in un contesto fortemente mutevole, attraversato dal fenomenodella digitalizzazione, e quindi di una innovazione profonda ed efficace delletradizionali modalità produttive, distributive e di consumo del settore.Com’è noto, la trasformazione che ruota attorno alla digitalizzazione ha comeprima conseguenza lo “spacchettamento” della catena del valore. Il che significa,in termini meno astrusi, che i soggetti implicati nel passaggio dalla ideazionealla fruizione di un prodotto hanno mutato le proprie competenze e le propriearee di intervento.Tuttavia, ciò che non viene ancora sufficientemente indagato è il riflesso sulleconcrete capacità richieste a chi sul campo si trova ad operare, ossia le ricadutein termini professionali.Ecco allora che questo lavoro ci mette in condizioni di riflettere su alcuni puntiessenziali, che vorrei rapidamente sintetizzare.Primo punto: il ruolo del territorio. Uno degli effetti conclamati della digitalizzazioneè la rottura dell’invadenza delle coordinate spaziali: sappiamo bene che unadelle trasformazioni più efficaci riguarda la traducibilità di ogni tipo di segnalein linguaggio binario, e che le caratteristiche del software permettono una riduzione di “peso” dei files, che li rende facilmente trasferibili. Tutto ciò dovrebbepermettere una de-specializzazione del territorio. Ma questa ricerca mostra cheil territorio lombardo continua a dovere molto - anche nel campo delleprofessionalità televisive - alla propria tradizione, che vede il primato della Tv edella pubblicità sul cinema (quest’ultimo di area prevalentemente romana).

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Ciò dimostra, a mio parere, che anche in piena era digitale il fenomeno dellaconcentrazione e della specializzazione produttiva delle aree geografiche rimanecentrale. E rimane tale per il semplice fatto che la specializzazione di unterritorio è un mix in cui la tecnologia gioca solo una parte dei ruoli in commedia:gli altri ruoli sono rivestiti da elementi economici e culturali non indifferenti, che orientano tanto le risorse finanziarie quanto la formazione formalizzata oinformale, nonché, entro certi limiti, le vocazioni professionali. Come accade peri distretti industriali, esiste un orientamento del territorio, che non si modifica intempi brevi.Secondo punto: il governo dei fenomeni. In questo campo il mercato la fa dapadrone, in assenza quasi totale di orientamento politico. Questo da un latorisponde a una tradizione ormai ventennale che ha portato alla dismissionesostanziale del polo pubblico (la RAI milanese), e che ha lasciato ai soggetti(grandi e piccoli) della Tv commerciale il compito di coltivare l’area; dall’altrosembra segnare alcune incertezze sul futuro. Perché il mercato da solo nonsempre guarda lontano, e invece la fase di trasformazione delle piattaforme edei prodotti richiederebbe oggi un pensiero strategico in grado di offrire soluzioniai soggetti economici e imprenditoriali, pur lasciandoli ovviamente liberi di agirenel rispetto delle loro competenze e capacità.Terzo e ultimo punto: la necessità di luoghi di ricerca e di sedimentazione delleconoscenze sul campo come luoghi di riflessività. Qui vale la pena di spendereuna parola sul ruolo che la Triennale di Milano ha avuto nello stimolo e nellapromozione di questo lavoro. Non è un caso che una struttura investita in pienodal nuovo significato del fare cultura su un’area metropolitana come Milano, siproponga come zona di dibattito e di autocoscienza delle professionalità e dellerisorse imprenditoriali di questo settore così centrale nella cultura di un Paese.Non è un caso, perché Triennale sta producendo attraverso le proprie iniziativeun esempio di come OGNI iniziativa culturale debba costituire una occasione diriflessione prima di un auspicabile balzo in avanti. Questa ricerca va inquadrata(anche) in questa prospettiva. E come tale è un segnale importante di come lecose stiano mutando, anche nel più generale panorama della produzione culturale.

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L’area occupazionale del settore Audiovisivo è un’area raramente indagata in modosistematico, e anzi spesso affrontata con la rassegnazione di aver a che fare conun ambito restio a classificazioni, etichette, regole, definizioni.Si tratta di un mondo eterogeneo: lavorare nel cinema è molto diverso che lavorare nella televisione, chi lavora nel documentario si sente estraneo al mondodelle soap, per non parlare di settori specialistici come quello dell’animazione.È un ambito in cui non esiste una vera e propria codifica delle figure professionali,non solo a livello nazionale, ma addirittura tra azienda e azienda: in Italia si regi-strano figure similari classificate diversamente nei vari contratti, etichette deltutto disomogenee che corrispondono alle stesse figure, figure esistenti contrattual-mente ma non ancora accolte nella prassi. In particolare, il settore televisivo, piùancora di quelli cinematografico e pubblicitario (in cui esiste da anni una biblio-grafia, una manualistica e una formazione formalizzate che codificano ruoli, iterprofessionali e competenze), resta contraddistinto da un’anomalia per cui l’attribu-zione di ruoli e competenze è discrezionale e arbitraria; nemmeno le poche opereenciclopediche sulla televisione contengono definizioni sui profili e ruoliprofessionali.Il fenomeno è stato favorito dalla conformazione duopolistica del mercato televisivoitaliano, che non ha favorito il nascere di un vero e proprio mercato professionale.

Anticipando alcune delle conclusioni cui si giungerà nel capitolo finale, i nodi cheaziende e lavoratori denunciano come critici sembrano essere sostanzialmentedue: per le aziende le competenze degli aspiranti lavoratori, per gli aspirantilavoratori l’accesso al lavoro stesso.

INTRODUZIONEOBIETTIVI E METODOLOGIADELLA RICERCA

di Alessandra Alessandri

perché questa ricerca

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Le affermazioni di molte aziende del settore pongono l’accento, tra l’altro, su unproblema di competenze e di preparazione effettiva degli aspiranti lavoratori, che inmolti casi sarebbe frutto di una formazione poco in linea con le loro esigenze:“manca la vera formazione”, “la specificità delle nostre aziende impone una sortadi tirocinio ad hoc”. Il presupposto quasi unanimemente condiviso per cui si trattadi un settore in cui “si impara solo sul campo” (alibi che spesso copre una man-canza di preparazione specifica) non ha impedito infatti il nascere di una offerta for-mativa molto ampia, che a volte sembra però più attenta ad assecondare ladomanda degli aspiranti lavoratori, attratti da un mondo che appare anche piùluccicante e invitante di quanto non sia in realtà, che non a formare professionisticon una possibilità concreta di collocarsi sul mercato lavorativo.Per questo motivo abbiamo esteso lo spettro di indagine, da una parte alle scuolee ai requisiti che esse dovrebbero avere per offrire risorse più preparate e conmaggiori chances di inserimento, dall’altra alle competenze che le aziende riten-gono necessarie.

L’assenza di canali di reclutamento ufficiali (al di là delle scuole) e l’inesistenzadi società di selezione con competenze specifiche sul settore favoriscono invecela sensazione di molti giovani che si scontrano con la difficoltà non solo di trovarelavoro ma persino uno stage gratuito: la sensazione che si tratti di un mondoimpenetrabile e poco trasparente nelle sue dinamiche di accesso.“La mancanza di una rete di informazioni strutturata impedisce di avere continuitàlavorativa”; “L’accesso, non solo alle posizioni, ma, cosa ancor più grave, alle occa-sioni di contatto e alle informazioni stesse, indispensabili per potersi “muovere” conprofitto, è ormai diventata prerogativa di pochi privilegiati, all’insegna di un ritor-no ad una realtà feudale anacronistica ma mai tramontata”. Al di là degli accentipessimistici, la denuncia di questi due “lavoratori audiovisivi” nel compilare il nostroquestionario ci ha incoraggiati nel ritenere importante un lavoro di sistematica e approfondita indagine, che mettesse a disposizione dei lavoratoriattuali e futuri un corpus di informazioni concrete per accedere a nuove e più soddisfacenti occasioni lavorative. Queste informazioni non possono limitarsi aduna maggiore circolazione delle offerte di lavoro (cosa che è pure auspicabile),ma devono dare strumenti di conoscenza effettiva del mercato occupazionale:quali sono le aziende, quali i settori produttivi, quali le modalità produttive, qualii ruoli e le mansioni, quali le competenze, quali le scuole.È per questo che il volume contiene anche un’ampia sezione di “yellow pages”:utilities di consultazione, ancor più facilmente accessibili in forma di database sulsito www.tvjob.it.

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Per le ragioni che articoleremo più diffusamente nel primo capitolo, abbiamodeciso di circoscrivere il nostro campo di osservazioni ai lavoratori e alle impreseche rientrano in questa definizione: “emittenti televisive, produttori e distributori diprogrammi televisivi di intrattenimento, di infotainment, di news e sport, documentari,animazioni, fiction, spot pubblicitari, crossmedia”.Il campione e le relative considerazioni quantitative si riferiscono alla RegioneLombardia, che ha voluto sostenere questa iniziativa, ma la maggior parte delleconsiderazioni qualitative possono essere estese alla realtà nazionale dell’audiovisivo.

Questo settore è stato indagato in diversi aspetti:• definizione del comparto e articolazione della filiera produttiva;• censimento e classificazione delle aziende;• quantificazione e profilo degli addetti;• mappatura e classificazione delle competenze, delle aree e degli ambiti

professionali, delle figure professionali e delle mansioni;• individuazione delle figure professionali scomparse, da riqualificare, vacanti,

strategiche, e analisi in profondità di queste ultime;• individuazione delle competenze chiave e delle tendenze in merito alla loro

specializzazione o integrazione, anche alla luce delle trasformazioni impostedal digitale;

• censimento dell’offerta formativa a tutti i livelli, valutazione della stessa daparte di aziende e lavoratori, e formulazione di linee guida per la progettazionedi iniziative formative;

• censimento e analisi dell’offerta di servizi di orientamento e placement; analisidello strumento dello stage, formulazione di linee guida per le attività diplacement;

• censimento dei canali di reclutamento, e dell’offerta di job on line in particolare;• analisi delle modalità di organizzazione del lavoro, delle eventuali strutture di

Risorse Umane aziendali, dei gruppi di lavoro produttivi;• individuazione e analisi delle criticità indicate dalle aziende e dai lavoratori, dalle

associazioni di categoria e dai sindacati;• individuazione dei temi che dalle Risorse Umane portano a tematiche di

settore più ampie: l’analisi del tema dell’outsourcing produttivo e del rapportotra editori e produttori, la definizione di qualità dell’audiovisivo e, in particolare,del prodotto televisivo in confronto ad altri settori audiovisivi e il rapportodelle imprese con il territorio e le istituzioni.

il campo di indagine

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Questi ultimi aspetti, che sembrano esulare dalla tematica stretta del lavoroaudiovisivo, ci sono parsi imprescindibili: le interviste agli operatori del settore, esoprattutto ai lavoratori, ci hanno spesso condotto dalle tematiche occupazionalipiù specifiche da cui eravamo partiti (ruoli, scuole, accesso) a questioni piùampie. Le aziende hanno infatti spesso rimandato a problemi più strutturali, di mer-cato o istituzionali, che si ripercuotono inevitabilmente sulla loro attività e quindianche sulle loro risorse. I lavoratori stessi, inoltre, hanno indicato come criticità delproprio quotidiano non solo temi come quello della precarietà o della retribuizione, maspesso aspetti più sistemici come la capacità delle loro aziende di investire inRicerca & Sviluppo, oltre che nelle Risorse Umane, la qualità del proprio output eil ruolo delle imprese in cui lavorano rispetto al mercato complessivo.Per questo la ricerca, partita come ricerca sulle “professionalità dell’audiovisivoin Lombardia”, si è poi allargata all’intero mondo del “lavorare nell’audiovisivo”: iltentativo è ambizioso e sicuramente comporta il rischio di estendereindefinitamente l’oggetto di analisi, ma abbiamo preferito puntare ad una visioneestensiva e il più possibile esaustiva di tutte le problematiche connesse incontratesul cammino, piuttosto che un’analisi accademica sui meri aspetti occupazionali.Senza dubbio molti aspetti avrebbero meritato una trattazione a parte, specificae più ampia, ma abbiamo comunque scelto di accennarvi per rendere conto dellacomplessità dei fattori coinvolti.

La ricerca è stata condotta dal novembre 2005 al maggio 2006.

le metodologie utilizzate

Per affrontare uno spettro così vasto ed eterogeneo di tematiche abbiamo sceltodi incrociare varie metodologie.La fase desk è stata limitata dal fatto che esiste nel campo una bibliografiapiuttosto scarsa, utilizzabile più come spunto da territori limitrofi meglio studiati(cinema, pubblicità, TLC) che come vera fonte informativa specifica.Anche la sola laboriosa attività di censimento delle imprese ha comportato l’utilizzodi numerose fonti bibliografiche che sono state incrociate, aggiornate e messe a confronto con le associazioni di categoria. Ancora più complessa l’elaborazionedelle mappe professionali, che hanno comportato l’incrocio di una manualistica euna contrattualistica parziali e spesso contraddittorie tra loro, con la realtà emersadalla fase field.

Per quanto riguarda le metodologie field questo il dettaglio degli strumenti utilizzati.

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Strumenti quantitativi:• questionario somministrato on line all’intero universo delle 272 aziende

censite, con una redemption del 47% pari a 127 questionari compilati entro lascadenza richiesta, dalle aziende direttamente on line o telefonicamente;

• questionario anonimo 1 somministrato on line ad un campione (reperito conmodalità snowball 2) di lavoratori dell’audiovisivo lombardo, per un totale di100 questionari compilati entro la scadenza richiesta 3;

• questionario anonimo somministrato on line all’intero universo delle 21 realtà diorientamento e placement lombarde (uffici placement universitari, centri diorientamento e sportelli stage), con una redemption del 76%, pari a 17 questionari compilati.

Tutti i questionari 4 erano a domande chiuse (tranne che per la possibilità di inseriretesti liberi nel caso di altre risposte rispetto a quelle previste tra le opzioni).Sono inoltre state elaborate alcune considerazioni statistiche sia sul censimentodell’offerta formativa (ad esempio in merito alle competenze formate e agli ambitiprofessionali in uscita, all’utilizzo dello strumento dello stage, ai costi, ecc), siasul censimento delle aziende (ad esempio sulla distribuzione territoriale, sulletipologie di attività e sulla loro eventuale segnalazione di offerte di lavoro 5).

Strumenti qualitativi:• interviste personali semistrutturate a 25 individui (titolari, responsabili del

personale, responsabili di produzione, produttori esecutivi) appartenenti adun panel di 20 aziende rappresentative dell’universo censito, sia per tipolo-gia di prodotto che per dimensione di fatturato;

• interviste personali semistrutturate ai rappresentanti (Presidenti, DirettoreGenerale, Segretario generale) delle quattro più rappresentative associazionidi categoria (Frt per le emittenti, Apt, App e Doc.it per i produttori);

1 La scelta di utilizzare questionari anonimi, che quindi non richiedessero l’identificazione del rispondente, è statafatta nel caso dei lavoratori e nel caso degli uffici placement, laddove si riteneva che consentisse una maggiorlibertà di espressione. Allo stesso modo si è garantito ai lavoratori intervenuti ai focus group sotto descritti iltotale anonimato (le loro dichiarazioni sono riportate citando la loro mansione e la tipologia di azienda in cuilavorano).

2 La metodologia di reperimento del campione snowball comporta l’allargamento di un numero iniziale limitato disoggetti, individuati da scuole e aziende, grazie al fatto che i primi contattati divengono essi stessi canale di comunicazione rispetto a colleghi, collaboratori e superiori, comunicando loro il questionario e coinvolgendolinella ricerca.

3 Naturalmente la scelta della modalità snowball non consente una stratificazione del campione, tale darispecchiare in modo omogeneo tutte le possibili variabili: nel campione sono presenti lavoratori con inquadramenti contrattuali e livelli molto differenziati (dal runner al supervising producer), appartenenti a differenti areeaziendali (di linea e di staff). D’altro canto è prevalente la presenza di lavoratori di giovane età e di bassaanzianità aziendale: questo sia perchè uno dei canali di reperimento dei nominativi di partenza era rappresentatoda enti di formazione, sia perchè presumibilmente l’interesse a questo tipo di indagine decresce all’aumentaredell’età e dell’anzianità aziendale stessa.

4 In una fase preliminare di ricerca è invero stato somministrato un ulteriore questionario on line nominativo,

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• interviste personali semistrutturate a esponenti dei più rappresentativisindacati dei lavoratori;

• focus group con lavoratori appartenenti ai tre ambiti professionali indicaticome strategici dalle aziende nei questionari (figure “crossmediali”, commerciali,produttori).

Sono inoltre state citate affermazioni di esperti del settore riportate in un paiodi importanti convegni sul settore svoltisi nel periodo della ricerca 6.

Riportiamo qui una sintesi degli ambiti e degli strumenti utilizzati.

all’intero universo di 280 aziende di selezione del personale lombarde. Il questionario ha avuto una redemptiondel 6%, pari a soli 16 questionari compilati, il che ha offerto comunque il dato di una sostanziale estranietà edisinteresse dei selezionatori di personali al campo audiovisivo, come tratteremo nel capitolo dedicato al recruiting.

5 Tutte le elaborazioni sono state effettuate tramite l’utilizzo del programma di analisi statistica SPSS 13.6 Si tratta del convegno “Dal lavoro come diritto al lavoro come optional. Le prospettive del settore audiovisivo”,

17-18 marzo 2006, Università La Sapienza di Roma, e del Convegno “L’impegno di Milano per una nuova RAIorganizzato da Provincia di Milano, Triennale di Milano, 11 e 12 maggio 2006.

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Oltre al presente volume, che rende conto analiticamente di tutti i risultati dellaricerca, sono stati elaborati un abstract riassuntivo di più agevole consultazionecon scopi divulgativi e il sito Internet www.tvjob.it, allo scopo di mettere a disposizione in forma di database, come già detto, un corpus di informazioni utiliin termini di aziende, scuole e corsi, ruoli professionali (figure e mansioni). Il sitocomprende una serie di link che possono rappresentare utili strumenti di informazione o aggiornamento per i lavoratori audiovisivi, attualmente privi di unportale di riferimento di settore.Tutti gli output sono distribuiti in forma gratuita a chiunque ne faccia richiesta 7.

I risultati analitici della ricerca sono qui presentati in tre sezioni: la prima, dopouna premessa definitoria sull’audiovisivo e sui soggetti della catena del valoretelevisiva, focalizza la sua attenzione sulle aziende (la loro distribuzione territoriale,la loro composizione, i dati fondamentali) e sui lavoratori (numero e profilo degliaddetti, trend occupazionali). Fonti di questa prima sezione sono i dati desk di settore, i dati “anagrafici” provenienti dal nostro censimento, e i dati quantitativi sugli organici forniti dalle aziende stesse in sede di compilazione delquestionario; le considerazioni emerse nella fase field qualitativa (interviste efocus group), anche se collegate ai temi qui introdotti (es. outsourcing produttivoeditori-produttori, relazione Telco-audiovisivi), sono invece approfondite nei capitoli successivi.Nella seconda parte si parla di mestieri, qualifiche, ruoli professionali e compe-tenze, nel tentativo di compiere una sistematica ricognizione (riflessa nella mappadei mestieri pubblicata integralmente in appendice) e allo scopo di indagare sucompetenze chiave e figure chiave. Entrano qui in gioco considerazioni espresseda aziende e lavoratori, a proposito di temi come le tendenze in atto e i cosiddettijob/skill shortage.Nell’ultima parte si affrontano, infine, tutti gli step di inserimento professionaledel lavoratore: dalla formazione iniziale (sia a livello universitario che di Master chedi scuole/corsi professionali) al placement (e al suo strumento principe, lo stage),alla selezione (canali e criteri di selezione) alla formazione continua (in azienda enon), all’inserimento in azienda, con le relative problematiche organizzative. Nelcapitolo finale verranno affrontate e riunite tutte quelle tematiche “macro” che costi-

output finali

7 Sul sito www.tvjob.it è possibile infatti compilare un form per richiedere copia gratuita del presente volume e/o dell’abstract sintetico.

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tuiscono lo sfondo di un tema come le Risorse Umane e che impattano su diesse: la definizione di qualità, il ruolo delle aziende, l’andamento del mercato, lecriticità del settore. Una nota di speranza viene espressa elencando i consigli chegli imprenditori intervistati hanno suggerito agli aspiranti lavoratori per un felice inserimento lavorativo.Nella seconda e nella terza parte si avrà la possibilità di confrontare spesso ilpunto di vista delle aziende e quello dei lavoratori, accostando non solo e nontanto le risposte percentuali ai questionari delle aziende e dei lavoratori 8, masoprattutto le dichiarazioni rilasciate dai vari intervistati (aziende, associazioni dicategoria, rappresentanti sindacali, lavoratori intervenuti ai focus group) 9.

Ogni capitolo è preceduto da un Abstract che ne preannuncia sinteticamente icontenuti (dando la possibilità di una lettura “modulare” al lettore che sia interessato solo ad alcuni aspetti della ricerca), e seguito da un breve Focus chefornisce uno spunto di riflessione tratto dalla situazione internazionale, senza pretesedi sistematicità e di completezza, ma a titolo di suggestione, e spesso di benchmark.

8 Come avvertenza metodologica sottolineiamo che i lavoratori rispondenti ai questionari non sono statisticamenterappresentativi delle decine di migliaia di lavoratori del settore, ma che abbiamo voluto comunque elaborarealcune considerazioni quantitative per quei fattori che ci sono parsi più significativi e meno viziati da unacomposizione non scientifica (ad esempio più sbilanciata sui lavoratori giovani che non su quelli anziani, pervari motivi).

9 Nel caso delle aziende, delle associazioni di categoria e dei rappresentanti sindacali le dichiarazioni sono sempre attribuite al singolo intervistato (cfr. panel sopra riportato), mentre nel caso dei focus group si è come detto rispettato l’anonimato, citando solo la qualifica e la tipologia di azienda.

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PARTE PRIMA

MERCATO, AZIENDEE LAVORATORI

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01IL COMPARTO DELL’AUDIOVISIVOE I SUOI SOGGETTI

In questo primo capitolo si affrontano alcune questioni preliminari alla ricerca,come l’identificazione del comparto audiovisivo rispetto alle varie definizioni inuso (Istat e Isfol in particolare), e la classificazione della tipologia di soggetti checostituiranno il campo di indagine dei capitoli successivi. Oltre che per delimitare le aziende campione e per individuare il focus della nostra analisi(emittenti televisive e produttori), analizzare la catena del valore e i soggettidella filiera produttiva servirà a chiarire alcuni problemi che saranno poi chiamati in causa dagli stessi lavoratori nel corso delle interviste: tra tutti, il nodofondamentale del rapporto tra editori e produttori, e il territorio di confine tra leimprese di telecomunicazioni e quelle dell’audiovisivo tradizionale.La suggestione del Focus citerà alcune emittenti tv internazionali, che hanno sitiinternet dedicati al rapporto con i propri fornitori di contenuti.

di Alessandra Alessandri

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“La prima difficoltà nell’analizzare il settore audiovisivo consiste nelle molteplicidefinizioni del settore stesso”: con questa premessa l’Annuario 2005 delloEuropean Audiovisual Observatory (EAO) tenta una classificazione pragmatica delsettore, che integri e superi le categorizzazioni attualmente in uso. Ne citiamo tre, a testimoniare l’arbitrarietà dei confini dell’audiovisivo. Una prima categorizzazione è quella della nomenclatura delle attività economicheNACE, creata dall’organo statistico della Commissione Europea Eurostat nel1970, aggiornata nel 1990 e adottata obbligatoriamente in tutti i paesi della UE,valida fino alla modifica sostanziale delle categorie prevista per il 2007, e recepitain Italia da ISTAT: le aziende che svolgono attività economiche nel settore audiovi-sivo dovrebbero trovare collocazione all’interno della macrocategoria 92 delle“Attività ricreative, culturali e sportive” 1, e in particolare nelle categorie 92.11“Produzioni cinematografiche e di video” 2, 92.12 “Distribuzioni cinematografichee di video” 3, e 92.2 “Attività radiotelevisive” 4.

Questo raggruppamento, che coincide 5 con le classi di iscrizione alle Camere diCommercio, ha però alcuni difetti: quello di assimilare le emittenti radiofoniche,che evidentemente non rientrano nell’audiovisivo, a quelle televisive (per il fatto che,storicamente, le attività radiotelevisive erano svolte unitariamente dalle medesimeorganizzazioni), e soprattutto quello di ignorare i legami tra la produzione audiovisiva e le telecomunicazioni, laddove le commistioni tra media e informatica/tele-comunicazioni (l’abusato tema della “convergenza”) rappresentano ormai una

1.1 Definire il comparto audiovisivo

1 Oltre alle tre categorie citate, nella macrocategoria 92 “Attività ricreative, culturali e sportive” rientrano anchele Proiezioni Cinematografiche, Creazioni e interpretazioni artistiche e letterarie, Gestione di sale di spettacolo,Discoteche sale da ballo/night clubs, Circhi e altri Spettacoli Itineranti, Altre attività di Intrattenimento eSpettacolo, che evidentemente non rientrano nell’ambito audiovisivo e quindi nel nostro campo di indagine.

2 La definizione Istat di “produzione e post-produzione audio e pellicole cinematografiche, noleggio film, acquisizionediritti cinematografici e Tv” recita: “Produzione di spettacoli cinematografici con l’intervento o meno di attori, supellicola e su videotape, per la proiezione diretta in sale cinematografiche o per la trasmissione in televisione;produzione, in uno studio cinematografico o in laboratori speciali per film di animazione o cartoni animati, dilungometraggi, documentari, cortometraggi ecc. ai fini di intrattenimento, pubblicitari, di istruzione, di formazione edi diffusione di informazioni, compresi i film di soggetto religioso e i cartoni animati di qualsiasi tipo; attività ausiliarie per conto terzi, quali le attività di montaggio, di doppiaggio ecc”.

3 La definizione Istat di “Distribuzioni cinematografiche e di video” recita: “Distribuzione di pellicole cinematografichee di videotape alle altre industrie ma non al pubblico, vendita e/o noleggio di pellicole o nastri a fini diintrattenimento o per la diffusione televisiva. Inoltre le attività connesse alla distribuzione di pellicole e divideonastri, quali prenotazioni, consegne, immagazzinamento ecc”.

4 “Tutte quelle imprese che svolgono attività connesse alla produzione di programmi radiofonici e televisivi, siain diretta, sia registrati su nastro o altro supporto, in combinazione o meno con la loro trasmissione. Tali programmi possono essere prodotti a fini di intrattenimento, di promozione, di istruzione, di formazione, o di diffusionedi notizie anche su nastri che possono essere venduti, noleggiati o conservati per la trasmissione o per successive diffusioni”.

5 Sulle cautele da usare rispetto ai dati della Camera di Commercio per la quantificazione delle aziende effettivamente operanti nel nostro settore di indagine, si veda il capitolo successivo.

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quota significativa del comparto. La riprova è che “vecchi e storici protagonistidella produzione di film, dischi, trasmissioni radiotelevisive sono stati assorbiti danuove organizzazioni provenienti da settori contigui” (Censis Videoplay 2000),iscritti nei registri della Camera di Commercio in aree estranee al settore 92.Un’altra evidenza delle difficoltà del sistema NACE-ISTAT nel classificare le nuoveattività derivanti dalla rivoluzione digitale viene da un’indagine compiuta nel 2005 inFrancia: le 146 compagnie che pubblicano prodotti o servizi multimediali - la maggioranza delle quali nata dopo il 1995 - sono classificate con ben 34 diversicodici NACE (EAO 2005).

Per tutti i motivi sopra elencati, lo European Audiovisual Observatory propone unsuperamento delle classificazioni NACE, e una suddivisione del comparto audiovisivo in quattro branche tradizionali: film, televisione, home video, altreforme di prodotti audiovideo (produzione di spot, produzione corporate ed educational…), a cui vengono aggiunti i multimedia di intrattenimento, in cui sonoinclusi i videogames. Il problema di questa categorizzazione è che vengono assimilatigeneri di prodotto e semplici canali distributivi degli stessi (come ad esempiol’home video), laddove lo stesso prodotto ha normalmente un complesso ciclo disfruttamento distributivo con finestre plurime: l’esempio classico è quello dellungometraggio cinematografico, che viene distribuito, successivamente allacircolazione theatrical in sala, nel video on demand e nell’home video, nella paytv, nella tv free, oltre a dare origine a sfruttamenti collaterali come quelli dellicensing e del merchandising (ad esempio con i tie-in dei videogames relativi).

Un altro approccio è quello di considerare come area occupazionale omogenea ilsettore “Audiovisivi/Spettacolo/Pubblicità”: si tratta della scelta dell’Isfol, chesupera il criterio merceologico Istat e giustifica l’assimilazione di cinema, televisione, pubblicità, radio, danza, teatro, musica e spettacoli dal vivo con lamotivazione, peraltro condivisibile per molti aspetti, della “oggettiva contiguità deicontenuti operativi, delle significative analogie nei processi di produzione, dellamarcata trasversalità di numerosi profili professionali caratteristici” (Isfol Studiodi Area).Rimane comunque dubbia la possibilità di rendere del tutto omogenee aree comequella dell’audiovisivo e quello dello spettacolo live, che mantiene sue evidentispecificità (tra cui l’assenza di supporti e della fase di postproduzione).La scelta adottata nella presente ricerca è quella di delimitare l’oggetto di indagineall’attività televisiva, sia di produzione che di emissione, e ai suoi link con la pubblicitàper quanto concerne l’audiovisivo pubblicitario (spot pubblicitario/filmato

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industriale) e le telecomunicazioni (includendo i cosiddetti “new media”, come letv via web o le iptv, e i prodotti “crossmedia” o “multicanale”, cioè progettati peressere veicolati da più piattaforme, come ad esempio tv sat, tv free, web,mobile, ecc.). 6

Utilizzando il diagramma del macrocomparto della comunicazione stilato daCensis (Censis 1999) si possono evidenziare i nostri campi di interesse.

Fonte: elaborazione Labmedia da Censis 1999.

6 Per semplicità di lettura, in tutta la ricerca, compreso il censimento aziende riportato in appendice e consultabilein forma di database nel sito www.tvjob.it, ogni commistione tra audiovisivo tradizionale e telecomunicazioni èstata riportata con l’etichetta di “crossmedia”, in una accezione quindi più ampia di quanto solitamente essa comprenda.

Telecomunicazioni Informatica

Editoria

Spettacolo eintrattenimento Pubblicità

Attività audiovisiva e radiotelevisiva

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Ciò per rendere centrale il medium televisivo e tutti i generi da esso veicolabili:• programmi televisivi di intrattenimento;• programmi televisivi di infotainment e/o educational;• programmi televisivi di news e/o sport;• fiction televisive;• documentari;• animazioni; • spot pubblicitari;• crossmedia.

Tutti gli altri prodotti audiovisivi, tra cui soprattutto i lungometraggi cinematografici,rientrano nella ricerca solo in quanto prodotti dalle medesime aziende del nostrouniverso (ad esempio, se una casa di produzione produce sia cinema chedocumentari o fiction è stata inclusa, ma non se produce o distribuisce o proiettaesclusivamente cinema). La scelta di tenere il cinema in secondo piano èmotivata, oltre che dalla sostanziale diversità della filiera rispetto al ciclo produttivotelevisivo 7, anche dall’identificazione quasi assoluta tra settore cinematograficoe territorio laziale.

Naturalmente si tratta di prodotti diffusi su più canali: solo i primi tre generi cita-ti hanno una esclusiva destinazione televisiva, mentre già per alcune fiction e pergli spot pubblicitari siamo in una zona che eccezionalmente può confinare con lasala cinematografica; per i documentari e le animazioni si tratta di prodotti sia televisivi che home video e, più raramente, cinematografici; i prodotti crossmedia,come detto, sono per definizione multipiattaforma o multicanale e vengono prodotti sia per la messa in onda televisiva che internet che su mobile, anche seil medium trainante resta quello televisivo.

Il settore così inquadrato è comunque molto ampio per la varietà dei formati e deicicli produttivi: si va dal lungometraggio cinematografico da 90’-120’, che ha untempo medio di gestazione di alcuni anni, al documentario, da 26’ a 54’, che haun tempo medio di gestazione di 12/24 mesi, allo spot da 30”, con un tempomedio di gestazione di 60 giorni. I programmi televisivi poi sono molto diversi gli

7 Naturalmente il territorio di confine tra cinema e le fiction non seriali come tv movie e miniserie è molto più sfumato, come vedremo, sia nella distribuzione dei prodotti (ad esempio prodotti quali “La meglio gioventù” o“Perlasca” hanno avuto una distribuzione anche cinematografica, sia nel nostro paese che soprattutto all’estero)sia nelle figure professionali, come vedremo nella mappa delle professioni. Molti autori di miniserie insistonosull’arbitrarietà della distinzione tra i loro prodotti e il cinema, anche se è differente lo schema di finanziamento eil reperimento delle risorse.

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uni dagli altri: citiamo come esempi lo speciale di intrattenimento (il gala, l’eventosportivo o musicale), il programma settimanale, la striscia quotidiana, il telegiornalecon varie edizioni al giorno. Ad esemplificare l’eterogeneità dei cicli produttivi, citiamo il macrogenere fiction,all’interno del quale ci sono tre mondi completamente differenti: la fiction nonseriale (tv movie e miniserie fino a 4 puntate da 100’), la media serialità del telefilm o della sitcom (ad esempio 13 o 26 episodi da 50’), la lunga serialitàdella soap opera (centinaia di puntate di 24’).

Caratteristiche produttive dei formati di fiction

Fonte: elaborazione Labmedia dalla Tesi di Laurea “La fiction italiana. Figure e modalità produttive tra artigianatoe industria”, di Isabella Caccialanza, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2004/5, relatore Prof.ssa AlessandraAlessandri. I dati sono ricavati da numerosi intervistati, responsabili di fiction nazionali.

In molti casi la differenza la fa il singolo prodotto, non standardizzabile, e non ènemmeno possibile stabilire dei parametri medi di costo (come nell’ambito deglieventi, dell’animazione e del crossmedia).Lo spartiacque che tradizionalmente consentiva di tracciare il confine tra duemondi, fiction e non-fiction, e di compiere delle generalizzazioni all’interno di essi,recentemente è stato travolto da generi ibridi come il reality, la docu-soap e ladocu-fiction, che vivono sullo stretto territorio di confine tra documentazione del

Prodotto esemplificativo (produttore)

N° puntate/episodi e durata

Supporto

Costo medio orario indicativo

Produttività media giornaliera(minuti girati al giorno)

Unità produttiva (del piano di produzione)

Produttività della serie (puntate/episodi girati in unaunità di tempo)

Anticipo della scrittura sullamessa in onda

“Il commissario Montalbano”(Palomar Endemol)

1 (tv movie) o 2-4 puntate(miniserie) da 100’

Pellicola 35 mm

1.000.0000 E

3’

1/2 film da 100’

2 film in 10 settimane

12 mesi ca

“Distretto di polizia”(Taodue)

26 episodi da 50’

Pellicola 16 mm

450.000 E

7’

13/26 episodi da 50’

26 puntate in 45-50 settimane

6 mesi ca

“Centovetrine” (Mediavivere)

Centinaia di puntate da 24’

Digitale

100.000-120.000 E

30’

1 blocco da 5 puntate da 24’

2 blocchi in 8 giorni

Un mese e mezzo ca

Generi Tv movie e miniserie

Breve serialità

Serie/Teelefim sitcom

Media serialità

Soap opera

Lunga serialità

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profilmico e creazione del mondo filmico 8.Anche i budget di produzione dei prodotti considerati sono molto diversi, e conessi la strutturazione degli organici: si va dal videoreporter, che da solo assumetutte le mansioni in tutte le fasi di un breve servizio o di un reportage (cfr. capitolo4), fino al prodotto cinematografico blockbuster, che raggiunge il massimo di complessità e il record di quasi mille persone coinvolte. 9

1.2 La catena del valore:tipologie di soggetti

La catena del valore dell’audiovisivo è composta da tipologie di soggetti aziendalicon differenti ruoli e responsabilità.

I soggetti centrali per i contenuti sono gli editori (le emittenti tv) e i contentprovider (le case di produzione che forniscono loro i programmi) e, in misuraminore, i distributori. Per questa ragione abbiamo tralasciato gli anelli a monte e avalle, cioè i Fornitori di servizi (a meno che nonesercitassero l’attività secondariadi produttori audiovisivi), i Service Provider e i Network Provider (a meno che nonassumessero in prima persona anche il ruolo di editori). 10

Per esaminare più da vicino le distinzioni tra i diversi soggetti, nel prossimo paragrafo ne esplicheremo le attività fondamentalmente differenti; come si vedrànell’ultimo capitolo, questo tema non è solo un accademico esercizio definitorioma comporta un dibattito controverso come quello sull’outsourcing produttivo, eun tema di grande attualità come quello delle “altre tv”, le nuove forme di televisione.

Fornitore diservizi allaproduzione

ContentProviderProduttore

EditoreBroadcaster

Service ProviderPackager

NetworkProviderCarrier

8 Forse oggi più che distinguere tra fiction e non fiction, ad esempio tra fiction e intrattenimento leggero, sarebbeopportuno distinguere tra produzione originale (su concept originale) e adattamento da format internazionale.

9 Perretti e Negro citano l’esempio del film “Titanic”, che contava su una troupe totale di 858 persone. (PerrettiNegro 2003).

10 Ad esempio, tra i Network Provider mobile abbiamo incluso nel nostro censimento solo H3g in quanto anche editore in proprio (e addirittura produttore) con La 3 Media, editore di Walk tv dal giugno 2006.

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1.2.1 L’opzione “make or buy”.Il rapporto tra editori e produttori

La prima attività della catena del valore citata, quella di fornitura di servizi, riguardatutte quelle attività necessarie al produttore, qualora non disponga internamentedi tutte le risorse di produzione. Ad esempio, tra i servizi tipicamente esternalizzatidai produttori annoveriamo servizi “tecnici” quali l’affitto di studi di produzione edi sale di postproduzione (e del relativo personale tecnico), il noleggio di materiali per la ripresa e delle troupe esterne di produzione (dalla configurazionebase della troupe ENG a quella più complessa della EFP 11); ma vi sono anche servizi “creativi” quali le attività di casting o di Ricerca e Sviluppo.L’attività di Content Provider riguarda la produzione e la fornitura di Contenuti (iprogrammi televisivi) ai broadcaster o ad altri distributori. È svolta tipicamente,oltre che dagli agenti che svolgono funzione di intermediazione dei diritti internazionali, dai produttori indipendenti, cioè slegati societariamente e contrattualmente dai broadcaster. Per “produttori indipendenti” si intendono, cioè,quegli ”operatori di comunicazione che svolgono attività di produzione audiovisiva eche non sono controllati da / collegati a soggetti destinatari di concessione, dilicenza o di autorizzazione per la diffusione radiotelevisiva o che per un periododi tre anni non destinino almeno il 90% della propria produzione ad una sola emit-tente” 12. Come si è detto, il Produttore può avvalersi nelle fasi operative di forni-tori di servizi. L’attività di Editore, svolta ad esempio dalle emittenti televisive (broadcaster e non),comprende invece le attività editoriali di selezione, impaginazione nel palinsesto,programmazione e promozione dei prodotti; può comprendere l’attività di produzione,per una parte più o meno rilevante del proprio palinsesto.I programmi possono infatti essere autoprodotti dagli Editori stessi completamente al loro

interno (produzione in house) o delegandone la realizzazione esecutiva a produttori

indipendenti (autoproduzione in appalto), preacquistati o acquistati da produttori indipendenti,

oppure coprodotti con case di produzione indipendenti 13 o più frequentemente con editori

di altri Paesi, oppure ancora acquistati da distributori che agiscono come intermediari sui

mercati internazionali.

11 Per ENG si intende Electronic News Gathering, la troupe leggera composta da operatore e specializzato diripresa, utilizzata prevalentemente nei servizi giornalistici. Per EFP si intende invece Electronic Field Production,una configurazione più complessa di regia mobile, da tre a dodici telecamere.

12 La definizione è contenuta dalla legge Gasparri del 3 maggio 2004. Sulla base di questa definizione restrittivanon può essere considerato produttore indipendente la Fascino di Maurizio Costanzo, posseduta per il 50% daRTI del Gruppo Mediaset. Per quanto riguarda invece gli accordi di esclusiva si è recentemente estesa ladefinizione di produttore indipendente includendo anche soggetti come la Taodue di Pietro Valsecchi, che lavorain esclusiva per Mediaset.

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Tipologie di approvvigionamento prodotti da parte del broadcaster

Produzione in house

Coproduzione

Appalto

Appalto di servizi

Acquisto di licenza

Acquisto di licenza di format

Diritto di ripresa

Produzione totalmente interna alla rete

Produzione di più emittenti,o produzione di una emittentecon un produttore

Produzione commissionataad un produttore totalmente

Produzione commissionataad un produttore parzialmente

Acquisto da parte della retedi una licenza di trasmis-sione di un programma finitoo di parti di esso o di unpacchetto di film, con alcunelimitazioni temporali e nelnumero di passaggi

Cessione ad una rete daparte dell’avente diritto del-l’uso di un format, soggettoa condizioni e restrizioni.Spesso abbinabile alla for-mula dell’appalto o allacoproduzione da parte delcontent provider cessionariodella licenza

Acquisto da parte della retedel diritto di produrre etrasmettere eventi extratele-visivi sportivi o musicali sulproprio mercato nazionale.

Proprietà integrale della rete

Condivisione diritti

Proprietà integrale della rete

Proprietà integrale della rete

Proprietà del fornitore (content provider)

Proprietà del fornitore (content provider)

Proprietà dell’organizzatoredell’evento.

News; parte dell’intrattenimento

Miniserie di fictioninternazionali; format pregiati di intrattenimento

Fiction nazionale; format di intrattenimento

Format di intrattenimentoprodotti con risorse internedella rete

Film, documentario internazionale

Format di intrattenimento efiction di lunga serialità(soap)

Concerti, Eventi sportiviinternazionali

Formula: acquisto

Tipologia contrattuale Modalità Titolarità diritti Genere tipico

Formula: autoproduzione

Fonte: elaborazione Labmedia.

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L’Editore classico, caso tipico dei servizi pubblici storici, è strutturato sul modello dell’autoproduzione in house e quindi sull’integrazione verticale della catenaproduttiva, e svolge direttamente come unico soggetto) tutte le attività. 14

Oppure l’editore può affidare la realizzazione esecutiva di un programma a societàsussidiarie di proprietà del gruppo, che svolgono alcune delle attività (ad es.Mediaset affida la realizzazione esecutiva a Videotime, la “fabbrica” del gruppo,a RTI come editore, a Elettronica Industriale come network provider e quindi perla distribuzione del segnale). Nonostante la distinzione formale, il modello si puòconsiderare analogo al precedente.

La catena del valore di una autoproduzione in house RAI o Mediaset

Ci sono invece editori, come i piccoli e medi canali satellitari, che scelgono di affidarsi quasi esclusivamente a piccolissimi produttori e ancora più spesso diacquistare prodotti finiti sui mercati internazionali

15.

La decisione di “make or buy”, cioè di autoprodurre o di esternalizzare la produzione, è una scelta strategica aziendale, che ha impatto non solo a livelloeconomico-finanziario ma anche editoriale, soprattutto nel medio-lungo periodo.La scelta del “make” comporta risorse (costi fissi) e strutture produttive consistenti e quindi rigide, con un rischio di impresa più alto, ma permette

13 La collaborazione tra editore e produttore può arrivare a forme più strette della semplice coproduzione su unsingolo prodotto: dai contratti in esclusiva per un certo periodo temporale all’acquisto da parte dell’editore di quotedel produttore stesso (es. Fascino-RTI), alla fondazione di una vera e propria società comune (il caso Mediavivere,50% Endemol, 50% RTI)

14 “Le imprese televisive che rappresentano anche grandi produttori di programmi sono soprattutto quelle di elevate dimensioni … e in particolar modo i soggetti pubblici, per evidenti ragioni storiche”. Cfr. Demattè-Perretti 2002.

15 Una ricerca sui canali satellitari di intrattenimento condotta da Labmedia nel maggio 2005 per Fox InternationalChannels ha evidenziato come alcuni canali satellitari non presentino alcuna autoproduzione (Hallmark,Paramount), altri una percentuale comunque molto bassa (Fox e Jimmy, intorno al 2%, E! Entertainment 5%); l’unica eccezione è rappresentata da Fox Life, che ha scelto una forte impronta di localizzazione, autoproducendouna parte significativa del palinsesto (l’8% in volume e il 21% in titoli).

Fornitore diservizi allaproduzione

Rai

Videotime

Rai

Rti

Rai

Rti

Rai

Rti

Rai Way

Elettronicaindustriale

ContentProviderProduttore

EditoreBroadcaster

Service ProviderPackager

NetworkProviderCarrier

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l’indipendenza dai fornitori esterni, e una maggiore autonomia editoriale; quelladel “buy” consente maggiore flessibilità ma comporta il rischio di “lock in”, cioè dieccessivo potere contrattuale dei fornitori 16. Naturalmente queste scelte varianoin funzione della tipologia di azienda e dei generi di prodotto: le emittenti pubbli-che dovrebbero fare maggior ricorso all’autoproduzione, anche per ottimizzare lenumerose risorse interne produttive e umane, mentre per quanto riguarda i generi,le news vengono sempre autoprodotte, la fiction italiana viene sempre appaltataa case di produzione per lo più di derivazione cinematografica, la fiction internazionale seriale viene acquistata, quella internazionale di breve serialitàcoprodotta. Come afferma Devescovi (2003), “le due opzioni spaziano tra l’80%circa di programmi autoprodotti sul totale della programmazione nel caso dei principali servizi pubblici europei … e il 30% circa di gran parte delle tv commerciali”.Nell’ultimo capitolo consideremo l’impatto di queste scelte aziendali sulle professiona-lità e il vissuto dei lavoratori.

La medesima scelta di “make or buy”, ma a livello di interi canali e non di singoliprodotti, è quella che si può porre per l’anello successivo della catena: il ServiceProvider. Il tipico packager di un’offerta composta da più canali (attualmente circa150) è oggi Sky Italia, che ha come attività peculiare quella del rapporto con l’abbonato, e che può decidere di articolare la propria offerta in canali propri ecanali forniti da editori terzi.

La catena del valore di un programma in appalto per un canale satellitare “terzo” Sky

Per quanto riguarda il livello dei singoli programmi si può arrivare quindi ad unaelevata parcellizzazione della catena, identificando ciascuna attività in altrettantisoggetti. 17

16 Nel 2004 RTI ha orgogliosamente rivendicato la possibilità di autoprodurre in house un reality show, finoraappannaggio di case di produzione esterne, con la produzione “Campioni”, che però non ha ottenuto i risultatisperati.

17 L’esempio che riportiamo nel diagramma, a titolo assolutamente esemplificativo, è quello di una produzionecome “Quasi gol”, prodotta da Magnolia con facilities Interactive, Vision, 302/Icet, per Disney Channel,editore terzo di Sky, visibile in modalità satellitare o anche iptv tramite Fastweb.

Fornitore diservizi allaproduzione

302/Icet/Interactive/Vision

Magnolia DisneyChannel

Sky Fastweb/Sky

ContentProviderProduttore

EditoreBroadcaster

Service ProviderPackager

NetworkProviderCarrier

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Per quanto riguarda il livello degli interi canali, Sky Italia ha attualmente scelto diautoprodurre internamente, come editore e produttore, lo sport, le news e uncanale di intrattenimento (rispettivamente Sky Sport, Sky Tg 24, Sky Vivo),delegando ad editori “terzi” (cioè esterni) tutti gli altri canali 18. Tra gli editori terzipiù importanti ricordiamo Fox International Channels (del gruppo News Corporationa cui appartiene Sky stessa), Discovery Networks, Disney; si tratta prevalente-mente di soggetti multinazionali, tranne i casi Digicast e Sitcom, e prevalentementeincentrati sulla piattaforma satellitare (tranne RAI con RaiSat e MTV che trasmettonoanche in analogico e in digitale terrestre).

Principali editori del pacchetto Sky

Editore Canali

Sky

Fox

Rai Sat

MTV

Sitcom

Digicast

Discovery Networks

Turner

Disney

Jetix

Eurosport

Hallmark

E! Networks

Class editori

Bloomberg

Sony

Vivendi Universal

Sky Tg 24, Sky Meteo;Sky Vivo; Sky Cinema 1, 3, Max, Autore, Classics, 16/9; Sky Sport 1,2,3

Fox, Fox Life, Fox Crime, Fx; National Geographic, History Channel, Adventure 1, Cult

Raisat Extra, Raisat Premium, Raisat Cinema World, Raisat Ragazzi,Raisat Gambero Rosso

MTV Hits, MTV Brand New; Paramount Comedy, Nickelodeon

Alice, Marcopolo, Leonardo, Nuvolari

Jimmy, Caccia e Pesca, ( + Planet free)

Discovery channel, Discovery science, Discovery civilization, Discovery travel & adventure,Discovery Real Time, Animal Planet

Cartoon network, Boomerang

Disney Channel, Toon Disney, Playhouse Disney

Jetix, Gxt

Eurosport 1, 2

Hallmark

E! Entertainment

Class Cbnc

Bloomberg

Axn

Studio Universal

Fonte: elaborazione Labmedia, maggio 2006

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1.2.2 Il Ruolo del Network Provider:le Telco diventano editori?

L’ultimo anello della catena è rappresentato dai Network Provider, gli operatoriche forniscono le infrastrutture tecnologiche per assicurare la trasmissione del contenuto audiovisivo prodotto o distribuito dai Content Provider per gli editori, edeventualmente “impacchettato” dai Service Provider. In alcuni casi di tratta disocietà sussidiarie degli stessi editori (RAI Way per RAI, Elettronica Industriale perMediaset), in altri casi i soggetti coincidono (es. Sky), in altri casi ritrasmettono icontenuti di terzi limitandosi a offrire una piattaforma supplementare (web, Iptv,Umts, Dvb-H) agli editori e ai Service Provider (rispettivamente nel caso diTelecom e Vodafone che propongono in modalità Umts pillole video di editori vari, 19

o nel caso di Fastweb che trasmette parte dell’offerta Sky in modalità Iptv). Infine possono anche assumere un ruolo attivo, assimilandosi ai Service Provider o agliEditori e addirittura ai Produttori (come nel caso di H3G).I casi di Fastweb e H3g meritano un approfondimento particolare.Fastweb, dopo il fallimento del tentativo del gruppo e.Biscom di diventare ancheeditore (con la casa editrice e.Bismedia e il giornale on line “il nuovo.it”), ha sceltocome obiettivo quello di far diventare la sua videostation la piattaforma vincenterispetto alla parabola satellitare e al decoder digitale terrestre, aprendola aimigliori contenuti disponibili sul mercato: a questo scopo può limitarsi a fare dacarrier ritrasmettendo i canali tradizionali (di RAI, Mediaset, La7, MTV e All Music)e alcuni satellitari (Sky cinema, Sky sport e altri 14 canali satellitari), oppure crea-re come packager, e quindi come Service Provider, un’offerta Video On Demand (inpartnership con altri editori, come nel caso della joint venture con il servizio pubblico RAI Click, o da sola con “On Tv”, videoteca quasi esclusivamente cinematografica 20.

“L’editore tv non è il mestiere che vogliamo fare. Siamo abbastanza consapevoli di nonavere la capacità per affrontare impegni così diversi rispetto a quelli per cui Fastweb ènata. Il nostro modo di fare tv è quello di offrire una piattaforma tecnologica di alta effi-

18 Nel 2005 Sky ha dichiarato di autoprodurre direttamente 12.000 ore (6.100 ore di sport, 5.800 di news, 168di cinema/intrattenimento), a fronte delle 13.000 ore autoprodotte dagli editori terzi, per un totale di 25.000ore di produzione originale. Cfr. brochure istituzionale Sky.

19 È questa la ragione per cui l’offerta Umts di Vodafone e Telecom non è stata inclusa nel nostro censimento di produttori e editori audiovisivi.

20 Organizzativamente Fastweb sembra confermare una maggiore strategicità dell’offerta televisiva nei confrontidel core business dei servizi di Dati e Voce privilegiati nel passato, costituendo nell’aprile 2006 una DirezioneMedia & Tv che centralizza quasi tutte le attività televisive (tranne quelle di Operations).

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cienza, alternativa a quelle presenti. Il nostro modello è: ‘Reti aperte a contenuti aper-ti’. Non abbiamo l’obiettivo di fare l’editore televisivo, di occuparci di produzione di con-tenuti, ma quello di migliorare la piattaforma di distribuzione del segnale televisivo,basata sull’Internet Protocol. Vogliamo aprire la nostra piattaforma ai migliori contenu-ti disponibili. La nostra stategia non è quella di finanziare direttamente le produzionima di lavorare con partnership ed acquisizioni. Certo il nostro ruolo, nel caso del VideoOn Demand (con On Tv e con RAI Click), è quello di fare un passo in più rispetto a quan-do ci limitiamo a ritrasmettere i programmi di Sky, facendo anche del packaging efacendo delle scelte editoriali. Con Rai Click la RAI ha fatto una cosa in anticipo su tutti,anche su BBC. È un gioiello che permetterebbe a RAI di porsi come un broadcasterpubblico tra i più innovativi, sperimentali e moderni. Noi vorremmo valorizzarla maggior-mante”.(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)

La scelta di H3G è invece più radicale. In occasione dei Mondiali di calcio del giugno 2006 (e in vista del collocamento in Borsa) si è strutturata come una verae propria Media Company integrata: la prima tv Dvb-H europea comprende nonsolo canali di editori terzi (RAI, Mediaset, Sky) ma anche un’offerta autoprodotta(“Walk Tv”, che comprende i canali propri “La 3 Live” e “La 3 Sport”) grazieaddirittura a risorse creative e tecniche internalizzate 21, in controtendenzarispetto all’esternalizzazione prevalente sul mercato.

“Alcuni operatori hanno fatto scelte diverse dalle nostre. Per fare la tv servono un saccodi soldi e bisogna saperla fare. Tre la fa partendo dal presupposto che ha l’oggetto, iltelefonino. Ma a mio parere il device non basta”.(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)

Nel capitolo finale del volume analizzeremo come questi aspetti (outsourcingeditori-produttori, e ruolo delle compagnie di telecomunicazioni) siano vissuti evalutati da aziende e lavoratori.

21 H3G ha acquisito da Profit studi e frequenze dell’emittente Canale 7 (ex Seimilano), e ha contrattualizzatonumerosi artisti e creativi televisivi: Peppe Quintale come direttore artistico, Massimo De Luca come responsabile dello Sport, Luca Barbareschi come responsabile di Cinema e Fiction, Jocelyn Hattab come responsabile del Light entertainment.

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FOCUS

Le maggiori emittenti internazionali, principalmente ma non esclusivamente pubbliche,rendono trasparente il proprio rapporto con i produttori indipendenti dedicando sitiinternet appositi al tema del Commissioning, esplicitando linee editoriali dei propricanali, priorità, budget e formati, invitando ad inviare proposte di programmi cheseguano determinate griglie, offrendo guidelines per l’elaborazione della proposta,dando indicazioni del processo interno di valutazione, identificando i referenti deiproduttori.

Il primo esempio è quello di BBC: ilservizio pubblico inglese, nel sitowww.bbc.co.uk/commissioning,presenta le proprie strutture digenere e canale e le priorità di sviluppo (offrendo strumenti comei dati di ascolti, i bisogni del pubblico,formati e budget produttivi), e addi-rittura esplicitando il ciclo di

approvazione interno delle proposte, che promette una risposta ai proponenti entropoche settimane e una decisione di eventualecommessa entro 20 settimane.È presente anche una sezione “who’s who” chefornisce nomi, foto e biografie dei controllers direte e dei commissioning editors di generi efasce.

Anche il sito del servizio pubblico statunitense,Producing for PBS, www.pbs.org/producers,contiene Productions Tools come guidelineseditoriali e produttive (anche tecniche e lega-li), indicazioni sulla mission e sulle priorità delcanale, come sul processo di invio delle proposte(Proposal Process), compresi i nominativi deidirigenti di riferimento. Si cita il processo di

Il rapporto editori-produttori.Alcuni website “commissioning” di emittentiinternazionali

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sviluppo interno, che prevede Senior Programming Team mensili eCommissioning Meeting semestrali, e che promette un contatto con il proponente entro 4-6 settimane.

Il sito di Channel 4, www.channel4.com/corporate/4producers, contiene anch’esso ibriefing dettagliati di ogni genere e fascia dei canali, incluso il palinsesto. Per inviarele proposte è necessario registrarsi sul sito.Il sito internazionale di Discovery http://producers.discovery.com contiene leGuidelines in termini di formati e generi per ogni canale e mercato di riferimento eTools come la producer guide. Dichiara di aver previsto la possibilità di ricevere online le proposte di contenuti dall’esterno per rendere più semplice, più accessibile epiù efficiente il processo di Submission per i produttori.

Infine, il sito internazionale del National Geographic, all’indirizzo www.ngcideas.comindica le modalità di invio delle proposte elettroniche “paperless” in un formatostandard (che comprende trattamento, budget, piano di produzione e bio dei produttori). Viene esplicitato il processo di valutazione delle idee che comprende unDevelopment Team che boccia l’80% delle proposte pervenute e invia le rimanentiai dirigenti del Global programming Group che, in caso positivo, assegna al produttoreproponente un Account Executive o un Business Affairs Representative per seguirnela commessa.

FOCUS

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02LE AZIENDE AUDIOVISIVE

Questo capitolo è strutturato in cerchi concentrici, e parte da considerazioni discenario: un rapido sguardo sul mercato audiovisivo internazionale e su quelloitaliano introduce, innanzitutto, le considerazioni sul ruolo della Lombardia neisettori dell’editoria televisiva e della produzione audiovisiva, desunte da fontiquali European Audiovisual Observatory e Istat.Il dato di un’elevata concentrazione di aziende audiovisive nel territorio lombardoe, in particolare, in quello milanese, ha suggerito, quindi, un approfondimentosul tema “Milano capitale della comunicazione”: quanto, al di là dei cliché,Milano e la sua Provincia riescono a “fare sistema” intorno all’industria dellacomunicazione? Quali caratteristiche e quali punti di debolezza hanno gli insediamenti della comunicazione e dell’audiovisivo di Cologno, Sesto, Santa Giulia? Ai dati di scenario segue, infine, la presentazione del campione della nostraricerca: sarà descritta brevemente la composizione del censimento delleaziende audiovisive; si presenteranno, infine, le caratteristiche anagrafiche delgruppo di aziende che ha partecipato alla fase field quantitativa dell’indagine.Il Focus è dedicato al Centro di Produzione RAI di Milano, alla sua storia e alsuo ruolo attuale.

di Chiara Valmachino

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2.1 Lo scenario. Il peso della Lombardia nel mercato audiovisivo

Lo European Audiovisual Observatory stila ogni anno una classifica delle maggioricompagnie mediatiche mondiali per volume di affari nel settore audiovisivo: nell’annuario 2005, compaiono rispettivamente al sedicesimo e diciassettesimoposto i protagonisti del duopolio televisivo italiano, Mediaset e RAI, entrambi consede in Lombardia (sede primaria per Mediaset e non per RAI). Il confrontodiacronico 2001-2004 rivelava per entrambi i gruppi una costante crescita del volume d’affari; l’incremento tra il 2003 e il 2004, in particolare,risultava più marcato per Mediaset (+21,30%) rispetto a RAI (+14,70%).

Le prime 17 Media Companies per volume d’affari nell’audiovisivo 2001-2004Compagnia Attività 1 2001 2002 2003 2004 2004/03Paese

Walt Disney

Viacom (*)

Time Warner (**)

Sony

Vivendi Universal

News Corporation

NBC Universal

The DirecTv Group Inc.

Bertelsmann

Liberty Media corp. (***)

(ex QVC (***))

BBC group

ARD

NHK

Blockbuster Inc. (*)

Nintendo

Mediaset

RAI

US

US

US

JP

FR

AU

US

US

DE

US

US

GB

DE

JP

US

JP

IT

IT

Prod, dis, tv, vid, rec

Tv, prod, dis, vid

Prod, dis, tv, vid, rec

Prod, dis, vg

Prod, dis, tv, vg

Prod, dis, tv, vid, rec

Tv, prod, dis

Tv

Tv, prod, dis, rec

Tv

Tv

Tv, rad, prod, dis, vid

Tv, rad

Tv, rad

Vid

Vg

Tv, prod

Tv, rad, prod, dis

18168

18046

19845

19161

14733

8318

5769

6280

6566

2059

3917

4511

5021

5053

5157

4277

2122

2538

18864

18858

21900

20151

19058

10183

7149

7121

7420

1804

4362

4818

6066

5459

5566

4620

2488

3051

20649

19758

19401

20159

19860

11739

6900

8292

9047

3783

4889

5580

7131

6478

5912

4192

3968

3709

23042

21347

20907

16006

15494

14417

12900

11360

10113

7682

5687

7250

nd

6272

6053

4816

4813

4253

11,40%

8,20%

7,80%

-20,60%

-22%

22,80%

87%

37%

11,80%

103,10%

16,30%

29,90%

nd

-3,20%

2,40%

14,90%

21,30%

14,70%

1 Legenda abbreviazioni delle attività: PROD Produzione audiovisiva; DIS Distribuzione audiovisiva; TV editoria televisiva; RAD radiofonia; VIDpubblicazione e distribuzione di video e DVD; REC produzione di records; VG produzione e distribuzione videogames.

* Blockbuster si è separato da Viacom nel 2004; ** Warner Music group è stato venduto nel 2003 e non è incluso nel volume d'affari TimeWarner del 2003. Il volume d'affari WMG 2004 è calcolato su 10 mesi; *** da settembre 2003, QVC è consolidato in Liberty Media corp.

Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005 (Dati in Milioni di Dollari)

Page 44: Le professionalità dell’audiovisivo10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo pag. 283 10.3.1 Autore vs produttore, ragioni espressive vs ragioni di mercato pag. 284 10.3.2 Prototipo

49

2.1.1 Gli editori televisivi leader

Osservando i risultati economici delle aziende televisive leader in Europa, troviamole grandi emittenti italiane con sede in Lombardia nelle prime posizioni: RAI, nellestatistiche economiche dell’EAO, è seconda tra le compagnie televisive pubblicheeuropee, preceduta solo da BBC; RTI è, a sua volta, la prima società televisiva trale private analogiche; Sky Italia, nel 2004, solo un anno dopo il lancio (avvenuto il31 agosto 2003), è terzo tra gli editori televisivi digitali europei, dopo British SkyBroadcasting e Canal Plus.

Le Compagnie TV leader in Europa 2001-2004Margine operativo non consolidato (dati in Milioni di Euro)

Compagnia 2001 2002 2003 2004 2003/02 2004/03Paese

British Sky Broadcasting ltd

BBC Home Service

RAI

Reti televisive italiane (RTI)

RTL Television GMBH

ZDF

TF1

France 2

Canal Plus

France 3

Sky Italia

ITV Network ltd

Wdr - Westdeutscher Rundfunk

TVE

Premiere Ag Konzern

(ex Premiere Fernsehen Gmbh)

Swr - Sudwestrundfunk

Srg-ssr Idee Suisse

Channel 4

NDR

GB

GB

IT

IT

DE

DE

FR

FR

FR

FR

IT

GB

DE

ES

DE

DE

DE

CH

GB

DE

3543,7

4191,8

2676,3

2009,3

2222,2

1769,4

1567,1

1441,7

1632

1343,6

=

1401,4

1259,6

967,6

=

793,4

1013,3

1047,9

1022,3

973,1

3893

3887,6

2698,9

2008,2

2092,9

1778,4

1552

1522,9

1615

1363

=

1375,3

1283,7

944,6

=

826,7

1027,9

1068

994,7

988,1

4242,1

4227,9

2736,7

2138,2

2010,8

1763,4

1596,2

1573,5

1585

1416

308,5

1305,8

1210,8

912,6

828,9

=

1029,8

992,1

911,5

982,4

4933,5

4311,1

2884,5

=

1844,1

=

1710

=

1551

1504,7

1485,9

=

=

1051,4

1044,6

=

=

1025,9

982,9

=

9,00%

8,80%

1,40%

6,50%

-0,80%

2,80%

3,30%

-1,90%

3,90%

nd

-5,10%

-5,70%

-3,40%

nd

nd

0,20%

-7,10%

-8,40%

-0,60%

16,30%

2,00%

5,40%

nd

-8,30%

nd

7,10%

nd

-2,10%

6,30%

nd

nd

Nd

15,20%

26,00%

nd

nd

3,40%

7,80%

nd

Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005

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50

Anche i dati relativi ai risultati economici delle compagnie Tv segnalano la presenzasul territorio lombardo dei maggiori operatori nazionali e di alcuni operatori locali economicamente competitivi a livello nazionale: se cerchiamo le aziendeche hanno la propria sede principale o secondaria in Lombardia, ne troviamo ben11 nella classifica delle 25 società Tv leader in Italia (EAO 2005).

Le compagnie tv leader in Italia 2002-2004Operating revenues (Dati in milioni di euro)

Compagnia Tipologia Tv 2002 2003 2004 2003/02

RAI

Reti televisive italiane (RTI)

(ex Mediadigit) (1)

Sky Italia (5)

(ex Telepiù)

(ex Omega tv )

(ex Stream)

Europa tv

Telemarket

La 7 televisioni

Rai Sat

Disney channel Italia

(ex Prima tv)

Orbit communicationcompany

Home ShoppingEurope

Profit

Anicaflash

Radio Italia

Telenorba

Sitcom

Kidko services

Telelombardia

Canali

RAI 1, RAI 2, RAI 3

Canale 5, Rete 4, Italia 1

(Happy Channel, MtChannel, Duel, It)

Sky Italia

(D+) (3)

(Telepiù Grigio)

(Stream)

(Telepiù Bianco), Sport Italia (2)

Telemarket

La 7

Rai Sat

Disney Channel Italia

(Telepiù Nero)/D-Free (4)

Orbit

Canale D (HSE)

Odeon Tv

Coming soon Tv

Playlist Italia, VideoItalia

Telenorba

Leonardo, Marco Polo, Alice,Nuvolari

ART, LBC Europe

Telelombardia

Pubblica

Commerciale

Tematica

Packager

Packager

Pay tv

Packager

Tematica

Home shopping Tv

Commerciale

Pubblica

Tematica

Pay tv

Packager

Home shoppingTv

Commerciale

Tematica

Tematica

Locale Commerciale

Tematica

Packager

Locale

2698932

2008193

33837

=

62665

193274

157000

457039

71393

=

46500

56371

56770

33645

24624

22120

22759

15263

16548

31166

15070

2736660

2138160

=

308464

46407

90797

184248

228742

=

61779

48117

=

31313

30385

29881

27462

20642

20492

17364

14779

14718

14581

2884500

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1485879

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59115

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1,4

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-25,9

-53

17,4

-50

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3,5

=

-44,8

-9,7

21,3

24,2

-9,3

34,3

4,9

-52,6

-2,3

8,8

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Fonte: European Audiovisual Observatory, 2005

Il panorama televisivo italiano vede tuttora in posizioni di dominio i soggetti tradizionali, ma sembrano emergere nell’ultimo lustro significativi elementi dinovità, che portavano gli osservatori a ritenere imminente, già alla fine del 2003,la fine della “foresta pietrificata”, un panorama in stallo competitivo da duedecenni (Bonomi, Rullani 2003). Infatti, nel quinquennio 2000-2004, da un lato il duopolio televisivo sembra rimastosostanzialmente inalterato rispetto al decennio precedente, visto che i canali RAIe Mediaset raccolgono poco meno del 90% dei ricavi pubblicitari. (IEM 2005)Dall’altro, per quanto riguarda gli ascolti, si intravedono alcuni segni di novità. Il calo di RAI nel periodo 2000-2004 è costante (2,7 punti nella media del quadriennio), più altalenante l’andamento di Mediaset (-0,5 punti). Tra i networknazionali terresti, solo La 7, insieme a Italia 1, registra un saldo positivo di ascoltirispetto al 2000; il bilancio 2005, tra l’altro, conferma i risultati della rete, cheaumenta l’audience share del 14% rispetto all’anno precedente (passandocomunque a un limitato 2,7%). 2

Il ruolo di Telecom nella partita del “disgelo” dell’editoria Tv non si gioca, in ognicaso, tanto sul piano della concorrenza in termini di audience o di raccolta pubblicitaria nella Tv analogica generalista, quanto piuttosto in termini di strategiaglobale nel mercato audiovisivo. Fin dall’inizio, Telecom ha puntato infatti su unalogica di multi e crossmedialità, sfruttando le core competencies tipiche di una

(1) Fuso in RTI nel 2003 (2) Fino al 2003 era una delle società Telepiù. Dal 2004 la società è stata rilevata da Holland Coordinator Italia (TarakBen Amar) ed Eurosport per creare il canale Sport Italia (3) Fuso nel 2003 con Sky Italia (4) Fino al 2003 era una delle società Telepiù. Dal 2004la società è stata rilevata da Holland Coordinator Italia (Tarak Ben Amar) ed Eurosport per creare il multiplex DTT D-Free (5) Operativa dal31.8.2003.

Compagnia Tipologia Tv 2002 2003 2004 2003/02

Rete A

Canal Jimmy

24 ore television

Canali

All music

Canal Jimmy

24 Ore Television

commerciale

Tematica

Tematica

Tematica

13397

12330

8368

12009

13214

12222

11592

=

=

=

=

7,2

46,1

-3,5

2 Il risultato positivo, associato al consolidamento della posizione di MTV sul mercato pubblicitario giovanile, ha incrementato i ricavi del gruppo proprietario Telecom Italia Media e ha contribuito alla crescita della raccolta pubblicitaria lorda (+15% rispetto all’esercizio 2004). Si deve notare, tuttavia, che i ricavi dell’area Televisionedi Telecom Italia Media si associano a costi molto elevati sostenuti nel 2005: la redditività operativa, che risultanegativa, è stata infatti pesantemente influenzata da investimenti “di lungo periodo”, come l’arricchimento dei contenuti di La 7 e la sperimentazione del digitale terrestre (Telecom Italia Media, Bilancio 2005).

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compagnia telefonica e lanciando, per esempio, con Alice Home Tv, l’offerta diIptv, la tv su protocollo Internet. Il caso Telecom è solo un esempio della già citatatendenza delle compagnie di telecomunicazioni a investire nell’audiovisivo tradizionale e crossmediale per diversificare le proprie unità di business (cfr. cap. 1).Telecom ha inoltre cavalcato, in concorrenza con Mediaset, l’onda dell’introduzionedel digitale terrestre, lanciando nel 2005 canali free e a pagamento, ma ancheun’offerta di contenuti premium (sport e cinema, per il momento) in modalità payper view tramite carta pre-pagata. Sebbene iniziative come quella di Telecom - maanche di Tiscali - sul DTT siano troppo recenti per valutarne l’impatto, certamenteesse hanno contribuito a dare input innovativi a un mercato in stallo. D’altra parte, a tre anni dallo sbarco in Italia, Sky - oltre a rappresentare una forzaeconomica di notevoli dimensioni - sembra cominciare oggi a incidere sugli assettidella Tv analogica stessa, anche in termini di ascolti: in particolare, le reti analogichedi Mediaset, con un decremento complessivo di audience share di un punto tra il2004 e il 2003, sembrano, in particolare, aver pagato proprio l’avanzata rapidadelle reti satellitari, cresciute dal 2,4 al 4% in un anno (IEM 2005). La presenzae il successo di Sky, come il lancio dell’offerta pay per view su DTT, introduconoun elemento di concorrenza decisivo: “una pay tv capace di attrarre pubblico è unfattore di rinnovamento importante del sistema televisivo complessivo, perché - seriesce a convincere e a consolidarsi come fenomeno di massa - promette diconsolidare l’antropologia del consumo televisivo, facendo emergere il bisognolatente di qualità, di condivisione e di partecipazione che la Tv generalista di massalascia insoddisfatto” (Bonomi, Rullani 2003).

2.1.2 Le emittenti locali

Tutte le fonti concordano nel sottolineare la notevole quantità di editori televisivilocali nel nostro Paese, anche se i dati sul loro numero non sono concordi. Le stime FRT relative al 2006 parlano di 601 emittenti locali abilitate all’eserciziodal Ministero delle Comunicazioni; di queste, il 75% circa sono reti commerciali, ilresto reti comunitarie. Il loro numero negli ultimi anni si è assottigliato, soprattuttoper la vendita delle frequenze per il digitale terrestre ai network nazionali. “Il passaggio[al DTT] non sarà possibile per tutte, e si assisterà, molto probabilmente, adun’ulteriore riduzione degli operatori attivi sul mercato” (IEM, 2005).La Lombardia, con le 26 emittenti locali da noi oggi censite 3, non è tra le regionipiù rilevanti per numerosità delle emittenti: più della metà delle tv locali sarebbero,

3 Nell’ultimo studio FRT disponibile, relativo al 2003, le emittenti lombarde censite erano 36.

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53

infatti, concentrate nel Sud Italia e nelle isole (soprattutto in Campania e in Sicilia).In generale, mentre al Sud esiste in media una tv locale ogni 30-50 mila abitanti,al Nord il dato è di 1 ogni 90-125mila abitanti (Regione Toscana 2005). La distribuzione geografica delle società secondo le classi di fatturato mostratuttavia che “al Sud (Campania e Sicilia) la maggior parte delle imprese fatturano meno di 250.000 euro, solo il Nord Ovest e il Nord-Est registrano unadistribuzione più equilibrata tra classi di fatturato pubblicitario: Lombardia eVeneto registrano il maggior numero di emittenti che fatturano più di 2.600.000euro” (Osservatorio Nazionale Imprese Radio Televisive Private, FRT 2005). Le più importanti emittenti locali lombarde, per ascolti, sono Telelombardia eAntenna 3, entrambe di proprietà del gruppo Mediapason che fa capo a SandroParenzo, seguite da Telecity del circuito 7 Gold: sono rispettivamente al quarto,quinto e sesto posto per ascolti a livello nazionale (Auditel 2005).

Gli ascolti medi giornalieri delle principali Tv locali lombarde

Secondo il nostro censimento (cfr. appendice), tra le emittenti con sede primariao secondaria (è il caso dei circuiti) in Lombardia, 17 aderiscono all’associazionedi categoria FRT 4, altre 8 ad Aeranti Corallo 5, 3 a nessuna delle due associazioni.

4 FRT - Federazione Radio Televisioni private, raggruppa imprese tv nazionali come Mediaset, Sky, Fox, TelecomItalia Media (La 7, MTV); rappresenta inoltre 135 tv locali, 5 radio nazionali e 180 (su un totale nazionale di1000) radio locali. “Le emittenti associate alla FRT rappresentano - in termini di ascolto, di fatturato e di occupazione - oltre il 95% dell’intero settore televisivo privato e circa il 60% di quello radiofonico” (www.frt.it).

5 Aeranti Corallo (www.aeranticorallo.it) rappresenta 1044 imprese, così suddivise: 314 emittenti locali, 6 syndacation di emittenti locali, 671 radio locali, 39 imprese tv via satellite e via internet, 5 agenzie diinformazione radiotelevisiva e 9 concessionarie di pubblicità del settore radiotelevisivo.

Canale 2004 2002 2001 2004/03 2003/02

Telelombardia

Antenna 3

7 Gold Telecity

2003

1425

1080

1014

1334

1105

1042

1278

1097

993

1124

996

882

-6,4 %

2,3 %

2,8 %

18,7 %

10,9 %

18,1 %

Fonte: Rapporto IEM 2005, su dati Auditel (valori in migliaia)

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54

2.1.3 I produttori leader

Per quanto riguarda le case di produzione indipendenti, il confronto europeomette in luce la presenza di pochi soggetti italiani nelle posizioni dominanti: tra iprimi 20 produttori europei per volume d’affari si trova, infatti, solo Endemol Italiaall’ottavo posto, con risultati economici altalenanti nel quadriennio 2001-2004 (inparticolare, con una perdita del 19% tra il 2003 il 2004). Più defilate, rispettivamenteal ventitreesimo e ventinovesimo posto, Mondo Tv - produttrice di animazione consede a Roma - e la produttrice di fiction Grundy Italia, con sede primaria a Romae secondaria a Milano (EAO 2005). In base a un’indagine de “Il Sole 24 ore - Lunedì”, pochi soggetti si spartisconoin Italia il 90% di un mercato televisivo con un volume di affari di circa 600milioni di euro annui. Un terzo dei maggiori produttori italiani (9 su 27) ha sede primaria o secondaria inLombardia 6.

6 Per stabilire i criteri di importanza dei produttori, è possibile scegliere tra vari parametri: quello di fatturato (nondisponibile), quello per volume (minuti prodotti), e quello per share medio di tutte le produzioni andate in onda.Quello per volume è quasi sempre proporzionale all’importanza della produzione e quindi al fatturato (tranneche per le miniserie cinematografiche, brevi ma molto costose e con ampi bacini di pubblico), mentre quello pershare, pur essendo dipendente alla rete di messa in onda, è ormai considerabile un parametro di efficacia economica e di successo tout court, visto che Auditel è considerato, a torto o a ragione, l’indicatore su cui sidimensionano anche i budget (e quindi un produttore che produce per una rete con un bacino di ascolto ristrettofatturerà comunque meno di un produttore che produce per RAI e/o Mediaset).

Page 50: Le professionalità dell’audiovisivo10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo pag. 283 10.3.1 Autore vs produttore, ragioni espressive vs ragioni di mercato pag. 284 10.3.2 Prototipo

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Il leader indiscusso in Lombardia è Magnolia, che, oltre tutto, aggrega anche alcunipiccoli produttori di intrattenimento, infotainment e crossmedia, e che figura(almeno nell’autunno 2004, field di questa classifica) come terzo produttore italiano in volume e decimo per share. Altre case di produzione in classifica consede principale milanese sono Studio Uno (6° in volume e 25° in share), 3Zero2(15° per volume e 19° per share), Bananas / Zelig (16° in volume e 9° in share),Quadrio (del gruppo Magnolia, 18° per volume e 24° per share), e infine Newton(26° per volume e 23° per share).

Dal punto di vista dei generi televisivi prodotti, risulta chiaramente che la maggiorparte dei produttori di fiction risiede nel Lazio (in Lombardia sono presenti solole sitcom); l’intrattenimento è ben rappresentato in Lombardia da Magnolia, maEndemol, Fascino e Grundy sono in Lazio; i produttori di documentari e animazionenon compaiono nella classifica perché i minuti prodotti sono pochi rispetto aglialtri generi; infotainment e news/sport non sono particolarmente presenti comegeneri, perché solitamente sono autoprodotti dalle emittenti. La Lombardia è,invece, leader indiscussa nella produzione di spot pubblicitari.

Per quanto riguarda i generi, una ulteriore conferma proviene dalle tre più importantiassociazioni di categoria dei produttori. Nel nostro censimento le associazioni maggiormente rappresentative per numero di iscritti risultano, nell’ordine:

• APP Associazione Produttori Pubblicitari (ne fanno parte l’8% delle aziendecensite);

• DOC/IT Documentaristi Italiani, Associazione che riunisce produttori e autori di documentari (il 6,5% del nostro censimento).

• APT Associazione Produttori Televisivi, soprattutto di fiction, secondariamentedi intrattenimento leggero e in piccola parte anche di documentari (il 3% delnostro censimento);

2.1.4 Le associazioni di categoria dei produttori

L’Associazione Produttori Pubblicitari (APP) è stata fondata nel 1997, quando ilvalore del mercato era di circa 400 miliardi di Lire, e contava 42 iscritti; oggi gliiscritti sono le maggiori 26 società, e il valore del mercato viene quantificato in150-160 milioni di Euro 7, registrando quindi una notevole flessione.

7 Fonte: Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale 19/4/2006.

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Il fenomeno della diminuzione degli iscritti è uno degli indicatori della crisi disettore, che ha determinato la vera e propria dismissione di alcune aziende o lafusione di alcune sigle.Il 95% del mercato della produzione di spot è considerato lombardo, anzi milanese,e infatti l’associazione ha sede a Milano. 8

Le aziende sono di varia dimensione, e vanno dai 5 dipendenti agli 80 circa: ilnumero medio viene quantificato in circa 20 dal Presidente dell’Associazione,anche se non è semplice stabilire il confine tra addetti stabili e temporanei.L’associazione sostiene due iniziative di formazione: il corso IED in regiadell’audiovisivo e il corso in regia di spot pubblicitari, che partirà nell’autunno2006 presso la sede milanese della Scuola Nazionale di Cinema.

L’Associazione Produttori Televisivi Italiani (APT, www.apt.it) è nata nel 1994. Ad essa aderiscono attualmente 55 società che realizzano oltre il 75% del fatturato complessivo del settore 9, pari a circa 250 milioni di Euro annui, con unaoccupazione, tra diretta e indotta, stimata da Apt stessa in circa 350.000 persone10.Il numero di addetti medio è di difficile elaborazione, perché anche in questo casosi va da ditte praticamente individuali, che affidano a terzi la produzione esecutiva(come nel caso di Sergio Silva Fiction), fino alle grandi società con varie decinedi addetti come Endemol, Grundy, Lux Vide.I generi prodotti sono la fiction, l’intrattenimento leggero, il documentario, anchese il primo sovrasta largamente il secondo e il terzo è ampiamente minoritario,sia come volume di produzione che come rilevanza di fatturato; il trend confermail peso assoluto dei tre generi (molto positivo per la fiction, positivo per l’intrattenimento, stabile per il documentario).La Lombardia è sede principale di 4 aziende associate (Magnolia, Eagle Pictures,Pay Per Moon e Interactive) e la sede secondaria di ulteriori 3 (Endemol Italia,Filmmaster Television, Grundy Italia), rappresentando così il 13% degli associatiAPT; il mondo della fiction, come detto, è per tradizione romano (di eredità cinematografica, almeno per quanto riguarda la breve serialità), come confermala sede dell’associazione. 11

APT rivendica il ruolo di associazione “maggiormente rappresentativa” della categoria

8 Le uniche eccezioni significative sono Little Bull a Torino, Diaviva di Reggio Emilia (anche se con sede operativaa Milano), Cineteam di Roma.

9 Le case di produzione rilevanti della produzione televisiva sono praticamente tutte associate, tranne Titanus e Rizzoli (oltre naturalmente a Fascino, che essendo partecipata RTI non può essere considerata indipendente).

10 Apt ritiene largamente sottostimate alcune valutazioni che indicano intorno ai 90.000 gli occupati nazionali (cfr.ad esempio elaborazioni IsICult su dati Enpals in Millecanali, gennaio 2006).

11 Il Presidente dell’Associazione è Claudio Cappon, Giuseppe Giacchi il direttore Generale, Chiara Sbarigia ilSegretario generale. APT è membro del CEPI, Coordinamento Europeo dei Produttori Indipendenti, con sede aBruxelles, di cui esprime il VicePresidente.

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televisiva (come ha riconosciuto Siae), ed è impegnata soprattutto nel rappresentarei produttori rispetto agli editori, tutelando il rispetto delle leggi nazionali e delledirettive comunitarie in merito alle quote minime di produzione europea e indipendente,e battendosi per una nuova definizione dei criteri di assegnazione dei diritti residuali delle opere.L’associazione ha promosso, in passato, alcuni, corsi di formazione su figure professionali quali il producer e il direttore di produzione di fiction 12; oggi continuaa sostenere un ente formativo con sede a Roma e a Brescia, limitandosi adappoggiare enti di formazione accreditati FSE senza un ruolo attivo nell’organizzazione.

Le case di produzione associate APT con sede lombarda

Casa di Produzione

Sede primaria

Rappresentante,qualifica

Generi Prodottirappresentativi

Magnolia *

Pay per moon

Eagle pictures

Interactive group

Endemol Italia(gruppo Endemol)

Filmmaster Television(gruppo Film Master)

Grundy Italia(gruppo RTL)

Sedesecondaria

Roma

Roma

Roma

Roma

Milano

Milano

Milano

Milano

Milano

Milano

Milano

Roma

Roma

Roma

Giorgio Gori,Presidente

Mario Mauri,Presidente

RenzoFrancesconi,Presidente

Bruno Bogarelli,Presidente e CEO

Paolo Bassetti,Chairman; LeonardoPasquinelli,Direttore Generale

Sergio Castellani,Presidente,Giuliano Borsari,AmministratoreDelegato

Roberto Sessa,Direttore Generale

Intrattenimento

(Fiction)

Fiction

Fiction

Servizi per cine-ma, pubblicità etv (Sportitalia,Eurosport, 24Ore tv)

Intrattenimento

Fiction

Intrattenimento;

Fiction

Fiction;

(Intrattenimento)

L’isola dei famosi,L’eredità, Milano Roma,Markette, Reparto mater-nità…; Camera Cafè

Tokio, provincia di Napoli,Punto Doc, Mammamia

Nessuno al suo posto,Una vita sottile

=

Affari tuoi, Che tempo chefa, La fattoria, Cambiomoglie, Bisturi, Chi vuolessere milionario...;Una donna per amico,Vento di ponente, Sei fortemaestro…(+ Mediavivere)

Cd Live, Tornasole, Chicas,Robin Hood;

La moglie cinese

Un posto al sole, Lasquadra, Casa Vianello, Ilmammo, Belli dentro,Maigret…;Furore, Greed

Legenda: * associati 2006

Fonte: elaborazione Labmedia da Members Directory 2005 Apt

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Doc/it (Associazione Documentaristi Italiani)è un’associazione di categoria “anomala”perché raggruppa sia società di produzioneche autori (registi e sceneggiatori) di documentari, “inglobando al suo interno sia ilmomento produttivo che quello creativo etoccando tutti gli aspetti della filiera produttivae distributiva del documentario, per quantodebole”. 13

È nata a Milano nel 1999, e si è trasferitanel 2003 a Bologna, nella sede ristrutturata della Cineteca del Comune diBologna, con uffici e una struttura operativa stabile, che riceve dalla Regione EmiliaRomagna un contributo permanente.

Doc/it ha oggi 176 soci, di cui 51 imprese (18 in Lombardia), il cui numero mediodi addetti è quantificato dall’Associazione in 3-4. Il numero totale degli addetti deldocumentario è stato stimato in 3000 unità da una recente ricerca (IsICult 2006),anche se la quantificazione è oggetto di dibattito presso gli stessi operatori delsettore.

Le aziende leader sono a Roma, con qualche rappresentanza importante anche aBologna e Torino, mentre la maggior parte delle aziende lombarde è frammentata inmolte one-man companies a dimensione familiare (nonostante a Milano esperienzecome Filmaker abbiano creato bacini consistenti di autoproduzione, a volte di altolivello). Notevole è la disomogeneità tra società che producono coproduzioni internazionali con budget che arrivano a 300.000-400.000 Euro, e una miriade dipiccoli produttori che riescono faticosamente a produrre un documentario o dueall’anno: l’associazione sta infatti registrando il passaggio da una realtà artigianalead una dimensione industriale di maggior respiro.Le attività dell’Associazione hanno contemplato negli scorsi anni: la costituzionedi un Archivio dei documentari italiani; l’Annuario dei documentari e documentaristiitaliani; l’Accordo di Settore con il Ministero delle Attività Produttive e l’ICE per la

12 I corsi sostenuti in passato sono stati realizzati con Cfta, Lambda e Multimediamente, mentre attualmente Apt collabora unicamente con Lambda. Sulle politiche formative di Apt cfr. l’intervista personale a Chiara Sbarigia,26/4/2006.

13 Alessandro Signetto, Presidente Doc/it, intervista personale, 12/5/2006. Sul sito www.documentaristi.it silegge: “Doc/it si vanta di rappresentare non solo l’anima imprenditoriale del settore ma anche quella artistica,in questo non ha omologhi a livello italiano e si pone come esempio di positivo connubio tra arte e industria”.

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promozione internazionale del documentario italiano; l’accordo quadro conIstituto Luce che consente agli associati di usufruire dei materiali dell’ArchivioLuce a condizioni particolarmente vantaggiose. Le azioni istituzionali hanno portato a modifiche della Legge Cinema per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti anche per opere non-fiction. Il documentario è il genere audiovisi-vo che maggiormente si presta a discorsi di valorizzazione territoriale: per questomotivo i prossimi Stati Generali del Documentario, in programma a Bologna per ilsettembre 2006, prevedono come tema esclusivo quello del rapporto con leRegioni italiane, allo scopo di promuovere una politica di sostegno alle produzioni el’attivazione di fondi regionali, che nelle altre regioni motore in Europa (Catalunya,Rhônes-Alpes e Bade-Württemberg) hanno portato a importanti risultati.

Per quanto riguarda le politiche di formazione, l’Accordo di Settore già citato conil Ministero delle Attività Produttive e l’ICE contempla anche iniziative di formazione,declinate quasi esclusivamente in workshop professionali di incontro traautori/produttori e le reti televisive satellitari multinazionali Discovery e Fox(quest’ultima rispetto ai canali National Geographic, History Channel e dal 2006Cult). In questi incontri i commissioning editor delle emittenti illustrano le lorolinee editoriali e accettano la presentazione di progetti (pitch). Per quanto riguar-da la formazione in senso stretto, in passato Doc/it ha organizzato workshop incollaborazione con Zelig, la scuola di documentario con sede a Bolzano; attual-mente non ne organizza direttamente, se non appoggiando enti di formazione accre-ditati esterni, ma non esclude di occuparsene in futuro, attraverso la società diservizi Doc Service che ha nel suo statuto anche questa mission, seppur nonprioritaria rispetto agli obiettivi “istituzionali”.

2.2 Lo scenario: le aziende audiovisive in Lombardia

I dati forniti dalla Camera di Commercio elaborati periodicamente dall’Istat sullabase delle categorie NACE (cfr. cap. 1) presentano diverse lacune e imprecisioni:la categoria Istat “Attività radiotelevisive” include per esempio una grande quantità di radio locali, escluse dalla nostra ricerca. Inoltre, i dati Istat si fondanosui registri della Camera di Commercio, non sempre aggiornati. Infine, la sceltadi riferirsi alle fonti citate nel testo, accreditate e aggiornate al 2005, ha escluso

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molte micro-società a carattere individuale registrate alla Camera di Commercioma slegate da ogni circuito produttivo. Le rilevazioni Istat sono tuttavia le unichefonti desk ufficiali a disposizione di chi cerchi, oltre a raffronti diacronici tra datinazionali, anche confronti tra dati regionali e provinciali. 14

Il numero di aziende audiovisive lombarde, in complesso, è quantificato da Istat, alterzo trimestre 2005, in 2205 imprese. Il numero risulterebbe cresciuto in manie-ra esponenziale tra il 1991 e il 2005 (+298%): le unità locali 15 del settore audiovisivo, nella Regione, sarebbero passate da 739 a 2205 nel periodo considerato. L’incremento numerico delle aziende audiovisive lombarde è statoparticolarmente rilevante negli ultimi cinque anni (+ 185% tra il 2001 e il 2005),per effetto non tanto dell’aumento di emittenti e distributori, ma soprattutto perla moltiplicazione delle società di produzione audiovisiva. Il dato sembra confermare il trend crescente di esternalizzazione produttiva dei broadcaster neiconfronti di produttori indipendenti (cfr. cap.1).

Aziende audiovisive: numero di unità locali in Lombardia - trend 1991-2005

Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Camera di Commercio e Data Warehouse DWCIS - Istat

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554

697

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14 I dati proposti nelle prossime pagine sono desunti e rielaborati dal Data Warehouse DWCIS dell’Istat, che mettea disposizione i risultati definitivi del Censimento dell’Industria e dei Servizi 2001 e i risultati dei precedenti censimenti, a partire dal 195. I numeri relativi al 2005 sono stati forniti, invece, dalla Camera di Commercio diMilano e sono aggiornati al terzo trimestre dell’anno.

15 Si definisce unità locale “l’impianto (o corpo di impianti) situato in un dato luogo e variamente denominato (stabilimento laboratorio, ecc.) in cui viene effettuata la produzione o la distribuzione di beni la prestazione diservizi (Excelsior 2005).

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Mettendo in relazione il numero di aziende (unità locali) registrate in Lombardia alterzo trimestre 2005 con il numero di addetti dichiarati, osserviamo che si mantiene invariata la tendenza già notata dall’Isfol in un’indagine del 1999,secondo cui netta era la prevalenza nel settore audiovisivo di imprese medio-piccole,con un numero variabile tra 1 e 5 addetti a società (Isfol 1999). La media del2005 (molto probabilmente sottostimata riguardo alle emittenti, come si evidenzierà al cap. 3), parla infatti di 4,2 addetti per ogni azienda lombarda,confermando il trend nazionale secondo cui continuano a moltiplicarsi nel nostroPaese le imprese a piccola dimensione, contro ogni previsione (Censis 2005). Attualmente, secondo l’Istat, si concentra in Lombardia il maggior numero diimprese audiovisive italiane (il 19%); seguono, per concentrazione numerica diimprese, il Lazio (14%) e, a maggior distanza, la Campania (9%).

Imprese audiovisive attive in Italia: distribuzione nelle regioni(3° Trimestre 2005)

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400

200

0

Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005

La stragrande maggioranza delle case di produzione audiovisive lombarde (il 75%)ha sede nella provincia di Milano.

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Imprese lombarde di produzione video e cinema (cat. 92.11)Distribuzione provinciale

(3° Trimestre 2005)

Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005

Maggiormente distribuite sul territorio regionale, come è ovvio, le radio e televisionilocali: il 57% di esse ha sede in provincia di Milano, ma un numero abbastanzaconsistente è dislocato in provincia di Brescia (l’11% del totale regionale) eVarese (il 9%).

Milano

Pavia 2%

Sondrio 1%

Varese 4%

Bergamo 5%

Brescia 5%

75%

Como3%Cremona1%

Lecco1%

Lodi1%

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65

Attività radiotelevisive lombarde (cat. 92.20) Distribuzione provinciale

(3° Trimestre 2005)

Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005

Il capoluogo lombardo, con il suo hinterland, viene spesso considerato, nei discorsisociologici e scientifici, la “capitale della comunicazione”. Il prossimo paragrafoapprofondisce proprio la tematica dei “distretti della comunicazione” a Milano, perverificare i confini, le ragioni e i limiti di un fenomeno sospeso tra dato sociologico,mito e immaginario collettivo.

Milano

Varese 9%

Bergamo 4%

Brescia 11%

57%

Sondrio2%

Pavia2%

Como5%

Cremona4%

Lecco2%Mantova3%

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66

“Milano capitale della comunicazione” è il nome di un progetto della RegioneLombardia, che si propone di mettere a fuoco “il posizionamento competitivo cheMilano e le attività svolte a Milano hanno nel più vasto circuito della produzione,dello scambio e del consumo di comunicazione” 16.

Da un lato parliamo di un clichè, secondo il quale comunicazione è “design,moda, editoria, radio, tv, pubblicità, cinema” (Salvemini 2002); lo stereotipo diMilano “capitale della comunicazione” si confonde con quello che parla di un“contesto di grande ricchezza creativa e professionale grazie alla contiguità con ilmondo della moda, le culture del design industriale e della grafica, … anche digitale”(ASNM 2003). Milano è un brand, e il suo immaginario si nutre da decenni di moda e design, maanche di pubblicità e di quella estetica della comunicazione visiva che nel secondodopoguerra aveva decretato “l’inizio di un nuovo rapporto tra arte e mercato, trasocietà di massa e avanguardia estetica” (Ferrari 2002).Il valore attrattivo della città sarebbe incentrato poi “sulle possibilità che il lavorodà, sulla sua esistenza, sulle sue dinamiche e sulle sue condizioni” (Xing-Assolombarda 2003). Creatività, comunicazione, lavoro costituirebbero dunque il codice genetico delcapoluogo lombardo. Questa immagine, aggrappata fondamentalmente al passatodella “grande Milano” tra il dopoguerra e gli anni ’80, messa alla prova delpresente chiede tuttavia di essere precisata e rinnovata.

Una recente ricerca di Università Bocconi per Assolombarda ipotizza che la via delrinnovamento per il “brand Milano” consista forse nella conquista dell’identità “diuna città-sistema” (Cappetta, Salvemini, Carlone 2004), alla luce della qualerivisitare il concetto stesso di creatività. Di recente la ricerca di orientamentopluridisciplinare, che comprende prospettive sociologiche e territoriali, ha iniziatoa sostenere, infatti, che la creatività è un processo sociale, e non dipende solo dallapredisposizione e dal carattere di singoli individui: il contesto, il territorio e le sueorganizzazioni giocano un ruolo non indifferente nel sostegno e nello sviluppodella “scena creativa”. Si sta sgretolando l’idea che sia sufficiente lavorare sullacreatività del singolo; conta, più che l’eccellenza di pochi, la presenza diffusa diuna classe “mediamente creativa”, stimolata dal contesto. Secondo gli indicatoriproposti dal sociologo statunitense Florida, Milano in questo sembra non eccellere.

2.3 Il territorio: Milano (e i suoi distretti) capitale della comunicazione?

16 www.lombardiacultura.it/osservatorio.

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Il problema a Milano pare inoltre “rappresentato dalla mancanza di un luogo dovesi riescono a mettere in circolo comunità creative” (Cappetta, Salvemini, Carlone,2004): il capoluogo lombardo fatica a strutturarsi come “sistema”, le cui parti coo-perino per sviluppare l’organismo.

Ma una città-sistema è anche altro: prendendo spunto dalla sua fisionomia socialee produttiva composita, la sfida per Milano è quella di diventare un “sistema didistretti”, altamente specializzati e complessi ma comunicanti tra loro. Passa daqui la rivisitazione dell’immagine di “capoluogo della comunicazione”.

Tre zone, tra il Centro di Milano e la cintura a Nord della metropoli, si contendonoattualmente il ruolo di “centro nevralgico” nel comparto della comunicazione e, alsuo interno, in quello dell’audiovisivo: Cologno Monzese, Sesto San Giovanni, eMilano Santa Giulia. Una specializzazione sull’audiovisivo esiste a Cologno Monzese da quarant’anni;un comparto dell’audiovisivo è cresciuto accanto ad altre attività manifatturieretradizionali, e si è espanso partire dal progetto di Cinelandia del gruppo Icet-DePaoli, che nel 1960 sorse con l’intenzione di unire in un unico centro tutto ilcomparto della produzione cinematografica e teatrale milanese. Nata perdiventare antagonista di Cinecittà, Cologno divenne, in realtà, soprattutto la sededi programmazioni televisive e pubblicitarie: si trasferirono in Viale Europa i teatri di posa, gli studi di supporto sonoro e di doppiaggio, ma, a partire dalle spe-rimentazioni per Carosello, Cinelandia si specializzò nel cartone animato. Il comparto dell’audiovisivo si è sviluppato a Cologno intorno al fenomeno dellapubblicità; le prime tv private, come Telelombardia e Telealto Milanese, sonodiventate poi clienti fissi del centro di produzione di Cinelandia. Nel 1983, l’area della Icet - De Paoli venne comprata da Berlusconi, per diventare ilcentro della produzione Fininvest e poi Mediaset. Il settore audiovisivo è cresciutoa Cologno in modo esponenziale nella seconda metà degli anni ’90, quando ilnumero delle aziende si è quasi quintuplicato, per rallentare dopo il 1997, ancheper la saturazione degli spazi disponibili sul territorio. Accanto alle aziende audio-visive, si sono insediate nell’ultimo decennio aziende multimediali piccole e medio-grandi, sviluppando così un sistema completo caratterizzato “da un elevato livel-lo di conoscenze tecnologiche … da un’offerta completa per la fornitura di prodotti e servizi, da sinergie nei diversi settori del comparto” (ASNM 2003).

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Accanto a Cologno, un’altra città del Nord Milano rivendica il titolo di “città dellacomunicazione”: Sesto S. Giovanni, che, dalla fine degli anni ’90, cerca nella comunicazione una nuova vocazione economica dopo la dismissione delle areeindustriali Falck e Marelli. Da un lato, Sesto ha promosso progetti per l’insediamento ela nascita di nuove attività imprenditoriali del settore, e attualmente è tra i cinque candidati finalisti in lizza per ospitare la nuova sede del Centro diProduzione RAI di Milano. Dall’altro lato la città, a differenza di Cologno, ha puntato molto sulla promozione di una cultura della comunicazione, cercando diattirare la popolazione locale e quella metropolitana milanese, con appuntamenti dicarattere didattico, culturale e ricreativo. Inoltre, Sesto si è accreditato come cen-tro specializzato per la formazione e la ricerca nel settore comunicativo: l’OfficinaMultimediale Concordia (OMC), inaugurata nel 2000, è un incubatore di imprese,“dedicato a start up e spin off ad alta tecnologia nel settore della multimedialitàe della comunicazione” (ASNM, 2003).Recentissima è, infine, la “autoelezione” a città della comunicazione da parte delquartiere milanese - ancora virtuale - di Santa Giulia, intorno all’area di Rogoredo.In mano alla società “Risanamento” controllata dal gruppo Zunino, Santa Giulia stariqualificando le aree industriali dismesse e si va trasformando in un “secondocentro cittadino multifunzioni”: area residenziale di lusso progettata dall’architettoNorman Forster, area commerciale e, appunto, area della comunicazione, trainatadal recente accordo a sorpresa con Sky, che trasferirà entro il 2009 il proprioCentro di Produzione in una cittadella dell’informazione da 85.000 metri quadrati. 17

17 www.milanosantagiulia.com.

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Nessuna delle tre aree sopra indicate è definibile propriamente come un distrettoindustriale, che l’economista inglese Marshal definisce come “un’entità socio-economica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di unostesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è colla-borazione ma anche concorrenza”. Manca, per esempio, a Cologno una comunitàdi riferimento: tra gli spazi funzionali della città “vicina e separata” e quelle del-l’area produttiva non c’è, infatti, integrazione e scambio. A Sesto sono meno visi-bili, rispetto a Cologno, i rapporti di integrazione e collaborazione tra le aziendedel settore. Santa Giulia, poi, al momento è un’ipotesi che gravita intorno almega-affare Sky, più che una realtà strutturata. L’intero territorio di Milano e della sua provincia, piuttosto, possono candidarsi adiventare un “distretto poligamico” della comunicazione, organizzato su un mixcomplesso di servizi e industria, imprese e tecnostrutture (Censis 2005), o per lomeno un cluster innovativo ad alta tecnologia, se le aree a forte specializzazionecome Cologno, Sesto e (forse) Santa Giulia sapranno, insieme anche se in concorrenza, “fare sistema” e produrre innovazione e competitività, sviluppandoprofessionalità e diffusione delle informazioni. In questo processo, potrebbe giocare un ruolo importante un progetto di coordinamento delle potenzialità edelle energie del territorio (Salvemini 2002), affidato alle istituzioni e finora carente,come meglio argomenteremo nell’ultimo capitolo.

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2.4 La ricerca: il censimento delle aziende audiovisive lombarde

Usciamo ora dalle informazioni di contesto, che la bibliografia esistente offre, perinquadrare il tema delle aziende audiovisive in Lombardia, per entrare cioè nelvivo della nostra ricerca e della sua sua fase “sul campo”.La nostra ricognizione nell’audiovisivo lombardo è partita con il censimento di tuttigli operatori appartenenti alle nostre categorie di interesse: editori, produttori edistributori di programmi televisivi, fiction, documentari, animazioni, spot/filmatiindustriali, crossmedia, che avessero una sede (anche non la principale) inLombardia. L’operazione è stata particolarmente complessa perché le fonti di partenza sonodisomogenee, in molti casi parziali, discordanti e datate, quindi si è proceduto adassemblarle, aggiornarle e razionalizzarle.Tra le fonti utilizzate citiamo:le associazioni di categoria Frt Federazione Radio Televisioni (Imprese RadioTelevisive private italiane, nazionali e locali), Aeranti Corallo (Imprese radiotelevisi-ve italiane, prevalentemente locali), APT Associazione Produttori Televisivi, APPAssociazione Produttori Pubblicitari, Doc/it Documentaristi Italiani, APIAssociazione Produttori Indipendenti, Cartoon Italia, Associazione AziendeAudiovisivi in Animazione;

18 Il censimento dei produttori Agcom 2005, particolarmente lacunoso (presenta solo 32 società a livellonazionale), è pubblicato nella pagina internet www.agcom.it/operatori/operatori_produttori.htm. Curiosamentenell’anno 2002 la stessa fonte citava ben 354 soggetti.

19 Citiamo anche per i produttori audiovisivi l’articolo di Paolo Pozzi e Francesco Siliato, “A colpi di fiction e formatil mercato tocca 600 milioni”, Il Sole 24 Ore, 10.1.2005, e per gli operatori crossmediali la ricerca sui “MobileVas Consumer 2004” del Politecnico di Milano.

20 Sul sito www.tvjob.it è possibile procedere ad una ricerca delle aziende a testo libero o per chiave di ricercatramite database (oltre che per tipologia di attività, anche per genere di prodotto nel caso di produttori edistributori, modalità di emissione nel caso di editori televisivi, eventuale associazione di categoria di appartenenza,provincia della sede principale).

21 La disparità numerica rispetto ai dati Istat è spiegabile in larga parte con la delimitazione del nostro campo diindagine già descritta sopra; si ricordino, inoltre, i problemi della fonte Istat, già descritti al cap. 2.2.

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Fonte: censimento Labmedia, 2006

Attività principale delle aziende audiovisive censite

Produttori

Altro

Servizi alla produzione

Distributori

Editori 18%

3%

8%

4%

67%

il censimento dei produttori indipendenti 2006 dell’Istituto di Economia dei Mediadella Fondazione Rosselli, il censimento 2005 dei produttori televisivi pubblicatoda Agcom, Autorità Garante delle Comunicazioni, il censimento dei produttori pub-blicitari pubblicato dal mensile Tv Key; l’annuario di Prima Comunicazione 18 “Uomini e Comunicazione” del dicembre 2005(nelle categorie televisioni, e in parte Spettacolo e Telecomunicazioni); l’annuarioInformaset 2006 e altri materiali di scenario 19.Il risultato, che riportiamo integralmente in appendice, ordinato per tipologieprimarie di attività 20, comprende 48 editori, 185 produttori, 7 distributori, 32 altretipologie di aziende che svolgono come attività secondaria quella di produzioneaudiovisiva, per un totale di 272 soggetti 21.

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Fonte: censimento Labmedia, 2006

Aziende censite. Sede principale

Milano86%

Varese1%

Como1%

Cremona1%Sondrio1%

Fuori regione5%

Brescia 4%

Bergamo3%

La distribuzione sul territorio regionale delle aziende censite conferma e accentuala forte centralità di Milano, già sottolineata commentando i dati Istat. Soprattuttoper i produttori, il senso di una presenza fuori dal capoluogo o, comunque, dallaProvincia di Milano, è unicamente spiegabile con forti legami personali dei verticidell’azienda con il territorio, e con la capacità di diversificare la produzione,mantenendo un difficile equilibrio tra locale e globale.22

22 “A Como ho ormai instaurato un rapporto di fiducia con i committenti, rapporto che puoi instaurare in un raggiodi azione territorialmente definito se sei una casa di produzione “media”. Qui… mi conoscono di persona equindi i rapporti si instaurano su un dato di fatto, sono relazioni concrete. Poi hai Milano di fianco e allora puoicollaborare con la Regione, la Provincia, aziende particolari che diventano altri interlocutori che vanno a riempireil tuo bacino di utenza-committenza. Poi hai il territorio nazionale… e questi territori li raggiungi grazie alla tua realtà consolidata nel locale. E poi l’internazionale… Questi canali traggono sempre e comunque alimento dallocale. È un po’ la teoria dei 6 gradi di separazione: esistono sei gradi di separazione tra due persone al mondo.Il primo grado però te lo devi costruire e io me lo sono costruito a Como, nel locale. Poi da lì arrivi anche a New York”. Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale 20/3/2006.

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Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende audiovisive)

Aziende campione. Settore di attività principale

Produzioneaudiovisiva

Servizi(alla produzione/creativi)

6%

Distribuzioneaudiovisiva2%

Altro 8%

Emittenzatelevisiva nazionale

6%

Emittenzatelevisiva pluriregionale

2%

Emittenzatelevisiva locale

9%67%

Tra le 272 aziende censite, 127 hanno risposto al questionario somministrato online, permettendoci di approfondire, oltre ai dati “anagrafici”, percezioni, valutazioni,prospettive inerenti il comparto audiovisivo. Questo paragrafo intende presentarei soggetti della ricerca quantitativa, soffermandosi su alcuni dati di carattere anagrafico.

Il nostro campione, rispetto al settore di attività economica delle aziende, è composito: 39 società (pari al 30,7% dei rispondenti) sono specializzate in unsettore di attività unico. Tutti gli altri affiancano a un’attività primaria uno o piùsettori di attività secondaria.In generale, i rispondenti rispecchiano la distribuzione percentuale delle aziendecensite, sul versante del settore di attività primaria: il 17% è costituito da emit-tenti, il 68% da produttori, il 2% da distributori; il restante 8% è composto dasocietà che svolgono attività estranee ai nostri settori di interesse, principalmen-te nell’ambito delle telecomunicazioni e dell’organizzazione di eventi (e che svol-gono solo in modo secondario attività produttiva).

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Dimensioni delle aziende(per classi di fatturato 2005)

Medio-piccole(E. 100-499.000)

26%

Piccole(Þno a E. 99.000)

6%

Grandi(oltre E. 10 milioni)11%

Medio grandi(E 1-9 milioni)40%

Medie(E 500-999.000)

17%

Fonte: Labmedia, 2006 (su 94 aziende audiovisive)

Non tutte le aziende partecipanti alla ricerca hanno voluto dichiarare il propriofatturato relativo all’anno 2005: tra le 94 aziende che lo hanno fatto, predominano(con il 40% sul totale) quelle di dimensioni medio-grandi, con un fatturato annuocompreso tra 1 e 9 milioni di euro; limitata la percentuale di piccole aziende (il6% del totale), che fatturano meno di 100.000 euro annui 23.

23 Dal punto di vista della forma giuridica, le aziende rispondenti in maniera completa e corretta a questa domandadella ricerca sono per il 79% società di capitale; il 12% è costituito da società di persone, il 5% sono ditte individuali, il 2 consorzi o cooperative.

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Osservando le previsioni delle aziende circa l’andamento del proprio fatturato nel2006, notiamo che i soggetti economicamente più forti prevedono di migliorareulteriormente la propria posizione (nessuna delle aziende che fatturava più di 10milioni di euro prevede contrazioni per l’anno in corso); al contrario, il 33% dellepiccole aziende prevede un’ulteriore riduzione del proprio fatturato. Benché lacomposizione non statistica del campione induca a evitare generalizzazioni, ciòsembra confermare il quadro di un settore economicamente dominato daun’oligarchia di soggetti, che tendono a espandersi e a comprimere il raggiod’azione delle piccole aziende.

Fonte: Labmedia, 2006 (su 116 aziende audiovisive)

70,0

fatturato stabile

fatturato in espansione

fatturato in contrazione

Piccole(Þno a E. 99.000)

Medio-piccole(E. 100.000-

499.999)

Medie(E.5000.000-

999.999)

Medio-grandi(E.1-9 milioni)

Oltre E 10 milioni

Dimensioni aziende per classi di fatturato

Per

cent

uali

60,0

50,0

40,0

30,0

20,0

10,0

0

Aziende: previsioni di andamento del fatturato 2006

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Anno di nascita delle aziende

24 Si rimanda, per una verifica delle considerazioni in merito alle tipologie di prodotti realizzati, al censimento delleaziend in appendice, che evidenzia, tra l’altro, l’identità e i dati anagrafici principali delle aziende campione.

Il 18% del nostro campione è costituito da aziende “storiche”, nate prima del1986; il 23% ha più di dieci anni di vita, ben il 59% è nato invece dopo il 1996:ciò sembra confermare l’idea diffusa di un settore magmatico e in rapidaevoluzione.

Fonte: Labmedia, 2006 (su 111 aziende audiovisive)

A livello di contenuti prodotti, due sono le tendenze dominanti tra le aziendecampione 24. Da un lato, è visibile una tendenza alla segmentazione di contenutoda parte soprattutto delle aziende grandi e medio-grandi (rispetto al parametro delfatturato), per le quali l’identificazione con un genere e con un segmento dipubblico costituisce un vantaggio competitivo (Salvemini 2002). I soggetti specializzati producono soprattutto nei settori di mercato maggiormente“in salute”, come quelli dell’intrattenimento e della fiction. Dall’altra parte, leaziende piccole o quelle originariamente specializzate in settori attualmente incrisi (come quello del documentario), tendono a diversificare l’attività, offrendospesso altri prodotti (come la pubblicità) o servizi creativi e di supporto alla produzione.

Numero di aziende

Ann

odi

nasc

ita

Prima del 1986

1987-1996

1997-2001

2002-2006

0 5 10 15 20 25 30 35 40

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FOCUS

Il 12 aprile 1952 debuttò a Milano, durante la Fiera Campionaria, il Centro diProduzione Televisiva della RAI: furono trasmessi, in via sperimentale, documentari,film, persino la benedizione papale “urbi et orbi”. La sede era in Corso Sempione,nel palazzo che ospitava, già prima della guerra, gli studi radiofonici; alla Tv degli esordiperò, non vennero riservati i piani nobili del palazzo; piuttosto, secondo la leggenda,“due stanzette, prudentemente prese in affitto nello stabile dall’altro lato dellastrada, il cui proprietario, il celebre sarto egiziano Niki Kini, pretese in cambio, oltrea un salatissimo affitto… quattro televisori” (Ferrari 2002).Si iniziò in sordina, con due studi e un ripetitore, ma nel 1954, anno ufficiale dinascita della Tv italiana, già lavoravano nel Centro di Produzione RAI di Milano 400persone, e dagli studi milanesi (quelli di Corso Sempione e quelli, nel frattempoacquisiti, della Fiera) veniva trasmesso l’85% dei programmi Tv in onda, telegiornalecompreso 1. Fu un periodo “breve, ma non brevissimo, di grande vitalità ideativa eproduttiva”, nell’ambito di un progetto di servizio pubblico televisivo che “mise a pro-prio agio… talenti lombardi e nazionali, da Bacchelli a Bo, da Gadda a Tecchi, daSoldati a Eco” (Ferrari 2002).La RAI milanese è stata, negli anni ‘50, una fucina di contenuti e linguaggi: lo studio di Fonologia creato da Luciano Berio e Bruno Maderna nel 1953 fu, peresempio, centro di ricerche sul suono e sulla musica elettronica di livello europeo,se non mondiale.

Il Centro di Produzione RAI di Milano

1 www.storiadimilano.it/citta/milanotecnica/televisione/tv.htm

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Parallelamente, Milano fu a lungo associata con la “RAI degli ingegneri”,i tecnici che, fin dagli anni ‘30 con Alessando Banfi e Guido Bertolotti,nel capoluogo lombardo mettevano a punto impianti di ripresa,trasmissione e ricezione. In una proficua collaborazione con centri di formazionecome il Politecnico (dove era attivo l’insegnamento di Comunicazioni Elettriche eRadiotecnica), i poli industriali di Magneti Marelli e Safar, ma anche altri marchi storici come Mivar e Brion-Vega, si specializzarono nella produzione di telecameree di apparecchi tv.

Nonostante tutto, i pochi che abbiano tentato una lettura storiografica del rapportotra la città e la RAI, ricavano l’ impressione che fin dall’inizio Milano non sia riuscitaa sentire la storia televisiva come parte della propria identità. Non è andata, peresempio, come a Torino, dove la storia cittadina si è saldamente intrecciata e integratacon quella televisiva. L’impressione è che la società e la cultura di Milano abbianovissuto la Tv come “un linguaggio non autoctono”, restando in fondo diffidenti, “cittàospitante” più che patria della Tv (Ferrari 2002).Del resto, la centralità milanese rispetto alle linee editoriali della tv fu presto messain discussione dall’azienda stessa, e già nel 1958 divennero evidenti le tendenzeaccentratrici della dirigenza romana. A scontare quella che Ada Ferrari chiama la“balcanizzazione” della RAI fu allora, per prima, la redazione giornalistica milanese,cui si concessero pochi spazi (il 5-6% al massimo dell’intero palinsesto dei Tg nazionali,e sempre su questioni minori); un po’ meglio andò per settori come lo sport con la‘Domenica Sportiva’, e come la prosa, che contava su figure di prestigio qualiPuntoni e Bettetini, oltre che su un ricco serbatoio di attori. “Milano cercò di giocarela carta della sua identità con programmi come ‘Panorama economico’ e ‘Orizzontidella scienza e della tecnica’… ma furono contentini sia per la fascia oraria che peri mezzi a disposizione” (Ferrari 2002).

Alla luce di questa storia di un “incontro mancato” tra il capoluogo lombardo e il servizio pubblico tv, il difficile e incerto presente della RAI di Milano sembra la ripe-tizione di un film già visto. Ci sono state, dopo il ’58, altre “stagioni” di forte proget-tualità per il rilancio della RAI lombarda, come tra il 1965 e il 1969, sotto ladirigenza di Angelo Romanò e Sergio Silva, un’epoca in cui l’autonomia produttivadi Milano sperimentò con successo generi come il cabaret e lo sceneggiato.Anche in tempi successivi, poi, “quello dei tecnici rimase un nocciolo duro di forteorgoglio identitario”… I frutti, in questo senso, non mancarono, se a Milano silavorò sul colore e ancora nel 1981 dal Centro RAI si produsse in Alta definizione.

FOCUS

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Il vertice dei tecnici milanesi “fu l’ultimo ad essere travolto dalla poli-ticizzazione del personale televisivo che, dagli anni ’70, avanzò con passidi piombo”, relegando di nuovo Milano al ruolo di periferia.

Nel 2006, alla RAI di Milano “mancano un piano industriale, un piano editoriale eun piano finanziario” (Tivù giugno 2006); sta per scadere il contratto di locazione conla sede della Fiera, e una nuova sede ancora nonc’è. Dal 1988 al 2002, i dipendenti RAInella sede meneghina sono calati del 50% (a fronte di un 30% nazionale medio);calano anche le produzioni (da 19 del 2001-2002 a 12 del 2002-3), dopo il recentetrasferimento di programmi come ‘L’Eredità’ o ‘Domenica Sprint’ a Roma, lacancellazione del quotidiano economico-finanziario e il trasloco del programma dieconomia ‘Nonsolosoldi’. “Le scorciatoie hanno portato risultati effimeri, [e lo stesso tra-sferimento di RAI Due a Milano, annunciato nel 2004] si è risolto con il trasferimentodell’ufficio del direttore di rete a Milano, non di più 2” . Il 70% della programmazionenon news di RAI 2 è infatti appaltato o acquistato all’esterno e, di ciò che autoproducel’intera RAI meno del 10% è realizzato a Milano 3.Di nuovo si chiede oggi di “ridare al Centro di Produzione capacità editoriali tolte inquesti anni; Milano è stata impoverita dal punto di vista professionale e produttivo” 4,e le risorse interne (che constano comunque oggi di 830 dipendenti) sono sotto-uti-lizzate 5. Mentre il servizio pubblico televisivo perde ascolti soprattutto al Nord,mancano, insomma, alla RAI locale “autorevolezza e autonomia” di palinsesto, difinanziamenti e di budget 6.Il dibattito circa i modi per ridare slancio alla sede meneghina, con una “RAI madein RAI” 7 non mancano. Da una parte, il presidente Petruccioli immagina la neces-sità di individuare una “missione” per il Centro di Produzione milanese, per costrui-re intorno a un genere come la cultura o il cabaret una continuità tra ideazione econfezione dei prodotti 8.

FOCUS

2 Roberto Zaccaria, ex Presidente RAI, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico. L’impegno di Milano per una nuova RAI”, Milano, La Triennale, 11-12/5/2006.

3 Cfr. Tivu giugno 2006.4 Bruno Cerri, Segretario Generale SLC-CGIL, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.5 I turni giornalieri su base settimanale sono passati da 63 nella stagione 2001-2002 a 37 nella stagione 2002-

2003. Cfr Tivu giugno 2006.6 Marzio Quaglino, Comitato di Redazione RAI Milano, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.7 Alessandro Ferodi, Giornalista e Delegato della Direzione Centrale, RAI Milano, intervento al Convegno “La RAI

è un servizio pubblico” già citato.8 Claudio Petruccioli, Presidente RAI, intervento al Convegno “La RAI è un servizio pubblico” già citato.

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Altri, e noi con loro, pensano invece che il futuro della RAI milanesenon dipenda tanto dall’individuazione di una mission specifica, quantopiuttosto dalla capacità di lasciare autonomia creativa e spazi nei palinsestinazionali:“Il servizio pubblico dovrebbe dare espressione al territorio, sia produttivamente-che progettualmente, con la concezione di programmi pensati a Milano, come acca-deva con la RAI 3 di Guglielmi (con Chiambretti o programmi come ‘Milano-Italia’…).Bisogna restituire la titolarità culturale di Milano, il suo ruolo di mediazione culturale” 9.

Perchè Milano possa raccontare il Nord e raccontarsi nella sua identità di ponte traEuropa e Mediterraneo, di cerniera tra culture, di “supermercato di Italia”, in cui siincontrano le eccellenze della moda, ma anche della medicina e della scienza 10.

FOCUS

9 Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale 24/4/2006.10 Franco Iseppi, Presidente e Amministratore Delegato Rai Click, intervento al Convegno “La RAI è un servizio

pubblico” già citato.

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Il capitolo vuole fornire, in apertura, alcuni elementi di scenario circa il tema dell’occupazione nel settore audiovisivo: facendo riferimento, in particolare, aidati Istat, Enpals ed Excelsior, si tratteggeranno i trend del settore in Italia e inLombardia.I dati di scenario sulla situazione occupazionale del settore audiovisivo si completano con un breve confronto tra i due editori tv leader in Italia: RAI eMediaset. Attraverso i dati relativi alle Risorse Umane desunti dai bilanci aziendali, si cercheranno caratteristiche, peculiarità, punti di contatto tra lepolitiche occupazionali delle due aziende.Il capitolo presenta, quindi, i risultati della nostra ricerca “sul campo” in meritoal numero e alla composizione degli addetti nelle aziende audiovisive lombarde;infine, si affronta il tema degli inquadramenti contrattuali dei lavoratori e deiproblemi connessi, intrecciando i dati quantitativi forniti da aziende e lavoratori con le osservazioni qualitative emerse nelle interviste.

03I LAVORATORI

di Chiara Valmachino

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È arduo reperire dati attuali e storici sugli addetti1 del settore audiovisivo in Italiacomparabili tra le diverse fonti, a causa dell’estrema varietà dei parametri e dellecategorie considerati, tanto che il numero dei lavoratori oscilla, secondo le diversericerche, tra i 24.000 e i 90.000. Una ricerca Isfol del 1999, per esempio, stimavain 23.000 unità i lavoratori delle “attività radiotelevisive” e in 10.500 quelli dellaproduzione e distribuzione cinematografica e di video. IsICult (Istituto italiano perl’industria culturale) stima invece in una recente ricerca gli “addetti” del sistemacinematografico e audiovisivo in 90.452 unità, dichiarando tuttavia di servirsi didati non aggiornati (dati Enpals 2 2002 e dati Istat 2001) e “poco trasparenti”(Millecanali gennaio 2006).Si è scelto in questa sede – come già avvenuto nel cap.2 - di considerareesclusivamente i dati forniti dalle aziende registrate presso la Camera diCommercio e iscritte nelle categorie NACE 92.11 (produzione audiovisiva), 92.12(distribuzione audiovisiva), 92.20 (attività radiotelevisiva), in quanto specificherispetto all’ambito della nostra ricerca sul campo. Certamente i dati Istat (fornitida Camera di Commercio) sottostimano nettamente la quantità di addetti delsettore, perché non includono l’ampia gamma di lavoratori atipici, riducendo lanozione di “addetto” a quella di lavoratore dipendente e indipendente: masoprattutto perché le aziende non sono vincolate da cogenza normativa, per quantoriguarda la trasmissione alle Camere di Commercio del numero di addetti. I datiIstat sono tuttavia gli unici aggiornati, su cui è quindi possibile operare confrontidiacronici; seppure in scala ridotta, questi dati lasciano emergere trendinteressanti circa il comparto audiovisivo. Secondo i dati forniti dalla Camera di Commercio relativi al terzo trimestre 2005,gli addetti stabili del settore produzione, distribuzione ed editoria radiotelevisivain Lombardia erano 9.249 (7.440 se si considerano solo gli addetti presso aziendeche hanno la sede principale in Lombardia), pari al 39% del totale italiano(23.711 persone). A parte il Lazio, che conta oggi 6.347 addetti (26,8% del totale),il numero degli addetti nel resto d’Italia risulta molto scarso e frammentato nellealtre regioni.

3.1 Lo scenario: i trend occupazionali di settore

1 Naturalmente la separazione che abbiamo fatto tra “aziende” da una parte e “lavoratori” dall’altra è in parteartificiosa, nel momento in cui si parla di ditte individuali o di cooperative. Come si vedrà, queste forme giuridichenon sono infrequenti nel settore in esame.

2 Si noti, a margine, che i dati desunti da Enpals potrebbero essere sottostimati, visto che dirigenti e collaboratori,nel settore audiovisivo, non sono iscritti al Fondo Previdenziale dello Spettacolo.

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Fonte: Camera di Commercio Milano, 2005

Un confronto diacronico tra i Censimenti dell’Industria e dei Servizi realizzati inItalia dal 1991 mostra che il numero degli addetti in Lombardia nella produzione,distribuzione ed editoria audiovisiva, dopo essere costantemente cresciuto tra il1991 e il 2001 (passando in totale da 6815 a 9972 unità), ha avuto una flessio-ne nell’ultimo quinquennio: al terzo trimestre del 2005, gli addetti dichiarati erano723 in meno rispetto al 2001 (-7%). Osservando, poi, in percentuale le perdite di addetti nei singoli settori dell’audio-visivo, emergono dettagli interessanti e più esplicativi rispetto al dato numericocomplessivo. L’elemento più rilevante riguarda la flessione nettissima, durantel’ultimo quinquennio, degli addetti presso gli editori radiotelevisivi: rispetto ai5.687 addetti del 2001, i 2.148 lavoratori in meno del 2005 rappresentano unaflessione del 62%.

100009500900085008000

Abru

zzo

Basil

icata

Calab

ria

Campa

nia

Emilia

-Rom

agna

Lazio

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- Giul

ia

Ligur

ia

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Pugli

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Sard

egna

Sicil

ia

Tosc

ana

Trent

ino - A

lto A

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Umbria

Valle

d’A

osta

Vene

to

75007000650060005500500045004000350030002500200015001000

5000

addetti presso sede

addetti nelle unità locali

Regione

Num

ero

adde

tti

Imprese audiovisive - Numero di addetti nelle Regioni(3° Trimestre 2005)

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È il risultato più evidente del già citato processo di esternalizzazione produttivadagli editori verso le case di produzione indipendenti, le quali crescono, nello stes-so periodo, di 2.965 unità, il 73% in più rispetto ai 4032 di addetti del 2001. Unaflessione percentualmente significativa si rileva anche nel più ridotto settore delladistribuzione: i 253 addetti del 2001 si riducono a 104 nel 2005 (-59%).

Addetti del settore audiovisivo in Lombardia 1991-2005(presso unità locali)

Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Camera di Commercio e

Data Warehouse DWCIS - Istat

92.11 (produzione)

92.12 (distribuzione)

92.20 (attività radio tv)

1991 1996 2001

Anno

Num

ero

adde

tti

2005

1.000

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

7.000

8.000

055 195

253

14

5.687

4.0324.967

5.447

1.313 2.6002.148

6.997

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I dati dell’ultimo Censimento dei Servizi e dell’Industria segnalavano, nei settoridella produzione e distribuzione audiovisivi, una massiccia presenza di lavoratrici:erano donne il 52% degli addetti nella produzione e nella distribuzione, e il 39%degli addetti nell’editoria radio-tv.

Addetti del settore audiovisivo in Lombardia nel 2001(ripartizione per sesso)

Fonte: Data Warehouse DWCIS - Istat

Al di là della presenza numerica femminile, alcuni dati interessanti emergono aproposito della relazione tra sesso del lavoratore e retribuzione. I dati del 2003presentati dall’Enpals (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per iLavoratori dello Spettacolo) accentuano, in proposito, le tendenze nazionali: “aparità di competenze, abilità ed esperienza, la busta paga delle lavoratrici è sen-sibilmente più leggera di quella degli uomini: in media le donne percepiscono unaremunerazione oraria per il lavoro prestato pari al dieci per cento in meno di quantoincassato da un uomo” (Censis 2005). Nell’ambito radiotelevisivo, addirittura, laretribuzione giornaliera media di una donna è del 30% inferiore a quella di unuomo: osservando nel dettaglio le qualifiche, si nota che la forbice è ancora piùgrande per quanto riguarda la categoria degli artisti e tecnici, in cui le donne guadagnano in media ben il 39% in meno dei colleghi maschi.

Numero di addetti

cate

gori

e Is

tat

92.11 (produzione)

92.12 (distribuzione)

92.20 (attività radiotv)

0 1.000 2.000 3.000 4.000 5.000

addetti maschi

addetti femmine

48% 52%

61%

52%

48%

39%

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Lavoratori del settore radiotelevisivoIndicatori dell’occupazione e delle retribuzioni nel 2003

Complesso qualifiche Artisti e tecnici Maestranze e impiegati

Età media

Giornate lavorativeannue (media)

Retribuzionegiornalieramedia (Euro)

Retribuzioneannua media(Euro)

maschi femminecomplessodeicontribuenti

maschi femminecomplessodeicontribuenti

maschi femminecomplessodeicontribuenti

38

228

134,88

25.079

36

199

95,08

16.938

37

217

118,67

21.763

37

154

219

25.316

35

131

133,13

16.017

36

144

181,15

21.180

38

270

90,3

25.151

23

246

69,78

17.688

38

261

82,38

22.268

Fonte: Enpals, 2005 (riferito all’anno 2003)

I dati Istat considerano come “addetti” i lavoratori dipendenti e indipendenti,escludendo volontari, collaboratori occasionali e a progetto, interinali: la quota deilavoratori atipici è considerata da tutte le fonti bibliografiche molto elevata nelsettore audiovisivo (Menduni - Catolfi 2002; Censis 2000) 3; tuttavia, mancanodati ufficiali precisi, che rilevino soprattutto le situazioni di confine tra regolaritàe irregolarità, oppure di palese irregolarità. Infatti, secondo l’ultimo rapportoCensis sulla situazione sociale del Paese, gli ultimi due anni sono staticaratterizzati in generale da una netta contrazione del sommerso di impresa;parallelamente, però, si è registrata una crescita complessiva dei livelli di irrego-larità del lavoro, che nel Nord Ovest per esempio incide per il 14,4% (la medianazionale è del 27,9%). Molto alta in Italia (tocca il 22% dei lavoratori, il 13,1%di quelli del nord Ovest) è la quota di chi è regolarmente assunto, ma sottopostoa pratiche al limite della regolarità, come il mancato rispetto dei contratti collettivi,la doppia busta paga, la dichiarazione del numero di ore o delle giornate lavorateinferiori a quelle realmente svolte 4, ecc.

3 Una ricerca sul settore audiovisivo in Toscana pubblicata nel 2005, notando la scarsità di addetti e soprattuttodi addetti a tempo indeterminato presso le emittenti tv locali, commentava opportunamente: “L’esiguo numerodi dipendenti a tempo indeterminato a livello regionale induce a una riflessione sulla qualità dell’occupazioneall’interno delle televisioni locali e conseguentemente sulla possibilità di produrre comunicazione di qualitàsenza l’apporto di sufficienti Risorse Umane. La realizzazione e la trasmissione di informazione quotidiana el’autoproduzione di programmi, di cui le emittenti fanno un largo uso, necessitano di un contributo quantitativoe qualitativo di lavoratori del settore, che difficilmente si ottiene con inquadrature professionali precarie”.(Corecom Regione Toscana, 2005).

4 In generale, l’indagine Censis svolta su 750 testimoni privilegiati individuati su tutto il territorio nazionale, rileva tra i fenomeni di irregolarità più diffusi tra il 2003 e il 2005 “l’utilizzo improprio dei contratti a progetto”, inaumento secondo il 58,7% degli intervistati (Censis 2005).

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L’unico dato disponibile per l’audiovisivo in Lombardia non è aggiornato e riguar-da, in ogni caso, la percentuale dei lavoratori atipici sul totale: i risultati del cen-simento 2001 segnalavano che il 73% dei lavoratori lombardi del settore audiovi-sivo (8581 persone) era dipendente a tempo determinato o indeterminato; il 12%era indipendente (1391 persone); un altro 12% (1338) era costituito da collabo-ratori coordinati e continuativi.

Settore audiovisivoComposizione addetti e lavoratori atipici 2001

Fonte: elaborazione Labmedia su Data Warehouse DWCIS - Istat

Co. Co. Co.12%

Interinali1%

Volontari2%

Indipendenti 12%

Dipendenti 73%

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Sul totale delle assunzioni previste in Italia per il 2005 (647.740 persone), 2490(il 3,8 per mille) erano riferibili al settore audiovisivo, secondo la classificazioneExcelsior delle figure professionali 5. Quindi, rispetto all’anno precedente, le assunzionipreviste per il 2005 nel settore audiovisivo, subivano un calo del 2,35% (60unità).

Assunzioni previste dalle impreseProfessioni richieste e tipologia di inquadramento

Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior 2005

5 La classificazione Excelsior, che annualmente raccoglie dati su più di 100.000 imprese italiane, considera leseguenti categorie professionali, inerenti l’area di indagine di questa ricerca:“12.06.05 Specialisti dello spettacolo e della cultura”: addetto programmazione palinsesto; assistente allaregia; assistente scenografo; attore; ballerino; cantante; commentatore della radio e della Tv; corista; direttoredi orchestra; giornalista; musicista; realizzatore di produzioni Tv; redattore; regista; scenografo; segretario diredazione; suonatore.“13.06.05 Esperti e tecnici dello spettacolo e della cultura”: animatori di spettacoli radioTv. “13.07.03 Esperti e tecnici dell’impiego di apparecchiature audiovideo”: addetto regia audio-video; assistente tecnico di studio; ausiliario di studio; cameraman; fotografo; macchinista di scena; macchinista teatrale;montatore cinematografico; operatore alta-bassa frequenza; operatore di proiezione; operatore di ripresa cinematografica; operatore stampa e riproduzione di pellicole; operatore video; tecnico luci; tecnico radiofonico;tecnico sonorizzatore; tecnico teatrale.

di cui (valori %)

12.06.05 (specialisti dellospettacolo e della cultura)

13.07.03 (esperti e tecnicidell'impiego di apparecchia-ture audio-video)

Totale

Totale assunzioni2004 (v.a.)

Codice Excelsior eprofessioni

Totale assunzioni2005 (v.a.)

in impresecon meno di50 dip.

a tempoindeterminato

senzaesperienzaspecifica

di difficilereperimento

1820

730

2550

1740

750

2490

56,1

22,3

27,4

28,1

18,1

36,8

29,6

47,2

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Fonte: Unioncamere - Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior 2005

I dati Excelsior forniscono, insieme al dato numerico sulle previsioni di assunzio-ne, alcuni spunti per enucleare alcune specificità dei professionisti dell’audiovisi-vo. Rispetto alla media delle altre professioni specialistiche, intellettuali e scien-tifiche, i neo-assunti tra gli specialisti dello spettacolo e della cultura (categoriaExcelsior 12.06.05) avrebbero, per esempio, lavorato più spesso in imprese conmeno di 50 dipendenti, ottenendo meno contratti a tempo indeterminato (solo il27% dei neoassunti avrà un contratto stabile, contro il 55,7% della media totalenelle professioni a pari livello 6). Si sente molto poco, per gli specialisti dello spettacolo, la necessità di corsi diformazione, normalmente prevista dalle imprese con attività corsuale interna edesterna (si prevedono attività di formazione per il 14,4% degli assunti, contro il48,3% della media per lavoratori a pari livello).

Assunzioni previste dalle impreseProfessioni richieste e caratteristiche dei lavoratori

6 È in generale piuttosto alta la percentuale di imprese italiane che intendevano assumere nel 2005 personalea tempo determinato. Le previsioni nazionali Excelsior dicevano che ben il 37,8% dei nuovi assunti sarebbestato inquadrato con contratto a termine. Il 34% delle uscite previste dal mondo del lavoro, specularmente,dipendeva dalla scadenza dei contratti stipulati.

di cui (valori %)

12.06.05 (specialisti dellospettacolo e della cultura)

13.07.03 (esperti e tecnicidell'impiego di apparecchia-ture audio-video)

Totale

Codice Excelsior eprofessioni

Totale assunzioni2005 (v.a.)

In sosti-tuzione dianalogafigura

Necessitàformazione(corsi)

Fino a29 anni

Richiestaconoscen-za lingue

Richiestaconoscenzainformaticacome

Con etànon rilevante

1740

750

2490

55

19,5

14,4

9,7

17

35,6

65

35,6

46,1

10,8

38,6

75,9

3,1

0,5

utilizzo programmaz.

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Fonte: Elaborazione Labmedia su dati Unioncamere

Ministero del Lavoro, sistema informativo Excelsior - 2005

Caratteristiche esperti e tecnici audio-video in confronto allamedia dei professionisti di pari livello

(previsione nuovi assunti)

70

60

50

40

30

20

10

media generale professioni tecniche

esperti tecnici a/v

Necessiteranno di formazione

Avranno Þno a 29 anni

L’età non saràrilevante

0

Saranno assunti atempo indeterminato

percen

tuali

caratteristiche

Valgono all’incirca le stesse considerazioni se si confrontano le caratteristicherilevanti dei neo-assunti per professioni tecniche in generale e per professioni tec-niche nel settore audiovisivo. Nelle professioni tecniche in generale la percentua-le dei nuovi assunti a tempo indeterminato nel 2005 è del 61,4%, mentre nelleprofessioni tecniche dell’audiovisivo è del 28,1%

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È interessante, a questo punto, scendere a considerare la situazione occupazionaledi singole aziende del settore; in questo paragrafo vogliamo proporre il confrontodei dati sulle Risorse Umane dei due editori televisivi leader, RAI e Mediaset. Per il gruppo Mediaset in Italia 7 lavoravano, al 31 dicembre 2005, 4.644 dipendenti, il 96% dei quali inquadrati a tempo indeterminato. Sul totale deidipendenti, le donne rappresentavano il 43% (ma sono solo il 20% dei dirigenti).Dopo un quinquennio di sostanziale stabilità, il numero dei dipendenti Mediasetè cresciuto nel 2005 di 213 unità (+ 4,8%) rispetto all’anno precedente, per almenotre motivi:

• il lancio di un nuovo business come il Digitale Terrestre;• le innovazioni di palinsesto sulle reti generaliste, che hanno visto crescere

l’offerta di news, soft news, infotainment, e le risorse ad essa dedicate.Anche l’acquisizione (e lo spostamento) dei diritti sportivi per le partite di calcio sul digitale terrestre ha aperto, tra l’altro, spazi di programmazionesulle reti analogiche terrestri;

• l’acquisizione della società Home Shopping Europe Spa (HSE), che operandonel direct business delle televendite, ha - tra l’altro - introdotto nell’organicoMediaset nuove figure professionali, come i buyers delle acquisizioni di prodotti diretti.

Mediaset risulta, da una recente ricerca (People Value 2005) un’azienda moltoambita da chi cerca lavoro: è la quarta azienda per cui gli italiani vorrebbero lavorare (dopo Telecom Italia, Ferrari e Vodafone), a parecchie posizioni di distanzarispetto a RAI, che figura solo al diciannovesimo posto. Al gruppo sono pervenuti infatti nel 2005 circa 10.000 curricula spontanei, conun incremento del 40% rispetto al 2004. Sono state tuttavia intervistate, per laricerca di posizioni specifiche e per l’offerta di stage formativi, solo 772 persone:meno dell’8% rispetto a quanti hanno inviato il curriculum. Mentre gli stage real-mente attivati nell’ultimo anno sono stati 179 (+ 19% rispetto al 2004), e gliassunti 288: con un calcolo “virtuale” si potrebbe quindi desumere che un aspi-rante collaboratore di Mediaset ha solo l’1,8% di probabilità di ottenere uno stagein azienda e il 2,9% di probabilità di essere assunto 8.

3.2 La situazione occupazionale RAI e Mediaset

7 Al numero indicato devono poi essere sommati i 1.173 dipendenti di Telecinco, in Spagna. 8 Naturalmente un calcolo matematico esatto non è possibile, visto che non tutti gli stage attivati e le assunzioni

sono frutto dell’invio di un curriculum via mail… ma il dato è comunque suggestivo.

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Fonte: Mediaset, Bilancio 2005

Tra le caratteristiche dell’organico, il commento al bilancio 2005 di Mediasetmette in evidenza alcuni aspetti, come un’elevata età media dei dipendenti (42anni, davvero alta in relazione alla media di altre realtà audiovisive, come si vedràal paragrafo seguente), un’anzianità media aziendale “elevata” (14 anni, tanto piùelevata in un azienda con una storia di soli 25 anni), e il basso turn over in uscita(pari all’1,7%).

Mediaset: età e anzianità media dei dipendenti a tempo indeterminato

92

Fonte: Mediaset, Bilancio 2005

Per quanto riguarda RAI, gli ultimi dati a disposizione sono quelli relativi alBilancio 2004. L’organico aziendale, al 31 dicembre 2004, constava di 10.064unità; ben il 99,2% dei dipendenti era inquadrato a tempo indeterminato, il per-

Qualifica 2005numero %

2004numero %

Dirigenti

Giornalisti

Quadri

impiegati

Totale

6,9

8

15,7

69,4

100

313

364

711

3155

4543

308

335

679

3109

443

7

7,6

15,3

70,2

100

Composizione per qualifica del personale dipendente Mediaset

Qualifica Età media Anzianità media

Dirigenti

Giornalisti

Quadri

impiegati

Totale

2005 2004 2005 2004

47

44

44

41

42

47

43

43

40

42

16,4

10,3

15,5

14,2

14,1

16

10,1

15,1

13,9

14

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sonale restante (78 unità) con contratto di Formazione Lavoro. Il turn over del personale RAI è stato positivo dal 2001 in avanti, dopo la severa ristrutturazionedell’organico avvenuta tra il 1998 e il 2000, quando uscirono dall’azienda 720dipendenti (il 6,8% del totale).

Assetto del personale RAI 1998-2004Dipendenti in organico

Fonte: Annuario RAI 2004

Le assunzioni in RAI nel 2004 sono state 207; 26 i contratti di Formazione Lavorotrasformati in contratti a tempo indeterminato. Il saldo positivo di 55 unità, chesi ottiene bilanciando le assunzioni con le cessazioni di contratti (152 unità) deveessere tuttavia osservato più nel dettaglio: ben 125 assunzioni (il 60,4% del totale)sono avvenute infatti per reintegro a seguito di sentenza giudiziaria 9.

1998 2000 20011999 2002 2003 200492009400

9600

980010000

10200

104001060010800

anno

n. d

ipen

dent

i

9 Il commento al Bilancio 2004 nota “un sensibile aumento rispetto ai passati esercizi dei reintegri obbligatori aseguito di sentenza”.

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Fonte: RAI, Bilancio 2004

Se si mettono a confronto i dati relativi alla composizione del personale delle dueaziende, per sesso e qualifica, si notano essenzialmente due differenze. La percentuale di giornalisti sul totale delle qualifiche era nel 2004 decisamentepiù elevata in RAI (13,3%) che in Mediaset (7,6%). Il network privato si distingue inve-ce per l’elevata presenza di donne lavoratrici, più alta che in RAI per tutte le qualifi-che; netta la differenza, in particolare, nella categoria dei giornalisti: in RAI sonodonne il 27,5% dei giornalisti, a Mediaset la percentuale sale al 42%.

Composizione per qualifica e sesso: confronto RAI - Mediaset 2004

Qualifica Numero dipendenti2004

Numero dipendenti2003

Dirigenti

Quadri

Giornalisti

Impiegati

Addetti alle riprese

Addetti alla regia

Tecnici

Operai

Personale artistico

Totale personale a tempo indeterminato

614

1093

1328

4301

526

794

150

1048

132

9986

621

1069

1332

4366

525

718

161

1032

134

9931

Composizione per qualifica del personale RAI a tempo indeterminato

Mediaset RAI

Dirigenti

Quadri

Giornalisti

Impiegati ealtri *

% sul totale % donne per qualifica % sul totale % donne per qualifica

7

15,3

7,6

70,2

20,7

42

42

45,5

6,1

11

13,3

69,6

18,6

34,7

27,5

37,4

Qualifica

* I dati RAI aggregano nella categoria “impiegati” diversi inquadramenti: oltre agli impiegati amministrativi e a quelli impegnati in produzione,sono qui compresi anche addetti alle riprese e alla regia, tecnici e operai.

Fonte: elaborazione Labmedia su dati di bilancio RAI e Mediaset

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Diverso è, naturalmente, il peso dell’insediamento territoriale in Lombardia per ledue aziende. Il 67% del personale Mediaset (2.992 addetti) lavora nell’arealombarda, nelle tre sedi del gruppo di Cologno Monzese, Segrate, Lissone; il 21%lavora a Roma, l’11,4% (509 persone) in altre sedi. Gli addetti stabili del Centro di Produzione RAI di Milano sono invece 830, ovverol’8% circa dei dipendenti RAI, cui si aggiungono circa 60 “unità anno” 10 a tempodeterminato. Nella produzione tv lavorano circa 600 dipendenti; gli altri sonoimpiegati in diverse strutture aziendali, come redazioni giornalistiche, abbona-menti, radiofonia, strutture editoriali.La composizione per qualifica dei dipendenti lombardi RAI rispecchia sostanzialmente lasuddivisione nazionale, fatta eccezione naturalmente per i dirigenti (l’1% circa sultotale degli addetti milanesi), che lavorano quasi esclusivamente nelle sedi romane:a Milano il 12% è costituito da quadri, ovvero funzionari, e personale operativosulle produzioni (direttori di produzione, coordinatori tecnici, programmisti-registiecc.); il 10% è costituito da giornalisti, che lavorano per la testata locale del TgRe per le testate nazionali; compongono il resto dell’organico gli impiegati ammini-strativi e di produzione (come operatori di ripresa, assistenti alla regia, montato-ri ecc.) e gli operai.

3.3 La ricerca: composizione degli addetti einquadramenti contrattuali

L’82% delle aziende partecipanti alla nostra ricerca (104 su 127) ha fornitoindicazioni circa il numero e la composizione dei propri addetti, confermando soloin parte i dati provenienti dalle fonti nazionali. Si conferma, per esempio, l’altapercentuale di donne occupate nel settore (il 46% del totale), ma senza differenze significative tra le diverse tipologie di aziende: i dati Istat invece,sottolineavano una predominanza femminile (ben il 52% del totale) tra gli editoritelevisivi.Trova riscontro, inoltre, l’impressione di un settore “giovane”, visto che il 32%

10 Il concetto di “unità anno” è differente da quello degli addetti a tempo determinato, perché questi ultimi, vannocalcolati sugli effettivi giorni di impegno: gli addetti totali sono infatti circa 200, ma impegnati solo parzialmente.

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degli addetti dichiarati ha meno di 30 anni, contro un 12% di over 50; il restante56% si colloca nella fascia di età intermedia tra il 30 e 49 anni 11. Il dato viene confermato da FRT che indica in 30 anni l’età media dei lavoratori dei pro-pri associati.Per quanto riguarda le tipologie di inquadramento contrattuale degli addetti, leaziende rivelano numeri che non concordano con i dati Istat già citati, ma che probabilmente restituiscono un quadro più verosimile del settore. In media, leaziende dichiarano una percentuale piuttosto alta di collaboratori a progetto eoccasionali (il 26% del totale) e di lavoratori a tempo determinato (il 14%): il 40%dei lavoratori impiegati presso le aziende campione sono, dunque, precari. Ad essisi aggiunge il “popolo delle partite IVA”, un cospicuo 17% di consulenti.

Inquadramenti contrattuali degli addetti(valore % medio)

Fonte: Labmedia, 2006 (su campione di 104 aziende)

Tempo indeterminato29%

Tempo determinato14%

Stagista5%Altro 8%

Formaz. Lavoro/Apprendistato1%

Consulenza professionalein partita Iva

17%

Collaborazioneoccasionale

Collaborazionea progetto

12%

14%

11 I dati sulla composizione per sesso ed età degli addetti sono però stati riferiti, da molte aziende, ai soli lavoratoria tempo indeterminato e potrebbero perciò sottostimare la percentuale effettiva di giovani, che si presume entrino spesso in azienda con contratti a termine.

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Il dato si precisa se scorporiamo la composizione degli addetti per tipologia diazienda: la percentuale di lavoratori a tempo indeterminato è maggioritaria tra glieditori (54% del totale), molto bassa tra i produttori (23% in media sul totale). Alcontrario, collaboratori e consulenti costituiscono ben il 64% degli addetti tra i produttori, il 21% tra gli editori 12.

Inquadramenti contrattuali degli addetti (valori % medi)

Confronto tra tipologie di aziende

Fonte: Labmedia, 2006 (su campione di 104 aziende)

In generale, si riscontra una significativa differenza tra editori e produttori nellepolitiche di inserimento lavorativo del personale. Presso le emittenti, il 68% deilavoratori ha un contratto di lavoro subordinato; la percentuale scende al 39%presso i produttori.

T. ind

eter

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Parti

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A

T. de

term

inato

Co.co

.pro

.

Co.co

.co.

Altro

Stag

ista

Form

. Lav

oro

Inter

inale

10

20

30

40

50

60

0

produttori

editori

altro

perc

entu

ali

inquadramenti contrattuali

12 Bassa la quantità di stagisti dichiarata (il 5% sul totale degli addetti per i produttori, l’1% per gli editori): lenorme vigenti prevedono una percentuale limitata di stagisti sul numero totale dei dipendenti. Le dichiarazionidei lavoratori interpellati suggeriscono tuttavia un’altra realtà, che spesso deborda nell’irregolarità; si affronteràquesto tema in modo più approfondito nel capitolo dedicato al placement.

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Infine,

“Nel settore dei servizi alla produzione c’è un avviamento al lavoro più simile all’industria, e i lavoratori hanno mercato… si può iniziare con contratti di lavorointerinale e poi, attraverso il training e i corsi di formazione interna, quasi tutti sonodestinati a passare al tempo indeterminato”.(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2, intervista personale, 20/4/2006)

La diversa percentuale di lavoratori subordinati tra editori e produttori si puòspiegare in parte con le differenti prassi di utilizzo dei Contratti Collettivi dilavoro 13. Le emittenti nazionali e locali applicano regolarmente Contratti Collettividi lavoro specifici del settore audiovisivo, che spingono verso inquadramenti professionali definiti e stabili, e che sono facilmente monitorabili dai sindacati dicategoria 14: il 50% degli editori, nel nostro campione, dichiara per esempio diapplicare il Contratto Collettivo FRT, il 22% quello di Aeranti Corallo. In alcuni casi, la stessa normativa in vigore incoraggia l’assunzione dipersonale: le emittenti locali, ad esempio, per ottenere la concessione, devonoper legge avere almeno quattro dipendenti subordinati. In più, esse ricevono contributi (90 milioni di euro) sulla base del fatturato e del numero di dipendenti.Più precisamente, le prassi non mutano solo per tipologia d’azienda, ma da settoreaziendale a settore:

“Alcune aree aziendali sono caratterizzate da un elevata discontinuità (produzioni televi-sive che in palinsesto hanno una durata limitata, o picchi di lavoro concomitanti coneventi sul territorio organizzati dalla rete) e quindi richiedono elevata flessibilitànell’utilizzo delle risorse dedicate. In questi contesti è naturale agire attraverso gruppi dilavoro temporanei legati alla nascita di un progetto specifico, destinati a concludersi colterminare del progetto stesso. In altre aree invece, quali ad esempio quelle tecniche(emissione, MCR, Operations, Gallery PA, Booking), la continuità del servizio deve esseregarantita in modo più costante. Le figure dedicate a queste attività, solitamente, collaborano

13 I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro dell’Audiovisivo sono: Contratto RAI, FRT, Aeranti Corallo (per le emittentitelevisive), delle Industrie di Cinema, Tecnici e Maestranze, generici (per le case di produzione cinematograficae di fiction), Contratto Giornalistico Fnsi e RAI. Non tutti i lavoratori dell’Audiovisivo sono inquadrati in uno diquesti contratti. Per consultare i testi integrali dei contratti rimandiamo alla sezione Risorse del sitowww.tvjob.it.

14 Con le emittenti “noi [i sindacati] sistematicamente riusciamo a rinnovare i contratti. Parlo anche dell’FRT. Dalpunto di vista contrattuale non c’è difficoltà. Anche i risultati sono interessanti, i contratti non sono rabberciati…Nelle aziende più grandi abbiamo anche il secondo livello di contrattazione: ovvero il contratto nazionale e poiil livello integrativo [aziendale]”. (Renato Zambelli, Segretario Generale CISL-Fistel Lombardia, intervista personale 20/4/06).

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con MTV Italia in modo più stabile e continuativo”.(Cristina Lippi, Responsabile Human Resources MTV Italia, intervista, 20/3/2006)

Circa gli obblighi contrattuali, le aziende che operano nel settore dell’emittenza tvsollevano qualche obiezione in merito all’eccessiva rigidità del mercato del lavoro:

“C’è una certa rigidità per quanto riguarda i metodi di assunzione e di collaborazione.Qualcosa si è fatto [a Telenova] per il giornalismo, perché il contratto non è quellodella Federazione Giornalisti della Stampa, ma quello Aeranti Corallo che ha unamaggiore flessibilità, ma è comunque un contratto che ti impegna molto”.(Giusto Truglia, Vice direttore generale Multimedia S. Paolo, direttore testatagiornalistica e palinsesto Telenova, intervista personale, 13/3/2006)

Dal canto loro, lavoratori e sindacalisti sottolineano, al contrario, la persistenzadi qualche anomalia e difetto di garanzia anche nei contratti applicati dalleemittenti tv. Innanzitutto, quello dell’emittenza

“È un mercato atipico, per certi versi: ad esempio non prevede cassa integrazione”.(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, intervista personale, 26/4/2006);

“Laddove mancano gli ammortizzatori sociali, quando c’è crisi è il lavoratore a pagare”.(Renato Zambelli, Segretario Generale CISL-Fistel Lombardia, intervista personale,20/4/06)

Nelle redazioni e nelle produzioni di alcune aziende tv, inoltre, si fa un uso frequentedei contratti a termine, che di rado si trasformano successivamente in contratti atempo indeterminato 15.

Sul tema degli inquadramenti contrattuali, si scontrano due logiche per loro naturadivergenti: quella tipica di sindacati e lavoratori, che pongono l’accento sullecause contingenti della precarietà, e quella delle aziende che sottolineano lastrutturale precarietà del mondo audiovisivo.La produzione audiovisiva viene considerata all’unanimità il regno della flessibilitàoccupazionale, parola che non a caso viene spesso citata in alternativa a “precarietà”:

15 “C’è il problema, sui contratti a termine, di uscita delle risorse formate (es. montatori, tecnici, operatori),nonostante l’attaccamento all’azienda” (Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione Produzione Tv -RAI Milano, intervista personale 20/3/2006).

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“Il lavoro [nel settore della produzione televisiva] è stato sempre precario e semprelo sarà. Il precariato è strutturale nel settore. Noi scritturiamo sempre persone acontratto determinato sul programma”.(Nanni Mandelli, Produttore Esecutivo Grundy Italia, intervista personale, 9/3/2006)

Eppure, flessibilità e precarietà non dovrebbero essere sinonimi. La flessibilità -rappresentata tipicamente da consulenti freelance - può rappresentare unacondizione vantaggiosa per aziende e lavoratori. I freelance sono lavoratori a cuila condizione di autonomia può andare bene,

“Perché non vogliono darsi al 100% e vogliono avere rapporti con tanti committenti...[d’altra parte] bisogna considerare che, per fare la squadra giusta, devi cambiarepiù volte gente per trovarla. Per gli aspetti creativi non puoi tenerti certe personeper 10 anni, perchè cambiano le tecniche, i gusti e si rischia di rimanere sempresullo stesso stile”.(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)

I sostenitori della flessibilità teorizzano anche una maggiore efficienza produttivae un maggior entusiasmo e spirito di abnegazione del lavoratore autonomo, fattoriindispensabili per la produzione audiovisiva:

“Il principio cardine è questo: chi lavora da free lance è più efficiente: è amaro, maè cosi. La casa di produzione che deve fare un format televisivo lo fa con molto piùentusiasmo e passione che non una linea di produzione che fa le stesse cose, chefa quattro programmi in fila, senza aver alcun tipo di partecipazione. Perché lagente esternalizza? Perché hai più efficienza, hai meno sbadigli, hai meno reticenze,hai più entusiasmo. Credo che non sia un segreto”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

“Queste persone non vivono con ‘lo stipendio il 27’, le si fanno morire se si cercadi contenerle troppo. Queste sono professioni che vivono in un ambiente dinamico,competitivo, instabile, irregolare, con modalità di lavoro che non sono quelleimpiegatizie”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

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La flessibilità, in ogni caso, dovrebbe sempre accompagnarsi con l’innovazione diprodotto e di processo. Troppo spesso, invece, finisce per coincidere con ladiscontinuità di lavoro 16 e con lo sfruttamento di Risorse Umane.

“C’è un labile confine tra flessibilità legittima e precarietà preoccupante”.(Andrea Corbella, RSU-RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

La precarietà è tipica di collaboratori con relazioni mono-aziendali, professionistispesso sottoretribuiti e dal futuro perennemente incerto 17:

“I meccanismi della produzione, lasciati sempre di più al mercato, tendono, comesi sa, all’appalto e al subappalto… e questo si ripercuote sul mercato del lavoro.In Italia abbiamo un mercato insieme molto concentrato e molto disperso: poche emittenti leader, ma un’enorme presenza di piccoli produttori. Più aumenta la produzione esterna rispetto alle emittenti, più aumentano i lavoratori legati a singoleproduzioni, mentre nelle emittenti si penalizzano e si sottoutilizzano i profili esistenti.La flessibilità diventa precarietà. Abbiamo bisogno di una semplificazione del settore,anche dal punto di vista dell’occupazione. Aumentano i precari, ma non si razionalizza il sistema”.(Bruno Cerri, Segretario Generale SLC-CGIL Lombardia, intervista personale18/5/2006)

Gli addetti del settore radio-tv, secondo i dati Enpals, lavorano comunque in mediamolti più giorni rispetto ai colleghi del cinema e del teatro (217 giorni contro,rispettivamente, 82 e 85); conseguentemente, anche le retribuzioni giornaliere eannuali medie, per i lavoratori radio-tv, sono decisamente più alte (21.763 eurol’anno in media) rispetto a quelle dei colleghi del cinema (9.457 euro) e del teatro (7.823 euro).

Le case di produzione indipendenti sono un settore difficilmente monitorabile econtrollabile con i criteri tradizionali: i produttori applicano frequentemente contratti diversi dai Contratti Collettivi di Lavoro del settore audiovisivo (comedichiara il 18% dei produttori del campione), o addirittura non applicano affattoContratti Collettivi (il 13% dei rispondenti)

18.

16 Emilio Viafora, Segretario Nazionale NIDIL-CGIL, intervento al convegno “Dal lavoro come diritto al lavoro comeoptional. Le prospettive del settore audiovisivo”, 17-18 marzo 2006, Università La Sapienza di Roma.

17 La discontinuità e l’insicurezza lavorativa vengono evidenziate come problema rilevante da molti lavoratori chehanno partecipato alla nostra ricerca, come si argomenterà nell’ultimo capitolo.

18 Le case di produzione audiovisiva indipendenti, per esempio, hanno una rappresentanza scarsissima (se non

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Non tutti, in ogni caso, concordano con l’idea che la precarietà dell’occupazione,specialmente nella produzione audiovisiva, sia strutturale; alcuni preferiscono rintracciare legami tra la situazione occupazionale e le contingenze socio-economiche:

“L’occupazione è precaria. In Italia si produce meno... C’è una dimensione artigianaleche non fa vedere grandi prospettive”.(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)

Del resto, non solo la stabilità occupazionale, ma anche i trend relativi al nume-ro di addetti del settore risentono degli andamenti del mercato: se l’occupazioneè in aumento per la produzione di fiction e di intrattenimento leggero, è stabileper quanto riguarda, ad esempio, il documentario, che attualmente occupa inItalia una nicchia di mercato molto piccola. In generale, il 54% delle aziende partecipanti alla ricerca dichiara una stabilità nelnumero di addetti tra il 2004 e il 2005, il 32% affermano che la quantità di addettiè aumentata; rilevante la percentuale di emittenti (il 28%) che dichiara unacontrazione del personale nell’ultimo anno.

Trend occupazionale nel 2005 rispetto al 2004(valori % medi)

Produttori Editori Altro

0,0

10,0

20,0

30,0

40,0

50,0

60,0

70,0

80,0

90,0

100,0

stabile

in espansione

in contrazione

Settore di attività principale

perc

entu

ali

nulla) nei sindacati di categoria. “Difficilmente sono regolamentati. Finché si lavora, si è remunerati in manierasufficiente; nel mondo delle troupes per esempio non esistono grandi problemi di remunerazione. Però… mancano le regole per i lavoratori… Mentre nelle emittenti, dove ci sono i sindacati, almeno la diretta è garantita, ogni situazione ha una regola. Anche retributiva”. (Renato Zambelli,Segretario Generale CISL-FistelLombardia, intervista personale 20/4/06).

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Un ultimo tema, in merito alla situazione occupazionale delle aziende audiovisivee alle dinamiche contrattuali, riguarda la definizione delle qualifiche e dei ruoliprofessionali. La suddivisione è piuttosto labile in aziende di dimensioni piccole ofamiliari 19, in cui spesso pochi addetti sommano molteplici ruoli:

“Nella grande azienda si libera un posto della catena e tu vai a occupare quel postodella catena. Nello stesso tempo in una società piccola “se c’è quello, devi fare quello”,per cui se tu vuoi entrare ti devi adattare ed essere flessibile”.(Project coordinator emittente televisiva, focus group, 7/4/2006)

“Molto raramente mi è capitato di fare il regista per una casa di produzione esternache non fosse la mia. Quando è la mia, invece, come produttore mi eleggo ancheregista, e avendo poi una certa autostima, mi occupo anche della sceneggiatura,delle riprese, del montaggio. Succede poi che la mia autostima non sia ad un livelloancora patologico, per cui ho la percezione che fare un audiovisivo sia un lavoro diequipe; per cui ho dei collaboratori, ho un direttore della fotografia, di cui mi fidomolto, un fonico fisso.Per quanto riguarda l’ideazione - soggetto e sceneggiatura - ho sempre cercato diavere un’idea da condividere con altre persone per vedere insieme come gestirla,strutturarla, svilupparla.Per quanto riguarda la preparazione, ho sempre avuto un paio di assistenti al fianco,che mi aiutano dal punto di vista organizzativo e creativo. Perché è inevitabile chele due cose si sovrappongano.Le riprese le faccio con un operatore/direttore della fotografia, o con un operatoree un direttore della fotografia, o a volte ho fatto tutto da solo. Dove non hai questoproblema di credibilità “durante”, ma di credibilità “alla consegna” lì allora mi sonopreso la briga di fare tutto da solo. La troupe è quanto di più elastico ci possa essere.Un mio set massimo ha avuto 15-20 persone.Sempre di più direi che la caratteristica fondamentale è la flessibilità. Sempre dipiù succede che, come già in un passato recente, il ruolo dell’operatore e del direttore della fotografia vadano a sovrapporsi. E per me la specializzazione, più chedal tuo percorso formativo, è data da quante volte sei stato impegnato di fatto inquel ruolo.C’è quindi una possibilità naturale di interscambio tra i ruoli. E anche di sincretismo

19 Non sono isolati i casi di aziende audiovisive a conduzione familiare, anche tra quelle con produzioni di un altolivello qualitativo: “La parte amministrativa non la curo io, ma mio marito… ho un cameraman ricorrente che è mio figlio. Ci sono io e l’unica socia…che è anche mia nuora” (Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervistapersonale 6/3/2006).

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tra i ruoli: può succedere che chi fa l’operatore sia anche il direttore della fotografia,o che l’elettricista abbia una capacità come operatore”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

In ogni caso, i risultati della ricerca quantitativa sui lavoratori sembrano faremergere che è piuttosto frequente una disparità tra inquadramenti contrattuali emansioni effettivamente svolte dai lavoratori nel settore audiovisivo: ciò avviene,da un lato, per la specificità di professioni “nuove”, che non trovano ancoracollocazione nei Contratti Collettivi di Lavoro, o per la mancanza tout court di unriferimento ai CCNL specifici del settore. Dall’altro, alcune situazioni fannopresupporre comportamenti anomali da parte delle aziende, che inquadrano ilpersonale a livelli inferiori rispetto alle mansioni svolte.

È sovradimensionata al ruolo

Altro (nessuna qualiÞca)

È restrittiva rispetto al ruolo

È differente dal ruolo

È sottodimensionataal ruolo

Non corrispondema è compatibile

Corrisponde

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45% 50%

percentuali

Qualifica riportata nel contratto di lavoro, rispetto al ruolo svolto(valori %)

Fonte: Labmedia, 2006 (su 64 lavoratori)

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20 A titolo di esempio, si possono citare i casi di una persona inquadrata come operatore Tv - montatore che, inrealtà, svolge il lavoro di un redattore-videoreporter, o di un direttore di produzione inquadrato come assistentedi produzione.

21 Esemplificativo il caso di un giornalista inquadrato come producer. 22 Si può citare il caso di un lavoratore contrattualizzato come “operatore”, che svolge in realtà funzioni di

videoreporter e redattore.

La qualifica è inferiore al ruolo effettivamente ricoperto per l’8% dei rispondenti alquestionario dei lavoratori 20; è totalmente diversa rispetto al ruolo svolto nel 6% deicasi; 21 in un altro 6% di casi, il ruolo risulta allargato rispetto alla qualifica indicata dacontratto 22: complessivamente un quarto dei lavoratori rispondenti ha indicatodiscrepanze più o meno rilevanti tra la qualifica contrattuale e l’effettiva mansione.

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Skillset è lo Skills Council di settore per le industrie audiovisive inglesi(televisione, cinema, video, media interattivi).Fondato congiuntamente dall’industria e dal governo, ha come obiettivo quello di“assicurare che le industrie audiovisive abbiano le persone giuste, con le giustecompetenze, nel posto giusto, al momento giusto, per poter rimanere competitive”.Nato nel 1993 con il compito di “incoraggiare e predisporre una formazione checontribuisse a conservare e migliorare i risultati raggiunti in campo tecnico, creativoed economico dall’industria britannica di broadcasting, cinema e video”, in particolaretutelando i free lance, dal 1999 è diventato National Training Organisation di settore,allargando l’attenzione a tutti i lavoratori.

La sua strategia risponde a questi obiettivi:

• influenzare le politiche di formazione dei broadcaster attraverso ricercheapprofondite sui trend lavorativi e sui bisogni di training;

• spingere ad investire sulla formazione un’ampia schiera di soggetti economicie sociali, per sostenere finanziariamente e incoraggiare alla formazione tutti gli occupati del settore, specie i free lance;

• sviluppare e implementare gli standard e le qualificazioni fondamentali pervalutare e prevedere la futura qualità del training.

Il gruppo direttivo di Skillset riunisce tutte le componenti sociali: imprenditori,sindacati, associazioni professionali, esperti, organizzazioni para-governative e private, ecc. Conta su finanziamenti statali, privati (di istituzioni professionali, delleimprese del settore, di istituti dell’educazione superiore, e della formazione) edeuropei, funzionando come Charity a capitale misto.Skillset fornisce agli aspiranti e agli attuali lavoratori informazioni sulla formazionee sui ruoli professionali, e redige periodicamente ricerche sulla situazione occupa-zionale e sui trend dell’industria audiovisiva; eroga i suoi servizi on line, nel sitowww.skillset.org, face to face e telefonicamente attraverso una sorta di “numeroverde” gratuito.Le sue iniziative, svolte in collaborazione con sindacati e associazioni di categoria,comprendono l’orientamento sulle figure professionali (Careers Advice), per favorire lescelte di carriera dei lavoratori e per evitare alle aziende situazioni di deficit di com-petenze (“skills gaps and shortages”).

Il caso Skillset

FOCUS

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Svolge attività informative e di accreditamento della formazione perindividui e aziende, e formula linee guida perché la formazione sia sem-pre più rispondente ai bisogni aziendali; fornisce alle aziende servizi di forma-zione, reclutamento e sviluppo. Annualmente Skillset pubblica - anche on linesul proprio sito - “Feature Film Production”, una ricerca, compiuta su 900 sogget-ti, sulla situazione della forza lavoro nell’audiovisivo inglese.Definisce inoltre gli standard professionali (che comprendono competenze,conoscenze e esperienze per lavorare nell’audiovisivo) grazie ad Assessors espertidi settore, e rilascia la certificazione delle qualifiche (dette “VocationalQualifications”, ad indicare le scelte consapevoli e specializzate dei lavoratori),anche grazie all’attività di tutor e mentor che seguono il lavoratore nella propria attività professionale.

FOCUS

Strategy

Action

Sector Skills Agreements

Scotland England

Scotland Wales

Northem

Ireland

In development

A Bigger Future - the UK Film Skills Strategy

Interactive Media Skills Strategy and Creating the FutureTV Skills Strategy

N West N East Y&H EastS West W Mids E Mids London S East

Wales

UK-wide Sector Skills Strategies and Action Plans

English Regional Skills Strategies

N West N East Y&H EastS West W Mids E Mids London S East

National and Regional Action Plans

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PARTE SECONDA

MESTIERI E COMPETENZE

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04I MESTIERI

In questo capitolo si affronta il tema della mappatura dei mestieri audiovisivi,partendo da un problema di classificazione e censimento delle centinaia di ruoliesistenti. Al di là della difficoltà di sistematizzare settori produttivi differenti erealtà aziendali differenti, il censimento delle professionalità viene comunqueconsiderato l’indispensabile punto di partenza per un obiettivo di codifica, eprimo passo per la costituzione di una vera comunità professionale.La ricerca, grazie a un lavoro di sistematica ricognizione sui vari settori audiovi-sivi, censisce e descrive 213 tra figure professionali e mansioni, classificate nelletre aree produzione contenuto, gestione contenuto e ibride, e in ulteriori diecisotto-ambiti.Vengono successivamente approfondite le famiglie di mestieri indicate dalleaziende come strategiche per la loro attività (commerciali, produttive, “crossmediali”),vacanti e trasformate.Il Focus riferisce di un analogo lavoro di mappatura professionale compiutoqualche anno fa da TF1, il gruppo televisivo commerciale leader in Francia,all’interno della sua attenta politica di Gestione Risorse Umane.

di Alessandra Alessandri con Fedra Fumagalli

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Il tema della disparità tra qualifiche contrattuali e mansioni effettivamentericoperte ci introduce ad un aspetto rilevante della ricerca, quello della classificazionedei mestieri dell’audiovisivo.Uno dei fattori che fanno pensare ad una codifica ancora scarsa delle professionalitàaudiovisive è proprio la mancanza di accordo nella loro denominazione: addiritturac’è chi afferma che “per adesso non si può parlare di una professione, nel sensocompleto del termine, in quanto molti dei fattori che fanno di un mestiere una professione (iter formativo, norme etiche e comunità professionali) sono ancora oggiassenti” (Morcellini 2002).Una riprova consiste nel fatto che in Italia non esiste a tutt’oggi una iniziativaeditoriale sistematica sui mestieri dell’audiovisivo, ma solo singoli contributi sporadici 1, che non possono essere confrontati con collane ben più esaurienti,come ad esempio quella francese di INA o quella spagnola di IORTVE 2.Ciò nonostante, è senz’altro possibile parlare di “occupazioni dell’audiovisivo”,comprendendo in questa definizione generica sia il lavoro non retribuito (ad es. itirocini formativi nel periodo di avviamento alla professione) che quello retribuito,declinato in:

• “mestieri” (attività pratiche, che utilizzano competenze soprattutto tecnichegrazie ad un addestramento);

• “professioni” (attività intellettuali, che utilizzano ad esempio competenzemanageriali);

• “arti” (attività dell’ingegno, che utilizzano competenze artistiche, secondo regole dettate dall’esperienza e dallo studio).

Le occupazioni: lavori, mestieri, professioni, arti

4.1 La classificazione delle professioni audiovisive

1 La casa editrice italiana che vanta il maggior numero di manuali, dedicati a professioni o generi dell’audiovisivo,è Dino Audino Editore, che pubblica anche la rivista Script e che collabora con RAI per il Corso di formazione eperfezionamento per sceneggiatori, giunto alla decima edizione. Per un elenco completo vedasi la sezioneRisorse del sito www.tvjob.it.

2 Cfr. sezione “Risorse” del sito www.tvjob.it.

Non retribuita

Retribuita = lavoro

Mestiere

Professione

Arte

(ad es. tirocinioformativo)

= “esercizio gratuito di un’attività, a fini diapprendimento”

= “attività pratica dopo un addestramento; aspetto pragmatico di una professione”

= “attività intellettuale”

= “attività dell’ingegno secondo regole dettatedall’esperienza e dallo studio”

Occupazione

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Al di là della legittimità e dell’ampiezza delle occupazioni dell’audiovisivo (ched’ora in poi, nonostante la precisazione fatta, chiameremo “professioni” in sensolato), si registra indubbiamente una grande varietà di etichette professionali nelsettore. Si registrano, tra l’altro, profili professionali che mutano denominazioneda azienda ad azienda (ad esempio il “redattore” si chiama “researcher” nei conte-sti anglosassoni, come MTV), oppure il caso inverso, di figure che a parità di denominazione svolgono in contesti differenti attività ben diverse (ad es. si vedal’ampiezza di significati della parola “produttore”, traducibile in varie mansioni 3

come quelle di “produttore creativo”, “produttore esecutivo”, “producer”, ecc, pernon parlare dell’ambiguità delle traduzioni italiane di termini come “executive producer” e “producer”). Spesso le differenze sono riconducibili a differenticontesti produttivi: “many of the functions overlap and even change, depending onthe size, location, and relative complexity of the production” (Zettl 1992).Uno dei problemi è il fatto che alcune figure professionali sono specifiche di alcu-ni ambiti produttivi (es. le figure delle news, dell’animazione e del crossmedia hannospecificità maggiori rispetto a quelle dell’intrattenimento e del documentario). Altresono specifiche della tipologia di azienda e del suo ruolo nella filiera (alcune figu-re si riscontrano sia nelle case di produzione che nelle emittenti, altre sono solonelle emittenti); o del genere delle case di produzione, solitamente specializzate(spot, o documentario, o news, o intrattenimento)4; o della modalità di trasmissione delle emittenti (le figure delle reti satellitari sono spesso diverse daquelle terrestri). Storicamente è senza dubbio più facile trovare codifiche condivise in territori con-solidati come quello cinematografico (che vanta ormai 110 anni di storia) o pub-blicitario (che è quello a lui più vicino), che non in quello televisivo (che in Italiaha solo 50 anni).

“La pubblicità ha schemi che tutti seguono in tutto il mondo. Dovunque vai hai lostesso tipo di figure, le stesse consuetudini, gli stessi strumenti: a seconda dei posticambia la rigidità dello schema o hai qualche persona in più, ma hai sempre le tuecallsheet, i tuoi storyboard, il regista si fa il suo shooting board. In tv non è così, tuttoè un pò meno organizzato e codificato”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

3 Per “mansione” si intende qui uno specifico compito da svolgere, in un determinato contesto. Per ogni figuraprofessionale possono esistere più mansioni, come vedremo poi nella nostra proposta di mappa.

4 “Nel concreto, nell’area audiovisivi, spettacolo e pubblicità si può individuare una grande varietà di cicli di produzione, in quanto numerosi e diversi sono i prodotti. Assolutamente inadeguata risulta l’analisi che prendale mosse dai settori principali dell’area, che, il più delle volte, appaiono essenzialmente come contenitori diprodotti e di realtà produttive assai diverse tra loro. È chiaro ad esempio che il ciclo produttivo di un documentarioe di un varietà hanno poco in comune…”. Cfr. Isfol 1999.

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Ancora maggiore la difficoltà nel crossmediale e nelle nuove tecnologie, in cui lacodifica ad oggi è quasi impossibile per la continua ridefinizione delle competen-ze, imposta dalle tecnologie stesse 5.In molti casi, a livello di utilizzo empirico, si registrano anche goffi neologismi(come l’inesistente dizione “video montaggista”, in un annuncio di lavoro, probabil-mente per “montatore”…). Un’ulteriore fonte di ambiguità è data dalla terminolo-gia anglosassone, che spesso si accavalla a quella italiana, dando luogo ad equi-voci.Inoltre gli ambiti di attività delle singole figure finiscono sempre per essere plasmati e ridefiniti, al di là delle job description contrattuali, dalle effettive competenze ed esperienze dei singoli che le ricoprono: persino la personalità e ilcarisma di chi ricopre una posizione contribuiscono in modo non trascurabile atracciarne i confini.Vari tentativi sono stati fatti per riordinare il mare magnum di definizioni esistentinella pratica: qui ne riportiamo alcuni, in quanto riflettono varie visioni del mododi fare audiovisivo.

Alcuni tentativi di classificazione sono riconducibili alle diverse competenze chesarebbero attivate nel processo produttivo.Secondo Menduni e Catolfi “storicamente le grandi suddivisioni classiche delleprofessioni che contraddistinguevano le emittenti pubbliche europee negli anni’60 erano quattro: “amministrativi, creativi, tecnici e giornalisti”. (Menduni,Catolfi, 2002). Ma risulta evidente che nell’audiovisivo alcuni “mestieri” sono perloro natura sulla linea di confine tra ambito tecnico e creativo (ad es. il direttoredella fotografia): la digitalizzazione ha infranto spesso non solo il confine tra pre-produzione, produzione e postproduzione, ma anche quello tra ambito artistico etecnico, costringendo persone che fino a ieri si occupavano esclusivamente dellaredazione di testi giornalistici, non solo ad impaginarli, ma anche a pensarli perimmagini e a confezionarli.Altri tentativi di divisione tra “tecnici, creativi, manager, comunicatori interni eorganizzatori” 6, si rivelano ancora più deboli alla luce della prassi reale: per quale

5 Un tentativo di periodizzazione delle definizioni professionali televisive è operato da Barbara Mazza nel saggio“La tv tra vecchie e nuove professionalità”, nel già citato “Quella deficiente della tv”. Mazza distingue varie fasi: 1) anni ’50 -’60 o “l’urgenza dei mestieri”, in cui la tv “si avvale di mestieri mutuati dal cinema o ripresi daglischemi preindustriali statunitensi”; 2) anni ’60 -’70, in cui dirigenti RAI come Guala e Bernabei incoraggiano “ilpassaggio ad una realtà produttiva di stampo industriale” attraverso “schemi gerarchici-burocratici di tipo verticale, caratterizzati da un forte accentramento gestionale”; 3) anni ’70 -’80, in cui le emittenti private generanonuovi profili e ridefiniscono quelli esistenti, favorendo la nascita di profili di raccordo tra i manager e gli operatoriartistici e tecnici; 4) anni ’80 -’90 di assestamento, con “una stagnazione del panorama professionale e il perpetuarsi di meccanismi di crescita impulsiva e selvaggia”; anni ’90 -2000, “la rivisitazione tecnologica”, conla nascita di profili innovativi e la centralizzazione della componente tecnica.

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motivo il “direttore di produzione” viene classificato come “comunicatore interno”e non come “organizzatore”, oppure il “direttore programmi” viene classificatocome “organizzatore” e non come “manager”?

Anche le classificazioni Enpals sembrano inadeguate a censire le diverse famigliedi professionalità, e una divisione tra “artisti, amministrativi, tecnici e operai”risulta quanto meno incompleta. Questi tentativi di classificazione skill-basednascono in parte dalla letteratura anglosassone, che divide il “production/nontechnical personnel” dal “technical/engineering personnel”, e in sostanza il sopra-la-linea (“above-the line”) dal sotto-la-linea (“below-the-line”), a partire dall’abitudinedi dividere i budget in costi artistici e tecnici. Ma anche questa suddivisione sirivela almeno parzialmente arbitraria, sia perché istituirebbe un confine eccessi-vamente rigido tra aspetto tecnico e produttivo (lo stesso Zettl, che in una manua-le americano di produzione introduce la distinzione, ammette che “le funzioni tec-niche e di produzione si sovrappongono sensibilmente”), sia perché la divisionetra “sopra” e “sotto la linea” è nella prassi arbitraria e fluttuante. 7

Una parte della manualistica non fa solo riferimento al vero e proprio personaledi produzione del contenuto, ma include anche il personale di gestione del contenuto, che si trova ad esempio in un’emittente televisiva: tra questi citiamoDemattè e Perretti (1997), che dividono il “Channel management” dal“Programme management” dal “Production management”, distinguendoli sullabase della fase di produzione in cui intervengono e del ruolo che assumono (verae propria decisionalità o semplice coinvolgimento).

6 Michaela Gavrila, “Percorsi di produzione e percorsi professionali”, in De Domenico, Gavrila, Preta 2002.7 “For example, in some productions the PA (Production Assistant) or the TD (Technical Director) are classified in

the below-the.line category; in others, they belong to the above-the-line personnel”. Cfr. Zettl 1992.

Ideazione

Progettazioneesecutiva / sviluppo

Preproduzione

Produzione

Postproduzione

Channel management

Programme management

Productionmanagement

Fasi e coinvolgimento decisionale del personale nel processo produttivo dei programmi televisivi

Legenda: decisionalità, coinvolgimento

Fonte: Demattè - Perretti, 1997

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In effetti una serie di altri contributi sul tema non dividono le figure tra competenze,ma tra fasi di produzione in cui sono coinvolte: ad esempio Michel Chion collocaidealmente alcune figure della produzione cinematografica nella fase di pre-produzione, altre nella fase di produzione vera e propria, altre ancora nellafase di post-produzione. Rimane da capire in questo caso dove assegnare lecosiddette “figure permanenti”, come sarebbero , ad esempio nel cinema, quelladel regista e del produttore (ma già nella televisione e nella pubblicità il ruolo delregista non é più definibile come “permanente”).

I mestieri del cinema secondo Chion

Fonte: da Chion 1999

Area Fase produttiva Ambito Esempi di mestieri

Produzionedel film

Gestionedel film

La preparazione

Le riprese

Fase dopo le riprese

Aspetti specifici

Ruoli permanenti

Distribuzione

Esercizio

Pubblicità

Progetto

Scelta attori

Preparazioneattori

Scenografia

Organizzazione

“Le mani” delleriprese

Immagine

Suono

“Intorno all’ attore”

Attore

Montaggio

Suono

Musica

Effetti specialie animazione

Produzione

Regia

Sceneggiatore, dialoghista, adattatore, gagman, disegnatore distoryboard, consulente tecnico

Agente, direttore casting

Coreografo, maestro d’armi

Scenografo, arredatore, capo costruttore, pittore scenografo

Aiuto regista, segretaria edizione, segretario di produzione

Macchinista di ripresa, trovarobe, elettricista, autista/capo deitrasporti, elettricista

Direttore della fotografia, cameraman, primo assistente opera-tore, fotografo di scena

Ingegnere del suono, microfonista

Costumista, vestiarista, truccatore

Attore, controfigura, cascatore, comparsa

Montatore, tecnico del montaggio audio

Direttore del doppiaggio, sincronizzatore, sottotitolatore,dialoghista di doppiaggio, rumorista, sound designer, missaggio

Compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, interprete

=

Produttore, direttore di produzione

Regista, regista di seconda unità

Distributore

Gestore di sala, proiezionista

Realizzatore di trailer, cartellonista, addetto stampa

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Isfol ha cercato di combinare le aree di competenza (tecnici, artisti e creativi,coordinatori e manager) con le singole filiere produttive (radio e tv, distinta adesempio dal cinema).

I mestieri di radio-televisione e cinema secondo Isfol

Tecnici Artisti/CreativiCoordinatori/Manager

Addetto agli apparati di doppiaggio

Addetto al mixaggio

Addetto al carrello di controllo

Addetto alla regia audio

Addetto alla regia video

Addetto alla sonorizzazione

Addetto alla audio-videoteca documentarista

Addetto alle registrazioni

Addetto alle riprese microfoniche

Addetto alle trasmissioniesterne

Aiuto regista

Arredatore di scena

Assistente di scena

Assistente musicale

Assistente tecnico di studio

Attrezzista di scena

Carrellista dolly

Carrellista giraffa

Carrellista telecamera

Datore di luci

Fonico

Informatico delle immagini

Macchinista di scena

Montatore rvm

Microfonista

Operatore alla truka

Operatore di scena

Operatore di video analyses

Operatore controllo video

Parrucchiere

Sarto di produzione

Scenografo

Scenotecnico

Tecnico addetto al playback

Tecnico addetto alle video-cassette

Tecnico del servizio televideo

Tecnico di apparati ad altadefinizione tv

Tecnico di effetti speciali

Tecnico di ripresa

Tecnico effetti specialitelevisivi

Trovarobe

Truccatore

Videografico ideatore eanimatore

Arrangiatore di musica

Attore

Ballerino

Compositore di musica

Consulente musicale

Costumista

Creatore di effetti speciali

Dialogista

Disk jockey

Direttore creativo

Doppiatore

Figurante

Musicista

Presentatore

Realizzatore di scene

Redattore testi e sceneggiature

Artist manager

Coreografo

Direttore artistico

Direttore di palcoscenico

Direttore di produzione

Direttore di scenografia

Direttore della programmazione e delpalinsesto

Programmista regista

Segretario di edizione

Segretario di produzione

Segretario di redazione

Regista

Regista di cartoni animati

Responsabile del casting

Responsabile sponsorizzazioni

radio e televisione

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Fonte: Isfol, 1999

Tecnici Artisti/CreativiCoordinatori/Manager

cinema

Addetto agli effetti speciali

Addetto agli apparati di doppiaggio

Addetto alla ripresa

Aiuto operatore cinematografico

Animatore di cartoni animati

Arredatore di scena

Assistente di scena

Attrezzista di scena

Carrellista dolly

Carrellista giraffa

Carrellista telecamera

Cineoperatore subacqueo

Datore di luci

Fonico

Fotografo

Informatico delle immagini

Macchinista di scena

Montatore cinematografico

Montatore di disegni animati

Montatore RVM

Operatore alla truka

Operatore di proiezione

Operatore stampa e riproduzione pellicolaparrucchiere

Operatore e ripresa effettispeciali cartoon

Sarto di produzione

ScenografoScenotecnico

Trovarobe

Truccatore

Videografico ideatore e animatore

Arrangiatore di musica

Attore

Ballerino

Compositore di musica

Consulente musicale

Costumista

Creatore di effetti speciali

Dialogista

Disk jockey

Direttore creativo

Doppiatore

Figurante

Musicista

Presentatore

Realizzatore di scene

Redattore testi e sceneggiature

Artist manager

Coreografo

Direttore artistico

Direttore di palcoscenico

Direttore di produzione

Direttore di scenografia

Direttore della programmazione e delpalinsesto

Programmista regista

Segretario di edizione

Segretario di produzione

Segretario di redazione

Regista

Regista di cartoni animati

Responsabile del casting

Responsabile sponsorizzazioni

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Per alcune figure professionali campione ha addirittura tentato addirittura di incrociare area di competenza (tecnici, artisti e manager) e fase produttiva,limitandosi però a descrivere solo poche figure a titolo esemplificativo, earrendendosi di fronte all’eterogeneità dei processi produttivi.

Famiglie di mestieri e fasi produttive dell’audiovisivo

Fonte: Isfol, Area Occupazionale Audiovisivi, Spettacolo e Pubblicità, Studio di area, 1999

Il tentativo più interessante compiuto recentemente sembra essere quello diBiondi che, nel solo ambito cinematografico, divide semplicemente per ambito (equindi per reparto), senza gerarchizzare tra tecnici e artisti, e senza dividereartificiosamente tra singole fasi di produzione.

Pre-produzione Produzione Post-produzione

FonicoTecnico effetti speciali

Fotografo

Operatore di ripresa

Musicista esecutoreSceneggiatore

Tecnico delle luciScenografo

AnimatoreCabarettistaDisk JockeyCopywriter

Direttore di produzione

Regista

Manager

tecnici

artisti

manager

Montatore

Doppiatore

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I mestieri del cinema secondo Biondi

Raparti Mestieri

Produzione

Scrittura

Artistico

Fotografia

Suono

Scenografia

Costumi

Montaggio e edizione

Funzioni di supporto

Produttore esecutivoDirettore di produzioneIspettore di produzioneSegretario di produzioneAmministratore filmCassiere

Sceneggiatore Traduttore di sceneggiatureScript editor

Regista 1° aiuto registaSegretario di edizioneAssistente alla regiaCastingProtagonistiComprimariRuoli speciali (camei)CaratteristiBalleriniDoppiatoriAcrobatiControfigure

Direttore della fotografiaOperatore alla MdPAssistente e aiuto operatoreFotografo di scenaDatore luciConsulente effetti ottici e CGI

Fonico di ripresaMicrofonistaRumoristaMusicistaAddetto al missaggio

ScenografoDisegnatoreAssistente scenografoArredatoreEffetti speciali

Costumista - stilistaTruccatoreParrucchiere

MontatoreAiuto montatoreAssistente al montaggioDirettore di doppiaggioAssistente al doppiaggioAdattatore di dialoghiDoppiatore Sincronizzatore dialogo

Maestro d'armeAddestratore

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Segue

Raparti Mesteri

Funzioni di supporto

Maestranze

CoreografoDisegnatore Story BoardAgente rappresentanteAddetto stampaII.a unità

MacchinistiElettricistiAttrezzistiCostruzioniSartoriaAddetto ai trasporti

Fonte: Biondi, 2005

Lungi dall’apparire come puri saggi scolastici e asettici, senza alcuna applicazionepratica, questi tentativi tassonomici sono preziosi perché senza di essi non hanessun senso procedere all’identificazione delle figure da formare o da riqualificare.Questo spiega perché, al di là degli studiosi innamorati delle tassonomie, ancheemittenti televisive e grandi produzioni abbiano concretamente lavorato per unaricognizione dei loro mestieri. Citiamo due esempi su tutti: l’emittente commercialefrancese TF1 (cfr. Focus), e il suo corrispettivo italiano Mediaset. Un tentativoancora in corso è quello di RTI, dove in occasione del varo del sistema informativoSap HR, si è proceduto ad una mappatura completa dei mestieri aziendali 8.

8 “La struttura di Sviluppo e di Organizzazione sta utilizzando il sistema SapHr anche per una razionalizzazionedei mestieri e sistemi professionali. Nel 2005, quando abbiamo iniziato, erano emersi oltre 800 ruoli che poiabbiamo iniziato a scremare, fino ad arrivare a fine 2006, ad un numero totale di 250-300 figure professionalidescritte”. (Valeria Bollati, responsabile Sviluppo Risorse Umane Mediaset, intervista personale 14/3/2006).

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Preannunciate tutte le difficoltà, procediamo qui ad illustrare la nostra propostadi mappa: una proposta che ha l’ambizione di essere esaustiva, per quanto perfettibile 9, ma consapevole della difficoltà di riunire filiere produttive diverse(es. il cinema e la televisione), tipologie di aziende diverse (es. case di produzioneed emittenti), generi produttivi diversi (es. spot pubblicitari piuttosto che anima-zioni o crossmedia), in tutte le competenze e in tutte le fasi di produzione, al nettodelle disomogeneità tra le diverse imprese e le diverse denominazioni contrattuali 10.Crediamo che, al di là del margine di parziale arbitrarietà che ogni tentativo similecomporta, una mappa possa costituire l’indispensabile punto di partenza versoquell’obiettivo di codifica, che é il primo passo per la costituzione di una veracomunità professionale. Infatti é proprio quella a-scientificità e aleatorietà cheviene spesso rivendicata da chi fa audiovisivo, che toglie anche la possibilità didare concretezza e fondatezza “industriale” alla definizione di un comparto pro-duttivo.

Abbiamo innanzitutto diviso la mappa in due aree: “Produzione contenuto” e“Gestione contenuto”, poiché le ulteriori due aree idealmente presenti a monte ea valle (a cui però non dedicheremo ulteriore dettaglio) sono, da una parte,quella del Cast artistico (tutti coloro che stanno davanti alla camera: conduttori,show-girls, ballerini, ecc.), dall’altra, quella di Staff di gestione, che potremmoincontrare in qualsiasi azienda non audiovisiva (ad esempio, ufficio legale, ammi-nistrazione e finanza, Risorse Umane) 11.

9 Sul sito www.tvjob.it è pubblicato un form, che consentirà di segnalare eventuali aggiornamenti o precisazioniin merito a figure già inserite, o inseribili ex novo.

10 Numerose sono state le fonti utilizzate per compilare la mappa e le descrizioni dei singoli profili professionali:oltre ai contratti, citati nel terzo capitolo e riportati nel sito www.tvjob.it, ci limitiamo ad elencare i testi di cuisiamo maggiormente debitori: Michel Chion, “I mestieri del cinema”, GS editrice, 1999; Claudio Biondi,“Professioni del cinema - tra arte e economia: guida per capire come si lavora nell’audiovisivo”, Dino AudinoEditore, 2005; Stefano Di Leo, “I mestieri della televisione”, Editrice cinetecnica, 2001; Isfol, “Studio di area -Area occupazionale audiovisivi, spettacolo e pubblicità”, 1999; Livio Frittella, “Le parole dello spettacolo -Dizionario di cinema, teatro, radio, televisione”, Lindau, 2005; Maurizio Costanzo e Flaminia Morandi,“Facciamo finta che. L’industria televisione: produrre fiction seriale”, Carocci 2003; Enrico Menduni e AntonioCatolfi, “Le professioni del video”, Carocci 2002; Jean Pierre Fougea, « Les 250 métiers du cinema, de latélévisione et des nouvelles technologies, et les formations qui y conduisent », Dixit, 1999; Maurice Olivier,“Les gestionnaires de la Production”, Ina, 1992; TF1, “Guide des Métiers: Cartographie”, 1999; Elmo I.Ellis,“Opportunities in Broadcasting Careers”, VGM Career Books, 2004; William E.Hines, “Job Descriptions for Film,Video and CGI”, Ed-Venture Films/books, 1999; Herbert Zettl, “Television Production Handbook”, Wadsworth,1992; Skillset,“Feature Film Production, Workforce Survey 2005”.

11 Non si intende qui negare che le figure che lavorano in questi reparti, all’interno di una azienda audiovisiva,debbano avere una sensibilità particolare, e spesso una conoscenza molto approfondita del prodotto: ma ècomunque legittimo stabilire una differenza tra le figure gestionali che lavorano direttamente sui contenuti equelle che lavorano sull’intero processo produttivo. Naturalmente anche in questo caso si tratta di una divisioneparzialmente arbitraria: ad esempio l’ufficio legale, quando lavora su produzioni come “Le iene”, viene citato,eccezionalmente, nei titoli di coda, data la frequenza dei suoi interventi e la sua strategicità nella specifica produzione.

4.2 La nostra mappa: aree, ambiti, professioni, mansioni

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Le aree delle occupazioni audiovisive

All’interno delle due aree di interesse, Produzione contenuto e Gestione contenu-to, abbiamo poi effettuato una distinzione per ambiti, individuandone 10.

Gli ambiti delle occupazioni audiovisive

Fonte: Labmedia, 2006

Cast artistico Staff a-specificiProduzionecontenuto

Gestionecontenuto

Area Ambito Descrizione ambito

Produzione contenuto

Ibride

Gestione contenuto

Set

Immagine

Suono

Editing

Regia

Art / design

Scrittura

Produzione / organizzazione

Programmazione / promozione

Distribuzione / marketing

Figure che sovrintendono e che operano sul set nellafase di ripresa dell’audiovisivo

Figure artistiche e tecniche che sovrintendono alla partevideo dell’audiovisivo

Figure artistiche e tecniche che sovrintendono alla partesonora dell’audiovisivo

Figure che intervengono nella fase di postproduzione

Figure del reparto regia e di supporto alla regia

Figure artistiche che afferiscono ai reparti discenografia, costumi, grafica

Figure “autoriali” in senso ampio, siano esse in ambitogiornalistico, che in ambito di light entertainment, che inambito di fiction (sceneggiatori)

Figure che sovrintendono e che operano nell’organizzazione della produzione audiovisiva

Figure trasversali, che assommano competenze dei diversiambiti (soprattutto scrittura, regia, produzione) o attivitàdelle diverse aree (produzione e gestione contenuto)

Figure che programmano i vari prodotti nel palinsesto, eli promuovono

Figure che acquisiscono e/o vendono i diritti di trasmissionedei prodotti, ne quantificano, ne analizzano e ne massimizzano l’efficacia commerciale

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Tra i diversi ambiti c’è naturalmente un continuum, che lega le professioni del seta quelle del cast artistico per contiguità fisica; che continua in ambiti più “tech-based”, come quelli dell’immagine, del suono, dell’editing; e che sfuma inambiti più artistici, come quelli di art/design. Fino ad arrivare alle figure del cosiddetto“triangolo autoriale”: registiche, di scrittura/autoriali, organizzativo/produttive,che a loro volta confinano con l’area di Gestione contenuto, e in particolare conl’ambito di programmazione e promozione. In alcuni casi non è stato possibilecollocare alcune figure in un unico ambito, ed è stato creato uno spazio apposito,che abbiamo appunto chiamato “Figure ibride”, a cavallo tra i diversi ambiti dellefigure di Produzione contenuto, o addirittura tra Produzione contenuto e Gestionecontenuto.

Sono state così ricavate 153 figure professionali, che in alcuni casi sonoarticolate ulteriormente in specifiche mansioni (secondo la loro declinazione indeterminate accezioni produttive), fino ad arrivare a 211 ruoli complessivi.In alcuni casi abbiamo riscontrato nella bibliografia specifiche contraddizioni trale diverse fonti: ad esempio, in una recente ricerca sul mercato documentaristicoitaliano si accredita una sinonimia a nostro parere errata tra “produttore” e “direttore di produzione” (Isicult 2006). In questi casi si è ritenuto opportuno affidarsi a riscontri sul campo e alla validazione di operatori del settore. Per altrol’ampio margine di oscillazione nelle definizioni conferma ancora una volta lascarsa codificazione del settore. 12

Non potendo dedicare a ciascuno dei ruoli un’attenzione specifica, rimandiamo aimateriali descrittivi riportati in appendice: la mappa completa dei mestieri 13, perl’esame analitico delle singole job description, e gli organigrammi produttivi, chene spiegano le interrelazioni gerarchiche e funzionali all’interno dei vari generidella produzione televisiva. Nei prossimi paragrafi concentreremo la nostra atten-zione sulle figure indicate dalle aziende come strategiche, vacanti, o trasformate.

12 Una avvertenza per la denominazione delle figure: si è sempre utilizzato il maschile, anche quando la prassi ele occorrenze statistiche hanno reso abituale il ricorso a stereotipi femminili (ad es. “segretaria di edizione”);e in alcuni casi si è accostata alla denominazione italiana quella anglosassone, quando per prassi vieneutilizzata anche nel contesto italiano, oppure quando delinea con maggiore precisione il contenuto professionale(ad esempio “researcher” descrive con maggiore efficacia il “redattore”, spesso confuso con il “segretario diredazione”). In alcuni casi l’uso della lingua inglese e della lingua italiana sono stati invece affiancati perchiarire definitivamente le ambiguità che contraddistinguono i diversi mercati: uno su tutti, l’equivalenza tra“produttore” italiano ed “executive producer” anglosassone, e tra “produttore esecutivo” italiano e “producer”anglosassone (che evidentemente fa riferimento ad una diversa accezione del concetto di “esecutivo”, initaliano sinonimo di “subordinato”; in inglese sinonimo di “gestore effettivo del budget”).

13 La mappa è consultabile in forma di database nel sito www.tvjob.it, per aree e ambiti, in ordine alfabetico perfigura, e tramite ricerca libera.

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Una delle domande rivolte alle aziende nel nostro questionario era incentratasulle figure chiave: sull’individuazione cioè dei ruoli del futuro, considerati “cruciali per il mantenimento e/o miglioramento della competitività aziendale”.Sul totale di citazioni spontanee delle aziende rispondenti, il 40% era concentratosu tre aree professionali: quelle commerciali (15% delle citazioni), quelle produttive(12.5% delle citazioni), quelle “crossmediali” o comunque afferenti ai new mediae/o contigue alle TLC (10%). 14

A queste tre famiglie dedicheremo un’attenzione specifica, fornendo definizioni,attività, competenze, e riportando alcune valutazioni espresse da aziende e lavoratori.

4.3.1 Le figure commerciali

All’interno dell’area commerciale sono state indicate come strategiche figure convarie denominazioni, tutte afferenti all’area di vendita, o comunque di contatto coiclienti: Account, Sales manager, Ricerca clienti, Agente, Addetto vendite,Procacciatore, Rights manager…Così all’interno della nostra mappa abbiamo definito la figura complessadell’Account / Sales executive / Sales manager.

Figura che ha la responsabilità di sviluppare il business di un’azienda di produzione audiovisiva o la distribuzione dei suoi prodotti presso un certo gruppo di clienti.Mentre gli obiettivi tipici di ogni ruolo commerciale sono legati allo sviluppo del fatturatopresso i clienti acquisiti e/o all’ampliamento del portafoglio clienti (New Business), i contenuti specifici della mansione risentono della realtà aziendale in cui il ruolo viene agito,e variano se i prodotti sono finiti, oppure sviluppati ad hoc per il cliente.Nelle società di produzione che lavorano per progetti (è il caso delle realtà che si occupano di sviluppare prodotti per i cosiddetti nuovi media) l’account è impegnato per tuttala durata del progetto in un ruolo di mediazione tra il cliente, che esprime una serie di esi-genze, e il reparto Produzione della propria azienda che si attiva per rispondervi. Accantoalla capacità di negoziazione sono richieste a questa figura anche competenze sul proces-so produttivo e sugli strumenti utilizzati nel processo stesso (vedi anche Project Manager).Nell’ambito delle emittenti free (che non comportano cioè per l’utente il pagamento di uncanone di abbonamento) l’Account/Sales Manager/Sales executive è dedicato invece allosviluppo della raccolta pubblicitaria, che è la fonte principale di fatturato.

4.3 Le figure chiave

14 Le altre citazioni, in ordine di importanza, coprono prima di tutto i profili genericamente indicati come “tecnici”(tecnici audio, video, IT, di studio…); poi montatori, registi/realizzatori, sceneggiatori/creativi, operatori diripresa, direttori di produzione, assistenti di produzione.

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Le attività, come si è detto, possono variare sensibilmente, ma quelle comuni (il“nocciolo duro”, che ne accomuna tutte le declinazioni) sono:

• relazione tra i reparti interni di produzione e il cliente esterno (per un produttore), o tra un ente, della cui library si detengono i diritti di sfruttamento,e un ente a cui se ne propone la vendita (per un distributore);

• negoziazione (includendo talvolta anche la trattativa economica vera e propria);• contrattualizzazione (inclusa la definizione dei diritti ceduti).

Le competenze sono molto vaste:• manageriali: soprattutto per quanto riguarda l’aspetto di contrattualizzazione

(incluse conoscenze giuridiche, almeno di base), quello economico-commerciale,e la conoscenza dei mercati a livello internazionale;

• relazionali: naturalmente fondamentale, sia nella creazione di un rapportocon un nuovo cliente (new business) che nella “gestione” (accounting)del cliente esistente, la capacità di mediare tra realtà interne ed esterne all’azienda, spesso portatrici di culture diverse e di linguaggi diversi;

• editoriali/di prodotto: comprendono una buona conoscenza del linguaggioaudiovisivo, spesso molto specifica perché il soggetto per cui si lavora è asua volta specializzato (ad esempio, nel reportage o nel cinema d’autore) e haspesso clienti altrettanto specializzati; quando si tratta di prodotti sviluppatiad hoc per il cliente, il commerciale deve anche avere una sensibilità creativanell’ipotizzare formati o declinazioni nuove, prima ancora che intervengano icreativi;

• tecniche: soprattutto quando sono coinvolte nuove tecnologie, che impongonola conoscenza di nuove piattaforme (e quindi di nuove finestre di diritti) enuovi device.

E in effetti lo spettro di skill implicati è così ampio e variegato, che le aziendestesse pongono l’accento sul tema della formazione 15 e riqualificazione.

“Lo sviluppo di nuovi mercati pone delle domande nuove, una necessità di aggiornamento su temi che non si conoscevano. Ci vuole esperienza nella negoziazione, nella gestione dei contratti, anche internazionali, e nella gestione deidiritti, soprattutto ora che si affacciano le aziende di telecomunicazioni, le iptv.… Devi avere capacità di conoscenza del mercato, doti di marketing e esperienza,

15 Come vedremo nel capitolo successivo, quasi completamente assente è l’offerta formativa dedicata a questotipo di figure professionali, per lo meno in ambito lombardo.

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intuito, sensibilità, lucidità nel conoscere tutti i canali produttivi. Si pongono probleminuovi di aggiornamento, che neanche le aziende più grosse hanno ancora risolto: illivello di qualificazione richiesto è molto alto”.(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)

Senza dubbio l’importanza che le aziende assegnano a questo tipo di ruoli èanche connessa alla convinzione che il poter disporre di competenze interamentededicate alla gestione del cliente (e spesso di un committente, unico arteficepossibile della commessa) consentirebbe all’azienda una svolta decisiva per la propria attività. Questo è ancora più valido per gli imprenditori titolari di piccolecase di produzione, che avvertono l’esigenza di delegare questo aspetto del ciclolavorativo, che ad oggi svolgono in prima persona, contemporaneamente a quello dicreazione del prodotto (mixando produzione e gestione).

“Un settore nel quale sentiamo bisogno di avere forze, aiuti, è quello della promo-zione e distribuzione. Perché noi non abbiamo un distributore. È una figura, questa,che secondo me dovrebbe, all’interno di una piccola casa di produzione, avere una formazione specifica. A me questa figura manca”.(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)

“Il sales manager dovrebbe essere un ruolo di pubbliche relazioni, di contatto ecomunicazione. Una specie di promoter, di agente. È un figura che sto ancoracercando. Che piazzi i prodotti e che supplisca all’assenza di strutture, di canali cheti mettano in contatto con le emittenti o con la distribuzione”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

Molto importante anche il ruolo di mediazione, riconosciuto dai manager, chespesso i commerciali si trovano a compiere tra i diversi reparti interni, e tra l’azienda e il cliente:

“Project manager, producer e account sono in sintesi la stessa funzione, ma su trearee differenti. L’account è il commerciale (marketing and sales), si occupa di impo-stazione prodotto e relazione col cliente; il project manager è la figura che si occupadel prodotto lato ‘operation’, e quindi trasla le richieste commerciali del clienteverso la parte tecnologica; e il producer si occupa del punto di vista della produzionevideo, dei trattamenti. Il nostro staff ideale, quello che compone il prodotto, dovrebbeesser formato proprio da queste tre figure, che si mettono in gruppo, con tre approccidi base differenti: Operation ragiona in Excel, il commerciale in Power Point e la

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produzione in Word. Dentro una struttura crossmediale come la nostra abbiamorappresentanti di tutte queste culture , dagli ingegneri informatici puri fino aglisceneggiatori puri (e alcuni di loro scrivono ancora a penna!)”.(Matteo Scortegagna, responsabile contenuti e produzione NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

Anche i lavoratori stessi, che svolgono ruoli commerciali, percepiscono il lororuolo come strategico all’interno dell’azienda:

“Il commerciale non può fare solo il suo dovere, ha un obiettivo da portare a casa.Mentre il producer fa il “girato” che gli serve e va a casa, il commerciale ha ancheun cliente da soddisfare, il cui contratto deve essere ottemperato in tutti i termini.Il nostro compito è quello più imprenditoriale ed autonomo”.(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali,3/5/2006)

Ed effettivamente la componente di “proattività” di questa figura può fare ladifferenza, soprattutto quando sono coinvolte competenze di prodotto molto specifiche e ad ampio raggio; e quando il commerciale è coinvolto anche nellafase di sviluppo di un nuovo prodotto ad hoc, e non semplicemente nella collocazione sul mercato di un prodotto esistente:

“Una cosa importante è riuscire in tempi brevi a trasformare da un primo livello dicomplessità le richieste di un cliente, cioè le issue tecniche: capire se lo posso faretecnicamente, a che costi e in che tempi. Se è un progetto nuovo c’è da ripensaretutto, c’è un impatto più grosso a livello tecnico; ma se ho qualche prodotto con unalogica simile, posso cercare di adattarlo. Se riesco in breve tempo a convertire lerichieste del cliente in issues, e a incrociarle con la nostra banca di servizi già attivi,questo mi permette di capire se mi sto infilando in un cespuglio di rovi o in unacosa fattibile con una bella redditività”.(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali,3/5/2006)

Naturalmente in altri settori e mercati possono essere altre le criticità del lavoro,come ad esempio la tempestività e la conoscenza dell’attualità, se si lavora in ungenere come il current affairs…

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“Lavorando nel settore dell’inchiesta giornalistica, funzioniamo un po’ anche daagenzia stampa: forniamo le notizie, gli eventi di attualità. Bisogna infatti anchecollegare gli eventi di attualità con il catalogo, che abbiamo a disposizione. Mi capitadi condurre una trattativa su un prodotto nell’arco di 24-48 ore”.(Responsabile commerciale distributore documentari, focus group figure commer-ciali, 3/5/2006)

…oppure le problematiche tecnologiche dei nuovi canali distributivi, che impongonoun continuo aggiornamento:

“Fino a 3-4 anni fa nessuno si poneva il problema dello sfruttamento dei dirittiwireless o DVB-H: un film prodotto solo 5 anni fa non ha i diritti web o wireless regolamentati… Inoltre quelli DVB-H sono gestiti separatamente dai diritti UMTS,perchè si trattano su tavoli diversi, anche se il device (il videofonino), è lo stesso.Per stabilire le tariffe fa differenza anche la possibilità di utilizzare streaming piuttosto che download”.(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure commerciali, 3/5/2006)

“La maggior parte di questi diritti non solo regolamentati, si va per consuetudine, osi guarda quello che fa il concorrente. Se poi si distingue tra mezzo e device, sientra in un mondo ancora più complicato”.(Sales & Acquisitions Manager casa di produzione di intrattenimento, focus groupfigure commerciali, 3/5/2006)

In ambito crossmediale, in cui l’account gestisce progetti che per definizione siarticolano su diverse piattaforme contemporaneamente, la difficoltà diventa quelladi gestire clienti appartenenti a diversi ambiti, principalmente quello televisivo equello di telecomunicazione.

“Il dialogo con una persona che si occupa di palinsesti o di acquisto di prodotti televisivi e di gestione editoriale di un canale, e il dialogo con un marketing managero un brand manager di una telefonica, necessitano di due linguaggi molto diversi.Soprattutto in quest’ultimo caso, il commerciale deve avere anche la competenza ela sensibilità per parlare con chi, fino alla settimana scorsa, vendeva solo traffico-voce”.(Matteo Scortegagna, Responsabile contenuti e produzione NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

In alcuni casi invece la criticità maggiore non sta nelle competenze richieste, ma

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nel ruolo di mediazione tra l’interno dell’azienda e l’esterno; soprattutto quantoil “fattore critico” è l’azienda stessa, se non è orientata alla vendita, e soprattuttose la funzione commerciale non è supportata dal management:

“La vera difficoltà che ho trovato è stato quella di reperire informazioni all’internodella mia stessa azienda, che è una cosa pazzesca. Bisognerebbe capire che cisono nuove situazioni di mercato e nuovi settori dove svilupparsi: invece per miopiainterna, o per colpa di figure che vivono di rendite di posizione, le informazioni nonvengono veicolate. Nella mia azienda siamo in due a lavorare sui nuovi canali distributivi, siamo le uniche figure a curare questo business: per il resto c’è un’alzata di scudi totale verso queste prospettive, anche da parte di gente giovane,che però sembra già pronta per la pensione”.(Rights Manager distributore audiovisivo, focus group figure commerciali, 3/5/2006)

4.3.2 Le figure produttive

Il secondo gruppo di figure indicato dalle aziende rispondenti come strategico èquello dei produttori: un insieme di ruoli più omogeneo del precedente (e delsuccessivo), che comprende le mansioni citate di “executive producer, producer,produttore esecutivo, produttore, ottimizzatore”.Questa la definizione, molto complessa, che abbiamo dato nella mappa, cercandodi riassumere l’eterogeneità delle accezioni nei vari ambiti e ai vari livelli.

Il Produttore Esecutivo è il responsabile ultimo, sia dal punto di vista artistico che da quelloeconomico, della produzione audiovisiva (cinematografica o televisiva), nelle fasi di sviluppo(artistico e di verifica delle risorse necessarie), preproduzione, produzione e postproduzione;tavolta anche nelle fasi di ideazione (creando un concept televisivo originale o un soggettocinematografico, o individuando e proponendo un format internazionale), di finanziamento(nel caso del produttore cinematografico o del produttore audiovisivo indipendente, che nonlavori su appalto), e di promozione. In fase di produzione supervisiona l’avanzamento dellavoro, con la finalità di ottenere un prodotto in linea con gli obiettivi iniziali di qualità editoriale e commerciale (tipologia e livelli di audience/spettatori).In alcuni casi, all’interno delle emittenti televisive è responsabile di più programmi dello stessogenere (ad es. programmi news, per ragazzi, di intrattenimento, ecc), e il suo compito è quellodi assicurare alla Direzione di Rete un prodotto coerente con gli obiettivi editoriali e di ascoltoassegnati.Nel caso in cui la sua dimensione artistica eguagli o sopravanzi quella manageriale, vienedenominato Produttore Creativo. Il Produttore assicura la realizzazione delle produzioni chegli sono affidate dal Produttore Esecutivo, nel rispetto degli obiettivi commerciali e dei vincoli economici e temporali fissati; è coinvolto nella fase di progettazione esecutiva e nella

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definizione dei fabbisogni della produzione, mentre nella fase realizzativa deve assicurare ilrispetto di quanto programmato, coordinando le funzioni coinvolte, verificando gli eventualiscostamenti di tempi e costi, ed intervenendo affinché siano rispettati gli obiettivi iniziali.Le denominazioni anglosassoni di Executive Producer e Producer corrispondono a differentilivelli di responsabilità a seconda dei contesti aziendali considerati, ma generano anche unanotevole ambiguità:Talvolta si distingue tra Senior Producer e Junior Producer, a seconda dell’anzianità profes-sionale e dal fatto che il prima figura può essere responsabile di più programmi o di programmi di maggiore importanza.In alcune realtà televisive di stampo anglosassone il Producer si limita alla responsabilitàeditoriale ed organizzativa di un programma, mentre quella economica e gestionale è ricoperta dal Production Manager, che gestisce il budget e la parte tecnica, coordinata a suavolta da un Production Coordinator, che gestisce l’operatività dello studio o della location.A volte il Produttore è supportato da un Produttore Associato, che ad esempio nel cinema sioccupa di compiti particolari quali la ricerca dei finanziamenti o la supervisione di settorispecializzati (ad es. effetti speciali).Nel caso in cui il Produttore sia un imprenditore, titolare di una casa di produzione indipendente(dai broadcaster), si parla di Produttore Indipendente ed il suo ruolo comprende la cessionedel “Pacchetto” creato (idea - script - cast artistico - formula produttiva) a emittenti e distributo-ri, con diversi gradi di responsabilità, autonomia e titolarità dei diritti a seconda che lavoricon le formule contrattuali di appalto, coproduzione, preacquisto o acquisto.

Le attività del Produttore sono molteplici, quasi a 360 gradi nel ciclo della produzioneaudiovisiva:

• pianificazione produttiva a livello di tempi e costi;• gestione e coordinamento del cast artistico e della troupe artistica, all’interno

della sua produzione;• gestione dei rapporti con la rete televisiva (nel caso di un coordinatore, che

riporti ad una direzione di rete, o nel caso di un executive producer di unacasa di produzione indipendente, che si confronti con la rete committente ocoproduttrice), o con l’agenzia di pubblicità e il cliente (nel caso di una casadi produzione pubblicitaria): verso di essi assume la responsabilità deirisultati sia economici (il rispetto del budget) che editoriali (il rispetto dellalinea editoriale) che commerciali (il raggiungimento degli obiettivi di ascoltonel caso di un programma televisivo, dell’efficacia commerciale nel caso diuno spot pubblicitario).

Le competenze sono altresì particolarmente ampie, e soprattutto in questi ambiti:• manageriali: per la capacità di pianificare e rispettare il budget e il piano di

produzione, e per la conoscenza del mercato e degli obiettivi commerciali del

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suo prodotto;• artistico/creative: per la conoscenza del linguaggio audiovisivo e la capacità

di dialogare con gli autori sulla parte di sviluppo editoriale;• relazionali: per la capacità di team building sia interno alla produzione che

all’esterno (verso il committente), e per la capacità di “ascolto” di tutte lefigure produttive 16.

L’immagine che le case di produzione ci hanno dato di questa figura, è veramenteampia ed articolata, e determinante per la gestione della produzione audiovisiva:

“L’executive producer [in una casa di produzione pubblicitaria, ndr] è il responsabiledel progetto, colui che si occupa dell’acquisizione dei clienti, dei contatti. Non semprel’executive è il titolare, ma può essere un socio o un dipendente: deve comunqueavere una grande capacità di relazione, di conoscenza del settore specifico e diquelli che sono gli uffici pubblicità/marketing/relazioni esterne delle diverse aziende.L’executive segue tutto il progetto, dalla pre-produzione alla post-produzione, efunziona da garante qualitativo del prodotto, e sul rispetto dei soldi investiti (chesono sempre meno) e dei tempi.Altra figura importante è quella del producer, che prende in mano il progetto, fa ilpreventivo col direttore di produzione, organizza la produzione e la post produzione,determina il timing, ecc. Le sue capacità fondamentali sono: conoscenza delmercato; saper mettere insieme una squadra vincente e coordinarla; rispettaretempi preventivi e costi; gestire i registi, che spesso sono personaggi difficili, stres-sati, con timing al limite del possibile; mantenere relazioni con agenzie, troupe ecc”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

“Il produttore, per come lo abbiamo inteso noi, deve essere una figura “rotonda”,cioè una figura che abbia capacità di gestione di un gruppo di lavoro, che abbiacapacità di organizzarlo in tutte le fasi operative, che abbia il controllo sui costi, cheabbia capacità di relazione sia con il suo gruppo sia con noi, sia con la rete, e cheabbia sensibilità sul contenuto. E figure cosi complete ce ne sono poche”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,07/3/2006)

“È chiaro che in pubblicità il regista è importantissimo. Però il producer coagula sudi sé tutte le tematiche legate al prodotto, tiene strette tutte le persone per la loro16 Quelle tecniche, che pur completano il profilo di un produttore veramente competente, e che gli consentono di

compiere ad esempio scelte di budget rispetto agli investimenti in risorse produttive, sono quelle in cui ilproduttore viene maggiormente supportato da un ruolo come quello del direttore di produzione.

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parte specifica, mantenendo i contatti. Quindi è anche la figura di cui si sente maggiormente la mancanza”.(Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale, 19/4/2006)

“Il coordinatore programmi (o curatore) ad esempio è il trait d’union tra la direzionedi rete e, dove esiste, il realizzatore esterno. Quindi deve fare da mediatore, ha unruolo fondamentale di negoziatore, complesso, difficile; ed è inserito in questo sistemadi relazioni di complessa governabilità, spesso caratterizzato da interessi contrapposti”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane Gruppo Mediaset, intervistapersonale, 14/3/2006)

In alcune organizzazioni il ruolo del produttore è, viceversa, frammentato in piùfigure, vuoi per renderlo più gestibile e controllabile, vuoi per attribuire l’ampio ven-taglio di responsabilità a due persone distinte.A Mediaset, ad esempio, si distingue tra un Coordinatore programmi/Curatore(che mantiene i rapporti con la rete e cura soprattutto gli obiettivi editoriali e com-merciali), e un Produttore Esecutivo (che tiene i rapporti con i gruppi autoriali e lastruttura organizzativo-produttiva), che non ha dipendenza gerarchica stabile neisuoi confronti, ma viene assegnato funzionalmente e temporalmente al progetto:

A MTV si distingue invece tra un Producer, che ha la responsabilità editoriale delprogramma e il contatto con il cast e la troupe artistica, e un Production mana-ger, che ha la responsabilità economica e il contatto con la troupe tecnica:

“L’attività di MTV Italia è distrubuita a grandi linee in due macro aree: l’Area‘Production’, in cui operano ruoli quali quelli del Researcher, del Producer, delProducer Assistant, del Supervising Producer, orientati al presidio della parte edito-riale, della creazione del prodotto e dello sviluppo dei programmi fino al montaggio.E l’Area di ‘Production Management’ in cui operano ruoli quali quelli del Runner, delProduction Coordinator, del Production Manager e del Direttore della Produzioneche presidia i costi e la parte logistica della produzione”.(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista personale,30/3/2006)

Nella produzione della soap infine c’è un “tandem” tra la figura del produttoreesecutivo e quella del produttore creativo, che viene addirittura considerata unadelle chiavi del successo della formula produttiva:

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“Il produttore esecutivo è all’apice dell’organigramma per quello che riguarda ladeterminazione dei vincoli entro cui tutto si muove e deve essere organizzato (ovviamente attraverso i relativi responsabili); il produttore creativo, nell’ambito diquesti limiti, dispone su tutto quello che in televisione viene visto: regia, fotografia,scritture, costumi, trucco, parrucco, montaggio ecc. Quindi la stessa figura (un regi-sta, uno scrittore, un truccatore, ecc.) è “sorvegliata” da un duplice angolo: quello pro-duttivo (contratto, orario di lavoro, organizzazione del suo operato, ecc.) e quellocreativo (come vestire un attore, come scrivere una linea, come girare le scene,come illuminare i set, ecc.). Questo per spiegare che è difficile posizionare la duefigure di produttori in posizioni specifiche l’una rispetto all’altra: l’autonomia di unorappresenta il limite della competenza dell’altro, e viceversa. Un produttore esecutivonon potrebbe dire ad un regista come girare una scena, così come il produttorecreativo dovrebbe “chiedere” quali risorse potrebbero essere utilizzate nella stessascena, quando poterla, e come estremo, se poterla girare, entro quali margini, ecc.È proprio l’interazione tra i due ruoli l’elemento chiave del successo di un prodottocome il nostro: se proprio dovessi porre una casella all’apice di tutta la struttura, lariempirei con il risultato della simbiosi tra i due produttori”.(Luca Improta, Organizzatore generale Mediavivere, intervista personale,29/3/2006).

In RAI invece non esiste contrattualmente la figura del produttore esecutivo,anche se viene utilizzata nei titoli di testa dei programmi. 17

“In RAI non esiste come figura professionale quella del producer. Io non sono unproduttore. Non c’è un contratto come produttore. Io sono un ottimizzatore - cosi èscritto sul contratto, altrimenti sei un programmista”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Per quanto riguarda la differenza gerarchica tra Produttore e Producer, soprattut-to nell’ambito della produzione di fiction e di cinema, i Producer testimoniano unafase ancora di transizione, tra una fase imprenditoriale e una più matura.

17 Cfr. intervista a Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano, intervista personale 20/3/2006. Oltre al Produttore esecutivo, non compare contrattualmente (ma è utilizzata) anche la figura delResponsabile di commessa (una sorta di ottimizzatore, di Direttore di Produzione, con in più la responsabilità economica del programma).

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“Teoricamente il Producer dovrebbe essere il responsabile della produzione, chelavora a stretto contatto con l’esecutivo sopra di lui. In Italia non funziona così néper la fiction né per il cinema, perché c’è il produttore esecutivo che è il socio o ilproprietario della casa di produzione che riceve l’appalto, e subito sotto, a livelloorganizzativo, c’è l’organizzatore generale che organizza tutta la produzione del film.È molto - troppo - definito il divario tra il produttore esecutivo, che dovrebbe essereuna persona con una cultura di un certo tipo, con una conoscenza della tv e deigusti del pubblico, presenti e futuri; e l’organizzatore generale, che è un uomo dicoordinamento, a cui non importa nulla dello share.Il producer, che è una figura abbastanza nuova, dovrebbe posizionarsi in un ruolointermedio: ma in Italia non c’è spazio per il producer, perché le case di produzioniindipendenti in Italia sono strutture piccole, familiari, che fanno un progetto allavolta, in cui il produttore esecutivo è anche producer. Le case di produzione difiction, anche quelle sono considerate grandi e gestiscono budget di milioni di euro,hanno 4 dipendenti fissi”.(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Invece in pubblicità c’è una migliore articolazione dei ruoli:

“Il ruolo del producer in pubblicità è molto diverso. Prende un briefing da un’agenziao dal cliente. Prepara un budget, gestisce dall’inizio alla fine il tutto: fin dalla sceltadelle figure responsabili del lavoro. È a stretto contatto con l’esecutivo, che può allimite non sapere quasi nulla del lavoro operativo. È diretto responsabile del budget, tanto che alcuni producer prendono un fisso più una percentuale sul risparmio”.(Producer casa di produzione spot pubblicitari, focus group figure produttive,5/5/2006)

Critico a volte il rapporto, più che con il cast artistico, con i “creativi” (registi eautori):

“Il produttore in una emittente rappresenta l’azienda nei confronti degli autori, concui è a contatto: perché davvero rappresenti l’azienda e sei anche responsabiledella parte editoriale”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Questo nonostante il produttore, nella sua accezione più completa, debba rivestireanche un ruolo di scouting nei confronti delle figure della troupe artistica:

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“In realtà il mio lavoro sarebbe anche quello di andare a teatro e vedere la tv,segnandomi su un’agendina tutti i registi e gli autori più interessanti. Ma non ne hoil tempo”.(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)

Un altro tema rilevante (e fonte di criticità) è quello dei produttori interni alle emittenti, che lavorano su programmi appaltati a case di produzione indipendenti, eche si vedono progressivamente ridotto il proprio raggio di azione e trasformatoil proprio ruolo: di questo aspetto parleremo quando, nell’ultimo capitolo,affronteremo il tema dell’outsourcing produttivo, oggi una delle questioni chiavedel lavoro audiovisivo.

4.3.3 Le figure “crossmediali”

L’ultimo gruppo di figure professionali, che sono state indicate dalle aziendecome strategiche per il loro business, sono quelle che per semplicità abbiamodenominato “crossmediali”: si tratta in realtà di un insieme di ruoli piuttosto eterogenei, accomunati dalla commistione tra audiovisivo vero e proprio e newmedia o telecomunicazioni dall’altra. Le figure citate spontaneamente dalle aziendein sede di compilazione dei questionari sono molteplici: esperto di contenutiInternet, esperto crossmediale, Direttore Artistico per i nuovi media, Multimediaproducer, gestore interattività, e così via.Riportiamo per brevità la figura professionale che nella nostra mappa megliorappresenta quest’area professionale 18, quella del Project Manager.

Il project manager ha la responsabilità globale della pianificazione e della realizzazione diun progetto.In fase previsionale definisce il piano di lavoro, che contiene l’elenco delle attività, i tempi direalizzazione, la sequenzialità delle fasi, i soggetti coinvolti e le risorse umane, tecniche,economiche necessarie.Durante la fase di produzione agisce come coordinatore del gruppo di lavoro e come supervisore: la sua abilità è quella di prevedere i possibili rischi e problemi, e di attivarsi tempestivamente per la loro soluzione in modo da salvaguardare il successo del progetto.È presente soprattutto nelle realtà crossmediali, in cui funzionalmente coordina il repartoOperations, a più forte connotazione tecnologica.

18 Citiamo comunque per completezza i ruoli di Content Producer e Multimedia Manager, alle cui descrizionianalitiche rimandiamo.

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Le attività principali comprendono:• previsione e gestione di un piano produttivo, che consenta il rispetto di tempi

e costi;• coordinamento del gruppo di progetto, composto da ruoli afferenti a diverse

aree aziendali (e quindi con differenti responsabili gerarchici) ed esterneall’azienda, con cui ha una relazione funzionale.

Le competenze coprono quindi vari ambiti:• manageriale: per la capacità di pianificare e supervisionare tempi e costi;• relazionale: per la capacità di coordinare risorse umane, che oltretutto

possono non dipendere da lui gerarchicamente, ma fare capo a differentireparti della sua azienda o ad aziende esterne;

• tecniche: l’ambito crossmediale impone la conoscenza più o meno approfonditadi problematiche tecnologiche, imprescindibili nello sviluppo di un progettoche si articola anche sui new media; spesso la figura del project manager èanche di mediazione tra l’area della ricerca tecnologica e quella della produzione;

• editoriali: necessariamente incluse in un ambito comunicazionale comequello audiovisivo.

Le aziende, soprattutto le emittenti televisive, giudicano spesso difficili daindividuare le figure legate ai new media, anche perché esterne al mondotradizionale del broadcasting:

“Attualmente le figure strategiche per noi vacanti sono quelle legate alladigitalizzazione: è un’area dove non ci sono molte risposte sul mercato, anche per-ché sul digitale e l’interattività siamo stati i primi a lavorare. Le professionalità più vici-ne sono quelle del mondo informatico.Ad esempio il gestore dell’interattività è un account a tutti gli effetti, che gestisce ilprodotto interattività, mentre il multimedia producer individua tutti i possibili cana-li di sfruttamento alternativo di un programma televisivo, dal voting allasuoneria, inventandosi nuovi business, sviluppando contenuti e realizzandoli”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset,intervista personale, 14/3/2006)

E i lavoratori di questi nuovi “dipartimenti” spesso vivono una situazione dimarginalità rispetto al core business aziendale:

“I nuovi media dovrebbero puntare ad altro rispetto a quelli tradizionali, dovrebberodifferenziarsi; sennò quali novità porterebbero? La nicchia, che i nuovi media

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dovrebbero ricavarsi, dovrebbe proprio basarsi sul rifiuto da parte dello spettatoredelle tv generaliste, che si sono omogeneizzate. Invece non c’è apertura di investimentiper i new media, perché l’utente finale non ha ancora la disponibilità per comprarli:oltretutto, più la qualità è alta meno spazio di mercato c’è”.(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,18/4/2006)

Le criticità espresse dai lavoratori affrontano anche la definizione stessa diprodotto “multipiattaforma”:

“Spesso la multicanalità, per chi ha dei contenuti in library o li produce, è solo unmodo per dire che ha un altro mezzo su cui far viaggiare quei contenuti. Molto spessocon l’idea di cambiarli il meno possibile. Ma se tieni alla qualità devi invece riprogettarli, anzi progettarli fin dall’inizio con l’idea che vadano a finire su mezzidiversi; perché riprogettare un lavoro per formati diversi da quello iniziale crea sempre problemi”.(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 28/4/2006)

“Non puoi pensare che, per adattare un prodotto ad un altro medium, puoi faretutto in fase di montaggio: è un lavoro disumano, anche dal punto di vista dei costi,e la qualità non ne guadagna. Ma forse la qualità non è quello che interessa alleaziende”.(Producer casa di produzione crossmediale, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

Infine i lavoratori sono critici sul mercato complessivo, e sulla relazione tra lecompagnie di telecomunicazioni committenti e i produttori che realizzano i nuovicontenuti:

“I carrier telefonici che investono in Italia sono quattro, ma demandano tuttoall’esterno, a tante società micro in concorrenza tra loro, che nascono, crescono emuoiono in pochi anni, e che lavorano con costi bassissimi, anche del personale.Chi ci guadagna? Il carrier telefonico, che non spende nulla di suo, perché pagapoco per un prodotto di qualità relativamente elevata, all’interno non investe niente,eguadagna molto”.(Project Coordinator Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,18/4/2006)

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Abbiamo chiesto alle aziende di indicarci se avessero figure vacanti, con difficoltàdi reperimento, di cui cioè avevano necessità, ma che non riuscivano ad individuaresul mercato del lavoro.Solo il 15% delle aziende rispondenti al questionario ha affermato di avereposizioni di lavoro vacanti per difficoltà di reperimento. All’interno del campione,sono soprattutto gli editori a non avere bisogno di nuove risorse (ben il 95%), piùdei produttori (86%) o delle altre tipologie di aziende audiovisive (71%): il che conferma la maggiore stabilità, diremmo quasi staticità, degli organici delle emittenti televisive. Le poche figure professionali indicate come vacanti coincidono quasi del tutto conquelle chiave e strategiche: il 22% delle citazioni spontanee insiste infatti sullefigure commerciali già citate, e il 14% sulle figure produttive. Interessante peròche il 16% delle citazioni indichi la figura del montatore. 19

Sul concetto di figure vacanti, naturalmente c’è da fare una premessa: lamancanza di professionalità “percepita” dai responsabili aziendali spesso noncorrisponde alla effettiva mancanza di disponibilità sul mercato.

“Se si chiede alle case di produzione quali sono le figure che mancano, diconodirettori della fotografia e registi, ma in realtà vogliono sempre gli stessi, perchévogliono una garanzia di affidabilità del risultato. Le vere figure di cui si cominceràad avvertire il bisogno sono quelle artigianali, delle maestranze del set (pittori,decoratori), che si stanno perdendo, e, fra poco, quelle legate alle nuove tecnologie(ad es. il digitale, il mobile)”.(Chiara Sbarigia, Segretario generale APT, intervista personale, 26/4/2006)

A volte il problema è di competenze, e sta nella difficoltà di individuare profili conuno spettro di competenze molto più ampio 20 del normale; a volte la carenza è dicerti profili, di cui c’è davvero poca disponibilità sul mercato, vuoi per mancanzadi informazione, vuoi per il minore “appeal” rispetto a figure più appetite, vuoi perla mancanza di un’offerta formativa specifica.

“Per MTV Italia le figure professionali più difficili da reperire sul mercato sonodunque quelle destinate alle Operations e all’area dell’emissione televisiva.Sui circa 100 curricula che settimanalmente pervengono alle strutture preposte ad

4.4 Le figure vacanti

19 Le altre citazioni sono per operatori di ripresa, sceneggiatori, assistenti di produzione, programmatori multimediali;ma in percentuali quantitativamente poco significative.

20 Cfr. ad esempio le dichiarazioni di Giorgio Gori riportate sopra sulla difficoltà di reperire produttori con un bagaglio di competenze “rotonde” e multiple.

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effettuare un primo screening, solo un numero limitato è orientato verso le areetecniche (circa l’1%): la maggior parte dei profili si rivolgono all’area editoriale dellaProduzione e al marketing... È frequente incontrare persone che hanno acquisitoMaster o corsi di specializzazione rivolti a creare figure che privilegiano sbocchiprofessionali in aree editoriali: più raramente professionalità già orientate o addiri-tura formate in ambito tecnico”.(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)

4.5 Le figure trasformate

Alla domanda se ci fossero figure professionali che negli ultimi anni avevano subitotrasformazioni profonde, l’85% delle aziende ha risposto affermativamente: dallatipologia dei profili indicati ci sembra di poter affermare che la trasformazione siaidentificata per lo più con l’addestramento tecnico richiesto dall’aggiornamentotecnologico. Per oltre la metà delle citazioni spontanee si tratta infatti di montatori(per i quali il passaggio dall’analogico al digitale non lineare ha costituito unasvolta importante), tecnici generici, direttori della fotografia, grafici; oppure di figurea cui viene richiesto di acquisire un supplemento di competenze (ad esempio dagiornalista a videoreporter), come vedremo nel capitolo successivo, a propositodelle figure ibride.

Nelle interviste sono però emerse altre problematiche più interessanti. Si trattadelle trasformazioni che hanno investito proprio le figure indicate spesso come lepiù importanti dello staff artistico-produttivo: il cosiddetto “triangolo autoriale”,costituito da regista, autore/sceneggiatore, produttore, di cui parleremo più avanti.È infatti sulla corretta interazione e sull’apporto paritetico di queste tre figure chesembra essere basata la qualità di un prodotto audiovisivo.

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Le figure chiave dell’audiovisivo: il triangolo autoriale

Sono proprio queste figure ad aver subito negli scorsi anni i più profondicambiamenti. La prima è quella dell’Autore, che abbiamo così definito nellanostra mappa:

È il responsabile, dal punto di vista del contenuto, di un programma televisivo.Sempre più frequentemente, in particolare nei programmi televisivi di intrattenimento, l’A.non interviene nella fase di ideazione di un concept originale, ma solo nella successivafase di sviluppo di un format, sopratutto se acquistato sui mercati internazionali...

e che così viene descritto dai testimoni del settore:

Autore

Castartistico

Regista

Produttore

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“L’autore si è impoverito, si è trasformato in puro adattatore di format. Non esistepiù l’ideazione di un programma, un concept originale: è come se un autore italianonon fosse legittimato a creare da zero e, come dice Ricci scherzando ma non troppo,dovesse far finta di essere olandese. Le reti hanno troppa paura di rischiare affidandosi ad un’idea che non è già stata sperimentata altrove con successo,anche se la storia televisiva ha dimostrato che non tutti i format sono garanzia disuccesso, anzi… Il problema è nello scarso coraggio dei manager attuali (soprattuttodella nuova generazione di direttori di rete, pavidi e poco coraggiosi), che non hannoil talento sufficiente per basarsi sul loro fiuto, e devono sempre affidarsi a qualcosadi esterno: la percentuale di share, il focus, il format: mai che facciano un programmasemplicemente perché ci credono, perché hanno qualcosa da dire, perchè secondoloro quella cosa “va detta”.(Produttore esecutivo emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Anche il produttore interno alle reti sembra vivere talvolta un ridimensionamentodi ruolo, soprattutto nel suo obbligatorio interfacciarsi con le case di produzioneesterne, che ne limita le possibilità di intervento sul prodotto e lo relega ad unruolo di “fluidificatore di processo”, più che di “creativo”. È evidente infatti chealcune aziende editoriali, nella loro fase di maturità, chiedono alle loro risorse,prima impegnate direttamente sulla realizzazione del prodotto, di fare un “saltomanageriale”, facendole diventare delle interfacce organizzative più che realizza-tive. Per alcuni produttori, che lavorano all’interno di un’emittente, questo passag-gio non è vissuto in modo indolore:

“Da quest’anno per la prima volta abbiamo appaltato esternamente un programma,che ha un grosso peso nel palinsesto, anche perchè è quotidiano. Io sono ilproduttore della rete su questo programma, ma il mio ruolo è veramente cambiato.Ci sono equilibri politici incredibili da rispettare. Io da producer potevo dare indicazionianche direttamente agli operatori. Ora, da delegato di rete, non lo posso più fare”.(Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)

“Il nostro lavoro cambia, e di molto, perché di fatto non lavoriamo più. Parlo perl’azienda RAI, che ha deciso che è meglio dar fuori i lavori che farli all’interno.Questo per noi significa subire senza avere voce in capitolo. Gli esterni fanno unlavoro che potremmo benissimo fare noi”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)

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Di fatto il produttore interno alla rete, nonostante la denominazione ufficiale diProduttore esecutivo, è spesso un semplice Producer.

Ma è soprattutto quella del Regista la figura che sembra più trasformata dairecenti cambiamenti produttivi nel mondo televisivo:

Il Regista è il coordinatore della troupe artistica e tecnica. Il ruolo di un regista ha però connotazioni assai diverse a seconda della tipologia di produzioni.Il Regista di un film è colui che ne definisce lo stile e la struttura, ed è la sua visione creativa cheispira il risultato finale, tanto da essere storicamente considerato l’autore tout-court del film(anche se non sempre detiene il cosiddetto “final cut”, cioè la decisione sulla versione finale, la responsabilità ultima di cosa tagliare e cosa lasciare nel montaggio diquanto è stato girato). Le sue possibilità di decisione sono molto ampie ed includono sempre la direzione degli attori, spesso la scelta del cast e gli interventi sulla sceneggiatura.Anche il Regista di uno spot pubblicitario ricopre sul set la centralità tipica del Regista cinematografico, seppur canalizzata all’interno di un prodotto delineato a monte, nei suoiobiettivi commerciali e comunicazionali, dai creativi dell’agenzia di pubblicità.Nel caso di una regia televisiva i compiti sono molto difformi storicamente (nella paleotv,quando era considerato “il responsabile ultimo della qualità complessiva del programma”,era di certo più centrale di oggi), a seconda del genere di programmi (nell’intrattenimentopiù centrale che nel documentario o nelle news), oltre che naturalmente del peso contrattuale e dall’esperienza del Regista stesso (come per tutte le figure professionali).In ogni caso ricadono sotto la sua responsabilità attività come quelle di coordinare la troupeartistica (Direttore della fotografia, Scenografo, Costumista, Infografici, eventualeCoreografo), guidare la troupe tecnica, dettare tempi di entrata eposizioni in scena del castartistico, selezionare le inquadrature da trasmettere; in alcuni casi può sovrintendere ancheal casting e alla postproduzione...

Sono in particolare i produttori, che hanno lavorato sia in pubblicità che in televisione, a rilevare le differenze tra il ruolo del regista pubblicitario (che eredita dalcinema la sua centralità 21) e quello televisivo:

21 Naturalmente quello del regista, anche al cinema, non è sempre stato il ruolo cardine: nella storia della produzione cinematografica il ruolo registico ha vissuto diverse fasi con diversi significati. Ad esempio nella fasedello Studio System hollywoodiano si registrò una graduale perdita di indipendenza del regista, fino a considerarloun impiegato stabile alle dipendenze degli Studios; sarà poi con il Neorealismo, e soprattutto con la Nouvelle Vague e la “politique des auteurs”, che il regista venne considerato nuovamente “autore” del film. Per la storiadel ruolo registico nel cinema vedasi il bel volume di Lucilla Albano, “Il secolo della regia”, 2004.

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“Nella tv gli autori la fanno un po’ da padroni, mentre in pubblicità il regista, che intv conta molto meno, è molto importante”.(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

“In pubblicità tutto ruota intorno al regista, che è il cardine artistico. È la figura centrale. Una volta che hai il regista, tutto il team deve mettersi intorno a lui perfare in modo che, pur rimanendo entro certi parametri economici, tutto fluisca infunzione delle sue necessità. In tv il regista è meno importante: è considerato piùcome figura tecnica, sempre meno ascoltata e coinvolta”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

Non sembra che sia sempre stato così in televisione: nell’intrattenimento deglianni ’60 e ’70 la centralità del regista assumeva quasi la valenza di un “direttoreartistico” del programma: ma il contenimento dei budget, la necessità conse-guente di limitare la fase delle prove, e il fenomeno stesso dei format (doveanche l’immagine del programma è inclusa nelle guidelines della bibbia del format), hanno concorso a ridimensionarne l’ambito di intervento.

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TF1, la più importante rete commerciale francese, ha al suo interno 3962dipendenti a tempo indeterminato (oltre a 204 tempi determinati e 56 contrattiassimilabili a quello di apprendistato e formazione lavoro).La gestione delle Risorse umane è considerata strategica nel Gruppo, e al di làdello slogan propagandistico “il futuro di TF1 dipende dai suoi uomini”, i dati confer-mano un’attenzione particolare al tema: l’incremento del personale dopo laprivatizzazione del 1988 è stato del 45% (1000 nuovi posti di lavoro), e la politicasalariale prevede un differenziale migliorativo rispetto alla media di mercato tra il15% e il 30%.La politica è quella del “se l’azienda ha i migliori, con i migliori stipendi, che lavoranoal meglio, l’azienda fa il meglio”. Il Direttore delle Risorse Umane Nonce Paoliniafferma: “Generalmente nelle imprese televisive la visione delle cose è a brevetermine: si preferisce pagare cara l’eccezione, e poco importa per gli altri. Da noiinvece, ad esempio, la formazione non significa solo amministrare i corsi. È soprat-tutto una variabile dell’evoluzione professionale del nostro personale, un veroelemento di sviluppo dell’impresa”. 1

Punti cardine della politica HR di TF1 sono:

• tendenza alla parità uomo-donna nella composizione degli organici (47%donne, 53% uomini nel 2005);

• riduzione del precariato (assunzione di 470 salariati non permanenti tra il2001 e il 2005);

• formazione (il 56% del personale ha beneficiato di almeno un corso di formazione nel 2005);

• mobilità (più di 200 collaboratori nel 2005, e più di 1000 dal 2001, hannopotuto cambiare ruolo, all’insegna di “una gestione volontaristica dei percorsiprofessionali”). 2

TF1 e la politica di Risorse Umane

FOCUS

1 Nonce Paolini, intervista personale, in “Rapporto sulla formazione televisiva in Europa”, a cura di AlessandraAlessandri per Direzione Ricerca & Sviluppo Mediaset, 2000, fuori pubblicazione.

2 Cfr. TF1 Rapport annuel 2005.

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Un importante lavoro di diagnostica eorientamento strategico della formazione èstato avviato nel corso del 1997-8, quandol’azienda intervistò più di 500 dipendenti perdescrivere dettagliatamente attività e competenzedei ruoli aziendali. Il censimento portò alla creazione diun inventario dettagliato di 15 famiglie professionali,24 filiere, 140 mestieri e 300 impieghi tipo 3, sia al finedi individuare i mestieri stabili, quelli in estensione equelli in evoluzione rapida, sia per permettere ai lavoratori di comprendere meglio finalità e caratteristichedei ruoli aziendali, e facilitarne la riflessione sulproprio percorso di carriera.

FOCUS

3 La ricerca interna confluì nel volume “Les 250 métiers du cinéma, de la télévisione et des nouvelles technologies”,a cura di Jean Pierre Fougea, edizioni Dixit, 1999.

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05LE COMPETENZE

In questa sede si continua ad affrontare il tema delle professionalità audiovisive,non più in termini di singoli ruoli, ma in termini di competenze.Dopo aver esemplificato e classificato le famiglie di competenze richieste nell’audiovisivo in artistico/creative/editoriali, manageriali/organizzative,tecniche e relazionali, individuiamo quelle di cui le aziende sentono maggiormentela mancanza e quelle che i lavoratori dichiarano di utilizzare maggiormente.La digitalizzazione ha comunque imposto una parziale ridefinizione dei confinitra competenze editoriali e tecniche, sfumando, in un certo qual modo, latradizionale barriera tra progettazione e realizzazione. Il mondo in cui questoprocesso è più visibile è quello del giornalismo: nelle newsroom digitali, in cui igiornalisti tradizionali sono chiamati ad occuparsi in prima persona anche dellafase realizzativa, e nelle neonate figure ibride come il telecineoperatore e il videoreporter.Un interrogativo più ampio, che la ricerca pone, è infatti se la tendenzagenerale sia verso la specializzazione e la divisione dei ruoli o verso l’ibri-dazione di competenze.Il focus esemplifica una realtà produttiva concreta, questa volta italiana, in cuile modalità organizzative incidono profondamente sulla qualità del prodotto: sitratta di “Report” e del modello del videogiornalismo.

di Alessandra Alessandri

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Le competenze, intese come “patrimonio complessivo di risorse di un indivduo,espresso in rapporto ad un contesto e ad un compito” (Di Francesco 1999), sonodivise solitamente (Cresson 1995) nei tre ambiti del sapere (conoscenze di contenuti), saper fare (capacità e abilità tecniche, procedurali e strumentali) esaper essere (atteggiamenti, comportamenti) 1.

Tra le conoscenze necessarie (“sapere”) ai lavoratori dell’audiovisivo possiamocitare, ad esempio:

• conoscenza del linguaggio audiovisivo• conoscenza del mercato televisivo• conoscenza delle tecniche di analisi televisiva qualitativa e quantitativa• conoscenza delle normative e dei codici deontologici sull’audiovisivo • conoscenza delle problematiche connesse alla gestione dei diritti audiovisivi.

Tra le capacità/abilità (“saper fare”):• capacità di pianificare l’utilizzo di risorse (es. elaborazione e rispetto di un

piano di produzione)• capacità di budgeting e controllo costi • capacità tecniche (relative a singole professionalità, ad esempio all’utilizzo

di specifici software o attrezzature).

Tra gli atteggiamenti/comportamenti (“saper essere”):• team building• abilità relazionali• problem solving• creatività• flessibilità• capacità di negoziazione• leadership• capacità organizzativa• gestione dello stress.

Alcune di queste competenze sono specifiche di alcune famiglie professionali,altre (la maggior parte) sono comuni a tutti i lavoratori audiovisivi, sebbene inproporzioni differenti.Un’altra possibile articolazione è quella proposta da Isfol, che propone tre macro

5.1 Le competenze dell’audiovisivo

1 Talvolta la bibliografia fa riferimento anche ad un quarto aspetto, relativo alla formazione continua e all’autoformazione: il “saper divenire”.

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aree: di base (requisiti minimi di accesso all’occupabilità: conoscenze/abilitàinformatiche e linguistiche), trasversali (abilità e strategie di potenziamento delleproprie risorse), e tecnico professionali (relative a saperi e tecniche operative proprie di specifici processi lavorativi). Nell’audiovisivo le competenze di base, non specifiche ma rilevanti per la preparazione professionale generale, sono in un certo senso date per scontate.La conoscenza della lingua inglese è naturalmente molto importante soprattuttoper chi lavora in ruoli commerciali, come i buyer o i sales manager; o di scouting(di format o di creativi); e soprattutto per chi lavora in contesti internazionali comequello pubblicitario:

“Un producer pubblicitario è più importante che sappia l’inglese che l’italiano, mentread un producer televisivo l’inglese al limite potrebbe non servire… Preferisco unproducer meno bravo ma che parla bene le lingue perché ha facilità di rapporto edialogo, visto che i nostri registi sono spesso internazionali”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

La conoscenza e l’utilizzo di programmi di informatica di base come Word, Excel(soprattutto per la costruzione dei budget), e Powerpoint (per le presentazioni, adesempio, dei concept o delle proposte commerciali), sono naturalmente impre-scindibili, anche se alcuni autori delle vecchie generazioni usano ancora la pennae affidano la stesura dei copioni a segretarie di redazione. Nell’audiovisivo sonoinvece poco utilizzati strumenti di project management, come il software Project,teoricamente utilizzabile per piani di produzione, che invece é considerato troppocomplesso e poco adattabile alle esigenze di un artefatto comunicativo comel’audiovisivo.

“Gli ingegneri di Operations ragionano in Excel, il commerciale ragiona in PowerPoint e la produzione in Word. Poi ci sarebbe Project, che però non prende piede, ètroppo complicato (abbiamo provato a farlo funzionare, ma poi non ha attecchitointernamente): alla fine la buona mediazione è Excel.Sono quasi metafore che rappresentano la trasversalità di questo mondo [crossmediale],che sposa persone che hanno formazione e percorsi talmente diversi l’uno dall’altro, per cui, paradossalmente, anche gli strumenti informatici diventano degliostacoli. Dentro una struttura crossmediale come la nostra abbiamo dagli ingegneriinformatici puri fino agli sceneggiatori puri, alcuni dei quali scrivono solo a penna!

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È chiaro che se sei abituato a fare il battutista per Greggio non ti è necessariousare un computer, mentre qui dentro il flusso necessita di strumenti digitali”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

Le competenze trasversali sono, secondo il modello Isfol, tutte quelle conoscenze,abilità, risorse personali utili ad un comportamento lavorativo e organizzativo efficace:

• diagnosticare (percepire, decifrare, interpretare, prestare attenzione,immaginare…)

• relazionarsi (ascoltare, esprimersi, cooperare, comunicare, gestire i conflitti…)• affrontare (assumere responsabilità, coinvolgersi, decidere, negoziare, gestire,

prendere l’iniziativa, progettare, risolvere i problemi…).

Nell’audiovisivo sono importanti come in tutti gli altri ambiti occupazionali, eproprio per questo sono considerate trasversali, ma diventano strategiche nelreparto produzione, laddove alcune figure (es. il produttore o il project manager)sono imperniate proprio sulla capacità di gestire un gruppo complesso. Per questo motivo abbiamo incluso anche le relazionali nelle quattro famiglie dicompetenze dell’audiovisivo, insieme ad altre tre di tipo tecnico-professionale (cioèspecifiche del particolare contenuto lavorativo, con una valenza teorico-tecnica opratico-applicativa):

• artistico/creative • tecniche• manageriali/organizzative

Come si è detto, le figure professionali non sono riconducibili ad una singola famiglia di competenze o singoli saperi, ma necessitano di più competenze, inproporzioni variabili (è questo il motivo per cui la nostra mappa non si articola inartisti, tecnici e manager). Non tutte le figure devono esercitare giornalmente eattivamente tutte le competenze, ma a tutte è richiesto un coinvolgimento, almenoindiretto, in gran parte di esse: ad esempio un produttore non deve scrivere unasceneggiatura, ma essere in grado di valutarla; non deve installare un parco luci,ma essere in grado di valutare se sia congruente al budget e al risultato artisticovoluto… Inoltre, come vedremo tra poco, il confine tra il mondo editoriale(competenze artistico-creative) e quello realizzativo (competenze tecniche) èsempre più sfumato; nello stesso modo in cui non si chiede più ad un singoloprofessionista di occuparsi solo della fase di preproduzione (la progettazione, “ilpensiero” della produzione), disinteressandosi della fase di produzione vera epropria e di quella di postproduzione.

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Alla domanda posta alle aziende, su quali erano, tra le quattro competenze citate,quelle di cui sentivano maggiormente la mancanza, la maggior parte ha indicatoquelle tecniche: il 30% dei rispondenti, a fronte di un 27% per le relazionali, un21% per quelle artistico-creative e un altro 21% per quelle manageriali.Naturalmente lo scarto ridotto tra le varie risposte testimonia ulteriormente lacompresenza delle competenze nel processo produttivo. Interessante valutare ladisparità di valutazione tra editori e produttori: i primi hanno riposto per il 45% deicasi “relazionali” (seguono, in ordine, le tecniche, artistico-creative e manageriali), iproduttori hanno risposto in modo più omogeneo: per il 31% “tecniche” (seguiteda quelle relazionali, artistico-creative e manageriali).

Le competenze chiave secondo i produttori

5.2 Le competenze chiave per aziende e lavoratori

Competenze tecniche31%

Competenze relazionali27%

Competenze artistiche/creative

20%

20% Competenze manageriali

Fonte: Labmedia, 2006 (su 54 aziende)

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Le competenze chiave secondo gli editori

Competenzerelazionali45%

Competenze tecniche27%

Competenze artistiche/creative

18%

9% Competenze manageriali

Fonte: Labmedia, 2006 (su 13 aziende)

2 La situazione relativa alla RAI, per quanto riguarda la Lombardia, è influenzata dal fatto che la sede RAI di Milanoè un centro di produzione totalmente dipendente dalla sede centrale romana; e quindi la centralità delle competenze tecniche (cfr. Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI, intervistapersonale 20/3/2006) andrebbe relativizzata in chiave nazionale.

Evidentemente le emittenti televisive ritengono cruciale il tema delle relazioni, siaall’interno dell’azienda, sia rispetto all’esterno (compresi i produttori indipendenti);mentre i produttori pongono l’accento sulla effettiva capacità realizzativa dei propri prodotti.Mediaset, ad esempio 2, pur differenziando le risposte a seconda delle diversearee di business del gruppo, sottolinea la componente relazionale di RTI (il cuoreeditoriale), considerando quella artistica come esterna, e anzi anch’essa gestitacome un fattore di produzione, grazie alle abilità relazionali:

“Le competenze chiave sono differenziate in funzione delle diverse aree di businessdel Gruppo: nella fabbrica (Videotime) e nelle aree tecniche e tecnologiche (es.

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Elettronica Industriale) sono le competenze tecniche; nel mondo dei contenuti, invece,al di là del contenuto specifico di ogni professionalità, è molto rilevante la dimensione relazionale. Tale competenza è in realtà trasversale a tutta l’azienda, inquanto, al di là delle dimensioni, Mediaset si fonda sulle relazioni interpersonali,frutto anche della sua storia e del forte stampo imprenditoriale. Le competenze artistiche invece sono esterne. In alcune aree sono sempre state esterne: gli autorisono esterni, le star sono esterne. È anche in questo senso che le competenze relazionali-manageriali sono le più importanti, per poter interagire e gestire tutto ilmondo che c’è intorno alla televisione...L’utilizzo di appalti o società di produzione esterne è un modo di flessibilizzare especializzare le competenze specifiche, perché Mediaset ha sviluppato nel tempopiù competenze organizzative e di commessa che realizzative di prodotto, tanto èvero che il primo prodotto realizzato negli ultimi anni è stato “Campioni”: all’inizio èstata una sfida importante perchè Mediaset non era più impegnata da tempo sullaproduzione diretta dei programmi di grande dimensione. Credo che questo fenomeno sia in linea con l’evoluzione dei media globali, dove c’è una crescente specializzazione delle varie aziende: Mediaset è innanzitutto un editore televisivo,che utilizza i canali di produzione propri o attiva i soggetti esterni”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset,intervista personale, 14/3/2006).

Per i produttori, invece, il cuore del proprio business è nella realizzazione del prodotto, ed è per questo che vengono avvertite come strategiche le competenzetecnico-specialistiche, dall’artistico al tecnico al manageriale, rispetto a quelletrasversali. Il contenuto artistico è sentito come fondamentale nel prodotto:

“Non abbiamo paura della qualità o delle persone difficili da gestire: meglio l’”eccezionalità” anche se crea problemi, perché poi ci siamo noi, che geni nonsiamo, che gestiamo e risolviamo i problemi, che conteniamo ma non limitiamo.Certo la tv è una cosa molto concreta, applicata, fatta di tempi, modi e risorse specifiche. Quindi l’artista, il genio in televisione non è legato ad una dimensioneastratta ma si inserisce in regole e dinamiche molto contingenti. Sicuramente poiha una sensibilità e una personalità “speciale”, delle capacità produttive particolari. Ein questo senso è una risorsa davvero rara e unica, ci sono i fuoriclasse”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

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È l’integrazione stessa delle competenze a rendere una risorsa preziosa 3,soprattutto in contesti “crossmedia”.

“Mentre ci sono forti competenze di autori, di montatori, operatori, sceneggiatori,c’è un buco, una vera e proprio voragine, nella parte che io definirei manageriale,cioè di impostazione, strutturazione e sviluppo del prodotto, quando si deve passareda un brief editoriale generico, dato da un editore o da una compagnia telefonica,all’impostazione del prodotto. Mentre sul prodotto tv, infatti, esiste un know-howcondiviso, nel momento in cui affronti prodotti che hanno una complessità maggiore[crossmediali, ndr], le domande si moltiplicano: mentre rispetto ad un prodotto tvdevi solo chiederti se farà ridere, funzionerà, farà ascolto, ecc…, quando contemporaneamente deve finire anche su una piattaforma mobile bisogna chiedersi se l’inquadratura sarà visibile sul telefonino, se l’utente farà il downloadad un euro, se questo prodotto è funzionale per la telefonica, per linkare altri prodotti, ecc. Per cui chi si mette a pensare il prodotto deve unire capacità creative auna lungimiranza organizzativo-manageriale, che prevede risposte a domande diverse,che vanno dal “come faccio la squadra?” a “che tipo di risorse posso attivare?” a“con quale budget?”... Forse l’ideale sarebbe avere un manager di sviluppo concompetenze creative, perchè un pensiero prettamente connesso all’impostazionedella struttura senza sapere cosa c’è dentro non è possibile: non si possono costruirescatole senza conoscerne il contenuto, mettendo dentro quel che capita”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

Anche ai cosiddetti “tecnici” sono richieste sensibilità sul prodotto e conoscenzadei contenuti:

“Per me che faccio documentari, e li faccio su storie sociali, che cerco di raccontareattraverso le voci delle persone (spesso li faccio sull’Africa e in Africa), anche il montatore deve avere uno spessore culturale, deve essere autonomo. Se per me laconoscenza del Paese che racconto è fondamentale, deve esserlo anche per il miomontatore. Certo è difficile trovare un profilo così completo, e, anche quando lotrovo, avere tanto lavoro da poterlo assumere ed essere il suo unico datore di lavoro”.(Annamaria Gallone, Titolare casa di produzione di documentari Kenzi, intervistapersonale, 6/3/2006)

3 Cfr. anche l’intervista a Giorgio Gori, Presidente e Amministratore delegato di Magnolia, sulla già citata difficoltàa reperire figure “rotonde”, con un profilo di competenze ampio e variegato.

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Alcuni pongono l’accento sulla componente artistica (soprattutto i produttori dispot pubblicitari), mentre altre piccole e medie imprese hanno focalizzatol’attenzione nelle interviste su una mancanza di competenza imprenditoriale chefarebbe la differenza:

“Sentiamo molto la mancanza di competenze manageriali. Un buon manager concompetenze commerciali sarebbe fondamentale, io stessa vengo da una formazioneumanistica, che non può colmare questa assenza. Necessitano competenze suidiritti, perché dopo essere stati realizzati, questi prodotti vanno sfruttati”.(Elisabetta Levorato, Amministratore unico Demas & Partners, intervista personale,2/3/2006)

Certo la risposta dipende moltissimo dalla posizione dell’intervistato (l’imprenditoreporrà l’accento sulle capacità manageriali, il produttore su quelle artistiche,perché sono quelle che cerca nella sua troupe artistica, e così via...) e dal modelloorganizzativo adottato dalla sua azienda:

“In queste organizzazioni, che sono più orizzontali che verticistiche, sono importanti lecompetenze relazionali”.(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)

I lavoratori, a cui abbiamo rivolto nel nostro questionario la domanda “quali sonole competenze prevalentemente utilizzate per il lavoro che stai svolgendo?”,hanno citato quelle artistiche (il 25% dei rispondenti, contro un 17% che assegnamaggiore importanza alle competenze manageriali, un 12% a quelle tecniche, un7% a quelle relazionali), anche se è significativa la quota (27%) di coloro chehanno dichiarato di utilizzarne almeno due di pari importanza. Leggiamo questodato ipotizzando che i lavoratori si sentano policompetenti e comunque fortemen-te coinvolti nella componente artistica e creativa del loro prodotto, indipendente-mente dalla loro mansione.

“La produzione è a volte considerata come un reparto che permette a dei creatividi realizzare un prodotto, con uno spirito di servizio. Invece il mio lavoro non è quel-lo di far lavorare i creativi, ma è paritetico al loro, siamo comunque tutti parte di unprogetto. Noi stessi siamo creativi”.(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)

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Il tema della divisione del lavoro ha una ricaduta anche nella produzione audiovisiva, e un impatto significativo sulle competenze richieste ai lavoratori. A confrontarsi sono due modelli organizzativi diversi: quello dello “scientificmanagement” e quello del “job enrichment”: il primo, di origine tayloristica 4,prevede mansioni semplici, scomposte in singoli compiti parcellizzati, limitati eripetitivi, assegnati a persone diverse, scarsa autonomia lasciata ai singoli,elevato controllo; il secondo, viceversa, prevede una più larga autonomia deilavoratori, a cui viene assegnato un lavoro che implica un’ampia gamma diattività. Il primo modello prevede una specializzazione di compiti finalizzataall’innalzamento della produttività, grazie alle conseguenti economie diapprendimento 5; il secondo intende privilegiare l’obiettivo di responsabilizzazioneindividuale e realizzazione personale, allargando la mansione in orizzontale (incorporando attività appartenenti allo stesso livello organizzativo) o in verticale(assegnando una maggiore autonomia decisionale).Per fare un esempio, nell’ambito della redazione di un magazine televisivo la sceltasi può tradurre nella decisione di assegnare la realizzazione di un singolo servizio apiù persone (ad esempio una “coppia creativa” composta da un regista e unredattore/autore), che ne sono responsabili dalla preproduzione alla postproduzione,moltiplicando le unità produttive tante volte quanti sono i servizi da realizzare;oppure di scomporre le fasi produttive di tutti i servizi in singole attività, come adesempio la ricerca immagini (addetto desk), le riprese (troupe ENG ed eventualeregista), la scrittura (redattore), il montaggio (addetto alla regia e/o montatore).

5.3 Specializzazione o integrazionedelle competenze: la divisione del lavoro

4 Come è noto, F.W. Taylor cercò di dimostrare scientificamente la convenienza di una separazione drastica tra progettazione ed esecuzione, tra studio del lavoro ed esecuzione manuale di esso, tra enti funzionali che predispongono il quadro tecnico e normativo entro il quale il lavoro deve essere eseguito, ed enti “di linea” chelo eseguono. Il modello venne adottato da Ford per la catena di montaggio utilizzata nella produzione automobilistica, e per questo motivo viene talvolta definito “fordista”. Cfr. ad esempio Luciano Gallino,Dizionario di sociologia, Utet, 2004.

5 Cfr. ad esempio Pilati-Tosi 2000.

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L’unità organizzativa tipo del newsmagazine quotidiano:il modello “scientific management”

Fonte: Labmedia, 2006

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L’unità organizzativa tipo del newsmagazine settimanale:il modello “job enrichment”

Preproduzioneservizio A e B

Produzioneservizio A e B

Postproduzioneservizio A e B

Giornalista Giornalista

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Preproduzioneservizio A

Produzioneservizio A

Postproduzioneservizio A

Regista(+ troupe)

Regista(+ addetto

desk)

Regista(+ montatore)

Giornalista Giornalista Giornalista

Preproduzioneservizio B

Produzioneservizio B

Postproduzioneservizio B

Regista(+ troupe)

Regista(+ addetto

desk)

Regista(+ montatore)

Giornalista Giornalista Giornalista

Fonte: Labmedia, 2006

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Naturalmente la scelta tra il primo e il secondo modello dipenderà da vari fattori:• le dimensioni dell’azienda: aziende piccole necessariamente privilegiano

l’integrazione delle mansioni in un numero ridotto di addetti;• la fase di maturità dei prodotti/attività: nei contesti sperimentali viene

incoraggiata la multicompetenza, man mano che si consolida il business siè portati a specializzare;

• la tempistica della produzione: un programma televisivo quotidiano, legatoall’efficienza dettata dai tempi ridotti e da esigenze di tempestività, tenderà alla specializzazione; mentre un programma con una cadenza meno pressanteconsentirà di scegliere tra specializzazione o integrazione delle competenze;

• il genere di prodotto: ad esempio la soap, come fiction industriale,incoraggerà una divisione più parcellizzata dei compiti rispetto al documentario,che ha organici più ridotti e organigrammi meno definiti 6.

6 L’organigramma sopra riportato è riferito ad uno schema tipo di documentario di media entità e medio budget(ammesso che sia possibile una “medietà aritmetica” nell’ambito di una casistica assolutamente eterogenea);nel caso del piccolo documentario low-budget l’organizzazione produttiva si semplifica ulteriormente.

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La divisione del lavoro implica la separazione verticale degli aspetti creativi,intellettuali, direttivi del lavoro da quelli manuali, esecutivi; e la stretta dipendenzadei secondi nei confronti dei primi, fino ad individuare nella catena di montaggiofordista il massimo grado di parcellizzazione dei compiti. 7

L’elevata specializzazione è direttamente proporzionale al livello diconoscenze/abilità richieste, e alla loro specificità: questo naturalmente implicache la tendenza alla specializzazione sia maggiore per le mansioni tecniche,rispetto alle mansioni organizzative, che anzi fanno della flessibilità e dellamulticompetenza un loro carattere distintivo.

Abbiamo chiesto alle aziende di indicarci se, a loro parere, la tendenza delladomanda occupazionale andasse verso figure specializzate o figure integrate, cioèmulticompetenti. Le risposte sono state variegate, e dipendenti, come dicevamo, dal contesto e dai ruoli:

“Entrambe le tendenze sono presenti: in produzioni di altissimo livello come iprogrammi di Celentano, Quelli che il calcio, L’isola dei famosi, prevale la specializzazione; per le piccole produzioni l’integrazione. […] La figura stessa del programmista regista ad esempio era stata creata in RAI inoccasione della nascita della Terza Rete, con l’obiettivo di integrare la funzioneautoriale e quella realizzativa nelle costituende sedi regionali, per le produzioni darealizzare su base locale. Poi anche nelle reti si diffusero queste figure miste”.(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI,intervista personale, 20/3/2006)

“Vedo sia una tendenza verso la specializzazione, sia per l’integrazione delle competenze. Per la tecnica (audio, grafica ecc) i lavoratori devono specializzarsiancora di più, perché ci sono tante macchine... Nell’emissione e nel controllo qualità preferiamo invece delle combinazioni: magari uno con capacità tecnicheche sappia fare anche delle scelte. Piuttosto che una scimmia che schiaccia un bottone, preferiamo avere persone multi-skill, che assorbono più ruoli. Penso siameglio per loro - che sono più stimolati - e per noi”.(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)

Certo, al di là di contesti prettamente tecnici, le indicazioni vanno prevalentemente

7 Cfr. l’impatto della questione sul dibattito di sociologia del lavoro, ad esempio in Gallino 2004.

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verso uno scenario di integrazione, soprattutto nel settore dell’ emittenza locale…

“Si va verso figure ibride e policompetenti, perché, soprattutto negli ambienti al difuori di RAI e Mediaset, sono quelle che danno valore alle aziende. Anzi definirle ibri-de ne sminuisce l’ importanza; ma invece non è così”.(Anna Di Sabato, Direttore generale Gruppo Profit, intervista personale,20/4/2006)

…o satellitare:

“Prendiamo ad esempio la figura del Promoter [responsabile della progettazione edella realizzazione dei “promo” di programmi televisivi, ndr]: è una figura emergente,alle dipendenze dirette del direttore di rete. In Disney si occupa della realizzazionecompleta del prodotto, operando anche direttamente in sala di montaggio, a differen-za di quel che accade in altre realtà dove c’è uno che dice cosa fare e l’altro chepreme il bottoncino. La fusione delle competenze è giudicata inevitabile; i nuovi siste-mi di montaggio sono oramai alla portata di tutti sia dal punto di vista economico cheoperativo, non ha più senso che certe figure non possano lavorare direttamente sumacchine che magari usano comunque normalmente a casa per montare i propri fil-mati personali”.(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,intervista personale, 7/4/2006)

I lavoratori confermano quest’ultima tendenza, sia come fenomeno generale delmercato del lavoro, sia nella loro esperienza personale. Alla domanda se la ten-denza prevalente sia verso la specializzazione delle figure professionali o verso l’ibridazione delle competenze in figure flessibili, il 67% ha infatti risposto indicando“l’ibridazione” (contro un 18% di “entrambe”, un 11% di “specializzazione”, un 4%di “non so”). A dare questa risposta sono soprattutto lavoratori laureati, dellafascia di età dai 35 ai 44 anni, che lavorano da 3-5 anni nell’audiovisivo,prevalentemente con contratti a tempo determinato, in funzioni di staff. La propriaesperienza lavorativa attuale conferma questa tendenza teorica, rafforzandola.Ben il 90% dei lavoratori si classifica come “figura policompetente” (contro un10% di lavoratori che si classificano come “specializzati”): sono soprattuttodonne tra i 25 e i 34 anni di età, che lavorano da 6 a 10 anni nel settore, sianegli staff, che in sviluppo/produzione.I lavoratori confermano che la specializzazione è proporzionale alle dimensioni

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Tendenza specializzazione/ibridazion e competenze secondo i lavoratori

Ibridazione67%

Specializzazione11%

11% Entrambe

Fonte: Labmedia, 2006 (su 100 lavoratori)

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Come si considerano i lavoratori

aziendali…

“Io credo che figure ibride siano più apprezzate in contesti e strutture ridotte. Incase di produzione con due o tre persone devi essere flessibile per forza: in aziendecome Mediaset c’è bisogno di una specializzazione più definita, altrimenti si crea ilcaos totale”.(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure “crossmediali”,18/4/2006)

….e al contenuto tecnico delle mansioni…

Policompetente89%

Non so1%

10% Specializzato

Fonte: Labmedia, 2006 (su 100 lavoratori)

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“Per i ruoli tecnici la specializzazione può aiutare, ci sono delle nicchie forti dovepuoi vendere la tua professionalità. Su ruoli più legati ai contenuti invece il valoreaggiunto è dato da una certa trasversalità di competenze e conoscenze dei contenuti”.(Content Manager Azienda TLC, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

I lavoratori assegnano alla tendenza verso l’ibridazione di competenze una valenzaambigua: da una parte riconoscono che dà loro maggiore autonomia e motivazione;dall’altra sono consapevoli che la scelta aziendale è soprattutto motivata in termini di risparmio, e non tutto questo risparmio viene riconosciuto…

“Seguo il prodotto dall’inizio alla fine, faccio quattro lavori in uno. Per un campo par-ticolare come le news questa è una benedizione: per un’azienda vuol dire risparmio. … Io sono soddisfatto perché nel mio piccolo faccio un prodotto che mipiace. Però non ho soddisfazioni monetarie proporzionate: altri non producono lostesso tipo di cose, ma non c’è assolutamente un sistema meritocratico”.(Redattore editore crossmedia, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

….o reinvestito nella qualità finale del prodotto:

“Nel mio contesto le figure ibride sono molto apprezzate, per vari motivi. La qualitàsi sta abbassando per cui meglio avere un montatore che sappia girare e scrivere:è più economico e dimezza i tempi. Una qualità media è preferita alla qualità eccellente”.(Producer Casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

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5.3.1 Le newsroom digitali: giornalisti multimediali,telecineoperatori, videoreporter

Il digitale è indicato come supporto prevalente dal 62% delle aziende campione(contro un 30% di pellicola e un 8% di elettronico analogico). La digitalizzazioneha, secondo l’80% dei lavoratori, influenzato positivamente il loro lavoro, anchese solo per il 65% di essi ha migliorato complessivamente la qualità dei prodottiaudiovisivi (secondo l’11% la qualità è rimasta invariata, secondo il 17% è addirittura peggiorata).Per valutare però quali processi organizzativi siano implicati in questi giudizi, e illoro reale significato, bisogna fare un passo indietro e analizzare l’impatto dellenuove tecnologie sull’audiovisivo e a quali livelli (produttivo o trasmissivo) siaintervenuto. In questa sede non ci interessa affrontare le macro questioni relativealla digitalizzazione dei segnali, in fase trasmissiva, ma solo capire come il digitale ha cambiato l’organizzazione produttiva, e quindi il modo di lavorare quotidiano degli addetti alla produzione. In particolare, non potendo analizzaretutti i processi produttivi su tutte le filiere di tutti i generi di prodotti, esemplificheremol’impatto del digitale in un particolare processo: il newsmaking, cioè la produzionegiornalistica. Il processo produttivo tradizionale di un servizio di telegiornale prevede una divisione dei compiti rigida: il giornalista televisivo, classicamente in possesso diuna cultura umanistica, provvede personalmente alla redazione del testo dellanotizia, coadiuvato nelle varie fasi di produzione delle immagini da altre figurespecializzate: un addetto al desk che lo assiste nel reperimento di immagini d’archivio (videoagenzie internazionali, o archivio dell’emittente stessa); unoperatore di ripresa che si occupa dell’eventuale acquisizione delle immagini sulcampo, seguendo le sue direttive più o meno esplicite e dettagliate; uno speakerche legge il testo da lui redatto; un montatore che, sempre secondo le suedirettive, si occupa della postproduzione delle immagini; più naturalmente tuttoquanto necessario alla messa in onda del pezzo all’interno dell’edizione. 8

Con il nuovo modello delle newsroom digitali invece il processo produttivo puòpotenzialmente essere svolto interamente e direttamente dal giornalista nellasua workstation, una postazione digitalizzata grazie alla quale può gestire insieme

8 Michael Rosemblum, responsabile editoriale dell’agenzia Video News International, affermava provocatoriamente:“Se i giornali lavorassero come lavora la tv, per un’intervista servirebbero cinque persone: una per tenere lapenna, una per fare le domande, una per reggere la carta e una per fare il resoconto di tutto. …Fino ad oggi latelevisione ha imitato le tecniche cinematografiche di Hollywood degli anni ‘50”. (Rosemblum 1996).

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parole e immagini. 9 In particolare le attività che un “giornalista multimediale” èin grado di svolgere sono: la ricerca di immagini (sia di repertorio sia girate adhoc) direttamente a terminale, con la possibilità di vedere le immagini e di selezionarle, di confezionare un montaggio off line (non definitivo) grazie ad unsemplice software di editing, di registrare una propria voice over direttamentesulle immagini 10.

Il giornalista multimediale è un giornalista in grado di elaborare i servizi giornalistici neivari linguaggi e generi. Redige le notizie con i relativi titoli, sa ricercare e selezionare dapiù fonti informazioni, foto, filmati, che impagina e/o monta con sistemi di publishing adattia più piattaforme mediali. Ad oggi è diffuso in realtà giornalistiche particolari, come le newsroom digitali e le testateweb.

Tra i vantaggi connessi a questo processo, citiamo: la velocizzazione del proces-so lavorativo; la semplificazione e l’ottimizzazione della ricerca d’archivio; la pos-sibilità di condividere le immagini da parte di più soggetti contemporaneamente;e il pieno controllo da parte del giornalista su tutti gli aspetti del suo lavoro e sututti i contenuti da lui prodotti. Tra gli svantaggi possibili, il rischio di ridurre ilruolo del giornalista a “deskista” (spesso vittima della tentazione del “copia eincolla”) e di allontanarlo dalla ricerca delle notizie sul campo. 11

Questo modello organizzativo è per ora diffuso solo in alcune limitate sperimen-tazioni televisive (a Mediaset presso il tg di Italia 1, Studio Aperto; in RAI pressoRAI News 24), oltre che nelle redazioni web. L’introduzione non è stata indolore,e si sono registrate alcune perplessità e resistenze sindacali, sia da parte deigiornalisti, sia da parte dei tecnici. Gli intervistati sottolineano il carattere di spe-rimentalità e di eccezionalità, che contraddistingue queste evoluzioni:

9 Il tradizionale scollamento tra parte visiva e parte testuale dei servizi giornalistici è secondo alcuni polemiciosservatori (cfr. Achtner 1997) una piaga del giornalismo italiano: si tratta della tendenza a confezionareimmagini “wallpaper”, “carta da parati”, cioé che procedono in parallelo rispetto al testo senza connessionivolontarie e controllate, presumibilmente derivata proprio dalla tradizionale divisione dei compiti e dallamancanza di competenze tecniche sulla parte visiva da parte del giornalista.

10 Per una descrizione delle newsroom digitali vedasi ad esempio Marco Pellegrinato, “Newsroom digitali: col pc sifa il tg”, in Link Mediaset, 3 e 4, 1999.

11 Per una ricognizione di tutti gli aspetti connessi alle newsroom digitali e alle ricadute sulla professionalità giornalistica vedasi Alfredo Macchi, “I tg nel futuro”, 1999.

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Il processo produttivo delle news tradizionali

Preproduzione Produzione Postproduzione

Giornalista

AddettoDesk

Operatore(Eng)

Montatore

Fonte: Labmedia, 2006

Il processo produttivo di una newsroom digitale(es. Studio Aperto, RAI News 24)

Preproduzione Produzione Postproduzione

Giornalista multimediale

Operatore(Eng)

Fonte: Labmedia, 2006

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“Ogni volta che ci sono evoluzioni di questo tipo, ci sono una serie di freni: da partedei sindacati la paura di perdere figure o doverle riconvertire; e da parte deigiornalisti, che si vedono portare via una parte delle loro competenze da figure chefino ad allora non erano state incluse nel contratto giornalistico. È chiaro che più siavvicinano queste figure, più il mondo dei contratti e delle corporazioni incomincia asoffrire; questo vale per tutto il Paese, non per una singola azienda….La fase disperimentazione su “Studio Aperto” si è conclusa, ma quella rimarrà l’unica testatadigitale. Che io sappia non ci sono intenzioni di esportarla, anche perché latecnologia da questo punto di vista è molto onerosa. Ma é stato indubbiamente unesperimento positivo”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset, inter-vista personale, 14/3/2006)

“Il giornalista multimediale si è diffuso in testate anomale, non ammiraglie, in realtà prototipali e sperimentali, e non istituzionali; appena le testate sono più stabili, siricorre alla specializzazione delle figure tradizionali. Sicuramente c’è però un confinesempre più labile tra figure tecniche e figure di contenuto: le nuove tecnologieimpongono dovunque una ridefinizione delle figure”.(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

Il processo opposto a quello del giornalista multimediale, che integra competenzetecniche in una mansione originariamente redazionale/creativa, è quella del telecineoperatore: nasce come operatore di ripresa che, grazie alla capacità diconfezionare un servizio giornalistico in autonomia, conquista un ruolo a tutti glieffetti giornalistico, tanto da essere previsto come figura del Contratto Collettivodell’Ordine dei Giornalisti:

Il Telecineoperatore è il professionista responsabile delle riprese che effettuanell’ambito di un racconto filmico o televisivo. È responsabile della fotografia, quando non èpresente il Direttore della Fotografia; coordina il lavoro degli Assistenti Operatori e, se presenti, di altri Telecineoperatori.È il responsabile dell’immagine finale. Segue tutto l’iter del racconto per immagini, sceglieed utilizza qualunque mezzo atto alla ripresa. Nell’ambito giornalistico decide in completa autonomia, o di concerto con il redattore (se presente), sulle scelte da compiereper la realizzazione del miglior servizio (del quale cura il testo e il montaggio, se ne è responsabile).Il Telecineoperatore è infatti un giornalista, inserito da qualche anno nel Contratto Nazionalegiornalistico, come riconoscimento della rivendicazione di figure tecniche , che lavoravano incompleta autonomia.

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La sua esistenza sembra però più il frutto dell’autonomia di singoli operatori particolarmente responsabili, piuttosto che di strategie aziendali che puntino suquesto percorso di carriera. Tanto è vero che non ci sono percorsi formativi perassicurare un ricambio generazionale ai pochi personaggi, che hanno guadagnatosul campo questo riconoscimento, soprattutto in una azienda come la RAI, chesembra averlo più che altro subìto:

“Non c’è un vero confine di competenze tra le mansioni svolte dall’operatore diripresa delle squadre leggere e il telecineoperatore: avrebbe più senso se il telecineoperatore, essendo un giornalista, seguisse l’intero processo produttivo,dalla ripresa delle immagini alla stesura del testo di commento”.(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI, inter-vista personale, 20/3/2006)

Se il giornalista multimediale si limita alla fase di preproduzione e a quella dipostproduzione, la figura potenzialmente in grado di completare l’intero processoè quella del Videoreporter, la declinazione “news” del Videomaker. Videomaker eVideoreporter nascono a partire dalla disponibilità di videocamere leggere,maneggevoli ed economiche, fino a pochi anni fa considerate come appartenentiad una fascia di mercato prosumer (a metà tra lo standard producer e quello consumer), cioè quasi amatoriali; mentre oggi sono considerate di livello broadcast, quindi compatibili con lo standard qualitativo della trasmissioneprofessionale. Grazie a questa strumentazione, anche la fase di ripresa diventaintegrabile nel lavoro di chi prima si occupava esclusivamente di preproduzione;e non necessita forzatamente un operatore specializzato in possesso di unatelecamera professionale pesante e costosa. 12

12 In alcuni contesti particolari il processo realizzativo integra persino la fase di trasmissione del segnale; alcune“valigette” integrate, predisposte ad esempio da Sony, offrono al giornalista impegnato in situazioni particolari,come ad esempio quelle di guerra, la possibilità di montare il “pezzo” e di inviarlo in redazione.

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Il Videomaker è in grado di realizzare in completa autonomia un prodotto audiovisivo, o unsegmento di esso.È una figura relativamente nuova, perché la sua nascita è legata alla disponibilità di strumenti di semplice utilizzo, tecnologie prosumer, quali le videocamere digitali e i softwaredi editing digitali, che consentono di realizzare prodotti di buona qualità con relativa semplicitàe costi contenuti. Le competenze che deve avere un Videomaker sono a tutto tondo: è l’au-tore del “racconto per immagini”, che dirigerà come regista e come operatore (occupandosidelle luci, dell’immagine, delle inquadrature), che arricchirà con testi (a volte speakerati per-sonalmente), che monterà e che sonorizzerà con musiche, fino ad arrivare , selezionando lesequenze, rivedendo l’ordine del girato, enfatizzando alcuni momenti con effetti speciali ecosì via, al prodotto finito pronto per la messa in onda.Il Videomaker è un freelance e quindi il suo lavoro non termina con la realizzazione del video,ma spesso prosegue con la promozione e la vendita di quanto è stato in grado di realizzare. Il vero e proprio Videomaker realizza prevalentemente contenuti di tipo artistico(ad es. videoclip low-budget, backstage, ecc.), mentre il Videoreporter o Telereporter realizzaservizi, reportage e inchieste di tipo giornalistico. La sua introduzione contrattuale è relativamente recente ed è stata oggetto di aspre critiche sia da parte dell’Ordine deiGiornalisti (che vedeva affidate anche a non giornalisti mansioni giornalistiche), sia da partedei sindacati (che difendevano le figure specializzate “assorbite” dalle nuove mansioni tecniche del telereporter). Attualmente, nonostante sia presente anche nel contratto FRTdelle tv private nazionali, viene prevalentemente utilizzato nelle tv private o in produzioni atipiche, prevalentemente di inchiesta.

La figura, pur prevista dal contratto FRT, è comunque presente nelle tv locali piùche in quelle nazionali, nelle realtà piccole piuttosto che in quelle strutturate, neiformati para-giornalistici, come le inchieste e i reportage, e non nelle testate gior-nalistiche.

“La figura del telereporter è stata istituita nel contratto FRT del ’94, e inserita al set-timo livello (forse al di sotto delle sue effettive mansioni); nonostante costi moltomeno di altre figure previste nel contratto FNSI, è rimasta solo nelle tv locali, ecredo rimarrà marginale”.(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, 26/4/2006)

I produttori più attenti intuiscono che su questa figura ci sono ampi margini dipotenziamento, sia per la possibilità di avere prodotti più “autoriali”, sia per il contenimento dei costi di produzione:

“La figura di filmaker è abbastanza recente e molto strategica. Sono persone chesono capaci di scrivere, di girare, di montare. Soprattutto sulle docusoap, su questiprogrammi che facciamo per la tv satellitare dove ci sono pochi soldi ed è meglio

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La figura del telecineoperatore

Preproduzione Produzione Postproduzione

Giornalista

Operatore MontatoreAdettoDesk

GiornalistaGiornalistaGiornalistaGiornalista

OperatoreOperatoreOperatoreOperatore

Fonte: Labmedia, 2006

La sfida del videoreporter

Preproduzione Produzione Postproduzione

Giornalista

MontatoreOperatoreAdettoDesk

GiornalistaGiornalistaGiornalistaGiornalista

OperatoreOperatoreOperatoreOperatore

Fonte: Labmedia, 2006

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avere poche persone e autonome, sono figure importanti”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

L’etichetta di “Videomaker” è orgogliosamente rivendicata da chi è in grado disommare più competenze e di creare quindi un prodotto completamente “personale”, artigianale e autoriale in senso pieno:

“Mi piace molto la definizione di videomaker, nel senso che di fatto finisce che mioccupo della produzione veramente dalla A alla Z. Il discorso è quello della consegna“chiavi in mano”di un prodotto. Dal punto di vista del mercato costi la metà rispettoad una troupe allargata, e, rispetto all’efficacia del servizio, il fatto di avere questasensibilità per l’immagine garantisce il fatto che il tuo servizio giornalistico sarà unservizio giornalistico audiovisivo, e non semplicemente un servizio giornalistico cartaceo con il supporto di alcune immagini. E poi, per situazioni un po’ clandestine,essere un’unica persona ti dà delle chances enormi”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

Certo figure come queste, che hanno “democratizzato” l’accesso alla professione 13,pongono un serio problema di preparazione e di formazione:

“Da una parte, se tu hai una tua deontologia e serietà professionale, il digitale nonpuò che essere una straordinaria risorsa, perchè con meno costo e meno problemitecnici, pratici e organizzativi puoi muoverti e addirittura farti produttore indipendente.Se però mancano questi presupposti di serietà e competenza, può essere deleterio:il risultato è un film giustificato come “omaggio a Von Trier”, ma in realtà semplicementemosso, fatto a braccio, sotto i livelli della dignità del prodotto, senza una minimaattenzione all’audio, per cui i dialoghi te li devi indovinare, con una sceneggiaturache pretende di essere intellettuale e filosofica, ma dove ti perdi dopo 10 secondi.Il digitale ha abbassato le soglie di accesso all’audiovisivo. L’effetto positivo edimmediato è che la carta e la penna sono accessibili a tutti: poi però l’opera di alfabetizzazione deve ancora incominciare”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

13 Alcuni cineasti si sono espressi con entusiasmo nei confronti della “democratizzazione” che sarebbe concessadalle nuove tecnologie: citiamo su tutti Francis Ford Coppola, che affermò, non si sa se per provocazione o peringenuità: “Per me la grande speranza è che con queste piccole telecamere, questi apparecchietti che abbiamooggi, tutti comincino veramente a fare cinema. Magari un qualsiasi bambino farà un bellissimo film con lavideocamera di papà, e finalmente il cosiddetto “professionalismo” del cinema verrà distrutto per sempre, e ilcinema diventerà una forma d’arte. Questa è la mia speranza”.

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Da un punto di vista formativo è innegabile l’importanza di valorizzare queste figureibride come profili di riferimento: il potenziale didattico che si sviluppa a partireda una figura policompetente, è fortissimo, anche per chi si specializzerà e andràa ricoprire una singola mansione in realtà strutturate; ma con la consapevolezzadelle problematiche tipiche di tutti i ruoli produttivi implicati, e quindi con maggiorrispetto della professionalità altrui.

Tra i fautori di queste nuove figure, c’è chi pone l’accento sulla possibilitàdell’”autore” di essere completamente autonomo, e quindi di poter, soprattutto incondizioni estreme (ad esempio in guerra, per interviste “rubate” o a personaggiparticolari), realizzare immagini che una troupe televisiva professionale nonsarebbe in grado di carpire: l’autore sarebbe addirittura in grado di imporre unasua lettura personale, anche dal punto di vista linguistico, individuando una nuovaestetica, a volte forse più “sporca” ma anche più personale e meno standardizzata.Il videomaker free lance poi, spesso un outsider anche dal punto di vista organizzativo ed economico, fuori dall’establishment, sarebbe in grado di produrreprodotti giornalistici svincolati da logiche aziendaliste: è questa ad esempio laposizione di una giornalista come Milena Gabanelli, autrice di “Professione reporter”prima e di “Report” poi, e madrina del videogiornalismo, a cui dedichiamo il Focusdi questo capitolo. Naturalmente non tutti si sono schierati a favore: tra le loroargomentazioni citiamo la necessità di una maggiore pulizia di immagine, e ilrispetto delle singole professionalità consolidate.

Interessante valutare come queste nuove figure siano lette e interpretate: secondoalcuni analisti l’aggiunta di competenze è più che altro un aggravio di compiti, unampliamento della sfera di attività (si tratterebbe in questo caso di “job enlargment”,un allargamento in orizzontale della mansione, che implica semplicemente il pas-saggio ad un’altra fase della catena di montaggio); secondo altri si tratta di unvero e proprio “job enrichment”, che consente di sviluppare la mansione in verticale, acquisendo anche l’assorbimento di compiti superiori, e quindi maggiorediscrezionalità e autonomia. (Costa 1997).

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A fronteggiarsi sono un modello produttivo di tipo “artigianale”, in cui una figuraè in grado di realizzare in autonomia tutte le fasi realizzative di un artefatto (comunicativo, in questo caso), contro un modello “industriale”, in cui l’organizzazionedel lavoro esige una rigida divisione di compiti e un’elevata specializzazione. Nonnecessariamente “artigianato” significa low cost e marginalità, e “industria”significa grandi produzioni di ampio respiro: ad esempio può essere considerato“artigianale” il processo produttivo del documentario e dell’inchiesta/reportage,ma anche una miniserie ad alto budget, in cui poche figure decisionali (ad es. unregista co-sceneggiatore e un produttore creativo) assommino la responsabilitàeditoriale; viceversa può essere considerata “industriale” la produzione ripetitivae ottimizzata di un game show televisivo di centinaia di puntate, come di unasoap-opera. Naturalmente al termine “artigianale” assegniamo in questo contestol’accezione più nobile del termine, che risiede nella possibilità di un lavoratoreaudiovisivo di padroneggiare l’intera autorialità del prodotto. 14

Arricchimento di mansione nelle figure ibride

Mansione C

Mansione A Mansione B

Jobenrichment

Job enlargment

Fonte: Labmedia, 2006

14 Ci limitiamo a citare il concetto di bottega artigiana rinascimentale a cui si rifaceva Roberto Rossellini, quando,dirigendo il Centro Sperimentale di Cinematografia, abolì la dizione “diploma di regia” in favore di una figura di“operatore della comunicazione”, una sorta di comunicatore multimediale ante litteram, che superava i confinidi ruolo e i confini dei media e i confini tra ambito artistico e tecnico, per lui inesistenti.

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Il programma sperimentale “Professione Reporter” nasce su Rai2, dal 1994 al1996, nell’ambito della struttura Format di Giovanni Minoli. Già nell’ambito diquesto programma, la conduttrice e autrice Milena Gabanelli esplicitava spessoquella che si potrebbe definire come l’etica e l’estetica del videogiornalismo.I motivi della scelta dei “mezzi di produzione leggera” erano:

• di ordine economico, sia per il minore costo del mezzo, sia per la riduzione delnumero di persone coinvolte nella realizzazione dell’inchiesta, visto soprattuttoche si trattava spesso di trasferte estere e comunque di lunghi periodi di preparazione;

• di ordine logistico: un mezzo di piccole dimensioni, poco visibile e poco ingombrante, permette di accedere rapidamente e informalmente a situazioni,alle quali una troupe ufficiale non avrebbe accesso; e consente di realizzare interviste che beneficiano del clima di intimità e coinvolgimento proprio delrapporto interpersonale;

• infine, di ordine linguistico, per la possibilità di una scrittura, di uno stile personale, differente dal linguaggio standardizzato e ufficiale della ripresa professionale . 1

Come si legge dal sito (www.report.rai.it) del programma “Report”, che nascerà nel1997 come naturale evoluzione di “Professione reporter”:

“ Si tratta di un rotocalco di informazione che propone un cambiamento di metodorispetto al giornalismo tradizionale: il videogiornalismo. Milena Gabanelli, autricedel programma, dà spazio e tempo a tutti i freelance che lavorano con la propriatelecamera e aspirano ad un giornalismo più impegnato. Invita nel piccolo studio inomi più famosi del giornalismo tradizionale a dibattere su questa nuova frontiera.Il sindacato insorge: vede nel metodo un’arma per la riduzione dei posti di lavoro.Dall’esperienza si forma un gruppo, motivato, determinato, non interessato né allacarriera né ai soldi, con una passione comune: la denuncia. Questo era l’obiettivodella Gabanelli, che li traghetta, l’anno dopo, nel programma d’inchiesta ‘Report’”.

Il modello produttivo di Report:il videogiornalismo

FOCUS

1 Cfr. “Dove non osano i professionisti”, di Giorgio Simonelli e Alessandra Alessandri, in Letture, marzo 1996.

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I videogiornalisti che più stabilmentecollaborano al programma sono: SabrinaGiannini, Giorgio Fornoni, Paolo Barnard,Giovanna Boursier, Bernardo Iovene, StefaniaRimini.

Sempre sul sito del programma si legge, alla pagina“Metodo di lavoro”:

“Il metodo organizzativo di Report non ha nessunmodello di riferimento nei Network nazionali. Unanuova forma di produzione che utilizza in parte i mezziinterni (nell’edizione e progettazione del programma) ein parte quelli esterni (la realizzazione delle inchieste)

scavalcando la forma dell’appalto, pur mantenendone le caratteristiche. Unarazionalizzazione del lavoro che rende l’intero programma economicamente competitivo. La caratteristica di “Report” è quindi a tutti gli effetti una produzioneinterna ridotta al minimo: 3 persone di redazione che fanno da supporto e da tramite fra gli autori, che realizzano le puntate, e l’Azienda, in tutti gli aspettiburocratici e di controllo sulla qualità dei contenuti. Gli autori sono freelance, cheautoproducono la loro inchiesta (cioè la realizzano con la loro videocamera, si paganole spese, la montano nel loro luogo di residenza), con la costante supervisione dell’autore della trasmissione, e infine la vendono alla RAI; senza che in mezzo cisia l’intermediazione di una società. L’abbattimento dei costi e la libertà di azionedei videogiornalisti permette di lavorare anche 3 o 4 mesi su ogni singola inchiesta”.

“Report” si è aggiudicato numerosi premi, anche di livello internazionale (tra cui treedizioni del premio Ilaria Alpi, il prestigioso Festival di Banff, due Premi Regia televisiva come programma dell’anno), e “vanta” altrettante cause, per varie puntateaccompagnate da polemiche di vasta eco.

La qualità delle sue inchieste, come riconosciuto anche dagli osservatori inizialmentepiù scettici, è superiore a quella di qualsiasi testata giornalistica nazionale, dotatadi ben maggiori mezzi: è forse proprio il fatto di nascere in una nicchia inizialmentepoco visibile, che le ha consentito di svilupparsi, e, grazie alla credibilità raggiunta,di raggiungere importanti riconoscimenti di pubblico e critica.

FOCUS

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Il programma vanta infatti buoni risultati d’ascolto anche in primetime, dove supera abbondantemente la media di rete. I dati sullacomposizione psicografica del pubblico confermano come il programma riescaa raggiungere il pubblico tradizionalmente più refrattario al mezzo televisivo(come Impegnati, Arrivati, Organizzatori, Delfini, su cui vanta indici di concentrazioneelevatissimi 2), collocandosi in termini di mappa delle correnti socioculturali, nel qua-drante di Sud-Ovest, tra la dimensione dell’apertura all’ innovazione e quella dell’a-pertura sociale (insieme a pochi programmi come “Blob”, “Passepartout”, “Chetempo che fa”) . 3

Interessante notare anche come, nonostante si tratti di inchieste giornalistiche equindi su temi di attualità, il loro valore di approfondimento consenta di valorizzareil programma con sfruttamenti tradizionalmente riservati a generi “di stock” (adutilità ripetuta, come film e fiction internazionali) e non “di flusso” (ad utilità immediata,come l’intrattenimento leggero e le hard news): citiamo ad esempio lo sfruttamentohome video, che testimonia come il programma sia entrato a far parte della“library” RAI che costituisce un valore duraturo, di autentico servizio pubblico. 4

FOCUS

2 Cfr. dati Sinottica Eurisko in www.sipra.it.3 Ricordiamo che la mappa 3SC di GPF & Associati colloca le correnti socio-culturali in due assi: tradizione vs

innovazione (Est-Ovest), e Orientamento all’Individuo vs Orientamento alla Società (Nord-Sud): la maggior partedegli spettatori della televisione generalista si colloca in un’area valoriale di Nord-Est, mentre il quadrante Sud-Ovest viene raggiunto più spesso da pubblici di nicchia e da media non generalisti.

4 “Report” è stato recentemente commercializzato in forma di Dvd-libro, nella collana Bur senza Filtro, in collaborazione con RAI Trade.

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PARTE TERZA

GLI STEP DI INSERIMENTODEL LAVORATORE

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06LA FORMAZIONE

Il capitolo indaga il rapporto tra occupazione nel settore audiovisivo e formazionedei lavoratori. Presentiamo, innanzitutto, la nostra elaborazione di un censimentodell’offerta formativa lombarda nell’ambito audiovisivo, illustrando in sintesicaratteristiche e criticità delle molteplici tipologie di corso individuate: i corsi diLaurea, triennale e specialistica, i Master, universitari e non, i corsi professionali.Riportiamo, quindi, le percezioni e le valutazioni espresse dalle aziende audiovisivelombarde e dai lavoratori in merito all’offerta formativa esistente sul territorio.Il capitolo si chiude con la proposta di alcune linee-guida per interventi diottimizzazione dell’offerta formativa.Il focus è dedicato ai corsi europei del Programma Media, esemplificati dai casiEurodoc e Eave.

di Chiara Valmachinocon Francesca Borghi

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Un viaggio nell’offerta formativa per il settore audiovisivo deve seguire due stra-de: quella della formazione iniziale, rivolta agli aspiranti lavoratori; quella della for-mazione continua, che, in un’ottica di lifelong learning, si rivolge ai lavoratori incerca di riqualificazione o specializzazione 1. Queste due direttrici della formazio-ne si sono mantenute a lungo, nel nostro Paese, nettamente separate; tuttavia,nel campo dell’audiovisivo come in molti altri settori, è diventato più arduo, negliultimi anni, operare distinzioni nette. Pensiamo, ad esempio, al sistema universitario italiano, che a partire dalla finedegli anni ’90 è stato interessato da una serie di interventi riformatori (compiuti-si con l’entrata in vigore del regolamento in materia di autonomia didattica degliatenei - D.M. 509/99), di cui l’articolazione degli studi su più livelli tra loro inte-grati (il cosiddetto modello “3+2”) e l’introduzione del sistema dei crediti rappre-sentano gli aspetti salienti e più noti alla pubblica opinione (Censis 2005). Tra lenovità, sono stati introdotti meccanismi di conversione delle esperienze profes-sionali in crediti formativi: con il progetto “Laureare l’esperienza”, molte univer-sità costruiscono oggi percorsi formativi personalizzati, che tengono in considera-zione, nell’attribuzione dei crediti, la formazione e l’aggiornamento on the job el’esperienza lavorativa precedente dello studente. 2

Più in generale, in un mercato del lavoro in cui l’inserimento lavorativo è incertoe segue percorsi tortuosi (cfr. capp. 7 e 8), anche corsi post-Laurea di formazio-ne permanente, di perfezionamento e di alta formazione possono attirare Laureatiin cerca di prima occupazione 3; a loro volta, i Master, anziché fungere da porta diaccesso per l’occupazione, diventano sempre più spesso occasioni di genericoapprofondimento culturale senza sbocchi professionali.

6.1 Il censimento dell’offerta formativa per l’audiovisivo in Lombardia

1 L’Unione Europea punta in modo particolare sulla formazione continua, in un contesto di invecchiamento dellapopolazione e di prolungamento della vita attiva: gli obiettivi di Lisbona (fissati nel 1997) prevedono per i Paesimembri il raggiungimento entro il 2010 del 12,5% di persone coinvolte in attività di istruzione e formazione,rispetto al totale della popolazione in età compresa tra i 25 e i 64 anni. Va detto che l’Italia, con un 6,3% diquota di popolazione adulta in formazione, è ancora ben lontana dal raggiungimento di questo obiettivo (Censis2005).

2 Sulle contraddizioni del sistema e sulla discrezionalità nell’attribuzione dei crediti, si rimanda all’inchiesta diGiovanna Boursier “Regalo di Laurea”, Report 28/5/2006 (trascrizione integrale al sito www.report.rai.it). Ilprogetto, tra l’altro, ha interessato anche l’Ordine del giornalisti, che ha stipulato convenzioni con cinque università: Lumsa di Roma, Università di Torino, Chieti, Cassino e Bari.

3 Il Corso di Perfezionamento in Media Education gestito dal Servizio Formazione Permanente dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore di Milano, per esempio, dichiara di rivolgersi a “Laureati che intendono acquisirecompetenza professionale nelle Scienze della Formazione e della Comunicazione […]; docenti e dirigenti dellascuola primaria e secondaria; operatori e coordinatori di strutture educative extra-scolastiche; operatori deimedia nel settore educational dell’editoria e della Tv per ragazzi”.

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Per il settore audiovisivo, l’offerta formativa iniziale e continua, in Lombardia, èmolto ampia: la fase preliminare della nostra ricerca ci ha permesso di censireben 171 corsi attivi nel 2005, tra Corsi di Laurea, Master e corsi/scuole professionali 4.

L’offerta formativa per il settore audiovisivo in Lombardia

Fonte: Labmedia (corsi attivi nel 2005)

Il nostro censimento è stato costruito consultando i database di diverse fonti online, nazionali e regionali, a partire dal Ministero dell’Università e della Ricerca,che ogni anno rende disponibili i dati sugli iscritti di tutti gli atenei pubblici eprivati, suddivisi per corso di Laurea 5. Una ricerca per parole-chiave ha consentitodi individuare i corsi inerenti il settore comunicazione, media e spettacolo.Depurando l’elenco dai corsi che dichiaravano di formare figure professionaliestranee al settore audiovisivo 6, abbiamo invece compilato, per tutti i corsi dinostro interesse, una scheda riassuntiva, sottoposta infine per la validazione e ilcompletamento delle informazioni ai responsabili degli enti formativi stessi 7.

4 Nel nostro censimento non entrano scuole superiori specifiche per l’audiovisivo, perchè l’unica esistente è aRoma: l’Istituto Tecnico “Rossellini” per le Arti e i Mestieri è l’unica scuola statale tecnica in ambito audiovisivo inItalia. È attiva da 45 anni (è nato nel 1961, come Istituto di Stato per la Cinematografia Scientifica e Educativa,negli ex stabilimenti Ponti-De Laurentiis) e oggi ha 1000 allievi, 120 docenti, 2 teatri di posa. Il percorso di studioè quinquennale, e prevede moduli specifici finali (es. ripresa subacquea e steadycam).

5 Le fonti utilizzate per il censimento sono state: per le Università il sito del Ministero dell’Università e dellaRicerca (www.miur.it), per i Master www.masterin.it www.cestor.it, www.asfor.it, www.guidamaster.it; per lescuole e i corsi professionali www.jobtel.it; www.lombardiaspettacolo.com, www.comune.milano.it; per i corsiFSE www.regionelombardia.it.

6 La cernita dei corsi “per l’audiovisivo” è stata complessa, soprattutto riguardo all’offerta degli atenei. Ciò perdiversi motivi, come la frequente laconicità delle descrizioni disponibili e la genericità di alcuni profili professionaliin uscita, desumibili dalle indicazioni degli enti.

7 Si rimanda al censimento dell’offerta formativa riportato in appendice e, per le schede analitiche dei corsi, alsito www.tvjob.it.

Tipologia di corso Numero di corsi % sul totale corsi censiti

17

13

12

16

109

4

171

Corsi di Laurea triennale

Corsi di Laurea specialistica

Master universitari

Master non universitari

Scuole e Corsi professionali

Alta formazione

Totale

10

8

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9

64

2

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Il censimento così costruito ha fotografato una realtà eterogenea, fatta di tipologiedi corso, di problematiche e di questioni molteplici, che presentiamo, per sommicapi, nelle prossime pagine.

6.1.1 I corsi di Laurea

Tra i corsi di Laurea degli atenei pubblici e privati presenti sul territorio lombardo,erano attivi nel 2005 17 corsi di Laurea triennale e 13 di Laurea specialistica inte-ressanti l’ambito della comunicazione massmediale, e quindi anche audiovisiva. 8

La maggioranza dei corsi (il 33% del totale) afferiscono alla classe di Laurea 14,in Scienze della Comunicazione; seguono (ognuno con il 13% del totale) i corsinell’ambito della classe 73/S in Scienze dello Spettacolo e della ProduzioneMultimediale; e della classe 17 in Scienze dell’economia e della gestione azien-dale. Si fa anche lentamente largo l’idea che l’audiovisivo sia un settore di studitrasversale e interdisciplinare: il 20% dei corsi di Laurea censiti sono, infatti, corsiinterfacoltà. 9

La riforma dei cicli universitari è entrata in vigore dall’anno accademico 2001-2002; il nuovo ordinamento si sta ormai consolidando, con i primi Laureati chehanno completato il ciclo della Laurea triennale, e con un’offerta sempre più

8 I corsi inerenti l’area audiovisiva rappresentano, numericamente, il 5% del totale, sia di tutti i corsi universitaritriennali attivi in Lombardia (327) che di quelli specialistici (259 in totale).

9 Le più frequenti collaborazioni tra Facoltà sono: Lettere e Filosofia + Economia; Lettere e filosofia + ScienzePolitiche; Psicologia + Scienze della Formazione; Giurisprudenza + Economia.

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articolata di Lauree specialistiche (ora magistralis) e di corsi post-Laurea.Secondo le stime nazionali del Censis, rispetto all’autonomia delle Universitàsembrerebbe oggi in declino la spinta alla competitività tra atenei, che ha caratterizzato i primi anni della riforma (anche se le spese in pubblicità dellenostre Università sono cresciute in totale del 221% nell’ultimo anno). Nel nostrosettore di interesse, tuttavia, è stata abbastanza costante, negli anni successivialla riforma, la “fioritura” di nuovi corsi: il 30% delle Lauree triennali è nato dopoil 2003; 2 nuovi corsi sono stati inaugurati nello stesso 2005. Per quanto riguarda,poi, le Lauree specialistiche, il 40% circa dei corsi considerati è attivo solo dal 2004.Per quanto riguarda gli enti erogatori, si nota che tutti gli undici atenei 10 del capoluogolombardo, secondo strategie e declinazioni differenti, offrono corsi che afferisconodirettamente o indirettamente al settore della comunicazione mediale e quindianche audiovisiva.Nel solco della continuità con la propria storia (forse più che dell’innovazione) sicollocano i corsi dell’Università Cattolica, dove già negli anni ’40 del secolo scorso“lo storico del Teatro Mario Apollonio, mosca bianca in un mondo che distavadallo spettacolo come la terra dalla luna, aprì agli insegnamenti del teatro, delcinema, dei linguaggi di massa” (Ferrari 2002), e dove quindi c’è una lunga tradizionedi studi in “Comunicazioni Sociali”. Per quanto riguarda IULM, l’Università è addirittura “rinata” nel 1998 (dopo unatrentennale storia come Istituto Universitario di Lingue Moderne) con il nome di“Libera Università di Lingue e Comunicazione”, sottolineando questa secondacomponente come fondante.

10 È stata esclusa dal censimento solo la Libera Università Vita e Salute del S. Raffaele, che pur offre dal 2005 un corso in Scienze della Comunicazione, ma le cui figure in uscita sembrano essere sostanzialmente estraneealle professioni dell’audiovisivo e più orientate alla comunicazione di impresa.

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L’Università Commerciale “Luigi Bocconi” e il Politecnico, nel campo della comunicazione e dell’audiovisivo, si sono conquistati settori di nicchia per la lorocongenita specializzazione e per la mancanza di concorrenti sul mercato; maanche, come vedremo, per la capacità di rispondere a precise richieste del mercatoprofessionale. Il Politecnico offre il corso triennale e magistrale in Design dellaComunicazione (insieme al Master in Movie Design), integrati nella facoltà diDesign 11 e nel consorzio Poli.Design (fondato nel 1999 da Alberto Seassaro), chefunziona come cerniera tra Università e impresa, tra architettura e ingegneria,“per dare impulso alla professione, alla ricerca e alla creatività” nell’ambito deldisegno industriale. 12

L’Università Bocconi, dal canto suo, è stata la prima ad istituire, nel 2001, il corsodi Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione (CLEACC), con l’intento dicostruire professionalità gestionali, progettuali e imprenditoriali inseribili anchenel settore audiovisivo.

Fuori dal capoluogo, l’offerta formativa universitaria per l’audiovisivo non sembraorganizzata in modo sempre organico e coerente. Da un lato, troviamo a Pavia unpercorso strutturato, che collega il Corso triennale in Comunicazione interculturalee multimediale con quello magistrale in Editoria e comunicazione multimediale (eal Master in Scienza e Tecnologia dei media). Mentre meno organica sembra, peril momento, la proposta didattica delle Università Statali di Bergamo e Brescia, equella (partita nel 2005 e limitata alla Laurea triennale) dell’Universitàdell’Insubria a Varese. 13

I dati sugli iscritti ai corsi di Laurea e, soprattutto, quelli sui diplomati/laureati neicorsi di nostro interesse sono piuttosto incompleti e di difficile interpretazione,soprattutto perché la fase di transizione tra vecchio e nuovo ordinamento non èdel tutto completata; molti corsi sono inoltre avviati da poco tempo, e non hannoancora prodotto laureati. Secondo stime desunte dai dati MIUR, gli immatricolati ai corsi di Laurea triennalelombardi inerenti l’area audiovisiva erano nel 2005 circa 3.200 (con una mediadi circa 190 studenti per corso). 9400 sono invece gli iscritti nel 2005 alle Laureetriennali del settore 14; 1062 gli studenti delle Lauree specialistiche. La media è

11 Il Politecnico è stato il primo ateneo italiano a inaugurare, nel 1993, il corso di Disegno industriale.12 www.polidesign.net 13 Il corso di Scienze della Comunicazione a Varese è inserito addirittura nella facoltà di Scienze matematiche,

fisiche e naturali. 14 Il dato riguarda il 94% dei corsi censiti; i corsi restanti non hanno comunicato al MIUR i dati aggiornati sugli

iscritti.

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di 587 studenti per corso nelle Lauree triennali; ma decresce nettamente a 95,5nelle specialistiche (anche per la presenza di numeri chiusi più restrittivi che inaltri settori). Non si può tuttavia dedurre se la maggioranza degli studenti si fermiabitualmente alla Laurea triennale o scelga altri percorsi di formazione: come giàsi è detto, bisognerà attendere qualche anno, con la stabilizzazione dei corsi attivie l’uscita di un numero consistente di studenti dalle Lauree triennali, per valutare afondo le tendenze in atto. Si noti tuttavia che, a livello nazionale, i 284 Presidi difacoltà recentemente intervistati dal Censis, denunciando una “liceizzazione” deicorsi di Laurea triennali, prevedono che dopo il triennio la maggioranza degli studentisi iscriverà a corsi di Laurea specialistici; questo passaggio in blocco rappresenterebbeun sostanziale fallimento della riforma dei cicli, incapace di produrre figure professionali di livello differenziato, ma comunque recepibili dal mercato.

6.1.2 Al supermercato dei Master

L’offerta di Master per il settore audiovisivo, in Lombardia, ne comprende 12universitari promossi da 7 diversi atenei, e 16 promossi da 6 diversi istituti privatinon universitari. 15

Dai dati a disposizione - spesso incompleti - si ricava l’impressione che,nell’ambito della comunicazione audiovisiva come del resto in tutti gli altri settori, icorsi post-Laurea abbiano avuto un repentino sviluppo dal 2002 in avanti.Secondo il rapporto 2005 del consorzio interuniversitario AlmaLaurea, a un annodalla conclusione degli studi, la partecipazione ai Master riguarda il 17% dei lau-reati.La riforma dei cicli universitari ha permesso agli atenei di erogare direttamenteMaster - ovvero corsi che dovrebbero rispondere a questa definizione: “corsi professionalizzanti che consentano con una metodologia all’avanguardia diampliare le conoscenze e le competenze dello studente, in un campo ristretto egià conosciuto” (Rosa 2005), della durata minima di un anno, e per un minimo di60 crediti formativi. Criteri ancora più restrittivi per la definizione di Master sono introdotti da ASFOR,l’Associazione Italiana per la Formazione Manageriale, che distingue i Masteraccreditati dalla “miriade di programmi, spesso della durata di pochi giorni e con

15 In Italia i Master attivi nel 2005 erano 1500. Si tenga conto che, secondo l’Osservatorio del Corep, il 58% deiMaster si concentra nel Nord del Paese, soprattutto in Lombardia e in Emilia Romagna.

16 Asfor, nata nel 1971, ha tra i suoi obiettivi quello di qualificare l'offerta di formazione manageriale, adattandolacontinuamente alla dinamica della domanda. Ha avviato nel 1989 il processo di accreditamento dei programmiMaster, ponendosi l'obiettivo di stimolare un processo di continuo miglioramento qualitativo, di autodisciplina e

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contenuti estremamente ridotti e specialistici, che pure sono presentati sul mer-cato con la denominazione Master”. 16

I corsi universitari post-Laurea raccolgono oggi in Italia, dalle iscrizioni dei partecipanti, finanziamenti pari a 101 milioni di euro; quelli non universitari arrivano a 87 milioni di euro. L’82% dei Master universitari da noi censiti costapiù di 5.000 euro annui, e il costo medio è di 6.568 euro, ben di più del costomedio (2.800 euro) calcolato dal Consorzio per la ricerca e l’educazione permanente(Corep) su tutti i Master Universitari attivi nel Nord Italia. Ancora maggiore sembral’impegno economico richiesto a chi si iscrive a un Master non universitario: inmedia il costo è di 8936 euro all’anno.L’offerta censita è molto eterogenea dal punto di vista della durata, che varia dai6 ai 24 mesi. I Master universitari censiti sono pressochè tutti di primo livello,ovvero richiedono come requisito per l’iscrizione il possesso della Laurea triennale;fa eccezione solo il corso post-Laurea specialistica della Bocconi in Managementper lo spettacolo (MASP), unico caso di Master universitario post-experience, cherichiede cioè ai candidati una pregressa esperienza lavorativa.Ben 9 cosiddetti “Master”

17sui 16 erogati da enti privati non universitari - i quali

non sono sottoposti, in materia, a vincoli di legge e non danno titoli di studio legalmente riconosciuti (Rosa 2005) - richiedono ai partecipanti solo il diploma discuola superiore; gli altri accolgono comunque tra i corsisti anche Laureandi olavoratori. A livello nazionale, molti osservatori - come l’Asfor, l’associazione nazionale checertifica le scuole di business, o il consorzio interuniversitario AlmaLaurea -denunciano la presenza di un “supermercato” della formazione, in cui mancanocriteri di valutazione standard, e i “bollini di qualità” necessari agli studenti perorientarsi. Tra i criteri-guida per la valutazione della qualità suggeriti dal Corep, ci sarebbeper esempio il collegamento del corso con il sistema economico, ovvero la part-nership con aziende. 3 Master universitari su 12 censiti (il 25% del totale) noncitano alcuna partnership con aziende nella propria comunicazione esterna. Lo

di maggiore trasparenza nel mercato della formazione manageriale. Asfor distingue, con criteri differenti, tretipologie di Master: in General Management, in Business Administration, Specialistici. Citiamo ad esempio i criteri fondamentali di accreditamento Asfor per i Master specialistici: un numero tra i 15 e i 60 Laureati comepartecipanti, 1200 ore di didattica (di cui almeno 600 di metodologie strutturate, e almeno 120 di testimonianze/visite aziendali), una Faculty interna di docenti, a loro volta in possesso di requisiti di esperienza epresenza in aula, infrastrutture adeguate (un’aula per attività di gruppo ogni 6/8 allievi, biblioteca, ecc), e infineun placement efficace (quantificato in almeno l’80% di occupati entro 6 mesi dal termine del corso).

17 Si tratta degli 8 corsi offerti da International School of Cinema and Television (non più attivati nel 2006) e delcorso in Multimedia e Web design della Scuola Politecnica di Design di Milano.

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stesso vale per un terzo degli enti impegnati nell’erogazione di Master non univer-sitari. Infatti non molto diffusa è la prassi di organizzare Master in collaborazionetra un ateneo e un’azienda, nell’ottica di un bilanciamento tra qualità della supervisione scientifica e concretezza del legame con il sistema economico. Sipossono citare, a titolo di eccezione, l’esperienza del Consorzio Campus, chenasce dalla collaborazione tra il gruppo Mediaset e l’Università IULM (che nel2005 ha proposto, tra le altre iniziative 18, il Master biennale in Giornalismo, equello annuale in Management multimediale), e alcuni Corsi di Alta formazionedella Cattolica 19. Anche la dimensione internazionale è carente; solo uno dei Master universitaricensiti è svolto in partnership con una università straniera (si tratta del Master inComunicazione e Formazione dell’Università Cattolica, realizzato in collaborazionecon l’Università degli Studi di Lugano e organizzato con un’alternanza di lezioni inpresenza e a distanza dalle due sedi). Un’apertura internazionale, intesa in questocaso come attenzione a livellarsi con gli standard qualitativi della Formazioneeuropea, è espressa inoltre dal Master internazionale in Scienze e Tecnologia deimedia, promosso dalla Scuola Europea di Studi Avanzati ESAS dell’Università diPavia, e giunto nel 2005 alla nona edizione.

6.1.3 Scuole e corsi professionali

Esistono nella Regione Lombardia 7 scuole che nel 2005 gestivano 30 corsi dispecializzazione professionale nel settore audiovisivo: si tratta di corsi post-diplomao post-Laurea triennale (tranne l’Istituto Carlo de Martino, con il suo corso di giornalismo rivolto a persone in possesso di Laurea magistralis). Tra gli enti cheerogano i corsi, si riconoscono molti soggetti saldamente inseriti nel territorio enella tradizione culturale lombarda. Le storiche fucine del talento artistico milane-se, ovvero l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’Accademia di Arti e Mestieri dellaScala, hanno per esempio una propria offerta formativa rivolta alle professionicreative dello spettacolo: scenografi, costumisti, ma anche artisti multimediali.Da citare, inoltre, per il rapporto di lunga data con il territorio, anche la Scuola diCinema, Comunicazione, Televisione e Nuovi Media, uno dei quattro indirizzi delleScuole Civiche Milanesi. Già Scuola delle Tecniche cinetelevisive, è nata a metà

18 All'interno dell'offerta formativa del Campus Multimedia In.Formazione, consorzio fondato dall'Università IULMe da Mediaset, si colloca anche il MIRFA (Master in Investor Relations e Financial Analysis).

19 A febbraio 2006, per esempio, si è svolto il corso intensivo “La produzione nel cinema di animazione”, rivoltoa laureandi, laureati ed ex corsisti del Master in Scrittura e Produzione per la fiction e il cinema; il corso eraorganizzato dal Servizio Formazione Permanente dell’Università e dalla casa di produzione milanese di animazione Demas & Partners.

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degli anni Cinquanta come corso serale privato di cinema, su iniziativa di RenatoSpezzo; sostenuta economicamente, in una prima fase, dalla Provincia di Milano,è passata al Comune negli anni ‘80 20: attualmente è diretta dal produttore cinematografico Daniele Maggioni. L’offerta delle Scuole Civiche prevede corsicurriculari e corsi di approfondimento diurni e serali, con un modello flessibile diformazione continua, adatto alle esigenze di chi è già occupato. Di consolidata tradizione in Lombardia, infine, l’Istituto per la Formazione alGiornalismo Carlo De Martino, che, attraverso l’Associazione senza scopo di lucro“Walter Tobagi”, da ben ventinove anni propone un biennio di formazione al gior-nalismo per 40 studenti, che sostituisce il praticantato in redazione e dà cosìaccesso alla professione giornalistica 21.Un segnale della crescente centralità della Regione Lombardia nel panoramaaudiovisivo è dato invece dalla scelta di decentramento della Scuola Nazionale diCinema, ex Centro Sperimentale di Cinematografia, storica istituzione formativanata a Roma nel 1935, che dal 2004, ha aperto un suo Dipartimento inLombardia. L’iniziativa ad oggi più importante del Dipartimento lombardo é un“Laboratorio avanzato di creazione e produzione fiction per sceneggiatori e pro-duttori creativi”, con la direzione didattica di Milly Buonanno, fondatricedell’Osservatorio sulla Fiction italiana, e una équipe di sceneggiatori e produttoriitaliani e stranieri come docenti. 22

Nel panorama delle scuole professionali un’eccezione è costituita dall’IstitutoEuropeo di Design, che punta non tanto sulla tradizione formativa e sul radica-mento territoriale, quanto piuttosto sulla struttura a network delle sue sedi dislo-cate in Italia e in Spagna, e sulla flessibilità dell’offerta iniziale e continua, arti-colata in corsi triennali, Master, corsi serali e moduli di specializzazione. I rilevan-ti investimenti pubblicitari di IED cercano di identificare il “marchio IED” con l’i-dea di una didattica non convenzionale, creativa, all’avanguardia.

20 Oggi le Scuole Civiche milanesi operano come Politecnico della cultura, delle arti e della lingua; il Comune, dal2000, ha scelto il modello giuridico della Fondazione di Partecipazione, conservando solo funzioni di indirizzo econtrollo sull'attività svolta.

21 Le scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine dei Giornalisti sono diciannove in tutto il territorio nazionale,di cui quattro a Milano. Oltre all’Istituto De Martino ci sono infatti anche il Master di Giornalismo a stampa eradiotelevisivo dell’Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo dell’Università Cattolica; il Master biennale di Giornalismo dell’Università Statale di Milano (Master universitario interfacoltà, attivo da settembre2006); e il Master biennale di Giornalismo Iulm.

22 Per l’anno 2006 sono stati pubblicati anche i bandi per il “Laboratorio avanzato di Regia di Cinematografiaindustriale e Pubblicità”, che intende coniugare la memoria storica della Cineteca Nazionale del Cinemad’Impresa con sede a Ivrea, con la realtà lombarda e europea dell’industria.

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Non abbiamo a disposizione dati circa l’effettiva ricaduta delle scuole professionaliin relazione all’inserimento degli studenti nel mercato del lavoro: come per iMaster e le Università, non esiste purtroppo un monitoraggio sistematico diquesto aspetto da parte degli enti di formazione. 23

La stessa carenza di dati si riscontra in relazione al costo dei corsi; le informazionidisponibili riguardano 16 corsi sui 30 attivi, e il costo medio risulta di 2.230 europer anno (oscillante tra i 1200 euro annuali delle Scuole Civiche e i 6.400 dialcuni corsi dello IED).

Sebbene il discrimine sia piuttosto labile, abbiamo tentato di distinguere, nel censimento dell’offerta formativa, le scuole professionali - istituti di formazionestrutturati per mission, organizzazione e linee didattiche, che con cadenza regolareattivano corsi professionali nel settore della comunicazione - dai corsi professionali,erogati in maniera sporadica da enti solo occasionalmente impegnati nel settoredei media (e dell’audiovisivo). Su questo secondo versante l’offerta èestremamente variegata: si contano infatti in Lombardia 79 corsi professionaligestiti da 30 enti, in maggioranza enti privati e associazioni culturali (tranne casicome la Fondazione Film Commission della Regione). Solo 3 dei 30 enti censiti

23 Ci sono, al più, iniziative di singoli enti: un'indagine commissionata dalla Fondazione Scuole Civiche di Milano alla società SWG e citata nella brochure di presentazione della scuola, ha concluso per esempio che, tra i diplomatidell'anno 2002/03, il collocamento nei primi sei mesi è stato pari al 75% (non è chiaro tuttavia se ci si riferiscesolo agli studenti disoccupati, visto che i corsi di comunicazione sono in parte corsi serali di formazione continuaaperti anche a lavoratori occupati).

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si trovano fuori dal Comune di Milano. Nell’estrema varietà dei corsi censiti - per durata, finalità, costi, requisiti di partenza degli studenti - dedichiamo una particolare attenzione, in queste righe,a quelli finanziati dal Fondo Sociale Europeo, che (con il consistente numero di53 corsi attivi nel 2005) costituiscono ben il 64% dei corsi professionali individuati.Gli obiettivi espliciti del Fondo Sociale Europeo, fissati nel Quadro comunitario disostegno per l’Obiettivo 3, da attuare con l’erogazione di corsi frequentabili gratuitamente, sono così definiti:

• incremento dell’occupabilità dei soggetti in età lavorativa;• promozione dell’integrazione nel mercato del lavoro di persone a rischio di

esclusione sociale;• sviluppo di un’offerta di istruzione, formazione professionale e orientamento

che consenta percorsi di apprendimento per tutto l’arco della vita; • sostegno alle politiche di flessibilizzazione, alla promozione di competitività

e di imprenditorialità;• miglioramento dell’accesso, della partecipazione e della posizione delle

donne nel mercato del lavoro.

Gli unici dati finora disponibili circa le realizzazioni e le performance dei corsi FSEa livello nazionale non sono aggiornati, visto che si riferiscono al periodo 1994-1999 (ISFOL 1991). Per dare un’idea dell’ordine di grandezza del fenomeno,possiamo dire che in quel lasso di tempo erano state approvate e sostenute,nell’area Centro Nord dell’Italia, 48.169 azioni formative (e 1728 non formative),con 790.000 allievi e un impegno finanziario pari a 6030 miliardi di lire. Venendoai dati piu’ recenti, sappiamo che nel 2005 sono stati 1339 i corsi FSE attivatinella sola Lombardia; quelli sull’audiovisivo rappresentano sul totale poco meno del 4%. Non ci sono purtroppo dati aggiornati circa l’effettiva occupabilità dei soggetti formati dai programmi FSE, né in generale né tanto meno in settori occupazionali specifici. Sulla base delle prime valutazioni degli esiti di chi, nel2000-2001, ha frequentato nel Centro-Nord corsi di formazione finalizzati all’occupabilità, gli interventi di formazione mostrano in generale “un certo gradodi debolezza nel superamento dei vincoli e dei fattori che caratterizzano i mercatidel lavoro” (Censis 2005). A un anno dalla conclusione dei corsi, il 68% dei partecipanti si dichiarava occupato; tuttavia, il dato analizzato segnala un rafforza-mento delle chances occupazionali per i segmenti più forti: i tassi d’inserimento,e la coerenza dell’occupazione conseguita rispetto al corso frequentato, risultavanoinfatti molto più alti della media per i giovani in possesso di un titolo di studio elevato.

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Andrea Marcotulli, Direttore Generale di ANICA, ipotizzava nel 2002 una stretta relazione tra domanda di formazione delle aziende audiovisive e offerta formativa.Tre sarebbero state in Europa, negli ultimi 20 anni, le fasi nell’evoluzione delladomanda di formazione (Marcotulli 2002). In un primo tempo, l’esigenza di formazione era avvertita solo dalle imprese audiovisive tradizionali, in relazione aprofessionalità già esistenti e ad ambiti aziendali classici, quali l’amministrazione,il marketing, l’area sindacale; la risposta giungeva dal mondo universitario,adattando nozioni e schemi nati per essere applicati ad altri settori merceologici,soprattutto dell’industria secondaria. Nella seconda fase, tipica degli anni ’90, l’esigenza di formazione fu avvertita anchedalle nuove imprese legate all’innovazione tecnologica e allo sviluppo del mercato:la richiesta, più specialistica rispetto al decennio precedente, riguardava sia lariqualificazione/aggiornamento delle professionalità esistenti, sia la preparazionedi nuove figure altamente qualificate (soprattutto nell’ambito della gestione deidiritti e della distribuzione sui nuovi media). La risposta confezionata dalleUniversità consisteva soprattutto nell’organizzazione di Master e corsi di specializ-zazione. Nel contempo, si venivano creando i primi centri di formazione al di fuoridell’Università, soprattutto per rispondere in modo puntuale alle esigenze delleimprese dei new media. Si iniziava, in quell’epoca, a parlare di industria audiovisi-va, e a poggiare l’impostazione della formazione su schemi e modelli nati per l’in-dustria terziaria. Nella terza fase - quella a cavallo del nuovo millennio - sarebbero le nuove impresea condizionare in modo decisivo le caratteristiche della formazione europea, deter-minando le professionalità più ricercate: la formazione difficilmente si collocaall’interno delle aule universitarie, ma è piuttosto appannaggio di centri di forma-zione, spesso organizzati e gestiti dalle imprese stesse. In termini statistici, nei Paesi dell’Unione Europea, fino al 1980 esistevano 20scuole per l’audiovisivo ufficialmente riconosciute dagli Stati (solo il 30% dellequali a indirizzo manageriale o tecnologico); all’inizio degli anni ’90, le scuole (e,in proporzione, la percentuale degli insegnamenti centrati su temi economici,legali-amministrativi e tecnologici) erano più che raddoppiate. Alla fine dell’anno2000 le attività di formazione nell’area manageriale riguardavano il 65% delleazioni complessive (Marcotulli 2002).

Analizzando il nostro censimento dell’offerta formativa, a livello locale (e,ipotizziamo, nazionale) sembra emergere un quadro in controtendenza rispetto aquello europeo. Ci siamo domandati, per esempio, se fosse possibile individuare ricorrenze

6.2 Formare: per quali professioni?

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significative rispetto alle figure professionali in uscita e alle competenze formatedai corsi censiti. Abbiamo deciso di non prendere in considerazione, per questoaspetto, i corsi di Laurea, dando per scontato che la formazione accademica dibase non abbia finalità esclusivamente e strettamente professionalizzanti; nell’ipotizzare figure in uscita e sbocchi occupazionali, i corsi di Laurea sono infattispesso molto generici, e si riferiscono inoltre ad ambiti professionali molteplici.Ciò avviene, in realtà, anche nei percorsi di specializzazione delle Lauree magistrali,che sulla carta dovrebbero garantire maggiore connessione con il mondo professio-nale.Abbiamo incrociato i profili in uscita dei singoli corsi (Master e corsi professionali,come si è detto) con la nostra mappa dei mestieri 24, per analizzare su quali areee ambiti professionali si incentrasse l’offerta formativa. L’analisi dell’offerta, alnetto dei percorsi di Laurea, fa emergere innanzitutto un sovradimensionamentodei corsi per professioni nell’area della “produzione contenuto” (il 78% del totale)rispetto a quelli dell’area “gestione contenuto” 25 (solo il 2%). Il 7% dei corsi formafigure che abbiamo definito “ibride”, mentre per il 9% dei casi è addiritturaimpossibile collocare le figure in uscita in un’area professionale definita.Addirittura, sui 145 corsi presi in considerazione, solo tre si occupano dell’area professionale di gestione del contenuto: due di essi formano per l’ambito del marke-ting (il Master Publitalia in Comunicazione e Marketing 26 e quello in Digital Mediadell’Accademia di Comunicazione di Milano); uno solo si occupa invece di programmazione, per altro in maniera non esclusiva (il Master in Scrittura eProduzione per la fiction dell’Università Cattolica di Milano). Su questo dato pesa sicuramente il fatto che molti Master e corsi professionali,che formano a professioni “gestionali”, non hanno indicato espressamente iMedia come proprio sbocco occupazionale, e quindi non sono rientrati nel nostrocensimento. È comunque significativo che non esistano corsi finalizzati alla pre-parazione di figure gestionali anche (se non esclusivamente) nell’ambito media-le. Crediamo infatti che sia necessario dare un taglio specialistico anche allaformazione professionale di figure che abbiamo definito di “staff specifico”, comeacquisti, vendite, promozione, marketing, ecc., proprio a causa della forte speci-ficità del settore in questione. Solo sulle figure di staff a-specifico (es.

24 Ricordiamo che la mappa dei mestieri dell’audiovisivo, strutturata in 3 aree e 10 ambiti professionali, èconsultabile in appendice e, in forma di database, nel sito www.tvjob.it.

25 Ricordiamo che nella nostra mappa, oltre a queste due aree, ne appare una intermedia, di figure dette ibride.26 Negli anni scorsi il Master Publitalia, giunto alla sua 18°edizione, ha formato molti dirigenti del gruppo Mediaset,

mentre successivamente si è prevalentemente concentrato su profili di manager della comunicazione in azienda ein agenzia.

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direzione risorse umane, direzione affari legali, ecc.), sarebbe legittimo ipotizzareun percorso formativo generico, non finalizzato al singolo settore lavorativo.Tra i corsi inerenti l’area professionale della produzione di contenuti, predominanoinoltre quelli afferenti l’ambito della scrittura (i corsi per autori, sceneggiatori,giornalisti ecc. sono il 23% del totale), della produzione/organizzazione (16%), diart/design (15%), seguiti da corsi per l’ambito dell’editing (14%) e della regia (il13% del totale). Meno numerosi i corsi per gli ambiti più tecnici di suono (9%),immagine (7%) e set (1%). Si noti che, in un’offerta teoricamente specializzata e professionalizzante comequella dei Master e dei corsi professionali, è alta la percentuale di corsi, i cui profili in uscita non sono collocabili in alcuna area o ambito professionale specifico:è così infatti per il 9% dei corsi considerati. Per quanto riguarda le competenze formate, risultano sottorappresentate quellemanageriali (il 15% del campione considerato) - a favore di quelle artistico-creative(38%) e tecniche (26%). Soprattutto, è pochissimo incentivata la formazione dicompetenze “ibride” (se ne occupa il 5% del campione), viceversa consideratestrategiche dalle aziende. Il 16% del campione non consente poi, per la laconicitàdelle descrizioni offerte o per la loro totale assenza, di identificare le competenzeformate.Come ultima considerazione, vogliamo sottolineare che solo pochi corsi declinanoulteriormente la propria offerta formativa in un particolare genere di prodotto(cosa che sarebbe auspicabile, data l’elevata specificità delle diverse filiere produttive, citata nel primo capitolo). Moltissimi accomunano cinema e tv; moltiparlano in modo assai generico di “media digitali” o di “addetti di comunicazione”:a parte le news, che evidentemente esercitano un fascino particolare sull’utenza,si contano sulle dita di una mano i corsi per figure specializzate nel documentario(4), nell’animazione (2), nella fiction televisiva (3, arrivando a 6 se si accorpaanche il cinema), nello sport (1).

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I corsi di formazione sono considerati canali di reclutamento del personale(probabilmente attraverso lo stage in azienda, di cui si parlerà diffusamente nelprossimo capitolo) dal 44% delle aziende. Tra le fonti più utilizzate dalle impreseper soddisfare la domanda di personale spiccano le scuole e i corsi professionali(complessivamente citate dal 55% dei rispondenti); i corsi di Laurea vengono citatidal 28% delle aziende rispondenti, i Master solo dal 15% 27. Alcune delle criticitàindividuate dalle aziende rispetto alla formazione esistente spiegano probabilmentei motivi di questo rapporto “freddo” e incostante tra domanda e offerta di formazione.Dobbiamo premettere che, sulla qualità dell’offerta formativa, i giudizi delle aziendeche hanno risposto al nostro questionario on line si dividono: l’offerta esistenteè giudicata ottima solo dal 2% delle aziende rispondenti al questionario; il 30%ritiene che sia buona, il 40% esprime un giudizio prudentemente positivo, ritenendola“sufficiente”, cioè migliorabile; il restante 30% del campione valuta negativamente(“insufficiente” o addirittura “inesistente”) l’offerta. Il grado di insoddisfazioneper l’esistente è più elevato presso i produttori (un terzo di essi) che presso gli editori (un quarto di essi).

6.3 Offerta formativa e domanda delle aziende: percezioni e valutazioni

27 Tra gli enti formativi spontaneamente citati come i più efficaci, secondo le 53 aziende rispondenti alla domanda specifica, risultano nell’ordine: Multimediamente, IED, Scuole Civiche, seguiti dai corsi di Laurea di UniversitàCattolica, IULM e Bocconi. Non emergono citazioni percentualmente significative di singoli Master.

Valutazione aziende

buonainesistente

insufÞciente 20%

8%

ottima 2%30%

sufÞciente40%

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In tale valutazione, stando alle interviste personali di approfondimento, sembraavere un peso rilevante proprio lo squilibrio percepito tra esigenze del mercato eofferta. Da un lato, le aziende intervistate sottolineano l’assenza di corsi di formazione manageriale; dall’altro, si lamenta l’inutile proliferazione di corsi perprofessioni artistiche e creative, che il mercato non riesce ad assorbire, insisten-do in particolare sul sovradimensionamento delle iniziative - spesso superficiali einadeguate - di formazione per registi, e sull’esistenza di corsi troppo brevi e pocoqualificanti.

“Tutti vogliono fare i registi e le scuole tendono ad assecondare i desideri dell’utenza”.(Antonio Canti, Presidente APP, intervista personale, 19/4/2006)

“Il nostro messaggio ai giovani che vogliono lavorare nel settore è questo: per rea-lizzare una fiction, una soap opera, un film, un programma di varietà, un documen-tario, ecc. non servono solo registi o scrittori, ma c’è la assoluta necessità di unaserie di figure professionali altrettanto importanti, sicuramente gratificanti ecertamente più richieste. E questo messaggio rigiriamo anche a quelle strutture -scuole professionali, facoltà universitarie, ecc. - che della formazione culturale eprofessionale dei giovani sono responsabili”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

“Il mercato italiano della formazione rende attualmente disponibile un’offertalimitata di percorsi di studio atti a fornire una specializzazione di tipo tecnico allenuove generazioni. In particolare l’affermazione è ancor più vera nelle areedell’emissione, nel Booking e in Operations. Coloro che, per occasioni professionali,hanno acquisito un’esperienza di base offrono mediamente al mercato del lavoroun profilo molto parziale, pur evidenziando aspettative economiche consistenti”.(Cristina Lippi, responsabile Human resources MTV Italia, intervista, 20.3.2006)

“In questo mestiere tutti vogliono fare le cose creative ma nessuno vuole imparare l’ABC”.(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale, 20/4/2006)

“Non esiste che tutti i miei studenti vogliano fare solamente gli artisti e i registi.Mancano bravi operatori, direttori di scena, fotografi, elettricisti. Questa corsa alle scuolemediatiche non ha senso… costruiscono una grande illusione. L’offerta formativa illude”.(Marco Poma, Socio e regista Metamorphosi, intervista personale, 17/3/2006)

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“Dal punto di visto del mercato capisco che abbia molta più efficacia dire: “corso diregia, corso per operatore”: “in sei mesi ti diamo la patente”. Io su questo sareimolto severo. Per me un corso di regia non esiste, o comunque dovrebbe duraremolto di più. Un corso di composizione al Conservatorio dura 10 anni; perché uncompositore può avere una patente del genere dopo dieci anni, e un regista (chedovrebbe essere compositore, architetto, scrittore) dopo nove mesi può auto-eleggersi come appartenente alla categoria? Invece un corso di video makero video reporter può già avere di più il suo “perché”, anche lì, però, con una scansione temporale molto più lunga; non esiste che in un anno si diventi videoreporter!In un anno gli studenti che escono non sanno fare nulla; probabilmente anche dopodue anni non saranno in grado di essere sul mercato […]. Che interesse hanno questi corsi a far uscire gente che poi è sul mercato in surplus? Ovvio che per unragazzo può avere più appeal il corso “veloce”; però, basta con gli imbrogli!”(Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

Secondo gli intervistati, perchè domanda e offerta si incontrino realmente, perchéi corsi siano realmente professionalizzanti - andrebbero concertati con le aziende,con i sindacati, soprattutto con le associazioni di categoria 28, in fase di individuazionedei profili professionali da formare, di ricerca dei professionisti-docenti, e infinenella fase di placement.

“Quelle premiate sono le iniziative formative che pianificano inserimenti mirati dipersone specifiche su aziende specifiche, più che accedere casualmente alle richiestedi stage. Ogni iniziativa di formazione deve essere preventivamente concordata conaziende e/o associazioni, altrimenti non ha speranza di inserimento occupazionale”.(Chiara Sbarigia, Segretario generale Apt, intervista personale, 26/4/2006)

“Non c’è, per l’audiovisivo, una piattaforma concertata con i sindacati e con leistituzioni. In altri ambiti il modello di concertazione funziona. Nel settore della grafica, per esempio, noi abbiamo un comitato di progettazione della formazione:sui territori abbiamo le scuole di formazione professionale, che inseriscono nei lorocorsi la formazione grafica… e noi siamo nel Consiglio di Amministrazione di quellescuole. Se mi si chiede invece quanti operatori di ripresa vengono sfornati, non loso… L’obbiettivo sarebbe proprio quello di concertare. Non c’è nemmeno unatradizione in questa direzione, tutto è lasciato alle iniziative singole di enti e aziende”.(Renato Zambelli, Segretario Generale Fistel CISL, intervista personale, 20/4/2006)

28 Alcune associazioni di categoria sono impegnate personalmente in iniziative di formazione, già descritte alcap.2.

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Alcuni intervistati, che componevano il nostro panel di aziende, svolgono, accantoall’attività professionale o imprenditoriale, quella di docenti in corsi per l’audiovisivo 29: il loro giudizio sulla formazione è particolarmente interessante perla loro capacità di scendere nel merito dei contenuti dei corsi e della didattica.Sul versante dei contenuti, viene sottolineata una disomogeneità notevole tra ipercorsi, nell’ampiezza e nell’approfondimento dei temi trattati. Soprattutto i corsiprofessionali, spesso non inseriti in una pianificazione organica,scontano unamancanza di progettualità didattica forte; in generale, i percorsi per l’audiovisivosono scarsamente strutturati, e hanno spesso limitate barriere nei requisiti d’accesso e di uscita.

“Io proporrei un processo formativo assimilabile al Conservatorio… Secondo mebisogna portare l’audiovisivo a questi livelli di serietà, di scrupolo e di selettività(…). È molto chiaro per chi entra al Conservatorio dove si andrà a parare, che sidovrà studiare solfeggio. Fin dall’inizio si conosce il percorso che si andrà a fare,con i suoi pro e i suoi contro. Nell’audiovisivo io non vedo l’ostacolo da superare.Ai ragazzi va fatto un discorso all’entrata: “Guarda che sarà un percorso difficile,affronterai cose che non ti piaceranno”. Questo discorso non solo rende più fruttuosoil lavoro ma renderebbe anche più contenti i ragazzi, perché uscirebbero con unacompetenza vera”.(Paolo Lipari, titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

Ancora, viene evidenziata una scarsa attitudine all’interdisciplinarietà, nei piani distudio ma prima di tutto nei docenti, chiusi nelle proprie aree di sapere settoriale,e restii al lavoro di équipe:

“Io manderei i professori d’arte alla Bocconi e i professori della Bocconi negli istituti d’arte. Invece ognuno è chiuso in un proprio mondo”.(Marco Poma, Socio e regista Metamorphosi, intervista personale, 17/3/2006)

I corsi sono troppo spesso improntati a una didattica trasmissiva passiva, nonsupportano le metodologie attive e collaborative (Rivoltella 2005) 30. Trascurato omal applicato il modello del learning by doing (Calvani 2000): non è scontato che

29 Matteo Scortegagna, Paolo Lipari, Gianfilippo Pedote e Marco Poma tengono docenze in modo strutturato, concattedre e incarichi stabili o ricorrenti; altri, come ad esempio Nanni Mandelli di Grundy e Dario Barone di CDI,lo fanno occasionalmente.

30 Bassa la percentuale di corsi censiti (quasi tutti concentrati nei Master e nell’alta formazione) che, accanto almodello didattico classico “lezione frontale + stage”, prevedano workshop, laboratori, studi di caso, businessgame, sperimentazioni di cooperative learning (Calvani 2000).

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la produzione audiovisiva sia contemplata tra le modalità didattiche; quando lo è,mancano talora la supervisione, il tutoring, la rielaborazione.

“Dopo essermi iscritto ad un Master che costava 5.000 euro, mi sono accorto chele ore dedicate alle materie più importanti erano troppo poche per poter imparareveramente a “fare” qualcosa: troppe invece erano le ore dedicate alle solite materieaccademiche e generali di “linguaggio audiovisivo”, magari riciclando gli stessi vecchi tromboni che insegnavano nel mio corso di Laurea, che ripetevano annodopo anno le stesse generiche, astratte e inutili cose. Quando mi sono lamentatodi questo problema delle ore con gli organizzatori del Master, mi sono sentitorispondere: “Ma tu non devi imparare a fare un piano di produzione o un budget,devi solo imparare che esistono i piani di produzione e i budget”. Ma allora, perchéspendere così tanti soldi e perdere un anno della propria vita?”(Producer, emittente televisiva, focus group, 5/5/2006)

“I corsi di formazione ti dicono “fai un cortometraggio”, “fai un video”. Io applichereianche in questo caso delle griglie, una struttura. Io al Dams facevo istituzioni diregia e non volevo fare lezioni cattedratiche, ma più pratiche. (Già il titolo era impegnativo, cosa vuol dire istituzioni di regia?). Allora perché non guardare e copia-re dai documentari di Zavoli, o dalle inchieste di Chiambretti, e far vedere, analizza-re come si fa e come funziona davvero l’audiovisivo? Invece molto spesso diventasolo un discorso meramente tecnico: “la telecamera funziona cosi”, oppure di tipocreativo a briglia sciolta: “fate, esprimete”(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

“È soprattutto la commistione con l’esperienza il fattore più importante. Le scuole chenon lasciano i ragazzi legati ad una dimensione puramente teorica “di pensatoio”, ma li mettono nelle condizioni di sapere, girare, montare, sono già unpasso avanti. Quindi le Università, in un certo senso, sono un passo indietro”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

In parte per le caratteristiche dell’attuale formazione, in parte per la specificità dimolte professioni (diversamente declinate, per altro, in differenti contesti aziendali)e per la velocità del turn over tecnologico, le aziende ritengono che le scuole nonpossano da sole completare la preparazione di un lavoratore dell’audiovisivo.

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Grande importanza viene attribuita alla formazione on the job (cfr. cap. 9); nonsempre, tuttavia, intesa come azione strutturata, dotata di strumenti di rielaborazionee di valutazione delle esperienze, ma piuttosto come confronto quotidiano con lesfide che il lavoro pone. Paradossalmente un eccessivo livello di scolarizzazione allontana il lavoratore dalraggiungimento dell’obiettivo lavorativo, rendendolo meno appetibile per le aziende.

“Si fa più fatica a “raddrizzare” persone già formate…, perché questo mestiere dàpochi parametri di valutazione sulla qualità del lavoro, ed è quindi difficile capirequanto uno fa e fin dove arriva, ciò richiede molto tempo. Bisogna spendere unmese e mezzo per “leggere” le competenze di un produttore. Preferisco partire dazero e mettere in affiancamento più persone in co-formazione, dove io supervisio-no e altre due-tre persone gli “stanno addosso”, pur rischiando”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006).

D’altra parte la scuola di per sé non certifica le competenze realmente raggiunte,tanto che alcuni operatori auspicano addirittura la nascita di un albo professiona-le o comunque un momento di certificazione:

“Io sarei davvero per un albo. È una mia pena il fatto di dover essere parte di unacategoria che non ha minimamente una definizione, una codificazione, una certifi-cazione pubblica”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

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6.4 Percorsi formativi:le valutazioni dei lavoratori

La nostra ricerca sul campo ha indagato, in un’apposita sezione del questionarioai lavoratori dell’audiovisivo e nei focus group, i percorsi formativi seguiti dai soggetti. Il 72% del nostro campione 31 è in possesso di una Laurea; le donne hanno, inmedia, un titolo di studio superiore a quello dei colleghi maschi (è l’80% ad avereuna Laurea, contro il 61% degli uomini). Ben il 95% dei partecipanti alla ricerca ha svolto attività di formazione ulterioririspetto al titolo di studio conseguito. La maggioranza (il 52% del campione) hascelto un corso di formazione professionale; il 18% ha seguito un Master universitario, un altro 16% un Master non universitario. Si noti che un quarto deilavoratori interpellati ha accumulato diverse iniziative di specializzazionepost-Laurea o post-diploma, affiancando per esempio (a volte addirittura contemporaneamente) un Master (evidentemente ritenuto poco professionalizzante)e un corso professionale (evidentemente ritenuto poco “acculturante” o poco“spendibile”). È ancora prematuro, vista la recente introduzione della riforma universitaria, valutare i percorsi formativi tipici di coloro che hanno studiato conil nuovo ordinamento: per ora, sembra alta nel nostro campione la percentuale distudenti che alla Laurea triennale hanno fatto seguire un Master universitario (il20%). Il percorso Laurea + Master era tipico per la maggioranza dei lavoratori laureati del vecchio ordinamento: lo ha fatto il 47% dei laureati quadriennali delnostro campione, mentre un ampio 42% ha scelto un corso professionale.Abbiamo richiesto ai lavoratori, sia in sede di ricerca quantitativa che qualitativa,di valutare il proprio iter formativo, secondo due parametri: da un lato, nel questionario abbiamo sondato il livello generale di soddisfazione per il percorsodi studi fatto; dall’altro si è chiesto di valutare in quale misura il percorso di formazione fosse in linea con l’attuale posizione lavorativa. Sul primo versante,ben il 77% degli interpellati ha risposto di ritenersi “in buona parte” (63%) o “pienamente” (14%) soddisfatto degli studi intrapresi, presumibilmente per leconoscenze acquisite e gli interessi attivati. Più crescono gli anni di lavoro, più laformazione (o il suo ricordo?) viene valutata positivamente: si ritiene soddisfattodegli studi realizzati l’86% di chi lavora da 6-10 anni nel settore audiovisivo, benl’89% di chi è attivo da più di 10 anni. Le valutazioni cambiano per il secondo parametro considerato: il 49% dei lavoratoriritiene gli studi intrapresi “per nulla” o “in minima parte” in linea con la posizione

31 Come già più volte ribadito, il campione di lavoratori che ha partecipato alla nostra ricerca compilando il questionario on line, non è statisticamente rappresentativo; esso tuttavia, mette in luce alcuni aspetti operativiche vale la pena commentare.

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acquisita. Maggiormente insoddisfatti del proprio iter formativo rispetto alla posizione lavorativa attuale sono gli uomini del campione (si dichiarano tali il 55,8% degli uomini, contro il 43,6% delle donne), che nutrivano forse maggiori aspettative di carriera rispetto alle colleghe. Approfondendo l’argomento in sede di focus group con i lavoratori, il giudizio sull’offerta formativa e sulla sua efficacia per la posizione lavorativa, si sostan-zia di alcuni elementi supplementari. Da un lato, la formazione ricevuta viene rite-nuta adeguata dal punto di vista culturale, per l’acquisizione di un vocabolario dibase e di una forma mentis aperta e curiosa:

“Io penso che il segreto di un buon corso sia quello di darti il vocabolario, il codiceper comprendere, per essere in grado di rapportarti, i termini minimi di comunicazione.Poi tutto sta alla flessibilità, volontà, intelligenza, curiosità di ciascuno”.(Project manager emittente televisiva, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)

“Il corso non mi ha dato gli strumenti necessari per lavorare. Mi è servito comunqueper entrare, come contatto. Devo dire che di positivo mi ha posto dei punti didomanda, non mi ha dato delle risposte, perché secondo me non esistono le risposte,ma mi ha messo nella condizione di chiedermi cose che magari da sola non misarei chiesta. Spesso, se la risposta c’è, la si chiede e la si trova tra i propri collaboratori, lavorando”.(Producer casa di produzione, focus group figure produttive, 5/5/2006)

La formazione può contribuire in modo determinante all’acquisizione di un “sapere”e, al massimo, al miglioramento del “saper essere”, ma ha poco da offrire sulpiano delle competenze, del “saper fare”. I lavoratori intervistati ritengono, per lopiù, che queste si acquisiscano soprattutto attraverso il training on the job:

“La formazione nel mio caso è abbastanza coerente. Mi sono laureata in Scienzedella Comunicazione, ma molto tempo dopo aver iniziato a lavorare, perché ho fattoun’esperienza lavorativa già dal secondo anno di università. Per cui avrei potutobenissimo non laurearmi, ma è stato un desiderio mio arrivare fino alla Laurea. (…)Tutto quello so, dal punto di vista tecnico, l’ho imparato lavorando. Io ho rubato tuttosul campo. I producer devono essere come delle spugne, dei ladri. (…) Ogni lavoroti dà quello che tu vuoi che ti dia”. (Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)

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Se per l’acquisizione di alcune aree di competenza - ad esempio quelle manageriali -si ritiene scontato che i corsi di formazione risultino insufficienti, l’acquisizione dicompetenze tecniche si scontra spesso, a detta degli intervistati, con le carenzestrutturali e organizzative dei corsi:

“Ho fatto un corso di montaggio della Comunità Europea, in cui non abbiamo fattomontaggio. C’erano due computer con Premiere e uno con Avid per 16 corsisti… ametà del corso sono arrivati i programmi, ma su uno dei computer non funzionavano… alla fine abbiamo fatto solo tre lezioni di montaggio in tutto il corso”.(Post production manager casa di produzione crossmediale, focus group figure“crossmediali”, 18/4/2006)

Chi, tra i lavoratori, ha fatto esperienze internazionali, ne sottolinea il divariorispetto alla qualità formativa media italiana:

“EuroDoc era molto specifico, legato ad un progetto. Orientato a favorire la coproduzione di documentari in un contesto europeo, basato su un lavoro che si fadurante il corso, dunque non solo teorico. Ogni partecipante viene da diversi Paesieuropei, appartiene a una casa di produzione, porta un progetto, questo viene

Valutazione lavoratori

per nulla

in minima parte

in buona parte

pienamente

0 10 20 40 50 60 7030

in linea con la posizione acquistata

soddisfacente

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esaminato, smontato e rimontato, e poi ha dei referenti per quanto riguarda i produttori televisivi, che sono poi i decisori. La rete di produttori TV, case di produzionee colleghi europei coinvolta nel corso era molto efficace. A livello di sbocchilavorativi è stato però più utile per i miei colleghi stranieri che per me”.(Rights Manager distributore audiovisivo, focus group figure commerciali, 3/5/2006)

Gli intervistati sono generalmente disincantati circa la possibilità di una realeconnessione diretta tra formazione e ingresso nel mondo del lavoro; soprattuttol’efficacia dei Master viene messa in forte dubbio, su questo versante:

“In realtà i Master che ti danno un timbro che ti consente di lavorare sono pochi,in Italia praticamente non ce ne sono, forse solo la Bocconi, ma più una volta... Ilcriterio per valutare un Master non è la qualità della sua didattica, ma la difficoltà ad entrare. Se si fa un Master per trovare un posto di lavoro bisogna sceglierne uno dove sia difficile entrare, e in Italia sono pochi. […](Account casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

“Quello che è il titolo di studio non conta assolutamente nulla per il lavoro che vai a fare”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Al più, frequentare un corso, soprattutto se prestigioso, può servire per creare unarete di contatti, spendibili autonomamente nella ricerca di lavoro:

“La funzione dei corsi e dei Master, oltre a quella di dare una formazione, è quella dicreare un networking di gente. È chiaro poi che la formazione che hai on-the-job èsuperiore a quello che ti dà un corso. Visto che in questo mondo non ci sono inser-zioni di lavoro, il lavoro lo trovi attraverso il network”.(Sales & Acquisition Manager, casa di produzione di intrattenimento, 3/5/2006)

Un’ultima questione riguarda un elemento di criticità sollevato non solo dalleaziende, ma anche dagli stessi lavoratori, in merito alle aspettative troppo elevateche i titoli di studio generano, con la duplice conseguenza di illudere, in partenza,circa inquadramenti professionali elevati, e di non predisporre alla necessaria“gavetta”:

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“Non puoi, uscito da un corso di producer, posizionarti all’interno di un team di lavoro,neanche come assistente. Devi arrivare dal basso. Puoi fare l’assistente del coordinator, il segretario di produzione nell’ambito filmico. O, in quello Tv, puoi farel’assistente del direttore di produzione, sempre tenendo conto che poi tu hai le basiper crescere, per diventare producer, per essere ambizioso. Dopo un Master, unaLaurea, se ti vuoi posizionare ad un livello alto sei visto anche quasi male, perchénon hai l’esperienza. (…) devi avere lo spirito di partire dal basso”.(Produttore casa di produzione audiovisiva, focus group figure produttive,5/5/2006)

6.5 Linee guida per la progettazione formativa nell’audiovisivo

Alla luce di quanto emerso nella ricerca, riteniamo utile proporre alcune considerazioniconclusive, che fungano da linea-guida per un’eventuale progettazione futura di piùefficaci interventi di formazione, soprattutto nel campo - oggi particolarmente parcelliz-zato e destrutturato - della formazione professionale. A nostro avviso è necessario foca-lizzare l’attenzione soprattutto su questi aspetti nella fase progettuale:

• Operare una preliminare ricerca sul mercato produttivo, sui generi, sulle mansionieffettivamente esistenti e richieste dal mercato occupazionale, per evitare unappiattimento dell’offerta, per esempio sulle caratteristiche dei docenti disponibilipiuttosto che sulle reali domande occupazionali: si eviterà così di offrire contenutididattici lontani dalla realtà, risparmiando agli studenti lo shock “post-corso” e lefrustrazioni causate dallo scollamento tra aspirazioni irrealistiche e reale mercatodel lavoro (ad esempio, si eviterebbe l’allevamento di torme di registi disoccupati).

• Cercare la concertazione, la partnership, il coordinamento tra enti formativi eistituzioni locali, sindacati di settore, aziende e soprattutto associazioni di categoria 32

nella progettazione dell’offerta, sia a livello di individuazione delle figure professionaliin uscita (che abbiano possibilità di occupazione), sia a livello di professionisti

da coinvolgere come docenti e testimoni, sia per il placement, evitando chequesto sia vissuto dalle aziende come risultato di una collocazione casuale e in

32 Per un censimento delle possibili attività di collaborazione tra mondo dell’impresa e mondo della formazione cfr. ad esempio “Università e impresa: 100 idee per lavorare insieme”, Confindustria.

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extremis dello studente; le aziende dovrebbero anzi essere coinvolte fin dalla fase iniziale di progettazione del corso.

• Creare una strategia di alleanze tra enti formativi, come auspicano i Presidi difacoltà interpellati recentemente dal Censis. Le alleanze tra atenei, ad esempio,possono sviluppare congiuntamente un’offerta didattica adeguata e potenziarel’eccellenza nella ricerca: ciò “servirebbe anche a ridurre l’eccessiva eterogeneitàdei profili formativi prodotta dall’autonoma programmazione degli atenei,che rende disagevole per lo studente individuare i veri contenuti didattici e iprofili professionali dei diversi corsi di Laurea all’interno di una medesima classe”(Censis 2005).

• Promuovere corsi e approcci interdisciplinari, che formino figure multicompententisempre più necessarie al mercato audiovisivo. Rilevanti, per esempio, le esperienzedei corsi di Laurea interfacoltà, che completano iter di studi umanistici(di approccio artistico, semiotico o sociologico) con apporti dall’area dell’Economiao della Giurisprudenza.

• Potenziare la formazione continua per la specializzazione e la riqualificazione deilavoratori; azioni di formazione permanente dovrebbero essere strutturate su percorsi modulari, molto flessibili, individualizzati e possibilmente negoziati con isoggetti in formazione. Sul modello di esperimenti già realizzati in diversi contestiprofessionali, sarebbe auspicabile, per esempio, costruire agili percorsi diformazione in modalità blended, che alternino le cinque aule tipiche dell’e-learning:lezioni in presenza, lezioni a distanza, corsi on line, gruppi di lavoro virtuali ecommunity (Ardizzone, Rivoltella 2003).

• Porre grande attenzione ai requisiti di selezione dei partecipanti, i corsi dovrebberotendere alla selettività dei criteri di ammissione, rendendo il processodi ammissione più in linea possibile con i requisiti delle aziende (ad esempio intermini di età non elevata, predisposizione al ruolo, ecc). I corsi con finanziamentipubblici dovrebbero tuttavia tendere a riequilibrare questi criteri in una logica“welfare” (ad esempio dando chances di riqualificazione a persone non di giovanissimaetà, di lunga disoccupazione, con percorsi formativi spesso incompleti...).

• Evitare un approccio all’audiovisivo obsoleto e lontano dalle aziende, incentrato sulconcetto di Opera e non di Impresa (Marcotulli 2002).

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• Alternare moduli propedeutici a moduli di specializzazione formativa: ad esempio,dopo una parte comune propedeutica di insegnamenti generali, si dovrebbe individuare un modulo di specializzazione in un ambito preciso, sia in termini di ruoloprofessionale che di genere produttivo (ad esempio “producer di documentari”piuttosto che di fiction; sceneggiatori di cinema e breve serialità piuttosto che dilunga serialità; registi di spot pubblicitari piuttosto che di programmi televisivi); sieviterà così la genericità di proposte poco professionalizzanti.

• Privilegiare contenuti didattici (e quindi docenti) in grado di affiancare lo studio diesperienze e di casi concreti con un sufficiente grado di astrazione teorica.Da evitare, quindi, docenti eccessivamente accademici e lontani dalla prassi, maanche professionisti che appiattiscano i contenuti didattici solo sul pianodell’aneddoto, senza alcuno spessore di concettualizzazione.

• Dare maggiore centralità, rispetto al sistema attuale, allo stage come esperienzadidattica rilevante e come opportunità di ingresso nel mondo del lavoro (cfr. cap. 7).Ciò implica anche un’attenzione al tutoring degli studenti durante e dopo lo stage,con percorsi ad hoc volti alla rielaborazione e alla valutazione dell’esperienza. Lostage non dovrebbe rimanere un’esperienza completamente sganciata dalla fased’aula, ma integrata con essa, anche grazie ad una fase di ritorno in aulapost-stage, che consenta di riflettere sull’esperienza e di astrarre considerazioni disfondo. La fase di feedback post-stage permetterebbe inoltre di confrontare leesperienze fatte dai singoli allievi nelle realtà di inserimento, componendo unquadro più completo della realtà occupazionale di settore.

• Incentivare, nelle attività d’aula, l’utilizzo di strategie didattiche attive, centratesullo studente e sulla costruzione del sapere, includendo per esempio elaborazionidi progetti, simulazioni, case histories, laboratori, in ogni caso strutturati e guidatida tutor e mentor.

• Monitorare sistematicamente la ricaduta occupazionale dei corsi, sia nellapercentuale di inserimento lavorativo dei corsisti, sia nei tempi di inserimento, siaa livello di coerenza tra percorso didattico e inserimento, dando trasparenza ai datirelativi, e comunicandoli regolarmente all’esterno.

• Incentivare le reti di comunicazione (anche informali) tra corsisti, ex studenti,eventualmente professionisti dell’audiovisivo, attivando community on line,

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convegni, workshop, associazioni di ex studenti, e favorendo occasioni di scambio e confronto professionale.

• Favorire, infine, un’ottica internazionale della formazione, attraverso un sistema discambi e di cooperazione con paesi stranieri, sul modello del Programma Media,oggetto del nostro Focus.

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La formazione europea per l’audiovisivo:il Programma Media. EURODOC e EAVE

FOCUS

Il Programma Media (Mesures pour Encourager le Développement de l’IndustrieAudiovisuelle) è un programma comunitario di sostegno all’industria dell’audiovisivo, nato nel 1990 e rinnovato con cadenza quinquennale. Nel periodo2001-2005 (poi prorogato a tutto il 2006), il programma è stato rifinanziato conla denominazione Media-PLUS: con un budget di 400 milioni di euro - un incremen-to del 30% rispetto al precedente Programma MEDIA II (1996-2000) - ha cercato dirafforzare la competitività dell’industria audiovisiva europea intervenendo sia “amonte” sia “a valle” della produzione, attraverso tre linee progettuali:

• il co-finanziamento della formazione continua dei professionisti (Media PLUSFormazione);

• lo sviluppo di progetti di produzione (lungometraggi di fiction, documentari dicreazione, animazione e multimedia);

• la distribuzione e la promozione delle opere (Media PLUS Sviluppo, distribuzionee Promozione).

MEDIA Plus Formazione, in particolare, è fondato sulla Decisione 163/2001/CE delParlamento Europeo e del Consiglio del 19 gennaio 2001, e interviene apportando un contributo finanziario agli organismi di formazione professionali cheorganizzano corsi di ampio respiro europeo per professionisti dell’audiovisivo in unadelle seguenti aree:

• gestione d’impresa (aspetti commerciali e legali);• tecniche di scrittura lineare e interattiva;• uso delle nuove tecnologie (computer grafica, multimediale).

Media Plus ha investito, nel periodo, 2001-2005, 50 milioni di Euro per offrire ai pro-duttori, agli sceneggiatori e ai distributori una formazione adeguata, in grado di anti-cipare le evoluzioni del mercato internazionale e di sfruttare le nuove potenzialitàdelle tecnologie digitali.

Nei programmi di formazione professionale del Programma Media il managementha relazioni strette con i settori più importanti dell’industria audiovisiva europea, idocenti e gli esperti provengono almeno da 6/7 Paesi differenti, i partecipanti che

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provengono dal Paese organizzatore devono essere meno del 50%dell’aula.

Tra l’ampia gamma di corsi finanziati dal Programma Media ne citiamo due a tito-lo esemplificativo, scegliendoli dall’area professionale della gestione dei contenuti. Ilprimo che citiamo è Eurodoc Production, destinato annualmente a 30 tra commissioning executives e produttori indipendenti (con un progetto di documenta-rio che abbia buone potenzialità di circolazione internazionale), e a 5 registi. Il corso siarticola in tre sessioni di workshop itineranti (nell’edizione 2006 le lezioni si svolgo-no a Bordeaux, Praga e Lisbona), ciascuna della durata di 5 o 6 giorni; l’iscrizioneattualmente costa 2.250 Euro per produttori e commissioning executives; 1.600Euro per registi.

Gli obiettivi del corso sono:

• migliorare il livello di sviluppo di documentari di ambizione internazionale;• migliorare il finanziamento dei progetti e la loro gestione economica;• preparare i professionisti del documentario all’evoluzione delle tecnologie nei

settori dello sviluppo, della produzione e della distribuzione;• creare una rete di scambio tra i produttori indipendenti e i partner europei del

settore.

EAVE (acronimo di Entepreneurs de l’AudioVisuel Européen) è, invece, la più “anziana”tra le iniziative inserite nel Programma Media.Nato nel 1988 dall’idea del direttore programmi ZDF Eckart Stein e del direttoredella scuola nazionale di cinema belga, Raymond Ravar, EAVE è un corso interna-zionale per produttori audiovisivi.Dura un anno ed è strutturato in sessioni intensive e residenziali, che si svolgonoogni volta in un diverso Paese membro dell’Unione; il collegamento tra le sessioniè assicurato da interventi di formazione a distanza.Nel 2005 il network paneuropeo di EAVE era costituito da 800 ex corsisti; i partecipanti ad ogni edizione sono al massimo 50, suddivisi in 5 gruppi.

FOCUS

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Il corso consiste nella verifica di fattibilità economica, pratica etemporale dei progetti audiovisivi che gli studenti presentano, ed èstrutturato in tre step:

• la fase di Development, ovvero di formalizzazione del soggetto e deltrattamento del progetto;

• la fase di Packaging, ovvero di preproduzione (che consiste nella ricerca dipartners, revisione della sceneggiatura, casting);

• la fase di Finance & Distribution (ovvero ricerca di finanziamenti e organizzazionedi attività di marketing).

I team leader di ogni gruppo sono professionisti del settore che fungono dacoordinatori didattici in aula e da tutor nella formazione a distanza.

Le finalità generali del corso sono quelle di superare le frontiere produttive nazionali,favorire i contatti (il networking), concepire coproduzioni. Ogni progetto presentatoviene incoraggiato nella sua immissione sul mercato (il book dei progetti viene inviatoa un centinaio di decision makers), ma il focus del corso non è il progetto, è piuttostola personalità stessa del produttore, e la sua politica di gestione dell’ impresa.

Inoltre, l’obiettivo formativo è quello di creare rela-zioni tra i partecipanti dei vari Paesi, non solo

come potenziali coproduttori, ma anchecome possibili punti di riferimento neimercati.

FOCUS

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07ORIENTAMENTO E PLACEMENT

In questa sede, dopo una chiarificazione sui termini Orientamento, Placement eRecruiting e sulle rispettive attività e finalità, sono censite le strutture che sul territo-rio agevolano l’inserimento lavorativo, principalmente con lo strumento dello stage.Il censimento degli uffici orientamento/placement delle Università lombarde e deiCentri di orientamento è finalizzato ad una prima ricognizione sul rapporto con ilmondo audiovisivo, e in particolare, sulla sua difficoltà a far ricorso a enti di questo tipo.Lo stage è indagato sia nella composizione della forza lavoro dichiarata, sia nellavalutazione che ne danno aziende e lavoratori.Le linee guida finali, indirizzate sia agli enti di formazione e orientamento, sia alleaziende che ai lavoratori stessi, promuovono un uso corretto dello strumentostage nel settore audiovisivo.Il Focus è incentrato su un benchmark interessante di centro di orientamento uni-versitario, quello di UCLA.

di Alessandra Alessandri con Francesca Borghi

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7.1 Definizione e ambiti

L’interesse per la tematica dell’orientamento si inserisce in un mercato del lavoroin continua evoluzione, che impone al singolo di adattarsi a sempre nuovi ruolilavorativi. L’orientamento assume importanza negli ultimi anni come strumento disupporto trasversale all’individuo, in una società caratterizzata da cambiamentisociali, organizzativi ed economici; cresce la consapevolezza del suo forte impattonelle dinamiche formative e professionali della persona. All’interno della nostra ricerca, si inserisce così l’analisi delle strutture di orientamentoe placement presenti sul territorio lombardo. Anzitutto è importante distinguere tra “Orientamento”, “Placement”, e“Recruiting”. “Orientamento”, nella sua accezione più ampia, comprende “l’insiemedelle attività volte ad assicurare alle persone la conoscenza di tutte le alternativeper loro disponibili nei settori dell’educazione, della formazione, delle professioni, ead aiutarle a costruire percorsi pienamente soddisfacenti in ambito formativo eprofessionale” (Isfol 2003). Si può articolare in attività di “informazione orientativa”,“consulenza orientativa” e in “attività di orientamento formativo”1, e tra “orientamentopersonale” (legato ai diversi ambiti di sviluppo e crescita della persona), e “orientamentoscolastico-professionale” (riferito più specificatamente ai processi di scelta edecisione legati all’area formativa/lavorativa). (Capone, in Isfol 2003).In ambito universitario, in particolare, è fondamentale distinguere diversi momentidella vita dello studente che implicano l’attivazione di risorse e strumenti peculiari peraffrontare problematiche legate alla carriera universitaria e professionale 2:l’orientamento post-universitario prevede l’erogazione di informazioni su borse distudio e corsi post-Laurea, possibilità di inserimento lavorativo, opportunità distage ed esperienze dirette in vari settori produttivi anche prima del conseguimentodella Laurea. Il nostro oggetto di interesse è incentrato sulle attività di orientamento formativo post-universitario o, comunque, post-corso.Un servizio concreto offerto dalle strutture che si occupano di orientamento post-universitario, oltre a quelli di “informazione, consulenza e accompagnamento”, èquindi quello di “placement”, un servizio, cioè, di segnalazione di offerte di lavoro,grazie ad un rapporto quotidiano, costante e sistematico con le realtàoccupazionali/aziendali presenti sul territorio. Più che un’offerta concreta di lavoro

1 Definizioni di Leonardo Evangelista tratte da www.orientamento.it.2 Si distingue solitamente tra orientamento pre-universitario, che riguarda il passaggio dalla scuola secondaria

superiore all’Università, orientamento infra-universitario, legato alla vita universitaria e ai problemi di studio chelo studente può incontrare durante il suo iter scolastico, e orientamento post-universitario, al centro del nostrointeresse.

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- come la parola potrebbe erroneamente far pensare - con il termine “Placement”si indicano tutti quegli interventi di orientamento riguardanti le problematiche diinserimento professionale di neolaureati o comunque di soggetti che abbiano appe-na concluso un iter formativo. (D’Alessio, Bolognesi in Isfol 2003).Il servizio di placement è spesso garantito, infatti, dagli enti che organizzano corsiprofessionali o Master, e si propone di assicurare un collegamento tra il mondoaziendale e il percorso formativo del soggetto. Le attività di orientamento e placementsi muovono in parallelo, in particolare nelle realtà scolastiche e universitarie: attra-verso l’attività d’aula e i colloqui individuali, infatti, ogni allievo viene supportatonella individuazione delle proprie capacità e potenzialità professionali. Il risultato di queste attività, legate allo sviluppo delle competenze personali,fornisce una base per formulare un proprio piano di carriera e affrontare conmaturità e consapevolezza i colloqui di inserimento lavorativo. Grazie al placement le aziende incontrano e selezionano i candidati in base alleloro esigenze, e i candidati valutano l’offerta più coerente con le loro caratteristichee aspirazioni personali.Nella nostra ricerca abbiamo scelto di identificare il placement con lo strumentopiù utilizzato nell’orientamento post-corso, lo stage, distinguendolo dal “Recruitment”inteso come attività svolta dalle società di ricerca e selezione del personale perl’incontro tra domanda e offerta di lavoro retribuito vero e proprio.

7.2 La ricerca: i servizi di placement e l’audiovisivo

All’interno della nostra ricerca sono state censite ed analizzate (cfr. censimentoOrientamento e Placement in appendice):

• le strutture di orientamento e placement presenti all’interno delle Universitàlombarde (che, lo ricordiamo, hanno tutte un’offerta formativa più o menodirettamente riconducibile all’audiovisivo come possibile sbocco occupazionale);

• le strutture di orientamento regionali censite da Assolombarda 3.

3 Altre realtà per certi versi attigue sono gli Informagiovani (228 in Lombardia), con una distribuzione capillare sulterritorio. I Centri per l’impiego provinciali (in Lombardia 68), che svolgono anche attività di orientamento, sonostate invece considerate, per la loro mission prevalente, come strutture di recruiting. (cfr. capitolo seguente).

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Le Università hanno, tra gli altri compiti, quello di facilitare la transizione dei propri studenti dallo studio all’occupazione, attraverso la creazione di appositiuffici per informare sulle possibilità lavorative esistenti: gli uffici di placement.Queste strutture danno la possibilità di consultare banche dati sui corsi di specializzazione, perfezionamento e Master, forniscono dati aggiornati sulle variepossibilità di carriera in settori specifici, informano su seminari riguardanti lestrategie per accedere al mercato del lavoro, attivano stage o informano circa larichiesta di stagisti, allo scopo di favorire l’incontro tra domanda e offerta.

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I Centri per l’orientamento 4 sono invece strutture pubbliche presenti sul territoriospecializzate nel settore formazione e lavoro, e in particolare nell’ambito dell’orientamento e del tirocinio formativo, che offrono servizi gratuiti di consulenza ai cittadini, offrendo la possibilità di sviluppare e valorizzare le propriecapacità, aumentando le probabilità di successo in campo lavorativo.Alle 21 strutture esistenti in Lombardia è stato somministrato un questionarioanonimo on line, a cui hanno risposto 11 uffici stage/placement universitari e 6centri per l’orientamento. Nonostante l’esiguità dell’universo abbiamo comunqueritenuto utile e interessante analizzare i dati, confortati dall’elevata redemption dellerisposte e dall’interesse dei risultati emersi. Più della metà degli enti rispondenti (53%), in particolare 4 Università, che citanoi Media tra i loro sbocchi occupazionali, non hanno mai organizzato stage in azien-de audiovisive. Le aziende audiovisive costituiscono, per la maggior parte dei pochienti che se ne sono occupati, meno del 10% dei loro contatti complessivi: perlo-più si tratta di piccole case di produzione. La scelta dell’audiovisivo come cana-le di placement coincide in 3 casi su 4 con una richiesta formulata dall’aziendastessa, secondariamente con una richiesta degli studenti stessi. Si tratta quindidi un placement “passivo” e non “proattivo” da parte delle strutture preposte:d’altro canto le aziende stesse del settore non sembrano rivolgersi loro in manie-ra strutturata, pianificata e costante, ma piuttosto seguendo le esigenze produt-tive del momento. Il servizio più utilizzato (33% dei casi) è quello della pubblicazione delle offerte distage delle aziende nei siti (nelle Università, spesso si tratta di “bacheche” adaccesso riservato agli studenti); meno frequente il ricorso agli altri strumenti diorientamento: l’assistenza alla compilazione dei curricula di utenti/studenti (20%dei casi); l’organizzazione di incontri di presentazione delle aziende (15%); l’organizzazione di colloqui orientativi (15%). Il nostro questionario prevedeva, poi, l’individuazione degli ambiti lavorativi maggior-mente richiesti dalle aziende dell’audiovisivo: metà degli stage proposti si riferi-scono all’area artistica/editoriale (es”. giornalista”, “redattore di servizi filmati”,“collaboratore alla redazione”, “partecipazione alle fasi organizzative”…), e unquarto all’area organizzativa (ad es. “addetto di produzione”, “collaborazione allaproduzione”). Sono statisticamente ininfluenti le citazioni riguardanti l’areatecnica: un dato, questo, che sta ad indicare, anzitutto, come la formazione inambito universitario non preveda connotazioni tecnico-pratiche, e come

4 Tra i centri per l’orientamento citiamo ad esempio “4 Stars”, che gestisce dal 2000 anche Sportello StageLombardia.

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l’inserimento lavorativo di queste figure avvenga attraverso altri canali. Infine, le criticità individuate dagli enti di orientamento rispondenti riguardano,nell’ordine:

• la mancanza di abitudine delle aziende audiovisive a ricorrere a organizzazionidi placement/orientamento;

• la difficoltà delle stesse a fornire profili dettagliati e skill specifici; • la difficoltà di seguire le tempistiche strette imposte dalle aziende (“spesso

le aziende hanno il bisogno immediato di una figura professionale e mancail tempo di svolgere un lavoro di analisi delle competenze specifiche preciso” 5).

Viceversa, le aziende rimproverano le Università di non attivarsi:

“Attingiamo molto più frequentemente dai corsi professionali FSE che non dalleUniversità: i primi ti vengono a cercare per proporti stage, i secondi no... È nellacura dello stage che si valuta la professionalità di chi gestisce i corsi: la forza di uncorso veramente professionalizzante è quella di avere relazioni che un singoloindividuo non potrebbe avere”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale 24/2/2006)

7.3 Lo stage: la percezione di aziendee lavoratori

Lo stage, o “tirocinio formativo” 6, è il periodo di formazione presso un’azienda oun ente privato o pubblico, in cui il singolo soggetto al termine dei suoi studi puòsperimentare sul campo le conoscenze teoriche acquisite in aula; rappresenta,all’interno della nostra ricerca, la modalità di inserimento lavorativo iniziale piùutilizzata, ricercata e nello stesso tempo discussa.

5 Precisazione di un ufficio stage universitario rispondente al questionario.6 A livello ufficiale si distingue tra “stage”, che indicherebbe più propriamente un periodo di formazione volontaria

svolto in ambito lavorativo all’esterno delle Università, e “tirocinio”, “occasione formativa obbligatoria previstadal Corso di Laurea. Nella prassi i due termini sono diventati sinonimi e il confine tra volontarietà e obbligatorietà è più sfumato.

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Gli stage sono regolamentati dal Decreto Ministeriale 25 marzo 1998 n°142 7,che prevede siano promossi da specifiche tipologie di enti, in grado di guidarne ilprocesso di sviluppo e garantirne il buon funzionamento, come appunto gli entiformativi e i centri di orientamento. Tornando ai 171 corsi con indirizzi più o meno direttamente riconducibili all’audiovisivo,da noi censiti, è emerso che il 44% di essi utilizza come modalità didattica lostage: nelle Università, in particolare, il tirocinio è presente nella quasi totalitàdelle Lauree triennali, delle Lauree specialistiche e dei Master universitari, mentresoltanto il 45% delle scuole professionali, il 41% dei Master non universitari e il21% dei corsi professionali citano lo stage come attività formativa facente parteintegrante del corso.Tra i lavoratori rispondenti al nostro questionario, il 46% afferma di aver iniziato alavorare nell’ambiente audiovisivo con uno stage non retribuito, mentre il 32% hasvolto uno stage che prevedeva un rimborso spese (mentre il 5% ha avuto un contratto di apprendistato). Otto lavoratori su dieci si sono quindi inseriti nelmondo del lavoro grazie ad uno o più stage, obbligatorio o volontario, gratuito o meno.

“Si chiede di entrare con uno stage non retribuito di 6 mesi, poi una fase con unaborsa di studio tra i 6 o 9 mesi; dopodichè se sei piaciuto nello stage inizia un rapporto di lavoro a tempo determinato”.(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

Le aziende del nostro campione affermano che gli stagisti rappresentano il 5% delloro organico: un dato che appare sottostimato, soprattutto da parte dei produttori,sia perché le aziende stesse individuano nella pratica del tirocinio formativo unarisorsa notevole per il loro sviluppo produttivo, sia per la già citata numerosità deilavoratori che dichiarano di averlo svolto. Le dichiarazioni potrebbero essere infe-riori alla realtà perché il numero di stagisti che ogni azienda può inserire in organico è regolato da disposizioni di legge che prevedono limitazioni numericheben precise:

• un’azienda con un numero di dipendenti a tempo indeterminato inferiore a 5può avere solo uno stagista;

7 Il Decreto chiarisce gli ambiti e le modalità di applicazione della legge 196 del 24 giugno 1997, art.18, dove siparla di tirocini formativi e di orientamento. Per tutti gli aspetti normativi relativi allo stage De Michelis-Bagnato2000.

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• una struttura con un numero di dipendenti tra 6 e 19 può averne due; • se l’azienda ha più di 20 dipendenti, il numero degli stagisti può variare in

rapporto a quello dei dipendenti, fino al 10% massimo 8.

Inoltre, l’azienda deve indicare, nel progetto formativo di ogni stage, il nominativodi un tutor interno che ne sia il responsabile didattico-organizzativo. La normativanasce dall’esigenza di garantire che lo strumento non venga snaturato: inseriretroppi stagisti in contemporanea non consentirebbe infatti alle aziende di seguirli inmodo adeguato. Certo, parametrare questi vincoli, pur legittimi, al numero deidipendenti a tempo indeterminato risulta probabilmente inadeguato nel nostrosettore, vista la tipologia della composizione degli addetti nelle aziende e nelleredazioni televisive.

“L’elemento fondamentale del nostro processo di localizzazione è stata la formazioneprofessionale “sul campo”. A tale proposito, dobbiamo dire che un forte impulso èstato dato dall’amministrazione provinciale che, derogando da quanto previsto dallalegge nazionale in materia di tirocini formativi, ha permesso di svincolare il numerodei tirocinanti acquisibili in azienda dalla percentuale dei lavoratori assunti a tempoindeterminato.È utile precisare che la particolarità del settore dello spettacolo ha imposto, quasinaturalmente, il contratto a termine come unica via economicamente percorribile.Con la legge attuale, sicuramente poco flessibile e inidonea per il nostro mondolavorativo, non avremmo potuto avere alcuno stagista al nostro interno”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

Un altro dato interessante emerso dalla nostra ricerca riguarda la durata dellostage. Una durata minima non è prevista per legge: la durata va solo indicata nelprogetto formativo. Spesso però gli stage hanno una durata limitata, dalle 150alle 300 ore: se questa durata può avere un senso per una matricola universitariache ha il solo obiettivo di raggiungere una maggiore consapevolezza dei processilavorativi, in una fase successiva di inserimento lavorativo appare insufficiente.Questo sia per lo studente (per un reale apprendimento di conoscenze e abilità,e per fargli comprendere le sue effettive capacità e propensioni), sia per le aziendeche vogliano “testare” un nuovo ipotetico collaboratore.

8 Queste limitazioni numeriche non sono estese ai corsi FSE, che “non rientrano nel campo di applicazione delD.M. 25/3/98 n° 142, recante norme sui tirocini formativi… dal momento che lo stage, in ambito corsuale,costituisce semplicemente un modulo, peraltro di durata assai limitata, di un più articolato percorso formativovolto a sperimentare una fase di alternanza tra teoria e pratica”. (cfr. circolare n° 52/99 dell’Ufficio Centraleper l’Orientamento e la Formazione professionale dei lavoratori).

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“Io ho avuto una stagista l’anno scorso. Una ragazza volenterosa, che non avevamai assistito ad un montaggio. È stata qui pochissimo, un numero di ore secondo meridicolo. In queste condizioni preferisco non prendere stagisti, non mi sembra serioaccettarli. Non mi sembra che sia formativo”.(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)

La durata massima è invece indicata con precisione dal Decreto Legge del 1998,e va dai 4 mesi ai 24 a seconda del destinatario e dalla tipologia di corso 9. Alla domanda su quanto tempo avessero lavorato senza retribuzione, il 56% deilavoratori rispondenti ha indicato un periodo pari o inferiore ai 3 mesi; il 30% unperiodo compreso tra i 3 e i 6 mesi; infine il 10% tra i 6 e i 12 mesi; addirittura, il4% oltre i 12 mesi. Queste percentuali fotografano una realtà significativa: anzitutto, lo stage rappresenta senza dubbio la prima modalità di “ingresso” nel mondo del lavoroper la maggior parte dei lavoratori intervistati; in secondo luogo, da questi datipossiamo ipotizzare che spesso la pratica dello stage non si esaurisca in una singola esperienza, visto che per il 14% dei rispondenti esso è durato più di 6mesi. La durata dello stage dovrebbe essere in realtà congruente, da un lato, con un’effettiva possibilità di apprendimento, e quindi avere una durata minimacomunque significativa (non inferiore ai tre mesi, suggeriremmo); d’altro cantonon sembrano essere giustificati periodi più lunghi del semestre, soprattutto inassenza di un rimborso spese, né prolungamenti di stage oltre il periodo inizialmente concordato. Certo molto dipende dall’effettivo affiancamento che iltutor aziendale compie sul tirocinante:

“Gli stage all’interno di MTV Italia hanno mediamente una durata di sei mesi,all’interno dei quali le risorse hanno il tempo e gli strumenti per maturare una formazione di base rispetto alla professione di riferimento”.(Cristina Lippi, Responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)

9 “I tirocini formativi e di orientamento hanno durata massima non superiore a quattro mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari siano studenti che frequentano la scuola secondaria; non superiore ai sei mesi nel caso incui i soggetti beneficiari siano lavoratori, inoccupati o occupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle listedi mobilità, o siano allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, studenti frequentanti attività formative post-diploma o post-Laurea; non superiore a dodici mesi per gli studentiuniversitari, compresi coloro che frequentano corsi di diploma universitario, dottorati di ricerca e scuole o corsidi perfezionamento e specializzazione nonché di scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione post-secondari anche non universitari, o nel caso siano persone svantaggiate; non superiore a ventiquattro mesinel caso di soggetti portatori di handicap”. (cfr. De Michelis - Bagnato 2000)

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Lo stage sembra complessivamente, essere prassi ormai consolidata per far incon-trare domanda e offerta, vista anche dai lavoratori stessi come importante com-pletamento del percorso formativo:

“Sicuramente bisogna fare un’esperienza di lavoro prima di laurearsi. Basterebberoun paio di stage d’estate in cui si parte a fare le fotocopie e poi si diventa operativi.Bisogna lavorare il prima possibile, solo così si impara ad essere operativi”.(Account casa di produzione crossmedia, focus group figure “crossmediali”,18/4/2006)

Certo talvolta appare anche come un abusato (e talvolta inflazionato, dato l’altonumero di aspiranti stagisti) strumento di sfruttamento dei giovani lavoratori,utilizzato strutturalmente per abbattere i costi di produzione e per rispondere abisogni concreti e contingenti legati ad un particolare momento produttivo, piùche con l’intento di formare persone “competenti e autonome”:

“L’azienda in cui lavoro riesce a tenersi in vita grazie al turnover di stagisti”.(Redattore editore new media, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

“Le aziende spesso fanno fare degli stage in mansioni non in linea con il profiloformativo degli stagisti, che sono spesso sottoutilizzati o ‘sfruttati’ in mansioni pocoqualificanti”.(Project leader, questionario lavoratori)

La nostra ipotesi è che in grandi aziende molto strutturate (ad esempio i grandieditori) il rischio sia quello dello stage “caffè e fotocopie”, cioè di pura osservazionepassiva del lavoro altrui, mentre nei piccoli produttori il rischio diventi quello di unindebito sfruttamento intensivo, determinato dall’incertezza strutturale con cuiqueste aziende operano e con cui fanno fronte a picchi di lavoro non pianificabili.

Il settore appare complessivamente come atipico e difficilmente iscrivibileall’interno di strutture programmate e istituzionalizzate, sia per la scarsa capacitàdelle aziende di formulare esigenze pianificate, sia per una scarsa conoscenzaspecifica dei ruoli e delle esigenze del settore da parte delle strutture di placement.I risultati del nostro questionario consentono di ipotizzare che le dinamiche didomanda-offerta nel nostro settore si sviluppino al di fuori delle strutture prepo-ste, sia universitario che extra-universitario.

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Alla luce dei dati emersi dalla ricerca, si possono individuare alcune linee guidaper la formulazione di un modello organizzativo degli stage come strumento for-mativo e di placement di riferimento, utile sia ai Centri di formazione e di orienta-mento, sia alle aziende, sia ai tirocinanti.

• Per gli studenti e per le scuole: considerare un periodo di stage gratuito comeindispensabile prolungamento del proprio percorso formativo, di autenticasperimentazione delle dinamiche produttive autentiche di un’azienda, nonequipollenta (e quindi non sostituibile da) workshop con esperti del settore ocon laboratori “pratici” (spesso di nome ma non di fatto, dati i problemi distrumentazione tecnica delle scuole e delle Università, e data la difficoltà diarticolare project work realmente fattuali). Il “learning by doing” è infattiuniversalmente considerato da tutti gli operatori come “la” strategia didatticaprofessionalizzante per eccellenza.

• Appare necessario per i centri di formazione e orientamento un aggiornamentocontinuo che permetta di conoscere un settore mobile e complesso comequello dell’audiovisivo. Solo conoscendo le aziende, i processi e i ruoli produttivi e i profili professionali può diventare possibile svolgere un’attivitàmirata di placement, rispondendo quindi in maniera puntuale ed efficace alladomanda dell’azienda, e anzi anticipandola.

• Altrettanto fondamentale, per i centri di formazione e orientamento, èstabilire una rete continuativa di relazioni con le imprese, non legata albisogno contingente delle scuole di “piazzare” gli stagisti al termine delcorso o a quello delle aziende di avere forza lavoro gratuita nei periodi dipicchi lavorativi.

• Dal punto di vista didattico, evitare, da parte delle scuole, che il tirocinio siacompletamente slegato dalla fase d’aula, e che anzi rimangano irrisolte alcuneinevitabili contraddizioni tra i contenuti didattici e la prassi operativa, tra “teoria”e “pratica”. Un periodo d’aula post-stage sarebbe utile, come già accennatonel capitolo precedente, sia come feedback dell’affidabilità dell’aziendaospitante nella sua capacità di seguire il tirocinante e assicurargli un percorsodidattico, sia come patrimonio di informazioni e conoscenze sulla realtà delmercato, da condividere tra tutti gli studenti compagni del tirocinante.

7.4 Linee guida per le attività di placement

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• Assicurare al tirocinante, da parte degli enti di orientamento/placement, undoppio tutoring: da parte dell’ente stesso, e da parte dell’azienda ospitante.L’ente dovrebbe anzi verificare che l’attività del tutor d’azienda sia effettivae costante e che il percorso ipotizzato in sede di stipula del progettoformativo sia mantenuto durante tutta la sua durata.

• Calibrare la durata dello stage affinchè sia né troppo breve né troppo lungo,sulla base di una doppia esigenza: dare al tirocinante il tempo di inserirsirealmente in una realtà lavorativa, di mettere in gioco le competenzeacquisite durante le ore “di aula”, e di uscire con una professionalità bendefinita, evitando però di prolungare indefinitamente e in modo fraudolentoquesto periodo di “limbo” tra formazione e inserimento lavorativo.

• Per gli enti di placement e le aziende: assicurare il rispetto di un corretto rapporto numerico tra numero di stagisti inseriti in una azienda e l’effettivapossibilità di affiancamento; il rapporto numerico, più che basarsi sul numerodegli impiegati a tempo indeterminato, dovrebbe essere, ad esempio,basato sul numero di produzioni e dei relativi referenti produttivi.

• Esplicitare nel progetto formativo dello stage i suoi obiettivi e le attività deltirocinante, in modo che sia l’azienda che il candidato siano consapevoli findall’inizio di quale sarà il percorso formativo: questo consentirà, da un lato,di non creare aspettative eccessive in un tirocinante impaziente di salire igradini della gerarchia aziendale, dall’altro di evitare sottoutilizzi squalificanti ocompletamente al di fuori del percorso didattico del corso, da parte delleaziende. Il progetto formativo dovrà essere sufficientemente flessibile daconsentire di enfatizzare in corso d’opera le attività più idonee allecaratteristiche del tirocinante e alle esigenze aziendali, ma non potrà esserestravolto. Nel concordare il contenuto del progetto formativo, dovranno conciliarsi la flessibilità, da parte del tirocinante, nell’adattarsi anche a ruoliche gli parranno non del tutto in linea con la propria formazione e sensibilità,e la responsabilità da parte dell’azienda di offrire stage realmente formativi,evitando mansioni del tutto distanti dal percorso di studi, ruoli di scarso prestigio in cui ci sia poca offerta di lavoro, e che soprattutto non diano alcunapossibilità di apprendimento.

• Per le scuole, gli enti di placement, le aziende e i tirocinanti: privilegiare progetti formativi che offrano la possibilità di una job rotation (almeno iniziale)

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tra vari reparti aziendali e/o varie mansioni (ad esempio una settimana nelreparto costumi, una nel reparto scenografia, una nel reparto regia, una inproduzione), in modo che il tirocinante possa comprendere appieno tutto ilprocesso produttivo e possa avere gli elementi per individuare la professionepiù in linea con le sue capacità e propensioni, e che l’azienda abbia modo divalutarlo in varie situazioni di inserimento. La job rotation rimarrà per il tirocinante inserito in azienda un’occasione preziosa di comprendere il puntodi vista delle altre figure coinvolte nel processo, nonostante la sua specializzazione in una mansione precisa.

• Favorire un corretto equilibrio tra l’esigenza di un’esperienza fattiva e concretae la possibilità per il tirocinante di riflettere sulla sua esperienza: non sempreil tutor aziendale potrà e dovrà offrire momenti esplicitamente didattici, ma iltirocinante dovrà/potrà accogliere il più possibile i feedback sullesue prestazioni; l’ente di placement incoraggerà a questo scopo momenti eoccasioni di feedback reciproco, formalizzati e non.

• Per gli enti di orientamento/placement: dovrebbero diventare prassi consolidatail monitoraggio costante della percentuale di inserimento occupazionalepost-stage e un servizio di “accompagnamento” del laureato dopo lo stage.Sarebbe utile poter continuare a seguire i laureati nei loro percorsi lavorativi,riuscendo in questo modo, da un parte, ad avere una visione completa edesauriente delle dinamiche lavorative reali (utili alla progettazione di futuriinterventi sia di formazione che di placement).

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La University of California di Los Angeles, conosciuta anche come UCLA, èun prestigioso ateneo pubblico statunitense; nato nel 1919, è il secondo campus più antico del sistema americano e oggi ospita, nella sua sede nel quartiere residenziale di Westwood, circa 40.000 studenti.Tra i dipartimenti più noti a livello internazionale (per la qualità della ricerca e perla fama di numerosi ex studenti), ci sono quelli afferenti alla School of Theater, Filmand Television, ovvero il Department of Theater e il Department of Film andTelevision.L’offerta formativa include svariati programmi di studio, di livello diverso: tra i diplomidi primo livello, il Bachelor of Arts in Film and Television; tra i corsi di secondo livello,il Master of Fine Arts in quattro aree - produzione/regia, sceneggiatura, ProducersProgram, e cinema d’animazione ; il Master of Arts e il dottorato in “Critical studies”.Il Dipartimento mette a disposizione degli studenti laboratori professionalmenteattrezzati per sperimentare produzioni audiovisive: l’UCLA possiede, per esempio,tre teatri di posa, trenta salette di montaggio, e altre svariate aree per le attività dimixaggio, registrazione lineare e in digitale; ci sono inoltre tre studi televisivi e unasala regia.Il Dipartimento di Film e Tv possiede, inoltre, una sala cinematografica con 276posti; la biblioteca possiede 40.000 volumi che riguardano il cinema e la televisione,e l’Università conserva un piccolo museo del cinema (che include una collezione dioggetti provenienti direttamente dagli studios, le corrispondenze cartacee di registi,attori, e tecnici, migliaia di sceneggiature, copioni, soggetti). Nell’archivio dell’UCLA,infine, si trovano circa 200.000 tra film e programmi televisivi dal 1946 ad oggi.Nel contesto di un ateneo tanto specializzato nell’ambito della comunicazione e dell’audiovisivo, il Career Center dell’Università di Los Angeles rappresenta, per lanostra analisi, uno dei benchmark più interessanti.Il Career Center offre una serie di servizi, riferiti sia all’orientamento pre-universitario(ad esempio grazie alla sezione “What can I do with a degree in…”, che immaginasbocchi professionali e percorsi di carriera per diversi piani di studio), sia aljob placement per studenti e neolaureati.Il centro mette a disposizione di ciascuno studente ed ex studente un “careercounselor”, un tutor che, su appuntamento, aiuta, indirizza e motiva: un servizio diaccompagnamento nel senso letterale del termine.

Il Career Center UCLA

FOCUS

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Il sito del Career Center dell’Ucla(http://career.ucla.edu), inoltre, offre diversiservizi on line (alcuni dei quali a pagamento),che vanno dall’iscrizione a workshop e seminari sultema della formazione e dell’orientamento, alla pubblica-zione di offerte di stage e di lavoro, rivolti a diversetipologie di soggetti (studenti, neolaureati e neoassunti).Il sito offre inoltre test e simulazioni di interviste ecolloqui di lavoro. Infine, è possibile accedere all’elencodi tutte le possibilità di studio e lavoro all’estero rico-nosciute dal sistema scolastico americano.Ogni sessione del sito è arricchita, poi, da “strumenti”

utili agli studenti, sia nel loro percorso universitario, che nel loro successivo inseri-mento lavorativo: i “tools” più cliccati e ricercati riguardano soprattutto le regole perscrivere un buon curriculum o la lettera di presentazione.Insomma: un sito completo e professionale che cerca di accompagnare lo studentenelle varie fasi del suo percorso di apprendimento e conoscenza, svolgendo unservizio di “orientamento” nella sua accezione più completa.

FOCUS

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08RECRUITMENT

Dopo una breve premessa volta a definire il concetto di recruitment, ci domanderemo in questo capitolo quali sono i canali privilegiati dalle aziendeaudiovisive lombarde nella ricerca di personale e, specularmente, dai lavoratorinell’attività di job search. Per ognuno dei canali individuati, analizzeremo lecriticità individuate da aziende e lavoratori. Si verificherà poi, in particolare,l’incidenza di due strumenti di ricerca del lavoro, ovvero l’inserzione on line equella a modulo su quotidiani, analizzando in un periodo campione il numero ela tipologia di inserzioni per il settore audiovisivo. Evidenzieremo le criticitàemerse, anche in una prospettiva di confronto internazionale.Il Focus offre anche in questo caso un benchmark internazionale: i servizi Internetche BBC mette a disposizione per chi cerca lavoro.

di Chiara Valmachino e Antonio Costa

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Con il termine “recruitment” si indica non solo l’attività di ricerca e di selezionedel personale, ma la complessa operazione in cui si incontrano capitale e lavoro,imprese e lavoratori. Il recruitment infatti non consiste solo nell’individuazione dicandidati in possesso dei requisiti necessari per svolgere determinati compiti, enella scelta tra i candidati, ma anche nella pianificazione di tutte le decisioni rela-tive alle Risorse Umane; ovvero delle decisioni riguardo l’iter di sviluppo delle car-riere, sia per soddisfare i bisogni di professionalità e le esigenze di sviluppo del personale, sia per regolare il flusso di turn over aziendale (Mocavini, Paliotta 2002).La presentazione dei risultati della nostra ricerca, in tema di recruitment aziendalee di strategie di ricerca di occupazione da parte dei lavoratori, necessita di un’ulteriore premessa: l’Italia, salvo rare eccezioni, è uno dei Paesi dove la raccolta sistematica e ufficiale sulle job vacancies e sulle strategie di ricerca dellavoro non è mai decollata. Due almeno i motivi: innanzitutto, “la condizionenecessaria per poter raccogliere informazioni sui posti disponibili è che funzioniun sistema di centri per l’impiego che effettivamente faccia da intermediazionetra domanda e offerta di lavoro” (Mocavini, Paliotta 2003); in Italia, la riforma delcollocamento è stata lenta, complessa, e solo di recente gli uffici preposti si sonoadeguati al monitoraggio dei flussi in entrata e in uscita e delle caratteristichedella domanda di lavoro. In secondo luogo, manca un coordinamento tra gli strumenti nazionali di indagine periodica sulle forze e sull’offerta di lavoro 1.

8.2 La ricerca: i canali di recruitment per l’audiovisivo e le criticità emergenti

Aziende e lavoratori dipingono un quadro molto simile circa le modalità con cui sioffre e si cerca lavoro nel campo audiovisivo. In generale, possiamo per il momentonotare che la tendenza emergente dalla nostra ricerca, è quella di:

• privilegiare canali informali e non strutturati (conoscenza e segnalazione) rispetto a quelli formali e strutturati (società di selezione);

• privilegiare canali tradizionali (scuole, invio curricula) rispetto a quelli innovativi(inserzione su web, annunci a modulo).

8.1 Che cos’è il recruitment

1 Cfr. in proposito, l’indagine trimestrale sulle forze lavoro dell’Istat e le indagini sulle job vacancies svolte annualmente da Excelsior e Isae, già citate al capitolo 3.

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I canali di selezione del personale utilizzati dalle aziende audiovisive e dai lavoratori

Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende audiovisive e 100 lavoratori del settore)

Ogni canale di reclutamento, per il peso specifico che ha, e per il modo con cuisi declina nel settore di nostro interesse, merita un approfondimento specifico.Osserveremo perciò, nel dettaglio, i diversi canali di selezione del personale,commentando nelle prossime pagine sia i dati quantitativi raccolti attraverso iquestionari somministrati ad aziende e lavoratori, sia gli aspetti qualitativi emersidurante le interviste personali 2.

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2 Gli enti di formazione sono stati citati tra i canali di reclutamento del personale dal 44% delle aziende; il 39%dei lavoratori dichiara, a sua volta, di aver fatto ricorso, per il job search, alle strutture degli enti di formazione.Si rimanda, per ogni considerazione relativa allo stage e al placement, ai capitoli 6 e 7 di questo volume.

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8.2.1 I canali di selezione informali

La maggioranza delle aziende che hanno partecipato alla ricerca utilizza, per laselezione del personale, canali “relazionali” quali la conoscenza diretta (è tra imetodi scelti dal 77% delle aziende interpellate) e la segnalazione di conoscentie fornitori (vale per il 57% delle risposte 3). Quest’ultima 4 è in assoluto la modalità prevalente secondo i lavoratori: tra i rispon-denti al nostro questionario, ben il 75% dichiara di essersi affidato, nella ricercadi lavoro, a conoscenti o colleghi.Si tratta, da un lato, di un metodo molto “italiano”: secondo l’ultimo rapportoExcelsior di Unioncamere effettuata su un campione di 100.000 imprese italiane,l’82% ricorre ad assunzioni legate a conoscenze dirette e a raccomandazioni(Excelsior - Unioncamere 2005). Il tema è ribadito anche dai dati Isfol relativi al2005, secondo i quali un italiano su tre trova lavoro grazie alla conoscenza diretta.La situazione pesa nelle considerazioni critiche di molti lavoratori interpellati che,soprattutto nelle risposte anonime del questionario on line, citano questa addiritturacome la criticità fondamentale del settore, lamentando una scarsa meritocraziadelle scelte aziendali 5:

“È un settore chiuso, in cui entrare è quasi un’utopia, a meno che la tua rete di rela-zioni/parentale non ti permetta i contatti ‘giusti’”.(ispettore di produzione, questionario lavoratori)

“Il problema è il clientelismo imbarazzante e il favoreggiamento dovuto a ragioniche poco hanno a che fare con meriti e competenze reali”.(videoreporter, questionario lavoratori)

3 I questionari prevedevano, in relazione alla domanda sui canali di selezione maggiormente utilizzati, possibilitàdi riposta multipla.

4 Intendiamo per segnalazione prassi tra loro diverse, come l’avvertimento di una ricerca di personale in corso,la segnalazione di un curriculum meritevole all’attenzione dei decisori aziendali, fino alla vera e propria “raccomandazione”.

5 Il Consiglio di amministrazione della RAI, volendo incentivare il pensionamento dei dipendenti, ha escluso nel2006, per la prima volta, il ricorso alla staffetta generazionale, grazie alla quale i figli potevano subentrare al padre che accettasse di andare in pensione. La staffetta, esempio di una prassi che penalizza la meritocrazia, riguardava figure della produzione (montatori, tecnici, operatori, assistenti ai programmi)o figure qualificate che avrebbero comunque “richiesto un innesto esterno” (Repubblica, 27 dicembre 2005;Corriere della Sera, 31 dicembre 2005).

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A onor del vero, non si dovrebbe “semplicisticamente pensare che il ricorso allereti di conoscenza, di amicizia e familiari possa dar luogo solo a spiacevoli fenomeni di nepotismo” (Mocavini, Paliotta 2002): per esempio, quando un’azien-da chiede collaborazione ai propri dipendenti nella ricerca di nuovo personale, ottie-ne spesso una funzione di intermediazione forte ed efficace tra domanda e offerta;i dipendenti conoscono infatti bene la propria impresa, e mettono spesso in attoforme di autocensura nei riguardi di personale poco adatto alle qualifiche richie-ste. La ricerca di personale con canali informali e diretti, se non segue logicheclientelari, può essere inoltre necessaria per trovare velocemente sul mercatoprofili specifici, riducendo il margine d’errore:

“Seleziono le persone con colloqui abbastanza casuali, spargendo la voce. Oppurecerco degli esempi che mi sono piaciuti, vado a vedere ‘chi si è occupato della cosache mi interessa’, e poi cerco di contattarlo”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

“Non ci sono referenti, a parte le persone di cui mi fido e le conoscenze personali”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

Anche all’interno delle case di produzione, l’assegnazione delle risorse sulle singole produzioni avviene spesso per passaparola informale tra i dipendenti: ilsistema sembra tuttavia dettato più dalla fretta imposta dai ritmi di produzioneche da una reale efficacia dei risultati.

“Parlandoci tra noi produttori riusciamo a capire quello di cui ha bisogno un collegaper la singola produzione. Ad esempio parlando con un collega che ha bisogno diun runner, gliene segnalo uno con cui mi sono trovata bene. Facciamo autogestionedelle risorse umane”.(Cristiana Molinero, Executive producer Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)

La situazione corrente viene, in ogni caso, vissuta da alcune aziende in modo problematico, soprattutto quando la ricerca di nuovi addetti è affidata al personalein prima linea nel processo produttivo, che non ha il tempo (né forse il ruolo adatto)per dedicarsi in modo sistematico allo sviluppo delle Risorse Umane.

“Sono in grande difficoltà col reperimento delle persone, è tutto un passaparola…

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Tutti i miei colleghi hanno lo stesso problema, sono tutti disperati. Credo anzi che ilvalore di un esecutivo forte sia dato dal network di persone che conosce”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006).

8.2.2 L’autocandidatura

L’invio spontaneo di curricula alle aziende viene utilizzato come canale di offertalavorativa dal 20% dei lavoratori interpellati; sull’altro versante, il 28% delle aziendedichiara di attingere ai curricula pervenuti e inseriti nei propri database. Le intervi-ste raccolte tra lavoratori ed aziende, tuttavia, dipingono, in merito all’efficacia di que-sto strumento di selezione, un quadro poco confortante.La prassi dell’invio spontaneo di curricula è, nella percezione delle aziende, moltousata (se non abusata) dai lavoratori: il numero dei curricula inviati direttamenteè, a detta degli intervistati, costante e consistente, tanto da non consentire unaschedatura sistematica e duratura in database aziendali.Le grandi aziende ricevono troppi cv; (ricordiamo che ad esempio a Mediaset nearrivano annualmente 10.000), alle piccole aziende manca il tempo:

“L’offerta di personale è già troppo grande. Io ricevo al giorno un sacco di curricula.Che poi vaglio e controllo, come posso”.(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)

Le candidature spontanee non hanno nessun costo per le imprese ma, in generale, sono una fonte scarsamente tenuta in considerazione nella dinamicadomanda/offerta di lavoro, per diversi motivi: esse arrivano spesso in momentinei quali l’azienda non ha necessità di assumere manodopera, oppure vengonorecapitati a persone diverse da quelle addette alla selezione del personale (sempre che ve ne siano). (Mocavini, Paliotta 2002)Ciò è tanto più vero nel settore dell’audiovisivo, che sconta la frequente assenzadi un reparto Risorse Umane anche in imprese di medie e grandi dimensioni e con-seguenti difficoltà di pianificazione del lavoro, più o meno consapevoli.

“Riceviamo giornalmente molti curricula, ma non siamo organizzati per poterli valutare e per poterli ripescare quando ci servono le persone su una produzionespecifica. Perché noi abbiamo il problema del tempo, e quando cerchiamo qualcunoè perché l’abbiamo bisogno da subito”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)

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“Non so quanti abbiano modo di selezionare i curricula. Anch’io, nonostante siastata disoccupata per anni, adesso non ho tempo di guardarli. Se il curriculumarriva nel momento propizio bene, ma se arriva nel caos, lo perdi”.(Producer casa di produzione, focus figure crossmediali, 18/4/2006)

Gli stessi lavoratori sanno che l’invio di curricula è, nella stragrande maggioranzadei casi, inutile; oltretutto, nella prassi italica, le aziende non rispondono, nem-meno con una mail automatica di risposta negativa:

“Ho mandato un centinaio di mail a qualsiasi ditta e solo due mi hanno risposto,dicendo che non c’era posto. Io mi offrivo come stagista non retribuito e comunquenon rispondeva nessuno…”.(Post Production Manager Casa di produzione crossmedia, focus group figurecrossmediali, 18/4/2006)

…e, pur disincantati, mettono in atto strategie complementari, per superare lasoglia della disattenzione e sperare di ottenere visibilità:

“Se ‘martelli’ una persona, alla fine un incontro te lo fissa… perciò il curriculum siinvia più volte, e poi, si fanno telefonate ‘a manetta’ per farsi prendere!”.(Post production manager Casa di produzione crossmedia, focus group figure crossme-diali, 18/4/2006)

8.2.3 Le società di selezione del personale

Il panorama delle tipologie di centri e società di selezione disponibili sul territoriolombardo, a prescindere dal nostro settore di interesse, è molto ampio e variegato.Il censimento realizzato nel 2004 da Mario Bianco contava nella RegioneLombardia:

• 195 agenzie del lavoro per l’impiego, ovvero società - costituite prevalentementeda professionisti provenienti da esperienze dirigenziali nel settore delle risorseumane - che ricercano personale (soprattutto quadri e impiegati) sucommissione di enti o aziende private, da inserire solo a tempo indeterminato.

• 28 società di executive search, che si differenziano da quelle di ricerca eselezione del personale perché si occupano di figure manageriali di rilievo,dirigenti e top manager. Appartengono tipicamente a questa categoria i “cacciatori di teste” (head hunters), che reclutano i candidati attraverso la

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ricerca diretta e i contatti personali con le aziende (raramente tramite ricerched’archivio).

• 12 società di temporary management, ovvero società che si rivolgono “prevalentemente a candidati di un certo spessore professionale, con lafinalità di inserirli in azienda con contratti di consulenza che variano da 6mesi a 2 anni” (Bianco 2004). Questi “manager a tempo” vengono impiegatiprevalentemente dalle società di piccole e medie dimensioni, per risolverenecessità specifiche come la formazione e il supporto di personale in posizione strategica, impostare nuove strategie commerciali o di marketing,ristrutturare l’azienda, o semplicemente sostituire un dirigente o un quadrotemporaneamente assente.

• 11 società di outplacement: si tratta di società, tuttora poco presenti in Italiae concentrate del Nord del Paese, che operano su incarico di aziende,prevalentemente multinazionali o comunque di dimensioni medio-grandi, chedevono riqualificare e ricollocare le proprie risorse in esubero o in mobilità.

• 22 agenzie di lavoro per l’impiego interinale, che tradizionalmente “offrono aicandidati la possibilità di essere assunti a tempo determinato e di esseredati ‘in affitto’ ai loro clienti” (Bianco 2004). Per gli effetti della Legge 30 (laLegge Biagi), a partire dal 2005 le società interinali hanno operativamenteiniziato a svolgere la ricerca e selezione diretta del personale e il collocamentoa tempo indeterminato. Oggi si calcola che le società di lavoro interinale riescano a collocare circa il 10% di chi cerca o cambia lavoro, contro il 4%circa di un anno fa.

• 68 Centri per l’impiego (gli ex Uffici di Collocamento), enti gestiti dalleProvince o dai Comuni e presenti capillarmente sul territorio.

La quasi totalità delle 336 società esistenti non cita il settore Media tra quelli dispecializzazione 6.

Le aziende audiovisive interpellate fanno ricorso raramente a società di lavoro interinale (il canale è usato dal 10% del nostro campione), o a Centri per l’impiego(il 2% dei casi); entrambi i canali sono utilizzati solo per la ricerca di figure aspecifiche, come quelle amministrative…

6 Una sola agenzia per l’impiego (Arrow) dichiara tra i settori di specializzazione “Media/entertainment” (Bianco2004)

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“Il canale di selezione tipico è la conoscenza diretta. Soprattutto nel settore delleproduzioni, perché in quello impiegatizio mi posso anche avvalere del lavoro interinale”.(Anna Di Sabato, Direttore generale Gruppo Profit, intervista personale, 20/4/2006)

… oppure per attività in cui l’avviamento al lavoro e la sua organizzazione sonoassimilabili al settore industriale, come quelle dei servizi alla produzione:

“Sui servizi […] si fa ricorso al lavoro interinale. I lavoratori sono interinali per i primiuno o due anni, poi facciamo training con corsi di formazione interna… quasi tuttequeste persone sono destinate al tempo indeterminato”.(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 17/3/2006)

Solo l’11% delle aziende interpellate dichiara di utilizzare, per il recruitment, altretipologie di società per la selezione del personale.Le poche aziende che hanno fatto ricorso alle società di selezione hanno contattatoin prevalenza società di executive search e head hunters (il 40% dei rispondenti),cercando dunque profili ad alta qualificazione e di elevato livello. Decisamentepoco utilizzate le altre tipologie di società di recruitment, che servirebbero per cercare figure produttive (e quindi specifiche) e posizioni intermedie:

“Sono convinto che in Italia esista un gap da questo punto di vista: o abbiamo glihead-hunters oppure le agenzie interinali. I posizionamenti di mestieri intermedinon sono coperti”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

Le aziende interpellate conoscono poco le società di selezione del personale: alladomanda specifica, ben il 57% delle aziende non sa valutare la qualità dei serviziofferti da tali società. Tra coloro che esprimono una valutazione, più della metàritiene inadeguato (“insufficiente” o addirittura “inesistente”) il loro servizio.Per causa e per effetto della scarsa abitudine a ricorrere a questi canali di selezione, è quindi molto difficile trovare, tra le agenzie presenti in Lombardia maanche a livello nazionale, soggetti che si siano occupati del settore audiovisivo,se non occasionalmente o addirittura eccezionalmente 7. Dalle nostre fonti risulta

7 Il questionario da noi allestito e inviato a tutte le società di selezione del personale lombarde, per sondare l’attività di recruitment nel settore audiovisivo, ha avuto un tasso di risposta pressochè nullo (circa il 6%),obbligandoci a tralasciare questo strumento di ricerca. La maggior parte delle società non ha voluto nemmeno rispondere alla domanda in cui chiedevamo se si fossero mai occupati di audiovisivo, vuoi per problemi di riservatezza, vuoi per disinteresse al tema.

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che siano state soprattutto le multinazionali entrate nel nostro Paese dopo l’ingresso di Sky nel mercato televisivo (2003), ad utilizzare società di selezione.Le imprese audiovisive si dividono, del resto, sulla disponibilità a utilizzare societàdi selezione o head hunters specializzati nel settore audiovisivo, laddove neesistessero. Il 46% degli interpellati (a fronte di un 20% non favorevole e di un35% che risponde “non so”) sarebbe favorevole: tra i vantaggi rispetto alla gestioneinterna e non strutturata delle Risorse Umane, sarebbe garantita - soprattutto allepiccole aziende - una razionalizzazione e una maggior efficienza nelle ricerche dipersonale…

“Non ci sono oggi aziende specializzate nel settore dell’audiovisivo, che sappianodistinguere le diverse richieste. Se ci fossero delle società che mi fornissero deicurriculum ad hoc e che magari avessero modo di fare prima dei casting per vagliaree controllare i dati, allora varrebbe la pena”.(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)

“Sarebbe fantastico un head hunter dell’audiovisivo, anzi dovrebbero esserci varihead hunters: uno per la produzione, uno per la parte creativa. Sarebbe utilissimo,cosi invece di cercare risorse a caso, tu chiami l’head hunter, gli spieghi che tipo diprogramma devi fare e lui ti individua il profilo di cui hai bisogno”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

…a vantaggio non solo delle singole imprese, ma dell’intero sistema:

“Potrebbe anche diventare uno strumento di messa in ordine delle competenze, sipotrebbero finalmente costruire griglie per valutare le persone. Il problema è chenon ci sono interlocutori: tu parli sempre con gente che fa il tuo mestiere, ma quellodel selezionatore è un altro mestiere…”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Produzioni NeoNetwork, intervistapersonale, 24/2/2006)

A società di selezione specializzate, secondo alcuni, potrebbero essere attribuitianche compiti più ampi: non solo trait d’union nelle dinamiche domanda/offertadi lavoro tra aziende e lavoratori, ma anche in quelle tra commissioning editor epiccole case di produzione:

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“Società di selezione del personale servirebbero soprattutto delle situazioni diinterfaccia, tra le esigenze dell’emittente e quelle della casa di produzione.Ad esempio, se dei canali cercano piccole case di produzione per fare dei fillers perla loro programmazione, io come faccio a saperlo? Magari sono la giusta risposta perquesta loro esigenza. Dall’altra parte io dico “avrei bisogno di un gruppo di ragazziper la parte redazionale” e dove li trovo? Ecco, sono due interfacce che servirebbero e sarebbero interessanti”.(Paolo Lipari, Titolare Anni Luce, intervista personale, 20/3/2006)

Le caratteristiche richieste a un’eventuale società di selezione riguardano lacelerità della ricerca e la garanzia di un’effettiva e profonda conoscenza del settore e delle sue peculiarità organizzative:

“Chiederei a delle ipotetiche società specializzate di parlare lo stesso linguaggio,perché adesso con un partner esterno generico si hanno difficoltà a capire le esigenze dell’azienda. Con un partner specifico il pre-screening sarebbe sicuramentepiù efficace.(…) Il nostro è un mondo abbastanza chiuso, che bisogna conoscere. È molto difficile entrare qua dentro avendo fatto, per esempio, il marketing altrove; le logiche culturali sono molto diverse”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset, inter-vista personale, 14/3/2006)

Un terzo delle aziende interpellate nutre riserve rispetto all’utilità di società diselezione specializzate nel settore audiovisivo, pensando anche all’impegno economico eventualmente richiesto e alla formula di remunerazione ipotizzabile:

“Se ci fosse una società specializzata usufruirei dei suoi servizi, ma dipende a chelivello e a che costi. Il gruppo di scuole a cui ci riferiamo attualmente ci fornisceuna buona base [per la selezione di personale], se abbiamo bisogno di qualcosapossiamo rivolgerci anche a loro, senza grandi costi per l’azienda”.(Giusto Truglia, Vice direttore generale Multimedia S. Paolo, direttore testata giornali-stica e palinsesto Telenova, intervista personale, 13/3/2006)

Infine, il 20% delle aziende si dichiara non interessato ai servizi di una società direcruitment; la diffidenza deriva dalla convinzione di un’irriducibile alterità del set-tore rispetto al resto del mercato del lavoro, anche se sembra ci si riferisca aisoggetti esistenti sul mercato, che mancano di specializzazione, più che a ipotetici

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nuovi soggetti con una mission specifica:

“L’audiovisivo è troppo specifico per ricorrere a head hunters”.(Stefano Selli, Direttore Generale FRT, intervista personale, 26/4/2006)

Per quanto riguarda i lavoratori, essi dichiarano nel questionario somministrato online di non usufruire delle società di selezione (solo l’1% di loro l’ha fatto): il 67%dei partecipanti al questionario non esprime valutazioni circa la qualità dellesocietà di recruitment, ma tra i rispondenti, ben il 40% giudica “inesistenti” iservizi offerti, e un altro 15% li ritiene “insufficienti”. Chi ha avuto, del resto,esperienze dirette ha ricavato impressioni di superficialità e scorrettezza nellagestione dei contatti:

“Anche i cacciatori di teste… su quindici cacciatori contattati solo quattro mi hannorisposto. Posso capire che non lo faccia l’azienda, anche se è scortese. Però un cacciatore di teste dovrebbe dare una risposta, anche in automatico. Penso che siapuro disinteresse e superficialità. In quel momento non serviva il mio profilo, stop.Non c’è la capacità di guardare oltre, per riutilizzare il curriculum in altri campi”.(Producer casa di produzione, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)

Ben il 67% dei lavoratori, in ogni caso, si servirebbe di una società di selezionespecializzata se ne conoscesse l’esistenza (a fronte di un 16% che non utilizzerebbequesto canale e di un altro 17% incerto).

8.2.4 Job search on line. I siti delle aziende e lesocietà di e-recruitment

Tra i canali innovativi di recruitment, gli studi specializzati (Mocavini, Paliotta 2002e 2003) citano soprattutto le possibilità di incontro tra domanda e offerta di lavo-ro offerte dal web. Dalla nostra ricerca emerge che Internet non è tra i canali pri-vilegiati dalle aziende dell’audiovisivo lombardo nella fase di selezione del perso-nale: solo il 10% delle aziende rispondenti dichiara di utilizzare annunci viaInternet come strumento di selezione del personale. Questa percentuale non foto-grafa nella sua interezza l’impatto delle tecnologie web nei processi diselezione del personale. L’utilizzo diretto, da parte delle aziende interessate, diannunci su siti web non esaurisce, infatti, le possibilità di utilizzo del web comestrumento di recruitment. Basti pensare, banalmente, ai curricula che vengonoormai regolarmente inviati alle aziende quasi esclusivamente tramite posta

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elettronica (cfr. paragrafo 8.2.2), oppure al fatto che possono essere le societàdi selezione del personale cui le aziende si sono in precedenza rivolte ad utilizzareil web come canale di selezione. Ai fini della presente ricerca, comunque, abbiamo ritenuto opportuno approfondirealtre modalità di job-search on line, per rilevare la diversa portata delle modalitàspecifiche attraverso cui si può realizzare questo processo: abbiamo analizzatoquindi come le nostre aziende campione si pongano rispetto alla questionerecruitment nei loro siti (soprattutto in confronto alle altre aziende nazionali e aquelle internazionali), e se si appoggino a siti di job search esterni, anche perquantificare la pubblicazione di posizioni aperte nel settore.Innanzitutto, l’analisi si è rivolta alla quantificazione della consistenza dell’offerta dilavoro nelle aziende audiovisive lombarde da noi censite. Successivamente, si èproceduto a scomporre l’effettiva portata del recruitment on line nel settore attraverso le tre modalità principali di utilizzo delle imprese: invito a inviare il curriculum via mail o tramite form nel proprio sito, segnalazione di posizioni apertein una apposita sezione del proprio sito, segnalazione di posizioni aperte in sitigenerici o specializzati di ricerca lavoro (Mocavini, Paliotta 2003).I dati emersi evidenziano la riluttanza delle aziende dell’audiovisivo ad utilizzarestrumenti di e-recruitment. Analizzando tutti siti delle aziende audiovisive lombardealla data del 30/4/2006, emerge che solo il 71% di queste aziende possiede unsito web attivo. Inoltre, è stato verificato che solo l’8% di aziende con sito ed il6% di aziende complessive possiede almeno una pagina del proprio sito web con

La pagina “opportunità di lavoro”sul sitoRAI: “Nessuna informazione disponibile”

La pagina “lavora con noi”sul sito TelecomItalia Media: “Non ci sono posizioni aperte”

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l’invito ad inviare il curriculum via mail o tramite un form (tra queste RAI eMediaset), mentre solo il 6% delle aziende con sito e il 4% delle aziende totali(solo 10 aziende sulle 271 censite!) possiede una sezione dedicata al job-searchdalla quale sia possibile consultare le ricerche di personale in corso e gli annuncisu posizioni specifiche. È significativo, inoltre, notare la tipologia di attività di queste aziende: si trattaesclusivamente di produttori ed editori crossmediali o di aziende che espletanoservizi per telefonia e web, oppure di aziende multinazionali che svolgono attivitàanche in Italia, con la sola eccezione di un’ azienda che si occupa di produzionedi video d’animazione 8.

Buona parte di queste sezioni di job search, comunque, risulta poco aggiornata;inoltre alcune pagine non sono per mansioni produttive ma di staff (ad esempioriferiti a profili commerciali), o addirittura per ruoli più legati al mondo ICT che aquello audiovisivo (visto che si tratta di aziende “della convergenza”). Tra le posizioni specifiche presenti, comunque, troviamo tra gli altri, sales manager,video editor, producers e addetti alla gestione dei diritti e del palinsesto, per untotale di appena 27 annunci sui siti web delle aziende audiovisive lombarde 9.

La pagina “job opportunities” nel sitointernazionale di Discovery Networks: tra lecentinaia di posizioni nel mondo, una nellasede milanese

La pagina “posizioni aperte” del sito di SkyItalia (gruppo News Corporation)

8 Le dieci aziende presenti nel campione che pubblicano annunci di lavoro nel loro sito sono: BuongiornoVitaminic, Digital Magics, Discovey Networks, Yahoo, Fastweb, H3G, Icon Media Lab, Maga Animation Studio,Neo Network e Sky Italia.

9 Nel conteggio totale sono state considerati come unici (e conteggiati una sola volta) gli annunci del tipo “Cercasi100 sales representative”.

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Questo scarso utilizzo dello strumento web per le politiche di recruitment sembracaratterizzare anche le aziende dell’audiovisivo a livello nazionale, in contrasto conquelle internazionali, come emerge alla luce di altri due dati: la presenza di boardsdi job search rispettivamente sui siti di aziende italiane dell’audiovisivo non resi-denti in Lombardia e lo stesso dato rilevato sui siti di un gruppo di aziende europeedello stesso settore. Nel primo caso, sono stati “visitati” i siti di 50 aziende di significativa importanzadel settore a livello nazionale 10. È stato riscontrato, in proposito, come le percen-tuali di utilizzo di servizi di job search sui siti aziendali non si discostino daquelle delle aziende lombarde. Ad un primo raffronto, comunque, i dati sembranoleggermente più confortanti rispetto a quelli delle aziende campione. La percentualedi presenza di un sito attivo per le aziende nazionali è leggermente superiore diquella dei siti lombardi (86% contro il 71%), ed il dato risulta superiore anche nell’analisi della presenza di una sezione job search nel sito (16%, contro il 6%del nostro campione); ma si deve tenere conto del fatto che si tratta di realtà dicaratura nazionale, a fronte di un insieme piuttosto eterogeneo per dimensionicome quello locale. Nel caso delle aziende leader europee 11, invece, il risultato è differente: l’89%delle aziende analizzate possiede un sito (contro l’86% delle aziende nazionali eil 71% delle aziende lombarde). Il 37% (e il 42% sui siti attivi) dei siti delle aziendestraniere possiede una sezione dedicata al job search, e il 33% del totale (il 37%dei siti attivi) pubblica anche l’elenco delle posizioni aperte. Queste percentualisono dunque di circa cinque volte superiori a quelle delle aziende lombarde, e piùche doppie di quelle delle altre aziende nazionali. È evidente che le nostre azien-de scontino un gap fortissimo, dal punto di vista dell’utilizzo degli strumenti infor-matici nella selezione del personale, rispetto alle aziende straniere, e in partico-lare a quelle del Regno Unito. Tra le aziende di questo paese, infatti, sono altis-sime sia la percentuale di aziende con un sito web (92%) che la percentuale di sitiattivi con sezione dedicata al recruitment (52%). Le posizioni presenti sono le piùvarie, da quelle specificamente produttive a quelle amministrative, da quelletecniche a quelle commerciali. Le aziende che non presentano un’apposita sezio-ne di job search sono in genere munite quanto meno di un apposito form per l’in-

10 Queste aziende sono state desunte dall’Annuario “Uomini e comunicazione”, pubblicato da PrimaComunicazione, alle sezioni relative a Tv e Spettacolo.

11 Si tratta di un campione comprendente le prime 120 aziende dell’audiovisivo per fatturato in Germania, RegnoUnito, Francia, Spagna ed Olanda. Fonte: Annuario European Audiovisual Observatory (EAO) 2005.

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vio online dei curricula, oppure pubblicano le varie job description presenti inazienda. Per quanto riguarda la seconda possibile modalità di utilizzo, vale a dire le inserzioni su rubriche di portali e siti di annunci, la situazione nel nostro paeseappare persino peggiore. Nei sei principali portali con sezione di ricerca lavoro 12,difatti, emerge che non esiste neanche una sezione dedicata agli annunci deimedia e dell’audiovisivo. Al massimo esistono sezioni dedicate al macro-settoredella comunicazione, e quando ciò avviene è possibile riscontrare solo la presenzadi annunci nel settore del marketing o delle pubbliche relazioni, e sostanzialmentemai nel settore dell’audiovisivo. Anche nei veri e propri siti di ricerca lavoro, cheoffrono non solo generiche bacheche on line, ma servizi specializzati alle aziendee agli aspiranti lavoratori 13, agli annunci riguardanti il settore audiovisivo non èriservato un settore a parte, probabilmente ancora una volta a causa del loronumero esiguo. Questi annunci sono difatti inclusi in altri settori attigui (media ededitoria, media-marketing-pubblicità, creatività, ecc…), all’interno dei quali la rilevanza del settore rimane in ogni caso esigua (in un solo caso appare la parola“tv”, peraltro aggregata a “editoria, cinema e radio”). A prescindere dalla categorizzazione, comunque, dei 18 siti monitorati solo tre (Monster, Infojobs 14,Cambiolavoro) offrivano posizioni specifiche nell’audiovisivo, per un totale di 12posizioni (tra cui operatori di emissione video, sales representatives, tecnici diemissione, addetti gestione diritti e scheduler di palinsesto). Persino nei soli tre siti specializzati in comunicazione che pubblicano annunci lecose non sembrano migliorare di molto. Uno di essi (Infocity) è consultabile soloa pagamento; negli altri due liberamente consultabili (Primaonline e LavoriCreativi), delle 137 offerte presenti alla data della rilevazione, appena 10 riguardavano posizioni specifiche dell’audiovisivo. Tra queste, quelle più ricercatesono i telereporter e gli operatori. La possibilità di utilizzare strumenti web nella selezione del personale, dunque,non sembra allo stato delle cose interessare le aziende dell’audiovisivo. I canalidi selezione privilegiati, infatti, rimangono, come abbiamo visto, quelli personali,ed un reale e diffuso utilizzo di Internet come strumento di selezione del persona-le “trasparente” e “democratico” sembra ancora di là venire.

12 Corriere della Sera, Trovojob, Il Sole 24 ore, Kataweb Lavoro, Tiscali, Libero-Milano Finanza.13 Molti operatori del job search hanno trasformato quelli che erano una volta “semplici strumenti di veicolazione

di messaggi, in luoghi di matching” offrendo una serie di servizi complessi e a valore aggiunto per le aziende(Mocavini, Paliotta 2003).

14 Il sito Infojobs offre ai candidati registrati un servizio personalizzato molto articolato, che comprende la possibilità di memorizzare più versioni di curricula e di lettere di presentazione, nonché di visualizzare in temporeale lo stato di ciascuno degli annunci di personale a cui si è risposto, controllando se il proprio curriculum èstato visionato o meno, se è stato scartato o preso in esame, se si è finalisti, ecc.

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8.2.5 Le inserzioni a modulo

“La ricerca di personale qualificato sui quotidiani costituisce ancora oggi unadelle fonti più immediate e dirette per reclutare forza lavoro da parte del sistemaproduttivo nazionale” (Isfol 2005). Questo canale di ricerca, in Italia, viene monitorato in modo continuativo dal 1979, a cura dell’Isfol in collaborazione conil Centro Statistico Aziendale (CSA) di Firenze. Il ricorso all’inserzione su mezzi astampa è, in generale, indice di un bisogno immediato e urgente che si spera disoddisfare in tempi brevi; mediante questo canale - piuttosto costoso per leaziende - si cerca per lo più “personale ad elevata qualificazione, di difficilereperimento e di acclarata strategicità per la mission aziendale” (Isfol 2005).Nonostante queste caratteristiche rendano il canale stampa teoricamenteappetibile per le aziende dell’audiovisivo - sempre alla ricerca, come abbiamovisto, di personale specializzato e velocemente reperibile - l’inserzione a moduloè scarsamente utilizzata dalle aziende del nostro campione (ne fa uso solo il 7%). Un’analisi dettagliata delle inserzioni pubblicate nel 2004 sui quotidiani (esclusala free press), individua 97 annunci per professioni afferenti alla categoria Istat 92(Attività ricreative, culturali e sportive), in parte riferibili al settore audiovisivo, suun totale di 113.000 inserzioni: evidentemente una percentuale irrisoria.

Inserzioni a modulo anno 2004: le professioni delle Attività ricreative, culturali e sportive

Fonte: Isfol, su dati 2004 (quotidiani, esclusa free press).

Alla già citata difficoltà, da parte delle aziende audiovisive, a scostarsi da strumenti abituali di ricerca e selezione del personale, si aggiungono in questocaso, probabilmente, fattori congiunturali di più ampia portata: “un’analisi retro-

Professione n. di inserzioni

Animatore

Attore

Coreografo

Costumista

Promoter

Scenografo

Totale

Totale inserzioni complessive (tutte le professioni)

55

10

10

5

2

15

97

113.000

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spettiva… ha evidenziato la forte assonanza tra ciclo economico e andamentodelle inserzioni a modulo. In generale, si è osservata una diminuzione delle offertein situazioni sfavorevoli o in corrispondenza di aspettative sfavorevoli per il futuro”(Isfol 2005). 15

8.3 Linee guida per le attività di recruitmentnell’audiovisivo

Alla luce di quanto emerso nella ricerca, il miglioramento dell’attività di recruitmentper il settore audiovisivo passa per alcuni punti chiave:

• Ogni azienda, non appena le condizioni del mercato lo consentano, dovrebbestrutturarsi per prevenire i propri bisogni di personale, in modo da far frontead emergenze e imprevisti in modo non casuale. Solo un’attività permanentedi raccolta, selezione e classificazione dei curricula, nonché l’organizzazioneperiodica di colloqui di selezione, garantirebbe la possibilità di far fronte amomenti di ricerca non pianificati.

• Ogni azienda audiovisiva dovrebbe essere incoraggiata ad una maggiore trasparenza nella ricerca delle proprie risorse umane, ad esempio pubblicandole ricerche in corso sul proprio sito: in questo modo l’aggravio di tempi erisorse dedicati all’attività di selezione, causato senza dubbio da un altonumero di candidature, sarebbe compensato dalla qualità delle risorseindividuate, non più affidata al caso e alla contingenza, ma ad un databasedi curricula ampio e strutturato. La pubblicazione delle ricerche in corsoconsentirebbe, tra l’altro, di descrivere i profili dettagliati, comprese compe-tenze e attività, in modo da fornire informazioni esaurienti all’utenza.

• Ogni attività di Human Resources, a partire da quella di recruitment, non puòprescindere da un corretto rapporto con l’utenza dei singoli aspiranti lavoratori:

15 Bisogna anche sottolineare che, in generale, lo strumento degli annunci a mezzo stampa è attualmente in declino:ha subito infatti, negli ultimi anni, un drastico ridimensionamento anche per la concorrenza dei mezzi telematici diricerca del lavoro: la contrazione dell’offerta si è attuata a partire dal 2001, e al risultato finale del 2003 (-21%di inserzioni rispetto all’anno precedente) hanno contribuito soprattutto le regioni del Nord Italia.

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ad esempio, è indispensabile che sia le aziende che (a maggior ragione) lesocietà di ricerca del personale rispondano a tutti i candidati che inviano curricula sia spontanei che (a maggior ragione) in seguito ad annunci.

• Per le tre ragioni sopra citate, è necessario che almeno le aziende di mediae grande dimensione prevedano investimenti e personale dedicato, per il settore Risorse Umane, in grado di pianificare i bisogni. La mancanza di pianificazione generale delle produzioni non può essere considerata un alibialla mancanza di progettualità, anzi ne è il più importante motivo a favore: èproprio in un ambiente ad elevata variabilità di mercato e con tempistichestrettissime di produzione, che è necessario prepararsi in anticipo per collocare“le persone giuste nel posto giusto al momento giusto”.

• La diversificazione dei canali di ricerca del personale (ivi compresi quelli innovativi, come l’inserzione on line) potrebbe andare, per le aziende, a vantaggio dell’efficienza nelle attività di reclutamento: canali diversi coprono,infatti, esigenze differenti rispetto ai livelli, alle qualifiche, alle specializzazionidei candidati. Tra i canali, sarebbero da prendere in considerazione anchequelli più strutturati (evitando di affidarsi prevalentmente a canali informali),inclusa l’ipotesi di un dialogo con referenti qualificati come società di selezione specializzate.

• Per le società di selezione che volessero entrare nel mercato, sarebbe certoindispensabile una specializzazione ad hoc nel settore audiovisivo, evitandoun approccio generalista che scontenterebbe le aziende. Ciò implica naturalmenteun’approfondita conoscenza del mercato, delle filiere produttive, delle competenzee delle figure professionali che il mercato audiovisivo è in grado di assorbiree che anzi tenderà nel futuro a ricercare.

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Il servizio pubblico inglese rappresentaun ottimo esempio di come dovrebbeessere strutturata la sezione job search delsito web di una grande azienda del settoreaudiovisivo. La sezione “Jobs” di questo sitoè molto ricca di informazioni e servizi, e nonsi ferma ad un mero elenco delle posizionivacanti in azienda. Il sito BBC presenta infattiuna serie particolarmente ampia di possibilitàe informazioni per l’inserimento in azienda,la mobilità interna e le opportunità di

formazione, proponendosi come un vero e proprio portale specializzato nelle risorseumane audiovisive.

Dalla sezione corporate del sito BBC (www.bbc.co.uk/info), è possibile accedere adiverse sottosezioni dell’area “Working for the BBC”.

Con un solo click sulla prima di queste sezioni, “Jobs and work experience”(www.bbc.co.uk/jobs), è possibile accedere alla classica parte di job-search, dallaquale consultare le posizioni aperte, filtrabili per sede geografica, categoria professionale o parola chiave. Le posizioni vacanti sono molto numerose, e ogni annuncio presenta una descrizione dettagliata delle competenze necessarie e dellemansioni previste.

È inoltre possibile, previa registrazione,usufruire di un servizio di job alert via e-mail, in grado di avvisare l’utente nelmomento in cui dovesse verificarsi l’aperturadi nuove posizioni, nel settore specifico chel’utente avrà pre-selezionato, in modo daricevere esclusivamente gli avvisi di suointeresse. Un servizio simile viene in generefornito solo dai siti web di cerca-lavoro, quindi

I siti Internet “jobs” di BBC

FOCUS

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appare particolarmente interessante la scelta della BBC di implementarlonel proprio sito. Questa scelta è indice di massima trasparenza e apertura alle possibilità di carriera in azienda.

Interessante anche l’incentivazione fornita, tramite lo stesso sito web aziendale,alla mobilità interna all’azienda: esiste infatti una modalità di registrazione allaparte job del sito dedicata ai dipendenti BBC che volessero cambiare sede geograficao area di lavoro. In questo modo è possibile, almeno in via teorica, organizzare unacerta rotazione delle risorse all’interno dell’azienda, seguendo le aspirazioni deidipendenti, oppure aumentare la possibilità di reperire internamente all’aziendarisorse necessarie a coprire posizioni vacanti.Una parte della sezione Jobs è dedicata alle opportunità di stage interne all’azienda.La ricchezza di offerte in questo settore è fattore di orgoglio per la BBC: nella paginacampeggia in un banner l’affermazione “We invest more in broadcast training thananyone else in U.K.”. Il sito web riflette questo interesse per il training fornendoinformazioni sui Career Days, spiegazioni dettagliate sulle mansioni ricercate e lapossibilità di inviare la propria candidatura per stage specifici in tutto il Regno Unito.La sezione stage è divisa in numerose aree di interesse (dalla pubblicità all’area writing, passando per risorse umane e distribuzione): le posizioni aperte sononumerose e ben distribuite nelle varie sedi BBC del paese.

Un intero sito è dedicato a “Training anddevelopment” (Formazione e Sviluppo)(www.bbctraining.com), e raccoglie varieopportunità di formazione.

Ci sono informazioni sui corsi per il settoreaudiovisivo delle università britanniche o suiMaster in partnership con BBC; si può, inoltre,iscriversi ad una newsletter informativa,accedere a una raccolta di articoli ed interviste a professionisti del settore, ed altre

informazioni connesse alla formazione nel settore.Una parte corposa del sito è dedicata ai corsi online di autoapprendimento, curatidallo staff BBC e scaricabili gratuitamente dal sito. I corsi riguardano varie mansio-ni collegate all’attività radiofonica o televisiva, ai new media ed al giornalismo, e

FOCUS

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sono di due tipi: di base, e di specializzazione (per esempio sull’utilizzodi tecniche di ripresa particolari).

Una terza area, infine, “New Talent”(www.bbc.co.uk/newtalent) è dedicata alla“scoperta di talenti”, e raccoglie le informa-zioni utili per partecipare ai vari concorsiorganizzati da BBC per tantissime categorie:presentatori, film-makers, comici, ma anchescrittori (quindi non solo per il cast artisticoma anche per i “creativi” della produzione).Si può essere premiati con consistenti contri-buti economici, opportunità di lavoro inazienda o, in alcuni casi, con la possibilità di

proiettare il proprio prodotto audiovisivo (documentario, cortometraggio, animazio-ne, ecc…) in tv o in festival. Anche questa sezione è fornita di interviste (ricche diconsigli pragmatici) a professionisti della rete, links utili e una sezione showreel,dove vengono presentati i volti ed i prodotti dei vincitori delle passate edizioni.

FOCUS

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09INSERIMENTO LAVORATIVOE PERCORSI DI CARRIERA

In questo capitolo seguiamo il cammino di un ipotetico lavoratore, che, dopo laformazione e lo stage, si affaccia alle porte dell’azienda: elencheremo i criteridi selezione citati dalle aziende intervistate, e i requisiti e le doti che gli stessilavoratori hanno individuato come indispensabili per una serena e lunga permanenza nel settore. Affronteremo poi il tema dei sentieri di carriera e disviluppo, in un settore in cui anche aziende di medie dimensioni spesso nonhanno risorse dedicate alla gestione del personale. Un tema strettamente correlato è quello della formazione continua, e degli strumenti utilizzati daaziende e lavoratori per aggiornarsi e riqualificarsi: come vedremo, il problemaè più sentito dai lavoratori che dalle aziende.Infine, affronteremo la nozione di “gruppo di lavoro”, analizzandone la stabilitàe la composizione, ed entrando in alcune questioni di fondo, come il conflittotra ragioni artistiche ed economiche.Il Focus è dedicato al concetto di Diversity nella politica delle Risorse Umane didue multinazionali, particolarmente attente alla composizione e alla motivazione del proprio personale.

di Alessandra Alessandri

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Sia nelle interviste ai rappresentanti delle aziende facenti parte del nostro panel,sia nei focus group con i lavoratori, sono emersi vari “criteri di selezione”, variemotivazioni che fanno propendere per la scelta di un candidato piuttosto che unaltro. Alcuni criteri sono validi per tutte le mansioni in tutte le aziende, anche se nell’audiovisivo assumono maggiore rilevanza:

• motivazione, entusiasmo, disponibilità, spirito di iniziativa, determinazione,spirito di sacrificio: da evitare l’atteggiamento del “clockwatcher”, che contale ore di lavoro (che nei tempi frenetici delle produzioni arrivano spesso adodici), e che non vuole lavorare per turni e nelle festività (soprattutto nelcaso di alcune figure tecniche o giornalistiche).

“Io escludo subito le persone che mi chiedono se si lavora nel weekend, qualisono gli orari, se ci sono i buoni pasto. Dico loro che forse hanno sbagliato lavoro”.(Alessandro Tedeschi, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

• flessibilità, sia rispetto all’accettazione di ulteriori mansioni, sia rispetto allarelazione con le altre figure:

“[Chi vuole lavorare in Mediaset] deve essere una persona flessibile, con una abilità relazionale fortissima, con una grande capacità di negoziazione:esprimere autorevolezza aldilà del contenuto. Se metto al centro di un networkdi relazioni, quale è l’azienda Mediaset, una persona che ama stare chiusa nelsuo ufficio a studiare, sicuramente non si troverà a suo agio: magari è il tecnicopiù bravo del mondo, ma non è ideale per questa azienda, soprattutto in alcunearee”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane RTI - Gruppo Mediaset,intervista personale, 14/3/2006)

“Quando faccio io stessa colloqui, se non vedo persone flessibili, difficilmente parteggio per tenerli. La flessibilità deve essere alla base: se non sei dispostoa cambiare i tuoi parametri, secondo me, difficilmente vai avanti”.(Producer Casa di produzione, focus group figure “crossmediali”, 18/4/2006)

• umiltà, disponibilità a ricoprire ruoli di basso livello nelle prime fasi d’ ingressoal lavoro, anche dopo un curriculum studiorum molto lungo; chi inizia a

9.1 I criteri di selezione delle aziende

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lavorare deve iniziare dal basso, dai primi step:

“Abbiamo la necessità di trovare persone umili. Sappiamo benissimo che lamaggior parte delle persone che viene qui, è laureata, masterizzata, ha fattocorsi di specializzazione ulteriori, vuole fare l’autore, e tu magari gli chiedi di fareil runner, di portare le cassette. Però è anche quella figura che ha la possibilità,in realtà di vedere tutte le fasi della produzione. È il primo step formativo percrescere in una produzione”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)

“Molti ragazzi arrivano con belle scuole e belle referenze nel curriculum, mapoi, messi sul lato pratico, sanno fare poco. In Inghilterra funziona meglio: c’èil concetto di partire dal basso, indipendentemente dalla scuola fatta. Unoparte e fa il runner, dopo un anno diventa assistente di montaggio, e così via:solo così capisce come è una produzione”.(Mattias Brahammar, Facility Manager 3Zero2 TV, intervista personale,20/4/2006)

“Non bisogna avere fretta, si deve iniziare dalla gavetta: se non sai fare, nonsai comandare”.(Producer casa di produzione audiovisiva, focus group figure produttive,5/5/2006)

• apertura mentale, culturale, linguistica, curiosità, disponibilità al nuovo:

“Per lavorare in questo mondo devi sapere chi è Sermonti, devi aver fatto unrave in Svizzera, l’autostop in Marocco e devi essere stato in spiaggia a Rio deJaneiro in tenda. Altrimenti sei monocorde e da te non nascerà mai niente,accompagnerai sempre qualcun altro ma non proporrai mai nulla di nuovo”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

“Ci vuole apertura mentale. Conoscere altre culture e altre lingue”.(Sales & Acquisitions Manager casa di produzione di intrattenimento, focusgroup figure commerciali, 3/5/2006)

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I criteri di selezione più specifici, che esulano dalle dimensioni di “saper essere”sopra citate, ed entrano in quelle del “sapere” e del “saper fare”, sono naturalmente dettati da numerosi parametri. Ad esempio, non c’è (e non potrebbeesserci) una scelta univoca tra esperienza/specializzazione da una parte eflessibilità/”tabula rasa” dall’altra. A far propendere per l’una o per l’altra, sonoad esempio la mansione o il tipo di contratto di inserimento:

“Per i Tempi Determinati si preferiscono persone con esperienza; per i TempiIndeterminati, o si assumono persone che hanno maturato esperienza come T.D.,oppure, se l’assunzione avviene attraverso selezione, non viene richiesta esperienzaprofessionale per l’ammissione: normalmente l’affiancamento e la formazione sonosufficienti a creare professionalità eccellenti”.(Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano RAI,intervista personale, 20/3/2006)

A volte si dà la preferenza sia a persone con esperienza, sia a ragazzi che non nehanno alcuna…

“Il paradosso è che personalmente, o trovo persone totalmente formate che coinvolgo come free lance, oppure preferisco prendere gente totalmente vergine, acosto di incappare in scarsa professionalità pratica e costruirmi delle professionalitàin corso d’opera, rischiando di avere persone troppo junior”.(Matteo Scortegagna, Responsabile Contenuti e Prouzione, intervista personale,24/2/2006)

…spesso con l’intento di mescolarli e creare percorsi di affiancamento:

“In generale le persone che seleziono devono essere specializzate e devono mostrareentusiasmo. Devono essere utili per il lavoro che cerco e devono essere personemotivate, queste sono le due caratteristiche principali. Siamo molto aperti ai giovani:se vedo un gruppo di giovani che mi piace, provo ad investirci. Noi tra i 20 e i 25anni abbiamo circa una ventina di persone, tra assistenti producer, assistenti montatori e “videoclippari”. Tendenzialmente cerco di prendere gente molto bravae gente molto junior, e abbinarli insieme, così uno stimola l’altro”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

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È interessante continuare a seguire l’iter professionale del lavoratore una voltache sia riuscito ad inserirsi in un contesto lavorativo aziendale o comunque pro-fessionale, per valutare in particolare se questo contesto preveda o menomomenti formalizzati di pianificazione di carriera o di formazione e aggiornamento.

9.2.1 I percorsi di carriera e di sviluppo

Proprio il criterio cui abbiamo accennato, di far lavorare insieme persone di diversaseniority, con percorsi di affiancamento che consentano ai junior di crescere, èuna delle possibili soluzioni che le aziende dell’audiovisivo praticano spesso:dato che la formazione, come si vedrà, è totalmente o quasi totalmente “on thejob” e informale, l’unico modo che un lavoratore ha di crescere è quello di fare esperienza, affiancato, in modo più o meno strutturato, da un senior.Certo i percorsi di affiancamento non sembrano strutturati né pensati con consapevolezza da parte delle aziende, ma troppo spesso affidati al caso. Inoltrei lavoratori percepiscono un’assenza di mobilità funzionale: la difficoltà di cambiareruolo una volta entrati in azienda, dopo essere stati “ingabbiati” in una posizio-ne. Spesso nelle grandi aziende, come ad esempio le grandi emittenti, la collocazioneiniziale in una determinata area aziendale tende a rimanere fissa, anche perchéle aree stesse tendono a considerare le persone come “proprie” (dato che laquantità delle Risorse Umane di ogni area è quasi sempre proporzionale al pote-re esercitabile da parte dei suoi responsabili).

“Nella grande azienda, appena si libera un posto della catena, vai a occupare quelposto della catena, perché quando si apre un varco ti devi infilare dentro. Per la miaesperienza, ti prendono se sai fare quello e punto. Scordati la carriera, scordati laformazione [...] Il problema di una grande azienda è quello di essere divisa in tantepiccole realtà al suo interno, con ciascuna che difende il suo potere”.(Project Coordinator Emittente televisiva, focus group figure crossmediali,18/4/20006)

Viceversa le medie aziende, non essendo strutturate per poter dedicare un’attenzionespecifica al tema delle Risorse Umane, finiscono spesso per collocarle in modocasuale e non farle crescere in uno spirito di job rotation: l’assegnazione dellerisorse ad una produzione piuttosto che ad un’altra, la collocazione in una

9.2 L’inserimento in azienda

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mansione piuttosto che in un’altra, non sembrano dipendere dalle competenzeattuali del lavoratore, né tanto meno da quelle potenziali, nell’ottica di un percorsodi sviluppo professionale:

“[Il problema è la] mancanza di mobilità all’interno del settore di competenza. Sidovrebbe infatti avere la possibilità di seguire più aspetti di una produzione audiovisiva per acquisire molteplici competenze”.(Segretaria di edizione, casa di produzione, questionario lavoratori)

Naturalmente le aziende tendono a mantenere un lavoratore stabile nella suamansione per sfruttare la sua curva di esperienza, ma questo a lungo terminepuò diventare poco stimolante e scarsamente “arricchente”:

“Naturalmente c’è un trade-off tra la capacità formativa del lavoro e la novità e lamancanza di programmabilità delle attività svolte: se una persona svolge attivitàaltamente programmabili, impara una mansione, però non è detto che questo siaformativo. A me, quando cambierò lavoro, piacerebbe fare un’altra cosa, completamentenuova; quindi sicuramente riutilizzare le mie competenze, ma in una chiave diversa. Èchiaro che si fa una grossa fatica a cambiare, però è molto stimolante e divertente”.(Marketing & sales manager, casa di produzione crossmediale, focus group figurecommerciali, 3/5/2006)

È quindi il lavoratore stesso a doversi far carico della sua crescita professionale, siaper mobilità di funzione che di ambito produttivo, e a doversi costruire, rispetto alleoccasioni che individua sul suo cammino, un sentiero che allarghi le suecompetenze.

“Io la formazione me la pago da solo. Dal mio punto di vista l’aggiornamento professionale del singolo deve essere fuori dall’azienda, perchè deve seguire sia leevoluzioni del mercato, sia quelle che sono le sue motivazioni”.(Project Manager Emittente televisiva, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)

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Questo nonostante le aziende stesse, o perlomeno quelle più “consapevoli”,riconoscano come importante un’esperienza variegata:

“Penso che scambiarsi le figure sia una cosa molto utile e interessante. Se unolavora un po’ da noi e un po’ da un’altra parte, un po’ in pubblicità e in po’ in tv, èutile. Penso anche che un giovane, prima di prendere una strada decisa e delineata,debba provare tre o quattro ambiti – fare produzione, montaggio, regia. Cosi poi èmolto più arricchito e funzionale. Quindi l’idea è provare, sia come genere che comemansione, cose diverse”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

Certamente le aziende audiovisive, nel caso in cui diano luogo a forme dimobilità, optano più frequentemente per percorsi di carriera “a spirale” (con diversispostamenti di ruoli e posizioni) o “transitori” (percorsi destrutturati, o non definitivi, tra campi di attività), rispetto a percorsi “lineari” (verticali, di ascesagerarchica nell’ambito della stessa funzione); questo è tipico delle organizzazioniflessibili e poco strutturate (Pilati, Tosi 2000). La destrutturazione è naturalmentepiù elevata nei produttori rispetto agli editori, nelle piccole e medie impreserispetto alle grandi, nelle aziende italiane rispetto a quelle multinazionali.

I percorsi di carriera sono visti dai lavoratori come arbitrari e discrezionali: soprattutto nelle figure artistiche, dalla prestazione difficilmente misurabile, lavalutazione della risorsa umana, e conseguentemente la sua retribuzione e la suacarriera, non sembrano rispondere a principi di meritocrazia.

“È un mondo dove nei reparti autoriali e produttivi non c’è professionalità, adifferenza del reparto tecnico. La meritocrazia non esiste e il raggiungimento ditalune posizioni autoriali segue illogici percorsi, tipici del modus italicus”.(Redattore, questionario lavoratori)

È chiaro che in contesti dinamici e ad elevata componente “culturale”, un criterio dicrescita standardizzato e oggettivo come quello dell’anzianità non puòfacilmente essere seguito; e quindi si propende per un criterio di merito che risulta,d’altronde, difficilmente oggettivabile.Più ancora che inadeguate, o drammaticamente diminuite negli anni (nei questionarisi parla frequentemente di “crollo vertiginoso dei compensi” e di “sfruttamentonon retribuito”), le retribuzioni appaiono quindi scarsamente eque, per colpa di

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politiche poco consapevoli o addirittura eccessivamente discrezionali:

“Il problema fondamentale è l’eccessiva disparità di trattamento economico tra figurelimitrofe: ad esempio tra un autore e un redattore, che svolgono spesso lavori quasiuguali, ma retribuiti in modo molto diverso”.(Redattore, questionario lavoratori)

Il problema è che sia i lavoratori delle grandi aziende che quelli delle piccole, siagli addetti delle emittenti sia quelli delle case di produzione, lamentano una scarsaattenzione in generale al tema delle Risorse Umane. Molti lavoratori hanno rispostoin questo modo alla domanda su quale fosse “LA” criticità più rilevante del settore:

“Totale mancanza di disponibilità a formare o comunque investire sulle risorse umane”.(Quadro, questionario lavoratori)

“Scarsità o assenza di investimenti da parte delle aziende nella formazione del personale e nella Ricerca&Sviluppo”.(Telereporter, questionario lavoratori)

“In quella che dovrebbe essere l’azienda leader, non esiste alcuna progettualità neiconfronti dei dipendenti: si entra in un modo e in quello si rimane, a meno che nonintervengano aiuti di varia natura”.(Ispettore di produzione RAI, questionario lavoratori)

I lavoratori che dipendono da responsabili con questa sensibilità e attenzione sisentono delle eccezioni.

“Mi sento una privilegiata perché ho un capo che ha lungimiranza e passione. Sehai la fortuna di avere un buon datore di lavoro, che investe nella tua formazione,allora puoi pensare di crescere”.(Producer casa di produzione crossmediale, focus group figure crossmediali,18/42006)

Certamente i percorsi professionali, sia per quanto riguarda l’approdo iniziale, siaper quanto riguarda la crescita successiva, non possono in questo settore esserepianificati in maniera scientifica: i percorsi di carriera personali di molti imprenditoriintervistati stanno a testimoniare una casualità quasi assoluta, uno sviluppo

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spesso random, non programmabile per sua stessa natura:

“Non credo che esista una strada che si possa indicare come quella da percorrere.Io vengo da mille esperienze diverse: prima di aprire la mia società [di distribuzione,ndr] ho fatto la radio, il copywriter, l’autore e il regista, il produttore... Un percorsocaotico, come quello di tanti altri - si arriva a questo mestiere per caso”.(Dario Barone, General Manager C.D.I., intervista personale, 27/2/2006)

Per le risorse artistiche, ad esempio quelle autoriali, il problema di uno scarsoricambio generazionale ha una ricaduta immediata e diretta sulla qualità del prodotto 1...

“In televisione gli autori sono sempre gli stessi, c’è una certa staticità dei gruppiautoriali, date le alte barriere all’ingresso e la concentrazione dei talenti. Il risultatoè quello di una scarsa innovazione”.(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,intervista personale, 7/4/2006)

“Forse ci vorebbero risorse che selezionino nuovi autori. Ma in questo settore ti fididelle certezze, non vorresti cambiare. Preferisci sempre quelli con cui ti sei già trovato”.(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)

... e anche a livello manageriale le cose non sembrano migliorare:

“La RAI ha un serio problema di ricambio generazionale: ci sono pochi capistruttu-ra e pochi produttori esecutivi veramente qualificati, l’età media di queste personeè piuttosto elevata e dietro di loro ci sono pochi ricambi. A Mediaset la situazioneè migliore, ma è vero che l’azienda ha subito l’uscita di parecchia gente che è anda-ta via. In un mercato che è rimasto compresso per tanto tempo - sostanzialmenteperchè RAI e Mediaset hanno monopolizzato il mercato - ci sono state delle cresci-te interne e poi delle fuoriuscite dalle stesse aziende”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

La valutazione delle posizioni è poco praticata in questo settore, ed elevatissimarisulta essere la variabilità di giudizio su di una risorsa a seconda di molteplici

1 Ancora una volta introduciamo il confronto con il settore pubblicitario, in cui per assicurare un ricambio e unacontinua ricerca di nomi nuovi, è addirittura prevista la figura professionale del “ricerca registi”, che fa esclusi-vamente scouting di nuovi talenti.

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fattori, quali l’organizzazione in cui è inserito, la tipologia di prodotto e processoa cui lavora, lo stile direzionale dei propri responsabili e così via.

9.2.2 La struttura “Human Resources” nelle aziende audiovisive

Una considerazione, trasversale ai problemi di placement e recruitment fin quiaccennati, nonché ai problemi di formazione aziendale (di cui parleremo tra poco),merita speciale attenzione: moltissime aziende del nostro campione non sonostrutturate per avere al proprio interno non diciamo una Direzione Risorse Umane,ma neppure un addetto prevalentemente dedicato alle Risorse Umane 2.Certamente, stiamo parlando di un settore eterogeneo, che conta grandi aziende(i 10.000 dipendenti RAI, i 4.600 Mediaset, su base nazionale), medie imprese (i 300 di MTV Italia, i 260 addetti complessivi di Magnolia), piccole aziende, ditteindividuali (decine di documentaristi “one man company”, ad esempio) e cooperative 3. Fatta questa premessa, dobbiamo dire che una vera e propria Direzione delPersonale o HR (Human Resources) è presente solo nelle grandi e medie emittenti(Mediaset, Sky, MTV, Disney…); ma, ad esempio, non nel Centro Produzioni RAI diMilano, in cui a presidiare le 600 risorse (delle 830 totali) impegnate nellaproduzione tv, c’è un rappresentante della Direzione Produzioni. E nemmeno nelleemittenti a copertura pluriregionale, come ad esempio Telenova (50 addetti); onelle grandi case di produzione, come Film Master e Magnolia, in cui alle decine(nel caso di Film Master) o alla decina di persone (nel caso di Magnolia) assunte atempo indeterminato si aggiungono centinaia di collaboratori, che lavorano a progetto sulle singole produzioni. In questi casi ad occuparsi delle Risorse Umaneè, solitamente, il responsabile dell’Amministrazione, che naturalmente curerà gliaspetti contrattuali e formali del lavoratore; ma non entrerà nel merito della suaselezione, della sua assegnazione (ad una produzione piuttosto che ad un’altra),

2 Questo è il motivo per cui nella nostra ricerca non è stato in molti casi semplice identificare gli interlocutori acui chiedere la compilazione del questionario o l’intervista: se nelle aziende di una certa dimensione era possibile rivolgersi a una Direzione del Personale, nelle altre la funzione era ricoperta dai responsabili della produzione, della programmazione, dagli imprenditori titolari, o addirittura dai singoli produttori.

3 Una delle case di produzione che facevano parte del nostro panel è una cooperativa: Metamorphosi. Tutte le nove persone che vi lavorano sono soci: un produttore esecutivo, un regista, tre montatori, due direttori dellafotografia, un operatore e un’assistente. La cooperativa, in quanto struttura democratica plurale, viene considerata il “soggetto” che prende le decisioni sui progetti, il vero “produttore”.

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né tanto meno del suo percorso di sviluppo.Il tasso di strutturazione è medio-alto nelle imprese di elevate dimensioni (diaddetti e fatturato), e soprattutto nei contesti internazionali, o comunque dove latelevisione sia una componente di un gruppo editoriale piu’ complesso (ad esempioi 35 Tempi Indeterminati di Disney Channel fanno riferimento ad una Direzione HRdi gruppo); mentre nelle piccole e medie imprese (comprese quelle che fatturanopiù di 10 milioni di Euro l’anno) questo tasso è ridotto o inesistente. Come abbiamovisto, i responsabili di settore o i produttori dei singoli programmi tendono a unasorta di “autogestione”, cercando di sopperire alla mancanza di una funzione HRcentralizzata:

“Non saprei, sei talmente di corsa che non hai tempo di chiederti se sia un bene o no…Parlandoci tra noi produttori riusciamo a capire quello di cui ha bisogno un collegaper la sua singola produzione. Ad esempio parlando con un collega che ha bisognodi un runner, gliene segnalo uno con cui mi sono trovata bene. Facciamo autoge-stione delle Risorse Umane”.(Cristiana Molinero, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)

9.2.3 La formazione in azienda

Uno dei temi connessi all’inserimento lavorativo è quello della formazione continua.La situazione della formazione aziendale è naturalmente molto diversa se consideriamo i grandi editori oppure le piccole e medie case di produzione. Un’azienda con un ventaglio molto ampio di iniziative di formazione è, ad esempio,Mediaset. La formazione non è solo intesa come addestramento tecnico,aggiornamento e sviluppo di abilità specifiche (ad esempio, per i dipendenti dell’area commerciale), ma anche come sviluppo di quadri (seminari su“Relazione e comunicazione”, “Problem setting, problem solving e decisionmaking”, “La leadership e il project management”) e dirigenti (partecipazione amaster e iniziative esterne interaziendali; e offerta di percorsi formativi, realizzatiinternamente, finalizzati allo sviluppo delle caratteristiche manageriali distintivedell’azienda), e anche come formazione culturale più ampia. Citiamo ad esempiol’iniziativa “Scenari paralleli”: incontri su temi vicini al business aziendale o innovativi, “con l’obiettivo di stimolare la curiosità intellettuale, ampiezza di visionee capacità di innovare” 4.

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Per quanto riguarda RAI, o, per meglio dire, per quanto riguarda il centro di produzione RAI di Milano 5, non sembra esserci una visione altrettanto strategicae articolata. A parte corsi sulle competenze di base (corsi on line di lingua, e corsidi informatica), e su tematiche specifiche (in particolare sulla sicurezza), l’offertaè mirata alla riqualificazione professionale (spesso con docenti interni), in terminidi corsi tecnici di addestramento (in genere connessi all’acquisto di nuove apparecchiature). 6

Esplicite richieste di massicci interventi di riqualificazione sono state invece formu-late dai sindacati 7, che sottolineano la carenza di iniziative di tal senso:

“La formazione in azienda è quasi del tutto scomparsa. Dato che la priorità è ilcontenimento del costo del lavoro, tutti i lavoratori sono sempre impiegati nelleproduzioni e quindi non c’è il tempo di formarli; la formazione rimane a carico dellavoratore... Il sindacato aveva richiesto formazione per gli autori, ma oggi è scarsopersino l’addestramento tecnico”.(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

Nelle case di produzione è assolutamente eccezionale il ricorso a iniziative di formazione per i dipendenti (tanto più per i collaboratori occasionali). Le unicheiniziative sono presenti in contesti ad alto tasso di innovazione, come quello deinew media…

“Le nostre risorse chiave partecipano a workshop, seminari, forum internazionali,dove ci si confronta con le esperienze e le scelte fatte nei Paesi esteri, in cui il VideoOn Demand è un settore di punta. Sono iniziative coordinate e pagate dall’azienda”.(Paolo Agostinelli, Head of Media & TV Fastweb, intervista personale, 2/5/2006)

4 Altre iniziative di formazione sono mirate agli esterni dell’azienda, come ad esempio il Laboratorio Contenuti RTI, gestito a Roma da Maurizio Costanzo in partnership con La Sapienza; o la collaborazione con Iulm, con cuiMediaset ha fondato il consorzio Campus Multimedia In.formazione, che organizza tre Master (Master in giornalismo, Master in management multimediale, Master in investor relations and financial analysis). Inpassato nella sede di Cologno Monzese sono stati organizzati corsi per autori, sempre riservati ad esterni, chehanno consentito di immettere nuove leve all’interno delle redazioni.

5 Ricordiamo che, data la nostra focalizzazione sulla Regione lombarda, citiamo la situazione relativa al Centro diproduzione RAI di Milano: questa naturalmente non esaurisce l’offerta formativa dell’azienda, ma fotografacomunque la situazione locale. Il Bilancio RAI 2004, sul tema formazione, a livello ovviamente nazionale,annotava: “Nelle aree più vicine al core business aziendale, si segnalano corsi a supporto dell’introduzione dellaTelevisione Digitale Terrestre e sull’uso delle telecamere digitali, il seminario sul tema “Tv e minori” , nonché laconclusione della didattica del Master biennale per autori Tv [per esterni, ndr].

6 Cfr. Nicola Calabrese, Responsabile Personale - Direzione produzioni Milano, intervista personale 20/3/2006. 7 “Il recupero della dignità di tutte le professionalità editoriali, largamente schiacciate da realtà esterne malgestite

e da ruoli interni regolati da altri contratti, deve passare inanzitutto attraverso specifici corsi di aggiornamento,che permettano una reale riqualificazione”. Comunicato CGIL SIC del maggio 2006.

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… oppure finalizzate all’addestramento tecnico e all’utilizzo di nuovi software…

“Quasi mai all’interno delle società di produzione ci sono corsi di aggiornamentospecifici; a meno che non sia un corso tecnico, che rientri nei nostri interessi. Nelsettore dei servizi c’è un turnover tecnologico che ci obbliga a fare formazione tecnica”.(Uberto Rasini, Direttore Generale 3Zero2 TV, intervista personale, 17/3/2006)

E in effetti quelle tecniche sono le figure segnalate dalle aziende come piùbisognose di interventi 8 di aggiornamento; il che fa intuire come la formazioneaziendale sia identificata più con l’“addestramento” che con un completamentomanageriale o “culturale”.Le aziende stesse e i lavoratori hanno risposto al nostro questionario indicandola formazione sul luogo di lavoro (presumibilmente non strutturata, intesa come“training on the job”) e l’aggiornamento personale, tramite lettura di riviste disettore e partecipazione a convegni, come le due forme prevalenti di formazionecontinua.

Le più praticate iniziative di formazione continua*

*domanda a risposta multipla

Fonte: Labmedia, 2006 (su 127 aziende e 100 lavoratori)

Formazione sulluogo di lavoro

aziende

lavoratori

Seminari ecorsi esterni

Aggiornamentopersonale

(riviste di settoreconvegni)

Nessuno Viaggi studio,visite presso aziende

del settore

Altro

5

10

15

20

25

30

35

40

13%

37%

27%

37%

16%

20%

12%15%

5% 3% 4%1%

0

caratteristiche

percen

tuali

8 Seguono, nelle pur scarne citazioni spontanee delle aziende, le figure di produzione e quelle di amministrazione.

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Interessante comunque notare come le aziende sovrastimino - rispetto allapercezione dei lavoratori - la formazione sul luogo di lavoro: evidentemente leaziende considerano “formazione” anche quanto i lavoratori classificano come“lavoro” tout court. Le iniziative più strutturate (come, ad esempio, seminari e corsi esterni, o viaggistudio e visite) sono invece poco praticate: nel primo caso dal 16% delle aziendee dal 20% dei lavoratori, nel secondo solo dal 12% delle aziende e dal 15% deilavoratori. Una percentuale non insignificante (il 12% delle aziende e il 15% deilavoratori) ammette di non svolgere/accedere ad alcuna iniziativa formativa. Piùdi metà dei lavoratori sostiene di auto-finanziarsi la formazione completamente(48%) o prevalentemente (10%); nel 30% dei casi, l’azienda si accolla l’onere diiniziative di formazione in qualche misura; o nel 12% dei casi, sono finanziate allapari da lavoratore e azienda.Ancora più interessante quantificare come aziende e lavoratori valutino l’esigenzadi “aggiornamento” (all’interno della stessa mansione), “riqualificazione” (permutare mansione all’interno del settore) o “riconversione” (per mutare settorelavorativo). Le aziende non ritengono ci sia un problema di riqualificazione delleloro risorse: alla domanda se ci fossero nei loro organici figure bisognose diaggiornamento, riqualificazione o riconversione professionale, otto su dieci (79%)hanno risposto negativamente. Viceversa, i lavoratori hanno tutti rispostoaffermativamente, vuoi in termini di aggiornamento (51%), di riqualificazione(33%), o addirittura di riconversione (16%).

9.3 I gruppi di lavoro:stabilità e composizione

Interessante anche analizzare la strutturazione, e soprattutto la stabilità,dei gruppi di lavoro in produzione.Ripetiamo che, nel caso dell’audiovisivo, si tratta quasi esclusivamente di formeorganizzative che seguono il modello “organico” più che quello “meccanico”: organizzazioni cioè in cui è quasi impossibile avere strutture gerarchiche ben definite, mansioni precise, comunicazioni verticistiche; e in cui predomina unoschema di lavoro per progetto (Pilati-Tosi 2000).Anche le grandi aziende, con Direzioni HR strutturate, non utilizzano o comunque

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non rendono noti gli organigrammi, considerandoli elementi di rigidità:

“Questo è un mondo abbastanza chiuso con logiche culturali specifiche e moltodiverse da quelle di una multinazionale [...] Mediaset ha mantenuto la cultura e l’imprinting imprenditoriale, con maggiore autonomia dei singoli, meno procedure,zero organigrammi”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervistapersonale, 14/3/2006)

Certo, organigrammi precisi, che, oltre ad essere elementi di rigidità, avrebberoanche una valenza positiva di trasparenza organizzativa, risultano di difficileapplicazione in realtà poco standardizzate come quelle produttive. Ciò è ancorapiù vero per realtà di dimensioni ridotte, come le piccole case di produzione, dovetutto è incentrato sulla personalità del titolare.Nelle appendici al nostro volume sono riportati alcuni organigrammi produttivitipo, naturalmente indicativi, da leggere in rapporto alle descrizioni dei profili professionali, per comprenderne le interrelazioni, a volte molto complesse 9.Facciamo presente che gli organigrammi non sono stati quasi mai forniti direttamente dalle aziende, come uno strumento di organizzazione abitualmenteutilizzato all’interno, ma sono stati - aggiungeremmo, faticosamente - ricostruitigrazie ad un lavoro di ipotesi desk, confrontato con le aziende stesse in sede diintervista, sollecitando uno sforzo di sistematicità. In alcuni casi le aziende non hanno voluto fornire alcun elemento per la ricostruzionedell’organigramma o non ne hanno autorizzato la pubblicazione; il che confermaquanto sia scarsa la trasparenza organizzativa (anzi la pubblicazione é stata considerata possibile fonte di polemiche e rivendicazioni interne…).Dedicandoci all’analisi dell’unità produttiva minima (ad esempio il singolo programma prodotto) e tralasciando gli staff aziendali, abbiamo descritto diversi

9 Sono indicate con una linea continua le relazioni gerarchiche tra una figura e l’altra, con una linea tratteggiatale relazioni funzionali. Ad esempio, la troupe tecnica dipende gerarchicamente dal direttore di produzione, mafunzionalmente dal regista.

10 Nella nostra ricerca ci siamo concentrati sull’organizzazione della catena produttiva, più che dell’azienda: peruna riflessione sui modelli organizzativi di una grande azienda come RAI (per generi o per media), cfr. ad esempioParascandolo, 2004-2005.

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organigrammi produttivi tipo 10, che ritroviamo in appendice, validati dalle singoleaziende citate (ma considerati anche rappresentativi per il loro genere/settore) odalle associazioni di categoria relative:

• delle produzioni di intrattenimento Mediaset (nel caso dell’autoproduzione);• delle produzioni di news e sport Mediaset; • di una produzione di intrattenimento di una casa di produzione indipendente

(caso Magnolia);• di uno spot pubblicitario;• di un documentario di medio budget;• di due fiction di media serialità (l’esempio è riferito ad una sitcom Grundy 11)

e di lunga serialità (l’esempio è di una soap opera Mediavivere12), confrontate

ad una di breve serialità (una miniserie o una coproduzione internazionale);• di una casa di produzione crossmediale (il caso Neonetwork).

La complessità aumenterebbe esponenzialmente se si volessero registrare i rapporti con l’esterno dell’azienda (ad esempio le figure, spesso duplicate,dell’emittente e della casa di produzione, nel caso di una coproduzione); e quindi,per esigenze di leggibilità, ci siamo limitati a delineare i casi di produzione ototalmente realizzata in house dalle emittenti, o consegnata “chiavi in mano”dalla casa di produzione.

Interessante passare ad analizzare la stabilità o meno dei gruppi di lavoro.Essendo, come si diceva, l’organizzazione produttiva basata sui progetti, quasisempre si tratta di gruppi creati ad hoc per una singola produzione, che duramediamente alcuni mesi (dalle poche settimane di uno spot ai molti mesi, o addi-rittura anni, di una soap opera; cfr. capitolo 1). La scarsa generalizzabilità deimodelli organizzativi è dettata proprio dall’unicità del prodotto di volta in voltarealizzato, come in campo cinematografico: “ogni film rappresenta il risultatounico di un processo produttivo di alto valore aggiunto e, quindi, un prodotto adalto contenuto di lavoro specializzato e scarsamente standardizzabile”.(Montanari - Usai in Salvemini 2002). Questo non esclude la possibilità di formarerelazioni tendenzialmente stabili, se non permanenti, almeno tra alcunicomponenti del gruppo di lavoro. La squadra creativa è infatti caratterizzata da

11 Ricordiamo che Grundy ha prodotto o coprodotto alcune sitcom italiane “storiche”, come ad esempio “CasaVianello”.

12 Ricordiamo che Mediavivere, joint venture Mediaset - Endemol, produce le soap “Vivere” e “Cento Vetrine”.

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un’elevata interdipendenza: nonostante il processo produttivo cinematografico,dalla fine dello Studio System in poi 13, sia caratterizzato dalla costituzione di gruppidi lavoro assemblati per la durata del singolo film, è possibile, ad esempio,riscontrare la presenza di reti di “relazioni diadiche tendenzialmente stabili”, cheuniscono regista e sceneggiatore o regista e direttore della fotografia (cfr.Montanari - Usai in Salvemini 2002). Questa sorta di “clan” hanno il vantaggio diincrementare l’efficienza, facilitando la comunicazione, il linguaggio comune e lafiducia reciproca; secondo la teoria del capitale sociale, la connessione di individui garantisce prestazioni superiori alla media. Molti prodotti televisivi disuccesso e di qualità sono stati partoriti da gruppi, riuniti da un capoprogetto, chene è stato per anni l’elemento coagulante e stabile. 14

Inoltre una garanzia di stabilità permette di ridurre la percezione di precarietà,soprattutto ai livelli inferiori della catena produttiva (quelli che non hanno ancoracontinuità di lavoro stabile):

“Siamo noi stessi produttori che cerchiamo di mantenere lo stesso gruppo. Ho persone che lavorano con me da anni, ed è giusto che dia loro una certa continuità,quindi me le carico in budget fin dall’inizio della produzione”.(Cristiana Molinero, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale, 7/3/2006)

Certo la stabilità dei legami, e quindi la possibilità di far crescere le persone,dipende anche dalla durata della produzione:

“La possibilità di far crescere le persone dipende dalla durata della produzione. Inproduzioni di lunga durata, come è stato per “Camera Cafè”, o per “L’eredità”, chedura da quattro anni, è facile far crescere qualcuno: hai la possibilità di portarlo

13 In realtà la storia dell’industria cinematografica americana è articolabile in diverse fasi, in cui il ruolo del regista e del produttore si intersecano: 1) Director System (1907-1909), di stampo teatrale, in cui il regista ècoordinatore di diversi input creativi e tecnici; 2) Director Unit System (1909-1914), in cui i registi sono a capodi unità tecniche permanenti; 3) Central producer System (1914-1939 circa): in cui il produttore diventa il coordinatore e il responsabile della produzione, a monte e a valle della fase di ripresa , coordinata dal regista; 4)Producer Unit system (1930-1940 circa): il producer diventa coordinatore di una unità produttiva, che produce6-8 film all’anno; 5) Package Unit system (dal 1940 ad oggi), fondata su un’organizzazione per progetti singolie relazioni a breve termine. Cfr. Perretti Negro 2003.

14 Tra i numerosi gruppi creativi in televisione ci limitiamo a citare quattro esempi: il team di Antonio Ricci di“Striscia la notizia” (attivo da diciotto anni), quello di Enrico Ghezzi e Marco Giusti di “Blob” e “Fuori orario” (dadiciassette anni), quello già citato di Milena Gabanelli in “Report” (da dodici anni), e quello di Davide Parenti de“Le iene” (da nove anni).

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avanti su una produzione, di farlo crescere, di formarlo. Le produzioni lunghe in uncerto senso, fanno da bacino per tutte le altre. Quando le produzioni durano 2-3mesi, è più difficile permettere ad una persona di farsi strada, soprattutto perchènon hai modo di testarla. Comunque, anche se una produzione dura mediamentedai 3 ai 5 mesi, cerchiamo di garantire una continuità lavorativa di 10 mesi”.(Alessandro Tedeschi, Produttore Esecutivo Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

Nello stesso tempo, la tendenza a mantenere stabilità all’interno dei gruppi dilavoro creativi è antitetica all’innovazione, e presenta il rischio di una chiusuracognitiva. 15

Abbiamo già citato le affermazioni degli intervistati sulla tendenza a far lavoraresempre gli stessi nomi che “fanno il mercato”, come apparente garanzia disuccesso, e sulla tendenza alla staticità dei gruppi autoriali, le cui barriere all’ingresso hanno l’effetto di produrre una omogeneizzazione dei prodotti, e quindiuna scarsa innovazione. La soluzione sembra essere, quindi, la costituzione di retiaperte, caratterizzate da team tendenzialmente stabili, in cui sia però previsto unperiodico inserimento di risorse fresche, rinnovandone alcuni membri. Il parametro dell’età sembra essere un primo fattore, soprattutto in contesti adalto tasso di innovazione e creatività:

“L’organico di MTV Italia è cresciuto negli ultimi anni (ad oggi vi lavorano più di 300persone), in linea con lo sviluppo del numero di canali. Nella primavera del 2005sono infatti nati due nuovi canali satellitari: Nickelodeon, rivolto al mondo dei ragazzi,e Paramount Comedy, dedicato all’intrattenimento; ma MTV Italia è rimastaun’azienda molto giovane: l’età media delle persone che vi lavorano è di 26-28anni. Nonostante il recente inserimento di professionalità più consolidate stiaportando ad un suo progressivo livellamento, questo dato rimane certamente benal di sotto della media delle aziende, anche del settore”.(Cristina Lippi, responsabile Risorse Umane MTV Italia, intervista, 30/3/2006)

“Siamo aperti ai giovani, li cerchiamo. Ovvio che le reti lo siano molto meno, lorosono sulla difensiva”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master, intervista personale,28/3/2006)

15 “La ricerca di una buona prestazione artistica - task caratterizzato da un maggiore grado di innovazione - pare risentire negativamente della presenza di legami forti tra i membri del team” (Montanari - Usai in Salvemini2002).

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All’interno di un discorso di “apertura”, oltre a un parametro di rotazione dellerisorse e a un parametro di età, vi è anche un parametro di internazionalizzazione:alcune aziende auspicano addirittura una certa quota di risorse di nazionalitàdiverse da quella della squadra di origine.

“È un vero peccato che la televisione non sia un crogiuolo di razze, di meccanismicreativi. Io penso che dovrebbe essere obbligatorio per una rete televisiva, ad esempio,avere il 10% di organico di extracomunitari. Una grande lezione che ho appreso quiin Film Master, è che qui si è sempre respirata un’atmosfera multiculturale. Qui siparlano almeno due, tre lingue. Anche gli eventi ti spingono in un’ottica internazionale:nei prossimi mesi abbiamo eventi a Mosca, nel Dubai, a Pechino, a Las Vegas (dovesiamo in gara con il Cinque du Soleil) e a Vancouver. È normale che ci sia lo stagistatedesco, la regista scandinava, il direttore della fotografia greco; è normale che cisia questo scambio”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

In realtà il parametro età e il parametro dell’internazionalizzazione si intreccianostrettamente:

“Il mondo televisivo italiano è un mondo costretto da prigioni territoriali e linguistiche.È una cosa generazionale. È ovvio che generazionalmente le persone sopra i 35-40anni sono abituate a parlare italiano, fanno fatica a cambiare. Spetta ai ragazzi giovani non sentire queste barriere, non avere questo limite: devi andare a Monacodi Baviera come vai a Roma, come vai a Parigi. Solo mescolando e misurando sipossono fare cose nuove e innovative. [...] Penso che dovrebbe essere obbligatorioper un autore e chiunque lavori in televisione fare un anno all’estero come forma-zione. [...] Alle Olimpiadi avevo un gruppo creativo di 16 persone: francesi, austra-liani, italiani, americani, inglesi e tedeschi. E c’era la voglia di fare creatività, aven-do la guida di una regia italiana ma nello stesso tempo mischiando punti di vistadiversi. Questo secondo me è quello che manca: è raro vedere uno straniero aCologno Monzese”.(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

È proprio il più ampio concetto di “diversity”, a cui abbiamo dedicato il Focus diquesto capitolo, che connota la politica delle multinazionali più creative e innovative.

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La “Diversity” nella politica HR.I casi 3M e Xerox

Sul tema della “diversity” come elemento fondamentale della politica delleRisorse Umane, abbiamo scelto due casi di aziende, che ne fanno uno deglielementi chiave di successo e che lo citano esplicitamente come tale nella propriacomunicazione istituzionale. Al di là di certi accenti propagandistici “all’americana”,riteniamo infatti che porre l’accento su questi fattori, oltretutto in aziende non dicomunicazione, sia un significativo benchmark anche per le nostre più piccoleimprese di comunicazione.

Un primo esempio é la multinazionale Xerox. Leggiamo sul suo sito istituzionalealcune premesse alla politica di gestione dei suoi 65.000 dipendenti:

“Xerox offre ai suoi clienti una gamma di prodotti e servizi innovativi. Il nostro obiettivo è di aiutarli a trovare un modo sempre più efficace per ottimizzare le loropotenzialità lavorative. La Xerox è in grado di conseguire questo obiettivo in quanto sitrova costantemente all’avanguardia nelle tecnologie, nei prodotti e nei servizi perla gestione dei documenti, migliorando così i processi lavorativi e i risultati aziendali.Per perseguire il nostro scopo dobbiamo innanzitutto assicurare che la Xerox stessaoffra un ambiente di lavoro ottimale; altrimenti non riusciremmo ad attirare e a trattenere persone di grande talento, con spirito di iniziativa e di ampie vedute”

Queste le parole del suo Chairman e CEO Anne M. Mulcahy, a proposito di Diversity:

“Sono convinta che la Diversity rappresenti una chiave per il successo. L’esperienzaci insegna che le aziende più diversificate, quelle dominate dall’immaginazione epopolate da personale di tutte le età, razze e culture diverse si affermano neltempo e raggiungono un maggiore successo… la Diversity genera creatività. Forseperché le persone di provenienze diverse sono maggiormente propense a metterevicendevolmente in discussione i luoghi comuni, liberandoci dalle abitudini edall’ortodossia”. (cfr. www.xerox.com)

Un’altra azienda che fa della creatività e dell’innovazione la propria ragion d’essere è3M: si tratta di una multinazionale attiva in molti mercati differenti (dall’architettura

FOCUS

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alle arti grafiche, dalla salute al tempo libero, dalla sicurezza alladidattica), presente con filiali in 60 Paesi e che vende in 200: produ-ce 50.000 prodotti su 30 piattaforme tecnologiche diverse (i più popo-lari dei quali sono Scotch e Post-it), e fattura 21 miliardi di dollari.Uno dei suoi “claim” è “Be a company employees are proud to be part of“:essere un’azienda di cui i 69.000 dipendenti (33.000 negli Usa, 36.000 neglialtri Paesi) siano orgogliosi di far parte. Leggiamo nel sito corporate di 3M, che addirit-tura dedica un’ intera directory al tema della Diversity (www.3m.com/about3m/diver-sity):

”Valorizzare la nostra unicità rispettando le nostre differenze, massimizzando ilnostro potenziale individuale, mettendo in sinergia i nostri talenti collettivi e lenostre esperienze, per la crescita e il successo dell’azienda... Diversity non è solouno slogan in 3M, è una parte importante del nostro mondo. Come aziendainternazionale, lavorare con un eterogeneo gruppo di colleghi è parte dell’esperienza3M. I nostri clienti dipendendone da noi per la distribuzione di prodotti innovativiper il lavoro e la casa. Noi dipendiamo dalle idee e dai talenti della nostradiversificata forza lavoro per offrirli”.

“La nostra forza lavoro diversificata è il cuore della nostra forza e dei nostri valori.Le nostre differenze sono in grado di farci diventare un’azienda più forte… Noi cerchiamo i migliori e più brillanti collaboratori con un’ampia gamma di competenzee esperienze per far crescere la nostra azienda. La nostra forza lavoro rispecchia ladiversità delle comunità globali in cui gli impiegati 3M vivono e lavorano”.

Contare su diversi backgroud, culture ed esperienze eleva le prestazioni, ancheperché ricerche citate da Xerox hanno dimostrato che i dipendenti preferisconolavorare in “culture inclusive”: quindi “offrendo questo tipo di contesto siamo ingrado di attrarre e mantenere i migliori talenti, riducendo il costo del turnover”.

Diversità non significa solamente “internazionalizzazione”: un apposito Comitato,HRACD, Human Resources Advisory Committee on Diversity, e una figura full timedi Diversity Manager, assicurano che siano supportate le minoranze femminili e etniche (afroamericani, indoamericani, ispanico-latini), sia con corsi di formazione,sia con programmi mirati a identificare e sviluppare i talenti, o mirati ad accelerare iprocessi di leadership di selezionati giovani manager (ad esempio l’AcceleratedLeadership Development Program). Tali politiche “aiutano a tenere l’azienda frescae aperta a innovativi modi di fare business”.

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FOCUS

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10TEMI DI SFONDO

In quest’ultimo capitolo sintetizziamo alcune questioni riassuntive e generali, adiniziare dalla percezione da parte di aziende e lavoratori dell’andamento del set-tore e delle sue criticità espresse.Lo sguardo si allarga infine ad aspetti finora solo accennati, e che costituisconolo sfondo della nostra ricerca. Pur non essendo infatti tra i temi specifici del-l’indagine, sono stati gli intervistati, le aziende e i lavoratori stessi, a spostarespesso l’accento dai loro problemi contingenti a questioni di più ampio respiro,come il rapporto con il territorio e la tensione dialettica tra logiche produttiveartigianali e industriali, tra i diversi soggetti del mercato (in particolare editori eproduttori), tra oligopolio e mercato, tra innovazione e conservazione.

di Alessandra Alessandri

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Tra le domande di scenario poste, una mirava a fotografare la percezione delcomparto audiovisivo da parte delle aziende e dei lavoratori.

Il comparto audiovisivo è percepito come...

Fonte: Labmedia (su 127 aziende e 100 lavoratori)

Analizzando le risposte fornite nei questionari, sembra che i lavoratori siano menoottimisti delle aziende intervistate: questo non tanto e non solo perché solo il32% di loro delinea un quadro ottimistico (“in espansione”) a fronte del 40% delleimprese, ma soprattutto per la percezione di stabilità che abbiamo già ritrovatonelle loro considerazioni (39% dei lavoratori a fronte del 28% delle aziende ritiene ilsettore “stabile”).La sensazione di stabilità sembrerebbe infatti connessa con quella, più aperta-mente negativa (già commentata a proposito del recruitment), della staticità, inte-sa come rigidità di accesso al settore, e come mancanza di mobilità.Alla domanda sulle criticità più rilevanti del settore, le aziende hanno infatti dato,tra le opzioni indicate, risposte piuttosto eterogenee (un terzo di esse ha indicatol’inadeguatezza della formazione, il 28% la mancanza di canali di selezionespecializzati, il 20% la mancanza di certificazione delle competenze), mentre ilavoratori hanno posto l’accento per il 43% sulla mancanza di canali di selezionespecializzati (seguiti dalla mancanza di certificazione delle competenze per il29%, e dalla formazione inadeguata per il 21%).

Più interessante dare uno sguardo ai commenti liberi indicati dagli uni e dagli altri.Le aziende citano tra le criticità del settore soprattutto:

• risorse poco qualificate, poco addestrate alle attrezzature in uso, dal profilodi competenze incompleto (“mancanza di un’unione di capacità creative e dibudget”), di volta in volta poco flessibili o poco specializzate;

• alto costo del lavoro;

10.1 La percezione dell’andamentoe della criticità del settore

Aziende Lavoratori

40%

28%

23%

9%

In espansione

Stabile

In contrazione

Non risponde/non sa

32%

39%

13%

16%

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• una complessiva inadeguatezza dei lavoratori (“inadeguatezza professionalerispetto agli altri Paesi”).

Certo alcune accuse potrebbero essere anche autocritiche, cioè rivolte a se stessee alle proprie scelte (“stage poco formativi”, “insufficiente rinnovo nella presenza diprofessionisti sul mercato”); alcune aziende spostano però il problema su questio-ni “di sistema”, quali la concorrenza, il duopolio, la disorganicità del settore, cheevidentemente condizionano la loro stessa sussistenza o comunque vi influisco-no pesantemente, tanto da essere preliminari a qualsiasi considerazione sulleRisorse Umane 1.I lavoratori invece indicano come “il problema” del settore, in ordine di ricorrenzadelle citazioni:

• una scarsa attenzione da parte delle aziende alle Risorse Umane (“scarsità oassenza di investimenti da parte delle aziende nella formazione del personale”,“mancanza di progettualità nei confronti dei dipendenti e dei loro ruoli”,“totale mancanza di disponibilità a formare o investire sulle nuove RisorseUmane”);

• l’eccessiva discrezionalità o la scarsità di percorsi di carriera (“inesistenzadella meritocrazia”, “mancanza di mobilità all’interno del settore di competenza”);

• problematiche economiche (“inadeguatezza della retribuzione”, “sfruttamentonon retribuito”, “crollo vertiginoso dei compensi”, “eccessive disparità ditrattamento economico tra figure limitrofe”);

• mancanza di informazioni e trasparenza (“mancanza di una rete di informazionistrutturata”, “mancanza di accesso alle occasioni di contatto e alle informazionistesse”);

• inadeguatezza della formazione (“offerta formativa non in linea con le nuoveesigenze del mercato”, “molte figure risentono di un percorso formativo inadeguato”);

• barriere di accesso (“settore chiuso, con ingressi grazie a reti direlazioni/parentali”, “mancanza di possibilità di farsi conoscere”);

• precarietà (“discontinuità lavorativa”, “rassegnazione al precariato strutturale”,“inesistenza di contratti a tempo indeterminato”).

1 Non è compito di questa ricerca fornire indicatori sull’andamento del mercato audiovisivo, e quindi ci limitiamoa riportare alcuni dati esemplificativi citati dagli intervistati, e che comunque hanno una pesante ricaduta sultema occupazionale. Per citare la crisi del settore pubblicitario, alcune società hanno negli ultimi anni chiuso ibattenti, e quelle rimaste sul mercato giocano la loro battaglia competitiva con margini sempre più risicati: in passato le agenzie percepivano il 17,65 % sull’amministrato, ora il 3-4%; una volta le case di produzione avevano un mark up del 35%, oggi del 20%, o addirittura del 18% sui grandi clienti.

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In alcuni casi le accuse non vertono tanto sulla posizione personale dei singolima, più in generale, su alcune condizioni strutturali delle proprie aziende e delmercato:

• generale mancanza di progettualità e innovazione (“scarsità di investimentiin Ricerca & Sviluppo”, “impostazione aziendale poco moderna, di tipo padronale”);

• generale mancanza di attenzione alla qualità (“scarsa attenzione ai dettagliche distinguono una buona produzione da una mediocre”).

10.2 Il territorio

Passiamo ora ad approfondire uno dei problemi chiave emersi nel corso delleinterviste, quello del rapporto tra il tessuto delle imprese e il territorio, e in particolarequello dei sostegni istituzionali che il territorio può o potrebbe offrire.In questa sede, ci limitiamo a puntualizzare alcuni aspetti nel loro riflesso piùimmediato sul lavoro audiovisivo.Vale la pena ricordare il problema già citato (cfr. focus del secondo capitolo) dellamarginalità del Centro di Produzione RAI di Milano, vissuto direttamente dai lavoratori e spesso stigmatizzato dai sindacati:

“La RAI è “viale Mazzini 14, Roma”. La RAI di Milano è stata sempre marginale. ConGuglielmi forse ci siamo trovati meglio perché parlava con noi e ci affidava più programmi: siamo anche riusciti a fare cose che sentivamo nostre”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006)

“Il servizio pubblico dovrebbe dare espressione al territorio, sia produttivamenteche ideativamente, con la concezione di programmi pensati a Milano, come accadeva con la RAI 3 di Guglielmi (un esempio su tutti: ‘Milano-Italia’ di Gad Lerner)”.(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

Ma il problema del rapporto con il territorio è vissuto anche da altre aziende: alcuneimprese di produzione, che erano localizzate in Lombardia, hanno scelto di spostarsiin regioni in cui hanno trovato grande sostegno da molti punti di vista…

“’Centovetrine’ nasce a San Giusto Canavese, in Piemonte, nel 2000, mentre‘Vivere’, nata negli Studi di via Mambretti a Milano e ambientata sul lago di Como,

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si è trasferita nel territorio canavesano da un anno e mezzo circa.Grande impulso alla nascita e al successivo sviluppo di questo polo piemontesedella soap italiana, è stato dato dalla Film Commission regionale, che da subito siè dimostrata molto attiva attraverso concessione di patrocini e sostegni di variogenere: rapporti con le amministrazioni comunali, facilitazioni per l’occupazione delsuolo pubblico ecc. Aspetto non trascurabile, ai fini dell’insediamento nel Canavese,è stato quello del costo degli studi, che si è rilevato sicuramente più convenienterispetto ai prezzi standard di mercato”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

…a differenza della Lombardia:

“Vorremmo porre l’accento sul fatto che in otto anni ‘Vivere’ ha contribuito in misurarilevante ad aumentare la notorietà di Como e dei suoi dintorni, mentre nessun tipodi aiuto ci è stato mai riconosciuto dall’amministrazione, la quale, forse, ha avuto iltorto di far partire la propria Film Commission con otto anni di ritardo”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

Quello della Regione Piemonte e della sua Film Commission 2 è un benchmarkcitato a più riprese, sia per le ingenti risorse economiche a disposizione, che perle competenze specialistiche sfruttate, che, infine, per una coerente politica disistema:

“Non è solo un problema di risorse: la Film Commission Lombardia 3 non le sausare, anche perché è sempre stata vista come un organismo che vegetava sottoqualche cappello politico. In Piemonte invece hanno saputo mettere alla testa della

2 Film Commission Torino Piemonte è un'organizzazione senza fini di lucro, la cui natura giuridica è quella dellaFondazione, voluta e sostenuta finanziariamente dal Comune di Torino e dalla Regione Piemonte che ne sono isoci fondatori. La Film Commission Torino Piemonte ha come scopo la promozione della Regione Piemonte edel suo Capoluogo Torino, al fine di attirare sul territorio produzioni cinematografiche e televisive italiane edestere e nello stesso tempo sostenere indirettamente l'industria cinematografica locale, creando nuove opportunità di lavoro per chi, in Piemonte, opera nel campo cinematografico e televisivo. L’attuale Presidente èSteve Della Casa (già direttore del Torino Film festival), il Direttore Giorgio Fossati.

3 Film Commission Lombardia è una Fondazione non-profit creata per promuovere sul territorio lombardo la realizzazione di film, fiction TV, spot pubblicitari, documentari ed ogni altra forma di produzione audiovisiva.È stata costituita nel 1998 a livello sperimentale, con sede presso l’Assessorato alla Cultura della Regione; nel2000 è stata ufficialmente costituita in forma di Fondazione, grazie ai soci fondatori Regione Lombardia,Fondazione Cariplo e Unioncamere Lombardia, a cui successivamente, si è unita anche Fondazione Fiera Milanoe, dalla fine del 2004, anche il Comune di Milano.Il Presidente è Renato Pozzetto (titolare tra l’altro della casa di produzione Alto Verbano), il Direttore FulvioMoneta Caglio.

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Film Commission un uomo di produzione con competenze specifiche, l’ex responsabiledi Cinefiat Giorgio Fossati. [...] Mi pare che in Lombardia l’unica politica riconoscibileche fa la Regione sia quella di finanziare documentari non dico turistici, ma di presentazione…”.(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)

“La Film Commission Lombardia è sempre stata marginale. La Film Commission delPiemonte e il Comune di Torino hanno invece investito molto per affrontare la crisidell’industria locale, e molte produzioni si sono spostate lì perché effettivamenteera più vantaggioso girare, sono state create strutture molto competitive”.(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)

La Lombardia sembra, secondo alcuni intervistati, aver disatteso alcune occasionidi dialogo e confronto con l’Europa…

“La Lombardia era ad esempio parte integrante dell’azione comunitaria autonomadelle “quattro regioni motori d’Europa” (le altre sono Catalunya, Rhône-Alpes,Baden-Württemberg), ma nel settore audiovisivo non ha mai seguito gli input dellealtre tre Regioni, che alla fine hanno rotto le relazioni con lei. Nelle altre Regioni c’èuna politica di fondi regionali che funziona regolarmente. Se non si crea il tessutoproduttivo e normativo di riferimento, ogni impresa va per conto suo, è la legge dellagiungla”.(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)

…nonostante le decisioni di localizzazione produttiva abbiano un riflesso diretto apiù livelli, non ultimo quello occupazionale:

“Con ‘Centovetrine’ abbiamo fin dall’inizio cercato di favorire una forte localizzazioneterritoriale del personale. In effetti, abbiamo iniziato con la quasi totalità delle figureprofessionali che provenivano direttamente da Milano e successivamente, attraversograndi sforzi indirizzati verso una formazione specifica, ci siamo attestati a circal’80% di lavoratori piemontesi”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

Il ruolo della città di Milano, in particolare, dovrebbe essere valorizzato da unapolitica culturale di ampio respiro…

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“La città, nelle sue pubbliche istituzioni, ha una grande responsabilità, perché hasottovalutato l’importanza del cinema (e della cultura in genere) nella ridefinizione diun’identità culturale e sociale del nostro territorio, un territorio urbano-metropolita-no importante e ampio che ha bisogno di avere una valorizzazione nel mondo supe-riore a quello attuale.Ci vorrebbero iniziative coordinate: bisognerebbe fare in modo che girare a Milanodiventi conveniente, interessante, facile anche per i milanesi registi e produttori,che hanno voglia di ‘mettere in mostra’ la loro città attraverso il loro sguardo.In questa città c’è bisogno di tornare a guardare con lungimiranza e su scala metro-politana (da tempo si parla dell’istituzione dell’Area Metropolitana, ma non se ne èfatto più nulla), restituendo alla produzione culturale il ruolo generativo e germina-tivo che ha avuto nei momenti migliori della storia della città, quandoriusciva a suggerire idee nuove anche al mondo dell’economia e della produzione”.(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)

…che possa liberarne le risorse e restituirle centralità:

“Io ho sempre cercato di far nascere iniziative consortili per sostenere battaglie culturali necessarie per dare respiro a una brande città e a un paese come ilnostro. Manca una cultura d’impresa, in questo settore. Non si riescono a liberarenuove risorse da reinvestire, per destinarle a quest’attività; non si riesce ad attivarenuove logiche di finanziamento che escano dall’assistenza ministeriale”.(Gianfilippo Pedote, Titolare MIR Cinematografica, intervista personale, 3/4/2006)

“Bisogna restituire la titolarità culturale di Milano, il suo ruolo di mediazione culturale”.(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

10.3 Le dialettiche nell’audiovisivo

In questo paragrafo passiamo ad affrontare alcuni nodi di sfondo, che ci sembra-no emblematici di tutto il settore. Tra questi, abbiamo individuato le conflittualità tra ragioni autoriali/espressive eragioni produttive/di mercato, tra logica artigianale e industriale, tra Ricerca &Sviluppo e marketing operativo, come metafore del dissidio tra innovazione e conservazione, tra editori e produttori, o meglio tra oligopolio e mercato.

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10.3.1 Autore vs produttore, ragioni espressive vs ragioni di mercato

Nell’audiovisivo, inteso come “artefatto comunicativo” che si trova in uno statutointermedio tra prodotto culturale e prodotto commerciale (Biondi 2001), si verificauna conflittualità tipica: quella tra creativi e manager, tra autori e produttori 4.Rispetto ad altri prodotti culturali (opere letterarie e figurative), l’audiovisivo hadue importanti differenze: non nasce da processi creativi individuali, e non interagisce con logiche industriali solo al momento della diffusione5, ma benprima.Il concetto complesso di “autore” 6 è caratterizzato da molteplici fenomeni:

• l’integrazione dei processi creativi nei meccanismi produttivi della macchina industriale, caratterizzati da complessità e necessità di ottimizzazione;

• il valore di scambio che spesso si sostituisce al valore espressivo;• il conseguente ridimensionamento dell’idea romantica di creazione come

“atto individuale spontaneo legato ad una attenzione espressiva originale”;• la centralità delle pratiche di consumo nell’interesse produttivo, che mette in

subordine l’ispirazione e l’urgenza espressiva dell’autore;• la frantumazione della responsabilità autoriale tra più soggetti e lo smembramento

dell’identità autoriale. (Farinotti in Colombo-Eugeni 2001)

Naturalmente il tema è di tale portata che rinunciamo all’ambizioso tentativo diriassumerlo qui in poche righe.Ci sembra comunque interessante accennare ad un aspetto che finisce per avereun impatto decisivo nell’audiovisivo quello della definizione stessa di “autore”come autore collettivo e come team complesso e composito. Innanzitutto la com-plessità si traduce nella doppia responsabilità dell’audiovisivo tra parte iconica eparte testuale: spesso si può correttamente parlare di “coppie creative”.

4 Un’altra conflittualità ricorrente è quella tra i commerciali e le operations nei contesti new media, dove a scontrarsi sono esigenze di mercato e vincoli di realizzabilità.

5 Ricordiamo ad esempio che il “marketing cinematografico” non consiste esclusivamente nella promozione delfilm dopo la sua produzione, (concetto “product oriented” tipico dell’approccio europeo), ma più in generale nelconcepimento stesso di un prodotto solo a partire dall’esistenza di un mercato pronto ad accoglierlo e a decretarne il successo (concetto “market oriented” tipico dell’approccio americano).

6 Ricordiamo le plurime accezioni del concetto di “autore” nell’audiovisivo: estetico-creativa: autore come artistala cui intenzione espressiva prende forma nel film; giuridica: autore come detentore della proprietà intellettualedell’opera; economico-produttiva: autore come responsabile materiale del prodotto filmico; professionale:autore come detentore del “final cut” nella realizzazione del prodotto filmico.

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Abbiamo già citato il caso della coppia “regista-autore” nella confezione di servizidi magazine, ma il tema si applica anche alla rivendicazione dello sceneggiatorecome co-autore del film 7. In televisione il ruolo di “capoprogetto” può essere assun-to di volta in volta da varie figure (cfr. il paragrafo dedicato al “triangolo autoria-le” nel quarto capitolo).L’intera storia del cinema può essere riletta alla luce di questo fattore: alcuni registiammisero l’importanza dell’autorialità multipla 8 e altri la negarono orgogliosamente 9.Il conflitto tra autore e produttore (che nel cinema sono le uniche figure permanenti presenti in tutte le fasi del film), è proprio la metafora di un conflittotra le ragioni economico-produttive da una parte e le ragioni artistico-espressivedall’altra. Ma al di là delle semplicistiche contrapposizioni tra mercato e arte, èchiaro che si delinea qui il tema della “costante tensione tra ogni progetto e imezzi destinati per realizzarlo” (Biondi in Script 2004-2005), tra il concetto europeodi film come opera e quello americano di cinema come merce.La dialettica storica è quella tra autore e committente, tra esigenze economichedel mercato e libertà espressiva dell’”autore”. La storia del cinema offre anchevari esempi di come non sia solo l’ispirazione registica a determinare l’opera,anche per la sua complessità realizzativa 10, e di come il final cut, inteso comedecisione ultima sul montaggio del film, non ricada spesso sul regista ma sul produttore e sul marketing. La decisione sul final cut è infatti una sede tipica dicontrasto tra “interessi morali, derivanti dalla paternità dell’opera, e interessipatrimoniali, derivanti dalla potestà sul prodotto” (Biondi 2002).Ma, in realtà, la contrapposizione è in alcuni casi risolta dall’assunzione, da parte

7 Sulla polemica che spinge a rivendicare un ruolo di co-autore cinematografico allo sceneggiatore, allo stessomodo della coppia musicista-paroliere nella canzone, o della coppia art director-copy writer nella creatività pubblicitaria, si veda la rivista “Script” (ad esempio Dino Audino, “Nessuno o tutti” in Script 35/36,gennaio-settembre 2004.)

8 Citiamo per tutti Jean Renoir: “Anzitutto non si fa un film da soli. Esso è il prodotto di una équipe. C’è tuttaviauna persona che influenza questa équipe, e che, praticamente, diventa l’animatore, quello che conduce ilgioco…agli inizi del cinema americano era spesso l’attore vedette [la star].. Qualche volta gli scrittori detteropiù degli altri un’impronta all’opera comune. Ma più spesso furono i registi. Ancora adesso, in Europa, un filmè prima di tutto l’opera del suo regista”.

9 Citiamo ad esempio Francois Truffaut: “In assoluto possiamo affermare che l’autore di un film è il regista, e luisolo, anche se non ha scritto una riga del soggetto, non ha diretto gli attori e non ha scelto le angolazioni delleriprese; bello o brutto, un film assomiglia sempre a colui che ne firma la realizzazione”.

10 A sottolineare quanto possa essere travagliata questa lotta tra il regista e la realizzazione concreta della suaopera citiamo due casi “storici” documentati a livello video: uno a lieto fine, come “Apocalypse now” di FrancisFord Coppola (cfr. “Hearts of Darkness: A Filmmaker's Apocalypse” di Eleanor Coppola, 1991), l’altro, destinato asfociare nell’opera incompiuta di Terry Gilliam “The Man Who Killed Don Quixote” (cfr. “Lost in La Mancha”, diKeith Fulton e Louis Pepe, 2002). Come diceva Von Sternberg, “il regista e’ un uomo che si batte contro milleostacoli”.

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di una figura, delle responsabilità di altri ruoli: interessante ad esempio il dibattitonato a partire dalle figure di “writer producer 11” nei telefilm americani 12. È la fiction americana il campo in cui sembrerebbe essersi oggi più compiutamenterealizzata una coincidenza tra l’interesse economico di un produttore legato all’e-sito del suo progetto e l’interesse artistico dell’autore di tutelare la sua visione(Scardamaglia, in Script 35/36), restituendo all’atto creativo la centralità nellafiliera produttiva (Avellino, in Script 35/36). E la qualità di molti prodotti di fictionseriale statunitense parrebbe accreditare questa ipotesi: il cinema americano diqualità oggi sembra risiedere, più che nei blockbuster e nei sequel deiblockbuster, proprio nel piccolo schermo.Il sistema americano è quindi un sistema “bottom up”, nel quale si parte dalleidee, che tutti gli autori (dall’ultimo arrivato a Steven Bochco) sottopongono informa di pilot ai network. Al contrario, nel sistema “all’italiana”, sono i networkche, oltre a commissionare i prodotti, ne prescrivono anche la visione; “i produttoriaccedono ai finanziamenti a seconda della solidità dei loro rapporti con i networke non dalla qualità dei progetti presentati, gli autori vengono scelti dai produttoritra quelli che nel passato hanno meglio e più spesso eseguito la visione loro commissionata, escludendo irrimediabilmente chi fosse al di fuori di questo meccanismo di cooptazione” (Avellino, in Script 35/36). Certo è che il produttorenon è colui che firma come tale nei credits, ma “chi ha materialmente finanziatoe organizzato la produzione” (Biondi, in Script 37). Certo è che al produttore sichiede sempre di più: non solo di far convergere le risorse appropriate per la riuscita del progetto, ma anche di essere un referente per il regista con cui confrontarsi, e un “abile mediatore capace di coniugare gli aspetti di economicitàcon quelli più artistici ed estetici” (Montanari-Usai in Salvemini 2002).Il produttore si definisce quindi come “l’imprenditore

13che, capace di riconosce-

11 Alcuni sceneggiatori d’oltreoceano hanno assunto anche il ruolo produttivo su di sé, conglobando tutte ledecisioni chiave dell’opera: si tratta di personaggi come Steven Bochco (L.A Law e NYPD Blue), David Chase(The Sopranos), Tom Fontana (Oz), John Wells (E.R., The West Wing), Darren Star (Sex in the city, Beverly Hills90210, Melrose Place), David Kelley (The Practice, Ally Mc Beal): ideatori, caposceneggiatori (nonnecessariamente writer dei singoli episodi) e produttori esecutivi delle loro serie, definibili certamente comeprodotti “d’autore”.

12 Un’altra figura ibrida in cui un autore assume più ruoli è quella del producer director, un regista che si assumeanche l’onere produttivo e finanziario del film. Un esempio su tutti è Francis Ford Coppola, che con la suaAmerican Zoetrope, fondata con George Lucas nel 1969, ha prodotto, interamente o in parte, tutti i suoi film(compresa la rischiosa avventura di “Apocalypse now”) e film di altri registi (Kurosawa, Wenders, Godard,Branagh, Burton, Sofia Coppola stessa). Questa la finalità all’origine della decisione: “Mi ha sempre sconcertatoil fatto che nessuna delle grandi case cinematografiche, potenti e finanziariamente stabili, abbia fatto della coltivazione della scrittura il proprio obiettivo principale… Nessun’altra grande industria ignora le proprierisorse vitali fino a questo punto”. (Coppola 2001)

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re il talento espressivo, sia in grado, operando economicamente, di compensareciò che ne condiziona la coerenza espressiva [...] in definitiva: un Manager of Artin grado di realizzare e gestire economicamente l’espressione estetica” (Biondi2001). Il produttore, anche in televisione, dovrebbe essere colui che incanala italenti, li valorizza e li esalta:

“La produzione è a volte considerata come un reparto che permette a dei creatividi realizzare un prodotto, con uno spirito di servizio. Invece il mio lavoro non è quellodi far lavorare i creativi, ma è paritetico al loro, siamo comunque tutti parte di unprogetto. Noi stessi siamo creativi”.(Producer casa di produzione di fiction, focus group figure produttive, 5/5/2006)

“Non abbiamo paura della qualità o delle persone difficili da gestire: meglio l’”eccezionalità” anche se crea problemi, perché poi ci siamo noi, che geni nonsiamo, che gestiamo e risolviamo i problemi, che conteniamo ma non limitiamo.Certo la tv è una cosa molto concreta, applicata, fatta di tempi, modi e risorse specifiche. Quindi l’artista, il genio in televisione non è legato ad una dimensioneastratta ma si inserisce in regole e dinamiche molto contingenti. Sicuramente poiha una sensibilità e una personalità “speciale”, delle capacità produttive particolari. Ein questo senso è una risorsa davvero rara e unica”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

13 Chiaramente in questa accezione il ruolo del produttore coincide con quello imprenditoriale (a fronte dellapolisemia d’uso del termine, riportata nella nostra mappa).

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10.3.2 Prototipo vs serializzazione, artigianato vs industria

Esistono contesti produttivi in cui questo dualismo non si pone. Si tratta di contesti “artigianali”, in cui il controllo sul prodotto è tendenzialmente nelle manidi poche figure che accentrano più ruoli. La massima esemplificazione del processoartigianale sta nella compressione dei ruoli che si verifica ad esempio nel documentario...

“La parte amministrativa non la curo io, ma mio marito… ho un cameraman ricorrente che è mio figlio. Ci sono io e l’ unica socia… che è anche mia nuora”.(Annamaria Gallone, Titolare Kenzi, intervista personale, 6/3/2006)

“Quando le produzioni raggiungono un certo livello finanziario, produttori e autorisono figure distinte, ma più spesso la dimensione è molto vicina all’autoproduzione,in cui i ruoli sono abbastanza mescolati. Quando ci sono più risorse tende a ripetersi il classico schema a divisione tra chi finanzia e chi è salariato.L’ideale sarebbe che il produttore facesse solo il produttore, e ci fosse un’unica figuraautore-regista”.(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)

...o nella sitcom:

“La sit-com è rimasta una delle poche forme autoriali di tv.Il problema è che la richiesta di professionisti è superiore ai professionisti esistenti.E questo porta un abbassamento della qualità. Una volta c’erano quattro maestri dimusica importanti, che facevano un programma di varietà ogni tre - quattro anni, e sialternavano fra loro. Adesso invece è una bolgia: per questo fanno i reality, perriempire i buchi, dove il livello autoriale non c’è piu”.(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo, intervista personale, 9/3/2006)

All’opposto di questa logica sta la soap opera, come modello di produzione indu-striale con un’elevata specializzazione degli addetti. Nella produzione della soapsi verifica una notevole concentrazione in termini territoriali 14, cioè in centri di

14 La soap opera in Italia è attualmente realizzata esclusivamente nel centro di produzione di Telecittà a SanGiusto Canavese in Piemonte (Mediavivere per Mediaset: Vivere e 100 vetrine; di Napoli per RAI Grundy (Un posto al sole e La squadra). Sono inoltre in costruzione i Med Studios a Termini Imerese per Einstein Multimediae RAI (Agrodolce).

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produzione autosufficienti 15. Nell’ambito di queste “cittadelle” televisive gli stan-dard di efficienza impongono un’elevata specializzazione del lavoro, elevati ritmiproduttivi e il definitivo abbattimento del mito dell’unicità del regista:

“Ciascuna produzione realizza circa sei puntate in cinque giorni lavorativi. Solo unsistema altamente “industrializzato” può riuscire a raggiungere tale obiettivo. Perfare un confronto possiamo dire che noi riusciamo a produrre una media di circatrenta minuti di prodotto televisivo finito al giorno per ciascuna Produzione, controi sei-sette della fiction classica e il minuto, minuto e mezzo del cinema. Questo sitraduce nella necessità di avere due troupe in grado di girare contemporaneamenteogni giorno, con la presenza di sei registi e di una struttura in grado di supportarequesto enorme sforzo. Per citare un altro dato: per girare una scena di 2-3 minuti,tra preparazione scenografica e fotografica del set, prove movimenti con gli attori,prove girate e shooting effettivo, non abbiamo più di venticinque-trenta minuti. Equesto viene ripetuto tutti i giorni. È ovvio che solo un sistema perfettamentecalibrato ci consente di realizzare una puntata di 24 minuti con un costo di circa60.000 Euro”.(Bruno Stefani, Produttore Esecutivo Mediavivere, intervista personale, 29/3/2006)

Non si tratta di un confronto tra generi - documentario vs fiction - né tra budget,ma tra prototipi e prodotti seriali: prova ne è che la miniserie risponde maggiormente a logiche artigianali (come quella del “triangolo autoriale”).A fronteggiarsi non sono solo due modelli organizzativi, ma due concezioni “filosofi-che” tout court: la prima è sinonimo di autorialità, in quanto l’atto creativo è prero-gativa, se non del singolo (visto che la produzione audiovisiva è solo eccezional-mente un fatto individuale, e quasi sempre implica un’autorialità collettiva), di unnumero ristretto di ruoli che incentrano su di sé le responsabilità dell’opera; laseconda è, viceversa, fondata sulla moltiplicazione dei ruoli, sulla frammentazionedel processo decisionale (la “catena di montaggio” già descritta), sulla brevità deitempi di scrittura e di lavorazione, con l’obiettivo prioritario di ottimizzare al massimo le risorse disponibile, riducendo i costi. La logica artigianale va nella

15 “A San Giusto la produzione di soap opera dà lavoro al 75% delle maestranze della zona, acquista materiale dalCanavese (all’80%), affitta case, riempie i due nuovissimi alberghi, utilizza esclusivamente comparse locali, finoa 500-600 persone al mese. Telecittà offre la possibilità di una catena di montaggio completa della soap, dalteatro di posa agli studi di postproduzione per montaggio e doppiaggio (la società di edizione Videodelta),dall’albergo ai grandi spazi per il tempo libero dei professionisti impiegati, che vivono a San Giusto come in unmoderno monastero del lavoro televisivo”. (Venerdi di Repubblica, 7/2/2003).

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direzione di un prototipi non replicabili, quella industriale in quella della standardizzazione; la prima ha come obiettivo la coerenza autoriale o l’innovazione,la seconda la tempestività; la prima premia probabilmente più l’efficacia di unprodotto comunicativo, la seconda maggiormente l’efficienza. È chiaro che la soapimpone ritmi produttivi e vincoli tali che la sceneggiatura non può che esserne forte-mente condizionata. Questi ad esempio i “paletti” narrativi posti agli sceneggiatori, aglistory editors, agli storyliners, ai dialoghisti (e già la numerosità delle qualifiche èsignificativa), per la scrittura di un blocco da 5 puntate settimanali:

• mediamente 7 linee narrative (miscelando gli elementi di commedia, dramma,sentimento…);

• mediamente presenti 18 personaggi;• max 70 scene;• durata media delle singole scene: 90”;• max 5/6 location esterne;• equa ripartizione di scene tra i due teatri di posa.

Fonte: Costanzo, Morandi 2003

È chiaro che l’asservimento della logica di scrittura a quella produttiva è funzionaleal mantenimento degli standard di produttività e di economicità.

Logica produttivaartigianale

Logica produttivaindustriale

Autorialità

Integrazione delle mansioni in pochiruoli (es. triangolo autoriale)

Integrate

Coerenza; Innovazione

Efficacia

Prototipo

Focus

Modello di organizzazione del lavoro

Competenze

Finalità

Obiettivo

Output

Produttività

Divisione del lavoro

Specializzate

Ottimizzazione economico-produttiva

Efficienza

Prodotto seriale

Logica artigianale e industriale a confronto

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10.3.3 R&D vs marketing operativo. Innovazione e qualità vs conservazione

Una delle caratteristiche della logica industriale è quella di incentrarsi su una logica“marketing oriented”, intesa non solo come ricerca di un pubblico potenziale mapiù in generale come legittimità del prodotto nel mercato, piuttosto che su unalogica “product oriented”, che parta dall’autore. La questione sottesa è se sidebba partire, nel concepimento di un nuovo prodotto, dalle (presunte e più omeno consapevoli) attese della domanda, o dall’offerta di un prodotto su logicheproprie. Interessante notare come in molte aziende che non appartengono al settore dellacomunicazione si compiano investimenti rilevanti in Ricerca & Sviluppo (Research& Development), intesa come “il complesso di attività creative intraprese in modosistematico allo scopo di accrescere l’insieme delle conoscenze, e di utilizzarleper nuove applicazioni” (Sirilli 2005). In alcune aziende industriali elettroniche,chimiche, petrolifere e farmaceutiche, gli investimenti in R&D arrivano al 7% delfatturato e sono considerati centrali nell’offerta aziendale.In ambito televisivo la Ricerca & Sviluppo viene spesso - a torto - identificata conl’individuazione di format esteri sui mercati internazionali e il loro adattamentoalle esigenze nazionali, e non con un insieme più complesso di attività compiutedirettamente all’interno dell’azienda, da sola o con l’aiuto di partner esterni (produttori o ricercatori).La maggior parte degli investimenti di ricerca viene concentrata dai reparti diMarketing Operativo sui panel di pubblico (di cui il più strategico è di gran lungaAuditel). Spesso il marketing, come baluardo delle presunte attese della domanda,sembra aver sostituito una strategia editoriale consapevole e autonoma nei deci-sion maker televisivi:

“I direttori di rete coraggiosi, competenti, che difendono le loro idee, sono difficili datrovare ma sono decisivi: con loro la televisione può evolvere e migliorare. Le retihanno bisogno di personalità, di anima, e per questo credo che i migliori direttorisiano quelli che hanno personalità, anche a costo di prendersi qualche rischio e disbagliare, talvolta. Il marketing è fondamentale ma non credo, sinceramente, che latv si possa fare solo col marketing”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

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I tentativi compiuti in passato di fondare nuclei di R&D all’interno delle emittentihanno avuto scarso impatto sulla produzione, fino ad esserne espulsi e rifiutatida un meccanismo naturalmente autoconservativo: esperimenti come quello diSerra Creativa in RAI, Laboratorio 5 e Ricerca & Sviluppo in Mediaset 16, o Creaper La 7, non hanno avuto - a torto o a ragione - una reale influenza sui meccanismiproduttivi. Da un lato, il fatto di essere considerati dei corpi estranei rispetto alresto dell’azienda, li condanna ad un ruolo marginale per definizione; dall’altro“l’organizzazione responsabile dei nuovi prodotti deve essere separata da quelleche si occupano dei prodotti esistenti, sia perché queste ultime hanno un orizzon-te temporale di breve periodo, sia perché chi gestisce prodotti di successo è rilut-tante ad assumersi i rischi che si devono correre con l’introduzione di nuovi pro-dotti, la cui accettazione da parte del mercato è piena di incertezze”. (StantonVaraldo 1986). Non a caso alcune imprese hanno concentrato su unità di business secondarie perfatturato, ma non per importanza strategica, la mission di innovazione 17:

“Il Gruppo Film Master opera in 4 aree di Business: la pubblicità fattura 30 milionidi euro, gli eventi 20, la tv 10, i clip solo 1; ma Film Master Clip è una sorta di incubatrice di idee e di nuovi talenti. Molti registi bravi che ora lavorano in pubblicitào nel cinema sono passati di qua”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

È quindi a livello di management strategico 18 che deve esserci un’enfasi e uninvestimento autentico su queste iniziative, che non devono rimanere solo un“fiore all’occhiello” per fare immagine, ma diventare una spinta propulsiva perl’intera azienda.

16 Ricerca & Sviluppo Mediaset, a differenza delle altre strutture citate, non aveva il compito di progettare nuoviprodotti, ma quello di “realizzare un luogo che faciliti l’innovazione, che aiuti l’organizzazione ad aprirsi versostimoli esterni (che possano provenire da mondi anche distanti dalla televisione, malata forse di un germe chetende ad isterilirla: l’autoreferenzialità), che sperimenti forme di ricerca per comprendere le nuove culture influenti, che aiuti a generare riflessioni su temi non immediatamente correlati all’andare in onda, ma che forsesono un lusso che chi produce informazione e cultura deve permettersi”. (Così si leggeva sul numero zero dellarivista interna “Link. Idee per l’innovazione”, marzo 1998). In effetti R&D Mediaset non si occupava solo diInnovazione di Prodotto, ma anche di Innovazione Tecnologica e Organizzativa.

17 Analogo discorso può essere applicato, nel gruppo Magnolia, alla società romana Milano-Roma, che produceformat innovativi, anche nelle modalità produttive, ad esempio nel genere docu-soap.

18 “Nelle grandi imprese il management intermedio percepisce come maggiori i rischi personali derivanti dall’avereappoggiato un progetto fallito, rispetto al vantaggio derivante dal successo dell’innovazione” (Warglien 1990).

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Se dovessimo analizzare i palinsesti delle emittenti generaliste la percentuale diconcept originali che non siano un format, uno spin-off, un clone di un prodottoesistente, sarebbe veramente esigua… Anche lo spazio dato a numeri zero e pilotè scarso, soprattutto se confrontato alla situazione internazionale:

“Ho l’impressione che, con gli anni, Mediaset abbia perso un po’ dell’intraprendenza,della voglia di innovare e della flessibilità degli inizi. È un’azienda più strutturata efatalmente anche più burocratizzata. Non è facile trovare attenzione per un nuovoprogetto. Le stesse direzioni di rete hanno meno potere decisionale di un tempo.Sono state create strutture dedicate allo sviluppo e alla sperimentazione, ma hol’impressione che a loro volta fatichino a dialogare con il resto dell’azienda. Sonoben finanziate, possono permettersi di realizzare diversi “numeri zero”, ma è comese fossero un po’ a margine del “mainstream” editoriale, fatto necessità e di obiettiviconcreti. Spesso i numeri zero restano nel cassetto. E il risultato è che il tasso diinnovazione resta piuttosto basso, decisamente al di sotto di quanto accade suicanali commerciali in Europa o negli Stati Uniti”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

Uno dei fenomeni in cui è più evidente la mancanza di innovazione interna è ilricorso ai format: quando diventano l’unica fonte di approvvigionamento creativodell’intero sistema, impediscono lo sviluppo di una dinamica creativa autoctona,riducendo l’autore italiano al ruolo di “adattatore”. Inoltre rendono l’emittente dipendente dalle case di produzione che detengono una library internazionale (cfr.ad esempio Endemol) o che meglio sviluppano la capacità di guardare ai mercati, edelegando ad esse un importante momento di scelta.Il tema dei format è indicato da molti come la spia di una generale dipendenzada parte delle emittenti nei confronti dell’esterno, e la rinuncia all’elaborazione distrategie editoriali proprie.

“La causa della perdita di centralità delle competenze artistiche in tv non è l’esternalizzazione (anzi sarebbe importante si creasse un vero mercato di produttoriesterni) ma il format. Il broadcaster ha preferito spostare all’esterno certe collaborazioni. Se RAI e Mediaset volessero mantenere forti reparti di produzioneentrerebbero in crisi, perché hanno perso competenze”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

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La scelta dei format si spiega con una logica di breve periodo che spinge a tempisempre più compressi, a risultati da ottenere nel più breve tempo possibile: “Unprogramma originale ideato in RAI può richiedere anche sette mesi prima di andarein onda, un format esterno ne impiega quattro” (Costanzo - Morandi 2004). Lastessa impazienza che si constata nella lettura dei dati Auditel alle dieci e mezzadel mattino seguente alla messa in onda di un programma, e nell’ansia della lorointerpretazione e della loro divulgazione: “Un Auditel pubblicizzato ogni mattinaimpone al produttore televisivo un orizzonte temporale di ventiquattrore; il cheucciderebbe qualsiasi azienda e instaura una concorrenza perversa” (Sartori 2000)È chiaro che i nuovi prodotti hanno bisogno di tempo e costanza, ma proprio quidovrebbe ad esempio risiedere la differenza tra la tv pubblica e quella commerciale, pressata da obiettivi di ritorno economico a breve.In generale l’innovazione in televisione viene assimilata a pericolosi sperimentalismisnobistici, classificati con l’etichetta di “nicchia élitaria”:

“Io non ho mai fatto un prime time, non ho lezioni da dare, ma posso dire che quandoho prodotto programmi per Mediaset eravamo sistematicamente ostacolati: ognitentativo di modificare, cambiare, proporre, veniva cassato. Salvo poi dirci a distanzadi anni che quello stesso programma era uno dei programmi musicali più belli maiandati in onda negli ultimi anni”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

La spinta all’innovazione si scontra inoltre con una logica tendenzialmenteconservatrice, che finisce spesso per “contaminare” anche i giovani che si inseriscono:

“Io non vedo in tv adesso dei 25-30enni curiosi che si sentono portatori di idee nuove,di dire cose nuove come noi l’abbiamo fatto nella nostra generazione.Adesso il giovane sceglie tra situazioni esistenti. Vorrei sentire più voglia di scardinaresistemi precostituiti. Bisogna aprire il proprio modo di vedere la televisione, pensare chetutto quello che vediamo adesso è morto. È un mondo che funziona a livello di share,ma è già stato visto e rivisto, per cui è morto”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

Certo il fenomeno è più direttamente correlato alle emittenti che alle case di produzione, alle grandi imprese che alle medie e alle piccole, alla tv free che aquella digitale…

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“C’è poca innovazione e molta omogeneizzazione dei prodotti nel mercato dellafree-tv; al contrario c’è molta più innovazione sulle satellitari, dove, però i budgetnon consentono una gran quantità di produzione”.(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,intervista personale, 7/4/2006)

…ma il potenziale di innovazione che si attendeva dai new media è rimasto ingran parte deluso:

“I nuovi media dovrebbero puntare ad altro, dovrebbero differenziarsi, altrimenti chenovità portano? La nicchia che i nuovi media dovrebbero ricavarsi è proprio basatasul rifiuto delle tv generaliste che si sono omogeneizzate”.(Project manager emittente televisiva, focus goup figure crossmediali, 18/4/2006)

Interessante notare come a budget ridotti corrispondano contesti più creativi: neiprogetti low cost minore rischio si traduce in minori condizionamenti e quindi inpiù spazio per l’innovazione. Questo corrisponde, anche per i lavoratori, nella sceltatra programmi “mainstream” ben remunerati (ad esempio, i reality e le soap) eprodotti “di nicchia” praticamente fuori mercato, ai limiti della clandestinità (adesempio il reportage, il documentario e l’inchiesta).

Legato al problema dell’innovazione, vi è quello della qualità. I lavoratori sentono,non senza rammarico, che la qualità non è uno degli obiettivi a cui l’azienda li spinge:

“Non credo che le aziende scelgano di non fare più prodotti più alti qualitativamentesolo per un fatto di costi e investimenti. Secondo me semplicemente non c’è esigenza di avere una qualità più elevata. Perché i prodotti televisivi, alla fine, unavolta ripagati i loro costi, non cercano di fare meglio o di più”.(Producer casa di produzione, focus group figure crossmediali, 18/4/2006)

Certo vi sono alcune aziende che, per la particolarità del proprio settore, hannopuntato tutto sulla qualità, sia tecnica che di contenuto (intesa come rispetto delproprio giovane pubblico). È ad esempio il caso di Disney, la cui politica è moltoattenta:

“Il brand Disney è particolare, vincola a produrre ad altissima qualità.Vi è un doppio controllo di qualità: nonostante lo standard tecnico di registrazione

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sia già quello piu alto, il Digital Betacam, prima di andare in onda qualsiasi program-ma viene controllato in play per ben due volte e da due tecnici diversi. La messa inonda prevede un livello di tolleranza sulla qualità audio/video di solo lo 0,01%. Poic’è il reparto “compliance” che un’altra volta visiona tutti i programmi per verifica-re che siano coerenti ai valori Disney, le scene ed il linguaggio devono essere ade-guati al pubblico non adulto, è bandita la violenza, la politica, il sesso, si cercanouna morale ed un insegnamento positivo. Persino Gambadilegno è stato bandito inquanto fumatore. La televisione poi ha criteri ancora più rigidi del publishing (adesempio le Witches, che pur nascono alla Disney, non sono state ritenute in lineacon i parametri Disney, per quanto riguarda l’animazione televisiva) perlomeno diciò che esce con il brand Disney [il gruppo comprende anche la società JetixEurope, con sede italiana a Roma, emette canali come Jetix e Gxt che editorialmentesono molto lontani dalla filosofia Disney].Per questo doppio criterio di qualità, produrre per Disney implica produrre a costied a standard molto alti, cosa non sempre facile per i vari fornitori di contenutiItaliani”.(Dario Rodino, Vice President Production & Operations Walt Disney Television Italia,intervista personale, 7/4/2006)

Ma questo caso sembra costituire un’eccezione, causata dal particolare target di mercato, in un contesto generale di scarsa attenzione al parametro della qualità. Non è forse casuale che proprio i produttori che si sono mossi su più mercati produttivi, ad esempio sul doppio ambito televisivo e pubblicitario, accusino la televisione di essere meno stimolante, meno attenta alla qualità e alla meritocrazia:

“Film Master mi ha dato come insegnamento quello di puntare alla qualità, perchèla pubblicità ha il dovere professionale di fare delle cose altamente qualitative.La pubblicità è molto specifica, a volte avvitata su se stessa, però è molto aperta alinguaggi nuovi, più sofisticata. La televisione in questo momento si è un po’ fermata”.(Marco Balich, Amministratore delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

“In pubblicità i lavori non vengono mai affidati direttamente, ma sempre tramitegare [...] In tv c’è molta politica, in pubblicità c’è molto lavoro e concretezza. A mequesto pragmatismo piace. In tv devi tenere conto se questo piace a quello, la pub-blicità è un ambiente molto più meritocratico, se funzioni vai avanti”.(Luca Giberna, Executive Producer Flying, intervista personale, 29/3/2006)

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10.3.4 Editori vs produttori, oligopolio vs mercato

Il tema del format ci conduce ad un altro, emerso spesso nelle interviste e giàaccennato nel primo capitolo: si tratta del tema del “make or buy”, la scelta dell’azienda di autoprodurre in house oppure di praticare outsourcing

19, ricorren-

do a case di produzione indipendenti. Spesso infatti le emittenti, nel caso dell’intrattenimento e della lunga serialità, appaltano la produzione o coproduconocon la casa di produzione che si è aggiudicata i diritti di licenza di quel format peril mercato nazionale 20. L’esternalizzazione consente alle reti l’immissione di energie creative fresche euna maggiore flessibilità economica…

“Questo spiega anche lo spazio che negli ultimi anni si sono guadagnate le strutturedi produzione esterne: è inevitabile - e succede così in tutto il mondo! - che strutture indipendenti, più piccole, più flessibili, se vogliamo anche più “precarie”,allenate alla competizione, risultino più efficaci dal punto di vista della creatività edell’innovazione. Le grandi aziende televisive mantengono un atteggiamento disostanziale diffidenza, legata alla cultura della “produzione in house”, mentredovrebbero capire che il mercato è la loro grande risorsa. La collaborazione con lestrutture esterne, in una logica di mercato competitivo, è invece un’opportunità perl’innovazione e uno strumento di grande efficacia per il controllo dei costi. Oltre aquesto è anche un’occasione di incontro - tra le persone “interne” e quelle che lavorano per le strutture indipendenti - che a mio parere può generare stimoli,consente un confronto di esperienze diverse e non può che far bene”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

…in strutture mature che per loro natura tendono alla conservazione dello statusquo:

“Ho visto mancanza di ambizioni in entrambi i contesti, RAI e Mediaset: la loro logi-

19 Nella ricerca ci siamo limitati ad analizzare l’outsourcing inteso come esternalizzazione dagli editori aiproduttori e non come delocalizzazione produttiva, che pur è un fenomeno significativo. Cfr ad esempiol’intervista a Elisabetta Levorato, Amministartore unico Demas & Partners: “ la fase di produzione richiede ungrande investimento in personal, per questo i produttori europei si rivolgono spesso all’Asia o al Sud Americadove sorgono grandi strutture in grado di sostenere notevoli carichi di lavoro con tempi e costi ragionevoli”.

20 In altri casi il ricorso alla casa di produzione avviene sulla base di un concept originale, proposto dalla casa di produzione stessa o più stessa su indicazione della rete.

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ca è fare molti profitti e tirare avanti”.(Marco Balich, Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale,28/3/2006)

Il rischio per l’editore è quello di impoverire il suo ruolo, riducendosi a puro buyer,o addirittura a service del produttore esterno (quando il programma viene prodottonei suoi studi e con le sue risorse tecniche). “La prima conseguenza dell’acquistoserrato di format da parte dei broadcaster è il ridimensionamento degli apparatiproduttivi interni”. (Costanzo Morandi 2004).

La coproduzione crea, oltretutto, una duplicazione di ruoli…

“Una volta Canale 5 ci dava l’appalto completo, e noi andavamo negli studi che volevamo. Ora si pratica più spesso la co-produzione, e questo comporta un raddoppiamento delle figure professionali. C’è il nostro direttore di produzione e illoro direttore, il nostro assistente e il loro. E insieme fanno poco. È una strana cosaun pò abnorme”.(Nanni Mandelli, Produttore esecutivo Grundy, intervista personale, 9/3/2006)

…che dai produttori interni alle reti può essere vissuta a volte come un impoverimento del loro ruolo…

“L’appalto ha cambiato parecchio il nostro lavoro di produttori interni. Cambia, e dimolto, perché non lavoriamo più. Parlo almeno per l’azienda RAI, che ha deciso cheè meglio dar fuori i lavori che farli all’interno. Per noi significa subire senza averevoce in capitolo. La casa di produzione con cui ho lavorato io faceva un lavoro cheavremmo potuto fare benissimo noi… E cosi ci sono le doppie figure: il produttore esecutivo della casa di produzione, che comanda, e il produttore esecutivo RAI, che non può entrare nel merito dei contenuti; il direttore di produzione RAI e quello della casa di produzione, che invece non può entrare inmerito delle risorse tecniche perché gli studi di produzione sono i nostri. La RAI hadato direttamente gli uffici a queste società, e tutta la struttura, così se la sono tro-vata pronta”.(Produttore esecutivo RAI, focus group figure produttive, 5/5/2006).

….e come una minore capacità di controllare direttamente il prodotto, costringendolia mediazioni “politiche”:

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“Da quest’anno per la prima volta abbiamo appaltato esternamente un programmadi peso nel palinsesto, perchè è quotidiano. Io sono il produttore della rete su que-sto programma. Il mio ruolo è veramente cambiato. Ci sono degli equilibripolitici incredibili da rispettare. Io da producer potevo ad esempio dare direttamente indicazioni agli operatori. Ora non lo posso più fare”.(Producer emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Il ricorso alle case di produzione esterne è visto con preoccupazione anche daisindacati dei lavoratori delle emittenti che esternalizzano:

“Le figure della casa di produzione impongono spesso i ritmi di lavoro, e spesso ildirettore di produzione RAI ha difficoltà a far valere il suo peso… A volte non si capisce il valore aggiunto del ricorso alle case di produzione esterna, quando nonportano format e quando le produzioni sono semplicissime produttivamente. E poile case di produzione private, hanno per loro natura un obiettivo di profitto chepotrebbe non conciliarsi con il servizio pubblico”.(Andrea Corbella, RSU RAI Milano, intervista personale, 24/4/2006)

Le emittenti negano sottoutilizzi di organico e minimizzano il problema della duplicazione di figure…

“Noi non abbiamo sottoutilizzo dell’organico o del personale, il tasso di utilizzo deimezzi di produzione comprese le risorse è circa del 90%. Non ci sono duplicazionidi figure tra interno ed esterno perchè gli obiettivi sono diversi: chi fa la produzioneesterna fa il contenuto, gli interni si occupano di far rispettare gli standard editorialiqualitativi e tecnici […] Il coordinatore programmi (o curatore) è il trait d’union trala direzione di rete e, dove esiste, il realizzatore esterno. Quindi deve fare da mediatore, ha un ruolo fondamentale di negoziatore, complesso, difficile, ed è inserito in questo sistema di relazioni di complessa governabilità, spesso caratterizzatoda interessi contrapposti”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervistapersonale, 14/3/2006)

…considerando storicamente inevitabile questo processo di evoluzione del lororuolo:

“L’utilizzo di appalti o società di produzione esterne è un modo di flessibilizzare especializzare le competenze, perché Mediaset nel tempo ha sviluppato più

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competenze organizzative e di commessa che realizzative di prodotto: [infatti] ilprimo prodotto realizzato negli ultimi anni è stato “Campioni”, che all’inizio è statauna sfida importante perchè Mediaset non era più impegnata sulla produzionediretta dei programmi di grande dimensione da tempo. Credo che questo fenomenostia nell’evoluzione dei media globali, dove c’è una crescente specializzazione dellevarie aziende: Mediaset è innanzi tutto un editore televisivo, che utilizza i canali diproduzione propri o attiva i network esterni”.(Valeria Bollati, Responsabile Sviluppo Risorse Umane, Gruppo Mediaset, intervistapersonale, 14/3/2006)

È necessario aggiungere per completezza che i produttori indipendenti, dal cantoloro, pur ammettendo che alcuni passi legislativamente sono stati fatti per inqua-drare il loro ruolo 21, lamentano una situazione di mercato che ancora non valorizzail loro apporto …

“Il problema è un mercato ristretto con scarso numero di committenti, con moltiappalti e preacquisti e poche coproduzioni. E poi c’è il problema dei diritti, che, tranneche per gli sfruttamenti minori, rimangono in capo all’editore (mentre altrove, adesempio, in Francia vengono ceduti per un periodo di 18 mesi poi tornano al produttore)”.(Chiara Sbarigia, Segretario generale APT, intervista personale, 26/4/2006)

…o addirittura non rispetta completamente le normative:

“In Italia il problema fondamentale del settore è il mancato rispetto delle leggi: laGasparri è stata elusa in relazione alle quote di investimento da destinare alla produzione europea e italiana, dato che con semplici autocertificazioni qualunqueemittente può dimostrare di aver rispettato tali quote.L’escamotage usato ad esempio da RAI è quello di acquistare programmi dall’esteroe inserirli in un contenitore autoprodotto, così la produzione finale risulta italiana;oltretutto i diritti d’autore in questo modo vanno agli autori dei testi di raccordo del

21 “APT ha contribuito in modo determinante - attraverso audizioni parlamentari, redazione di documenti per le forzepolitiche, partecipazione a convegni e seminari sul tema, informazione agli organi di stampa - all’approvazionedella Legge n. 122 del 30 aprile 1998. La legge ha recepito le direttive della CEE (Direttiva 89/552/CEE eDirettiva 97/36/CE), rimaste lungamente inosservate in Italia, definendo le quote minime di diffusione e diproduzione di opere europee che le emittenti nazionali sono obbligate a rispettare. Di eccezionale importanzaper i produttori indipendenti italiani sono i vincoli posti alle emittenti televisive nazionali, che dovrebbero assicurare ai produttori indipendenti un flusso consistente e certo di risorse - dell’ordine di 250 milioni di euroannui - che consentiranno maggiori possibilità di programmare lo sviluppo creativo, organizzativo e finanziariodelle società di produzione, ponendo le premesse per la nascita di una vera e solida industria nazionale

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contenitore invece agli autori dei documentari originali”.(Alessandro Signetto, Presidente DOC/IT, intervista personale, 12/5/2006)

I produttori rivendicano tra l’altro la necessità di adeguarsi alle indicazioni europeeespresse dalla Direttiva Cee 552/89, che prescrive alle emittenti una quota minimadi programmazione da realizzarsi da parte di imprese esterne non dipendentidalle emittenti, con “l’obiettivo di stimolare la costituzione di piccole e medieimprese e offrire nuove opportunità e nuovi sbocchi per talenti creativi nonché perle professioni e i lavoratori del settore culturale”. Secondo Apt la legge attuale“non sembra tener conto dell’importanza del ruolo e quindi dell’incentivazionedella produzione indipendente e della piccola e media impresa audiovisiva” 22;secondo Doc/it le quote effettive riservate alla produzione indipendente in Italiarispetto alla media europea 23 sono la spia di un sottodimensionamento che nongiova al mercato nazionale complessivo:

“Una produzione veramente indipendente assicurerebbe l’effettiva competizionee il pluralismo nell’ideazione dei nuovi programmi, soprattutto nei mercati conpochi editori proprietari di canali primari verticalmente integrati; che i diritti ditrasmissione dei prodotti europei, mantenuti dai produttori, siano disponibili pergli editori nuovi entranti; il pieno sfruttamento internazionale di programmi e formateuropei su tutti i media 24”. Le posizioni apparentemente contraddittorie fin qui riportate possono in realtàtrovare un punto di incontro comune: in realtà non ci sarebbe un conflitto traeditori e produttori, ma un conflitto tra l’oligopolio di pochi soggetti dominanti, siasul fronte delle reti che su quello della produzione indipendente, e la pluralità diun mercato che appare invece troppo spesso chiuso e inaccessibile ai piccoli e ainuovi soggetti.

“Il mercato è fatto da RAI e Mediaset, Endemol, Grundy e Magnolia, Lucio Prestae Lele Mora. Fuori da questa élite, a tutti gli altri rimangono solo le briciole. Piccoleemittenti, comprese quelle digitali, piccoli produttori, giovani autori, sono tutti

dell’audiovisivo, con le evidenti, positive conseguenze sul piano culturale ed occupazionale”. (www.apt.it)22 Promemoria Apt relativamente all’Audizione presso le Commissioni VII e IX della Camera dei Deputati in materia

di riordino del sistema radiotelevisivo, disponibile on line al sito www.apt.it.23 Rispetto alla media europea del 20% di produzione indipendente sul tempo “qualificato” della programmazione

(e al 43% della Francia, al 24% della Germania, al 23% di UK), l’Italia figura al terzultimo posto con il solo 12%,seguita da Portogallo e Lussemburgo. Fonte: ricercaDavid Graham and Associated Ltd per CommissioneEuropea 2006.

24 Fonte: ricerca David Graham and Associated Ltd per Commissione Europea 2006, citata da Dario Barone,intervento al Convegno di presentazione “Indagine conoscitiva sul mercato del documentario in Italia”, Roma,

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esclusi dal grande giro.(Produttore esecutivo emittente televisiva, focus group figure produttive, 5/5/2006)

Il problema sarebbe addirittura estensibile non solo ai soggetti della catena delvalore, ma anche a tutte le risorse umane dell’audiovisivo, ivi compresi i giovaniautori che non riescono ad aprirsi un varco nei consolidati gruppi autoriali, e ingenerale tutti i nuovi entranti.Il nemico sarebbe quindi la chiusura, a tutti i livelli, sia quello individuale dei singoli lavoratori…

“Siamo in Italia, un paese che ha smesso di produrre talenti e coltivare “cervelli”perchè l’accesso, non solo alle posizioni, ma cosa ancora più grave, alle occasioni di con-tatto e alle informazioni stesse (relative a qualsiasi campo e indispensabili per potersi“muovere” con profitto) è ormai diventato prerogativa esclusiva di pochi previlegiati, all’in-segna di un ritorno a una realtà feudale anacronistica ma mai tramontata”.(Videoreporter, questionario lavoratori)

…che quello delle imprese:

“A Mediaset sembra siano diventatati inaccessibili, che si siano un po’ arroccati.Quando lavoravo io c’erano 10/15 case di produzione, adesso lavorano praticamentesolo con Endemol o con Fascino”.(Marco Balich,Amministratore Delegato Film Master Group, intervista personale, 28/3/2006)

Il problema si allargherebbe quindi a tutti i soggetti “deboli” della catena,accomunati dalla difficoltà di scardinare un sistema chiuso e arroccato sulle sueconvinzioni e sui suoi feticci, (l’Auditel, il format…).Certo il problema è più generale e coinvolge l’assetto complessivo del settoreaudiovisivo. “Dove non c’è imprenditorialità, iniziativa e rischio, il vuoto che siforma viene subito riempito dal clientelismo e dall’azzeramento della ricerca”(Scardamaglia in Script 35/36)

“Un ambiente competitivo, fatto di tanti soggetti che cercano di selezionare i migliori, di con-tenderseli - non dimentichiamo che il nostro è un lavoro assolutamente fondato sul fattore umano - tende a promuovere una crescita complessiva della televisione”.(Giorgio Gori, Presidente e Amministratore Delegato Magnolia, intervista personale,7/3/2006)

En attendant le marché, buon lavoro audiovisivo a tutti!

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Riportiamo qui, sintetizzandole per brevi punti 1, alcune tecniche e strategieadottate da aziende internazionali per massimizzare il loro tasso di innovazione.Non casualmente, la prima e l’ultima sono già state citate come benchmark per laloro politica di gestione delle risorse umane.

Xerox:• Alto senso di appartenenza dei collaboratori (chiamati “Xeroidi”);• incitazione all’assunzione del rischio e enfasi sul coinvolgimento dei dipendenti

(“cerchiamo persone che siano disposte ad accettare il rischio, a proporrenuove idee e a proporre le proprie… che non abbiano timore di cambiare ciò che stanno facendo da un giorno all’altro, e da un anno all’altro… cheaccolgano persone e posizioni nuove”);

• grandi investimenti in R&D: vedi il centro di ricerca PARC (Palo Alto ResearchCenter), fondato nel 1970;

• “Il nostro nuovo marchio occupazionale, “eXpress yourself”, caratterizzaXerox come un’azienda in cui passione, diversità, idee e il contributo di ognimembro della famiglia Xerox determina la nostra capacità di apportare audaciinnovazioni e un ambiente di lavoro all’avanguardia”.

Google:• Coinvolgimento nell’innovazione di tutti i reparti aziendali (“tutti dedicano una

parte della giornata alla ricerca e sviluppo”), e coinvolgimento di chi ha avutol’idea nella fase realizzativa;

• utilizzo di Intranet come raccolta di idee da parte di dipendenti che non estrinsecano il loro contributo ideativo in occasioni formali;

• iter formalizzato di sviluppo idee: un team che si riunisce settimanalmente perscegliere le 6/7 idee che possano essere portate allo step successivo di sviluppo;

• ambiente informale, ma strutturazione di un iter per accogliere e attuare leidee.

Le aziende che puntano sull’innovazione.Tecniche e strategie

FOCUS

23/2/2006.1 Gli esempi sono tratti da Daft 2004.

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Nokia:• Incoraggiamento di uno spirito imprenditoriale nei dipendenti, e di

un “dilettantismo non inibito” che non faccia temere sanzioni per la stranezza delle proprie idee.

Toyota:• Tecnica per lo sviluppo di nuovi prodotti “oobeya” = “Grande ufficio aperto”:

riunione mensile di persone di tutti i reparti aziendali per due anni, per condividere le informazioni e discutere senza ruoli e tabù di progetti aziendali.

Mattel:• “Progetto Platypus”: lavoro di persone appartenenti a più aree aziendali, per

tre mesi, sulla gestazione di idee per 2/3 nuovi prodotti annui, in una sedediversa da quella centrale, caratterizzata da un immenso spazio aperto senzapareti ed elementi divisori.

3M:• Investimenti in Ricerca & Sviluppo nel solo 2005 di 1.242 milioni di dollari

(5.814 milioni di dollari negli ultimi 5 anni);• da un secolo è leader nell’innovazione: nel 2000 ha ottenuto 5,6 miliardi di

dollari (un terzo dei suoi ricavi totali) da prodotti che non esistevano fino a 4anni prima;

• Ogni anno la 3M sforna 50.000 nuovi prodotti: nel 2000 il 35% di essi era unnuovo prodotto;

• il 15% del tempo contrattuale di ciascun dipendente - solo nel Campus di St.Paul ve ne sono 12.000, per una rappresentanza linguistica di 43 diversi idiomi -è lasciato alle personali intuizioni e sperimentazioni, potendo utilizzare in assolutalibertà laboratori e strumenti aziendali. Tra le idee scaturite da questa strategia,il Post-it.

FOCUS

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POSTFAZIONE

di Gaetano Stucchi

Essere coinvolto in questa indagine sul lavoro audiovisivo in Lombardia éstata un’esperienza interessante da molti punti di vista. E non solo perché miha consentito una rilettura, ricca di memorie, della regione delle mie origini edella mia giovinezza, della città in cui sono nato: ma per la visione penetrantee, credo, esatta, che mi ha offerto, delle sue potenzialità e delle sue contraddizionidi oggi.Tra le molte ambizioni della ricerca, infatti, campeggia secondo me il riesamedel rapporto tra sviluppo industriale e Risorse Umane. Colto in un settorecome l’audiovisivo, dove da sempre é questione centrale; ma più che mai significativo anche del grado complessivo di civiltà, di benessere, di qualità dellavoro e della vita, che un territorio o un settore produttivo hanno raggiunto.Proprio su questo nodo la valanga di dati e testimonianze, che ho potuto percorrere, mi ha confermato impressioni e certezze antiche, e mi ha sollecitatonuove riflessioni. Fra queste ultime, vorrei condividerne due in particolare con i destinatari di questa ricerca.

La prima si riferisce al tema della qualità delle Risorse Umane, cui fa ricorsoun comparto industriale per sospingere la sua crescita e la sua produttività. Nell’industria della comunicazione audiovisiva - che non é solo labour intensive,ma anche creativity based - questa qualità condiziona direttamente la qualitàdel prodotto, e dunque anche della performance economica, e cioè dello sviluppodi tutto il settore. In un certo senso, le Risorse Umane sono la vera materiaprima di questa industria.

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Ebbene, la qualità di queste risorse, di questa materia prima non é un’opzionesegmentabile per ambiti, competenze, profili o fasi del ciclo produttivo: é unascelta strategica di fondo, che comincia dai vertici della piramide imprenditorialee scende in modo pervasivo e contagioso fino all’ ultimo addetto. È una scelta di sistema, come si usa dire. Sia la proprietà - privata o pubblica - delle imprese audiovisive, che i responsabili della regolazione di settore - Governo, Autorità, Parlamento - possonofare o non fare questa scelta (o non farla fino in fondo): possono cioè affidareil futuro dell’industria audiovisiva e dei suoi occupati a mani e teste più omeno capaci e adeguate. Ma probabilmente lo faranno solo se consideranoprioritario il libero sviluppo del settore, la sua competitività internazionale, ilsuo contributo all’efficienza del Sistema Paese; e non invece il suo controllopolitico ed economico, la sua utilità “strumentale” a breve, la sua occupazioneclientelare.Da questa “scelta di sistema” discenderà un messaggio vincolante per tuttigli altri livelli manageriali e operativi dell’intero comparto industriale: la definizioneappunto di uno standard di qualità professionale, non stabilito in astratto, maagganciato al riconoscimento sociale, all’immagine, al ruolo, agli obiettivi chela comunità nazionale - attraverso le sue istituzioni - assegna al proprio sistemadella comunicazione.Cito poche righe, di una verità schiacciante, dalla testimonianza di un intervistato:

Il problema è nello scarso coraggio dei manager attuali (soprattutto della nuovagenerazione di direttori di rete, pavidi e poco coraggiosi), che non hanno il talentosufficiente per basarsi sul loro fiuto, e devono sempre affidarsi a qualcosa diesterno: la percentuale di share, il focus, il format: mai che facciano un programma semplicemente perché ci credono, perché hanno qualcosa da dire,perchè secondo loro quella cosa “va detta”.

In altre parole, prima di demonizzare la pubblicità o il mercato o la tecnologia,chiediamoci in che modo (e fino a che punto) gli attori industriali e politici delnostro sistema audiovisivo si sono preoccupati di presidiare la qualità del loro“prodotto” (in senso lato, di qualità “sociale” e non solo merceologica), einnanzitutto quella professionale delle Risorse Umane impiegate.

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La seconda riflessione riguarda invece il ruolo e i compiti della formazione inquesto settore così carente di solidità e coesione.Nell’attuale paesaggio delle azioni formative per il lavoro audiovisivo, inLombardia come a livello nazionale, aumentano a dismisura la quantità delleofferte e la competizione fra loro, senza grande riguardo alla qualità e alla funzionalità delle competenze, che le singole iniziative annunciano di volerprodurre.Sembra quasi che gli svariati soggetti ed agenti formatori siano più interessatialla propria caratterizzazione autoreferenziale, alla propria affermazione comeoperatori individuali, e vincenti sul mercato, affollatissimo di scuole, corsi,Master, diplomi e lauree, che non a contribuire alla soddisfazione di un bisogno complessivo del settore, di cui pure fanno parte. Non é dunque il caso di rallegrarsi per questa “politica dei cento fiori”, in cuiuna pretesa originalità del singolo approccio didattico e il suo appeal in termini di marketing fanno premio sull’obiettivo fondamentale di creare unavera community professionale, omogenea (e solidale), che condivida valori,conoscenze e linguaggi: che condivida insomma “una cultura dell’audiovisivo”.Ricordo di aver chiesto anni fa a Carol Littleton, la mitica montatrice di “E.T.”,quale fosse la dote più eccelsa del “suo” regista, Steven Spielberg. Risposta:“In pochissimo tempo e con pochissime parole, lui riesce a comunicarti cosavuole da te”. “E come ci riesce?”, replicavo io, memore di tanti set nostrani (emoviole) bloccati per ore dalle esitazioni e dalla “incomunicabilità” d’autore.“Perché nel cinema americano parliamo tutti lo stesso linguaggio, abbiamo stu-diato le stesse discipline nelle nostre Università, letto gli stessi testi, frequentato glistessi corsi. E le parole hanno, per la maggior parte di noi professionisti, lo stes-so significato”. Forse non c’é bisogno di commenti, ma lasciatemi dire che molte delle nostre“scuole”, a qualsiasi livello (dai corsi più estemporanei ai Master più solenni),nascondono davvero malamente le ambizioni dei loro promotori (come evitarela battuta fulminante di G.B.Shaw? “Chi sa fare una cosa, la fa. Chi non la safare, la insegna”). Docenti e “direttori didattici” si disperdono in mille faticoseteorizzazioni (non sempre indispensabili), in mille sforzi di descrizione e categorizzazione della realtà audiovisiva; anziché dedicarsi alla costruzione diuna base omogenea di risorse (umane) per i progetti industriali e creativi delleimprese, che sono dopotutto i loro principali “committenti”.In effetti le cosiddette Risorse Umane, le capacità e il talento dei lavoratori

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dell’audiovisivo, sono qualcosa di più che la materia prima di questaindustria: ne costituiscono anche la fonte energetica (di energia immateriale,intellettuale) e l’infrastruttura portante, quella rete di persone, capacità econoscenze, che permette la circolazione delle idee e dei saperi, lo scambiodelle esperienze e l’accumulazione di know how, in una parola il funzionamentoe lo sviluppo dell’intero sistema della comunicazione.E la prima qualità, di cui una rete ha bisogno, é proprio la sua omogeneità, lasua trasparenza, la sua accessibilità, universale e veloce: insomma un suo linguaggio e una sua cultura, entrambi ampiamente condivisi.Forse raccogliere questa sfida, a cui non sembra rispondere l’evoluzione spontanea del mercato della formazione audiovisiva; ed organizzare - da partedelle istituzioni e delle imprese - una rinnovata politica delle Risorse Umane,e del loro inserimento lavorativo (vedi il Focus su Skillset al cap. 3), potrebbe davvero accelerare la crescita e il consolidamento del settore, in Lombardiacome in tutto il nostro Paese.

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