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Università Cattolica del Sacro Cuore CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA E SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE Le Medie Imprese Multinazionali del Quarto Capitalismo Daniele Schilirò - Maria Musca

Le Medie Imprese Multinazionali del Quarto Capitalismo · 2016. 3. 2. · imprese multinazionali italiane rispetto alle imprese multinazionali di grandi dimensioni ed anche nei confronti

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

Le Medie Imprese Multinazionali del Quarto Capitalismo

Daniele Schilirò - Maria Musca

€ 3,00

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

Le Medie Imprese Multinazionali del Quarto Capitalismo

Daniele Schilirò - Maria Musca

Ottobre 2010

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[email protected]

www.vitaepensiero.it

All rights reserved. Photocopies for personal use of the reader, not exceeding15% of each volume, may be made under the payment of a copying fee to theSIAE, in accordance with the provisions of the law n. 633 of 22 april 1941 (art.68, par. 4 and 5). Reproductions which are not intended for personal use may beonly made with the written permission of AIDRO, Corso di Porta Romana n.108, 20122 Milano, e-mail: [email protected], web site www.aidro.org

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previstodall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico ocommerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essereeffettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso diPorta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected] e sito webwww.aidro.org

© 2010 Daniele Schilirò - Maria MuscaISBN 978-88-343-2013-6

Daniele Schilirò, Dipartimento DESMAS ‘Vilfredo Pareto’,Università degli Studi di Messina, [email protected]

Maria Musca, Miur, Sede regionale di Catanzaro,[email protected]

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Abstract Il saggio offre alcune riflessioni sul tema dell’internazionalizzazione delle medie imprese industriali italiane che assumono sempre più i tratti di impre-se multinazionali. L’analisi prende spunto dal lavoro di Mariotti e Mutinelli (2009) sull’evoluzione delle imprese multinazionali italiane e il ruolo del “quarto capitalismo” e intende confrontarsi con esso. Il presente saggio si concentra quindi sulle imprese industriali multinazionali del “quarto capita-lismo”, ossia su quell’insieme di imprese medie e medio-grandi che mostra-no di crescere maggiormente sui mercati esteri, sia tramite le esportazioni, sia attraverso gli investimenti diretti esteri. Esso non si limita alla formulazione di riflessioni teoriche ma cerca di so-stanziarle empiricamente attraverso l’analisi della performance delle medie imprese multinazionali italiane rispetto alle imprese multinazionali di grandi dimensioni ed anche nei confronti di quelle imprese medie che multinazio-nali non sono, perché non adeguatamente attrezzate ad affrontare il processo di internazionalizzazione nella sua complessità e nei suoi rischi. L’analisi dei dati, seppur a livello descrittivo e tenendo conto della diversa natura dei dataset utilizzati (Unicredit e Mediobanca), consente di delineare un profilo delle medie imprese multinazionali caratterizzato da una strategia verso l’internazionalizzazione complessa, dove l’innovazione ha un ruolo fonda-mentale, ma sono elementi altrettanto importanti la flessibilità e la specia-lizzazione produttiva, in quanto anche quest’ultime orientano le scelte di investire e produrre all’estero. Ma importante è anche la dimensione com-merciale che spinge a puntare al presidio diretto dei mercati esteri e che guarda ai clienti con grande attenzione, offrendo loro un’ampia gamma di servizi. Tuttavia non mancano le criticità come una tassazione elevata, l’insufficiente supporto istituzionale all’internazionalizzazione, gli elevati costi esterni della produzione, come l’energia, la carenza di capitale umano qualificato disponibile nel mercato del lavoro a causa di un’insufficiente politica della formazione. In definitiva le medie imprese multinazionali stanno acquisendo un peso e un ruolo sempre più rilevante nel sistema pro-duttivo italiano e appartengono a quella componente nuova e rappresentati-va del sistema industriale che si tende a denominare “quarto capitalismo”.

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Abstract The paper provides an analysis of the internazionalization of medium-size italian industrial enterprises that aims to become multinational companies. This work takes inspiration from the essay by Mariotti and Mutinelli (2009) on the evolution of italian multinational enterprises and the role of “fourth capitalism”, but it differs from essay of these authors because it adopts dif-ferent databases and it looks at many other variables apart from employ-ment, which is instead the only variable used by Mariotti and Mutinelli. Moreover the present paper concentrates specifically on industrial multina-tional firms of “fourth capitalism”, that is the set of the medium and me-dium-large firms that mostly grow in the foreign markets either through ex-ports or through foreign direct investment. It also offers an empirical de-scriptive picture regarding the performance of medium-size italian multina-tional enterprises with respect to large multinational companies and also against those medium size enterprises that are not multinational companies because they are poorly equipped to deal with the internationalization process in its complexity and its risks. However, the descriptive analysis provided allow us to draw a profile of medium-sized multinational companies characterized by a complex strategy towards internationalization, where innovation has a key role, but equally important are the flexibility and specialization in production, since even these latter elements guide the choices to invest and produce abroad. But it is also important the commercial dimension, that leads to point to the direct supervision of foreign markets and looking very carefully to customers, offering them a wide range of services. Finally the paper points out some critical issues such as high taxation, insufficient institutional support for internationalization, the high external costs, such as energy, lack of skilled human capital available in the labor market due to inadequate policy training.

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INDICE

Introduzione 7

1. Le medie imprese e l’internazionalizzazione 8

2. Un’analisi empirica sulla performance delle medie imprese multinazionali

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2.1 L’analisi su dati Unicredit 14 2.2 L’analisi sui dati Mediobanca 26 Considerazioni finali 38 References 41 Elenco Quaderni Cranec

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Introduzione∗ Il saggio si propone di offrire alcune riflessioni sul tema dell’internazionalizzazione delle medie imprese industriali italiane che assumono sempre più i tratti di imprese multinazionali. La nostra analisi prende spunto dal lavoro di Mariotti e Mutinelli (2009) sull’evoluzione delle imprese multinazionali italiane e il ruolo del “quarto capitalismo” e intende confrontarsi con esso. Questo saggio si concentra in particolare sulle imprese industriali multinazionali del “quarto capitalismo”, ossia su quell’insieme di imprese medie e medio-grandi che mostrano di crescere maggiormente sui mercati e-steri, sia tramite le esportazioni, sia attraverso gli investimenti diretti esteri. Esso non si limita però alla formulazione di mere riflessioni teoriche ma cerca di sostanziarle empiricamente attraverso un’analisi descrittiva della performance delle medie imprese multinazionali ita-liane rispetto alle imprese multinazionali di grandi dimensioni ed an-che nei confronti di quelle imprese medie che multinazionali non so-no, perché non adeguatamente attrezzate ad affrontare il processo di internazionalizzazione nella sua complessità e nei suoi rischi. L’obiettivo è soprattutto quello di delineare un profilo delle medie imprese multinazionali. Questo nostro lavoro, che utilizza dati pro-venienti da una pluralità di fonti, è, in definitiva, un primo tentativo di un progetto più ampio che si propone di studiare in modo appro-fondito e sistematico le medie imprese multinazionali, che stanno acquisendo un peso e un ruolo sempre più rilevante nel sistema pro-duttivo italiano e che appartengono a quella componente nuova e rappresentativa del sistema industriale che si tende a denominare “quarto capitalismo”. ∗ Il saggio rientra nel progetto di ricerca del Cranec “Sussidiarietà per l’innovazione, l’economia, lo sviluppo. Paradigmi italo-europei”, finanziato dall’Università Cattoli-ca linea D.1 2007. Il saggio è frutto del lavoro congiunto dei due autori, il paragrafo 1 è tuttavia di D. Schilirò, mentre l’elaborazione dei dati è stata svolta da M. Musca. Si ringrazia l’Ufficio Studi di UnicreditGroup e l’Ufficio Studi di Mediobanca per aver fornito i dataset che hanno reso possibile l’analisi empirica svolta nel saggio. Si ringrazia inoltre Mario Graziano, Federico Barbiellini Amidei, Andrea Colli, Emilio Laurato per le utili discussioni ed osservazioni.

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1. Le medie imprese e l’internazionalizzazione Le medie imprese industriali italiane sono diventate negli ultimi anni sempre più le protagoniste nei mercati esteri. Tali imprese hanno un fatturato compreso fra i 13 e i 290 milioni di euro e una forza lavoro compresa nella classe 50-499 addetti, e sono società di capitale1. Le imprese di taglia media, pur nella diversità dei territori e dei settori di appartenenza, presentano caratteristiche simili e condividono strate-gie comuni, di cui le “2i”, innovazione e internazionalizzazione, sot-tolineate da Quadrio Curzio (2008), costituiscono le linee guida. Vieppiù le proprietà tipiche delle medie imprese industriali di nuova generazione sembrano giustificarne una loro rappresentazione come componente distintiva del sistema industriale italiano che gli storici economici prima (Colli, 2002) e, in seguito, gli economisti dell’impresa hanno denominato “quarto capitalismo”2. Le imprese medie del “quarto capitalismo”, nonostante il basso uti-lizzo di capitale, riescono ad avere successo sui mercati internaziona-li puntando sulla qualità della forza lavoro, ovvero sulla formazione continua, sulla massimizzazione del valore prodotto per dipendente (e ciò si traduce in innovazioni), su una finanza virtuosa caratterizza-ta da pochi debiti di struttura, sulla capacità di controllare l’organizzazione, focalizzandosi allo stesso tempo sui vantaggi com-petitivi (Coltorti, 2010), dove i fattori intangibili (brand, comunica-zione, relazioni con i clienti) sono quelli che hanno acquisito sempre più importanza3. Le medie imprese industriali operano mantenendo il rapporto con il territorio di origine e guardano verso orizzonti più ampi ed estesi. Del resto il “quarto capitalismo”, a cui esse ormai appartengono, ap-pare come un’evoluzione del capitalismo distrettuale (il “terzo capi-talismo”), piuttosto che un’entità alla rincorsa del capitalismo delle grandi imprese private o delle grandi imprese pubbliche4. Di conse-guenza cambiano le implicazioni legate al binomio locale/globale, le

1 Mediobanca, Unioncamere, 2010, p. VIII. 2 Sulle imprese industriali del “quarto capitalismo” si veda Coltorti, 2006; Gagliardi, 2008; Varaldo, 2009; Schilirò, 2010. 3 Si veda Resciniti in Varaldo, Dalli, Resciniti, Tunisini, 2009, pp. 56-97. 4 Varaldo, 2009, p. 14.

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medie imprese mirano a coniugare la presenza di reti di relazioni sto-riche e consolidate nel tessuto produttivo, come avviene in molte di loro di matrice distrettuale, con le nuove opportunità relazionali che si presentano e si costituiscono a livello internazionale. Le reti di-vengono quindi un elemento costitutivo dell’identità delle medie im-prese industriali. Le imprese del “ceto medio” (Marini, 2008) sono in grado di reggere le sfide della globalizzazione con un modello d’impresa caratterizzato da grande flessibilità dove si combinano e-conomie interne all’impresa con economie di scala di rete fra impre-se. Un modello che mostra una notevole capacità di stabilire reti commerciali sempre più ampie volte ad appropriarsi di quote signifi-cative della domanda globale; tale capacità si configura come un e-lemento strategico fondamentale per il successo delle medie imprese nella competizione mondiale. Infine le medie imprese del “quarto capitalismo” rappresentano un modello d’impresa specializzato in produzioni di qualità con una forte presenza nei settori del “made in Italy”, in grado di creare nicchie di mercato rilevanti in termini di fatturato e di profitti, ovvero di occupare nicchie globali, e di diffe-renziare i prodotti che vengono spesso collocati presso fasce di clien-tela a reddito elevato (Schilirò, 2010). L’internazionalizzazione, a sua volta, va intesa come quel processo attraverso il quale le imprese non solo collocano le loro vendite su più mercati esteri, ma attingono anche dagli stessi mercati esteri o da altri ancora le materie prime per il loro approvvigionamento, così come le tecnologie, gli impianti, le attrezzature, i vari componenti per la produzione dei beni, le risorse finanziarie e, infine, la forza la-voro. Tale processo comporta spesso anche la localizzazione su più mercati esteri delle stesse attività produttive o di parti di esse. L’internazionalizzazione non è, quindi, la semplice attività di espor-tazione, essa costituisce piuttosto un processo di dispiegamento geo-grafico dell’intera filiera produttiva dell’impresa per cogliere le mi-gliori condizioni nei diversi mercati, sia quelli di approv-vigionamento dei fattori, sia quelli di sbocco dei prodotti, sia quelli dove meglio si realizza la produzione (Dematté, 2003).

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Le strategie di internazionalizzazione delle medie imprese italiane del “quarto capitalismo” tendono ad assumere configurazioni sempre più complesse fino ad estendersi all’intera catena del valore. I pro-cessi di internazionalizzazione riguardano infatti le varie fasi produt-tive e commerciali: dalla gestione dei fornitori, ai canali di distribu-zione, alla ricerca e sviluppo. Si può quindi affermare che l’internazionalizzazione venga declinata da queste imprese su diverse dimensioni: anzitutto la dimensione commerciale, che riveste un’ importanza notevole in quanto punta ad aumentare i volumi di vendi-ta e di cui la quota del fatturato con l’estero è un indicatore significa-tivo; in secondo luogo la dimensione produttiva, rappresentata da va-rie forme di delocalizzazione produttiva, ma anche da investimenti diretti esteri, scelte motivate dall’espansione geografica del mercato di riferimento e dall’interesse di sfruttare le tecnologie straniere, non solo quindi solo da mere logiche di risparmio nei costi; in terzo luogo la dimensione strategica volta a potenziare la differenziazione rispet-to ai competitor e a sviluppare know-how e innovazione. I processi di internazionalizzazione delle medie imprese industriali riguardano quindi i seguenti aspetti: valore delle esportazioni; capa-cità di presidio strutturato dei mercati esteri sul fronte commerciale; ricorso a reti produttive internazionali dei mercati esteri per la realiz-zazione del prodotto. In particolare, per quanto riguarda l’interna-zionalizzazione commerciale si hanno forme parziali di controllo di-retto dei mercati attraverso consociate commerciali, oppure reti di franchising, o anche punti vendita propri sia delle imprese che rea-lizzano prodotti finiti, sia di quelle che realizzano prodotti intermedi. Per quanto riguarda invece l’internazionalizzazione produttiva5, gli interventi seguono differenti modalità. Si hanno infatti investimenti diretti all’estero (IDE), attraverso varie forme di controllo si imprese estere, oppure la delocalizzazione produttiva internazionale (interna-tional outsourcing) che comporta accordi specifici con società che

5 L’internazionalizzazione produttiva delle imprese italiane sembra riguardare so-prattutto i settori della Meccanica e della Moda ed interessa in prevalenza le imprese del Nord-Est.

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operano nei mercati esteri6. Queste due diverse modalità di interna-zionalizzazione della produzione vengono utilizzate per produrre componenti di prodotto o prodotti finiti che possono essere a sua vol-ta importati ed utilizzati dalla stessa impresa o venduti nel mercato nazionale oppure essere venduti nel mercato del paese ospitante o in altri mercati di paesi terzi7. I processi di internazionalizzazione pos-sono, a sua volta, condurre alla scomponibilità dei cicli produttivi, alla scomponibilità intra-industriale, alla frammentazione produttiva dei distretti a cui le medie imprese sono legate. Tali processi di internazionalizzazione caratterizzano una varietà di tipologie di modelli di internazionalizzazione che dal punto di vista commerciale si traducono in un forte presidio dei mercati finali all’estero, mentre dal punto di vista delle attività produttive si con-cretizzano in termini di riorganizzazione internazionale della propria supply chain attraverso il ricorso a fornitori strategici e/o subfornito-ri esteri, oppure in investimenti diretti esteri, o anche in forme miste di internazionalizzazione8. 2. Un’analisi empirica sulla performance delle medie imprese multinazionali Nel paragrafo precedente abbiamo messo in evidenza come il pro-cesso di internazionalizzazione risulti particolarmente importante per le medie imprese industriali, spesso organizzate in gruppi, rappresen-tative del nostro tradizionale “Made in Italy”, che diversi studiosi (Colli, 2002; Coltorti, 2006; Gagliardi, 2008; Schilirò, 2010) defini-scono come le protagoniste del “quarto capitalismo” .

6 Tattara, Corò, Volpe, 2006; Barba Navaretti et al., 2010. La delocalizzazione in-ternazionale sembra essere la strategia preferita dalle imprese italiane rispetto agli IDE. 7 Per una rassegna della letteratura sulle diverse strategie di internazionalizzazione delle imprese si veda Helpman, 2006. 8 In tal caso si ha una combinazione dei modelli basati sul presidio dei mercati all’estero e sulla riorganizzazione internazionale della supply chain, tale combinazione conduce ad un sistema “a rete aperta”.

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Mariotti e Multinelli (2009) hanno fornito un primo importante con-tributo di natura empirica per identificare l’esistenza e la consistenza delle imprese del “quarto capitalismo” in Italia. Dal momento che le imprese del “quarto capitalismo” sono quelle che mostrano di cresce-re maggiormente sui mercati esteri, sia tramite le esportazioni, sia attraverso gli investimenti diretti esteri, i due autori guardano all’espansione all’estero delle imprese e quindi al processo di inter-nazionalizzazione, ma soprattutto si soffermano sull’ampliamento e sul rafforzamento del cosiddetto “club delle imprese multinazionali” a base italiana. L’analisi di Mariotti e Mutinelli, che utilizza il database Reprint del Politecnico di Milano-ICE, cerca di mettere in evidenza la composi-zione strutturale delle nostre multinazionali e la loro evoluzione negli anni Duemila focalizzandosi sui caratteri dimensionali9. La variabile scelta per la loro analisi dimensionale è il numero dei dipendenti, mentre non viene preso in considerazione il fatturato. L’analisi per classi dimensionali (dipendenti) evidenzia che in Italia nel 2007 ri-sultavano 639 medie imprese multinazionali (da 250 a 499 dipenden-ti) ed esse rappresentavano il 10,2% del totale delle multinazionali italiane e contavano per il 7,5% dei dipendenti totali; la classe più numerosa risultava invece essere quella con meno di 99 dipendenti, ovvero quella delle piccole imprese, con ben 3.604 imprese multina-zionali che rappresentavano il 57,7% del totale, mentre le 73 multi-nazionali con più di 5.000 addetti (appena l’1,2% del totale) conta-vano quasi la metà dei dipendenti totali (49,1%)10. Risulta interessante l’esame del grado di internazionalizzazione delle imprese multinazionali italiane; dai dati elaborati dai due autori emerge anzitutto che, nel loro insieme, i dipendenti delle controllate estere sono il 29,7%% del totale occupato. In particolare per le imprese di dimen- 9 I dati Reprint utilizzati da Mariotti e Mutinelli riguardano non soltanto le imprese manifatturiere, tipiche del “quarto capitalismo”, ma anche le imprese di servizi, in particolare quelle dei servizi alle imprese. Inoltre, la dimensione di impresa identifi-cata dagli autori consolida sia le attività in Italia sia quelle svolte all’estero, ovvero vengono presi in esame tutti gli asset relativi all’impresa, indipendentemente dalla loro distribuzione geografica. 10 Mariotti e Mutinelli, 2009, p. 125, Tab. 1.

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sione piccola, con meno di 99 addetti, i dipendenti nelle controllate este-re risulta pari al 22,9%, quindi un valore nettamente inferiore alla media, tuttavia queste imprese di dimensione più piccola privilegiano forme di partnership con imprese estere. Al contrario per le medie imprese, con un numero da 250 a 499 addetti, il numero dei dipendenti delle control-late estere sui dipendenti totali risulta pari al 28,1%; inoltre, queste im-prese di media dimensione stabiliscono importanti partnership con im-prese estere anche se in misura inferiore rispetto alle imprese di dimen-sione minore11. Invece per le imprese medio-grandi, con un numeri di addetti da 500 a 999, i dipendenti nelle controllate estere è pari al 30,7%, ossia un valore sopra la media, e le partnership con le imprese estere ri-sulta a sua volta ancora meno importante delle altre due classi di impre-se. Quindi si può dedurre che la tendenza a creare forme di partnership con imprese estere diminuisce al crescere della dimensione delle impre-se, mentre la tendenza ad avere imprese controllate estere aumenta al crescere della dimensione delle imprese, fatta eccezione per le imprese grandi con più di 5000 dipendenti. L’analisi di Mariotti e Mutinelli evidenzia inoltre che le classi di-mensionali che hanno le migliori performance in termini di crescita nel periodo 2001-2007 sono due, ovvero quelle comprese tra 250 e 1000 addetti12. Riguardo ai nuovi ingressi nel cosiddetto club delle imprese multinazionali italiane l’allargamento viene alimentato so-prattutto dal basso con tassi di ingresso più elevati nelle classi sino a 500 dipendenti, ciò -secondo gli autori – dipende dai caratteri tipici del sistema economico italiano dove prevale l’alta frammentazione13. Prendendo quindi spunto dalle evidenze riportate nel saggio di Mariot-ti e Mutinelli e dalla loro interessante analisi che si concentra sui dati dell’occupazione per confrontare le performance fra medie imprese e grandi imprese multinazionali, in questo parte del saggio ci proponia-mo di svolgere una nostra analisi empirica che risulterà diversa, ma anche più articolata di quella condotta da Mariotti-Mutinelli.

11 Ibid., p. 129, Tab. 2. 12 Mariotti e Mutinelli, 2009, p. 128. 13 Ibid., p. 130.

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Vogliamo infatti confrontare la performance delle medie imprese multinazionali (MIM) riguardo ad una serie di variabili con la per-formance delle grandi imprese e delle medie imprese (non multina-zionali). Nella nostra analisi si farà riferimento a due dataset: il pri-mo di Unicredit, il secondo di Mediobanca, che, sebbene abbiano ca-ratteristiche diverse fra loro e coprano periodi differenti, rendendo il loro confronto arduo sul piano metodologico, consentono tuttavia un’analisi più articolata tale da essere svolta da punti di osservazione non univoci. Gli indicatori che utilizzeremo per il confronto fra le tre tipologie di imprese riguardano, oltre all’occupazione, il fatturato, le vendite all’estero (espressa come quota delle esportazioni sul fat-turato), gli investimenti in R&S e gli investimenti diretti all’estero, sebbene di quest’ultima variabile si hanno a disposizione dati non sempre sufficienti ed esaurienti. 2.1. L’analisi su dati Unicredit Questa analisi si basa sui dati della decima indagine sulle imprese manifatturiere italiane di Unicredit (2008)14 condotta su un campione di circa 5000 unità, statisticamente rappresentativo dell’universo del-le imprese italiane del settore manifatturiero. I dati sono stati da noi rielaborati, individuando nel campione della decima indagine le im-prese medie, secondo i parametri standard indicati da Medobanca-Uniocamere (2010). Da questo insieme di medie imprese estratte ab-biamo individuato due sottoinsiemi: quello delle medie imprese non multinazionali (M.I.N.M) e quello delle medie imprese multinaziona-li (M.I.M.). La metodologia che abbiamo seguito per realizzare tale classificazione è stata la seguente: anzitutto si è isolato dal sottoin-sieme delle medie imprese quelle che nel questionario d’indagine di Unicredit hanno dichiarato di aver esportato in tutto o in buona parte i propri prodotti nell’anno 2006 all’estero e di aver inoltre realizzato

14 Il dataset fornitoci dall’Ufficio Studi di UnicreditGroup è quello su cui si basa la decima indagine Unicredit sulle imprese manifatturiere. Riguardo alla metodologia di rilevazione dei dati, le banche dati utilizzate, l’estrazione del campione e la tecni-ca di rilevazione nella decima indagine Unicredit si veda Unicredit (2008, Appendi-ce A, pp. 99-106).

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parte della propria attività produttiva all’estero. Seguendo tale meto-dologia si è dunque formato un sottocampione di 126 imprese classi-ficabili come medie imprese multinazionali (M.I.M.). In secondo luogo, al fine di effettuare un’analisi di tipo comparativo, all’interno del campione Unicredit si è individuato un insieme di grandi imprese (G.I.), con almeno 500 dipendenti ed un fatturato superiore ai 290 milioni di euro15. Il periodo a cui si riferiscono i dati va dal 1998 al 2006, ma alcune tabelle riguardano solo gli anni 2004, 2005, 2006, che sono anni in cui i processi di internazionalizzazione hanno avuto un ruolo impor-tante nelle strategie competitive delle imprese industriali italiane, in particolare delle medie imprese, e dei settori rappresentativi del “Made in Italy”. A conferma di ciò i dati dell’indagine Unicredit sul-le imprese manifatturiere italiane mettono in evidenza che le medie imprese (classe da 50 a 499 addetti) che esportano tra il 25% ed il 50% del fatturato costituiscono il 30% del totale delle imprese, un risultato inferiore soltanto a quello delle piccole imprese (classe da 21 e 50 addetti); i dati nel loro insieme evidenziano inoltre che i set-tori tradizionali, spesso rappresentativi del “Made in Italy”, pesano per circa la metà del totale delle esportazioni sul fatturato16. Risulta inoltre evidente che la crescita dell’export sul fatturato comporta un aumento della diversificazione geografica dei mercati di sbocco a fa-vore dei paesi extraeuropei. La diffusione delle forme di internazio-nalizzazione diverse dalle esportazioni, ovvero penetrazioni e accordi commerciali, investimenti diretti all’estero, registrazioni di un pro-prio marchi all’estero, ecc., tende a crescere all’aumentare della quo-ta esportata. In generale le caratteristiche che influenzano la performance dell’export delle imprese sono la produttività, l’attività innovativa, la 15 Tale classificazione di G.I. non coincide, come vedremo, con quella utilizzata da Mediobanca, in quanto per quest’ultima sono da considerarsi G.I. quelle imprese con un fatturato superiore a 3 miliardi di euro. Mentre la definizione di Unicredit di fatto include fra le G.I. anche le imprese Medio-Grandi del “quarto capitalismo” (classifi-cazione Mediobanca). 16 Unicredit (2008, p. 86). Inoltre, nel 2006 l’avanzo commerciale con l’estero delle «4 A» del “Made in Italy” ha raggiunto il livello di 92 miliardi di euro (Quadrio Curzio, 2008, p. 11).

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specializzazione e la qualità della forza lavoro ed anche la dimensio-ne dell’impresa. L’Italia è inoltre il paese le cui imprese hanno una propensione all’export elevata e superiore a quella delle imprese de-gli altri paesi europei, indipendentemente dalle caratteristiche sopra citate17 . La nostra analisi, di natura descrittiva, fa riferimento anzitutto alla variabile occupazione, e ne riporta i dati nella Tabella 1. Questa Ta-bella riassume il numero medio degli occupati e le relative variazioni percentuali negli anni 2004, 2005, 2006 riferite alle tre categorie di imprese: M.I.N.M., M.I.M., G.I.. Una prima osservazione che risulta evidente dalla Tabella 1 è che il numero medio degli occupati nelle M.I.M. è maggiore di quello delle M.I.N.M. Ciò significa che la dimensione media delle medie imprese multinazionali tende ad essere maggiore delle altre medie imprese. Ovviamente la dimensione media delle grandi imprese, in termini di occupati, è maggiore delle altre due tipologie di imprese.

Tabella 1 - Numero medio di occupati e variazioni

percentuali negli anni dal 2004 al 2006

Valori medi Variazioni Percentuali %

2004 2005 2006 2004/2005 2005/2006

M.I.N.M. 140,1 141,1 146,2 0,7 3,7

M.I.M. 169,8 164,9 167,5 -2,9 1,6

G.I 1902,0 1924,8 1912,2 1,2 -0,7

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit. La Figura 1 evidenzia, mediante degli istogrammi, i dati riferiti alle variazioni percentuali riportati nella Tabella 1. Dalla Figura 1 si e-vince che nell’intervallo temporale 2005/2006 gli occupati nelle me-die imprese multinazionali e nelle medie imprese non-multinazionali

17 Barba Navaretti et al. (2010, p. 33).

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17

sono cresciuti rispettivamente del 1,61% e del 3,65%, mentre nelle grandi imprese sono diminuiti dello 0,65%. Si tratta di un risultato positivo per le medie imprese rispetto all’intervallo 2004/2005, quando si rilevava invece un andamento diverso, con le grandi im-prese e le medie imprese non-multinazionali che facevano registrare una variazione in positivo dell’occupazione, mentre le medie imprese multinazionali avevano fatto registrare una variazione negativa pari a – 2,90%.

Figura 1 - Variazioni percentuali degli occupati tra il 2004 e il 2006.

0,72

-2,90

1,20

3,65

1,61

-0,65

-4,0-3,0-2,0-1,00,01,02,03,04,0

M.I.N.M. M.I.M. G.I

2004/2005 2005/2006

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

La decima indagine Unicredit (2008) supporta la tesi che, in generale, le imprese che sono più forti sui mercati esteri ed esportano quote cre-scenti di fatturato sono quelle che dispongono di un capitale umano più qualificato, con una tendenza ad un aumento della quota di laureati e, quindi, di colletti bianchi rispetto alla quota degli operai. In effetti le medie imprese del “quarto capitalismo” tendono ad utilizzare capitale umano qualificato e specializzato per creare e mantenere le loro nic-chie globali di mercato (Schilirò, 2010), inoltre queste medie imprese del “quarto capitalismo” che tendono a configurarsi come delle multi-

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nazionali fanno della riorganizzazione del lavoro un punto di forza ed utilizzano quote crescenti di occupati laureati18. Analizziamo adesso la Tabella 2 che prende invece come variabile di riferimento il fatturato per gli anni 2004, 2005 e 2006. Essa riporta i valori medi del fatturato nei tre anni per le tre tipologie di imprese e le variazioni percentuali del fatturato negli intervalli 2004/2005 e 2005/2006.

Tabella 2 - Fatturato per gli anni dal 2004 al 2006. Valori medi e variazioni percentuali.

Fatturato

migliaia Euro

Variazioni del Fatturato

%

2004 2005 2006 2004/2005 2005/2006

M.I.N.M. 39.390,1 45.190,8 40.606,9 14,7 -10,1

M.I.M. 47.920,2 53.263,2 46.221,6 11,1 -13,2

G.I 839.636 1.044.161 927.951,9 24,4 -11,1

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

La Tabella mostra che nell’intervallo 2005/2006 si è avuta una gene-rale riduzione del fatturato, che ha interessato tutte e tre le tipologie di imprese. Ma in tale intervallo temporale le M.I.M. hanno registra-to una variazione negativa più marcata, arretrando un po’ di più ri-spetto alle M.I.N.M. ed anche rispetto alle G.I. La Figura 2 ripropone graficamente le variazioni percentuali del fat-turato per le tre tipologie di imprese già riportate nella Tabella.

18 Ciò non implica che le imprese riescono a trovare sempre o facilmente il capitale umano qualificato per le loro aziende sul mercato in Italia.

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19

Figura 2 - Variazioni percentuali del fatturato per gli anni 2004/2005 e 2005/2006

14,711,1

24,4

-10,1-13,2

-11,1

-20,0

-15,0

-10,0

-5,0

0,0

5,0

10,0

15,0

20,0

25,0

30,0

M.I.N.M. M.I.M. G.I

2004/2005 2005/2006

La Tabella 3 prende come variabile di riferimento la quota del fattu-rato riconducibile all’export nell’anno 2006 mostrando i valori per-centuali dell’export sul fatturato da parte delle tre diverse tipologie di imprese. Tali valori percentuali esprimono la propensione all’export da parte delle imprese. La quota percentuale delle esportazioni sul fatturato delle M.I.M. pari a 44,19% risulta maggiore di quella delle M.I.N.M. che è pari al 36,33%. Tale risultato è coerente con una ca-ratteristica fondamentale delle M.I.M. del “quarto capitalismo”: esse tendono ad avere una maggiore propensione all’export; ciò rispec-chia una loro maggiore apertura verso i mercati esteri rispetto alle altre imprese non multinazionali ed, in generale, un grado di interna-zionalizzazione più elevato. A sua volta le grandi imprese che sono anch’esse normalmente fortemente proiettate sui mercati esteri hanno una quota percentuale pari al 42,50% che è maggiore di quella delle M.I.N.M., ma è inferiore a quella delle M.I.M.

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20

Tabella 3 - Quota del fatturato riconducibile all’export. Anno 2006

% Export sul fatturato

M.I.N.M. 36.33

M.I.M. 44.19

G.I. 42.50

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

La Figura 3 esprime i dati della Tabella 3 attraverso degli istogram-mi.

Figura 3 - Quota del fatturato riconducibile all’export. Anno 2006.

36,3

44,242,5

30,00

40,00

50,00

M.I.N.M. M.I.M. G.I.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

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21

Dopo aver considerato la propensione all’export e il fatturato delle medie imprese multinazionali e di quelle non multinazionali e delle grandi imprese, la nostra analisi si focalizza sul Valore Aggiunto. La Figura 4a riporta l’andamento del Valore Aggiunto delle Medie Imprese Multinazionali (M.I.M.) e di quelle Non Multinazionali (M.I.N.M.) nel periodo 1998-2006. Come si evince dalla Figura in oggetto l’andamento della variabile relativamente alle due tipologie di imprese è abbastanza simile, anche se le M.I.M. hanno un livello del Valore Aggiunto costantemente più elevato di quello delle M.I.N.M.. La differenza fra i due grafici si riduce di poco soltanto nell’intervallo 2005/2006, coerentemente con i dati sul fatturato ri-portati nella Tabella 2.

Figura 4a - Valore Aggiunto delle Medie Imprese Multinazionali e Non Multinazionali per gli anni dal 1998 al 2006

5000000

7000000

9000000

11000000

13000000

15000000

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

M.I.M. M.I.N.M.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

La Figura 4b riporta invece l’andamento del Valore Aggiunto delle Grandi Imprese nel periodo 1998-2006. In essa si vede chiaramente l’andamento di crescita continua del VA di questa categoria di im-prese a partire dal 2001. Infatti nel 1998 si registra un livello del VA inferiore a quello delle M.I.M., ma negli anni successivi il VA tende

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a crescere in modo sostenuto fino a raggiungere nel 2006 un livello di gran lunga maggiore di quello delle medie imprese, sia delle M.I.M. che delle M.I.N.M.

Figura 4b - Valore aggiunto delle grandi imprese per gli anni dal 1998 al 2006

80000000

100000000

120000000

140000000

160000000

180000000

200000000

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

Di particolare interesse sono i dati riportati nella Tabella 4, che ri-guardano la spesa in R&S negli anni 2004, 2005, 2006 con i valori medi della spesa e le variazioni percentuali. Si vede chiaramente che le M.I.M. sono le imprese che investono in misura maggiore in R&S rispetto alle M.I.N.M., ma soprattutto la variazione percentuale di investimento in R&S diventa notevole nell’intervallo 2005/2006 e raggiunge l’86,50% contro il modesto 6,38% delle M.I.M.N.e la va-riazione fortemente negativa delle G.I. pari a -36,04%.

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Tabella 4 - Spesa in R&S per gli anni dal 2004 al 2006. Valori medi e variazioni percentuali

Valori medi Variazioni %

2004 2005 2006 2004/2005 2005/2006 M.I.N.M. 355,01 404,64 430,47 13,98 6,38 M.I.M. 358,52 439,31 819,29 22,53 86,50 G.I 6028,00 7842,50 5016,13 30,10 -36,04

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

I dati dell’indagine Unicredit (2008) confortano la tesi che tra le me-die imprese quelle che investono maggiormente sia in impianti e macchinari sia in tecnologie dell’informazione e della comunicazio-ne, dedicando, a sua volta, una quota maggiore agli investimenti in software, sono quelle che esportano di più e fra queste vi sono le M.I.M. del “quarto capitalismo”. L’attività di innovazione risulta concentrata soprattutto nei settori tradizionali e specializzati che co-stituiscono la base del modello italiano di specializzazione produttiva e che rappresentano soprattutto il “Made in Italy”. Come confermano i dati della Tebella 4, fra le medie imprese, le M.I.M., che sono caratterizzate spesso da una maggiore propensione ad esportare, tendono ad un maggior ammontare medio della spesa per l’innovazione tecnologica e per la R&S rispetto alle M.I.N.M.. Inoltre esse hanno una quota crescente di fatturato derivante da pro-dotti innovativi19. La Figura 5 esprime i dati relativi alle variazioni percentuali della spesa in R&S, contenuti nella Tabella 4, attraverso degli istogram-mi.

19 Unicredit (2008, p. 88)

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24

Figura 5 - Variazioni percentuali della spesa in ricerca e sviluppo tra gli anni 2005 e 2006

6,38

86,50

-36,04-60,00

-40,00

-20,00

0,00

20,00

40,00

60,00

80,00

100,00

M.I.N.M. M.I.M. G.I

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Unicredit.

Per quanto riguarda le caratteristiche geo-economiche dell’innovazione da parte delle imprese20 il Nord Ovest è l’area che destina le maggiori risorse agli investimenti in R&S grazie soprattut-to al ruolo svolto dalle grandi e medie imprese private, mentre il Nord Est ha anch’esso un modello basato prevalentemente sull’impresa privata, ma rappresenta l’area in cui più delle altre si è affermato il modello di innovazione senza ricerca, anche se negli ul-timi anni (dati disponibili fino al 2007) gli investimenti in R&S sono cresciuti in modo significativo. Nel Centro, in regioni come Marche, Toscana, Umbria, predomina un modello di innovazione simile a quello del Nord Est perché la dimensione media delle imprese, anche delle medie imprese, è minore rispetto a quella delle imprese del Nord Ovest. Nel Lazio si afferma invece un modello in cui gli inve-stimenti in R&S tornano a recitare una parte fondamentale, come in Piemonte e Lombardia, ma con la differenza che tale spesa è sostenu-ta soprattutto dalle istituzioni pubbliche. Nel Mezzogiorno, l’area che

20 Unicredit (2008); Unicredit (2010).

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anche dal punto di vista della performance innovativa si conferma come la più debole del Paese, sono soprattutto le università a soste-nere il peso maggiore delle spese per l’innovazione. L’analisi dei dati consente di affermare che gli investimenti in R&S diventano un fattore di produzione strategico quando la soglia del fatturato esportato supera il 50%, di conseguenza le medie imprese fortemente orientate all’export e fra queste le M.I.M. tendono a sce-gliere questo tipo di investimento per fare innovazione, ciò consente loro di compiere un salto di qualità. Fra le imprese, soprattutto nelle medie imprese del “quarto capitali-smo”, prevalgono infine le innovazioni di prodotto su quelle di pro-cesso e quelle di tipo incrementale su quelle di tipo radicale. Ma l’attenzione è soprattutto alla qualità del prodotto e, sempre di più, alle relazioni con i clienti, queste richiedono, a sua volta, innovazioni organizzative e nella sfera commerciale. Per quanto riguarda la variabile investimento diretti esteri, il dataset dell’indagine Unicredit (2008) fornisce un numero di dati molto limi-tato per le medie imprese manifatturiere esportatrici. Tuttavia è pos-sibile fare qualche considerazione di carattere generale. Anzitutto vi è una notevole dispersione nei comportamenti riguardanti le singole imprese, ciò riflette il loro diverso posizionamento strategico nei mercati, il loro diverso grado di competitività. Ad ogni modo, la quo-ta di investimenti diretti esteri tende di norma a crescere all’aumentare della propensione all’esportazione, ovvero al crescere dell’export sul fatturato. Questa tendenza diventa significativa per le M.I.M. del “quarto capitalismo”, anche se tali imprese non sono quelle che in assoluto utilizzano maggiormente gli investimenti diret-ti esteri. Fra le forme di internazionalizzazione che le medie imprese manifatturiere scelgono, quelle preferite sono la penetrazione com-merciale e le collaborazioni commerciali, esse risultano infatti le più frequenti anche rispetto agli investimenti diretti esteri. In conclusione, in base ai dati Unicredit ne esce rafforzata la tesi che l’internazionalizzazione risulta essere per le medie imprese del “quarto capitalismo” una strada obbligata per avere successo sui mercati e per crescere; a su volta il processo di internazionalizzazio-ne tende a trasformarle sempre di più in imprese multinazionali. Cer-

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tamente le modalità dei processi di internazionalizzazione variano da settore a settore e da impresa a impresa, non vi sono quindi soluzioni univoche già predeterminate, ma, al contrario, viene confermata la specificità delle diverse realtà aziendali (Schilirò, 2010, p.69). La performance delle M.I.M. risulta quindi molto buona, conside-rando le diverse variabili prese in considerazione, anche se il periodo in esame non include il biennio 2008-2009 della crisi economica globale, dato che le imprese che esportavano di più sono state quelle maggiormente penalizzate dal crollo della domanda a livello mondia-le. Ma nel periodo 1998-2006 le M.I.M. hanno generalmente fatto meglio delle imprese che non sono molto internazionalizzate e, quin-di, delle M.I.N.M.. Il confronto con le G.I. conduce invece a delle considerazioni meno univoche, confermando che la relazione fra di-mensione dell’impresa e performance è una relazione significativa, ma che essa è al tempo stesso una relazione complessa e legata a molti altri fattori. 2.2. L’analisi sui dati Mediobanca L’analisi descrittiva di questa sezione si basa su un dataset dell’Ufficio Studi di Mediobanca21, contenente i dati aggregati di 98 grandi imprese industriali (società aventi sede in Italia e facenti capo ai maggiori gruppi a controllo italiano con un fatturato consolidato sopra i 3 mld di euro), di 520 imprese industriali medio-grandi del “quarto capitalismo” (società medio-grandi a controllo italiano con un fatturato tra i 330 milioni e i 3000 milioni di euro) e di 483 impre-se italiane a controllo estero (filiali di multinazionali estere). Questi dati sono tratti dall’indagine annuale di Mediobanca sulle principali società italiane; si tratta di dati, ricavati dai bilanci delle società, che riguardano variabili quali il fatturato, il valore aggiunto, l’export. Il periodo a cui fanno riferimento questi dati va dal 1999 al 2008. Nel dataset di Mediobanca vi sono inoltre dei dati riguardanti le medie imprese manifatturiere ripartite per classi in base alla quota percen-tuale di fatturato estero, questi dati provengono dall’indagine Me-

21 I dati, forniti dall’ Ufficio Studi di Mediobanca sono tratti dall’indagine annuale di Mediobanca sulle principali società italiane, sono reperibili sul sito internet www.mbres.it alla sezione “Dati cumulativi di società italiane ” (edizione 2009).

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diobanca - Unioncamere sulle medie imprese industriali italiane (1998-2007)22. La lettura della Tabella A riportata qui di seguito, che mette a con-fronto le Grandi Imprese (G.I.), le imprese medio-grandi (M.-G.) e le imprese a controllo estero (C.E.), suggerisce alcune considerazioni di un certo interesse. Anzitutto riguardo alla variabile fatturato netto si può notare che il suo andamento è stato sempre crescente per l’intero periodo 1999-2008 per i tre gruppi di imprese23. In questa Tabella non si registrano quindi variazioni negative del fatturato, come inve-ce avevamo fatto rilevare nei dati di Unicredit per l’intervallo 2005/2006 alla Tabella 224. La Tabella A evidenzia inoltre che nel periodo 1999-2008 la per-centuale del fatturato all’esportazione sul fatturato totale è passata per le grandi imprese dal 45,3% (1999) al 51,5% (2008) con un in-cremento di 6,2%. Per le imprese medio-grandi del “quarto capitali-smo” la stessa percentuale è passata dal 37,0% (1999) al 42,3% (2008) con un incremento di 5,3%. Per le imprese a controllo estero la percentuale è passata dal 32,4% al 37,9% con una crescita di 5,5%. Si può quindi affermare che l’evoluzione del fatturato per que-sti tre gruppi di imprese è stata assai simile con un vantaggio, peral-tro modesto, da parte delle Grandi Imprese, ovvero delle imprese fa-centi capo ai maggiori gruppi industriali.

22 Mediobanca, Unioncamere (2010). 23 In verità vi è stata una leggera diminuzione del fatturato dal 2007 al 2008 soltanto per le imprese a controllo estero. 24 Ciò dipende probabilmente dal campione di imprese di Unicredit che risulta essere molto più eterogeneo rispetto a quello di Mediobanca ed anche dai differenti criteri di rilevazione adottati riguardo alle informazioni sul fatturato.

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Tab

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,4

31,6

33

,1

32,7

32

,7

34,4

35

,8

36,7

37

,9

37,9

Fo

nte:

Uff

icio

Stu

di d

i Med

ioba

nca,

200

9

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La Tabella B mostra il fatturato totale e medio delle 4.483 medie im-prese manifatturiere italiane (dataset Mediobanca), ma offre anche la suddivisione del fatturato totale in ‘fatturato Italia’ e in ‘fatturato e-sportazioni’ per classi di imprese classificate in base alla percentuale di estero/fatturato. I dati si riferiscono ai conti delle società singole e, ove disponibili, ai consolidati; pertanto comprendono le attività diret-te all’estero per l’anno 2007. Tabella B - Fatturato totale e medio, fatturato in Italia e fatturato estero

delle medie imprese manifatturiere suddivise per classi di imprese secondo la percentuale di estero/fatturato. Anno 2007

Classi di imprese % estero/fatturato N. Imprese

Fatturato medio migliaia

di euro

Totale Fatturato migliaia di

euro

Fatturato Italia

migliaia di euro

Fatturato Esportazioni migliaia di

euro

> 75% 552 41.590 22.957.456 3.448.393 19.509.063

50-75% 993 39.501 39.224.597 15.008.422 24.216.175

40-50% 407 40.594 16.521.806 9.071.162 7.450.644

15-40% 988 40.494 40.007.900 29.038.851 10.969.049

<15% 699 44.898 31.383.378 29.257.271 2.126.107

zero export 844 31.632 26.697.574 26.697.574 0

Totale 4.483 39.436 176.792.711 112.521.673 64.271.038

Fonte: Mediobanca - Unioncamere, 2010. Elaborazioni Ufficio Studi di Mediobanca.

Le medie imprese manifatturiere italiane del dataset fornito da R&S di Mediobanca, come si evince dalla Tabella B, sono suddivise per classi in base alla percentuale dell'estero/fatturato. Sul totale di 4.483 medie imprese manifatturiere, 1.952 (552 + 993 + 407) , ovvero il 43,5% del totale, hanno più del 40% di estero/fatturato. Di queste imprese di taglia media si può dire che esse sono fortemente interna-zionalizzate. L’internazionalizzazione diventa una strada obbligata per crescere per le medie imprese manifatturiere (ed anche per quelle

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medio-grandi) che appartengono al “quarto capitalismo”. Vi sono imprese per le quali il mercato interno ha un ruolo marginale, esse hanno quote di estero su fatturato che raggiungono percentuali supe-riori al 75%. Per quanto riguarda invece le rimanenti 2531 medie im-prese (988+699+844) della Tabella B, esse costituiscono il 56,5% del totale ed hanno meno del 40% di estero/fatturato (da zero a 40%), ma di queste solo il 19% ha un rapporto pari a zero. Le medie imprese, che appartengono a questo secondo gruppo, sembrerebbero quindi poco internazionalizzate, anche se non si può utilizzare la percentua-le di fatturato medio estero come un indicatore assoluto della loro propensione ai mercati internazionali. Inoltre, i settori in cui operano in genere le medie imprese manifatturiere sono quelli esposti alla competizione internazionale. Stabilire quindi un nesso diretto fra competitività ed export appare problematico, ne consegue che quota di estero sul fatturato e competitività non vanno necessariamente insie-me. Infatti, esistono senz’altro medie imprese con importanti parteci-pazioni all'estero che non esportano o lo fanno in misura limitata, in quanto producono e vendono direttamente sui mercati esteri, mediante investimenti diretti esteri o delocalizzazioni produttive internazionali25. Queste scelte in tema di internazionalizzazione sono seguite dalle im-prese multinazionali sia per avere dei vantaggi di costo, ma soprattutto per cogliere d’anticipo i propri concorrenti. Tutto ciò conferma il ca-rattere pro-attivo dei processi di internazionalizzazione che, nonostante richiedano ingenti risorse finanziarie e sforzi notevoli per innovare l’organizzazione, la produzione e il marketing con l’obiettivo di im-plementare nuove strategie, risultano funzionali principalmente alla crescita dell’impresa26. La Figura 6a mostra l’andamento del fatturato per grandi imprese (G.I), imprese medio-grandi (M.-G.) e imprese a controllo estero (C.E.). per gli anni dal 1999 al 2008. La figura mostra che le imprese M.- G. del“quarto capitalismo” hanno una performance migliore in

25 I dati di Mediobanca di cui alla Tabella B non consentono peraltro la tracciabilità di questi fenomeni. 26 Ferraro (Marini, 2008) mette comunque in guardia da ricette preconfezionate da essere applicate in ogni contesto e situazione. Questo vale anche per l’internazionalizzazione.

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termini di fatturato rispetto alle G.I. e rispetto anche alle imprese a C.E., pur utilizzando una quantità di capitale minore rispetto alle al-tre due tipologie di imprese. Il ciclo favorevole, che ha inizio nel 2004 ma che si rafforza nel periodo 2005-2007, è stato colto molto bene dalle imprese M. – G., che hanno saputo riorganizzare la produ-zione, ridurre i costi, aumentare l’efficienza e la competitività, pun-tando sulla qualità del prodotto e sfruttando i cambiamenti nei volu-mi di domanda. Anche le G.I. mostrano un andamento del fatturato favorevole dal 2004 in poi e fanno meglio delle imprese a C.E. È be-ne comunque ricordare che le società a controllo estero sono soggette alle politiche di bilancio e commerciali delle case madri.

Figura 6a - Andamento del fatturato per grandi imprese (G.I), imprese medio-grandi (M.-G.) e imprese a controllo estero (C.E.).

Anni dal 1999 al 2008

90100110120130140150160170

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

G.I. M.-G C.E.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

La Figura 6b consente di cogliere da una prospettiva diversa, attra-verso il tasso di crescita del fatturato, la performance delle tre tipolo-gie di imprese. Il grafico mostra l’andamento altalenante dei tassi di crescita nel periodo 1999-2008 e il sostanziale allineamento dei tassi di crescita delle G.I. e delle imprese M.- G.

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Figura 6b - Tasso di crescita del fatturato per grandi imprese (G.I), imprese medio-grandi (M.-G.) e imprese a controllo estero (C.E).

Anni dal 1999 al 2008. Numeri indice (Anno base = 1999)

-0,05

0

0,05

0,1

0,15

0,2

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

G.I. M.-G. C.E.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

La Figura 7 mostra l’andamento del fatturato riconducibile all’export per le G.I., le imprese M. – G. e le imprese a C.E. nel periodo 1999-2008. Anche in questo caso, come nella Figura 6a sul fatturato, le imprese M. – G. dimostrano di fare meglio delle imprese a C.E. e so-prattutto delle G.I.. Ovviamente si tratta di dati aggregati che posso-no nascondere forti diversità a livello di singola impresa. Pur tutta-via si può affermare che la capacità delle imprese M.-G. di penetrare i mercati esteri e di assicurarsi nicchie globali di prodotti è senza dubbio rilevante; essa costituisce infatti una delle caratteristiche pe-culiari delle imprese multinazionali del “quarto capitalismo” e un punto di forza in termini di vantaggio competitivo27.

27 Schilirò (2010).

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Figura 7 - Andamento del fatturato riconducibile all’export per grandi imprese (G.I.), imprese medio-grandi (M.-G.) e imprese a controllo estero (C.E.). Anni dal 1999 al 2008

80100120140160180200

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

G.I. M.-G. C.E.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

La Figura 8 offre una rappresentazione della quota media del fattura-to riconducibile all’export delle tre tipologie di imprese nel periodo 1999 – 2008.

Figura 8 - Quota di fatturato riconducibile all’export per grandi imprese (G.I), imprese medio-grandi (M.-G.) e imprese a controllo

estero (C.E). Anni dal 1999 al 2008

30,035,040,045,050,055,0

1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

G.I. M.-G. C.E.

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

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La Figura 8, i cui dati sono già presenti nella Tabella A sopra, evi-denzia mediante gli istogrammi che le G.I. tendono ad avere una quota media del fatturato riconducibile all’export maggiore in modo costante per tutto il periodo preso in esame. Questa tendenza può es-sere ragionevolmente spiegata dal fatto che le G.I., data la loro di-mensione, trovano di solito il mercato interno alquanto limitato per loro esigenze dettate dalle economie di scala e dalle strategie com-merciali e, quindi, devono necessariamente puntare sui mercati este-ri28. Se ci soffermiamo all’anno 2007 è possibile confrontare i dati descritti nella Figura 8 e quelli relativi alle M.I. deducibili dal data-set sulle M.I.. Dal confronto abbiamo che le quote medie di estero sul fatturato è pari al 50,1% per le G.I., al 41,2% per le imprese M.-G., al 37,9% per le imprese a C.E., mentre per le medie imprese è pa-ri al 35,8%. Questo dato sembra confermare la tesi che l’aspetto di-mensionale ha un ruolo importante nel processo di internazionalizza-zione, anche se non esclusivo, come del resto si era affermato sopra nel paragrafo 2.1. Vi è infine un altro dataset fornito dall’Ufficio Studi di Mediobanca che contiene un campione di 31 medie imprese che figurano nella se-zione “Settori online” di Mediobanca29. Queste medie imprese si possono considerare delle imprese multinazionali in quanto hanno partecipazioni in imprese estere o controllano imprese all’estero. Il dataset contiene informazioni sia sugli investimenti diretti esteri di queste M.I.M. (anno di riferimento – 2006) che sui loro dati di bilan-cio riferiti al 2008. Per ragioni di riservatezza noi proporremo l’analisi dei dati aggregati del campione senza entrare nel dettaglio della singola impresa. La Figura 9 evidenzia la nazionalità delle imprese estere controllate dalle M.I.M del campione Mediobanca. Tale Figura riporta quindi la suddivisione, in base ai 23 Paesi di destinazione coinvolti, degli in-vestimenti diretti esteri da parte delle 31 M.I.M. nell’anno 2006 per

28 La situazione sarebbe diversa se la grande impresa è un monopolista in un grande settore. In tal caso il mercato interno sarebbe sufficientemente ampio. 29 La fonte del dataset è Ufficio Studi Mediobanca, Settori on-line, edizione 2009, http://shop.mbres.it/cgi-bin/calepinoonline. storefront/FR.

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un totale di 122 imprese estere controllate (sia imprese manifatturiere sia di servizi commerciali)30.

Figura 9 - Distribuzione per Paese delle imprese estere controllate dalle M.I.M. ( campione Mediobanca di 31 imprese ) – Anno 2006

0 1 2 3 4 5 6 7 8

UsaSpagna

CinaUk

FranciaPolonia

GermaniaBrasileTunisia

ArgentinaUngheriaRomania

Repubblica CecaRepubblica San

SlovacchiaIndonesia

TurchiaIrlandaSerbia

IndiaSloveniaPakistanBulgaria

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca Il Paese in cui maggiormente le nostre M.I.M. posseggono imprese estere sono gli Stati Uniti31, seguiti dalla Spagna e Cina, quindi dal Regno Unito e Francia; un po’ più distanziate abbiamo Polonia, Germania, Brasile, Tunisia e Argentina; infine gli altri 14 Paesi. Molto importante quindi la presenza da parte delle nostre M.I.M ne-gli Stati Uniti, buona anche la presenza in Cina, il paese emergente più dinamico, un ruolo di primo piano in Europa è quello della Spa-gna, seguita da Regno Unito, Francia e Polonia, in una posizione in-termedia si trova la Germania, l’economia europea più forte e dina-

30 Nel dataset vi sono 50 imprese manifatturiere estere e 72 imprese di servizi com-merciali estere controllate dalle 31 medie imprese del campione. 31 Negli anni novanta le imprese italiane, in particolare le imprese medie ma anche quelle di piccole dimensione hanno registrato un rinnovato interesse verso gli Stati Uniti per quanto attiene gli investimenti diretti esteri (Barbiellini Amidei, Goldstein, 2008).

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mica, come pure l’emergente ed importante Brasile. Ciò significa che l’internazionalizzazione produttiva e commerciale delle M.I.M., al-meno riguardo a questo limitato campione di imprese, tende a coin-volgere un numero abbastanza ampio e differenziato di paesi e non trascura le economie e i mercati più dinamici32. La Figura 10 riassu-me in un a grafico “a torta” la composizione per grandi aree geogra-fiche (UE ed extra UE) delle imprese estere controllate o partecipate dalle M.I.M. (campione Mediobanca di 31 imprese) nell’anno 2006. Il grafico mostra che il 52% si collocano in Paesi extraeuropei, men-tre il rimanente 48% in paesi dell’Unione Europea. Figura 10 - Composizione percentuale delle imprese estere controllate

dalle M.I.M. per grandi Aree (UE ed extra UE) – Anno 2006

52%48%

Ue Extra Ue

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca La Tabella C riassume alcuni dati significativi delle 31 M.I.M. I dati riguardano il fatturato, il numero di dipendenti ed anche il numero di imprese controllate. Si tratta di valori medi riferiti all’anno 2006. Anzitutto bisogna osservare che la dimensione media in termini di addetti delle 31 imprese del campione Madiobanca è di 360 addetti. Sono quindi medie imprese con un valore medio abbondantemente

32 Si tratta ovviamente di un’affermazione parziale, data la limitatezza del campione esaminato.

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sopra i 250 addetti33. Il valore medio del fatturato é di quasi 110 mi-lioni di euro, considerando comunque che la soglia d’accesso nel da-taset on line di Mediobanca è di 50 milioni di euro. Il numero delle medio delle imprese estere controllate risulta pari a 4.

Tabella C - Fatturato, Numero di dipendenti, Numero di controllate delle 31 M.I.M. ( campione Mediobanca) - Anno 2006, Valori medi

Valori mediFatturato (migliaia di Euro) 109.507,26Numero addetti 360,45 Numero controllate estere 4

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

La Tabella D fornisce una serie di valori medi relativi ad alcune va-riabili significative delle 31 M.I.M. del dataset di Mediobanca ricavati dai dati di bilancio riferiti al 2008: fatturato, valore aggiunto, margine operativo netto, risultato d’esercizio, fatturato estero. In particolare il margine operativo netto e il risultato d’esercizio costituisco degli indicatori della profittabilità di queste M.I.M. Circa il risultato d’esercizio, risulta che delle 31 imprese campione dieci imprese hanno registrato una perdita d’esercizio nel 2008, mentre le rimanenti 21 hanno registrato un ri-sultato d’esercizio positivo. Inoltre solo 3 imprese hanno conseguito un margine operativo netto negativo. Si può ottenere un indicatore della propensione all’internazio-nalizzazione delle 31 M.I.M. in termini di export e fatturato estero su

33 Se si confronta in modo approssimativo queste 31 imprese medie con l’insieme di 639 medie imprese multinazionali con un numero di addetti da 250 a 499 individua-to da Mariottti e Mutinelli (2009), esse apparterrebbero a tale che gruppo che rap-presenta il 10,2% delle multinazionali italiane. Vedi supra p. 4.

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estero34 dividendo il fatturato estero sul fatturato totale; si ottiene co-sì una cifra pari a 0.449%, ovvero circa il 45% sul fatturato totale.

Tabella D - Fatturato, Valore Aggiunto, Margine Operativo Netto e Fatturato estero delle 31 M.I.M. (campione Mediobanca),

dati di bilancio Anno 2008 – Valori aggregati e medi.

Valore Aggregato Valore Medio

Fatturato 3.728.236 120.265,68

Valore Aggiunto 845.537 27.275,39

Margine operativo netto 215.102 6.938,77

Risulatato d'esercizio 59.978 1.934,77 Fatturato estero (export + estero su estero) 1.672.515 53.952,10

Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca

Dall’esame di quest’ultimo dataset di Mediobanca si trae quindi un interessante profilo di queste 31 medie imprese multinazionali, da cui emerge una forte ed articolata internazionalizzazione ed anche buone performance riguardo ad alcuni indicatori significativi.

Considerazioni finali Questo saggio ha evidenziato in primo luogo che le medie imprese multinazionali del “quarto capitalismo” risultano essere una compo-nente importante e dinamica del sistema produttivo italiano. La loro

34 Quest’ultima voce esprime in qualche modo gli effetti degli investimenti diretti esteri.

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forte propensione ai mercati esteri e, in generale, all’internazionaliz-zazione, sostenuta dalla loro capacità di innovazione ed organizzati-va le rende protagoniste nella competizione globale. In secondo luogo, prendendo spunto da Mariotti e Mutinelli (2009), questo lavoro ha svolto, utilizzando due dataset differenti sulle im-prese manifatturiere italiane (Unicredit e Mediobanca), un’analisi de-scrittiva più articolata sulla performance delle medie imprese multi-nazionali (MIM). Infatti si è utilizzata quale variabile di riferimento non soltanto l’occupazione, come nel caso di Mariotti e Mutinelli, ma anche altre variabili, ovvero il fatturato, il valore aggiunto, le vendite all’estero, gli investimenti in R&S, gli investimenti diretti esteri ed anche degli indicatori sulla profittabilità. Certamente la di-versa natura dei due dataset utilizzati non consente un raffronto di-retto e coerente fra i dati, ma ha consentito di fornire alcune utili in-dicazioni sulle medie imprese multinazionali. Da questa analisi è infatti emerso un profilo delle medie imprese multinazionali caratterizzato da una strategia verso l’internazio-nalizzazione complessa, dove l’innovazione ha un ruolo fon-damentale, ma sono elementi altrettanto importanti la flessibilità e la specializzazione produttiva, in quanto anche tali elementi orienta-no le scelte di investire e produrre all’estero. Non meno rilevante ri-sulta essere la dimensione commerciale, che spinge a concentrarsi sulla qualità dei prodotti e puntare al presidio diretto dei mercati e-steri, inoltre essa conduce a guardare con grande attenzione ai clienti, offrendo loro un’ampia gamma di servizi. I dati sopra esposti hanno evidenziato nel periodo in esame fatturati in crescita, un’importante attività innovativa, dove gli investimenti in R&S tendono a diventare rilevanti, elevate e crescenti propensioni all’esportazione, una capa-cità reddituale di rilievo. L’analisi dei dati, seppur a livello descrittivo, ha consentito inoltre il confronto diretto fra le medie imprese multinazionali e le medie im-prese che multinazionali non sono; da essa si evince che la performan-ce delle M.I.M. riguardo alla maggior parte degli indicatori presi in e-same è senza dubbio migliore. Ciò ha infatti reso possibile il successo delle M.I.M. sui mercati globali, contribuendo inoltre alla visibilità e alla diffusione dei prodotti del “Made in Italy”.

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Naturalmente all’interno di questo quadro rappresentativo certamente interessante e che dimostra una buona capacità competitiva delle medie imprese multinazionali italiane non mancano elementi di criti-cità. Fra questi, un livello di tassazione più elevata che le medie im-prese italiane multinazionali devono subire nei confronti degli altri competitor europei; l’insufficiente sostegno ed assistenza da parte delle istituzioni governative alle imprese che operano sui mercati e-steri, soprattutto in quelli emergenti o ancora poco esplorati; l’esigenza di un rapporto maggiormente costruttivo con le banche, che tenga conto delle peculiarità e delle difficoltà dei mercati emer-genti nell’affidamento del credito; gli elevati costi esterni della pro-duzione, come l’energia; la carenza di capitale umano qualificato di-sponibile nel mercato del lavoro a causa di un’insufficiente politica della formazione; lo squilibrio territoriale nella distribuzione geogra-fica delle M.I.M. ancora poco presenti nel Sud dell’Italia. Nonostante ciò le medie imprese multinazionali del “quarto capitali-smo” rimangono protagoniste dei mercati globali, sforzandosi di te-nere il passo con l’innovazione e l’evoluzione della conoscenza, di ristrutturare e riorganizzare la produzione con grande attenzione ai costi e alla qualità, di elaborare strategie commerciali più idonee per cogliere i nuovi segnali della domanda, proprio in questa odierna fa-se post-crisi che segnerà inevitabilmente un nuovo posizionamento sui mercati esteri per molte di queste imprese.

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CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICA, ECONOMIA INTERNAZIONALE E SVILUPPO ECONOMICO

Working Papers (*) 1994 Alberto Quadrio Curzio La Banca d’Italia dal 1914 al 1936 1994 Alberto Quadrio Curzio Tre livelli di governo per l’economia italiana 1994 Alberto Quadrio Curzio e Roberto Zoboli

Linee di recente sviluppo dell’arco alpino ristretto 1994 Giuseppe Colangelo Optimal durability with buyer’s market power 1994 Giuseppe Colangelo Vertical organizational forms of firms 1994 Giuseppe Colangelo Exclusive dealing may foster cross-collusion 1994 Piergiovanna Natale Pricing strategies: a brief survey 1994 Piergiovanna Natale

Posted vs. negotiated prices under asymmetric information 1994 Roberto Zoboli

The Alps in the economic and ecological systems of Europe 1994 Daniela Feliziani

Organizzazione e regolamentazione degli orari di lavoro nei pa-esi industrializzati

1995 Maddalena Baitieri Sistemi di ricerca e innovazione tecnologica

(*) Si tratta della nuova serie dei Quaderni Cranec iniziata nel 1994. In precedenza, dal 1978 al 1994, sono stati stampati n. 45 quaderni.

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1995 Maddalena Baitieri Sviluppo tecnologico e tutela dell’ambiente e della vita

1995 Piergiovanna Natale Rapporto di lavoro: una reimputazione

1996 Alberto Quadrio Curzio e Fausta Pellizzari

Risorse, prezzi e rendite ambientali. Un’analisi uniperiodale 1997 Alberto Quadrio Curzio

Italy and the European Monetary Union. Why Italy is on the border line?

1998 Giulio Cainelli e Claudio Lupi

The choice of the aggregation level in the estimation of quar-terly national accounts

1999 Deborah Grbac

Sulla globalizzazione del sistema economico con particolare ri-ferimento all’economia lombarda e milanese

1999 Marco Fortis PMI, Distretti industriali e liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica

2000 Deborah Grbac

Transnational and inter-regional cooperation and macroeco-nomic flows, a case-study. Mitteleuropea

2000 Alberto Quadrio Curzio Dalle istituzioni economiche nazionali a quelle continentali e sovranazionali. Applicazioni del principio di sussidiarietà

2001 Floriana Cerniglia e Massimo Bordignon

L’aritmetica del decentramento: devolution all’italiana e pro-blemi connessi

2001 Fausta Pellizzari

Environmental resources, prices and distribution 2001 Massimo Visconti

Misure della performance d'impresa e indicatori di bilancio: un paradigma ancora valido?

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2001 Marco Fortis e Alberto Nodari Un marchio di qualità AVR per la produzione italiana di rubi-

netteria e valvolame: uno strumento per la valorizzazione e la promozione del made in Italy

2002 Floriana Cerniglia Distributive politics and federations 2003 Floriana Cerniglia La riforma del titolo V della Costituzione e i nuovi rapporti fi-

nanziari fra Stato ed autonomie locali: una valutazione quantita-tiva

2003 Floriana Cerniglia Decentralization in the public sector: quantitative aspects in

federal ad unitary countries 2003 Giuseppe Colangelo, Gianmaria Martini Relazioni verticali e determinazione del prezzo nella distribuzio-

ne di carburanti in Italia 2003 Floriana Cerniglia (con M. Bordignon e F. Revelli) In search of yardstick competition: a spatial analisys of Italian

municipality property tax setting 2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e Costituzione, Working Paper

Cranec-Diseis (Dipartimento di economia internazionale, delle istituzioni e dello sviluppo)

WORKING PAPERS EDITED BY VITA&PENSIERO (**) 2003 Daniele Schilirò

Teorie circolari e teorie verticali della dinamica economica strutturale: verso uno schema analitico di carattere generale

2003 Fausta Pellizzari

Esternalità ed efficienza. Un’analisi multisettoriale

(**) Questa nuova linea di quaderni ha avuto inizio nell’autunno del 2003 grazie a un accordo con l’Editrice dell’Università Cattolica

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2003 Alberto Quadrio Curzio Europa: crescita, costruzione e costituzione

2003 Fausta Pellizzari

Regolamentazione diretta e indiretta in un modello multiset-toriale

2004 Mario A. Maggioni e Teodora E. Uberti

La geo-economia del cyberspazio. Globalizzazione reale e glo-balizzazione digitale

2004 Moshe Syrquin

Globalization: too Much or is too Little? 2005 Giovanni Marseguerra

Il “capitalismo familiare” nell’era globale: la Sussidiarietà al servizio dello Sviluppo

2005 Daniele Schilirò

Economia della Conoscenza, Dinamica Strutturale e Ruolo del-le Istituzioni

2005 Valeria Miceli

Agricultural Trade Liberalization and the WTO Doha Round 2005 Valeria Miceli

EU Agricultural Policy: the Concept of Multifunctionality and Value Added Agriculture

2006 Floriana Cerniglia

La spesa pubblica in Italia: articolazioni, dinamica e un con-fronto con altri Paesi

2006 Mario Nosvelli

Distretti e tecnologia: il caso di Lumezzane 2006 Monica Carminati

La legislazione italiana e regionale sui distretti industriale: situazione ed evoluzione

2007 Letizia Romeo

Le fondazioni di sviluppo: una realtà con un forte potenziale

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2007 Daniele Schilirò Knowledge, Learning, Networks and Performance of Firms in Knowledge-Based Economies

2008 Rosario La Rosa

Infrastrutture e sviluppo. Premesse per un’analisi del settore turisti-co in Sicilia

2008 Francesco Salsano – Teodora Erika Uberti

I sistemi elettorali e la politica fiscale: il caso italiano dal 1861 ai giorni nostri

2008 Fausta Pellizzari

Scarcity, Innovation and Sustainability 2008 Daniele Schilirò

I distretti industriali in Italia quale Modello di Sviluppo Locale: A-spetti evolutivi, potenzialità e criticità

2008 Daniele Schilirò

Investing in Knowledge: Knowledge, Human Capital and Institu-tions for the Long Run Growth

2009 Silvia Bolchi

Capitale Sociale e Sussidiarietà. La Fondazione per il Sud

2010 Alberto Quadrio Curzio, Piercarlo Nicola e Claudia Rotondi Distribuzione e crescita, tecnologie e sviluppo. Riflessioni sull’analisi teorica di Nino Andreatta 2010 Daniele Schilirò

Distretti, PMI, Competitività. Analisi e proposte sulla Sicilia

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2010

da Gi&Gi srl - Triuggio (MB)

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Università Cattolica del Sacro Cuore

CENTRO DI RICERCHE IN ANALISI ECONOMICAE SVILUPPO ECONOMICO INTERNAZIONALE

Le Medie Imprese Multinazionali del Quarto Capitalismo

Daniele Schilirò - Maria Musca

€ 3,00