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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA Corso di Laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali Le influenze wagneriane nella musica di Huppertz per il film ‘Die Nibelungen’ di Fritz Lang Relatore: Prof. Emilio SALA Elaborato finale di: Marco MATTALIANO Matr. n. 628421 Anno Accademico 2008 - 2009

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA

Corso di Laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali

Le influenze wagneriane nella musica di Huppertz per

il film ‘Die Nibelungen’ di Fritz Lang

Relatore: Prof. Emilio SALA

Elaborato finale di:

Marco MATTALIANO

Matr. n. 628421

Anno Accademico 2008 - 2009

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INDICE

Introduzione 3 Capitolo I Riscoperta e ricezione del Nibelungelied nel XIX Secolo 7 Capitolo II La genesi del film nazionale 12 Capitolo III Tessere di mosaico 16 Capitolo IV Siegfried e Mime 21 Capitolo V Come Siegfried uccise il drago 29 Capitolo VI Alberich e il cinema 36 Conclusioni 43 Bibliografia 46

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INTRODUZIONE Nel lavoro che mi accingo a presentare, dal titolo Le influenze wagneriane nella musica di Huppertz per il film ‘Die Nibelungen’ di Fritz Lang, intendo mostrare tra l’altro come questa partitura cinematografica sia fortemente de-bitrice dell’esperienza wagneriana, con particolare riferimento alla tetralogia Der Ring des Nibelungen. Scopo del mio lavoro è dunque, innanzitutto, pre-sentare una breve introduzione storica su come la materia nibelungica si sia fortemente radicata nella cultura della Germania dell’Otto e del Novecento alla luce della sua riscoperta – avventa col ritrovamento del poema Nibelun-genlied – attraverso processi non solo letterari, ma spesso anche connessi al-la politica nazionalista diffusasi in quest’epoca; in secondo luogo vorrei mo-strare come questi elementi si siano trasmessi di generazione in generazione sino al concepimento di un film dai dichiarati intenti nazionalisti.

Il lavoro prosegue con un breve spazio dedicato alla nascita del film e all’esame dei suoi fini estetici e culturali; di come si colloca all’interno del panorama cinematografico della Repubblica di Weimar e della critica che ne è scaturita negli anni seguenti. Per quanto riguarda il materiale filmico mi sono servito del VHS di una versione ricostruita nel 1988 dal Münchner Stadtmuseum/Filmmuseum, basata sulla pellicola originale del 1924, priva dei numerosi tagli che il film ha subito nel corso della storia.1

Infine, nella sezione principale e più ampia dell’intero lavoro, viene ana-lizzato l’accompagnamento musicale del film. Dopo un’essenziale biografia del compositore Gottfried Huppertz e dei suoi rapporti con il regista del film, Fritz Lang, si passa ad uno studio dei punti di contatto tra la musica di Richard Wagner e quella di Huppertz a partire dalla tecnica del Leitmotiv per poi considerare il trattamento di essi. Segue poi l’analisi di alcune scene del film nelle quali l’influenza di Wagner è più evidente sia dal punto di vi-sta musicale sia da quello drammaturgico, anche se, sotto quest’aspetto, il debito nei confronti di Wagner risulta spesso culturalmente mediato e in fi-ligrana. Lo studio della musica di Huppertz è stato condotto sul fac-simile della partitura originale pubblicato dalla casa editrice di Berlino Ries & Er-ler (senza numero editoriale, né data) nel 1983.

1 Versione ricostruita col supporto della Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung di Wie-

sbaden, del Gosfilmfond di Mosca, del National Film Archives di Londra e dell’Österreichisches Filmarchiv di Vienna.

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Fig 1: prima pagina della partitura

Il vantaggio offerto da un documento simile è quello di poter analizzare

la partitura non solo dal punto di vista intrinseco – sia esso tematico, ritmi-co, armonico o timbrico – ma anche dal punto di vista del processo evoluti-vo del film. Infatti, scorrendo le pagine, si assiste a un numero assai notevo-le di tagli e varianti che testimoniano dei rapporti alquanto instabili tra proiezione della pellicola ed esecuzione musicale. Nel mio elaborato non mi occuperò comunque di tali varianti, bensì del rapporto – drammaturgica-mente inteso – tra la musica e il racconto filmico. Un debito particolare l’ho contratto col libro di David J. Levin Richard Wagner, Fritz Lang and the Nibelungen: the Dramaturgy of Disavowal, nel quale lo studioso americano,

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confrontando da un punto di vista registico-drammaturgico i lavori di Wa-gner e Lang, giunge a delle originali conclusioni sull ruolo estetico occupato dalle figure negative all’interno delle rispettive opere e sulla controversa ri-cezione che queste ebbero nella Germania dell’Otto e Novecento. È comun-que opportuno rilevare che lo studio di Levin, se si esclude un breve capito-lo sull’Ouverture del Rheingold, non tiene conto dell’aspetto musicale dei due lavori. Perciò per l’analisi della musica wagneriana mi sono affidato principalmente al saggio di Jean-Jacques Nattiez, Wagner androgino: sag-gio sull’interpretazione a cui Levin, sotto certi aspetti, si riallaccia sia se-manticamente sia metodologicamente (il testo di Nattiez lo precede di otto anni).

Per quel che concerne il rapporto col testo musicale di Huppertz, pur tentando di essere il più possibile fedele all’originale, negli esempi musicali da me riportati non ho potuto seguire, per necessità di chiarezza, il metodo di conteggio delle battute utilizzato dal compositore. Huppertz infatti utiliz-za un sistema particolare che prevede da un lato il conteggio progressivo degli episodi musicali, dall’altro – anche se ad una rapida comparazione del-le grafie non sembra essere di suo pugno – la rinumerazione da capo del numero di battute ad ogni doppia stanghetta (ma questa non è una regola): talvolta le due cose coincidono, ma talaltra capita che all’interno di un’ampia sequenza di battute ci siano diversi episodi tematici numerati; o che in presenza di una doppia barra il conteggio delle misure prosegua. Ol-tretutto Huppertz segue, nella partitura, la suddivisione del film in Gesänge (canti), per cui ogni Gesang risulta un fascicolo a sé in cui numero di pagi-ne, di episodi tematici e di battute viene conteggiato ogni volta da zero. Per seguire la numerazione originale bisognerebbe indicare per ogni citazione musicale: numero di Gesang, di pagina e di battuta a partire dell’episodio tematico dal quale ha inizio il conteggio delle misure – sempre ammesso che quest’ultimo sia opera di Huppertz. Ma anche in questo caso si incorre-rebbe in numerose incertezze (vedi per es. la fig. 2).

Ho preferito dunque adottare la tradizionale numerazione progressiva di battute tenendo tuttavia presente, in primo luogo della suddivisione della partitura in Gesänge, in secondo luogo, dei numerosi tagli, spesso riaperti per necessità di sincronizzazione col film. Quindi semplicemente indicando il Gesang e il numero di battuta si può agevolmente risalire (purché si abbia voglia di contare) al brano citato. Infine, qualora un tema da me isolato sia stato originariamente assegnato nella partitura di Huppert ad uno strumento traspositore, la sua notazione è stata da me trascritta in suoni reali (quando invece trascrivo un esempio che comprende più strumenti ho mantenuto la lezione del compositore). Tutto questo lavoro è stato condotto sulla colonna sonora del VHS revisionata da Berndt Heller e Stephan Zorzor, ed eseguita dalla Münchner Rundfunkorchester diretta da Heller stesso.

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Fig. 2: primo Gesang. Alla battuta 30 (sesto rigo dal basso) corrisponde la battuta reale 359. Si noti come, nonostante la doppia barra e il cambio di tonalità, la numerazione delle misu-re prosegua. In alto il numero 38 indica il numero guida. Se si osserva attentamente si può intravedere, da battuta 33, il segno di un taglio (che nella versione revisionata e diretta da Heller è stato riaperto).

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CAPITOLO I RISCOPERTA E RICEZIONE DEL NIBELUNGELIED NEL XIX SECOLO

È difficile, e probabilmente di poca utilità, cercare di tracciare in questa

sede una breve ed esauriente cronaca delle vicende che il Nibelungenlied ha subito dalla sua prima stesura, la cui data oscilla tra la fine dell’XII secolo e l’inizio del XIII, ad oggi.2 L’Autore ci è giunto anonimo, ma è probabile che fosse un poeta di corte – la critica moderna ritiene sia quella di Vienna o comunque della regione del Danubio – e non un menestrello costretto a gi-rovagare di corte in corte per guadagnarsi da vivere. Ciò si evince dal lin-guaggio aristocratico e dalla perfetta conoscenza degli usi della vita di corte che egli descrive sin nei minimi particolari. Forse dietro l’Autore si cela un religioso per il quale sarebbe stato disdicevole, secondo la morale dell’epoca, associare il proprio nome ad un’opera epica e secolare. Il poema ebbe nel corso dei secoli successivi una discreta fortuna attestata da diverse edizioni e rifacimenti; questa sembra interrompersi nel 1557 con un dramma di Hans Sachs. Ma è proprio a partire dal 1757, anno in cui lo studioso sviz-zero Jackob Bodmer pubblica un manoscritto ritrovato – più precisamente quello di Monaco –, che un’ondata di entusiasmo investì nuovamente il po-ema ormai dimenticato da due secoli. Delle varie edizioni che si susseguiro-no alcune delle più importanti furono quelle curate da Friedrich Heinrich Von der Hagen (dal 1810 al 1842) il quale ebbe il merito di riprodurre per la prima volta l’originaria divisione in quartine di versi lunghi allitteranti. Nel-la prefazione all’edizione del 1816 Von der Hagen fornisce elementi molto utili per comprendere lo spirito con il quale la cultura romantica accolse la riscoperta del poema e, di conseguenza, la fortuna che quest’ultimo ebbe nel corso di tutto l’Otto e per buona parte del Novecento. Infatti nelle pp. X-XI dell’introduzione si legge:

Die Sage von den Nibelungen, von Siegfried und Kriemhild, eine der größten und be-deutendsten überaus, und insonderheit für uns, ist eine Deutsche ur und Stammsage, die auf sich selber wurzelt ruht und wachst. Sie ragt über die Geschichte hinaus und ist sel-ber eins ihrer ältesten Denkmale [...] Zwar ist uns so viel von dem wirklich Geschehnen in jenen alten Zeiten verbogen: aber die Sage ist uns dafür die älteste und wahrhafteste innere Geschichte. Sie waltet und gestaltet nach eigenen inneren Gesessen, wie das sogenannte Wunderbare in ihr seider neben dem Gewöhnlichen seinen eigenen Sang geht .3

[La saga dei Nibelunghi, con i protagonisti Sigfrido e Crimilde, è una delle più impor-tanti e antiche saghe di ogni tempo e, specialmente per noi, è una saga tedesca primor-diale, nella quale essa stessa è radicata, riposa. Questa sorge sulla storia ed è essa stessa uno dei monumenti più antichi[…] Proprio perché la maggior parte di ciò che è avvenuto in quegli antichi giorni è a noi sconosciuta, questa saga è per noi la storia intrinseca più antica ed autentica Essa si go-verna e configura secondo proprie regole interne, come nel cosiddetto sublime che pro-cede affianco al suo stesso canto abituale.]4

Ovviamente l’edizione del 1816 non è il punto di partenza a cui far risali-

re una “storia” della ricezione del materiale nibelungico in età moderna; tut-tavia le affermazioni di Von der Hagen sembrano fornire un’ottima sintesi per quella che sarà la controversa appropriazione culturale del Nibelungelied

2 I Nibelunghi, a cura di Laura Mancinelli, Torino: Einaudi, 1975. 3 FRIEDRICH VON DER HAGEN, Der Nibelungen Lied, Breslau: Josef Ras und Komp,

1816, pp. X-XI. 4 Traduzione italiana a cura di Pier Fabrizio Paradiso.

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nella Germania del XIX e del XX secolo. L’assunto che il poema fosse il racconto di una Germania ancestrale si diffuse assai presto tra gli studiosi al punto tale che la critica romantica, basandosi proprio su questa presunta “tribalità”, non esitò a risolvere il problema dell’anonimato dell’Autore in-dividuandolo nell’intero popolo tedesco: l’assioma del popolo poeta, autore della propria “enciclopedia tribale” venne disinvoltamente assorbito dal na-zionalismo tedesco. Questo approccio storicistico, intransigente e rigoroso all’opera perdurò per tutto l’Ottocento – lo studioso Günter Hess sostiene che in realtà il picco si raggiunse nel decennio 1923-33.

Nella seconda parte del suo discorso Von der Hagen afferma che, «pro-prio perchè gran parte di ciò che successe in quegli antichi giorni» sia perduta, l’opera offre «la più antica e autentica storia intrinseca (nazionale)». Bisogna innanzitutto precisare che in tedesco la parola Geschichte (storia), come in italiano, ha il duplice significato sia di historia che di fabula e in Von der Hagen i due termini coincidono. Lì dove la Storia ha lasciato dei vuoti interviene la narrazione a colmarli; l’epos nazionale, frutto dell’ingegno di un solo popolo, si sostituisce così alla storia ufficiale densa di lacune ed incertezze: diventa in un certo senso verità.

Siamo nel 1816, a dieci anni di distanza dalla dissoluzione del Sacro Im-pero Romano e a due anni dall’inizio del Congresso di Vienna. La Germania è ormai smembrata in una debole confederazione di stati – un trattamento assimilabile a quello subito dalla Germania all’indomani di Versailles le cui conseguenze si ripercuoteranno sulla Repubblica di Weimar allorché Fritz Lang lavorerà al suo film. La necessità di una legittimazione sia politica che culturale è sempre più forte e l’operazione che Von der Hagen compie è piuttosto semplice da comprendere: tenta di vincere la questione della legit-timazione politica affrontandola sul piano culturale. Privo una realtà politica forte, dovuta allo smembramento della Germania, cerca un’alternativa con cui sostituirla al fine di legittimare l’identità nazionale; e questa alternativa viene offerta dall’epos nazionale. Ecco perché con tanta disinvoltura colloca la Storia nel mito dietro la maschera della Geschichte. Tuttavia il Nibelun-genlied sembra prestarsi a qualcosa in più del semplice racconto nazionale, a qualcosa che probabilmente Von der Hagen e i suoi compatrioti cercavano da tempo: in esso infatti è narrata piuttosto la preistoria della nazione tede-sca. Dunque distogliendo lo sguardo da una realtà umiliante Von der Hagen lo rindirizza verso una Geschichte più vera e confortevole.

Benché in realtà ci siano degli elementi cristiani, dovuti per lo più al con-testo cortese tardo medievale in cui l’Autore si trovava ad operare, la vicen-da è, almeno nella sua prima parte, precristiana e si rifà a miti nordici ancora precedenti: è la riscoperta di un’autentica mitologia nazionale che si colloca al di là della Storia ufficiale Ciò non poteva trovare terreno più fertile della cultura romantica ansiosa di affermare con forza la propria identità cultura-le. Già nel 1796 Hegel scriveva così:

La Cristianità ha spopolato il Walhalla, ha distrutto i sacri boschi, estirpato i miti del popolo come una scandalosa superstizione, un veleno diabolico dandoci in cambio i miti di un popolo il cui clima, legislazione, cultura ed interessi sono a noi estranei, la cui sto-ria non ha assolutamente legame con la nostra. Un Davide o un Salomone vivono nel

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nostro immaginario popolare, ma gli eroi della nostra terra sonnecchiano nei dotti libri di storia.5

Ecco pronto il terreno per tuffarsi in una ritrovata mitologia da tempo

assopita e per fare del Nibelungenlied l’Iliade nazionale, del popolo il pro-prio Omero. Ma per riappropriarsi delle proprie origini era necessario – se non addirittura sbarazzarsene –, accantonare tutto ciò che per secoli ha im-pedito questo processo. Nel giovane Hegel è evidente in questo senso una certa carica anti-cattolica; negli scritti teorici di Wagner i toni saranno anco-ra più esasperati. Sin dalla fine del Settecento le radici del nazionalismo e-rano più che salde nella terra: bisognava attenderne i frutti.

Fu probabilmente per le ragioni fin qui elencate che il materiale trattato

nel Nibelungenlied venne reiterato dall’inizio del XIX secolo in ogni forma artistica: dalla poesia alla pittura, dalla scultura al teatro sino a giungere su-gli schermi cinematografici. Ma fu senz’altro il dramma la forma prediletta. Nel corso del XIX secolo numerosi autori operarono la trasposizione del mi-to nibelungico in dramma teatrale spesso contaminandolo con elementi an-cora precedenti quali la Edda e la Volsunga Saga. La prima opera teatrale attestata è la trilogia Der Held der Norden (1810) di Friederich de la Motte Fouqué, suddivisa in Sigurd der Schlangentödter, Sigurd Rache, Aslauga. Nella sua trilogia, composta sul modello delle trilogie di Eschilo, Fouqué anticipa sotto numerosi aspetti Wagner: per esempio introduce i personaggi delle Norne, simboli del passato, del presente e del futuro; fu il primo a con-ferire alla spada di Sigurd (Gramur)6 un particolare significato; inoltre Fo-qué colloca Brünhild al centro dell’azione facendo risalire una relazione tra lei e Sigurd precedente al viaggio in Islanda. L’opera che riscosse il maggior seguito fu senza dubbio la trilogia Die Nibelungen di Friedrich Hebbel. Iniziata nel 1855 l’opera fu inizialmente pensata in due parti e dieci atti; la composizione finale in tre sezioni consiste nel Der gehörnte Siegfried, un preludio in un atto, e le due parti di cinque atti ciascuna: Siegfrieds Tod e Kriemhilds Rache. La vicenda è tratta dal ma-teriale epico anche se mutuata da precedenti esperienze teatrali quali Der Nibelungenhort (1828) di Ernst Raupach e Brunhild (1857) di Emanuel Geibel. L’intento di Hebbel era quello di fare del suo dramma un “Nationa-lepos”, un dramma nazionale tedesco al pari del Nibelungenlied quale poe-ma nazionale, ma a differenza dei precedenti drammi citati, nella trilogia di Hebbel, come in tutti i suoi lavori, è forte l’influenza della filosofia idealista tedesca con particolare riferimento a Schelling. Lo scopo del teatro, secondo la concezione estetica di Hebbel, non è quello di minare la stabilità dei pro-cessi storici contemporanei o delle istituzioni politiche, religiose e sociali, ma quello di fornire ad essi delle basi più solide. Perché ciò si attui l’arte drammatica deve diventare filosofia che si incarna nella realtà; tutto il dramma è letto sotto la lente della filosofia schellingiana, ispirato special-

5 FRIEDRICH HEGEL, Scritti teologici giovanili, cit. in Fede e sapere: la genesi del pen-

siero del giovane Hegel, a cura di Rossella Bonito Oliva e Giuseppe Cantillo, Milano: Gue-rini, 1998, p.453.

6 Da segnalare a questo proposito che Jorge Luis Borges nel suo racconto El Zahir, con-tenuto nella raccolta El Aleph, usa esattamente questi nomi. Descrivendo un potenziale la-voro letterario in prima persona, lo scrittore argentino, senza svelare l’identità del protago-nista, allude via via ad esso attraverso delle perifrasi enigmatiche. Il protaginista viene rive-lato nel finale, quando Sigurd irrompe nella caverna brandendo la spada Gramur.

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mente da Philosophie der Mythologie (Filosofia della mitologia) e Philoso-phie der Offenbarung (Filosofia della Rivelazione). In Schelling il mito non è più considerato come una forma primitiva di conoscenza o un’allegoria, ma, riprendendo la definizione del filosofo, è tautegoria, vale a dire che è fine a sé stesso: «la mitologia va intesa di per sé e il suo significato può es-sere solo il significato attraverso cui essa nasce»;7 il mito non prende vita dal fantasticare dei popoli primitivi: esprime un momento di sviluppo nel lungo e travagliato cammino della coscienza umana, è l’attuarsi progressivo di Dio nella natura e nella religione naturale. Quando questo processo rag-giunge la consapevolezza, alla mitologia si sostituisce la Rivelazione il cui culmine è rappresentato dalla figura di Cristo. Dunque Hebbel opera una sorta di transustanziazione vivificando il mito attraverso l’opera teatrale la cui mimesi storicizza il mito stesso. Drammatizzando il mito – non a caso Hebbel sceglie il mito nazionale per eccellenza – il processo della storia del mondo è imitato nell’opera e il suo corso non è determinato dagli uomini, ma dalla storia stessa. I personaggi sono soggetti alla sua legge ed essi stessi incarnano il divenire storico.

Per concludere questa breve disamina sulla ricezione della materia nibe-lungica è inevitabile parlare di Richard Wagner. Data la vastità dell’argomento sarà opportuno soffermarsi su un particolare aspetto del suo pensiero – fondamentale per la sua produzione artistica e per il nostro di-scorso – che si riallaccia a quanto fin qui esposto. Il fallimento della rivolu-zione del 1848 impose a Wagner un radicale ripensamento circa la sua Wel-tanschauung che lo spinse a riflettere sulle cause della crisi che l’arte stava attraversando e a cercarne una soluzione. Ma per analizzare il problema è necessario risalire alle origini del processo artistico occidentale: dunque ai Greci. Nella tragedia greca Wagner riconosce qualcosa in più di una sempli-ce forma d’arte: la rappresentazione tragica è «l’unità di Dio, del popolo, del poeta e del teatro».8 O meglio, è una cerimonia religiosa divenuta opera d’arte in cui si assiste ad una fusione di tutte le componenti della società. In essa il poeta tragico unifica le arti (danza, musica e poesia) all’insegna del mito, il soggetto della tragedia. Ma il mito altro non è che una concezione collettiva della vita, la più alta espressione dello spirito greco; la comunità stessa diventa così l’autore della tragedia. Questa identità perdura anche nell’atto stesso della rappresentazione nel momento in cui il coro cessa il proprio canto per ritornare fra il popolo rendendolo parte attiva dell’azione scenica. Per Wagner questa manifestazione di unità artistica e comunitaria si interrompe con la dissoluzione dello stato ateniese. Ma la rovina saranno l’ascesa dell’Impero Romano e l’affermazione del Cristianesimo. Il primo svuoterà gli anfiteatri per riempire i circhi con i suoi feroci spettacoli; il se-condo sostituirà all’arte la filosofia. Dal tramonto della Tragedia passeranno due millenni di buio durante i quali le tre sorelle, le tre arti, verranno smem-brate e mercificate. È evidente che la polemica di Wagner si rivolge alla so-cietà a lui contemporanea colpevole, a suo giudizio, di avere fatto dell’arte un’industria, dell’artista un mestierante. Il teatro, ormai un piacevole diver-sivo per le classi agiate, è scisso in due generi: il teatro di prosa e l’opera.

7 FABRIZIO DESIDERI, Il velo di Iside: coscienza, messianesimo e natura nel pensiero

romantico, Bologna: Pendragon, 1997, p. 153. 8 JEAN-JACQUES NATTIEZ, Wagner androgyne, Essai sur l’interprétation, Paris: Chris-

tian Éditeur, 1990; trad. it. Wagner androgino, Torino: Einaudi, 1997, p. 17.

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Mentre il primo manca di ispirazione poetica, nel secondo i compositori cercano unicamente espedienti per stupire il pubblico. Certamente non sono mancati grandi esempi quali Gluck, Mozart, Spontini, ma anche nei lavori di questi grandi compositori, la musica viene composta separatamente dal li-bretto senza tenere eccessivamente conto dello svolgimento drammatico.

Per superare questa fase, che vede l’arte soggetta all’industria e all’egoismo, è necessario recuperare lo spirito dei greci, ma ciò può accade-re solamente attraverso un radicale mutamento del contesto sociale. In pri-mo luogo bisognerà sbarazzarsi del denaro e rendere gratuite le rappresenta-zioni; inoltre, all’egoismo impostosi così lungamente, si sostituirà il comu-nismo – da non intendersi ovviamente in senso marxista – che farà dell’arte uno slancio collettivo, una necessità comunitaria. Ma a differenza dei Greci, che fecero della tragedia un’arte soltanto ellenica, l’opera dell’avvenire sarà universale, priva di confini nazionali. Tutto ciò sarà possibile purché l’uomo si riconcili con la natura quale valore universale: solamente in essa recupe-rerà la libertà perduta che fece del greco l’uomo libero, bello e forte.

Quando si saranno presentate le condizioni sociali, l’artista dell’avvenire – ovviamente Wagner stesso – potrà creare l’opera nuova nella quale le tre sorelle torneranno ad abbracciarsi e danzare insieme. La strada era già stata aperta da Ludwig van Beethoven con la IX Sinfonia quando il Maestro «get-tò l’ancora, e quest’ancora fu la Parola ».9 L’opera d’arte nascerà quando le arti non avranno più motivo di esistere individualmente nel loro egoismo e si riunificheranno spontaneamente spinte dall’amore. Ma quale sarà il sog-getto dell’opera d’arte dell’avvenire? Essa dovrà celebrare dell’individuo la morte «non fortuita, ma necessaria, determinata dalla sua azione, frutto della pienezza della sua essenza».10 L’abbandono dell’egoismo e il totale assor-bimento nella comunità l’uomo lo manifesta nella morte, e solo questa sarà degna di essere rappresentata sotto forma di mito. Già nel 1849 Wagner a-veva abbozzato Gesù di Nazareth, un dramma in cui Cristo appariva come riformatore sociale. Ma la figura cristica verrà presto sostituita da Sigfrido, l’eroe solare, il cui sacrificio ristabilirà l’ordine del mondo. Dunque tutte le componenti dell’arte, tutte le ragioni sociali saranno riunificate; l’opera d’arte dell’avvenire verrà restituita al popolo e in funzione di essa e delle sue necessità si costruiranno i nuovi anfiteatri (Wagner stava già pensando a Bayreuth).

Si ritornerà più avanti a parlare di Wagner dal momento che le sue in-fluenze estetiche e culturali sul film di Fritz Lang sono assai evidenti, anche se in filigrana.

9 RICHARD WAGNER, Das Kunstwerk der Zukunft, Leipzig: 1850; trad. it. L’opera

d’arte dell’avvenire, Milano: Rizzoli, 1963, p. 80. 10 Ibid. p. 155

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CAPITOLO II LA GENESI DEL FILM NAZIONALE

Il film Die Nibelungen (1924) fu per il suo tempo certamente il progetto

più ambizioso che una casa di produzione tedesca avesse mai affrontato; le riprese, iniziate nel 1922, impegnarono il regista Fritz Lang e il suo cast per circa due anni. Per il lancio del film nel 1923 venne pubblicato il romanzo (corredato da fotografie scattate durante le riprese) Das Nibelungenbuch (Il romanzo dei Nibelunghi) di Thea von Harbou, moglie e sceneggiatrice di Lang; quest’ultima, nel 1914, aveva partecipato come attrice ad un allesti-mento de Die Nibelungen di Hebbel; ed è una testimonianza sintomatica dell’influenza che questo dramma esercitò su più di una generazioni di tede-schi il fatto che la sceneggiatrice scelse di suddividere e intitolare le due parti del film secondo l’impostazione del dramma di Hebbel. La prima par-te, Siegfrieds Tod, fu proiettata il 14 febbraio 1924 alla presenza del Mini-stro degli Esteri Gustav Stresemann; la seconda, Kriemhilds Rache, due me-si più tardi. L’intero film, della durata complessiva di quasi cinque ore, era supportato – dal vivo – dalla musica sinfonica del compositore Gottfried Huppertz. Una sintesi dei propositi estetici e culturali che sono alla base del film ci viene fornita dallo stesso Fritz Lang in un articolo di pochi giorni successivo alla prima del film; in esso ci dice che:

nel caso de i Nibelunghi il punto non era di fare un film in stile americano, con uno sguardo rivolto a tutti i possibili secondi fini. Qui la sola cosa che importava era l’opera.11

La polemica con Hollywood non era una prerogativa di Lang. A partire dagli anni ’20 in Germania si sviluppò una certa repulsione verso il cinema americano dovuta alla sua massiccia infiltrazione nel territorio nazionale; nelle sale cinematografiche l’esuberanza di film d’oltre oceano, rispetto alla distribuzione interna, era vista come una minaccia culturale dal momento che le pellicole hollywoodiane venivano considerate sostanzialmente prive di cultura e destinate ad pubblico ingenuo – cioè quello americano. Più a-vanti nello stesso articolo Fritz Lang insiste sulla contrapposizione tra Ger-mania e America. Infatti i suoi scenografi Hunte e Kettelhut:

hanno costruito la cattedrale e la foresta tedesca negli studi di Babelsberg. Non in stile americano. E ancora, voglio essere così sfacciato da affermare che lo spirito che perva-de i set dei Nibelunghi ha più respiro di universalità di quanto ne sia mai sorto dal suolo di Los Angeles, poiché esso deriva da una grande nazione…12.

L’intento di Fritz Lang era in primo luogo quello di mettere fuori gioco il cinema americano attraverso un’ opera che si distinguesse dalla produzione indistinta e seriale di Hollywood; un’opera che avesse come suo fondamen-to la presunta superiorità di cultura e tradizione del popolo tedesco. Ecco che ancora una volta, non appena si avverte l’urgenza di affermare la pro-pria identità culturale, si ricorre ai Nibelunghi, il mito nazionale. In secondo luogo doveva essere un film destinato al popolo tedesco e quindi era neces-

11 FRITZ LANG, Arbeitsgemeinschaft im Film, «Kinematograph», 17.II.1924; cit. in

DAVID J. LEVIN, Richard Wagner, Fritz Lang and the Nibelungen: the Dramaturgy of Disavowal, Princeton: Princeton University Press, 1998, p. 96.

12 Ibid.

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sario che si distinguesse anche dalle innumerevoli rivisitazioni del passato sullo stesso argomento:

noi non stiamo affrontando un qualsiasi vecchio adattamento filmico di un’opera che già esiste in qualche altra forma. Piuttosto, ciò che stiamo affrontando, è il tempio spiri-tuale di una nazione. Così il nostro dovere verso Die Nibelungen era necessariamente di creare un film che non banalizzasse il suo aspetto sacro e spirituale; un film che sarebbe appartenuto al Volk e non, come l’Edda o il poema medievale, che appartengono a un ristretto numero di menti privilegiate e colte.13

Dunque bisognava creare un manifesto che dimostrasse al mondo il vero spirito tedesco e che fosse una formula visiva per un popolo che «dopo una lunga giornata di logorante lavoro non può avere la forza d’animo di pren-dere un grosso libro e leggerlo con i suoi occhi stanchi».14 Il grande storico del cinema tedesco Siegfried Kracauer aveva letto, in queste dichiarazioni programmatiche, un’anticipazione della propaganda di Goebbels.15 In effetti sembra quasi che Lang e la Harbou vogliano compiere un’azione che in un certo senso richiama alla mente quel futuro cui Wagner ambiva; ma in tutt’altro senso. È come se avessero voluto restituire, attraverso il mito rap-presentato nel film, l’identità e l’orgoglio nazionale ad un popolo ormai in ginocchio. La grave crisi economica (nel novembre del 1923 si cambiava un dollaro per 4000 miliardi di marchi)16 e la grande disoccupazione avevano messo in crisi la già debole Repubblica di Weimar. Ricostruendo la foresta, il drago e l’antica corte dei Burgundi tornavano così a vivere gli antichi eroi. Non nei teatri, ma nel buio della sala riemergeva il glorioso passato di una nazione che non poteva riconoscersi nella miseria che ora la circondava.

La vicenda del film era nota a tutti, ma, come afferma il regista, essa non doveva essere una delle tante rivisitazioni; bisognava proporre qualcosa di nuovo. La novità non consiste tanto nella trama, che è sostanzialmente fede-le al poema medievale – con qualche obbligatoria citazione tratta da Wagner –, piuttosto essa si manifesta nella psicologia dei personaggi che risulta mo-derna e nell’attualizzazione di alcuni elementi (come si vedrà meglio in se-guito). Ognuno di essi agisce non più secondo il codice cavalleresco di cor-te, ma viene spinto da fini egoistici o da istinti e passioni irrefrenabili, spes-so connessi alla conquista di qualcosa sia esso amore, denaro, potere o ven-detta. Tutto è orchestrato dal Fato che sin dalla prima scena instaura una se-quenza di cause-effetto ineluttabile. Il meccanismo ha inizio sin dalle prime battute quando Siegfried ascolta la descrizione della corte dei Burgundi e della bellissima Kriemhild e avrà termine con la strage dei Burgundi stessi per mano di Attila. L’ultima scena vede Attila gettarsi nelle fiamme che av-volgono la sala della sua corte con in braccio il cadavere di Kriemhild. Il fuoco purificatore fa il suo ritorno in scena dopo quello che salì fino al Wal-halla nel finale della Götterdämmerung.

13 FRITZ LANG, Worauf es beim Nibelungen-Film ankam, cit. in DAVID J. LEVIN, Ri-

chard Wagner, Fritz Lang and the Nibelungen, cit. p. 97. 14 THEA VON HARBOU, Vom Epos, cit. in DAVID J. LEVIN, Richard Wagner, Fritz Lang

and the Nibelungen, cit., p. 130. 15 SIEGFRIED KRACAUER, From Caligari to Hitler: A Psychological History of the

German film, Princeton: Princeton University Press, 1947; trad. it. Da Caligari a Hitler: una storia psicologica del cinema tedesco, Torino: Lindau, 2001, p. 143.

16 SABBATUCCI-VIDOTTO, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Bari: Laterza, 2004, p. 301.

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Se lo scopo per Fritz Lang e Thea von Harbou era quello di creare un film che fosse un prodotto puramente tedesco, non dovettero avere eccessivi problemi durante la sua progettazione dal momento che, come si è visto, il XIX secolo aveva prodotto una forte tradizione della saga nibelungica. Le fonti culturali, dal poema epico ad Hebbel e Wagner, permisero loro una certa libertà sull’argomento tanto da poter attualizzare la vicenda dietro il costume medievale. Ma, perché il film risultasse un prodotto tedesco e uni-tario, tutte le sue componenti dovevano corrispondere a questa esigenza. Dal punto di vista prettamente cinematografico il film si colloca pienamente nel-la corrente espressionista. Inquadrature, scenografie e costumi richiamano immediatamente il cinema tedesco di quegli anni che, a partire da Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, Robert Wiene, 1920) aveva, film dopo film, consolidato il proprio linguaggio. C’è, in tutta la pellicola, un costante tentativo di ridurre qualsiasi scena ad una composi-zione decorativa: gli sfondi e i personaggi con i loro costumi sono sempre disposti in modo da risultare un disegno simmetrico. Spesso gli uomini stes-si fungono da accessorio o da elemento ornamentale per sfruttare al massi-mo le potenzialità della macchina da presa. In una delle prime scene l’incedere della famiglia reale di Worms viene ripreso alle spalle di alcuni soldati immobili (tutti vestiti della medesima tunica; tutti nella stessa posi-zione con le gambe divaricate, l’elsa della spada nella mano destra, lo scudo nella sinistra) che risultano nulla di più che dei semplici pilastri; oppure i nani incatenati che fungono da piedistallo al urna contenente i tesori di Al-berich. Questo «trionfo totale del decorativo sull’umano»17 venne interpreta-to da Kracauer come un’anticipazione di quello stile monumentale che a-vrebbe caratterizzato i discorsi pubblici di Hitler: secondo lo storico, Triumph des Willens (Trionfo della volontà, Leni Riefenstahl, 1935), film ufficiale del Congresso del Partito svoltosi a Norimberga nel 1934, dimo-strerebbe come gli scenografi nazisti, e in particolare Albert Speer,18 si fos-sero ispirati a Die Nibelungen per l’organizzazione scenica delle masse. O meglio, il film di Lang sarebbe stato un banco di prova in piccolo per quell’estetizzazione della politica che fu tipica del Nazismo.

È opportuno citare a questo proposito la critica mossa da Thomas Elsa-esser al metodo utilizzato da Kracauer. Nel secondo capitolo del suo libro Weimar cinema19 lo studioso analizza i due testi critici di riferimento per gli studi sul cinema espressionista nel secondo dopoguerra: il primo è il già ci-tato Da Caligari a Hitler, il secondo è il libro di Lotte Eisner L’écran dé-moniaque (Lo schermo demoniaco, 1952). La prima e fondamentale conte-stazione che Elsaesser rivolge a questi due studiosi è di aver preso in esame solo un ristretto numero di film d’autore isolandoli dal ben più vasto pano-rama del cinema di Weimar e di aver creato, a partire da questo corpus fin troppo ristretto, una tradizione e un immaginario distorti dell’intera realtà tedesca del primo dopoguerra. Domandandosi che cosa sia il cinema espres-sionista Elsaesser risponde indicando, di questo stile, da una parte le pecu-liarità tecniche – i giochi di luce, le scenografie distorte, la recitazione mec-canica ecc. – dall’altra i soggetti di questi film riconducibili a un comune

17 SIEGFRIED KRACAUER, Da Caligari a Hitler, cit. p. 145. 18 Oltre ad essere architetto del Reich, Speer divenne nel 193? Ministro degli armamen-

ti. Fu condannato a morte per impiccagione al processo di Norimberga. 19 THOMAS ELSAESSER, Weimar Cinema and after: Germany’s Historical Imaginary,

London–New York: Routledge, 2000.

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denominatore che vede la predilezione per il macabro e il grottesco, a co-minciare, solo per citare gli esempi più celebri, dal capostipite Caligari, con i suoi misteriosi omicidi e il sonnambulismo di Cesare, per procedere col mostro di terracotta del Golem, il vampiro Nosferatu e l’inquietante futuri-smo di Metropolis con le sue donne meccaniche, ecc. Ma il cinema di Wei-mar non si limita a questa spettacolarità da grand guignol e, per fare un e-sempio di quanto contasse anche il cinema popolare, l’autore riporta alla mente il successo che un film come L’angelo azzurro (e le gambe della sua protagonista Marlene Dietrich) ebbe a livello mondiale. Mentre il libro della Eisner analizza questo movimento cinematografico da un punto di vista del suo debito nei confronti della tradizione pittorica, il lavoro di Kracauer pre-tende invece, come indicato dal sottotitolo, di studiare il fenomeno sotto la lente della psicologia. Il titolo stesso sottintende l’esistenza di un ponte di-retto tra il cinema espressionista e la conquista del potere da parte del Nazi-smo di cui il primo sarebbe stato spia. La sconfitta e l’umiliazione di Ver-sailles avrebbero prodotto nella società tedesca un trauma assai profondo del quale le allucinazioni e il clima noir di questi film sarebbero stati la naturale esternazione. In secondo luogo, secondo Elsaesser, i due saggi sono stati stesi dai propri autori durante il loro esilio all’estero in seguito all’ascesa al potere di Hitler (quello della Eisner è stato pubblicato in Francia, il secondo negli Stati Uniti) e portano (fin troppo) i segni della prospettiva post-traumatica di chi li ha scritti.

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CAPITOLO III TESSERE DI MOSAICO

Se dunque il terreno, per quanto riguarda le fonti letterarie e cinemato-

grafiche, era già stato ampiamente preparato, resta escluso l’ultimo elemen-to, cioè quello musicale. Come già detto la musica del film venne affidata a Gottfried Huppertz. Nato nel 1887 a Colonia, egli studiò al Conservatorio della sua città. Presto comincia a lavorare come cantante presso l’Hoftheater di Coburgo guadagnandosi in fretta l’appellativo e il titolo di “Hofsänger”. In seguito si specializza anche come attore e comincia a comporre musiche per il teatro. Nei primi anni ’20 si trasferisce a Berlino dove stringe amicizia con Fritz Lang. Huppertz inizia a collaborare con Lang come attore parteci-pando a due piccole parti in Vier um die Frau e in Dr. Mabuse der Spieler. Allorché il regista si appresta a girare Die Nibelungen, essendo a conoscen-za del talento musicale dell’amico, decide di affidargli il compito di com-porre un accompagnamento musicale per il film; inizialmente Huppertz fu renitente alla proposta per il timore di subire il paragone con Wagner – de-stino inevitabile. Infine accettò dopo avere visto che il film si basava sul po-ema epico e che quindi avrebbe potuto comporre una musica originale. La prima del film fu un disastro: mentre Huppertz aveva finito in tempo il suo lavoro, Fritz Lang era in ritardo con il montaggio. Il direttore d’orchestra Ernö Rapée non fece in tempo a terminare la sincronizzazione dell’orchestra – composta da 60 elementi – con il film per via delle modifiche apportate all’ultimo momento: si può immaginare il risultato. Forse per questo moti-vo, in Francia e negli Stati Uniti si preferì adattare delle musiche di Wagner per l’accompagnamento. Ciò suscitò il risentimento di Fritz Lang il quale, in un comunicato, da un lato dichiarava la sua ammirazione per il grande com-positore, ma dall’altro sosteneva di aver preferito la musica originale di un giovane di talento ed esperto delle dinamiche del cinema.20

Si è visto come le fonti culturali, letterarie e cinematografiche del film

fossero marcatamente tedesche. Quindi anche la musica ideata per accom-pagnare e completare il significato della pellicola doveva essere necessaria-mente tedesca. Certamente la tradizione musicale nazionale era sterminata, ma il problema era quello di trovare una forma che si prestasse a seguire i personaggi, a commentarne le azioni e gli stati d’animo. Inoltre, data l’importanza del soggetto, essa doveva avere un carattere austero e solenne, lungi da quello stile improvvisativo e atmosferico che caratterizzava le mu-siche degli stessi film espressionisti. Questa formula non poteva che essere ritrovata nel Leitmotiv, la cui tecnica si era ormai consolidata nei decenni dopo la “rivoluzione copernicana” avvenuta col Ring wagneriano. Inoltre, una volta scongiurato il timore che il film fosse basato sulla tetralogia, Hup-pertz poté utilizzare questo sistema in piena libertà, quasi creando un ponte diretto con l’opera di Wagner. Ma, essendo musica pensata e composta in funzione di un film, e non di un dramma musicale, il Leitmotiv acquista in questo caso un significato differente da quello wagneriano. In Huppertz la partitura deve essenzialmente sopperire all’assenza della parola e quindi l’utilizzo del tema è in primo luogo associato alla narrazione visiva. Che il nuovo motivo venga presentato in coincidenza dell’ingresso di un nuovo

20 www.geocities.com/argaman_bergman/huppertz.

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personaggio avviene spesso nel Ring; ma in Wagner accade anche che un Leitmotiv venga esposto prima ancora che il personaggio, o lo stato d’animo a cui è associato, abbia fatto la sua comparsa in scena, cosa che conferisce al tema musicale una carica semantica straordinaria. Il caso più eclatante si trova senza dubbio in Die Walküre atto III. Brünnhilde, dopo avere portato in salvo Sieglinde, le annuncia che avrà un figlio intonando per la prima volta il tema di Siegfried il quale esisterà, come personaggio, addirittura nel-la giornata successiva. In Die Nibelungen ciò non accade mai tranne che in un’occasione: durante i titoli di testa, che Huppertz sfrutta come una piccola ouverture, vengono presentate due idee tematiche molto contrastanti tra di loro (la prima, Andante, in Si bemolle minore; la seconda, Allegro, in Do maggiore) che acquisiranno significato solamente durante lo svolgimento dell’azione filmica. Allora sarà chiarito che si riferiscono, il primo alla fa-miglia dei Burgundi e il secondo a Siegfried.

Esempio 1: primo Gesang. Tema dei Burgundi

Esempio 2: primo Gesang. Tema dell’eroismo di Siegfried

Per il resto del film la presentazione dei nuovi Leitmotive coinciderà sempre con l’introduzione di un nuovo personaggio, di uno stato d’animo o di un oggetto e mai anticipata. Ma, una volta annunciato, il tema assume una propria autonomia e viene reiterato ogni qual volta l’azione scenica lo ri-chieda sempre appoggiandosi all’avvenimento. La tecnica compositiva di Huppertz si può definire in questo senso lineare dal momento che raddoppia musicalmente il processo visivo unendosi in simbiosi ad esso. Solo attraver-so la struttura filmica lo svolgimento musicale e tematico acquisisce senso e risulta imprescindibile da essa: si crea un’unità strettissima tra i due lin-guaggi che si completano a vicenda. Una volta ben radicato nel tessuto mu-sicale e filmico il tema viene talvolta utilizzato come cellula mnemonica an-che in assenza della situazione cui si riferisce, ma il referente è sempre pre-sente. In una delle prime scene della seconda parte del film, Kriemhilds Ra-che, la protagonista si reca sul luogo dove è stato ucciso Siegfried e, mentre la donna osserva il punto del vile omicidio, ormai ricoperto di neve, l’orchestra intona il tema dell’eroe ucciso in modo minore. Ovviamente i Leitmotive nel corso del film vengono variati armonicamente e ritmicamen-te; talvolta, con una procedura tipicamente wagneriana, si trovano sovrappo-sti in modo da creare una sorta di aritmetica dei valori semantici: spesso in maniera piuttosto elementare, ma in alcune occasioni il risultato è potente. L’impressione generale che si ricava dall’ascolto è di una melodia continua, interrotta unicamente dalla scansione del film in Gesänge, sette per ognuna delle due parti del film: intelligente soluzione al problema del cambio dei rulli. Ogni Gesang dura circa un quarto d’ora, la dimensione di un rullo; i-

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noltre questa fortunata formula ricorda la suddivisione del poema medievale in “avventure” e, allo stesso tempo, la simmetria dei due atti del dramma di Hebbel andando ad aumentare così la severità formale del film. Il compositore Hans Erdmann, autore della musica per il film Nosferatu-Eine Symphonie des Grauens (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau e re-sponsabile della parte estetica del libro Allgemeines Handbuch der Film-Musik, definisce il procedimento utilizzato da Huppertz Mosaikstücken21 (tessere di mosaico). Il commento è in realtà ironico dal momento che, se-condo il musicista, Huppertz doveva essere da una parte più parsimonioso nell’uso dei Leitmotive, dall’altra più abile ad utilizzarli in maniera signifi-cativa. Giudizi di valore a parte, la definizione è indovinata se si cerca di descrivere l’effetto generale della partitura: come in un mosaico l’immagine è il risultato di centinaia di piccole tessere accostate, così la colonna sonora di Die Nibelungen risulta un monumentale susseguirsi di temi guida acco-stati tra loro spesso in senso dialettico; ma ciò è dovuto, come già detto, dal-la fusione che sussiste tra musica e immagine filmica. Le considerazioni di Erdmann risultano, a mio giudizio, ingenerose nei confronti dello sforzo ti-tanico compiuto da Huppertz per contribuire musicalmente alla realizzazio-ne di un film il cui fine (nazionalista) era la celebrazione della nazione tede-sca; le cui fonti erano la tradizione tedesca. Un uso più parsimonioso dei temi avrebbe reso la musica descrittiva se non addirittura coloristica privan-do il film di quella aura di “sacralità” voluta con tanta insistenza dai suoi genitori. Persino il Ring, spesso adattato in diverse versioni tagliate, risulta da “ambiente” e fuori luogo. Credo che la musica per un film come Die Ni-belungen non potesse essere concepita diversamente; forse potevano esserne perfezionati diversi aspetti, ma non la sua ossatura. L’influenza di Wagner non si esaurisce comunque nell’uso del Leitmotiv. Essa si percepisce anche nella scelta degli strumenti a cui vengono affidati i temi. In alcuni casi il riferimento è piuttosto esplicito come nel caso di Sie-gfried il cui tema principale è affidato al corno.

Esempio 3: primo Gesang. Tema principale di Siegfried Quasi inevitabile è il ricordo di quel sapore silvestre del tema del corno di Wagner. Non certamente dal punto di vista prettamente musicale, ma a livello semiotico questo risulterà importante per la valenza simbolica di Sie-gfried. Come si vedrà più avanti, infatti, Siegfried è un personaggio estre-mamente legato alla Natura:

Esempio 4: Wagner, Tema del corno

21 HANS ERDMANN, Allgemeines Handbuch der Film-Musik, 1927; cit. in CHRISTOPH

HENZEL, Wagner und die Filmmusik, «Acta Musicologica», vol. LXXVI, 2004, pp. 89-115: 97.

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La stessa cosa si presenta anche con il Leitmotiv di Kriemhild che, come

in Wagner per Gutrune (il suo equivalente wagneriano), è eseguito dal clari-netto.

Esempio 5: primo Gesang. Tema di Kriemhild

Una volta enunciati i temi vengono “prestati” alle altre famiglie come immediata variazione, ma, non appena si ripresenta la necessità, ritornano proprietà dello strumento ad essi originariamente destinato poiché sua è la matrice timbrica e dunque simbolica. A questo proposito è opportuno fare una digressione sull’orchestra voluta da Huppertz, anch’essa debitrice della tradizione wagneriana. Osservando la prima pagina della partitura (vedi supra, fig. 1) balza subito all’occhio l’importanza affidata agli ottoni e in special modo ai corni. Mentre per i le-gni mantiene la tradizionale suddivisione a due – con l’inclusione di un cor-no inglese – per gli ottoni si assiste ad un potenziamento della loro sezione. Il comando è affidato ai corni che sono addirittura quattro; seguono due trombe, tre tromboni e la tuba. Questa disposizione permette al compositore di scrivere, per corni e tromboni, accordi perfetti in modo da poter ottenere un timbro omogeneo e fare sezione a sé. Spesso a questi strumenti sono de-dicati momenti contrappuntistici nascosti all’interno della trama musicale. Oltre agli archi, anch’essi disposti secondo la tradizionale disposizione in violini primi, secondi, viola, violoncello e contrabbasso, c’è un elemento di novità rispetto all’orchestra wagneriana, ovvero il pianoforte la cui funzione è del tutto innovativa. Infatti non è mai utilizzato, secondo la tradizione pia-nistica, come strumento solista o da accompagnamento, ma il suo utilizzo è puramente timbrico. Ad esso sono affidati lunghi tremoli, arpeggi o tappeti armonici. Un uso tipico che Huppertz fa di questo strumento è di affidargli una cellula melodica da ripetere come un ostinato al fine di creare una sfu-matura di colore in sotto fondo.

Esempio 6: terzo Gesang. Ostinato del Tema di Brunhild Questo trattamento si ripercuote anche sulla scrittura pianistica che risul-

ta eccezionale rispetto alla tradizione accademica: talvolta è indicata una so-la mano; di frequente lavora a ottave parallele. Al pianoforte sono affidati due Leitmotive entrambi molto concisi. Il primo, quello di Hagen, – la cui prima esposizione appare nel secondo Gesang – è basato sulla scala esatona-le. Questa conferisce al tema, in maniera un po’ stereotipata, un carattere misterioso, che lascia presagire le torbide macchinazioni del vassallo di Gunther.

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Esempio 7: secondo Gesang. Tema di Hagen

Il secondo tema, sempre basato sulla scala esatonale è quello del tesoro che farà la sua comparsa, anch’esso nel secondo Gesang, in relazione ad Alberich e al tesoro del quale è custode:

Esempio 8: secondo Gesang. Tema del Tesoro Il pianoforte è considerato come il raddoppiamento dell’arpa di cui ven-gono sfruttate tutte le potenzialità timbriche e dinamiche assenti nell’altra; l’arpa, d’altronde, è presente nell’orchestra, ma il suo utilizzo è limitato alle funzioni tradizionali che questo strumento svolge nell’orchestra romantica: ad essa sono affidati estesi arpeggi a conclusione di frase o ampli glissandi. Infine, oltre ai timpani, l’orchestra è dotata di una batteria di percussioni (lo strumento specifico è indicato volta per volta) il cui scopo spesso tra-scende quello puramente orchestrale. Infatti le percussioni incarnano i mo-menti diegetici del film. Ce ne sono altri in cui un vero tema coincide con l’immagine – come il segnale del corno, in cui il tema e l’attore che suona sono sincronizzati –, ma forse la percussione è lo strumento più evidente in questo senso: anche lo spettatore meno attento alla funzione della musica nel film si accorgerebbe che il glockenspiel che ascolta è la campana che vede dondolare sullo schermo, o l’incudine su cui Siegfried sta forgiando la sua spada. Si può affermare, in modo forse azzardato, che questi momenti di coincidenza musica-immagine provano come tutta la musica di Gottfried Huppertz composta per Die Nibelungen sia in un certo senso diegetica: è la parola che la tecnologia non ha ancora concesso al cinema. Si può concludere questo capitolo sottolineando che la tecnica composi-tiva del Leitmotiv usata da Huppertz, per quanto ampiamente debitrice dell’esperienza wagneriana, mantiene una certa indipendenza di intenti. Se per l’autore del Ring la fusione inscindibile di musica e parola era la condi-zione indispensabile per la realizzazione dell’opera d’arte dell’avvenire, per Huppertz l’unità della musica con il film risulta una necessità dal momento che la sua funzione primaria è quella di colmare il vuoto lasciato dall’immagine in movimento e soprattutto di conciliare lo sguardo con quel trauma visivo creato dal montaggio. In entrambi i compositori la tecnica del Leitmotiv serve a dare unità all’intero lavoro, ma se in Wagner quest’unità risulta circolare, come tutti gli elementi della tetralogia, in Huppertz, come già detto, è lineare dal momento che raddoppia a livello musicale il processo visivo.

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CAPITOLO IV SIEGFRIED E MIME

All’inizio di Siegfrieds Tod, la prima delle due parti del film, lo spettato-

re si trova immediatamente proiettato in una situazione particolare. Infatti, come nel primo atto del Siegfried di Wagner, la scena si svolge nella fucina di Mime il fabbro. Ma il personaggio di Mime è un’invenzione di Wagner del tutto estranea alla tradizione nibelungica e la scelta di aprire il film, di-chiaratamente filologico, con una scena simile deve avere necessariamente una spiegazione. Innanzitutto bisogna precisare che i due personaggi non coincidono del tutto. Nella tetralogia la figura di Mime fa la sua comparsa già nel Rheingold; è fratello di Alberich ed entrambi appartengono alla stir-pe dei Nibelunghi. Egli è fin da subito coinvolto nell’intreccio di vicende che vede al centro la conquista dell’oro, e il suo legame con Siegfried è strettamente connesso allo scopo. Raccolto Siegfried in fasce – la madre Sieglinde muore nel darlo alla luce – Mime alleva il fanciullo nella foresta con la speranza di conquistare, grazie al suo aiuto, l’anello e i tesori custodi-ti da Fafner nelle vicinanze. Sin dai primissimi scambi del dramma si avver-te una grande tensione tra i due: da un lato Mime, intento a forgiare una spada mentre il giovane è nel bosco, non nasconde i suoi secondi fini; dall’altro Siegfried, ormai adulto, manifesta repulsione nei confronti del fabbro che dice, mentendo per i suoi secondi fini, di essere contemporanea-mente di lui padre e madre. Ma egli ha visto gli animali accoppiarsi e non si riconosce in quel nano:

Da sah ich denn auch Là dunque io pur vidi mein eigen Bild; l’immagine di me stesso ganz anders als du completamente diverso da te dünkt' ich mir da: io là mi vidi: so glich wohl der Kröte proprio come somiglierebbe al rospo ein glänzender Fisch; il pesce rilucente; doch kroch nie ein Fisch aus der Kröte! Ma mai pesce sbucò fuori dal rospo!

Rivelata la non parentela e il nome della madre, Mime consegna a Sie-gfried i frammenti della spada Notung lasciatigli in eredità da lei; il giovane ordina che quei frammenti vengano saldati, ma l’arte di Mime non è suffi-cientemente raffinata per un’impresa simile poiché «solo colui che non ha mai provato la paura riforgerà Notung» (Siegrfied, atto I, scena ii), e l’unico in grado non può essere che Siegfried, l’artista dell’avvenire. Secondo l’interpretazione di Jean-Jacques Nattiez, per Wagner Mime rappresenta, insieme al fratello Alberich, il prototipo del compositore ebreo che ha venduto la sua arte all’industria; infatti Mime, per mano di Wagner, non fa che lagnarsi di mancate ricompense:

Das ist nun der Liebe Ecco, dunque, dell’amore schlimmer Lohn! l’amaro compenso! Das der Sorgen Ecco delle pene schmählicher Sold! l’obbrobriosa paga! [...] […] Und aller Laste E di tutti i miei pesi ist das nun mein Lohn, ora è questo il mio compenso: dass der hastige Knabe che il fanciullo furioso mich quält und hasst! m’odia e mi tormenta!

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Anche il vocabolario di Siegfried conferma questa tesi: tutte le parole ri-volte a Mime, ormai a lui inviso, seguono il copione dello stereotipo razzista dell’ebreo. Mime è un rospo, un elfo che «quando lo vedo camminare così, ondeggiando, barcollando e ciondolando, con gli occhi ammiccando, io vor-rei quel taccagno afferrare e dare il colpo di grazia alla ripugnante creatura» (Siegfried, atto I) . Oltre tutto Mime, come Alberich, non ha un tema pro-prio, ma gli viene affidata una cantilena – cfr. supra – che ripete in conti-nuazione per tentare di commuovere Siegfried ostentando i sacrifici fatti per amore del ragazzo. Nattiez osserva come questa cantilena tenda ad imitare, per l’uso delle appoggiature, quegli “stridii” da Sinagoga violentemente di-sprezzati da Wagner nel suo saggio Das Judenthum in der Musik (Il giudai-smo nella musica, 1850) e cerca di dimostrarlo riportando un frammento della partitura wagneriana:22

Esempio 9: Wagner, Tema di Mime

In questo saggio antisemita, pubblicato con lo pseudonimo di R. Freige-dank, Wagner attribuisce la colpa del decadimento della musica principal-mente agli ebrei, colpevoli, ai suoi occhi, da una parte di possedere il potere finanziario, dall’altra di essere incapaci di comporre musica perché privi di passione, sedotti dalle lusinghe del denaro e privi di una vita interiore. Il bersaglio principale è Meyerbeer la cui musica tenderebbe ad assecondare i gusti del pubblico portando l’arte musicale ai livelli più bassi. Nel processo di disgregazione delle arti la responsabilità degli ebrei è evidente per Wa-gner. Per accentuare il senso di inadeguatezza musicale il suo attacco si ri-volge anche nei confronti della lingua: in tutta Europa «l’Ebreo parla sem-pre una lingua straniera con farfugliamenti e difetti di pronuncia e non ha, come fonte di ispirazione musicale, che gli assurdi melismi dei canti delle sinagoghe».23 Come già detto il film inizia nella fucina di Mime, ma il Mime del film non è il medesimo del Ring. Egli ci viene subito presentato come l’opposto visivo di Siegfried: mentre l’eroe, intento a forgiare una spada, è bello, biondo e sorridente, Mime è un nano dai capelli scuri e scompigliati, la sua espressione è contratta; l’eroe occupa il centro della scena, mentre l’altro è buttato in un angolo.

22 JEAN-JACQUES NATTIEZ,. Wagner androgino, cit. p. 77. 23 Ibid., p, 27.

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Fig. 3: Mime

Anche la musica è tutta a favore del primo: in questa breve scena vengo-no esposti in successione tutti i temi di Siegfried allo scopo di porre in risal-to la presentazione dell’eroe. La struttura interna di questo momento musi-cale è molto organizzata e tutta in funzione dell’esposizione del Leitmotiv principale di Siegfried (es. 3). La scena si apre con l’inquadratura di un monte coronato da un arcobaleno (vedi infra fig. 5, p. 36); in questo istante viene esposto il primo tema del film.

Esempio 10: primo Gesang. Tema di Siegfried fabbro Tale motivo viene ripetuto e variato diverse volte per poi lasciare il te-stimone al tema dell’eroismo di Siegfried (es. 2). Riferendomi al tema del fabbro l’ho definito il primo del film dal momento che è il primo ad avere una relazione diretta con l’azione filmica; in realtà il motivo dell’eroismo di Siegfried era già stato annunciato nei titoli di testa, ma è soltanto nel mo-mento in cui subentra la componente visiva che è possibile classificarlo co-me Leitmotiv, e tale è la sua forza: sono trascorsi pochi minuti dall’elenco degli attori, sceneggiatori e regista, tanti da permettere che la musica appena ascoltata stia ancora ristagnando nella memoria. E quel tema che sembrava essere da supporto all’obbligata procedura, acquista ora un valore semantico preciso nell’associazione stessa con l’eroe intento a forgiare la spada. Dopo quattro ripetizioni del tema, con un andamento armonico studiato per creare tensione (Si bemolle, Fa, La due volte), la musica sembra sospen-dersi sopra l’accordo di settima di dominante con la quinta eccedente di La; ci si aspetterebbe una risoluzione in Mi bemolle, invece viene esposto il te-ma di Siegfried in La bemolle sesta (es. 3). Una volta annunciato viene subi-to modulato e variato ritmicamente in Mi. A seguito del tema centrale ven-gono ripetuti una sola volta il motivo dell’eroismo e quello della fabbro a chiudere una struttura a ponte ABCba. Ora l’accompagnamento musicale subisce un brusco cambiamento e ci informa, come già visto in Wagner, che anche in Die Nibelungen, Mime e i suoi sono in qualche modo riconducibili allo stereotipo ebraico per quanto, in questo caso, tale atteggiamento razzi-sta sia, a mio avviso, del tutto gratuito.

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Le fattezze fisiche di Mime già ricordano le parole del Siegfried allor-quando il protagonista si rivolge al “padre” con appellativi poco lusinghieri (cfr. p. 23), ed a conferma di ciò il Nibelungo, alzatosi per ammirare la spa-da, ha una deambulazione incerta e goffa. Terminata questa sequenza, i due si dirigono verso l’uscio della caverna; ora ha inizio il nuovo momento musicale introdotto da un tappeto del piano-forte e dei registri bassi degli archi.

Esempio 11: primo Gesang. Accompagnamento del pianoforte

Su questo accompagnamento si sviluppa un contrappunto dei legni che, per il portamento puntato e l’uso di scale aumentate, assume un colore quasi Klezmer la cui matrice timbrica risiede nel clarinetto. Ma la sua funzione è totalmente estranea a quel simbolismo voluto da Wagner al fine di “etichet-tare” un personaggio: in questo caso l’utilizzo di un cliché musicale ricon-ducibile alla cultura ebraica risulta una citazione – wagneriana – accessibile a chi abbia gli strumenti per coglierla piuttosto che il l’intenzionale derisio-ne degli “stridii da Sinagoga” effettuata da Wagner (vedi supra, p.24).

Esempio 12: primo Gesang. Musica “Klezmer”

Mentre l’orchestra esegue questo momento coloristico, sullo schermo un

gruppo di Nibelunghi sta parlando del castello di Worms e della famiglia dei Burgundi che lo abita. Siegfried, intento a preparare il cavallo (bianco) per fare ritorno a casa, sente per la prima volta nominare la regina Kriemhild: questo racconto fornisce in lui una visione filmica del regno di Worms coin-cidente sia per Siegfried che per lo spettatore – l’eroe ha uno sguardo mera-vigliato, come se avesse realmente visto quanto offerto allo spettatore del film – al termine della quale decide di conquistare la regina, suscitando l’ilarità dei presenti. A questo punto è necessario fare un passo indietro.

Nella prima didascalia del film leggiamo Mime rivolgersi a Siegfried con

queste parole:

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Da sprach Mime, der kunstreiche Schmied: Reite heim nach Xanten, Siegfried, König Siegmund Sohn! Selbst ich vermag Dich nichts mehr zu lehren! [Mime, l’esperto fabbro disse: cavalca verso Xanten, figlio del re Siegmund! Neanche io ho la capacità di insegnarti altro!]

Dunque sappiamo che il Siegfried del film, a differenza del personaggio

wagneriano, non è un orfano allevato da Mime per i propri fini. D’altronde Mime non sembra avere al momento intenzioni sinistre: come nel Ring, an-che nella pellicola di Lang è rappresentato quale incapace e invidioso dell’opera altrui – emblematico il gesto di lasciare cadere una piuma sulla lama forgiata dall’allievo per testarne l’affilatura; divisasi a metà Mime, sconsolato, congeda dalla propria fucina Siegfried che ride beffardo –, ma è innocuo e il suo ruolo drammaturgico si esaurirà a breve. La didascalia ci informa inoltre che Siegfried è il principe di un regno ben definito, Xanten, esattamente come nel Nibelungenlied. A differenza del film, nel poema il giovane eroe sente parlare delle meraviglie del regno di Worms e della bel-lissima Kriemhild proprio a corte e in queste differenze bisogna leggere la scelta fatta da Lang e la Harbou. La decisione di ambientare l’incipit del film in un contesto così marcatamente wagneriano risiede nella volontà di attribuire al personaggio di Siegfried le stesse qualità dell’omonimo della te-tralogia. Anziché dotarlo di un retroterra culturale tipicamente cortese – e in questo caso anacronistico – come quello del Nibelungenlied, si è preferito collocare l’apprendistato del giovane eroe in un ambiente primitivo e isolato dal mondo; Siegfried è il figlio del re Siegmund, ma la sua reazione al rac-conto del regno di Worms non è certamente quella che ci si aspetterebbe da un principe avvezzo alla vita di corte: lo stupore dei suoi occhi d’innanzi al racconto del Nibelungo tradisce un’ingenuità del tutto infantile adatta a chi ha sempre vissuto all’interno di una sola comunità, in questo caso Mime e i suoi collaboratori, senza avere mai visto il mondo se non in quella sua ri-stretta porzione. Come il Siegfried di Wagner, non appena liberatosi di Mi-me, rimane sconvolto di fronte al corpo addormentato di Brünnhilde escla-mando «Das ist kein Mann!, ma non è un uomo!» (atto III) – Siegfried non aveva mai visto i precedenza una donna –, così nel film accade una cosa si-mile attraverso il racconto di Mime, ed è del tutto auspicabile che l’indicazione geografica della città d’origine, Xanten, e l’utilizzo costante del patronimico – König Siegmund Sohn, figlio del re Siegmund – siano solo dei referenti di circostanza per dare al film un’aura di fedeltà filologica al poema medievale. In realtà il protagonista ci viene da subito presentato co-me un personaggio isolato e privo di legami con il passato, quasi che na-scesse nel momento stesso in cui batte la spada sull’incudine. Egli è una sor-ta di “buon selvaggio” dotato però di valori morali innati superiori a quelli di un uomo qualunque e questa lettura del personaggio di Siegfried da parte di Fritz Lang e la Harbou si riallaccia perfettamente con un modello di vita che il nazionalismo tedesco stava inseguendo da diversi anni.

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Fig.4: Siegfried

Il rifiuto della società industrializzata in favore di un recupero dei valori tradizionali si era già verificato in una certa letteratura popolare durante l’età guglielmina: senza mai osteggiare realmente il progresso tecnologico, che in fin dei conti garantiva prosperità alla nazione, questa letteratura for-niva un’ immagine confortevole di un mondo fondato su antichi valori che contrastavano con la progressiva massificazione della società a loro attuale. Lo scrittore che ebbe più successo in questo ambito fu Ludwig Ganghofer con i suoi romanzi sul mondo agricolo e sull’atavico rapporto dell’uomo con la madre terra nei quali «il contadino veniva usato per rappresentare simbo-licamente una forza e una virilità non ancora svigorite dalla modernità che si espandeva ovunque».24 Fu con la tragedia della prima guerra mondiale che la natura acquistò un valore nuovo agli occhi di tutti gli europei e special-mente dei tedeschi. Il conflitto stesso aveva creato un mito dell’esperienza bellica attraverso il quale da un lato i reduci poterono comprendere ed ela-borare gli orrori cui avevano preso parte, dall’altro diede loro senso ad una vita altrimenti banale. Tuttavia i miti hanno bisogno dei loro simboli e così la guerra si appropriò della natura, dei boschi e delle montagne che per la prima volta condivisero il destino degli uomini catapultati in una guerra im-personale, tecnologica e basata sugli eserciti di massa: il bosco che circon-dava le trincee veniva così assassinato insieme al soldato, la montagna di-strutta assieme ai battaglioni. Ma per i tedeschi, che più di tutti gli sconfitti avevano perso la guerra, ciò non era sufficiente e così ben presto la natura vivente divenne il simbolo della resurrezione dei morti e della nazione. Nei Boschi degli eroi, cimiteri integrati nelle foreste, la patria rendeva veramen-te onore ai caduti, e la natura, con il suo ciclo di vita e morte simboleggiava la continuità storica con il passato. Nella montagna si trovò infine il luogo in cui l’uomo poteva recuperare quei valori pre-industriali da tempo cercati; nella purezza della vetta l’individuo rinasceva distaccandosi e innalzandosi dal materialismo e dalla spersonalizzazione della società: ritornava in tal modo innocente e genuino.25 In breve tempo in Germania si sviluppò un ge-nere cinematografico di successo attorno alla mistica della montagna il cui progenitore fu Arnold Fanck con il film Wunder des Schneeschuhs (Prodigi

24 GEORG L. MOSSE, Masses and Man. Nationalist and Fascist Perceptions of Reality,

New York: Howard Ferting, Inc., 1980; trad. it. L’uomo e le masse nelle ideologie naziona-liste, Bari: Laterza, 1999, p. 46.

25 Ibid. , pp. 253-265.

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dello sci, 1920), il quale, tra l’altro, scoprì il talento di Leni Riefenstahl. Non a caso il primo lavoro diretto dalla futura regista del Terzo Reich fu Das blaue Licht (“La luce blu” distribuito in Italia con il titolo “La bella ma-ledetta”, 1932), un film ambientato sulle Dolomiti in cui la protagonista Jun-ta (interpretata dalla Riefenstahl stessa) è una giovane vergine – incarnazio-ne delle forze elementari della natura. Junta è considerata dagli abitanti del paese come una sorta di strega da emarginare – è bella, selvaggia e vive solitaria sul monte - ; ma è l’unica ad avere accesso ad una misteriosa cava di cristalli che, nelle notti di luna piena, emettono una misteriosa luce blu.26

Non stupisce dunque la scelta di caratterizzare il personaggio di Sie-

gfried con questa veste naïve: egli è l’eroe tedesco, forte e puro e queste qualità non possono essere innate in un individuo cresciuto nella società in-dustrializzata, ma solo in un uomo nato e cresciuto in quei luoghi dove i va-lori pre-industriali sopravvivono ancora – come già detto la prima inquadra-tura del film, che ci indica dove si trova la grotta di Mime, ritrae un monte coronato da un arcobaleno la cui presenza “sacralizza” il luogo stesso sim-bolo di purezza.

Fig. 5: il monte in apertura di film

Se per Wagner il ritorno alla natura è la condizione imprescindibile per la realizzazione dell’opera d’arte dell’avvenire, allora è evidente il rapporto privilegiato che Siegfried, l’artista dell’avvenire, ha con gli elementi naturali (l’orso catturato per spaventare Mime o il Waldvogel – l’uccello della fore-sta). Ma il film, riprendendo il modello wagneriano e adeguandovisi del tut-to – ecco spiegata la “ebraizzazione” di Mime e dei suoi, altrimenti incom-prensibile – vuole aggiungere alla tradizione wagneriana un elemento di contemporaneità che sicuramente doveva essere recepito immediatamente da un tedesco degli anni ’20 del secolo scorso. Tuttavia questa Weltan-schauung fondata sulla purezza e sull’ innocenza costituirà la colpa e la condanna a morte di Siegfried – in entrambi i casi, sia nel Ring che nel film – allorché egli si scontrerà con la cultura della società fatta di egoismi e ipo-crisie. Entrando in contatto con meccanismi a lui sconosciuti Siegfried tende

26 Un curioso caso del destino: la futura regista del Terzo Reich, alla quale Hitler darà

carta bianca per girare film di propaganda nazista, realizza la sua prima pellicola narrando i pregiudizi “medievali” di una comunità montanara capace di giungere, sulla base di questi, sino alla persecuzione fisica di un’innocente. Junta infatti morirà a causa della propria eso-genia.

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man mano a perdere le sue caratteristiche originali e questo processo di cor-ruzione minerà anche le sue difese. Secondo l’interpretazione di David J. Levin le cause della sconfitta vanno ricercate, in aggiunta a questo, anche nella perdita di controllo del proprio medium sia esso verbale, nel caso di Wagner, o visivo, come nel film. Comunque in entrambi i casi il potere è appannaggio di colui che è in grado di pilotare, per i propri scopi, la volontà altrui, quindi il medium attraverso il quale si manifesta: in ogni caso è Ha-gen, il vassallo del re Gunther. Nella Götterdämmerung, ad esempio, Sie-gfried cade troppo facilmente nelle trappole linguistiche tesegli da Hagen: la perdita di controllo delle proprie apparenze, nella continua reiterazione del racconto della sua vita, gli saranno fatali. Allorché gli viene somministrato il secondo filtro Siegfried racconta, senza accorgersene, la storia d’amore con Brünnhilde fino a quel momento omessa. Questa involontaria confessione sarà la sua condanna a morte.

Nel caso del film il potere è fondato sullo sguardo e la psicologia di ogni personaggio è affidata a questo. Come descritto sopra, circa la reazione del protagonista al racconto del regno di Worms, lo sguardo di Siegfried è sem-pre ingenuo, sembra quello di uno sprovveduto; al contrario Hagen, il torbi-do cospiratore e vero centro del potere, ha uno sguardo oscuro e calcolatore intensificato dal fatto che è privo di un occhio: egli è menomato, ma al tem-po stesso onnisciente. In tutto il film Siegfried sembra sempre estraneo ai processi umani e psicologici tant’è che al momento del litigio tra Brünhild e Kriemhild, avvenimento che scatenerà la cospirazione ai suoi danni e, di conseguenza, la sua morte, l’eroe è ripreso nell’atto di giocare, assieme ad alcuni servi di corte, con un arco. Persino durante la caccia, teatro dell’assassinio, non sembra accorgersi di nulla persino di fronte all’inequivocabile atteggiamento del re Gunther con le mani nei capelli per il rimorso di aver condannato a morte un uomo colpevole di avere assecon-dato la propria volontà.

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CAPITOLO V COME SIEGFRIED UCCISE IL DRAGO

Terminato l’apprendistato presso Mime, Siegfried è pronto per lanciarsi

alla conquista di Kriemhild; ma prima di riuscirci gli si presenteranno degli ostacoli – primo fra tutti il drago – necessari al completamento del suo per-sonaggio. Siamo ancora nel primo Gesang, quello drammaturgicamente più debitore dell’opera wagneriana e, sebbene gli avvenimenti siano piuttosto fedeli al poema medievale, è inevitabile non pensare allo scontro con Fafner nel Siegfried di Wagner, specialmente dal punto di vista della costruzione musicale.

Desideroso di conoscere la strada per Worms, Siegfried si fa accompa-gnare da Mime all’interno della foresta e, mentre procedono lungo il sentie-ro, l’orchestra (battuta 345) esegue una variazione della seconda parte del tema principale in Mi maggiore (es. 3 b) per poi esporne la prima parte (es. 3 a) modulandola cromaticamente. Una volta congedato Siegfried Mime, la cui figura fino a questo momento non aveva lasciato trasparire intenzioni si-nistre, subisce un brusco mutamento. Infatti, mentre osserva il giovane in-camminarsi, per mezzo della didascalia esclama:

Fahre wohl, Siegfried, König Siegmund Sohn! Du wirst nimmermehr nach Worms gelangen! [Vai pure Siegfried, figlio del re Siegmund! Non ce la farai mai ad arrivare a Worms!]

Ma che cosa intende dire con questa frase? Non è chiaro se Mime si au-guri che il giovane non raggiunga il suo scopo o se mestamente constati l’impossibilità dell’impresa. Tuttavia la ragione per la quale Siegfried do-vrebbe fallire ce la spiega il regista subito dopo, attraverso una prolungata ripresa (al di fuori del tempo filmico) del drago che vive nelle vicinanze. La funzione prolettica di quest’inquadratura, che rende in chiave narratologica il narratore onnisciente, è ovvia: Siegfried dovrà incontrarlo, ma non sap-piamo se spinto con l’inganno da Mime o se il percorso sia obbligato; tutto lascia presagire la prima ipotesi dal momento che Mime è evidentemente a conoscenza della presenza del mostro, mentre Siegfried, ignaro della sua e-sistenza, resterà stupito alla vista del medesimo. Questa soluzione cinema-tografica offre inoltre ad Huppertz la possibilità di esporre il tema del drago in anticipo rispetto alla lotta che avverrà a breve non appena il film, ripren-dendo il suo corso temporale, darà modo a Siegfried di accorgersi della pre-senza del mostro. Il Leitmotiv del drago è affidato all’intera sezione degli ottoni (con un ri-guardo particolare per la tuba) e ancora una volta, come nel caso del tema di Hagen (es. 7) e del tesoro (es. 8), è basato sulla scala esatonale, la quale è sempre associata, come già detto in riferimento al tema di Hagen in maniera per noi ormai stereotipata, ad una situazione di pericolo o di mistero. Tutta-via è necessario dichiarare preventivamente come questo Leitmotiv sia fin troppo debitore, e per ritmo e per armonia, di uno dei principali temi del Pelléas et Mélisande di Debussy il quale fa la sua introduzione alla quinta misura dell’ Ouverture (la massiccia influenza della musica impressionista francese su Huppertz si è già notata).

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Esempio 13: primo Gesang. Tema del drago. (Cfr. fig. 2)

Questo breve momento si chiude su Mime mentre si volta verso casa la-sciando il giovane allievo al suo destino ed esaurendo così la sua funzione drammaturgica; che si tratta di un inciso è chiarito dal fatto che la musica riprende esattamente come a battuta 345 – questa volta però in Re bemolle maggiore (la stessa tonalità in chiave del Tema del drago) – mentre l’eroe si aggira a cavallo per la foresta. Ora la prolessi annunciata nell’inciso si mani-festa quando si vede il drago abbeverarsi nel laghetto ai piedi di una piccolo dislivello sul quale si trova il serpente: l’orchestra intona il suo tema. Men-tre Siegfried si aggira disorientato tra gli alberi della foresta la sua attenzio-ne viene catturata proprio dalla visione del drago: l’istinto è irrefrenabile e, assicurato il cavallo ad una roccia, Siegfried si lancia allo scontro con l’animale. Ne nascerà una battaglia tra la spada dell’uno e il fuoco sputato dalla bocca dell’altro: l’esito sarà ovviamente a favore dell’eroe. Da questo momento (battuta 382) ha inizio una sequenza musicale che vede opposti il Tema del drago e i temi di Siegfried in senso dialettico e che avrà termine soltanto con la morte dell’animale. La sequenza dalla fine dell’inciso, è rias-sumibile secondo questo schema in cui riporto i numeri delle battute (che ho desunto dalla partitura manoscritta) e distinguo “sinotticamente” le occor-renze del tema del drago (sempre riconoscibile nonostante le variazioni me-triche e armoniche) e quelle dei due temi di Siegfried. Inoltre, dal momento che per questa scena del film – specialmente per quan-to concerne il Leitmotiv del drago, sempre assegnato alla sezione degli otto-ni – l’esecuzione dei temi è affidata di volta in volta a diverse famiglie di strumenti, ho isolato lo strumento la cui voce, intesa nella disposizione ver-ticale dell’armonizzazione, spicca rispetto alle altre e, di conseguenza, ne determina il canto. Tuttavia, ritenendo di maggiore importanza lo sviluppo tematico dell’azione scenica piuttosto della sua orchestrazione, ho tralascia-to di segnalare di volta in volta lo strumento musicale di riferimento ripor-tando in suoni reali i temi qualora siano esposti da strumenti traspositori – come nella maggior parte dei casi. In tal modo le variazioni armoniche

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dell’intera sequenza risultano inalterate rispetto alla notazione originale del-la partitura rendendo così più snella la decifrazione della tavola sinottica qui sotto riportata:

Fig. 6: Siegrfied e il drago. L’attore che girerà la scena di “nudo”, cioè Sie-gfried che si bagna del sangue del drago, sarà anziché l’attore protagonista Paul Richter, Rudolf Kleine-Rogge diventato famoso per essere stato il Dot-tor Mabuse

Fig. 7: la morte di Siegfried. Bellissima la composizione prospettica, tipi-ca del cinema espressionista, nella quale Kracauer, non a torto, riconosce un certo decorativismo della figura umana sul tutto

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DRAGO SIEGFRIED

Esempio 14: primo Gesang. Sintesi tematica della lotta tra Siegfried e il drago Alla fine della battaglia Siegfried riesce, dopo averlo accecato, a trafig-

gere il petto dell’avversario dal quale inizia a sgorgare il sangue, descritto da una scala cromatica dell’estensione di due ottave affidata principalmente ai legni. Mentre osserva l’animale agonizzante, l’eroe intinge un dito nel sangue di quello e, nel momento stesso in cui porta la mano alla bocca per assaggiarlo, capisce il canto dell’uccello appollaiato sul tiglio sotto il quale viveva il drago ormai sconfitto. Sorridendo si volta verso il volatile che gli suggerisce:

Wenn der Drachentöter sich baden wollte im Drachenblut, so würde er unverwundbar werden und gefeit gegen Hieb und Stich! [Quando l’uccisore di draghi si fosse fatto il bagno nel sangue del drago, sarebbe diven-tato indistruttibile e immune a colpi e frecce!]

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Questo momento è descritto dal tema principale di Siegfried (es. 3) ese-

guito dal violino solo sul quale il flauto modula un brevissimo tema, basato sull’intervallo di ottava, che richiama appunto il canto degli uccelli.

Esempio 15: primo Gesang. L’uccello della foresta L’eroe comprende l’opportunità e scende nel laghetto da dove può ba-

gnarsi completamente del sangue del drago – che sgorga dal dislivello come una cascata – e diventare invincibile. Ma il Destino, sempre in agguato, si intromette: infatti l’animale, nell’ultimo spasmo di vita, colpisce con la coda il tiglio – ultimo tema del drago (es. 13) – facendo cadere una foglia in un punto tra le spalle di Siegfried segnando così la sua vulnerabilità.

Un’azione certamente complessa che vede al centro il destino del prota-gonista, ma tutta questa scena è ricalcata, come detto all’inizio del capitolo, sul modello del Siegfried di Wagner. Nel secondo atto Mime accompagna Siegfried presso la caverna dove Fafner, un gigante camuffato sotto le spo-glie di un drago, custodisce l’oro del Reno e l’anello. Dopo alcuni tentativi di dissuadere Siegfried dallo sfidare Fafner, Mime desiste e lascia da solo il ragazzo che comincia a meditare nuovamente sui suoi genitori. Alla vista di un uccellino tenta di imitarne il canto, ma non ci riesce; allora, afferrato il piccolo strumento che porta alla cintura, intona il tema del Corno, variando-lo a mo’ di improvvisazione (es. 4), seguito poi dal tema di Siegfried. Que-sto gesto sveglia Fafner che, uscito dalla caverna, affronta l’eroe stupito alla vista del drago. Dopo un breve scambio di battute ha inizio la lotta fra i due. A questo punto Wagner, non avendo più il canto a disposizione, descrive musicalmente la scena alternando il tema del Corno ad un fraseggio degli ottoni nel registro grave – spicca il timbro della tuba – che duplicano orche-stralmente il registro di basso della voce di Fafner. L’azione è concitata e anche lo svolgimento dei temi ne subisce le conseguenze susseguendosi molto serratamene: il tema del Corno è prima esposto in Fa maggiore, la to-nalità di impianto, viene poi modulato in Sol, La maggiore, La minore, men-tre gli ottoni incalzano prima su intervalli di seconda minore, terza minore, quinta giusta, sesta, per poi esplodere in una scala cromatica di ottavi. Al termine della lotta Siegfried, nell’atto di pulire dal sangue di Fafner la spada Notung, si porta involontariamente la mano alla bocca e immediatamente comprende il canto del Waldvogel (l’uccello della foresta) che lo invita ad appropriarsi del tesoro contenuto nella caverna; Siegfried ne uscirà con l’anello e il Tarnhelm. Ma il Waldvogel farà qualcosa in più: infatti metterà in guardia Siegfried dai pensieri sinistri di Mime, pensieri che ora è in grado di comprendere grazie al sangue del drago.

Considerando che il poema medievale dedica la sola quartina n. 100 alla storia di Siegfried e il drago – oltretutto viene narrata da Hagen al giungere dell’eroe alla corte di Worms27 – è evidente come l’intera costruzione di questa scena per il film sia interamente debitrice dell’opera wagneriana pur mantenendosi fedele al testo medievale. Dal punto di vista scenico infatti

27 I Nibelunghi, a cura di Laura Mancinelli, Torino: Einaudi, 1975, p. 17.

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Fritz Lang e la Harbou non aggiungono nulla al poema medievale se non la presenza, di derivazione wagneriana, dell’uccello della foresta la cui funzio-ne è semplicemente quella di informare Siegfried del potere contenuto nel sangue del drago. Eppure sia l’incontro tra i due (Mime che accompagna l’eroe nella foresta; lo stupore dell’ultimo alla vista del drago), che lo svol-gimento della lotta sono esattamente paralleli a quanto avviene nella terza giornata della tetralogia. La scelta di inserire la scena del drago può essere letta da un lato come un arricchimento doveroso della sceneggiatura, dal momento che si tratta dell’episodio forse più celebre dell’intera vicenda li-quidato troppo frettolosamente dal poeta medievale; dall’altro come elemen-to di spettacolarizzazione del film – il drago doveva apparire come un effet-to speciale prodigioso per l’epoca – per aumentarne la carica avventurosa. Comunque si voglia interpretare questa scena, in ogni caso la carenza de-scrittiva del poema viene sopperita dal Ring. Ecco gli elementi forniti dal poema per la scena del drago:

So ancora una cosa, che mi è nota di lui. Un drago ha ucciso, l’eroe, con la sua mano. E si bagnò nel suo sangue: come corno ebbe dura la pelle. Non la ferisce alcun’arma. S’è veduto più volte.28 Dal momento che questo è il momento più celebre dell’epos, non può

avere unicamente Wagner come retroterra culturale: tuttavia, tra le fonti ac-certate del film, il Siegfried sembra essere l’unico lavoro che contiene drammaticamente la lotta tra Siegfried e il drago – in Hebbel, ad esempio, è Siegfried stesso a raccontare la vicenda al suo arrivo alla corte di Gunther29 – e dunque la scelta non poteva che cadere su di esso anche se, come si è vi-sto, la citazione è nascosta dietro il velo del poema.

L’aspetto del film che risulta maggiormente influenzato dal Siegfried è senza dubbio la musica; nell’ideazione dello svolgimento musicale Hup-pertz sembra seguire fedelmente l’impostazione pensata dall’illustre prede-cessore. Già nel momento che precede la visione del drago da parte di Sieg-fried, sia Wagner che Huppertz – in maniera differente – affidano all’orchestra i Leitmotive più caratteristici dell’eroe in entrambi i casi varia-ti, ma con una fondamentale distinzione: nel primo caso l’elaborazione del tema del Corno ha una funzione estremamente diegetica, dal momento che sulla scena Siegfried sta effettivamente suonando e dunque la partitura deve necessariamente assumere un carattere libero, quasi ad imitazione di chi ten-ta di migliorare una buona frase musicale appena trovata – il brusco passag-gio dal tema del Corno a quello di Siegfried ricorda, a mio giudizio, l’esecutore principiante che salta, senza criterio, da un brano che conosce ad un altro, non appena gli è venuto a noia il primo –; nel secondo caso la va-riazione è più legata ad una necessità di sviluppo tematico: lavorando uni-camente sui Leitmotive, la cui funzione è spesso didascalica, Huppertz sag-giamente tenta di variarli il più possibile, spesso reinventandoli quasi ex no-vo, allo scopo di non rendere banale e nauseante la traduzione sonora dell’immagine filmica. Esclusa questa, non casuale, coincidenza – d’altronde si è visto il parallelo drammaturgico tra dramma musicale e film – il punto di contatto più prossimo tra i due compositori si rileva proprio nella sequenza della lotta fra Siegfried e il drago. L’analisi delle due partitu-

28 Ibid. 29 FRIEDRICH HEBBEL, Die Nibelungen, Stuttgart: Philipp Reclam, 1967, p. 7.

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re – la cui attenzione è rivolta maggiormente al film, oggetto dello studio – dimostra come Huppertz abbia seguito pienamente il modello wagneriano. Se la soluzione di sintetizzare il combattimento con un uso dicotomico dei motivi si era già rivelata efficace in una scena concitata come quella del Siegfried che, per ragioni teatrali, nell’arco di un minuto doveva concentrare lo svolgimento dell’azione, la stessa idea doveva risultare la migliore per seguire i tempi di un film. Infatti la scena del drago del film è assai più lun-ga dell’omologa del Siegfried e questa dilatazione temporale permette ad Huppertz di poter svariare sui diversi Leitmotive legati alla figura di Sie-gfried alternandoli a quello del drago che, come riportato nello schema so-pra (es. 14), subisce anch’esso variazioni sia di tempo che armoniche.

Tuttavia questo parallelismo tra le due composizioni non deve essere let-to come una pedissequa imitazione – da parte del debuttante compositore – del modello culturalmente più elevato: in fin dei conti è difficile concepire un sistema musicale coerente, il cui scopo sia descrittivo, differente da quel-lo fin’ora descritto. La dialettica tra le due sfere tematiche conferisce alla sequenza musicale una tensione armonica fortissima: in Wagner è dovuta al-lo scontro tra il centro armonico del tema del Corno e le scale cromatiche evocanti la figura di Fafner; in Huppertz tra diversi temi di Siegfried, sem-pre tonalmente definiti e l’enigma esatonale del tema del drago.

L’ultimo punto di congiunzione musicale tra i due lavori, riguardo que-sta scena, risiede infine nello studio del timbro. Come già detto al drago è affidata, sia nel Siegfried che nel film, l’intera sezione degli ottoni, ma, co-me anticipato sopra, si assiste ad un uso particolare della tuba. Che sia in ef-fetti lo strumento più indicato per descrivere un animale dalle imponenti dimensioni è piuttosto scontato, ma in Huppertz, oltre a rappresentare tim-bricamente il drago, questo strumento, che non partecipa attivamente al Leitmotive vero e proprio, ne diventa il cardine. La sua presenza emerge a conclusione di frase come una coda (es. 13) e il risultato che ne deriva è quasi quello di un tema dentro il tema.

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CAPITOLO VI ALBERICH E IL CINEMA

Il secondo ostacolo che si presenta a Siegfried, lungo la strada che porta

al regno di Worms e a Kriemhild, è rappresentato da Alberich, il guardiano del tesoro dei Nibelunghi; siamo nel secondo Gesang, ma questa lunga sce-na, che risulta un numero chiuso all’interno del film, è frutto del racconto fatto da Volker – un menestrello cieco – alla famiglia reale di Worms. Il suo canto, che ha come oggetto le imprese compiute da Siegfried e il suo immi-nente arrivo alla corte dei Burgundi, – una sorta di profezia dovuta al cliché dell’aedo cieco –, produce in Kriemhild e nel resto dei presenti una visione delle gesta di Siegfried che coincide con la scena di Alberich. A questo pun-to è necessaria una digressione circa la mise en scène dei primi due Gesän-ge: l’ideazione scenica di questa prima porzione di film presenta infatti una struttura estremamente rigorosa che si può definire, in un certo senso, a chiasmo sia per quanto riguarda il processo filmico, sia per la funzione dei suoi personaggi.

Il primo Gesang si apre con la già menzionata scena ambientata nella fu-cina di Mime seguita poi dal racconto, in cui l’eroe sente parlare di Kriem-hild, che produce in lui e nello spettatore una visione prolettica del regno di Worms e della sua regina. Per Siegfried è subito amore e decide di conqui-starla. Analogamente il secondo Gesang ha inizio, questa volta ex abrupto se si esclude la breve scena della famiglia reale, con un racconto in cui ora è Siegfried l’attore della visione e Kriemhild la spettatrice. Questo aspetto ri-sulta importante, nell’economia del film, dal momento che, per entrambi, è amore a prima vista pur senza essersi mai incontrati in precedenza. Ciò con-ferma la tesi di Levin secondo la quale nel film di Fritz Lang il potere è ba-sato sulla vista e sia Siegfried sia (inizialmente) Kriemhild sono entrambi destinati alla sconfitta dal momento che non hanno controllo su questo me-dium.

Dal punto di vista musicale il secondo Gesang è costruito in maniera mi-rabile: infatti Huppertz riesce a trascendere le esigenze filmiche, pur rimanendo fedele alla tecnica del montaggio dei temi, attraverso delle raffinate suggestioni armoniche e stilistiche di gusto, per l’epoca, assai moderno. Il canto – un bemolle in chiave – si apre con un accordo, degno di Debussy o del Satie delle Gymnopédies, dal centro armonico incerto: Sol minore settima col Do al basso sul quale viene enunciato un breve tema diatonico (in realtà se si esclude la prima nota – un Si bemolle – è pentatonico) in 3/4 che, a differenza degli altri citati, non sembra essere classificabile come un Leitmotiv, ma risulta piuttosto un momento coloristico che accompagna Volker intento a cantare alla viola il proprio racconto. La musica, sviluppandosi su questa sospensione armonica, sembra non doversi risolvere mai finché non appaiono in successione – non casuale – il tema di Kriemhild (es. 5) e il tema di principale Siegfried – in 4/4 – affidato al violoncello (es. 3): per la prima volta un motivo viene utilizzato come referente mnemonico, dal momento che l’eroe è fisicamente assente, pur essendo oggetto della narrazione. Questo momento idilliaco viene interrotto da un brevissimo inciso nel quale fa la sua comparsa per la prima volta il tema di Hagen (es. 7) quasi a interporsi già da subito tra i due futuri innamorati. La musica riprende da capo – 3/4 – e chiude questa scena introduttiva la cui struttura può essere ricondotta a quella di una Liedform (ABA) dilatata in cui A è la sequenza musicale dal sapore impressionista e

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sicale dal sapore impressionista e B i tre temi (Kriemhild, Siegfried e Ha-gen). Ma ora ha inizio il film dentro il film; si spengono le luci e appaiono in chiave le cinque alterazioni del Si bemolle minore.

La visione di Kriemhild incomincia come una prosecuzione del finale del primo Gesang. La scena si svolge nella foresta che ora è resa ostile, a diffe-renza di prima, da una fitta nebbia che avvolge gli alberi, ed anche la musica subisce un brusco mutamento rispetto alla omologa sequenza ambientata nel bosco. Mentre, prima che Siegfried incontrasse il drago, lo sviluppo temati-co era tutto in favore dell’eroe, ora l’atmosfera assume un carattere oscuro, minaccioso, dovuto ad un ostinato affidato al violoncello che richiama da un lato quello stato di agitazione angosciosa percepito nel preludio della Wal-küre, dall’altro, per l’uso della figura melodica dell’ostinato che prevede un ottavo seguito da un frammento di scala cromatica in trentaduesimi, quei temi wagneriani sempre associati a figure o situazioni la cui presenza è ne-gativa.

Tuttavia un’analisi musicale continua di questo numero chiuso risulta più difficoltosa delle altre dal momento che, per la lentezza dello svolgimento filmico, la composizione si avvicina maggiormente alla struttura di un poe-ma sinfonico piuttosto che alla finora descritta tecnica del Leitmotiv come montaggio tematico.

Immediatamente, viene presentato il personaggio di Alberich, accucciato in una nicchia ricavata nel tronco di un albero.

Fig.8: Alberich

Non appena il custode del tesoro si accorge del sopraggiungere di Sie-gfried a cavallo indossa il Tarnhelm (l’elmo magico, qui rappresentato da una sorta di rete) per rendersi invisibile e, allorché Siegfried è nei pressi dell’albero, lo aggredisce alle spalle; o meglio, noi, essendo consapevoli dell’inganno, vediamo l’eroe divincolarsi e cercare di allentare un’invisibile presa al collo. Ma l’eroe tedesco non può soccombere così facilmente e, con un semplice gesto, si scrolla di dosso l’aggressore strappandogli dalla testa, quasi ne fosse inconsciamente a conoscenza, il Tarnhelm. Riprese le proprie sembianze Alberich, ormai certo della sconfitta, implora pietà a Siegfried offrendogli in cambio della propria vita, prima l’elmo magico, il quale è in grado di trasformare le sembianze di chiunque in qualunque cosa si voglia, in seguito il tesoro di cui è guardiano:

Da sprach Alberich, der Nibelung: Schenke mir das Leben um der Tarnhelm, Held! Un-sichtbar macht er, verleiht jedwede Gestalt! [...] Schenke mir das Leben, Held und ich will Dich zum reichsten König der Erde Machen!

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[Così parlò Alberich, il Nibelungo: eroe, lasciami la vita in cambio del Tarnhelm! Esso rende invisibile, conferisce qualunque sembianza! […] Lasciami la vita, eroe, e ti renderò il re più ricco al mondo!]

Lo sviluppo musicale fino a questo momento prevede, oltre alla sequenza

descritta poco sopra, una variazione dell’ostinato del violoncello la quale, pur mantenendo la propria natura, si adegua all’esposizione del nuovo tema di Alberich eseguito dal corno inglese. La scelta di questo strumento può es-sere oggetto di diverse interpretazioni; da un lato la sua funzione è certa-mente timbrica, cosa che si addice al clima visionario della scena; dall’altro, ma questa è una semplice supposizione, il corno inglese potrebbe suggerire un’associazione con la Sinfonia Dal Nuovo Mondo (op. 95) di Dvořák. In essa il corno inglese assume il ruolo di protagonista in più di un’occasione allorché il compositore, al fine di conferire ad alcuni temi musicali – ispirati alla tradizione indigena – una certa couleur locale, affida al legno la loro esposizione rendendo così il timbro di questo strumento immediatamente identificabile con la cultura d’oltreoceano, al pari dello stereotipo del clari-netto associato al mondo Yiddish, come visto sopra. Il nesso tra Dvořák e la figura di Alberich potrebbe consistere – come si vedrà tra breve – nel lega-me che si può istituire tra quest’ultimo e gli Stati Uniti. A questo tema fa séguito il Leitmotiv del Tarnhelm, un breve motivo di minime contenuto nell’intervallo di una quinta eccedente, sul quale fa ritorno la figura iniziale del violoncello. Il tema riapparirà più avanti, nel quarto Gesang, quando Siegfried accetterà di assumere, per mezzo dell’elmo, le sembianze di Gun-ther al fine di “ammansire” l’orgogliosa Brunhild durante la prima notte di nozze tra lei e il re dei Burgundi; gesto di cui il re non è all’altezza essendo – visto sotto la lente della letteratura mitteleuropea di quegli anni, debitrice dei rivoluzionari studi freudiani – sostanzialmente un impotente, cosa che si manifesta in tutti aspetti della sua personalità.

Siegfried decide di graziare l’avversario, ma si appropria comunque del Tarnhelm, l’oggetto della sua futura rovina. I due si incamminano verso la grotta nella quale riposa l’oro promesso a Siegfried.

Esempio 16: secondo Gesang. Tema di Alberich

Poco prima di entrare nella caverna la struttura metrica passa in 6/4 e

prepara l’esposizione del nuovo tema che accompagnerà gran parte di que-sta sequenza. Il nuovo motivo è ancora una volta pensato sulla scala esato-nale ma, a differenza di quelli citati in precedenza, ora evoca – per l’utilizzo dei legni accostati agli archi e di una figura ipnotica del pianoforte costituita dal Si bemolle ribattuto ogni volta all’ottava inferiore per la distanza di tre ottave (cfr. es. 6) – un’atmosfera sognante, quasi quella di un carillon. Una volta entrati nella spelonca Alberich fa da guida ad uno spaesato Siegfried illuminando il cammino per mezzo di una sfera di cristallo che tiene sul pal-mo della mano. Finalmente giungono nella sala del tesoro di cui viene

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esposto il tema (es. 8); ma, mentre percorrono il camminamento che, attra-verso una lenta discesa, conduce all’urna contenente oro e gioielli, Alberich si ferma per mostrare qualcosa a Siegfried. Improvvisamente, avvicinando la sfera alla parete della grotta, il guardiano del tesoro proietta su di essa un’immagine “filmica” in cui si vedono dei Nibelunghi intenti a costruire un’enorme corona. Ovviamente Siegfried – lo spettatore naïf – rimane scon-certato dall’apparizione e, avvicinatosi al muro, cerca di toccare con una mano l’immagine. Prontamente Alberich dà una spiegazione di quanto ac-cade:

Es schmieden die Krone die Nibelungen dem Nordlandsbeherrscher, dem Eisriesenkö-nig. [I Nibelunghi forgiarono la corona del re di Eisriesen, colui che regna i regni del Nord].

A questo punto è opportuno chiedersi chi sia Alberich e cosa rappresenti.

Secondo l’interpretazione di Kracauer e di Levin egli è di nuovo un ebreo, ma a differenza della suggestione wagneriana di cui si è parlato a proposito di Mime – e della sua funzione rispetto al personaggio di Siegfried –, in questo caso non ci sono dubbi: lo stereotipo razzista dell’ebreo è pienamente centrato. In un certo senso il suo aspetto fisico e morale anticipa di circa un decennio la propaganda antisemita di Goebbels: a cominciare dal naso a-dunco, dalla deformità fisica (cfr. fig. 7) per terminare con l’atteggiamento, prima infido con l’aggressione alle spalle (esasperata dall’invisibilità ottenu-ta per mezzo del Tarnhelm), e poi vile con la supplica di pietà, siamo nel pieno di un cliché, a posteriori disgustoso, ma in fin dei conti purtroppo tol-lerato e diffuso in tutta l’Europa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Non è chiaro se attribuire a Fritz Lang e a Thea von Harbou (per quanto quest’ultima aderì, nel 1933, al partito Nazional Socialista mentre il marito lasciava la Germania) una chiave di lettura razzista; tuttavia è indiscutibile che il personaggio di Alberich rappresenti, con una ricercata violenza esteti-ca e culturale, un ebreo. Secondo lo studio di Nattiez, come già visto, per Wagner l’omonima figura incarna, insieme a Mime, il prototipo del compo-sitore semita votato all’industria dell’arte. Non appena Alberich, all’inizio del Rheingold, comprende il potere contenuto nel tesoro, immediatamente ripudia l’amore – la vera arte – delle Rheintöchter (le figlie del Reno) per l’oro e i vantaggi cui esso porta – l’arte assoggettata all’industria. L’atteggiamento stesso delle tre sorelle – Woglinde, Wellgunde e Flosshil-de, le tre arti che ancora danzano insieme in armonia – nei confronti di Al-berich è molto simile a quello già menzionato di Siegfried nei confronti di Mime. Durante il corteggiamento erotico da parte di Alberich, le parole del-le Rheintöchter sono piuttosto esplicite. Ad esempio:

Wellgunde Wellgunde Bist du verliebt [Se sei innamorato, Und lüstern nach Minne, e bramoso di voluttà, lass sehn, du Schöner, vediamo, bello, wie bist du zu schau’n? – qual’è il tuo aspetto? - Pfui! du haariger, Puh! irsuto, höckriger Geck ! gibboso vanesio! Schwarzes, schwieliges Nero, calloso Schwefelgezwerg! gnomo sulfureo! Such’dir ein Friedel, Cercati un’amante dem du gefällst! cui piacere!]

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Come in tutta la tradizione, anche nel film Alberich è il re dei Nibelunghi e custode del loro tesoro; ma vi è qualcosa in più. La polemica di Lang col cinema hollywoodiano raggiunge in questo momento la sua acme. Infatti Alberich, nel momento in cui mostra a Siegfried l’immagine “filmica” sulla parete della caverna, rivela immediatamente sé stesso come il possessore del mezzo cinematografico – la sfera di cristallo nel palmo della sua mano in grado di proiettare film. Ma egli inoltre è un ebreo, un elemento avulso dal popolo tedesco; se da un lato questa estraneità è riconducibile all’invasione del cinema hollywoodiano all’interno del suolo nazionale, dall’altro il semi-tismo di Alberich rappresenta anche il luogo comune, già visto in Wagner, del potere finanziario dell’industria dell’arte – e non solo – in mano agli e-brei. Da un punto di vista iconografico ciò è suggerito in particolar modo dalla corona che Alberich porta sulla testa: a mio giudizio la somiglianza con quella della statua della Libertà di New York non è casuale (fig. 6)! Con una rapida associazione mentale, Lang ci vuole comunicare l’origine cultu-rale del Nibelungo indicata dal simbolo per eccellenza del sogno americano che, in fin dei conti, egli stesso avrebbe visto un decennio dopo come àncora di salvezza. Persino il film che Alberich proietta, di per sé insignificante, può essere letto come una critica alla qualità del cinema prodotto negli Stati Uniti. Infatti l’immagine stessa dei Nibelunghi al lavoro è da un lato fine a sé stessa, dall’altro, nella sua inutilità, è sovrabbondante di elementi sceno-grafici: una brevissima sintesi della considerazione estetica che il cinema della Repubblica di Weimar aveva nei confronti di quello americano. Ma ciò non ha importanza poiché Siegfried, nella purezza del suo sguardo, ne è immediatamente rapito cadendo vittima per la seconda volta di Alberich e del potere che egli rappresenta. In fin dei conti anche l’invisibilità ottenuta per mezzo del Tarnhelm è in un certo senso legata alla capacità di controlla-re le immagini, quasi che l’elmo magico stesso fosse una metafora del ci-nema. Dunque Siegfried, incarnando il prototipo dello spettatore ingenuo «che, dopo una lunga giornata di logorante lavoro…», è letteralmente in mano a una forza straniera e, di conseguenza, minacciosa. Per citare Levin: «Hollywood è per il film tedesco ciò che l’ebreo è per la società tedesca».30

Al termine della proiezione, i due si recano nel sottosuolo non prima che

Siegfried abbia controllato per quattro volte la parete dalla quale è svanita l’immagine. Giunti al tesoro Alberich fa notare, come se prevedesse le sue reazioni, all’eroe, che si sta aggirando intorno all’urna sorretta da nani inca-tenati – ma non sembra curarsene –, l’invincibile spada Balmung. L’orchestra, dopo la lunga sequenza dal carattere cupo sopra descritta, into-na il tema della spada, un motivo aperto ricavato dal tema dell’eroismo, quasi a preannunciare l’imminente riscatto di Siegfried; a questa risponde il tema del Tarnhelm. Ne segue il tema della lotta, una variazione del tema principale di Siegfried, già apparso nella sequenza con il drago. (es.14-9). L’eroe, in maniera alquanto infantile, non esita ad impugnare la spada e a fenderla nell’aria voltando così le spalle ad Alberich il quale, attraversando l’urna del tesoro, getta un velo sul capo dell’altro. Per Levin questo gesto rappresenta ancora una volta il controllo che Alberich ha sul cinema: get-tando il velo in testa a Siegfried il Nibelungo vuole dominare sul prossimo annullandone il senso visivo, esattamente come accade nella sala cinemato-grafiche allorché cala il buio prima della proiezione. La lotta che ne scaturi-

30 DAVID J. LEVIN, Richard Wagner, Fritz Lang and the Nibelungen, cit. p. 124.

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sce, tra gli sguardi dei nani incatenati, è breve ed ha un ovvio vincitore: sca-raventato a terra, Alberich, che nella caduta perde la corona, viene trafitto dalla stessa spada che aveva indicato a Siegfried. Ma durante l’agonia del Nibelungo accade qualcosa difficile da interpretare. Ormai a terra, sconfitto, lancia una maledizione a Siegfried:

Zum fluche werde dem Erben das Erbe! Zu Stein erstarre, was Stein ich schuf! [Dannata sia l’eredità dell’erede! Diventi pietra tutto ciò che io pietra creai!]

Mentre pronuncia queste parole osserviamo la sfera di cristallo – sempre

in pugno ad Alberich – che inizia a funzionare a intermittenza, come se il suo ignoto meccanismo si fosse inceppato, e nell’attimo in cui egli spira, quasi che anch’essa esalasse l’ultimo respiro, la lanterna magica emana una potente luce in direzione dei nani incatenati all’urna, la quale, colpendoli dal basso verso l’alto, pietrifica progressivamente il loro corpo. Mentre Sie-gfried osserva questo processo la cinepresa stacca su ciò che resta di Albe-rich: anch’egli è divenuto una statua di pietra – una citazione interna al ci-nema espressionista il cui rimando a Der Golem, wie er in die Welt kam (Paul Wegener, 1920) non è da sottovalutare . È evidente che la sfera di cri-stallo ha esaurito la propria luce nell’attimo stesso della morte del suo de-tentore. Resta da domandarsi il significato simbolico di tutto ciò.

Come si rileva dallo studio condotto da Levin sulla sceneggiatura origina-le del film, il finale di questo numero chiuso doveva essere diverso da come è stato poi girato; nelle intenzioni di Lang e l’Harbou la vittoria di Siegfried su Alberich avrebbe coinciso con la risoluzione della questione legata ad Hollywood, agli ebrei e al loro controllo sul mezzo cinematografico. Infatti la scena doveva originariamente concludersi come segue.

Siegfried, una volta raccolta la sfera di cristallo dalla mano di Alberich, il-lumina con essa i Nibelunghi incatenati constatandone la pietrificazione; ri-tornando sui suoi passi getta via la sfera, ormai morta nelle sue mani, provo-cando l’esplosione della grotta di Alberich (la distruzione di Hollywood?). In seguito sarebbe riapparsa sul muro la visione filmica vista in precedenza per poi dissolversi mettendo così fine all’ansia provocata dal pericolo ester-no. Invece nel film la sfera muore nelle mani di Alberich e Siegfried non fa altro che constatare il processo di pietrificazione avvenuto nel Nibelungo: la sua attenzione è tutta rivolta alla spada Balmung che solleva, impugnando l’elsa verso l’alto, con un atteggiamento istrionico sul quale l’orchestra al completo esegue trionfalmente i due temi di Siegfried sovrapposti.

Innanzitutto questa inquadratura finale vanifica a livello drammaturgico la primissima scena del film nella quale si vede l’eroe forgiare una spada, già di per sé perfetta, la cui realizzazione suscita l’invidia di Mime. Adot-tando Balmung, Siegfried dimostra una volta di più come il debito wagne-riano di buona parte del primo Gesang sia puramente formale. L’incongruenza della sceneggiatura può essere giustificata attraverso l’escamotage di far calare le difese di Siegfried, da parte di Alberich, con la semplice visione della spada. In fin dei conti questo è un velato prestito dell’episodio omerico nel quale Odisseo smaschera Achille, camuffato da donna per non partecipare alla spedizione di Troia, confondendo tra le bam-bole delle splendide armi alle quali l’eroe, per istinto naturale, non sa resi-stere. Così Siegfried alla vista della spada volta le spalle ad un individuo dal quale dovrebbe guardarsi essendo già stato da esso aggredito.

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Inoltre non è chiara la decisione del regista di girare la scena finale se-condo questa prospettiva; la reazione al cinema hollywoodiano avrebbe pre-visto come logica la prima soluzione, ovvero quella in cui Siegfried, attra-verso il mezzo cinematografico stesso, avrebbe distrutto la grotta simbolo del monopolio ebraico. Invece l’eroe sembra non comprendere il potenziale offertogli, grazie alla sua vittoria su Alberich, dal possesso acquisito, al di là del tesoro, del mezzo di comunicazione di massa. Probabilmente l’ideazione finale di questa scena prevede che l’estinzione di un certo cinema – quello hollywoodiano – coincida con la scomparsa della sua fonte d’origine anzi-ché causarne la distruzione dall’interno attraverso l’esportazione del cinema espressionista in America. Senza voler attribuire ideologie a uomini la cui identità politica è già di per sé controversa, questa soluzione potrebbe addi-rittura essere l’equivalente, in chiave estetica e cinematografica, del collasso su sé stesso del sistema capitalistico auspicato dal marxismo, ovvero: il de-stino di una visione estetica dell’arte, fondata sul confezionamento a priori di un prodotto di massa, ha come solo futuro il fallimento delle proprie aspi-razioni allorché essa si scontra con la purezza di uno slancio autentico, cioè il cinema nazionale (e nazionalista) tedesco.

Terminata questa lunga scena interna, il film riprende dalla sala del trono

dove gli uditori, come al risveglio dopo un sogno, faticano a tornare alla re-altà. Kriemhild come ringraziamento dona a Volker il drappo che stava ri-camando, quand’ecco, con una tempistica innaturale, si sente il richiamo del corno di Siegfried giunto a corte come preannunciato dall’aedo. Segue un momento concitato in cui questo breve tema viene sviluppato in contrappun-to col tema dei Burgundi (es. 1) a intensificare la querelle in corso circa l’opportunità di accogliere o meno l’eroe a corte. Finalmente il portone del castello si apre e Siegfried è libero di entrare accompagnato dai suoi vassalli e dal tema principale eseguito dall’intera orchestra ed enfatizzato da un lun-ghissimo trillo dei flauti. Ma le cose precipitano immediatamente: lo scontro tra Siegfried e Hagen è immediato, ci si aspetta lo scontro fisico, ma a ripor-tare la pace è la sola presenza di Kriemhild e del suo tema (es. 5) che, scen-dendo le scale si dirige verso l’amato – visto ora per la prima volta – per porgergli una coppa di vino. Il Gesang si chiude con questa scena caratteriz-zata da un uso insolito da parte di Huppertz dell’accompagnamento musica-le rispetto a quanto visto fin’ora. Infatti mentre l’orchestra è sul punto di terminare il tema di Kriemhild, sulla partitura è indicato il violoncello solo, il quale intona un vero e proprio song (più che Lied) d’amore dal gusto leg-gero, quasi gershwiniano, che in un crescendo verrà variato e incrociato con altri temi sino al pieno orchestrale, coincidente col patto di amicizia tra Gunther e Siegfried sulla cui stretta di mano Hagen imporrà la propria come minaccioso suggello.

Esempio 17: secondo Gesang. “Tema del violoncello”

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CONCLUSIONI

Il discorso fin qui esposto occupa senza dubbio una minima percentuale dell’intera vicenda narrata, sia visivamente che musicalmente, all’interno del film per quanto, come già esposto in precedenza, questa porzione rap-presenti a mio giudizio il massimo grado di affinità sia musicale che cultura-le con il Ring. Tuttavia gli esempi riportati sembrano essere sufficienti per un iniziale tentativo di accostamento tra la tecnica leitmotivica di Wagner e quella del ben più umile Huppertz, intesa non solo dal punto di vista pretta-mente musicale, ma soprattutto da quello della coerenza semantica all’interno dell’opera.

Una descrizione dettagliata di tutti i Leitmotive presenti all’interno del film sarebbe stata, almeno in questa sede, impossibile date la vastità del loro numero e le inevitabili implicazioni drammaturgiche con la vicenda narrata.

Un intero capitolo a sé avrebbe meritato il terzo Gesang nel quale la cor-te dei Burgundi intraprende il viaggio in Islanda alla conquista di Brunhild, la regina amazzone: in questo canto vengono presentate nuove idee temati-che articolate all’interno dell’intero Gesang come un unico grande movi-mento. Fino a giungere all’ultimo quadro di Siegfrieds Tod coincidente con la morte del protagonista, cosa che già evoca inquietanti analogie con il ter-zo atto della Götterdämmerung; per quanto anche in Huppertz si assista, come nella marcia funebre di Siegfried, ad un elaborato riepilogo di tutti i temi dell’eroe, egli tuttavia non raggiunge (ovviamente) quel grado di com-plessa ed inarrivabile drammaticità ottenuto dal predecessore.

In secondo luogo, sempre nell’ottica di un potenziale lavoro che tenti un’analisi completa del film, sarebbe molto interessante uno studio detta-gliato sulla seconda parte, Kriemhilds Rache, dal momento che, terminando il Ring con la morte di Siegfried – l’eroe assolve così la sua funzione; l’ordine del mondo viene ristabilito – cade il referente wagneriano e la mu-sica di Huppertz, pur mantenendosi rigorosamente fedele alla tecnica leit-motivica, in un certo senso sembra snellirsi, come se non avvertisse più il pericolo del confronto. Inoltre l’introduzione di molti nuovi personaggi, primo fra tutti Etzel (Attila) e la sua corte, arricchisce ulteriormente il già folto numero di Leitmotive contribuendo ad aumentare la tensione dramma-turgica specialmente quando questi entrano in contrasto dialettico con i temi già largamente assorbiti in Siegfrieds Tod.

Forse in questa sede di conclusioni risulta più interessante un paragone

con le composizioni di Huppertz successive a Die Nibelungen. Il film più celebre di Fritz Lang è senz’altro Metropolis (1927), pellicola che non a ca-so, dato il successo del precedente, presenta quasi interamente lo stesso cast “nibelungico”. Anche in questo caso la sceneggiatura è tratta da un romanzo di Thea von Harbou – questa volta il soggetto è originale – e la musica viene affidata a Gottfried Huppertz. Sebbene il film sia di carattere proto-fantascientifico – una società del 2026 che, oppressa dal tiranno John Fre-dersen, attende un “messia” che la riscatti – Huppertz, sin, dall’apertura del film, non sembra distaccarsi dall’esperimento vincente ottenuto con Die Ni-

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belungen. I titoli di testa presentano da subito quello che potrebbe essere un Leitmotiv.31

Es. 18: Metropolis. Tema della città Esattamente, come per i titoli di testa per Die Nibelungen (vedi supra. p.

17), anche in questo caso il motivo utilizzato in apertura risulterà decisivo ai fini della drammaturgia: infatti questo tema è il Leitmotiv della città stessa, la silenziosa protagonista dell’intera vicenda.

Il medesimo trattamento tematico analizzato nel mio lavoro sembra ripro-porsi in modo parallelo per Metropolis: ogni personaggio, situazione o stato d’animo viene completato insolubilmente da un motivo musicale; ed anche in assenza del referente, il significato leitmotivico non subisce alcuna varia-zione semantica. Senza eccedere in esempi superflui, uno fra tutti rappresen-ta, a mio giudizio, la costante formale ricercata da Huppertz anche in questo film, ovvero Maria. Questo personaggio rappresenta la purezza femminile che scatena in Freder – il figlio che il tiranno di Metropolis ha volontaria-mente cresciuto tra i piaceri della vita affinché non sviluppasse una coscien-za (in senso marxista) – uno shock allorché la ragazza gli mostra le reali condizioni dei suoi “fratelli” Da questo momento il Leitmotiv di Maria ac-quista una carica semantica straordinaria all’interno del film, in quanto ella rappresenta una sorta, insistere con un paragone cristologico, un Giovanni Battista – il nome della protagonista non è casuale; numerosi sono i riferi-menti biblici all’interno del film –, cioè di una vox clamntis in deserto non inutilmente profusa tra gli operai: è infatti Freder colui che gli schiavi della città attendevano da tempo quale liberatore dall’oppressione.

Es. 19: Metropolis. Tema di Maria Non è difficile il paragone con il modello nibelungico: ancora una volta il

protagonista (come Siegfried) è un ingenuo cresciuto isolato dal mondo rea-le e per causa di una donna (Kriemhild) soccomberà per la perdita di con-trollo del proprio medium (la vista) per quanto, in questo caso si sia l’happy end. Infatti Freder, innamorato di Maria, verrà ingannato dal padre stesso per mezzo di Futura, il robot costruito da Rotwang, inventore delle macchi-ne di Metropolis, al quale quest’ultimo è in grado di far assumere qualsiaisi sembianza. Fredersen sceglie quella di Maria: il robot in tal modo, senza che gli operai scoprano l’inganno, potrà sostenere falsi comizi, tenendo sot-to controllo una potenziale sommossa.

Sebbene questo sia un film ambientato nel futuro, lo stile compositivo di Huppertz non si discosta dalla sua precedente esperienza.32 Oltre al costante

31 Cfr. Back to the Future: Metropolis 1927, in PETER LARSEN, Film Music, London,

Reaktion Books, 2005, pp. 47-65.

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uso leitmotivico anche l’impianto armonico risulta ancorato alla tradizione tardo romantica con marcate influenze impressioniste. Tuttavia nel caso di Metropolis, rispetto a Die Nibelungen, capita piuttosto frequentemente di imbattersi in situazioni maggiormente accostabili alle sequenze musicali colme di pathos tipiche dei film espressionisti; un esempio è il caso del ra-pimento di Maria. Dopo il suo discorso tenuto nelle inquietanti catacombe della città, viene intrappolata dal tiranno mediante uno splendido piano se-quenza incentrato sulla soggettiva di una luce. Ora Huppertz ricorre ai tradi-zionali tremoli degli archi per conferire al momento lo stato di disorienta-mento panico. Altrove, come nella scena del Moloch, la struttura musicale si sviluppa in un climax vertiginoso che accentua la precarietà della condizio-ne degli operai presto fagogitati dalla macchina-dio.

Quanto fin qui detto riguardo alle commistioni esistenti tra Die Nibelun-

gen e Metropolis potrebbe apparentemente contraddire la mia tesi circa l’uso della tecnica leitmotivica (di matrice marcatamente wagneriana) utiliz-zata da Huppertz per la sua prima esperienza di compositore per il cinema. Eppure mi sento di affermare che tale reiterazione di un modello musicale si giustifichi, in questo caso, attraverso una ricercata coerenza lessicale. Effet-tivamente lo stesso Richard Wagner riconosceva i suoi motivi conduttori quali collante imprescindibile all’unità formale e semantica dell’opus, tant’è che ne sviluppò il modello nei lavori successivi. Perché allora Huppertz, attraverso la gratificante esperienza ottenuta con Die Nibelungen, – di nuovo, sul modello del Ring – non avrebbe dovuto percorrere una strada già saldamente battuta? In effetti Metropolis non si potrebbe considerare, dati anche i contenuti cristiani e sociali, un pur modesto Parsifal?

32 Dico ciò dal momento che noi spettatori contemporanei, ormai assuefatti al genere

“fantascientifico”, ingenuamente forse ci aspetteremmo un commento musicale di carattere “futuristico”. Eppure accogliamo con disinvoltura il An der schönen blauen Donau di Johann Strauss o lo Zarathustra di Richard Strauss in un capolavoro cinematografico quale 2001: a space Odyssey, per quanto la carica semantica di tali scelte musicali trascenda la pura scelta estetica: la loro forza consiste propriamente nell’estraniazione prodotta, ad esempio, dall’associazione di una sala da ballo di fine Ottocento con il silenzio cosmico.

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