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1 PIER LUIGI CARINI LE CAVE DI TALCO A CURLETTI Stampato in proprio Piacenza dicembre 2004

Le cave di talco a Curletti · decina di persone, alcuni erano abitanti di Casella, mentre da Curletti vi andavano Bernardi Giovanni di Giuseppe detto u Zavatén , Scaglia Costante

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Page 1: Le cave di talco a Curletti · decina di persone, alcuni erano abitanti di Casella, mentre da Curletti vi andavano Bernardi Giovanni di Giuseppe detto u Zavatén , Scaglia Costante

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PIER LUIGI CARINI

LE CAVE DI TALCO A CURLETTI

Stampato in proprio Piacenza dicembre 2004

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IL TALCO Il talco è il più tenero minerale che si conosca, chimicamente è un idrossilicato di magnesio. Ha un origine metamorfica, si forma cioè dalla trasformazione di rocce ricche di ferro e magnesio dovuta all’effetto combinato di alte pressioni, medie temperature e molta acqua. Il talco deriva infatti dall’idratazione di silicati di magnesio dovuta a fenomeni idrotermali avvenuti in epoche geologiche abbastanza recenti. Esso si presenta in cristalli per lo più imperfetti e lamellari, più spesso si trova in masse squamose, biancastre e madreperlacee, e talvolta in aggregati compatti e microcristallini. Quando il talco presenta queste caratteristiche prende il nome di “steatite” (dal greco stèar, grasso, riferito all’untuosità al tatto): un materiale tenace e facilmente lavorabile, usato per la realizzazione di monili fin dall’antichità .

Molteplici sono gli usi del talco dal settore della profumeria e della cosmetica al campo industriale, (dove le polveri del minerale sono impiegate come lubrificante a secco). La morbidezza e l’untuosità al tatto, che caratterizzano il talco, ne fanno uno dei componenti di ciprie e saponi. Sempre nel settore cosmetico e farmaceutico, la polvere bianca e impalpabile del minerale viene utilizzata come rinfrescante della pelle; è il caso del borotalco, composto di talco e acido borico, e del talco mentolato quando addizionato al mentolo. Le altre applicazioni spaziano dall’industria della carta a quella della ceramica e dei materiali refrattari in genere, fino alla produzione di vernici e di anticrittogamici. Non va dimenticato inoltre che il talco è il principale costituente della cosiddetta “pietra sapone” una roccia metamorfica saponosa al tatto, particolarmente tenera, ma anche molto tenace utilizzata per la realizzazione di piccoli oggetti ornamentali. In Italia i maggiori siti di estrazione sono in Piemonte (Val Chisone e Val Germanasca), in Lombardia (Val Malenco) e in Sardegna. A partire dagli anni trenta le ricerche minerarie si intensificarono su tutto il territorio nazionale allo scopo di reperire quelle materie prime che non potevano più essere importate a causa dell’embargo cui l’Italia era sottoposta a causa dell’occupazione dell’Etiopia e poi dallo scoppio del secondo conflitto mondiale.

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Sul nostro Appennino numerose furono le cave di talco: Groppallo, Bolgheri, Solaro, Pradovera, sul monte Albareto, ai Folli di Ferriere e sul monte Bellocchio presso Selva di Cerignale. Anche nel territorio di Curletti furono fatte delle ricerche minerarie e, a partire dal 1941, la società Mitas iniziò l’estrazione del talco a est di Curletti nel luogo poi chiamato Scaie da sartù e nei Lemè. Vi lavoravano più o meno stabilmente, a seconda della stagione e della necessità di manodopera una decina di persone, alcuni erano abitanti di Casella, mentre da Curletti vi andavano Bernardi Giovanni di Giuseppe detto u Zavatén, Scaglia Costante di Luigi, Scaglia Giovanni di Pietro, Celeste Carini di Giuseppe, Bertotti Antonio di Luigi detto Bigià e qualche altro. Alcuni erano poco più che ragazzi mentre altri o erano esentati dal servizio militare o appartenenti a classi non richiamate alle armi. A capo di questi uomini vi era Capucciati Giovanni di Costa che morirà tragicamente il 6 ottobre 1956 a Boffalora sul camion dei mondarisi. La cava era costituita da uno scavo a trincea, effettuato con picconi e badili, e il minerale estratto era trasportato a Ferriere su carri trainati da buoi. Dal capoluogo il talco proseguiva il suo viaggio in autocarro alla volta di Farini dove nel frantoio della Mitas subiva la prima lavorazione. Le cave di Curletti rimasero attive fino all’autunno del 1943 poi gli eventi bellici determinarono la chiusura della società estrattiva e il licenziamento degli operai. Nel dopoguerra l’estrazione riprese blandamente ad opera di privati che sporadicamente individuavano e sfruttavano qualche filone residuo, tant’è che nella Carta Geologica d’Italia, nelle note illustrative del foglio 83 (Rapallo) edite nel 1969 riportava, come tuttora in produzione, la cava di Curletti e del monte Bellocchio presso Selva di Cerignale. L’estrazione però non raggiunse l’importanza che aveva prima della guerra e non coinvolse più gli abitanti di Curletti. Oggi a testimonianza di questa storia rimangono solamente il nome del luogo, Scaje da sartù, le tracce di uno scavo cosparso di piccoli frammenti bruno nerastri su cui sono cresciuti arbusti e sterpi, ed i racconti di alcuni dei protagonisti.

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Racconto di Scaglia Giovanni di Pietro classe 1926 (Giuanen de Perron) Le cave di talco erano sopra Curletti. Nei Lemè si estraeva il talco più pregiato, quello bianco, mentre nelle Scajie da sartù si estraeva il talco nero. Lavoravamo anche d’inverno, soprattutto se c’era poca neve la spalavamo, mettevamo delle assi per passarvi sopra con le carriole e proseguivamo gli scavi. Nelle Scaje da sartù avevamo anche una baracca che serviva da ricovero attrezzi e da riparo nelle pause del lavoro.

Il minerale lo venivano a caricare quelli di Cerreto con carri tirati da varie pariglie di buoi per portarlo a Ferriere attraverso la strada della Pietra Marcia o più spesso passando dalla strada delle Traverse e il Mercatello. I carri erano carichi e lasciavano dei profondi solchi sulle strade. I padroni non venivano quasi mai e così potevamo regolarci il lavoro come volevamo. Eravamo pagati regolarmente. Il nostro capo era Giuanen della Costa. Ricordo che nell’estate del 1943 vennero i padroni, o qualche loro rappresentante, per dirci di stare tranquilli che nonostante gli avvenimenti che stavano accadendo (caduta di Mussolini, armistizio con gli anglo-americani, occupazione tedesca) il lavoro sarebbe proseguito e non saremmo stati disturbati nella nostra attività, ma qualche mese dopo, inaspettatamente, ricevemmo l’ultima paga e fummo licenziati.

La cava delle Scaie da Sartù ovvero scaglie da sarto

Giovanni Scaglia

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Racconto di Carini Celeste di Giuseppe classe 1926 (Cilesten) Anch’io ho lavorato alle cave del talco. Me lo ricordo molto bene anche perché una volta rischiai di essere seppellito da una improvvisa frana avvenuta nella cava dei Lemè. Il talco non si trovava in grandi blocchi ma in filoni che spesso si esaurivano rapidamente. Una volta individuata la vena si scavava la trincea che si immergeva sempre di più, seguendo lo strato di minerale. Si scavava in coppia, con il piccone, un’altra coppia caricava con il badile mentre altri portavano fuori il materiale con le carriole. Quel giorno nella cava dei Lemè la trincea aveva già raggiunto la profondità di cinque o sei metri quando, improvvisamente, con un boato, parte del terreno soprastante franò investendomi e imprigionandomi fino alla vita. Zavatén,che era vicino a me, riuscì invece ad uscire in tempo. Subito Zavatén, Costante e gli altri compagni intervennero e dopo qualche tempo a forza di piccone e badile riuscirono a liberarmi ma la paura era stata tanta. A me era andata bene ma ai Folli di Ferriere, dove scavavano il talco in galleria, un operaio era morto sepolto da un crollo. Lavorare nelle cave del talco era abbastanza duro ma comunque era una bella soddisfazione quando, ogni quindici giorni, ricevevamo la paga. Allora c’era la guerra e avere un lavoro retribuito vicino a casa era una cosa molto buona. L’estrazione durò un paio d’anni e furono fatti vari scavi anche nel luogo detto Sguiarela e nella zona di Tornarezza con risultati non sempre buoni. Talvolta quando mi capita di passare nei pressi della vecchia cava penso a quanto tempo è trascorso, alle gioie ed alle fatiche di quel tempo, ai compagni, mentre guardo i rovi che si allargano sopra quel che resta del nostro antico lavoro.

Celeste Carini

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Il trave più che un oggetto era, ed è, il luogo deputato all’incontro e ai conciliaboli nei nostri paesi dell’Appennino. Generalmente si trova sulla piazza del paese o in uno slargo e consiste in una rustica trave di rovere appoggiata su due massi. Qui la gente si incontra per commentare le novità del giorno o per raccontare vecchie storie. La vicenda del talco sui nostri monti è una di queste.

Sul trave: Renza, Caterina, Luigina Santina, Desolina e Natalina

Sul trave: Luigi, Giuseppe, Michele e Felice

Sul trave: Ettore e Antonio