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Language, as a Human Problem by M. Bloomfield; E. HaugenReview by: Eddo RigottiAevum, Anno 52, Fasc. 3 (SETTEMBRE-DICEMBRE 1978), pp. 593-596Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/25821831 .
Accessed: 15/06/2014 21:45
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RECENSIONI
M. BLOOMFIELD - E. HAUGEN (eds.), Language, as a Human Problem, Lutterworth Press, Guildford -
London 1975. Un volume di pp. XlX-f 266.
Il volume raccoglie sedici saggi di altrettanti
autori, gi comparsi, tutti eccetto uno, nelFedizione estiva della rivista Daedalus nel 1973. L'edi zione alla quale facciamo riferimento del 1975,
ma gi nell'anno precedente la stessa raccolta era stata pubblicata in volume in America presso Feditore W. W. Norton. I curatori del volume, Morton Bloomfield e Einar Haugen non sono dei
linguisti puri, se per ling ista puro si intende chi attento esclusivamente alla teoria ling istica.
Il primo, studioso di storia della lingua inglese, ed il secondo, specialista, oltre che di ling istica
generale, di storia d lie lingue Scandinave e dei
problemi del biling ismo, sono ambedue attenti alie tematiche della ling istica applicata e dei
rapporti interdisciplinari della ling istica con le altre scienze umane. L'organizzazione del volume riflette fedelmente Findole e gli interessi dei due studiosi: Fattenzione non incentrata sui mecca nismi interni del linguaggio, ma sulle funzioni
esterne che questo svolge in rapporto alla vita individ ale e sociale delFuomo e alla sua storia.
Nella prefazione dello Haugen si delinea Fim
pianto delFopera. Essa si divide in tre parti che considerano rispettivamente i problemi connessi con il numero e la diversit dei sistemi linguistici sui piano della contemporaneit e sui piano della
storia, i problemi delFapprendimento ling stico -
della lingua materna come della lingua seconda -
e i rapporti fra le funzioni propriamente linguisti che - nel senso delle funzioni immanenti dello
Hjelmslev - e le altre funzioni in eui impiegata
o implicata la lingua - dal rapporto fra struttura
ling istica e processo di comprensione alie con
nessioni fra il linguaggio e la l gica, fra le strut tura ling istica e la struttura po tica.
Esponiamo ora brevemente il contenuto di al cuni saggi che ci sono parsi apportare un contri buto pi innovativo. L'introduzione di Morton Bloomfield un succinto profilo della storia della
ling istica. Pi che nella parte relativa al passato
nella qu le non mancano le imprecisioni, questo profilo interessante per le osservazioni riguar danti le tendenze attuali della ling istica. Si rileva
giustamente che l'egemonia del chomskismo tra montata. La situazione attuale nella scuola chomskiana confusa. La spinta e lo stimolo in tellettuale del movimento della grammatica tra sformazionale sono notevolmente calati e gli epi goni di Chomsky stanno polemizzando fra loro e con il maestro. Altre s volte audaci non ci ven
gono pi dal M.LT. Chomsky ha costituito nel nostro tempo una grande forza ed stato un lin
g ista grandissimo, ma la lingua consente domande diverse dalle sue (p. XIX). Questo anche se alj trettanto giustamente si sottolinea l'importanza del contributo di Chomsky. Secondo il Bloomfield il problema di fondo di vedere se davvero Tidea le di un insieme di reg le, indifferente agli aspetti esistenziali - simile in certa misura alla matem -
tica - possa fare completa giustizia della realt vivente del linguaggio (p. XVIII).
Nella prima parte del volume compare un in teressante articolo di Charles Ferguson in eui si trattano i rapporti fra variazione e repertorio ling stico dei parlanti. La variazione, ossia Tuso di codici linguistici pi o meno marcatamente di versi in rapporto con i diversi contesti sociali e culturali in eui volta per volta viene a trovarsi il
parlante, non , secondo il Ferguson, un aspetto secondario del linguaggio, quasi un inconveniente
trascurabile, ma una funzione costante che ine risce al comportamento ling stico. Il fen meno
della variazione si sviluppa con il linguaggio stesso. Il bambino all'et di tre anni usa gi pi codici o stili per rivolgersi a persone appartenenti in modo diverso al suo ambiente. Accurati studi hanno accertato che nel linguaggio di un bambino
mongolo de di questa et erano rilevabili almeno tre diversi gradi di variazione. La variazione pu valersi tanto di sottocodici (stili) di una stessa
lingua, quanto di lingue radicalmente diverse.
Questo dipende nicamente dal repertorio dei par lanti. Se un parlante ha nel suo repertorio pi di un sistema ling stico ( bilingue o pluriling e), tende ad usare in funzioni sociolinguistiche diverse
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i diversi sistemi. Queste affermazioni sono suffra
gate dal Ferguson con numerosi esempi che egli trae dalla sua vasta esperienza sociolinguistica nei
paesi afro-asiatici. Il saggio di Ein ar Haugen, uno dei curatori del
volume, rientra in questa stessa tem tica. La maledizione di Babele non la causa, ma l'ef
fetto della dispersione del genere umano. La con tinuit e la omogeneit ling istica infatti ga rantira dalle n cessit della comunicazione: quando una parte della comunit sociale per problemi di svariata natura si stacca, tende ad elaborare un
linguaggio diverso poich non pi costretta dalia necessit della comunicazione a tenere lo stesso
linguaggio. Secondo lo Haugen la variazione ling istica
in altro senso una maledizione perch regolar mente sentita non come semplice diversit , ma come segno di appartenenza a un gruppo estraneo e virtualmente ostile. Qui la radice degli attriti e dei fenomeni di intolleranza collegati con Fesi stenza in moite comunit politiche di minoranze
linguistiche. La differenza ling istica tende infatti ad essere differenza sociale e la minoranza si trova in stato di inferiorit econ mica e cult rale. La
pol tica dei vari paesi risente di questa tendenza comune dalia quale finora non si sono del tutto liberati paesi di tradizioni democratiche come gli Stati Uniti e la Svezia.
Secondo lo Haugen una soluzione umana com
porterebbe un duplice impegno: promuovere nella
generalit della popolazione interesse e compren sione per le minoranze linguistiche e fare si che la
popolazione che parla in modo diverso capisca e sia capita diventando, ove si renda necessario, bilingue. Il biling ismo, lungi dalFessere una de precabile situazione transitoria diventa quindi il modo migliore per assicurare i diritti delle mino ranze senza fare della loro diversit ling istica un o st acolo al loro sviluppo.
Il saggio di Eric H. Lenneberg - The neurology
of language - non di facile comprensione, n , a
maggior ragione, di facile valutazione per il lin g ista che s litamente non ha familiarit con la
neurolog a. C o non di meno, taluni rilievi di carattere generale e talune affermazioni metodolo
giche sono assai interessanti. La neurolog a del
linguaggio che nata dalia afasiologia si vale tut tora in larga parte dei dati di questa; Lenneberg ammonisce tuttavia che ai risultati da essa offerti ci si pu appoggiare solo indirettamente, poich dall'analisi del comportamento patol gico non si
pu sempre inferir il comportamento normale. Lo studio della patolog a su base neurologica in connessione con lo studio dello sviluppo dell'ap prendimento ling stico del fanciullo sembrano confermare la tesi del carattere non deterministico del rapporto fra funzioni del cervello e fisiolog a del cervello, tesi valida soprattutto per i soggetti di et inferiore ai dieci anni circa: le lesioni inter venute prima di tale et non sembrano impedir in modo definitivo Taddestramento ad un uso lin
g stico normale poich le parti lese possono, en
tro tale et , venire ancora sostituite nella loro funzione da altre parti.
Un'affermazione significativa per il ling ista
quella che la neurolog a del linguaggio sempre dipesa strettamente da una impl cita od esplicita teor a ling istica del ricercatore poich i dati spe rimentali assumono significati assai diversi a se conda della concezione ling istica presupposta.
Il problema fondamentale secondo il Lenne
berg di trovare un modello che connetta gli aspetti degli schemi dinamici del comportamento e del linguaggio ai fatti anatomici in modo da spie gare i fenomeni della cos detta plasticit del cer vello senza ricorrere impl citamente a un de mone che distribuisca correnti di impulsi e decida sui dove e il come deve avere luogo l'azione dei neuroni (p. 115). Forse non assente in questo studioso una preoccupazione di ordine ideol gico.
Peter Stevens riprende nel suo articolo in modo sint tico la problem tica deirapprendimento della seconda lingua, cominciando da una rassegna di vari metodi che presero l'awio con gli anni venti in America con Tabbandono del classico m todo
grammatica-traduzione basato sulla letteratura. Il cosiddetto m todo diretto fu il primo tenta tivo di innovare Tinsegnamento d lie lingue ca
ratterizzato, come altri in seguito, dall'apprendi mento per uso diretto e daH'esclusione di ogni riferimento alla struttura della lingua. Tale m todo viene in certo senso riconfermato dalla ling istica bloomfieldiana che propugna anche nell'insegna mento un'impostazione antimentalistica. Un aiuto a questi metodi viene dalle tecniche audiovisive che tendono a far acquisire all'alunno Puso della nuova lingua fissando in lui determinati automa tismo Tali automatismi escludono intenzional
mente ogni riflessione poich vietato ogni rife rimento alla grammatica e ogni confronto fra la
lingua di partenza e la lingua di arrivo. Di pari passo con il rinnovamento della teor a
ling istica che rifiuta la posizione comportamentista e rivaluta in pieno la tesi della natura mentale
spirituale della lingua, si andata contrapponendo alla ricerca del puro automatismo uno studio con
sapevole della struttura ling istica - fonol gica, grammaticale e lessicale -. Il nuovo m todo detto m todo del c dice cognitivo fa coincidere lo
studio di una lingua con l'analisi te rica di essa rinforzata in seguito da un uso delle strutture fatte emerger in situazioni sensate.
I fautori di ci as cuno di questi metodi hanno cer cato di verificare la loro impostazione con una serie di esperimenti basati sui confronto dei risul tati ottenuti applicando i metodi diversi. Ora Peter Stevens osserva che la validit di questi esperimenti assai discutibile poich il controllo delle variabili che vanno dalle attitudini delPin
segnante e del discepolo, all'et , alle motiva
zioni, eec, non in pratica attuabile. Egli osserva ancora che i diversi metodi tro vano ciascuno una loro giustificazione in situazioni particolari. Se i
metodi diretti son insostituibili per la prima et
scolare, il m todo del c dice cognitivo il pi
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RECENSIONI 595
adatto per adulti particolarmente sofisticati che
gi hanno una vasta esperienza di lingue strainere
(p. 153). La soluzione proposta non perci quella di un
nico m todo valido in tutte le situazioni, ma di una strategia complessa che tenga conto dei va lori assunti volta per volta dalle variabili che danno luogo aile diverse situazioni. Tali variabili sono: Tet delTallievo, i fini di tipo educativo, la motivazione (lo studio di una lingua straniera
pu essere scelto o imposto), la preparazione gi raggiunta, la lingua di partenza, le prospettive generali del sistema educativo.
Il contributo dello Stevens ci sembra stare so
prattutto nella tesi della complementariet di molti metodi e nel riconoscimento che non c' m todo giotto di dattico, ma una molteplicit di accostamenti che si giustificano ciascuno in rap porto a una tipolog a oltremodo ricca di situazioni. Con le sue parole: Superato Tasservimento al Tausilio utile, ma essenzialmente banale offerto dalia tecnolog a nelle forme degli strumenti di
registrazione, dei laboratori linguistics e delle
teaching machines, l'apprendimento della lingua seconda emerge ora come un processo ed uno scopo che per il suo ulteriore miglioramento richiede una conoscenza sempre pi approfondita delle sue tre costituenti altrettanto importanti: la psico log a dell'allievo, la natura della lingua e la capa cita del docente (p. 160).
Nel saggio di Martin Kay sulla traduzione auto m tica delle lingue naturali si considera la situa zione delle ricerche in questo campo della ling i stica applicata dopo il pessimistico rapporto del
PAIPAC del 1963. Brevemente vengono caratte rizzati il sistema Mark II basato prevalentemente sui lessico e limitantesi, per quanto riguarda le relazioni formali, a determinare la classe lessicale in base alla classe dell'unit precedente ed il pro gramma Georgetown che tiene in maggior conto la struttura sintattica, ma che non tuttavia fon dato su una teoria sintattica coerente. La t cnica della traduzione meccanica deve tenere conto degli sviluppi della teoria ling istica. Questa offre uno schema particolarmente utile per interpretare il
processo di traduzione. Il punto di partenza l'analisi sintattica che porta ad ndividuare una struttura profonda. Da questa si passa alla formu lazione della struttura profonda nella lingua di arrivo. Ovviamente - e la cosa talmente owia
per Kay che egli non la rileva - attraverso la sostituzione degli elementi lessicali. Infine dai cicli trasformativi richiesti, si giunge alla struttura
superficiale nella lingua di arrivo. Il problema maggiore resta in ogni caso non tanto la sintesi nella lingua di arrivo quanto l'analisi del testo ori
ginale. Si tratta di elaborare una adeguata teoria
ling istica che offra altrettanto adeguate proce dure di analisi. Ma sembra che numerosi problemi che Tanalisi comporta siano lontani da una solu zione in termini puramente formali (p. 225).
Per questa ragione la macchina traduttrice deve
sempre essere assistita da un traduttore umano
che deve conoscere la lingua di partenza, la lingua di arrivo e il tipo di problemi trattati. La tradu zione meccanica diventa cosi inevitabilmente uno
spreco di tempo e danaro. Martin Kay propone a questo punto un procedimento autom tico di traduzione parziale che servirebbe esclusivamente
per materiali di carattere t cnico di eui determinati Studiosi volessero venire a conoscenza pur non studiando la lingua in eui sono scritti.
Supponendo che i materiali siano scritti in russo e che lo studioso interessato ad essi sia anglofono, si tratter di costruire un algoritmo che trasferisca tutti i lessemi ed i morfemi del russo in una lingua artific ale che abbia il lessico dellinglese e la
grammatica del russo. Allo studioso anglofono toccherebbe studiare soltanto questa lingua molto
pi facile per lui del russo in statu nascenti e Tal
goritmo usato, vista Tampia equivalenza dei si stemi terminologici della t cnica nelle diverse lin
gue, non sarebbe troppo costoso. Concludendo M. Kay dedica un cenno ai tenta
tivi fatti nella ling istica computanzionale di af front are il significato.
Il volume si conclude con un articolo di Paul
Kiparsky dedicato al ruolo della ling istica in una teor a della po tica. Questo articolo merita, a no stro avviso, un'attenzione particolare per l'origi nalit del suo apporto. Secondo il Kiparsky la letteratura ed in particolare la poes a, si contraddi
stinguono fra le diverse arti per il ricorso costante ad un repertorio sostanzialmente sempre id ntico di strumenti.
Sui piano sem ntico figure come la met fora e la metonimia resta o da sempre elementi costitutivi essenziali e sui piano espressivo altrettanto im
portanti sono certi schemi di organizzazione for male come il parallelismo, il metro, la rima e Tal litterazione. La ragione sta per lo studioso ameri cano nel fatto che un gran numero di quelle che noi riteniamo convenzioni tradizionali e arbitrarie, sono ancorate alla forma grammaticale e sembrano essere in fondo una conseguenza del modo in eui il linguaggio stesso strutturato (p. 235).
Dal mutamento della struttura ling istica di
pendono spesso le innovazioni nella strumentazione
espressiva del poeta. Secondo il Kiparsky, ad
esempio, Pallitterazione pu essere un elemento
obbligatorio solo in lingue con accento di parola costante, quai era Tantico inglese (p. 233) che man teneva Taccento sulla sillaba del radicale. In in
glese moderno, dove Taccento mobile (obligate, obligatory, obligation) Tallitterazione obbligatoria
scomparsa. Al suo posto diventata possi bile e, in certi schemi metrici, obbligatoria la rima, la quale legata a sua volta con Timpoverimento degli elementi flessionali. M. Kiparsky osserva che l dove, come in russo, presente una ricca fles sione si tende ad evitare che rimino fra loro le desinenze grammaticali. Se un elemento cessa di essere obbligatorio, pu di ventare facoltativo e
diventa con ci pi significativo poich scelto liberamente dal poeta.
Il problema generale , per il Kiparsky, la co
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struzione di una teoria po tica che non si limiti a classificare le forme realmente assunte dalia
verbal art , ma che caratterizzi in generale tali forme stabilendone i limiti di variazione. Conserva, a questo riguardo, la sua validit il principio enunciato da Roman Jakobson: la po tica proiet ta il principio di equivalenza dall'asse della sele zione all'asse della combinazione *, principio che il Kiparsky traduce nella tesi per eui tutti i diversi
aspetti della forma po tica comportano un qual che tipo di ricorrenza di elementi linguistici equi valents La differenza sta nella natura degli ele menti ripetuti. Se la ricorrenza riguarda gli elementi sintattici si parla di parallelismo; se riguarda ]'ac cento o la quant ita o - talvolta - il tono, si parla di metro; i diversi tipi di ricorrenza dei suoni vocalici o consonantici danno luogo ai fenomeni della rima, deirallitterazione, dell'assonanza o della conso nanza (p. 235).
Il tipo di ricorrenza (aa, aab, ahab, eec.) detto modello (pattern)', un modello interpretato , os
sia riempito da determinati elementi detto schema. Uno stesso modello (ad es. ahab) pu corrispondere a schemi diversi: se a una sillaba non accentata e b una sillaba accentata, abab, sara un dimetro
giambico, se a e b corrispondono ciascuna all'ul tima sillaba accentata di un verso, si parler di rima alternata, se infine esse stanno per strutture
sintattiche, si parler di parallelismo. Il numero dei modelli ammessi alquanto ri
stretto. Ad esempio, sono assai rari i modelli che
vengono ad interessare pi di tre elementi, soprat tutto se questi elementi occorrono in posizioni distanti fra loro.
Per quanto riguarda gli elementi che vengono a riempire i modelli, il Kiparsky ritiene di validit universale la tesi che gli elementi ricorrenti che sono potenzialmente rilevanti dal punto di vista della po tica non sono n pi n meno che gli elementi pertinenti nella grammatica (p. 237). In altri termini il poeta pu far rientrare nei suoi
modelli solo quelle entit linguistiche che com
paiono nelle reg le della grammatica ai suoi vari livelli (fon tico, fonol gico, sintattico). A livello sintattico nello schema detto parallelismo (abab) pu essere inserita tanto la struttura superficiale quanto la struttura profonda o altre strutture in termedie purch esse figurino come cat gorie in una qualche fase del processo derivazionale (ossia in una regola della grammatica). Lo stesso vale per il livello fonol gico che il Kiparsky, in conformit alla sua appartenenza alla scuola chomskiana, tratta con procedimenti non tassonomici, ma tra
sformativi; le reg le che valgono per l'allittera zione nella poes a antico-inglese, valgono in g tico
per il raddoppiamento morfol gico; la slant rhyme
1 Cfr. Linguistics and Poetics, in T. SEBECK (ed.), Style in Language, Cambridge (Mass.) 1960 (trad, it. in R. JAKOBSON, Saggi di ling istica generale, Feltrinelli, Milano 1966).
di Dylan Thomas, nella quale vengono ripetute le consonanti eventualmente present dopo l'ultima vocale e, l dove si hanno in fine di verso delle
vocali, queste sono considerate in ogni caso equi valent (eye, rima con arrow e con jaw), sarebbe
spiegata con il fatto che in essa si ricorre non alla identit fon tica, ma a uno stadio fonol gico pre cedente, prima che abbia operato la regola della
fonologia inglese che impone l'aggiunta ai temi in vocale di un suono transitorio (glide) conso
nantico (j oppure w). Senza entrare nel m rito di questa soluzione
speeifica, ci pare doveroso osservare che la tesi
generale della pertinenza in sede grammaticale del le strutture pertinenti nella poesia ha come suo co
rollario la tesi che nelFartificio po tico viene a
galla la cosiddetta competenza ling istica; in altri termini che il poeta un ling ista al naturale. E certamente un'affermazione suggestiva, ma la sua
portata tale che forse ci impone pi severe
verifiche. Se un breve giudizio pu concludere la nostra
presentazione di carattere eminentemente esposi tivo, sottolineerei la novit e Futilit di questo volume.
Un'esposizione in generale pia a e libera da inutili tecnicismi lo rende accessibile ai non ad detti ai lavori accostando il lettore ai molti pro blemi di carattere interdisciplinare, che insorgono quando la lingua non vista come un sistema
asettico, ma come un problema umano.
EDDO RIGOTTI
M. ELIADE, Occultism, Witchcraft, and Cultural Fashions. Essays in Comparative Religions, University of Chicago Press, Chicago-London 1976. Un volume di pp. 148.
E un privilegio quello di potere recensire que sto nuovo volume di M. Eliade, in eui il
grande storico delle religioni raccoglie alcuni con
tributi sparsi (qualcuno di difficile accesso) degli ultimi anni. Tuttavia, il volume ha una linea moko unitaria - a eccezione forse dell'ultimo studio,
Spirit, Light, and Seed, pubblicato nel 1971 su una rivista altamente specializzata come History of
Religions -, in quanto si occupa, da una pro spettiva storico-religiosa, di fenomeni che inte ressano direttamente il mondo moderno , e
dunque coinvolgono di persona il lettore. Siccome M. Eliade ha ribadito varie volte la funzione di
ermeneutica cr atrice che la storia delle reli
gioni deve assumere, e in questi saggi non fa che mettere in atto il proprio m todo e i presupposti di questo m todo, applicandoli a fatti di largo int resse cult rale, sui quali la storia delle reli
gioni pub e deve dare il suo giudizio. Il primo saggio, sulle mode cul tur ali , st ato pubblicato nel 1965 nel volume edito da J. M. Kitagawa, The
History of Religions: Essays on the Problem of
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