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Indice pag. Introduzione V Capitolo Primo Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 1 1.1. Le organizzazioni sanitarie sono uniche? 1 1.2. La rilevanza di un approccio relazionale all’analisi delle organizzazioni sanitarie 3 1.2.1. Le relazioni con l’ambiente esterno 6 1.2.2. Le relazioni all’interno delle aziende 9 1.2.3. La ricerca sull’organizzazione dei servizi sanitari da un punto di vista relazionale 13 1.3. Alcuni temi attuali nel dibattito sul settore sanitario da una prospettiva relazionale 16 Capitolo Secondo L’analisi relazionale delle organizzazioni: un’applicazione al settore sanitario 19 2.1. Le dimensioni della ricerca che utilizza una prospettiva relazionale 19 2.1.1. La direzione del nesso di causalità: cause e conseguenze delle reti sociali 20 2.1.2. Il livello di analisi negli studi relazionali 24 2.1.3. Meccanismi e obiettivi interpretativi negli studi relazionali 26

L'analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie. - Domenico Salvatore

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Page 1: L'analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie. - Domenico Salvatore

Indice

pag.

Introduzione V Capitolo Primo

Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 1 1.1. Le organizzazioni sanitarie sono uniche? 1 1.2. La rilevanza di un approccio relazionale all’analisi delle organizzazioni

sanitarie 3 1.2.1. Le relazioni con l’ambiente esterno 6 1.2.2. Le relazioni all’interno delle aziende 9

1.2.3. La ricerca sull’organizzazione dei servizi sanitari da un punto di vista relazionale 13

1.3. Alcuni temi attuali nel dibattito sul settore sanitario da una prospettiva relazionale 16

Capitolo Secondo

L’analisi relazionale delle organizzazioni: un’applicazione al settore sanitario 19

2.1. Le dimensioni della ricerca che utilizza una prospettiva relazionale 19

2.1.1. La direzione del nesso di causalità: cause e conseguenze delle reti sociali 20

2.1.2. Il livello di analisi negli studi relazionali 24 2.1.3. Meccanismi e obiettivi interpretativi negli studi relazionali 26

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie II

2.2. Le dimensioni strutturali, relazionali e cognitive nella ricerca sui network 29 2.2.1. La dimensione strutturale 29 2.2.2. La dimensione relazionale 32 2.2.3. La dimensione cognitiva 36 2.3. Il sistema delle professioni in una prospettiva relazionale 37 2.3.1. Le professioni da una prospettiva economica 40 2.3.2. Le professioni da una prospettiva sociologica 41

2.3.3. Una prospettiva relazionale come “collante” di una teoria unitaria delle professioni 42

Capitolo Terzo

Le implicazioni della natura della conoscenza, della differenziazione del lavoro e delle asimmetrie informative per le caratteristiche relazionali in sanità 49 3.1. Le implicazioni della prospettiva relazionale applicata alla sanità 49 3.2. Il sistema tecnico nelle organizzazioni sanitarie: la natura della

conoscenza medica 51 3.2.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la natura della

conoscenza medica in sanità 58 3.2.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la natura della

conoscenza medica in sanità 61 3.2.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e la natura della

conoscenza medica in sanità 65 3.3. La differenziazione del lavoro in medicina e la natura delle

interdipendenze in sanità 67 3.3.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la differenziazione

delle attività sanitarie 69 3.3.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la differenziazione

delle attività sanitarie 73 3.3.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e la differenziazione

delle attività sanitarie 74 3.4. Le implicazioni delle asimmetrie informative tra professionisti, pazienti

e manager 75 3.4.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e le asimmetrie

informative in sanità 79 3.4.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e le asimmetrie

informative in sanità 80

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Indice III

3.4.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità 81

Bibliografia 91

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Introduzione

L’approccio relazionale alle organizzazioni è sempre più diffuso negli studi organizzativi. Il suo utilizzo ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi trenta anni e si inquadra in una tendenza più ampia nelle scienze sociali ad ab-bandonare modelli interpretativi individualisti, essenzialisiti ed atomistici in fa-vore di modelli interpretativi relazionali, contestuali e sistemici (Borgatti e Fo-ster, 2003).

Il comportamento organizzativo è un concetto complesso perché attiene sia ai comportamenti di scelta individuale ed in gruppo che di azione interdipen-dente a più attori e dipende fortemente dal modello di razionalità che l’analisi assume (Ferrara, 1996). L’analisi organizzativa ha utilizzato modelli di compor-tamento sempre più complessi e realistici (soprattutto se paragonati a quelli uti-lizzati dagli studi economici) e la diffusione di schemi interpretativi più relazio-nali è inquadrabile proprio all’interno di questa tendenza.

Le organizzazioni sanitarie si rivelano particolarmente adatte ad essere di-scusse da questa prospettiva perché le attività che vi sono svolte sono prevalen-temente servizi alla persona e perché le persone e le loro competenze sono il principale fattore produttivo. Gli elementi che rendono particolarmente inte-ressante l’adozione di questo approccio all’analisi organizzativa delle aziende sanitarie sono molteplici. Tra questi sicuramente deve essere notato la forte in-tensità di conoscenza dell’attività sanitaria ed il fatto che l’approccio relazionale è particolarmente efficace nell’analisi della diffusione della conoscenza e dell’adozione delle innovazioni.

Dal punto di vista organizzativo, in organizzazioni professionali quali le a-ziende sanitarie, l’autonomia professionale è spesso considerata un elemento chiave per la progettazione delle strutture e dei meccanismi operativi. Ma l’autonomia non è l’attributo di un individuo quanto piuttosto di una relazione cui l’individuo partecipa (Flynn, 1992) perché, ad esempio, un professionista non è autonomo in assoluto ma autonomo rispetto ad un altro attore organiz-zativo (ad esempio, un medico in un’azienda ospedaliera ha gradi di autonomia diversa rispetto ai pazienti, ai colleghi o al management dell’azienda e non u-n'unica ampiezza dell’autonomia indipendentemente dai soggetti con cui si re-laziona).

La scelta di limitare il campo di analisi ad un tipo bene definito di organiz-zazioni, quelle che si occupano dell’erogazione dei servizi sanitari, è coerente

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Introduzione V

con l’idea postulata nell’apertura di questa monografia che “il contesto conta” nell’analisi organizzativa. La capacità di generalizzazione che ogni studio scien-tifico ricerca, nelle scienze sociali più che nelle altre scienze, non può prescin-dere da un’approfondita analisi del contesto nel quale lo specifico oggetto di analisi si trova (Rousseau e Fried, 2001).

Cicchetti e Lomi (2000) notano come, da un lato il settore sanitario sia ca-ratterizzato da una forte spinta verso l’istituzionalizzazione delle regole che crea a sua volta strutture di protezione ed assorbimento, dall’altro, però, il vero motore dell’azione organizzativa non è la struttura -che diviene un fatto essen-zialmente cerimoniale- ma il sistema emergente di tentativi individuali di con-trollo dei processi e di risoluzione di problemi. Una prospettiva relazionale, cioè una prospettiva che si focalizza sulle modalità con le quali gli attori sono in relazione piuttosto che sulle caratteristiche individuali degli attori, può con-tribuire, quindi, a meglio comprendere un aspetto di queste organizzazioni considerato importante ma relativamente poco studiato.

In questa monografia si è cercato di iniziare a sistematizzare i contributi pubblicati in una prospettiva relazionale applicati alla sanità e di offrire poten-ziali interpretazioni di alcuni temi classici della letteratura sulle organizzazioni sanitarie attraverso questa prospettiva. La convinzione di fondo che ne ha gui-dato la stesura è che la prospettiva relazionale sia in grado di integrare alcuni contributi dell’economia, della sociologia, degli studi sul disegno organizzativo e della psicologia e di offrire una lente interpretativa in grado di descrivere le reali modalità di organizzazione delle attività sanitarie meglio di quanto queste singole discipline siano in grado di fare individualmente. Nonostante ciò, l’ambizione di questo scritto non è dimostrare la maggiore forza interpretativa di una prospettiva di analisi ma, piuttosto, quella di fare una ricognizione di quanto è stato prodotto fino ad oggi dalla comunità accademica, e di utilizzare questa produzione per sostenere alcune idee che possono costituire un punto di partenza per intraprendere un percorso di ricerca potenzialmente molto am-pio.

Questo scritto è organizzato in tre capitoli: nel primo si descrive l’assetto del settore sanitario e le sue specificità; nel secondo si presenta la prospettiva rela-zionale per l’analisi delle organizzazioni sanitarie; e nel terzo quanto discusso nei primi due capitoli viene utilizzato per applicare una prospettiva relazionale a tre specificità tipicamente attribuite all’organizzazione dell’attività sanitarie e per utilizzare esse come base per ricerche empiriche.

Le idee sviluppate in questo lavoro devono moltissimo ad una serie di bril-lanti persone con cui l’autore ha intrattenuto relazioni negli ultimi anni. Queste persone gravitano essenzialmente attorno a due istituzioni: il Dipartimento di

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie VI

Studi Aziendali dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” e intorno al CERGAS (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Socia-le”) dell’Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano. All’interno dell’Università Bocconi, inoltre, il confronto con il corpo docente ed i colleghi del programma di dottorato “PhD in Business Administration and Management” ha costituito un’ulteriore e fondamentale risorsa. Ai colleghi e mentori in entrambe le istituzioni va il sentito ringraziamento.

Infine, un doveroso ringraziamento va ai miei genitori ed alla mie so-relle per il supporto che mi hanno offerto fino ad oggi.

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Capitolo Primo

Le specificità delle attività sanitarie e la

rilevanza di una prospettiva relazionale

1.1. Le organizzazioni sanitarie sono uniche? - 1.2. La rilevanza di un approccio relazionale all’analisi delle organizzazioni sanitarie - 1.2.1. Le relazioni con l’ambiente esterno - 1.2.2. Le relazioni all’interno delle aziende - 1.2.3. La ricerca sull’organizzazione dei servizi sanitari da un punto di vista relazionale - 1.3. Alcuni temi attuali nel dibattito sul settore sanitario da una prospettiva relazionale

1.1. Le organizzazioni sanitarie sono uniche?

L’interesse che le organizzazioni sanitarie attirano nella comunità scientifica e nella pratica manageriale si spiega almeno in parte con le dimensioni del set-tore sanitario. Il settore dell’assistenza sanitaria costituisce, infatti, una fetta consistente dell’economia nei paesi industrializzati: nel 2004, in Italia questo settore ha assorbito l’8,4% del Prodotto Interno Lordo (PIL); negli Stati Uniti il 15,3% ed in media ha assorbito il 9% del PIL tra i paesi membri dell’OECD (OECD, 2006). Ma i motivi di interesse dello studio del settore sanitario non si limitano alle sue grandi dimensioni, perché le attività sanitarie implicano mol-teplici elementi organizzativi altamente critici o specifici che hanno spesso ali-mentato la curiosità degli studiosi di organizzazione aziendale e che rendono rilevante per gli studi organizzativi una trattazione specifica del settore. Il setto-re sanitario, ad esempio, è l’unico settore industriale per il quale è stata costitui-ta una divisione dell’Academy of Management, l’associazione professionale di studiosi di management più grande a livello internazionale all’interno della qua-le le divisioni sono normalmente definite per settore disciplinare. Anche in Ita-lia, alcuni studiosi di organizzazione aziendale hanno fatto del settore sanitario il loro ambito di studio privilegiato.

Oltre alle dimensioni, quindi, le organizzazioni sanitarie sono particolarmen-te interessanti dal punto di vista organizzativo per una serie di caratteristiche che li contraddistinguono. Il manuale di organizzazione aziendale in sanità più

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 2

diffuso a livello internazionale, i cui curatori sono Stephen Shortell e Arnold Kaluzny, elenca alcune caratteristiche delle attività sanitarie che sono normal-mente citate come le cause dell’unicità delle organizzazioni sanitarie. In questa lista sono riportate le seguenti specificità rispetto alle caratteristiche di organiz-zazioni che svolgono attività diverse (Shortell e Kaluzny, 2005, p.16):

• definire e misurare gli output è più difficile; • il lavoro richiesto è più variabile e complesso; • gran parte del lavoro è svolto in situazioni di emergenza e non

può essere rimandato o programmato con precisione; • il lavoro accetta una tolleranza molto bassa per ambiguità ed

errori; • le attività sono altamente inter-dipendenti e richiedono, quindi,

un alto grado di coordinamento tra gruppi professionali diffe-renti;

• il lavoro richiede un livello di specializzazione estremamente alto;

• i membri delle organizzazioni sono altamente professionalizza-ti e sono spesso più leali verso la professione a cui apparten-gono che alla loro organizzazione;

• esiste poco controllo organizzativo o manageriale sul gruppo primariamente responsabile dello svolgimento del lavoro e del-le spese: i medici;

• una doppia linea gerarchica esiste in molte organizzazioni sani-tarie ed in particolare negli ospedali, creando problemi di co-ordinamento e di individuazione delle responsabilità e confu-sione di ruoli.

Secondo gli autori, è facilmente possibile confutare l’idea che ciascuna di queste affermazioni rappresenti una caratteristica unica delle aziende sanitarie. Ad esempio, la difficoltà a misurare i risultati è condivisa da altre organizzazio-ni, quali le università, o la scarsa tolleranza per gli errori dagli enti di controllo del traffico aereo. D’altra parte, le organizzazioni sanitarie sono inusuali, se non uniche, perché molte di esse presentano contemporaneamente tutte le caratte-ristiche riportate nella lista (Shortell e Kaluzny, 2005). Ma una riflessione più analitica sull’organizzazione delle attività del settore non può omettere di con-siderare che le attività sanitarie sono numerose ed eterogenee tra loro e, nel tempo le organizzazioni si sono specializzate e differenziate: se assumere che le attività sanitarie abbiano tutte le caratteristiche elencate può essere un buon punto di partenza per l’analisi dell’organizzazione dei sistemi sanitari o di

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 3

un’azienda come policlinico universitario, non è ugualmente efficace assumere lo stesso tipo di caratteristiche per l’analisi dell’organizzazione di un’azienda come un laboratorio di analisi che svolge un tipo di attività con un sistema tec-nico altamente automatizzabile.

Nel presente lavoro, questo elenco di elementi di specificità viene ripreso e raggruppato in tre classi di specificità ad un livello di astrazione più alto, allo scopo di descrivere le conseguenze di queste specificità per il management re-lazionale delle organizzazioni sanitarie. Queste tre classi sono:

1. la complessità della conoscenza medica; 2. la differenziazione nell’organizzazione del lavoro delle attività

cliniche; 3. le asimmetrie informative tra i medici e gli altri attori organiz-

zativi. Queste tre classi di specificità saranno utilizzate nel terzo capitolo per discu-

tere, in base ad un approccio relazionale, la loro rilevanza e le loro implicazioni per le organizzazioni sanitarie. Rispetto all’elenco riportato, o rispetto ad altre elencazioni ritrovabili nei manuali di economia sanitaria o di sociologia delle professioni, queste tre classi hanno un livello di astrazione più alto in modo da sottolineare gli elementi comuni delle varie discipline applicate al settore sanita-rio. Inoltre, le riflessioni sviluppate nel capitolo 3 assumono che queste specifi-cità non contraddistinguono in modo indifferenziato ogni attività che è possibile classificare come sanitaria, ma che siano presenti in gradi e forme di-verse in varie attività e che sia possibile utilizzare le specialità mediche come raggruppamenti di attività abbastanza omogenee da poter discutere dell’organizzazione della sanità senza dover analizzare nel dettaglio ogni singola micro-attività.

1.2. La rilevanza di un approccio relazionale all’analisi delle organizzazioni sanitarie

A partire dagli anni Sessanta, nelle scienze sociali si è assistito ad una con-vergenza verso il riconoscimento dell’organizzazione come unità socioecono-mica influenzata dalle forze competitive da un lato, e dalla natura istituzionale dall’altro e, di conseguenza, si è aperta la porta all’elaborazione di una serie di modelli di comportamento dell’azienda come organizzazione immersa in una molteplicità di rapporti transazionali di natura funzionale, comunicativa e sim-bolica (Lomi, 1991, p.12).

Questi modelli interpretativi, che hanno successivamente avuto un’ampia diffusione nella letteratura di management, sono spesso definiti relazionali, di

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 4

network, o a rete, proprio perché si focalizzano sui rapporti tra attori organiz-zativi più che su caratteristiche intrinseche degli attori. Nelle scienze sociali, il concetto di network è utilizzato in due prospettive diverse ma che possono es-sere utilizzate insieme con interessanti sviluppi (Powell e Smith-Doerr, 1994). La prima prospettiva utilizza i network come uno strumento di analisi per stu-diare le relazioni tra gli attori organizzativi all’interno o all’esterno delle singole aziende. Si riferisce a questo insieme di tecniche per lo studio quantitativo o qualitativo delle caratteristiche delle reti come Social Network Analysis (Analisi delle Reti Sociali). La seconda considera i network come una logica organizza-tiva che governa le relazioni tra gli attori economici attraverso ripetuti scambi e comunicazioni reciproche differenti da quelli che hanno luogo nel mercato o nella gerarchia (Powell, 1990).

Attraverso la nozione di network come logica organizzativa e gli strumenti dell’analisi delle reti sociali è possibile guardare in modo unitario a fenomeni relazionali interpersonali all’interno di una singola organizzazione e tra orga-nizzazioni (Lomi, 1991, p.12).

L’applicazione di una prospettiva relazionale all’organizzazione dell’attività sanitaria è particolarmente importante per tre ordini di motivi:

1. dal punto di vista delle relazioni con l’ambiente esterno, le or-ganizzazioni sanitarie hanno la specificità di produrre servizi finalizzati alla tutela della salute della popolazione e, per que-sto motivo, l’organizzazione delle attività è fortemente in-fluenzata dalla rilevanza sociale dei servizi prodotti, poiché es-sa implica un’influenza della comunità esterna che ha forme e intensità diverse da quella esercitata sull’organizzazione di atti-vità dalla rilevanza sociale meno evidente;

2. dal punto di vista delle relazioni all’interno delle aziende, que-ste sono fortemente influenzate dalla presenza di professioni-sti, cioè di lavoratori che fanno parte di gruppi occupazionali che hanno acquisito la legittimazione ad un’ampia autonomia nell’organizzazione del lavoro. La prospettiva relazionale è particolarmente adatta all’analisi dei fenomeni che hanno luogo all’interno di gruppi sociali come quelli dei professionisti e, di conseguenza, la loro influenza sull’organizzazione interna al settore;

3. dal punto di vista metodologico, l’analisi delle reti sociali offre una prospettiva e degli strumenti più analitici rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati dagli studi sul disegno organizzati-vo. L’uso di strumenti di analisi più analitici è particolarmente

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 5

utile in organizzazioni in cui le attività sono molto eterogenee, il lavoro altamente differenziato, e le interdipendenze com-plesse.

Quadro 1.1. – Le specificità delle aziende sanitarie in un caso di cronaca

"Pazienti portati senza necessità in sala operatoria" Un monsignore che si trasforma in detective. Che indaga su un giallo capitato proprio a lui. di FERRUCCIO SANSA – “La Repubblica”

La voce di don P.L., 70 anni, è stanca: «Ho raccontato ai magistrati tutto quello che sapevo», spiega dall’estero, dove si trova per la sua missione. La sua denuncia ha portato a indagini, a perquisizioni alla nota e rispettata clinica Humanitas di Rozzano: «Preferisco non parlare ancora di questa storia», spiega il monsignore.

Ma il suo racconto è già arrivato sul tavolo dei magistrati Eugenio Fusco e Mauri-zio Romanelli. Accuse, si dice nel decreto di perquisizione, «dettagliate e documenta-te». Il primo a investigare sulle operazioni al cuore compiute nella clinica di Rozzano è stato un paziente.

Le indagini personali di don P.L. cominciano dopo il 20 settembre 2002, quando nell’Unità Operativa di cardiochirurgia l’uomo viene operato per la sostituzione della valvola mitralica. Il sacerdote soffre di insufficienza mitralica, una diagnosi che in teo-ria potrebbe giustificare l’intervento. «Sono stato ricoverato - racconta ai magistrati il monsignore - sulla base di documentazione proveniente dall’ospedale di Vigevano, con indicazione di intervento chirurgico». Fin qui niente da dire. Il mistero comincia dopo: «Qualche mese dopo l’intervento, nel corso di verifiche post-operatorie ho fat-to una scoperta: prima dell’operazione all’Istituto Humanitas ero stato sottoposto a esami tra cui un’ecocardiografia. Ma non avevo ricevuto nessuna informazione in proposito».

Il monsignore prosegue la sua indagine. Il risultato, spiega ai pm, lo lascia di sasso: «Ho fatto altre visite mediche. Volevo vederci chiaro. E alla fine ho scoperto che gli esami svolti alla Humanitas avrebbero dato un’indicazione diversa dall’operazione». Insomma, racconta il monsignore, mi hanno sottoposto a un intervento che non era necessario.

I pm esaminano tutto il materiale. E decidono di credere al sacerdote. Cominciano le indagini. Presto la lista degli interventi con aspetti da chiarire si allunga, alla fine so-no più di venti. I nomi sono contenuti nel decreto di perquisizioni: sono malati di cuore - quasi tutti di età compresa tra i settanta e gli ottanta anni, ma c´è anche chi oggi ne ha 92 e chi è poco più che quarantenne. Molti sono venuti da altre città o da

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 6

altre regioni per essere operati all’Humanitas (una clinica privata convenzionata). Qualcuno forse non è convinto dell’intervento subito, ma altri, invece, sono perfet-tamente soddisfatti. Il compito dei magistrati non è facile, indagare, chiedere informa-zioni, sapendo di suggerire ai malati un sospetto: forse l’operazione che hanno subito è stata inutile. O addirittura dannosa.

La risposta arriverà dal materiale che i carabinieri del Nucleo Operativo agli ordini del tenente colonnello Marcello Bergamini hanno sequestrato ieri: circa cinquecento cartelle cliniche su tutti gli interventi al cuore compiuti alla Humanitas tra l’ultimo trimestre del 2003 e il primo del 2004. Poi tutta la documentazione (corrispondenza, ordini e delibere, prospetti di spesa) relativa alle procedure di rimborso per i ricoveri convenzionati. Di più: i magistrati stanno studiando anche il contratto di collabora-zione (stipulato per gli anni dal 2001 al 2005) che lega il professor Roberto Gallotti al-la Humanitas.

Ma c’è un altro filone che i pubblici ministeri stanno valutando con molta atten-zione, cioè quello delle forniture mediche. Per questo hanno ordinato anche il seque-stro della «documentazione che comprovi i rapporti tra l’indagato e società elettrome-dicali fornitrici dell’Istituto Clinico Humanitas».

Insomma, l’indagine sarà ancora lunga e richiederà analisi accurate dei documenti acquisiti. Saranno necessarie perizie e consulenze.

Fonte: Articolo tratto dal quotidiano “la Repubblica” del 2 marzo 2005.

L’articolo di giornale riportato nel quadro 1.1. è un buon esempio per discu-

tere di alcune specificità delle aziende sanitarie ed è utile per illustrare perché la prospettiva relazionale rappresenta un approccio in grado di inquadrare molti dei fenomeni caratteristici dell’organizzazione delle attività sanitarie.

1.2.1. Le relazioni con l’ambiente esterno

L’interesse per le attività sanitarie da parte delle comunità in cui le aziende operano ed in particolare dei gruppi politici, dei pazienti e dei fornitori, e la ca-pacità di influenza che tutti questi stakeholder hanno sulle decisioni nelle a-ziende è raramente eguagliato in altri settori economici ed il fatto che le orga-nizzazioni che producono servizi sanitari siano particolarmente rilevanti per le comunità in cui si trovano certamente non stupisce. Il caso discusso nel quadro 1.1. è un caso di una presunta truffa al Servizio Sanitario Nazionale, in cui la reale esistenza di un reato è molto difficile da accertare e che, fortunatamente,

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 7

non ha avuto conseguenze negative sulla salute del paziente: nonostante ciò, il maggiore quotidiano nazionale, il Corriere della Sera, ha dedicato a quella inda-gine diciannove articoli nel giro di un mese. E’, inoltre, difficile aprire un nu-mero di un quotidiano o di una delle principali riviste di attualità e non trovarvi notizie, positive o negative, su di un qualche professionista o azienda sanitaria. Nella letteratura organizzativa uno dei primi test empirici della teoria della di-pendenza da risorse (“resource-dependence theory”) ha esaminato alcuni o-spedali negli Stati Uniti per trovare che la funzione e la composizione del con-siglio di amministrazione ha un impatto sulla capacità degli ospedali di attrarre risorse dall’esterno (Pfeffer, 1973). Lo studio concludeva affermando che i consigli di amministrazione delle organizzazioni formali sono uno dei possibili meccanismi di collegamento tra l’organizzazione ed il suo ambiente.

La strutturazione e il governo dei sistemi sanitari e degli ospedali sono for-temente radicate nelle tradizioni e nelle culture locali. L’autonomia che le Re-gioni Italiane hanno nel decidere la struttura degli assetti istituzionali del siste-ma fornisce un ottimo esempio di come fattori politico-sociali influenzano l’assetto dei sistemi sanitari e, quindi, dell’erogazione dei servizi. Nell’ultimo decennio, infatti, dopo la devoluzione in Italia della responsabilità sul sistema sanitario alle Regioni, molte Regioni hanno innovato profondamente un siste-ma che fino a quel punto era strutturato in modo identico perché uniforme alle normative nazionali. La Regione Lombardia, ad esempio, ha disegnato un si-stema incentrato intorno all’idea che la competizione tra erogatori sia il princi-pale meccanismo per migliorare la qualità dei servizi. Per far funzionare il si-stema secondo una logica di quasi-mercato si è scelta la totale separazione isti-tuzionale tra le organizzazioni che producono prestazioni, come gli ospedali o le case di cura come l’Istituto Humanitas, e quelle che regolano il sistema, co-me le ASL. L’assetto complessivo è fortemente coerente con il fatto che la Lombardia è la Regione in cui l’imprenditorialità privata è molto sviluppata e che è governata da una giunta di centro-destra ininterrottamente fin dal 1994. La Toscana, in direzione del tutto contraria, ha recentemente introdotto un modello istituzionale completamente nuovo, costituendo delle organizzazione denominate “Società della Salute”; questo modello è determinato dalla volontà di favorire il coinvolgimento delle comunità locali, delle parti sociali, del terzo settore e del volontariato nella individuazione dei bisogni di salute e all’interno di un processo che fa della programmazione da parte di soggetti pubblici -e non della competizione- il suo elemento qualificante. Questo indica come l’ambiente in cui le organizzazioni sanitarie operano è altamente variabile e su-bordinato all’ideologia della classe politica al potere ed alla cultura della comu-nità di riferimento. L’assetto istituzionale del Servizio Sanitario Regionale

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 8

Lombardo, attribuisce agli erogatori privati accreditati come la clinica in que-stione il compito di produrre prestazioni e incentiva l’incremento della produ-zione attraverso il sistema di pagamento più di altri sistemi sanitari regionali. L’introduzione del sistema di pagamento tramite tariffe prospettiche (attraver-so una classificazione delle prestazioni in gruppi basata sulla patologia del pa-ziente detta “Diagnosis-Related Group” o DRG) è una scelta di politica sanita-ria che ha forti influenze sul sistema degli incentivi in essere. Poiché in quello specifico caso clinico, come in numerose altre situazioni cliniche, la scelta del medico tra operare oppure non farlo non ha un’indicazione univoca nella lette-ratura scientifica e, quindi, manca un’univoca razionalità tecnica per decidere, gli interessi soggettivi degli attori partecipanti giocano un ruolo anche sempli-cemente inconscio ma, comunque, rilevante. La situazione presentata nel qua-dro 1.1. è, quindi, almeno in parte determinata dai meccanismi di collegamento formali tra l’organizzazione ed il sistema sanitario in cui opera come il sistema dei DRG che la Regione ha posto in essere per regolare la propria relazione con la struttura sanitaria coinvolta.

La stessa situazione di contrasto di interessi si presenta in modo simile per le aziende ospedaliere pubbliche, ma fattori storicamente legati al sistema sani-tario italiano, fanno sì che un erogatore privato come l’Humanitas sia accusato molto più facilmente di essere influenzato dalla convenienza economica per-ché l’idea che l’assistenza sanitaria possa legittimamente procurare profitto per chi la eroga non è ancora culturalmente accettata da molti strati della popola-zione. Inoltre, la situazione riportata nel quadro è fortemente influenzata dal periodo storico in cui avviene: l’idea che il paziente abbia la capacità di infor-marsi sulle prestazioni che gli sono erogate, che le discuta fino a portare il caso sui giornali ed alla magistratura, e che lamenti di non essere stato informato sufficientemente sui rischi ed i benefici cui andava incontro era semplicemente impensabile fino a pochi anni fa, quando il rapporto tra medico e paziente era molto diverso ed il medico era titolare del diritto e del dovere di prendere deci-sioni per conto del paziente senza che quest’ultimo pensasse di poter mettere in discussione queste decisioni (cfr. quadro 2.2.).

Infine, il giornalista allude alla fine dell’articolo a possibili rapporti informali del medico con la ditta produttrice del dispositivo biomedico particolarmente costoso che viene utilizzato nelle operazioni di sostituzione della valvola mitra-lica. Gli ingenti costi di ricerca e sviluppo, di marketing e di produzione dei farmaci e dei dispositivi medici e la grande dimensione del mercato hanno por-tato alla costituzione di grandi multinazionali e di enormi interessi economici. Questi attori investono molto nel creare e gestire le relazioni con i professioni-sti e con tutti gli altri attori del sistema sanitario e cercano di ottenere scelte fa-

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 9

vorevoli da parte dei policy makers e dei singoli professionisti creando di con-seguenza un altro elemento relazionale che, almeno secondo il giornalista auto-re dell’articolo riportato, è utile conoscere per farsi un’opinione sul caso ripor-tato nel quadro 1.1..

1.2.2. Le relazioni all’interno delle aziende

Se gli studi organizzativi che si focalizzano nel rapporto con l’ambiente e-sterno hanno usato, come contesto per i test empirici delle ipotesi, le organiz-zazioni sanitarie perché rappresentano un contesto di analisi in cui le relazioni con l’ambiente esterno sono particolarmente intense, negli studi organizzativi che si occupano di tematiche più rivolte all’interno dei confini aziendali le or-ganizzazioni del settore sanitario sono utilizzate spesso come esempio para-digmatico di organizzazioni professionali.

La natura professionale delle attività ha significativi effetti sulla relazione tra management aziendale ed i professionisti che lavorano nell’organizzazione. Se-condo Raelin (1985) esistono cinque caratteristiche della vita professionale che inducono resistenza al controllo manageriale e richiedono la comprensione, an-che se non necessariamente l’accettazione, da parte del management:

• l’autonomia rispetto ai fini e non solo rispetto ai mezzi; • la sovra-specializzazione delle abilità tecniche; • l’enfasi eccessiva sugli standard professionali di valutazione; • la mancanza di interesse nella pratica del mondo reale; • la tendenza a non rispettare le procedure organizzative.

Secondo l’autore queste caratteristiche derivano dal processo di formazione professionale e dal processo di socializzazione nella comunità scientifica cui i professionisti sono sottoposti fin dall’inizio del loro avviamento alla pratica medica.

Nel breve caso riportato nel quadro la natura professionale dell’attività co-stituisce un elemento centrale. Evidentemente, il chirurgo agisce nell’ambito della sua autonomia clinica quando sceglie di operare piuttosto che di non far-lo. L’autonomia clinica, cioè quella che si esprime ad un livello di analisi indivi-duale, consiste nella discrezionalità del medico nel prendere decisioni sui per-corsi assistenziali riferiti ai pazienti (Engel, 1969; Fitzgerald e Ferlie, 2000; Frei-dson, 1984; Raelin, 1989; Zangrandi, 2000). Le decisioni cliniche riguardo i pazienti sono sottoposte ad un’autorità molto limitata da parte di altri individui all’interno o all’esterno dell’organizzazione poiché spesso si prestano male alla

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 10

standardizzazione di procedure o risultati (Salvatore, 2006) e, di conseguenza, queste decisioni sono in larga misura lasciate all’autonomia clinica dei singoli professionisti. Il medico è, pertanto, il soggetto che partecipa alla definizione della domanda ed è anche il soggetto che ne definisce l’offerta; le aziende sani-tarie devono garantire al medico la possibilità di operare in autonomia perché è il professionista che, all’interno delle aziende in cui opera, è chiamato a rispon-dere al bisogno dell’utente con un’ampia libertà d’azione e l’azienda deve de-centrare al medico la responsabilità di individuare la domanda e produrre l’offerta (Zangrandi, 2000). La necessità delle aziende sanitarie di tutelare l’autonomia clinica del medico comporta due conseguenze in termini gestionali secondo la letteratura sulle organizzazioni professionali. La prima è l’inopportunità di collocare il medico all’interno di qualsiasi gerarchia manage-riale, in quanto l’autonomia clinica implica necessariamente anche autonomia dal punto di vista organizzativo. In questo modo le decisioni di carattere clinico prese dal medico non sono sottoposte a nessun superiore di ordine gerarchico. Questa ampia discrezionalità di azione comporta la differenziazione di comportamenti all’interno dell’ospedale e la difficoltà di realizzare sistemi di controllo. La seconda conseguenza della tutela dell’autonomia clinica è proprio legata all’individuazione di sistemi di controllo che non limitano l’autonomia clinica, quali: la definizione dei percorsi diagnostici terapeutici, la progettazione di sistemi di audit medico che supportano le decisioni mediche ed il controllo tra pari e non di un superiore rispetto a un sottoposto (Zangrandi, 2000). I processi decisionali clinici sono alla base dell’avvio dei processi assistenziali e hanno ripercussioni sia sulla sfera psicofisica del paziente sia sulla sfera economica ed organizzativa del sistema. Tradizionalmente la decisione clinica si configura come la decisione del singolo medico, quindi, come decisione individuale. L’attuale contesto sanitario ha messo in evidenza un nuovo paradigma per le decisioni cliniche, ovvero l’ Evidence Based Medicine (EBM). che suggerisce che la decisione medica deve essere di tipo “collettivo” e non individuale e, inoltre, che le decisioni cliniche, più che basate sull’intuito, devono essere basata sulle evidenze e rese disponibili al paziente sotto forma di informazione scientifica e tecnica. A questo dobbiamo aggiungere l’emergere di un “paradigma economico” che impone alle decisioni cliniche la considerazione delle problematiche relative al consumo delle risorse. La decisione, quindi, risulta ulteriormente vincolata. Nonostante ciò, la variabilità nella pratica medica è ancora molto alta ed i professionisti, anche se a conoscenza della migliore evidenza scientifica disponibile, si comportano in maniera molto eterogenea anche in situazioni molto simili.

I primi studi sul problema della variabilità della pratica medica sono stati

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 11

pubblicati in Gran Bretagna nel 1938, quando fu notato che la percentuale di bambini sottoposti a tonsillectomia variava notevolmente, fino ad essere in al-cune scuole anche dieci volte superiore alle altre solo in base al medico respon-sabile (Glover, 1938). Studi più recenti dimostrano come il problema sia tuttora attuale e crea conseguenze non solo sui costi, per l’erogazione di prestazioni inutili, ma anche sulla qualità delle cure (Fisher, Wennberg, Stukel, Gottlieb, Lucas, e Pinder, 2003; Wennberg e Gittelsohn, 1973; Wennberg, 2005). La que-stione centrale nel caso del quadro 1.2 è proprio nella legittimità a livello collet-tivo della comunità scientifica della decisione individuale che il chirurgo ha preso e nella sua aderenza alle evidenze scientifiche disponibili. E’ a sua volta interessante notare come i criteri per stabilire cosa sia scientificamente provato, e cioè la significatività statistica di alcuni trial clinici condotti secondo criteri stabiliti dalla comunità scientifica sia definita da interazioni sociali tra pro-fessionisti, non può essere oggettiva in termini assoluti e sia recentemente criti-cata da molti movimenti in favore di medicine alternative. Queste caratteristi-che del settore sanitario hanno attratto molti studiosi dei processi di diffusione delle innovazioni tra cui . Tra questi sicuramente deve essere notata la forte in-tensità di conoscenza dell’attività sanitaria ed il fatto che l’approccio relazionale è particolarmente efficace nell’analisi della diffusione della conoscenza e dell’adozione delle innovazioni (Bradley, Webster, Baker, Schlesinger, e Inouye, 2005; Coleman, Katz, e Menzel, 1957; 1966; Counte e Kimberly, 1974; Dop-son, 2005; Goes e Park, 1997; Greenhalgh, Robert, Macfarlane, Bate, e Kyria-kidou, 2004; Greenhalgh, Robert, Bate, Kyriakidou, e Macfarlane, 2005; Kim-berly e Evanisko, 1981; West, Barron, Dowsett, e Newton, 1999; e Young, Charns, e Shortell, 2001).

Inoltre, il caso rappresenta bene le difficoltà che si incontrano nella misura-zione dei risultati in sanità e nell’individuare chi è responsabile della valutazione l’operato di un professionista. La misurazione dei risultati è spesso problemati-ca all’interno delle organizzazioni sanitarie perché, se è relativamente facile te-nere traccia della quantità di prestazioni sanitarie erogate, non è altrettanto faci-le misurare i risultati di salute ad esse collegate. Una prima causa di questa dif-ficoltà deriva dal fatto che spesso i risultati sulla salute delle persone sono rile-vabili su periodi di tempo troppo lunghi rispetto ad i normali cicli aziendali. Se, ad esempio, l’efficacia delle cure per i pazienti affetti da cancro si può valutare con il tasso di sopravvivenza dopo cinque anni dall’intervento, disporre di una valutazione di efficacia solo dopo questo lungo tempo dalla attività è spesso inutile per molti dei sistemi operativi aziendali (come, ad esempio, la retribu-zione variabile o lo sviluppo di carriera) semplicemente perché è inopportuno basare le decisioni di oggi sulle performance di cinque anni prima. Una seconda

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 12

causa di questa difficoltà deriva dal fatto che gran parte della tecnologia medica utilizzata oggi si basa su conoscenze di natura probabilistica e, quindi, poiché ogni paziente è diverso dall’altro e poiché non conosciamo perfettamente i meccanismi sottostanti l’azione delle terapia e le procedure utilizzate, non è possibile valutare la performance di un professionista o di un’organizzazione sul risultato di salute di un numero limitato di pazienti ma è necessario valutarla su di un numero sufficientemente ampio di pazienti da non poter imputare una performance, positiva o negativa, a fattori di tipo casuale ma, invece, all’operato dei professionisti. Non sempre il numero di pazienti di un profes-sionista è sufficientemente ampio da permettere una valutazione. Nel caso og-getto del quadro 1.1. misurare il risultato dell’operazione cardiochirurgica cui il paziente è stato sottoposto è molto difficile. Da ciò che riporta il giornalista, è possibile conoscere che il paziente a tre anni di distanza dall’intervento è in grado di essere in missione all’estero ma, anche avendo a disposizione tutte le informazioni che ha la magistratura, è impossibile poter dire come sarebbe oggi la salute del paziente se l’intervento non ci fosse stato. Le linee guida delle so-cietà scientifiche, un meccanismo di coordinamento assimilabile alla standar-dizzazione dei processi, lasciano ai professionisti l’autonomia decisionale ne-cessaria anche se tendenzialmente sconsigliano interventi così complessi su pa-zienti anziani, come nel quello oggetto del caso discusso, a causa dei rischi lega-ti all’intervento e dei benefici ridotti per questo genere di pazienti. Per questa difficoltà di valutazione il sistema delle professioni regolate assegna agli ordini professionali il potere di valutare, ed eventualmente sanzionare, il comporta-mento dei propri membri. Essendo gli ordini professionali espressioni esclusi-vamente degli stessi professionisti la valutazione è in larga parte sottratta ai po-teri del management delle organizzazioni.

Proprio a causa delle peculiarità delle relazioni tra professionisti e manager, le relazioni tra gli stessi professionisti rappresentano un elemento di analisi an-cora più interessante. Attraverso le relazioni tra pari, infatti, le comunità pro-fessionali svolgono alcune funzione altrove svolte dai manager quando assicu-rano il rispetto di alcuni standard minimi, il coordinamento tra professionisti e, in gran parte, un funzionamento efficace di organizzazioni che svolgono attivi-tà complesse.

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 13

1.2.3. La ricerca sull’organizzazione dei servizi sanitari da un punto di vista relazionale

Per diversi ordini di motivi -tra cui certamente la loro diffusione, la loro ri-levanza dal punto di vista sociale e la loro caratteristica di organizzazioni pro-fessionali- le aziende sanitarie sono spesso state usate come contesti delle anali-si empiriche degli studi organizzativi. In molti casi, il settore sanitario ha rap-presentato un laboratorio cui applicare teorie spesso generalizzabili ad altri set-tori. Alcuni degli esponenti più noti della generazione di studiosi di management attivi nell’ultimo quarto del Novecento, tra cui Henry Mintzberg e Andrew Van de Ven, hanno dedicato una parte considerevole delle loro ricer-che ad organizzazioni del settore sanitario. Il settore sanitario è stato anche il campo di studio in cui una tra le primissime analisi da una prospettiva relazio-nale è stata realizzata, lo studio del sociologo James Coleman e dei suoi colleghi sulla diffusione della tetraciclina in quattro città dell’Illinois.

La prospettiva relazionale, può essere una prospettiva da cui affrontare, in modo più analitico grazie agli strumenti di analisi delle reti sociali oggi a dispo-sizione molti degli oggetti di analisi tradizionalmente studiati dalla teoria dell’organizzazione o dagli studi sul comportamento organizzativo e l’organizzazione delle attività sanitarie può rappresentare, ancora una volta, uno dei contesti principali all’interno del quale sviluppare e testare l’analisi. Secondo Lomi (1991, p.21) la prospettiva relazionale era in realtà già presente in alcuni dei testi classici di teoria dell’organizzazione come, ad esempio, “Organizations in action” di James Thompson (1967); egli cita un passaggio del testo di Thompson (1967, p. 27) in cui si comparano, tra l’altro, le relazioni di un ospe-dale in un’area metropolitana, e quelle di un ospedale in una piccola comunità. Nel caso dell’ospedale metropolitano “ci troviamo di fronte ad un network che potremmo definire «segregato» nel senso che l’organizzazione centrale [l’ospedale], qui immediatamente riconoscibile, intrattiene una serie di relazioni di scambio diadiche tra attori nel proprio ambiente rilevante fra i quali non vi è nessuna apprezzabile interdipendenza […]. Al contrario, nel secondo caso de-scritto da Thompson – quello dell’ospedale che opera nella comunità di piccole dimensioni in cui è possibile ipotizzare l’esistenza di una molteplicità di legami primari e strumentali fra le proprie «componenti esterne» - ci troviamo di fron-te ad un network che possiamo chiamare «integrato» nel senso che tra i nodi della struttura reticolare esiste un complesso tessuto relazionale e di «dipenden-za» reciproca” (Lomi, 1991, P. 23).

Pearce e David (1983) affermano che lo studio delle variabili relazionali po-trà permettere di comprendere in maniere più analitica il rapporto tra il disegno

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 14

organizzativo e la performance delle organizzazioni. Krackhardt e Brass (1994) suggeriscono che i network hanno un effetto sulle principali variabili del com-portamento organizzativo: motivazione, leadership, disegno della posizione, turnover/assenteismo, atteggiamenti sul lavoro, e potere. Le organizzazioni sa-nitarie potrebbero costituire un ottimo contesto per proseguire la ricerca su en-trambi i temi, soprattutto il primo, il disegno organizzativo, per il quale l’alta differenziazione del lavoro e le interdipendenze complesse tipiche delle orga-nizzazioni sanitarie rappresentano un’opportunità di ricerca unica.

Oltre a poter costituire un contesto interessante per studi empirici che pos-sano offrire spunti per la generalizzazione indipendentemente dal settore indu-striale di appartenenza, l’analisi relazionale può offrire un inquadramento teori-co in grado di offrire una efficace descrizione generale del settore sanitario ed, al tempo stessa, una comprensione più analitica dei fenomeni che lo caratteriz-zano. Nonostante l’organizzazione della sanità sia spesso utilizzata come cam-po per gli studi empirici, gli schemi teorici per inquadrarne le caratteristiche sono, infatti, abbastanza deboli. Un inquadramento spesso utilizzato è quello che le definisce “burocrazie professionali” introdotto da Mintzberg (1980; 1985) all’interno dell’approccio delle configurazioni organizzative. Questo in-quadramento, che sarà approfondito nel seguito del presente lavoro è straordi-nariamente efficace nella descrizione globale dei fenomeni, ed è per questo spesso utilizzato nella attività didattica, ma poco appropriato per uno studio più analitico e meno descrittivo.

Più recentemente alcuni studiosi hanno provato ad inquadrare le organizza-zioni sanitarie nell’ambito degli studi sulla complessità (cfr. quadro 1.2.). Seb-bene estremamente affascinante, e sebbene lo sviluppo teorico di questo in-quadramento non possa considerarsi concluso, anche questo inquadramento sembra poco efficace nel generare implicazioni manageriali utili alla pratica ed in grado di costituire un inquadramento teorico relativamente condiviso e legit-timato all’interno della comunità accademica.

Quadro 1.2. – Le organizzazioni sanitarie come Complex Adaptive Systems

L’organizzazione sanitaria si caratterizza per essere un crocevia di conoscenze al-tamente specialistiche, culture, valori ed interessi diversi e spesso conflittuali che, nella loro interazione producono un elevato livello di complessità.

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 15

Proprio per questo, parallelamente alle prime applicazioni delle teorie della com-plessità in management (Anderson, 1999; Mathews, White, e Long, 1999) un numero crescente di autori nel settore sanitario (Allred, Burns, e Phillips, 2005; Chinnis e Whi-te, 1999; Holden, 2005; Miller, McDaniel, Crabtree, e Stange, 2001; Plsek e Green-halgh, 2001; Plsek e Wilson, 2001) definisce i sistemi di erogazione di offerta dei ser-vizi sanitari come Complex Adaptive Systems (“sistemi adattivi complessi”) cioè co-me “un insieme di agenti individuali con libertà di azione in modalità che non sono sempre e completamente prevedibili e le cui azioni sono interconnesse in modo che quelle che ciascun attore individuale compie modificano il contesto degli altri attori” (Plsek e Greenhalgh, 2001).

Un sistema può, quindi, essere definito complesso quando non è costituito sem-plicemente dalla somma dei suoi componenti, ma anche da intricati, alti livelli di inter-connessione ed in questo senso praticamente ogni sistema può definirsi, ed è, com-plesso. Ma nelle organizzazioni sanitarie esistono alcuni elementi di complessità speci-fici che, quindi, rendono interessante inquadrare il loro studio definendoli come Complex Adaptive Systems.

Al di là della prospettiva di analisi che si sceglie, i fattori di complessità nelle orga-nizzazioni sanitarie sono molteplici. Una possibile classificazione (Cicchetti, 2004) di-stingue tra:

• eterogeneità dei sistemi culturali e dei valori che contribuiscono a defini-re gli obiettivi legittimi dell’organizzazione. Tale eterogeneità è dovuta a sua volta a tre fattori: la eterogeneità storica; la eterogeneità politico-sociale; e la eterogeneità culturale;

• complessità del processo di trasformazione inteso come mezzo per rag-giungere gli scopi. Tale complessità è dovuta a sua volta a: l’eterogeneità nei processi; l’autonomia clinica e la pluralità dei centri decisionali; la dif-ficoltà di misurazione dei risultati; la frammentazione delle competenze; l’intensità delle interdipendenze funzionali;

• complessità della struttura sociale dell’organizzazione sanitaria nella quale risultano imbevute le tecnologie e le conoscenze. Tale fattore di com-plessità può essere analizzato tramite quattro aspetti: la combinazione tra aspetti formali ed informali; l’intensità relazionale; i processi decisio-nali clinici: e i processi decisionali strategici.

La prospettiva relazionale sembra avere le potenzialità per discutere da una

prospettiva - diversa entrambi gli inquadramenti teorici ed l social network a-nalysis sembra avere le potenzialità - per operazionalizzare entrambi gli inqua-dramenti negli studi empirici. L’inquadramento delle organizzazioni sanitarie come burocrazie professionali, infatti, si fonda su un ragionamento che parte

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 16

dall’idea di professionalismo (Freidson, 2002) che è un fenomeno che ha chiare base relazionali (cfr. § 2.3.). L’inquadramento della teoria della complessità, in-vece, assume che la causa primaria della complessità dei sistema è l’interazione tra attori autonomi: focalizzare l’attenzione sulle relazioni tra questi attori, quindi, è la prospettiva analitica che sembra più promettente nel cercare di dare un contenuto concreto alla complessità e operazionalizzare gli studi empirici che sviluppano queste riflessioni.

1.3. Alcuni temi attuali nel dibattito sul settore sanitario da una prospettiva relazionale

Una prospettiva relazionale può offrire un contributo utile a discutere temi non solo rilevanti al dibattito accademico sull’organizzazione dei servizi sanitari ma anche alcuni temi oggi centrali nel dibattito tra policy makers sui temi del sistema sanitario in Italia. Alcuni possibili esempi di temi che oggi hanno un’elevata rilevanza per la pratica e che possono essere analizzati da una pro-spettiva relazionale sono:

1. l’integrazione delle cure; 2. la clinical governance; 3. il disegno delle strutture organizzative in sanità.

L’integrazione delle cure e delle attività è un tema centrale nel dibattito sulla sanità in Italia, tanto che, riferendosi ad un tipo specifico di integrazione, quella socio-sanitaria nel Piano Sanitario Nazionale 2003-20051 è scritto che “l’integrazione tra i servizi sanitari e quelli sociali a livello locale è indispensabile”. L’indispensabilità dell’integrazione deriva da una diffusa sensazione di fram-mentazione delle cure da parte di operatori e pazienti che è ancora più forte in un’area come quella socio-assistenziale in cui -a causa del rapido invecchia-mento della popolazione e del diminuire della capacità delle famiglie di farsi ca-rico dei problemi degli anziani- i bisogni dei cittadini crescono e mutano rapi-damente e trovano spesso il Servizio Sanitario Nazionale impreparato a fornire risposte appropriate. L’integrazione delle cure include i metodi e le strategie per collegare e coordinare i vari aspetti dell’erogazione di servizi sanitari anche tra sistemi di cure differenti. Un tema centrale è, ad esempio, l’integrazione tra o-spedale e territorio che, se attuata, promette di poter ridurre il ricovero di casi

1 Fonte: Ministero della Salute, Piano Sanitario Nazionale 2003-2005 http://www.ministerosalute.it/resources/static/psn/documenti/psn_2003-2005.PDF (Ultimo ac-cesso, 2 dicembre 2005).

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Le specificità delle attività sanitarie e la rilevanza di una prospettiva relazionale 17

che potrebbero trovare una risposta ai propri bisogni al di fuori dell’ospedale, di ridurre le duplicazioni di prestazioni, e di aumentare la qualità delle cure. Provan e Milward (1995) hanno comparato l’efficacia dei network interorga-nizzativi per l’erogazione di servizi di salute mentale in alcune città degli Stati Uniti ed hanno trovato che per l’erogazione di questo tipo di cure avere una rete di organizzazioni fortemente centralizzata, cioè una rete nella quale esiste un’organizzazione centrale che coordina tutte le altre, è più efficace rispetto ad una rete più densa nelle quali le singole organizzazioni comunicano tra loro senza affidarsi ad un attore centrale. Per quanto concerne reti inter-personali tra professionisti, un’analisi relazionale potrebbe analizzare lo scambio di in-formazioni che i professionisti hanno rispetto ad un singolo paziente, oppure le modalità di connessione che hanno un effetto sul miglioramento dell’integrazione ed, indirettamente, della qualità delle cure.

La clinical governance rappresenta un insieme di strumenti organizzativi (come ad esempio, l’audit clinico o la formazione sull’adozione di linee guida) attraverso cui si cerca di orientare il comportamento professionale degli opera-tori sanitari affinché operino utilizzando modalità di valutazione e migliora-mento della qualità professionale. Ad esempio, uno dei problemi che spesso programmi di clinical governance provano ad affrontare è quello dei parti cesa-rei: secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non si dovrebbe superare la soglia del 15 per cento del totale, mentre la media negli Stati Uniti e Canada è del 25% ed in Gran Bretagna sopra il 20% (Anderson, 2004). Secon-do l’ultimo Piano Sanitario Regionale della Campania, nella Regione la percen-tuale di tagli cesarei nel 1999 era del 51%.2 Kravitz e colleghi (2003), ad esem-pio, identificano tra le ostetriche in 52 ospedali un gruppo di opinion leader at-traverso tecniche di social network analysis e ne rilevano la disposizione alla ri-duzione dell’utilizzo del parto cesareo rispetto ai livelli considerati adeguati dalla letteratura scientifiche. Secondo gli autori sono proprio questi opinion leader che non concordano con la riduzione della percentuale ai livelli stabiliti dall’OMS e questo potrebbe contribuire a spiegare perché i programmi di ridu-zione della percentuale di parti cesarei non abbiano risolto il problema nono-stante molti di essi siano cominciati negli anni Ottanta.

Infine, il disegno delle strutture organizzative sembra essere la leva degli as-setti organizzativi su cui ogni riforma legislativa delle aziende pubbliche inter-viene nella implicita convinzione che sia il principale fattore per l’efficacia ed

2 Fonte: Regione Campania, Piano Sanitario Regionale 2002-2004 http://www.sito.regione.campania.it/burc/pdf02/burcspec18_07_02/piano%20sanitario%20regionale.pdf (Ultimo accesso, 21 dicembre 2005).

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 18

efficienza dell’organizzazione. Indipendentemente dalle sue implicazioni per le performance delle aziende, le riorganizzazioni sono momenti molto delicati nelle aziende sanitarie pubbliche perchè la creazione di nuove posizioni di re-sponsabilità è stata tradizionalmente - ed impropriamente - utilizzata come modalità per governare la retribuzione dei professionisti (Borgonovi, 2005). L’analisi delle interdipendenze, è una delle fasi della progettazione della struttu-ra organizzativa che si presta ad una visione in un’ottica relazionale (Cicchetti e Lomi, 2004). La stessa rappresentazione in organigrammi delle strutture orga-nizzative può essere vista come un tipo particolare di diagramma di network in cui sono rappresentate le relazioni di sub-ordinazione o sovra-ordinazione ge-rarchica (cfr. quadro 3.3.).

In conclusione, la prospettiva relazionale può essere in grado di fornire un inquadramento concettuale utile sia alla ricerca accademica che alla pratica ma-nageriale nella gestione dell’organizzazione delle aziende sanitarie. Al tempo stesso, la presenza marcata di alcune caratteristiche nelle attività sanitarie rende possibile utilizzare il settore come un caso in cui si osservano fenomeni estremi dai quali è possibile trarre riflessioni e generalizzazioni utili per organizzazioni in altri settori che presentano caratteristiche simili seppure con intensità mino-re.

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Capitolo Secondo

L’analisi relazionale delle

organizzazioni: un’applicazione al

settore sanitario

2.1. Le dimensioni della ricerca che utilizza una prospettiva relazionale - 2.1.1. La direzione del nesso di causalità: cause e conseguenze delle reti sociali - 2.1.2. Il livello di analisi negli studi relazionali - 2.1.3. Meccanismi e obiettivi interpretativi negli studi relazionali - 2.2. Le dimensioni strutturali, relazionali e cognitive nella ricerca sui network - 2.2.1. La dimensione strutturale - 2.2.2. La dimensione relazionale - 2.2.3. La dimensione cognitiva - 2.3. Il sistema delle professioni in una prospettiva relazionale - 2.3.1. Le professioni da una prospettiva economica - 2.3.2. Le professioni da una prospettiva sociologica - 2.3.3. Una prospettiva relazionale come “collante” di una teoria unitaria delle professioni

2.1. Le dimensioni della ricerca che utilizza una prospettiva relazionale

Negli ultimi venti anni l’approccio dell’analisi delle reti sociali e le collegate tecniche statistiche sono diventate popolari tra un numero crescente di socio-logi, studiosi di scienze politiche ed economisti e questo approccio è stato im-piegato frequentemente anche in numerose aree di interesse per gli studi orga-nizzativi. L’interesse verso le reti è cresciuto nella letteratura accademica di molti campi scientifici a ritmo esponenziale dagli anni Settanta in poi nell’ambito di un processo di cambiamento più ampio che ha reso meno popo-lari schemi interpretativi individualisti ed atomistici in favore di schemi inter-pretativi più relazionali e sistemici (Borgatti e Foster, 2003).

Un comune denominatore di tutti i numerosi filoni di ricerca in organizza-zione aziendale che assumono una prospettiva relazionale è nella definizione della struttura del network come un insieme di attori (o nodi) connessi da una serie di relazioni (o legami). Ogni attore è connesso con diversi altri e le rela-zioni possono essere di tipo e intensità diversa.

Cicchetti e Lomi (2000, p.34) notano come da un lato il settore sanitario, ed in particolare quello ospedaliero, sia caratterizzato da una forte spinta verso

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 20

l’istituzionalizzazione delle regole che crea a sua volta strutture di protezione ed assorbimento, dall’altro, però, il vero motore dell’azione organizzativa non è la struttura - che diviene un fatto essenzialmente cerimoniale - ma il sistema emergente di tentativi individuali di controllo dei processi e di risoluzione di problemi. Per questo motivo le performance di un’unità organizzativa dipen-dono poco dalla forma organizzativa scelta e dalle regole istituzionali ma, inve-ce, saranno correlate alla posizione della unità nelle rete di relazioni nell’organizzazione in cui si trovano.

Borgatti e Foster (2003) individuano alcune dimensioni della ricerca in management che utilizza una prospettiva relazionale. Queste sono:

1. la direzione del nesso di causalità; 2. il livello di analisi; 3. i meccanismi interpretativi e gli obiettivi dell’interpretazione.

2.1.1. La direzione del nesso di causalità: cause e conseguenze delle reti sociali

Gli studi di network si distinguono in base alla direzione del nesso di causa-lità in studi che analizzano le cause della struttura della rete o in studi che ne analizzano le conseguenze. La maggior parte della ricerca si è fino ad oggi con-centrata sulle conseguenze della struttura della rete probabilmente perché la prospettiva relazionale, essendo relativamente recente, si è potuta legittimare nella comunità accademica e manageriale dimostrando che le variabili di network hanno conseguenze su variabili di outcome che la ricerca da altre pro-spettive ha tradizionalmente considerato importanti. Un secondo motivo per cui le conseguenze delle reti hanno ottenuto maggiore attenzione è che l’analisi relazionale è stata storicamente influenzata da sociologi strutturalisti che consi-derano i network come l’elemento che definisce il contesto sociale in cui gli at-tori agiscono e, quindi, i network forniscono opportunità e limiti al comporta-mento individuale. Tra le variabili organizzative su cui la posizione nella rete sociale ha delle conseguenze gli studi empirici hanno dimostrato che è possibile includere l’influenza sul potere, la leadership, la diffusione delle innovazioni, la ricerca di lavoro, la mobilità di carriera, la performance individuale e la perfor-mance di gruppo.

Per quanto concerne le conseguenze dei network nelle organizzazioni pro-fessionali, la letteratura proveniente da varie discipline scientifiche ma accomu-nata dal prendere una prospettiva relazionale all’oggetto di analisi, ha trovato che le relazioni informali di consiglio sono fattori importanti per una moltitu-dine di fenomeni sociali, di interesse specifico per questa tipologia di organiz-

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L’analisi relazionale delle organizzazioni: un’applicazione al settore sanitario 21

zazioni come, ad esempio, la diffusione delle informazioni, l’adozione delle in-novazioni, i percorsi di carriera degli individui, e, complessivamente anche se in via indiretta, sulla performance delle organizzazioni.

La diffusione delle informazioni e l’adozione delle innovazioni sono due fe-nomeni distinti anche se spesso difficilmente separabili. I due oggetti di studio sono tra i più studiati nella prospettiva dei social network ed i principali studi nel settore sanitario sono quelli di Coleman, Katz e Menzel (1966) e Rice e A-ydin (1991). Una recente e completa opera di review della letteratura sulla dif-fusione ed adozione delle innovazioni nel settore sanitario di Greenlagh e col-leghi (Greenhalgh, Robert, Macfarlane, Bate, e Kyriakidou, 2004; Greenhalgh, Robert, Bate, Kyriakidou, e Macfarlane, 2005) organizza l’enorme ricerca su questo argomento dedicando anche spazio ai contributi che adottano una pro-spettiva relazionale. La medicina è un settore nel quale le fonti formali di in-formazioni come riviste scientifiche, database di articoli, congressi, educazione medica continua e promozione da parte delle case farmaceutiche non mancano ed ha raggiunto uno stadio evolutivo per quanto riguarda la varietà dell’offerta, la disponibilità delle fonti e la standardizzazione delle procedure che sono invi-diabili da parte delle altre discipline scientifiche. Nonostante ciò, esistono alcu-ne categorie di informazioni per la cui diffusione le reti sociali sono il principa-le strumento poiché le modalità di diffusione delle informazioni formali non sono in grado di trasferire in modo efficiente: tra queste informazioni ricadono quelle più specifiche di ciascun organizzazione come, ad esempio, informazioni sul contesto sociale in cui un ospedale opera, sulle routine organizzative non formalizzate, sulla qualità e disponibilità di medici e strutture sanitarie a cui in-viare pazienti per tipologie di assistenza che l’organizzazione non eroga. Ma, più che per la diffusione di informazioni, le reti sociali rivestono un’importanza elevata per l’adozione delle innovazioni nel settore sanitario. Infatti, soprattutto per quelle nuove pratiche mediche per le quali la letteratura scientifica non for-nisce indicazioni univoche sulla effettiva efficacia, i medici scelgono se adottar-le soprattutto in base alle esperienze ed al comportamento dei colleghi. Questo permette di minimizzare il rischio di adottare una nuova pratica dagli efficacia incerta (Coleman, Katz, e Menzel, 1957; 1966).

Per quanto riguarda le conseguenze dei network interpersonali sui percorsi di carriera individuale, il classico studio di Granovetter (1973) sulla “forza dei legami deboli” suggeriva che persone con network ampi e poco ridondanti hanno più possibilità di ottenere informazioni sulle posizioni lavorative dispo-nibili e, quindi, di trovare lavoro. Inoltre, all’interno del filone di studi sulle reti e capitale sociale, gli studi di Burt (2000) hanno trovato che essere connessi agli

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 22

altri grazie a reti interpersonali con determinate tipologie di strutture, incre-menta la possibilità di essere promossi all’interno della propria organizzazione.

Infine, alcuni studi come, ad esempio, il precedentemente citato lavoro sui network per la salute mentale di Provan e Milward (1995), hanno trovato una relazione - anche se necessariamente indiretta - tra network e performance or-ganizzative. Le reti, infatti, possono aumentare la capacità di integrazione delle cure su pazienti che necessitano competenze multidisciplinari.

Per quanto concerne, invece, le cause della struttura del network, il numero di studi è certamente meno ampio ma, negli ultimi anni, in crescita esponenzia-le. A livello di analisi individuale, questi studi possono essere concettualmente ricondotti alla ricerca sulla homophily (in italiano “omofilia”). In una review della letteratura sull’argomento, McPherson, Smith-Lovin e Cook (2001) definiscono la homophily come “il principio in base al quale un contatto tra persone simili avviene più spesso che un contatto tra persone dissimili”. La similarità tra gli individui è stata operazionalizzata nella ricerca empirica in diverse dimensioni tra cui età, sesso, livello di istruzione, prestigio, classe sociale, tempo trascorso nell’organizzazione ed occupazione (Brass, Galaskiewicz, Greve, e Tsai, 2004). La pervasività della homophily, implica che le informazioni culturali, compor-tamentali, genetiche o materiali che sono condotte dai network tenderanno ad essere localizzate in area limitate delle reti sociali ed avranno difficoltà a dif-fondersi in tutta la rete, perché in una rete sociale in cui la homophily gioca un ruolo importante tenderanno a formarsi piccoli sottogruppi (“clique”) isolati l’un dall’altro, ciascuno dei quali formato da attori con caratteristiche molto si-mili tra loro. La homophily implica, quindi, che la distanza in termini di caratte-ristiche sociali si traduce nella distanza all’interno della rete, intesa come il nu-mero di relazioni che un’informazione deve viaggiare per connettere due indi-vidui. Implica anche che ogni entità sociale che dipende in misura sostanziale dalla rete per la sua trasmissione tenderà ad essere localizzata nello spazio so-ciale ed obbedirà ad alcune dinamiche fondamentali nell’interazione con altre entità sociali all’interno dell’ecologia delle forme sociali (McPherson, Smith-Lovin e Cook, 2001). Al livello di analisi inter-organizzativo, l’interesse verso le determinanti della formazione di alleanze e joint-ventures ha puntato su model-li interpretativi che uniscono alle teorie sulla homophily, teorie più orientate al-la dipendenza da risorse (Gulati e Gargiulo, 1999; Powell, White, Koput, e Owen-Smith, 2005).

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Quadro 2.1. – La co-evoluzione dei network e del comportamento

La distinzione tra le conseguenze della struttura della rete e le cause della sua for-mazione è una distinzione che ha poco significato nella gran parte degli oggetti di ana-lisi di interesse nel campo delle scienze sociali e del management in particolare. Infatti, gran parte delle attitudini da un lato sono una causa, nel senso che persone simili hanno una maggiore possibilità di essere legate da una relazione in base al principio della homophily. D’altra parte le relazioni sono a loro volta la causa della nascita di numerose attitudini delle persone che sono spesso “contagiate” dai propri amici o colleghi. Ad esempio, due persone hanno probabilmente una maggiore possibilità di diventare amici se entrambi sono fumatori condividendo gli stessi luoghi e identifi-candosi come “discriminati” dai non fumatori, ma allo stesso tempo una persona può iniziare a fumare (o non smettere) con maggiore probabilità se i suoi amici sono fu-matori.

L’unica possibilità di distinguere quanto fattori come comportamenti o attitudini causino la rete sociale e quanto, invece, sono causati da essi, è la disponibilità di dati relazionali e comportamentali longitudinali che permettano nel tempo di seguire la co-evoluzione della rete sociale e dei comportamenti dei partecipanti.

L’idea che le reti sociali evolvono e che la dinamica dei network sia più interessan-te della loro statica si è, fino ad anni molto recenti, scontrata con la mancanza della capacità di analizzare i dati empirici longitudinali. Questa incapacità deriva da diverse cause. Tra di esse la scarsa disponibilità di dati relazionali longitudinali a causa dell’alto costo della raccolta dati, ma anche il mancato sviluppo di tecniche statistiche in grado di tenere in considerazione la non-indipendenza delle osservazioni che caratterizza i dati che hanno come oggetto le relazioni.

Il progredire dei sistemi informativi ha in primo luogo reso disponibili enormi quantità di dati a costo molto basso. Ad esempio, Kossinets e Watts (2006) utilizzano come dati l’archivio informatico delle email che si raccoglie automaticamente sui server ogni volta che una persona invia una email ad un’altra. Al tempo stesso, l’evoluzione dei sistemi informativi, inizia a rendere possibile l’utilizzo di tecniche sta-tistiche che si basano sul calcolo iterativo di migliaia di simulazioni in modo da poter aggirare, l’inapplicabilità delle tecniche statistiche tradizionali dovuta alla non-indipendenza delle osservazioni.

Con la disponibilità dei dati e di tecniche statistiche applicabili, i primi studi empi-rici hanno utilizzato la struttura del network stesso come variabile esplicativa della sua evoluzione. Ad esempio, meccanismi quali la reciprocità, la transitività (gli amici degli amici tendono a divenire amici), e la competizione strutturale sono meccanismi endo-geni con cui la struttura della rete sociale fotografata in un determinato momento in-fluenza la struttura della rete sociale nel momento successivo. L’evoluzione del

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 24

network causata da fattori endogeni quali la sua struttura in un determinato momento è di notevole interesse per i sociologi, soprattutto quelli che utilizzano un approccio strutturalista, ma negli studi di management le variabili comportamentali rivestono un’importanza maggiore in quanto costituiscono una variabile di performance inter-media che, indirettamente, può avere effetto sulle performance delle organizzazioni.

I cambiamenti nella struttura del network determinati da comportamenti o carat-teristiche individuali sono spesso denominati “selezione” mentre i cambiamenti nei comportamenti e nella attitudini degli attori determinati dalle caratteristiche degli atto-ri cui sono connessi è chiamata “influenza” (Steglich, Snijders, e Pearson, 2004).

E’ quindi possibile attraverso l’analisi di dati longitudinali separare l’effetto della selezione da quello dell’influenza sui comportamenti, attraverso modelli statistici an-cora in fase di sviluppo, tra i quali si segnala il modello sviluppato all’università di Groningen nei Paesi Bassi, che ricava le stime statistiche dei coefficienti attraverso ite-rate simulazioni di scelte individuali sullo stato del network da parte degli attori e che è implementato nel software SIENA (Simulation Investigation for Empirical Network Analysis)3.

Negli studi empirici, è tradizionalmente stato molto difficile poter dire

quanto un comportamento è simile perché due individui che hanno una rela-zione si sono selezionati l’un l’altro anche in base a quel comportamento, op-pure se è stato sviluppato nel tempo e l’uno ha influenzato l’altro durante l’evoluzione. Tecniche come quelle brevemente descritte nel quadro 2.1. stanno aprendo nuove frontiere per la ricerca in questo campo con implicazioni ma-nageriali potenzialmente molto interessanti.

2.1.2. Il livello di analisi negli studi relazionali

Il livello di analisi negli studi relazionali ha delle sue specificità che lo ren-dono peculiare. Innanzitutto, i dati relazionali sono fondamentalmente diadici, osserviamo cioè un valore per ciascuna coppia di nodi (ad esempio, se l’attore A e l’attore B sono amici o non lo sono; oppure il numero di messaggi email inviati dall’attore A all’attore B) piuttosto che per ciascun nodo (ad esempio, età o sesso di ciascun attore).

3 Disponibile gratuitamente dal sito web http://stat.gamma.rug.nl/snijders/siena.html (ultimo accesso 3 gennaio 2006).

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L’analisi relazionale delle organizzazioni: un’applicazione al settore sanitario 25

Le ipotesi a livello della diade essenzialmente predicono i legami in una rela-zione sociale in base ad i legami in un’altra relazione sociale misurata tra gli stessi attori.

Tabella 2.1: I risultati della ricerca organizzativa da una prospettiva relazionale in base al livello di analisi definito come ampiezza dell’attore analizzato

Antecedenti Conseguenze

Network inter-personali • Similarità tra gli attori

• Personalità • Prossimità e

struttura organizzativa

• Fattori ambientali

• Similarità negli attitudini

• Soddisfazione sul lavoro

• Potere • Trovare un lavoro • Performance • Avanzamenti di

carriera • Turnover • Leadership • Comportamento

anti-etico

Network inter-unità organizzative

• Legami interpersonali

• Legami funzionali • Processi

organizzativi e meccanismi di controllo

• Performance • Innovazione ed

attività legate alla conoscenza

Network interorganizzativi • Motivazioni strumentali

• Apprendimento • Fiducia • Norme e controllo

reciproco • Equità • Contesto

• Imitazione • Innovazione • Sopravvivenza

dell’azienda • Performance

Fonte: Ns. elaborazione da Brass, Galaskiewicz, Greve, e Tsai, 2004.

Nella ricerca non relazionale, il livello di analisi è tipicamente definito in

termini della ampiezza o della complessità delle entità che sono analizzate.

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 26

Questo è anche possibile nella ricerca relazionale. Ad esempio, Brass, Gala-skiewicz, Greve, e Tsai (2004), classificano la ricerca sui network in management in studi sui network inter-personali, sui network inter-unità orga-nizzative e sui network interorganizzativi. I risultati della loro analisi della lette-ratura sono riportati nella tabella 2.1.

Ma il livello di analisi da una prospettiva relazionale può anche essere classi-ficato come diadico, al livello di attore individuale o al livello di network e, quindi, non corrispondere al tipo di attore che viene studiato.

Ad esempio, la centralità è una variabile relazionale che ha senso al livello di analisi individuale misurata in diversi modi. La misura più semplice è detta de-gree centrality ed è calcolata sommando il numero di relazioni che un attore in-trattiene; altre misure sono la closeness centrality, betweeness centality, o la eigenvector centrality (Wasserman e Faust, 1994). Ha comunque significato parlare di centra-lità di un attore sia esso un individuo, un’unità organizzativa, oppure un’intera organizzazione all’interno di una rete. Ma se il livello di analisi scelto è quello del network, la misura di centralità non ha più significato. Una misura simile è quella di centralizzazione, che indica quanto eterogenee sono le centralità degli attori all’interno di un network e può essere utilizzata per comparare due o più reti. Ad esempio, Provan e Milward (1995) comparano le reti di erogazione dei servizi di salute mentale in quattro città negli Stati Uniti e mostrano che le reti più centralizzate, cioè quelle in cui esiste un’agenzia principale che intrattiene gran parte delle relazioni con le altre organizzazioni che erogano i servizi, sono le più efficaci nell’offrire servizi di qualità ai pazienti.

2.1.3. Meccanismi e obiettivi interpretativi negli studi relazionali

Una prima, ampia classificazione dei meccanismi interpretativi utilizzati ne-gli studi relazionali può separare la logica interpretativa seguita dagli studiosi in due ampie classi: quella dei meccanismi connettivisti e quella dei meccanismi strutturalisti. Secondo una prospettiva connettivista, i legami che un nodo in-trattiene con un insieme di altri nodi possono essere vantaggiosi per la sua per-formance se questi legami consentono l’accesso a risorse con un valore. Secon-do una prospettiva strutturalista, invece, la performance del nodo è migliorata quando la struttura complessiva del network mostra alcune caratteristiche topologiche desiderate, come ad esempio un’alta densità, o la presenza di possibilità di brokeraggio (Borgatti e Foster, 2003; Mehra, Dixon, Brass, e Robertson, 2006).

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Una classificazione sensibilmente differente è proposta da Podolny (2001) che identifica una distinzione tra quegli studi che considerano i legami come dei tubi (pipes) attraverso cui le risorse fluiscono e quegli studi che considerano i legami come prisma ottico (prisms) attraverso cui terze parti vedono ciascun nodo ed ottengono informazioni sulle sue caratteristiche.

Quadro 2.2. – L’incremento delle cause per cattiva condotta professio-nale: una prospettiva connettivista

“Tradizionalmente, la relazione tra medico e paziente è stata una relazione in cui il paziente si fida del suo medico, e il medico usa le proprie competenze nell’interesse del paziente. Negli ultimi tempi negli Stati Uniti questo rapporto di fiducia si è incri-nato, come mostra il gran numero di cause per cattiva condotta professionale avviate da pazienti contro medici che li avevano curati. Ne è derivato un aumento dei costi del medico per determinate cure, per via del costo dell’assicurazione contro cattiva condotta professionale e dell’abbandono dell’attività privata da parte di alcuni medici. In almeno una città le ostetriche si sono rifiutate di accettare avvocati o mogli di av-vocati come pazienti. Questo calo di fiducia, e l’aumento della propensione a fare cau-sa contro il medico dopo una cura che non ha avuto buon esito, derivano dalla man-canza di relazioni sociali produttrici di fiducia, e determinano un aumento dei costi e quindi una diminuzione della possibilità di farsi curare.”

Fonte: Coleman, 2005, p. 389.

Il quadro 2.2. riporta uno degli esempi con cui James Coleman, uno dei più

grandi sociologi del Novecento ed uno degli autori principali sul concetto di capitale sociale, illustra il significato di capitale sociale. Nella prospettiva dell’autore, la fiducia è una risorsa che fluisce all’interno delle relazioni tra me-dico e paziente e, quindi, il fenomeno delle cause per cattiva condotta profes-sionale e le sue conseguenze sulle performance degli individui e del sistema si spiegano con un deterioramento delle relazioni tra questi due gruppi di attori.

Infine, un’ulteriore distinzione tra gli studi di network può essere identifica-ta tra gli obiettivi dell’analisi interpretativa. Una parte dei lavori empirici pone come obiettivo dell’interpretazione l’analisi delle determinanti del differente successo degli attori organizzativi come conseguenza dei loro legami sociali, mentre un'altra parte degli studi si pone come obiettivo lo spiegare l’omogeneità nelle attitudini, credenze e pratiche degli attori come conseguenza dei loro legami sociali.

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Nel primo gruppo di studi rientrano gli studi che hanno come oggetto il ca-pitale sociale degli attori organizzativi; nel secondo quelli di diffusione delle in-novazioni. Ai due differenti obiettivi interpretativi, cioè quello di spiegare la performance o l’omogeneità, corrispondono anche due meccanismi interpreta-tivi che sono quello del capitale sociale e della diffusione dell’innovazione. No-nostante, eterogeneità nella performance ed omogeneità nel comportamento siano due facce della stessa medaglia, è spesso rinvenibile nelle modalità di di-segno della ricerca un differente obiettivo interpretativo.

Quadro 2.3. – Capitale sociale o diffusione delle innovazioni nelle for-me associative dei medici di medicina generale?

Come menzionato, capitale sociale e diffusione delle innovazioni, oltre ad essere due obiettivi di analisi diversi sono anche due meccanismi interpretativi alternativi.

Fattore, Frosini, Salvatore, e Tozzi (2006) hanno confrontato l’azione dei due di-versi meccanismi all’interno delle forme associative dei Medici di Medicina Generale (MMG).

Negli ultimi decenni, in Italia interventi normativi nazionali e regionali, la conven-zione dei MMG (che, nel particolare rapporto che li lega al Servizio Sanitario Nazio-nale, può essere equiparata al contratto nazionale) e le strategie delle aziende sanitarie locali hanno spinto fortemente la creazione di forme associative tra MMG. Le forme associative sono state promosse con l’obiettivo di ottenere due principali effetti: da un lato quello di favorire l’omogeneizzazione del comportamento dei professionisti, (nel caso dei MMG ad esempio portare ad una certa uniformità nelle prescrizioni dei far-maci e nei comportamenti clinici) dall’altro quello di favorire la circolazione delle in-formazioni e quindi migliorare le conoscenze e potenzialmente migliorare la perfor-mance (Brunello, 2001).

Alcuni esempi di forme associative sono le Medicine in Rete, in cui alcuni MMG (da un minimo di 3 ad un massimo di 10) condividono le cartelle cliniche informatiz-zate dei propri pazienti che possono rivolgersi indifferentemente al medico della rete che preferiscono o che è disponibile in quel momento, oppure le Medicine di Grup-po, in cui un gruppo da 3 ad 8 medici condivide anche gli ambulatori oltre a quanto previsto per la Medicina in Rete.

I dati analizzati dal gruppo di ricerca e provenienti da un’azienda sanitaria locale toscana hanno mostrato che le forme associative non hanno l’effetto di migliorare la performance dei singoli MMG ma hanno invece quello di rendere i loro comporta-menti prescrittivi più omogenei. Questo può essere spiegato sia dalla struttura delle reti create tra MMG dalle forme associative, sia con il contenuto informativo di questi

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network. La struttura di questi network è, infatti, molto densa e le connessioni sono dette ridondanti perchè ciascun MMG è connesso con la maggior parte degli altri MMG. Questa struttura della rete rende estremamente facile per gli MMG diffondere informazioni all’interno della rete perché esistono numerosi e brevi percorsi che con-nettono un nodo della rete con qualsiasi altro. Ma al tempo stesso, poiché il numero di relazioni che un nodo può intrattenere, soprattutto nel caso in cui il nodo sia una persona, è limitato, una struttura densamente connessa al suo interno avrà poche connessioni con l’esterno e, di conseguenza, poche opportunità di ricevere nuove in-formazioni dall’esterno. Una struttura della rete molto densa è, invece, molto appro-priata per sanzionare comportamenti inappropriati. Infatti, se il nodo A ed il nodo B sono connessi agli stessi altri nodi, qualsiasi comportamento inappropriato di A nei confronti di B sarà conosciuto e sanzionato dagli altri nodi, escludendo A completa-mente dalla rete e dalla risorse che essa fornisce.

Inoltre, anche il contenuto informativo delle reti create dalle forme associative tra MMG è ridondante poiché gli MMG hanno tutti formazione ed esperienze simili, per cui la forma associativa non serve ad arricchire la conoscenza di ciascuno attraverso l’interazione con chi ha conoscenze diverse.

La maggior parte degli studi di management provenienti dal campo della

strategia aziendale ha come obiettivo dell’interpretazione l’analisi delle deter-minanti del differente successo degli attori organizzativi e spesso utilizza il con-cetto di capitale sociale ed i conseguenti meccanismi interpretativi per poter spiegare la realtà. Gli studi di organizzazione aziendale si pongono obiettivi ed utilizzano meccanismi interpretativi con una più alta variabilità ma, soprattutto gli studi di comportamento organizzativo, che costituiscono il gruppo di con-tributi più numerosi, l’obiettivo più frequente è spiegare l’omogeneità nelle at-titudini, credenze e pratiche degli attori come conseguenza dei loro legami so-ciali.

2.2. Le dimensioni strutturali, relazionali e cognitive nella ricerca sui network

Nell’ambito della ricerca sul capitale sociale si è andata diffondendo una classificazione delle dimensioni rilevanti delle reti sociali in tre classi: la dimen-sione strutturale, la dimensione relazionale, e la dimensione cognitiva. Questa classificazione è stata proposta per la prima volta da Nahapiet and Ghoshal (1998) e ripresa in numerosi contributi successivi.

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 30

2.2.1. La dimensione strutturale

La dimensione strutturale del network induce effetti primariamente (anche se non esclusivamente) attraverso i modi in cui le sue varie sfaccettature in-fluenzano l’accesso alle risorse dei singoli attori. Una prima caratteristica rile-vante dei network nella loro dimensione strutturale è l’esistenza o meno di una connessione, cioè di una relazione, tra due attori della rete. Ma non è solo l’esistenza o meno dei legami ad avere conseguenze sulle performance ed i comportamenti: anche la configurazione generale dei legami ha importanti conseguenze. Ad esempio, proprietà del network come la sua densità o la sua centralizzazione sono associate alla facilità ed alla flessibilità del trasferimento di informazioni attraverso il loro impatto sulla accessibilità agli attori ed alle ri-sorse in maniera indiretta.

Quadro 2.4. – Densità e centralizzazione: due misure della struttura delle reti

Densità e centralizzazione sono due misure relazionali calcolabili a livello di network e non di singolo nodo.

La densità di un network binario (in cui le relazioni non hanno un valore ma sono classificate semplicemente come presenti o assenti) è semplicemente la proporzione di tutti i legami presenti rispetto a tutti i legami possibili. Per un network con valori, in-vece, la densità è definita come la somma di tutti legami possibili divisa dalla somma di tutti i legami possibili (Hanneman e Riddle, 2005). All’aumentare della densità di un network (e mantenendo costante la dimensione totale) aumenta la possibilità che due nodi connessi tra loro abbiano connessioni sovrapposte e, quindi, la probabilità che un attore possa ottenere le stesse risorse (come, ad esempio, informazioni) da più fon-ti.

La centralizzazione del network (o centralità globale) misura, invece, il grado in cui tutto il network è focalizzato intorno a pochi attori centrali ed è, quindi, tanto più grande quanto più la centralità dei singoli nodi è distribuita iniquamente (Hanneman e Riddle, 2005).

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La letteratura tradizionale in sociologia delle professioni sostiene che, allo scopo di mantenere la compattezza necessaria a reclamare e conservare lo sta-tus giuridico e sociale di professione riconosciuta, è necessaria una complessa organizzazione e la capacità di mobilizzare i membri della professione (Abbott, 1988). Inoltre, il gruppo professionale ha bisogno di poter identificare facil-mente chi si comporta in modo da danneggiare lo status professionale della comunità occupazionale ed ha bisogno di meccanismi legali e sociali per poter penalizzare chi si comporta in modo da poter recare danno al buon funziona-mento o alla reputazione del gruppo professionale. Un network professionale caratterizzato da un’alta densità è quello che meglio si presta sia ad esercitare controllo sociale da parte dei colleghi sia ad infliggere sanzioni sociali a chi si comporta in maniera professionalmente scorretta. Non esistono molti studi empirici che comparano la densità dei network tra professionisti con quella di network di altre tipologie di occupazioni. West, Barron, Dowsett, e Newton (1999), però, descrivono i network interpersonali professionali di due gruppi di professionisti all’interno del sistema sanitario inglese: i direttori sanitari e i di-rettori dei servizi infermieristici. Si tratta di due gruppi occupazionali che han-no entrambi un grado di professionalità elevato. E’ ragionevole, però, assumere che i direttori sanitari (di estrazione medica) abbiano un grado di professionali-smo più elevato rispetto ai direttori dei servizi infermieristici (di estrazione in-fermieristica). Nello studio in questione gli autori trovano che i direttori sanitari tendono ad essere inseriti in network professionali più densi mentre i direttori dei servizi infermieristici in network meno densi e più centralizzati di cui essi sono gli attori centrali. Questa evidenza suggerisce che all’aumentare del pro-fessionalismo di una occupazione aumenta la densità dei network che, al di là della posizione organizzativa, si caratterizzano come network densi e composti di pari. Al contrario, suggerisce che al diminuire del grado di professionalismo i network sono meno densi e più centralizzati (con l’emergere, quindi, di una ge-rarchia nelle relazioni informali che ricalca più da vicino la gerarchia organizza-tiva).

Diverse configurazioni della struttura della rete sono funzionali a determina-te tipologie di attività e possono essere un elemento utile - o, all’opposto, con-troproducente - per svolgere con successo attività differenti. Inoltre, ciascuna configurazione dei network, analizzata nella sua dimensione strutturale è coe-rente con stili di management, pratiche di gestione delle risorse umane ed, an-che, con strategie di prezzo diverse. Cross, Liedtka, e Weiss (2005) in un artico-lo che intende fornire ai manager “una guida pratica alle reti sociali” identifica-no tre configurazioni tipiche dei network in base alla loro struttura ed al tipo di risposta che sono più adatti a fornire ai fabbisogni delle attività da svolgere: reti

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 32

adatte a risposte personalizzate (customized response), risposte modulari (modular response) e risposte di routine (routine response).

Questa classificazione, riportata in tabella 2.2, è un ottimo punto di partenza per notare all’aumentare del numero di connessioni interne ed esterne, e quindi passando dalla configurazione adatta a risposte di routine verso quella adatta a risposte personalizzate, diminuisce l’efficienza dell’organizzazione (e per questo motivo Cross e colleghi indicano che le politiche di prezzo devono prevedere margini più alti) anche se aumenta l’efficacia nel caso l’attività non sia prevedi-bile a priori.

2.2.2. La dimensione relazionale

La dimensione relazionale dei network riguarda, invece, il tipo di relazioni che gli attori organizzativi hanno sviluppato nel corso delle loro interazioni. Il tipo di relazione che lega un attore agli altri può essere l’origine di enormi dif-ferenze nel comportamento degli attori e, studi relazionali che considerino solo la dimensione strutturale dei network non possono dirsi completi: due attori possono occupare posizioni equivalenti in reti che hanno configurazioni simili ma se il loro attaccamento personale ed emotivo agli altri attori della rete è dif-ferente, le loro azioni saranno probabilmente molto differenti. Ad esempio, di fronte ad un offerta di lavoro da parte di un concorrente che prospetta un mi-glioramento delle condizioni economiche, uno potrebbe restare nell’organizzazione e l’altro accettare l’offerta in base al contenuto delle rela-zioni con i colleghi e non solo in base alla loro struttura. Le tipologie di rela-zioni tra attori organizzativi possono essere infinite, ma alcune sono partico-larmente interessanti nella letteratura manageriale. In sanità, il primo studio empirico da una prospettiva relazionale (e probabilmente tra i primi in qualsiasi settore economico) è il classico studio sulla diffusione del farmaco tetraciclina condotto da Coleman, Katz e Menzel (Coleman, Katz, e Menzel, 1966; Cole-man, Katz, e Menzel, 1957; Menzel, 1960) in quattro città dell’Illinois (Stati U-niti) a metà degli anni Cinquanta. In questo lavoro empirico, i ricercatori rile-vando tre tipi diversi - anche se correlati - di reti sociali, operazionalizzarono il concetto di legame chiedendo a ciascun medico della popolazione interessata di nominare tre colleghi con cui aveva una relazione di consiglio professionale, tre con cui discuteva casi clinici e tre colleghi con cui intratteneva una relazione di amicizia extraprofessionale.

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L’analisi relazionale delle organizzazioni: un’applicazione al settore sanitario 33

Tabella 2.2: Alcune configurazioni tipiche della struttura delle reti sociali e la loro coerenza con altre variabili organizzative

Risposte di routine Risposta modulare Risposta personalizzata

Adatta a: Risolvere problemi ordinari con soluzioni note.

Risolvere problemi complessi in cui le componenti del problema sono note ma la sequenza della soluzione non lo è.

Risolvere problemi ambigui che hanno bisogno di soluzioni innovative.

Produce valore:

Fornendo risposte efficienti e ripetute ad un insieme di problemi pre-definiti.

Stabilendo e fornendo la corretta costellazione e sequenza di competenze.

Impostando rapidamente una soluzione innovativa ai problemi.

Le connessioni

Sono focalizzate sul flusso dei processi; le connessioni esterne

Sono centrate su ruoli attorno ai quali gli altri nodi possono ruotare; le

Sono intense e ridondanti sia internamente che esternamente.

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 34 Risposte di routine Risposta modulare Risposta personalizzata

del network: sono limitate. connessioni esterne sono selezionate specificamente per supportare determinati aspetti della risposta.

Politiche di prezzo:

Bassi margini. Margini moderati per l’investimento in tecnologia

Alti margini per ripagare l’investimento in capitale sociale.

Controllo: Il controllo si focalizza sull’efficienza e sulla affidabilità dell’erogazione.

Il controllo si focalizza sull’integrazione al punto di erogazione dei servizi.

Il controllo è sugli output, non sul coordinamento.

Pratiche risorse umane:

Selezionare, sviluppare e premiare per l’esecuzione di un compito specifico.

Selezionare, sviluppare e premiare le competenze specialistiche funzionali; formazione specifica nei punti di integrazione.

Sviluppare e premiare i comportamenti collaborativi.

Tecnologia a supporto della rete:

Sistemi di gestione del flusso di lavoro e intelligenza artificiale.

Gestione dei contenuti basati sui ruoli e ambienti di collaborazione.

Sistemi per localizzare le competenze e portali.

Cultura e leadership:

Sistema decisionale centralizzato e focalizzato sulla standardizzazione e la responsabilità sui compiti.

La leadership passa al più competente per una specifica attività; potere di decisione dipende dai ruoli.

Collaborativi all’interno e tra le linee organizzative, norme di reciprocità generalizzate.

Esempi: Laboratorio di analisi. Team chirurgici. Istituzioni di ricerca biomedica.

Fonte: Ns. adattamento da Cross, Liedtka, e Weiss, 2005.

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L’analisi originaria dei dati raccolti suggeriva non solo che l’adozione di un

nuovo farmaco avviene più velocemente per le persone più connesse ma anche che in diversi momenti della diffusione dell’innovazione tipologie differenti di relazioni (cioè le relazioni di consiglio, di discussione di casi e di amicizia) gio-cano un ruolo importante.

Più recentemente, in uno studio nel settore sanitario sempre a livello di ana-lisi interpersonale si è rilevato il contenuto emozionale delle relazioni. Studian-do l’introduzione di un nuovo sistema informativo che implicava uno stravol-gimento delle modalità di lavoro all’interno di un reparto di diagnostica per immagini di un ospedale universitario olandese, Sasovova (2006) trova l’importanza delle relazioni interpersonali positive o negative tra gli attori nel determinare il loro grado di accettazione del cambiamento. Inoltre, l’autrice ha rilevato un significativo effetto sulla performance del contenuto delle relazioni (definito nello studio come contenuto affettivo positivo e contenuto affettivo negativo).

La tabella 2.3 presenta alcuni esempi di contenuti delle relazioni all’interno di un ospedale.

Tabella 2.3: Alcuni contenuti relazionali rilevabili all'interno di un ospedale

Contenuti relazionali Livello Inter-Personale (Rete clinici)

Livello Intra-Organizzativo (Rete unità operative)

Scambio di prestazioni Condivisione di attività assistenziale sui medesimi pazienti

Uo degenza – servizi; servizi-servizi; Uo-Uo

Scambio di consulenze Fornitura/ricezione di consulenze

Fornitura/ricezione di consulenze

Flussi informativi Fornitura/ricezione informazioni

Fornitura/ricezione informazioni

Relazioni sociali Amicizia, fiducia, relazioni extra-lavorative

N/A

Fonte: Ns. adattamento da Cicchetti, 2004, p.283.

Al livello di analisi intra-organizzativo Cicchetti e Lomi (2000) studiano re-

lazioni di scambio di prestazioni e scambio di consulenze tra le unità operative

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di un ospedale e trovano che la posizione delle unità in queste reti è correlata alla performance dell’unità.

Un contenuto di relazioni specifico del settore sanitario che sarebbe interes-sante studiare è lo scambio di pazienti, solitamente detto in inglese referral, cioè il flusso di pazienti che nasce nel momento in cui un professionista consiglia al proprio paziente un determinato secondo professionista perché c’è bisogno di una competenza specialistica o di una prestazione che il primo non è in condi-zione di erogare.

2.2.3. La dimensione cognitiva

Infine, la dimensione cognitiva dei network si riferisce specificamente a quelle risorse che forniscono interpretazioni, rappresentazioni, e sistemi di si-gnificato condivisi tra gli attori. Nonostante queste risorse siano per molti versi simili ad ogni tipo di risorsa in grado di fluire all’interno delle reti, hanno con-seguenze particolarmente importanti su molte delle variabili cognitive o com-portamentali di interesse per gli studi organizzativi ed è, per questo motivo, opportuno classificare le caratteristiche dei network rispetto a queste risorse considerandole una dimensione di analisi separata.

Diversi studi empirici supportano l’idea che gli schemi cognitivi dei medici siano “differenti”. Golden, Dukerich, e Fabian (2000) hanno confrontato le decisioni prese da medici e manager su uno stesso problema di allocazione del-le risorse ed hanno trovato che:

• un identico problema di allocazione delle risorse può essere interpre-tato in molteplici modi;

• il modo in cui il problema è interpretato rappresenta il principale ele-mento nel determinare la decisione presa;

• i manager ed i medici tendono ad interpretare i problemi in maniera differente;

• i manager con una formazione medica hanno modelli interpretativi, e di conseguenza decisionali, più simili a quelli degli altri medici che a quelli degli altri manager.

Studiando otto casi di innovazione in ambito sanitario, Ferlie, Fitzgerald, Wood, e Hawkins (2005) trovano che le innovazioni non si diffondono (o si diffondono lentamente) quando la loro adozione provoca cambiamenti nella metodologia di lavoro che coinvolgono più specializzazioni. Secondo gli autori di questo studio, barriere sociali e cognitive tra diverse professioni ritardano la diffusione delle innovazioni perché i singoli professionisti sono abituati ad ope-

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rare all’interno di comunità di pratiche unidisciplinari e - mentre un cambia-mento che influisce solo sulle modalità operative all’interno di un gruppo di-sciplinare può essere rapidamente implementato - un cambiamento che impatta sulle relazioni tra comunità di pratiche unidisciplinari costituisce una seria bar-riera all’innovazione.

Infine, nella tradizione della sociologia delle professioni, alcuni valori condi-visi caratterizzano le comunità professionali. In questi contributi, i medici sono visti come una comunità altamente socializzata, cioè in cui i membri si sotto-pongono ad un processo di trasmissione di informazioni e di valori attraverso pratiche e istituzioni capaci di trasmettere e riprodurre il patrimonio culturale accumulato fino a quel momento dalla ristretta comunità. La socializzazione dei medici è ottenuta con l'esposizione degli individui a modelli di ruolo che esemplificano l'etica professionale dei medici, con la gestione simbolica (ad e-sempio, con il giuramento d'Ippocrate che ogni medico è tenuto a prestare) e con un forte controllo tra pari all'interno della comunità scientifica.

Nell’inquadramento teorico delle configurazioni organizzative (Miller, 1987; Mintzberg, 1980), le aziende sanitarie sono classificate come “burocrazie pro-fessionali” cioè l’idealtipo organizzativo (o configurazione) che si caratterizza come un tipico esempio di organizzazioni in cui il lavoro può essere coordinato utilizzando soprattutto l'indottrinamento e la socializzazione degli individui in un contesto culturale forte.

2.3. Il sistema delle professioni in una prospettiva relazionale

Come accennato, molta della letteratura sulle organizzazioni sanitarie fa rife-rimento implicito o esplicito all’idea del professionalismo, espressa nella manie-ra più completa da Freidson nel libro “Professionalismo: la terza logica” (2002) a conclusione di trenta anni di riflessione sul tema da parte del suo autore. Nel-la visione di Freidson, il professionalismo è una forma di organizzazione socia-le, un’alternativa all’organizzazione delle attività economiche in base alle forme di governance della gerarchia, del mercato, e delle forme ibride così come descrit-te da Williamson (1975; 1991) e dalle numerose elaborazioni successive in e-conomia delle organizzazioni. La tesi di Freidson è che lavoratori con una co-noscenza molto specialistica e con l’abilità di fornire alla società un servizio particolarmente importante debbano potere organizzare e controllare il proprio stesso lavoro, al riparo delle direttive del management o dagli incentivi del libe-ro mercato.

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Le professioni sono, secondo Freidson, istituzioni che organizzano un gruppo occupazionale allo scopo di controllare le condizioni del proprio stesso lavoro. Queste istituzioni esercitano il controllo sviluppando e definendo un corpo di conoscenze rilevante, formando i nuovi membri, esaminando ed ac-creditando i professionisti, e gestendo una giurisdizione esclusiva rispetto ad alcune aree del mercato del lavoro. Inoltre, ogni professione crea una forte i-deologia che ha lo scopo di promuovere tra i membri del gruppo professionale valori che portino a porre un impegno maggiore nello svolgere il lavoro e nel cercare di migliorare la salute del paziente piuttosto che perseguire il guadagno economico individuale.

All’interno delle organizzazioni sanitarie, la presenza e l’alta rilevanza del si-stema delle professioni è una delle caratteristiche peculiari più evidenti. Anche se esistono organizzazioni in altri settori che impiegano in maggioranza lavora-tori appartenenti ad una professione riconosciuta, la sanità:

• impiega la professione medica che è quella paradigmatica per-ché ha raggiunto un alto grado di legittimazione in molti pae-si;

• in termini di dimensione (fatturato, numero di occupati) è di gran lunga il settore ad alta intensità di professionisti più grande;

• è l’unico settore che occupa molteplici professioni (negli ulti-mi anni il riconoscimento legale e sociale delle professioni in-fermieristiche e le altre professioni ausiliare è stato crescente) ed in cui la professione più forte, quella dei medici, è al suo interno divisa in decine di specialità e sottospecialità dalle i-dentità profondamente diverse (cfr Quadro 2.5.).

Quadro 2.5. – La coesistenza di molteplici comunità professionali nelle organizzazioni sanitarie

Come accennato, una delle specificità del settore sanitario è che nelle aziende sani-tarie diverse professioni collaborano quotidianamente e tendono a diventare sempre più inter-dipendenti col progredire della conoscenza medica. Come nota De Pietro (2005), l’evoluzione tecnologica della conoscenza medica, insieme a quella delle esi-genze della popolazione stanno trasformando rapidamente il modo di lavorare dei medici di molte specialità. La medicina è sempre stata un’attività tradizionalmente in-

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dividuale, effettuata dai medici in studi isolati, oppure al massimo all’interno di una stessa struttura ma senza un’elevata necessità di coordinamento tra professionisti di-versi.

I progressi sempre più rapidi nella scienza medica hanno, però, incrementato il fabbisogno di coordinamento tra professionisti con competenze diverse. Nel caso della diagnostica per immagini, ad esempio, negli ultimi anni si sta rapidamente dif-fondendo una nuova metodica, la Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) che richiede la collaborazione tra il medico curante, radiofarmacista, fisico sanitario, bioingegnere, medico nucleare e radiologo e, quindi, crea interdipendenze molto forti che non esistevano al tempo in cui, poiché la conoscenza scientifica era limitata e po-co complessa, un medico generico poteva utilizzare da solo tutti gli strumenti diagno-stici disponibili e avere competenze riguardo a tutte le terapie conosciute.

Secondo l’American Medical Association esistono negli Stati Uniti 26 specialità mediche riconosciute, molte delle quali a sua volta suddivise in sottospecialità (Torpy, Lynm, e Glass, 2003). Parallelamente, sempre più professioni sanitarie ausiliare hanno ottenuto il riconoscimento dello status legale di professione. Negli Stati Uniti vi è sta-ta una crescita esponenziale del loro numero negli anni Ottanta, ed oggi se ne contano almeno cinquanta; in Italia questo processo è partito in ritardo ed è oggi ancora in at-to. In generale, nonostante alcuni organismi sovra-nazionali come l’Unione Europea stiano puntando con successo al contenimento del numero delle professioni in quanto queste ultime sono considerate un’istituzione anticompetitiva che ha come principale scopo il controllo del mercato da parte dei professionisti già accreditati, in pochi met-tono in discussione l’utilità delle professioni in sanità che, per questo motivo, conti-nuano a crescere di numero (Lega e De Pietro, 2005).

Come sarà discusso nel terzo capitolo trattando della Teoria dell’Identità Sociale, una serie di pratiche diffuse durante il processo di formazione iniziale e continua e nella tradizionale organizzazione delle strutture sanitarie tende ad incrementare l’identificazione nel gruppo professionale e, quindi, a favorire il gruppo a cui ci si sen-te di appartenere (ingroup) a scapito dei gruppi percepiti come esterni (outgroup). Ciò costituisce una criticità particolarmente importante se è vero che - come sostiene il fi-lone di ricerca sulle configurazioni organizzative - le aziende sanitarie sono un tipico esempio di organizzazioni in cui il lavoro può essere coordinato utilizzando soprattut-to l'indottrinamento e la socializzazione degli individui in un contesto culturale forte (Mintzberg, 1985). La cultura organizzativa ha un forte impatto sulla qualità delle cure (Davies, Huw, Nutley, e Mannion, 2000; Scott, Mannion, Davies, e Marshall, 2003). La socializzazione dei medici è ottenuta con un’intensa formazione (Becker, 1961), l'esposizione degli individui a modelli di ruolo che esemplificano l'etica professionale dei medici, con la gestione simbolica e con un forte controllo tra pari all'interno della comunità professionale.

La differenza tra i diversi gruppi viene spesso segnalata attraverso simboli come il camice o la suddivisione degli spazi all’interno degli ospedali. Lega e De Pietro (2005)

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notano che una situazione in cui molti gruppi professionali sono in contrasto per di-fendere i propri confini e, quindi, ogni singola attività può essere svolta da un profes-sionista di una ed una sola professione, mancano le condizioni per una minima flessi-bilità organizzativa ed, indirettamente, per un efficace agire organizzativo.

Inoltre, due professioni che tipicamente convivono nelle aziende sanitarie sono quella medica e quella dei manager. L’assunta incompatibilità tra i valori ed i bisogni dei manager e quelli dei professionisti è un tema centrale nella sociologia delle profes-sioni (Toren, 1976). Si ritiene che il forte senso di appartenenza ai gruppi professiona-li condizioni la possibilità da parte dell’azienda di esprimere giudizi sulle performance tecniche dei professionisti, focalizzando la valutazione soprattutto sui comportamenti organizzativi e risultati gestionali. Doolin (2002) nota come le riforme neo-liberiste in-trodotte nel sistema sanitario Neozelandese si sono scontrate con la cultura medica che non intendeva perdere il proprio ruolo di difensore del paziente al di là dei vincoli alla sostenibilità economica del sistema. La necessità di legittimare all’interno della comunità professionale l’esercizio dell’autorità ha tradizionalmente portato a porre a capo delle unità operative delle organizzazioni sanitarie il professionista più bravo dal punto di vista clinico. Questo non necessariamente è quello con le maggiori compe-tenze gestionali ma, più spesso, è la persona che, essendosi impegnata di più sull’aspetto professionale, tenderà a percepire un conflitto di ruolo nel prendere deci-sioni gestionali che potrebbero andare in conflitto con la migliore pratica clinica co-nosciuta.

2.3.1. Le professioni da una prospettiva economica

Nella letteratura economica le professioni sono considerate come un’istituzione che regolamenta il mercato di un particolare servizio. Gli ordini professionali, che implicano un controllo istituzionale sull’ingresso alla profes-sione e la verifica dei comportamenti degli iscritti, sono tradizionalmente visti come una variazione dal funzionamento del libero mercato che viene attuata perché il mercato non regolamentato non riuscirebbe a funzionare efficiente-mente.

La tipica giustificazione economica per l’esistenza delle professioni può es-sere formulata, quindi, in termini di fallimento del mercato che nasce da una relazione di agenzia in cui il consumatore del servizio (detto il principale) ha difficoltà a motivare il professionista (che in questa situazione è l’agente che opera per conto del principale) a causa di asimmetrie informative a vantaggio di quest’ultimo. In caso di grandi asimmetrie informative, infatti, la complessità

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del processo decisionale non rende possibile assicurare il rispetto del contratto attraverso sanzioni legali individuali (Roberts e Dietrich, 1999) perché il princi-pale è poco in grado di comprendere se l’agente ha adempiuto con diligenza o meno alle obbligazioni che si era assunto. La giustificazione economica per la professionalizzazione della medicina è, infatti, che un paziente non è in grado di giudicare se il proprio medico ha adempiuto al contratto che li lega sia per-ché la conoscenza medica è complessa e differenziata da quella comune sia perché molto spesso la situazione di salute ed emotiva del paziente lo pone in una posizione subordinata rispetto al medico. L’ordine professionale ha la fun-zione di verificare ex-ante le conoscenze di chi fornisce il servizio attraverso le complesse procedure di ammissione alla professione e quella di sanzionare i comportamenti ex-post attraverso la possibilità di sospensione o radiazione dall’ordine.

Dal punto di vista economico, però, gli ordini professionali possono avere anche effetti negativi: ad esempio, possono limitare il numero dei medici allo scopo di ridurre la concorrenza e garantire guadagni più alti ai medici esistenti, oppure possono omettere di sanzionare i medici che hanno commesso negli-genze minori per tutelare gli interessi della categoria. Infatti, le professioni sta-biliscono tariffe minime allo scopo di limitare la concorrenza sul prezzo, vieta-no quasi completamente la possibilità di pubblicizzare i servizi e le offerte di un individuo o di un’organizzazione sanitaria e programmano il numero degli ac-cessi alle facoltà di medicina in modo da non aumentare troppo l’offerta di ser-vizi. Queste misure da una parte proteggono i pazienti perché riducono l’incentivo ad attuare pratiche competitive che potrebbero ridurre la qualità (ad esempio, una ospedale che pubblicizza i proprio servizi ed applica prezzi molto bassi, potrebbe ridurre la qualità dei servizi per abbassare i costi senza che, a causa delle asimmetrie informative, il paziente si accorga della bassa qualità tecnica delle prestazioni); d’altra parte queste misure proteggono anche i pro-fessionisti evitando che i meccanismi della concorrenza abbassino i margini di guadagno sulle prestazioni o sui contratti di lavoro.

2.3.2. Le professioni da una prospettiva sociologica

Nella letteratura sociologica una professione è un’occupazione, quindi un gruppo di persone che svolgono uno stesso lavoro, che ottiene il riconosci-mento di uno speciale status da parte del resto della società. Secondo Wilensky (1964) ci sono due requisiti necessari ad ottenere lo status di “professione”:

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● il lavoro dei professionisti deve essere di natura tecnica e basato su una conoscenza acquisibile solo attraverso una lunga formazione;

● i professionisti devono aderire ad un insieme di norme professionali che ne consentono il controllo.

Dalla prospettiva sociologica, al contrario di quanto osservato da una pro-spettiva economica, non è necessario che per la società sia efficiente che l’attività dei medici sia organizzata utilizzando gli ordini professionali rispetto alla stessa attività nel libero mercato, ma solo che l’occupazione dei medici rie-sca a convincere il resto della società che gli ordini sono necessari e, quindi, a legittimare il proprio status.

Al tempo stesso gli ordini devono poter mantenere la propria legittimità ed assicurare un controllo minimo sul comportamento autonomo dei propri membri. I meccanismi con cui ciò avviene sono diversi ma dallo studio di Be-cker (1961) “Boys in white : Student culture in medical school” in poi, uno dei più discussi dai sociologi è il processo di socializzazione durante la loro forma-zione. «Anche semplicemente il tempo dedicato allo studio del proprio campo di specializzazione, - scrive Raelin - deve provocare un certo ammontare di at-taccamento emotivo e di committment. L’investimento in altre parole, produce un ethos caratteristico della vita professionale, sia esso rappresentato dai valori del contribuire alla conoscenza scientifica, dell’esercitare la libertà di fare ricer-ca, di utilizzare l’opportunità non limitabile di utilizzare le proprie capacità tec-niche, del servire l’umanità, o l’orgoglio nel sostenere gli standard professionali. Turner (1978) ha coniato la frase “fusione ruolo-persona” che probabilmente cattura al meglio il concetto qui descritto. L’individuo, una volta passati i rigidi requisiti che impediscono agli altri di accedere alla professione, comincia a in-terpretare il risultato come un rito di passaggio esclusivo» (1985, p. 154).

E’ interessante notare che una forte natura scientifica della base di cono-scenza determini l’esistenza di criteri “esatti” e oggettivi per la valutazione dell’applicazione dell’operato individuale e, quindi, rende inefficiente il control-lo esercitato dalle professioni rispetto a meccanismi di controllo delle procedu-re o dei risultati. Inoltre, nonostante la legittimità di gran parte degli ordini pro-fessionali sia stata messa in discussione negli ultimi anni, la necessità di un or-dine professionale per i medici continua a trovare un ampio consenso.

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2.3.3. Una prospettiva relazionale come “collante” di una teoria unitaria delle professioni

La prospettiva relazionale è una prospettiva teorica in grado di essere utiliz-zata per sottolineare i punti di contatto tra la prospettiva economica e la pro-spettiva sociologica sulle professioni. In questo senso, la costruzione di una te-oria unitaria delle professioni costituisce un importante passo in avanti per pro-seguire la ricerca dal punto di vista organizzativo: da un lato, infatti, gli studi organizzativi sulle professioni e le organizzazioni professionali sono oggi in una fase di stasi, con relativamente pochi studi condotti e pubblicati sull’argomento ed uno scarso interesse nella comunità accademica. Questo in un periodo storico in cui la comunità accademica dibatte intensamente di co-noscenza, creatività ed innovazione che sono oggetti di studio contigui a quello delle organizzazioni professionali ed in cui, nelle società che gli accademici stu-diano, moltissime occupazioni spingono verso e spesso ottengono il raggiun-gimento dello status di professione.

Tra i principali filoni di studi organizzativi in una prospettiva relazionale, quello che ha la maggiore potenzialità di essere utilizzato come ponte tra la prospettiva economica e quella sociologica è comunemente definito come il fi-lone degli studi sull’embeddedness (caratteristica di un sistema che è "contenu-to" da un altro).

Il concetto di embeddedness è stato inizialmente proposto e diffuso da Granovetter (1985) che ha notato che gli scambi economici sono “embedded” in reti sociali. Secondo Granovetter «nonostante la tradizionale prospettiva dell’economia neoclassica fornisce una spiegazione “sotto-socializzata” o ato-mistica dell’azione economica, gli economisti riformisti che provano a conside-rare la struttura sociale nell’analisi economica lo fanno in un modo “sovra-socializzato” che è stato criticato da Dennis Wrong. Le prospettive sotto- e so-vra-socializzate sono paradossalmente simili poiché entrambe trascurano lo svi-luppo della struttura sociale, ed un approccio sofisticato allo studio dell’organizzazione economica deve considerare la sua embeddedness in queste strutture» (Granovetter, 1985, p.481).

Nonostante Granovetter proponesse il concetto di embeddedness come una critica del filone di ricerca “gerarchia e mercato” avviato da Williamson, gli studi successivi hanno reso compatibili i due contributi, aggiungendo un terzo idelatipo alle forme di governance descritte da Williamson: i network (Powell, 1990; Uzzi, 1997). I network sono visti come forme di organizzazione delle at-tività economiche alternative al mercato o la gerarchia (cfr. Tabella 2.4.), che hanno molti punti in comune con la descrizione del professionalismo come

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forma di organizzazione delle attività economiche che è stata descritta da Frie-dson (2002).

Tabella 2.4: Comparazione stilizzata delle forme di organizzazione delle attività economiche

Forme Caratteristiche

chiave Mercato Gerarchia Network

Base normativa Contratto, diritti di proprietà

Relazione di lavoro dipendente

Punti di forza complementari

Mezzi di comunicazione

Prezzi Routine Relazioni

Metodi di risoluzione dei conflitti

Dispute in tribunale

Potere amministrativo, supervisione

Norme di reciprocità, preoccupazione per la reputazione

Grado di flessibilità

Alto Basso Medio

Grado di impegno tra le parti

Basso Medio/alto Medio/alto

Tono o clima Precisione e/o sospetto

Formale, burocratico

Aperto, reciproci benefici

Preferenze e scelte degli attori

Indipendenti Dipendenti Interdipendenti

Forme miste - Transazioni ripetute - Contratti come documenti gerarchici

- Organizzazioni informali - Mercati interni, centri di profitto, prezzi di trasferimento

- gerarchie di status - partner multipli - regole formali

Fonte: Ns. adattamento da Powell, 1990, p.300.

Ricerche empiriche più recenti hanno suggerito che i legami sociali tra indi-

vidui o organizzazioni permettono una migliore performance negli scambi e-conomici riducendo sostanzialmente i costi di transazione dovuti alla possibilità di comportamento opportunistico (Uzzi, 1997).

Il meccanismo di azione che permette di trasformare le relazioni del network in una migliore performance è principalmente quello della chiusura

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sociale (social closure). Una rete ha questa caratteristica se è densamente connes-sa, cioè se le connessioni di ciascun attore sono ridondanti e, ad esempio, c’è un’alta probabilità che i colleghi a cui un professionista è connesso siano a loro volta connessi tra di loro. L’effetto principale della chiusura sociale su qualsiasi tipo di scambio è quello di ridurre fortemente il rischio delle transazioni. Ad esempio, se in una grande città ci sono numerosi laboratori di analisi ma la co-munità professionale dei medici è caratterizzata da una rete altamente densa e ridondante, anche se è difficile osservare la qualità tecnica dei laboratori, nella rete dei medici le informazioni sui singoli episodi di errori ed inefficienze circo-leranno molto rapidamente e, nel caso in cui un laboratorio fosse coinvolto in più di un episodio in cui ci sono stati errori che hanno provocato problemi ai pazienti ed ai medici che utilizzano l’attività in un processo di cura, l’informazione si diffonderà rapidamente ed i medici non invieranno più pa-zienti a quel determinato laboratorio.

Nel dettaglio, la chiusura sociale si concretizza in un vantaggio competitivo attraverso due diversi meccanismi: obbligazioni ed aspettative, e norme sociali (Coleman, 1988).

Se un attore A fa qualcosa per l’attore B ed ha fiducia che l’attore B ricam-bierà in futuro, si stabilisce un’aspettativa da parte di A ed un’obbligazione da parte di B. Il poter ritenere che B ricambierà in qualche modo la prestazione ad A accresce fortemente la probabilità che A la faccia. B ricambierà se e non ap-pena ne avrà occasione in base a delle ampie norme sociali condivise dalla co-munità e non semplicemente come scambio per la prestazione ottenuta da A. Il rispetto delle norme sociali viene garantito dal monitoraggio di una comunità densamente interconnessa, in cui il mancato rispetto di una norma nella rela-zione con un solo partecipante può comportare ripercussioni sulle transazioni con tutti i membri della comunità.

Non utilizzando il concetto di network, Ouchi (1979; 1980) ha descritto un simile meccanismo di governance delle attività economiche che ha definito come “clan”, una forma di governance caratterizzata da reciprocità, valori e convinzioni condivise ed un’autorità non necessariamente legittimata dalla po-sizione formale e che ha come requisito informativo la conoscenza delle tradi-zioni (1980, p. 137). Secondo Ouchi il mercato è un meccanismo di governance che è efficiente quando l’ambiguità della valutazione dei risultati è bassa e la compatibilità tra gli obiettivi delle parti è alta; la gerarchia è efficiente quando l’ambiguità della valutazione dei risultati è moderatamente alta e la compatibili-tà tra gli obiettivi moderatamente bassa; ed, infine, i clan sono efficienti quando sia l’ambiguità della valutazione dei risultati che la compatibilità tra gli obiettivi delle parti è sono alte.

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Mercato e gerarchia possono garantire condizioni in cui gli scambi avven-gono con efficienza ed efficacia attraverso un contratto (nel caso del mercato) o attraverso un’autorità superiore (nel caso della gerarchia). Ma l’applicabilità di entrambi è limitata per molte attività tipiche del settore sanitario in cui la com-plessità e la variabilità rende difficile sia stabilire ex-ante ogni possibile contin-genza della transazione in un contratto che possa essere fatto rispettare in un tribunale ed, inoltre, rende spesso difficile osservare ex-post i risultati della transazione. Se una rete sociale, analizzata nella sua dimensione strutturale, è molto densa ed, analizzata nella sua dimensione relazionale, conduce informa-zioni sul comportamento e giudizi di affidabilità, è possibile gestire la transa-zioni in maniera più efficiente ed efficace evitando di stabilire ex-ante o di affi-dare la valutazione ad un’autorità centrale, ma lasciando alle parti l’autonoma definizione di ciascuno scambio.

Le modalità che permettono al professionalismo di essere una forma più ef-ficace ed efficiente di organizzazione dell’attività medica sono brevemente sin-tetizzate in tabella 2.5.. La tabella è stata sviluppata partendo dalla convinzione che la chiusura sociale, cioè il fatto che i legami tra professionisti formino una rete densa di colleghi, sia la modalità per operazionalizzare il concetto di pro-fessionalismo e, quindi, di riprendere successivamente nell’ambito del presente lavoro o di successivi dibattiti nella comunità accademica, la discussione delle contingenze nelle quali è opportuno utilizzare questa forma di governance e delle modalità organizzative delle comunità professionali.

In conclusione, la prospettiva relazionale, ed in particolare il concetto di embeddedness, permettono:

• di collegare tra di loro le teorie economiche e le teorie socio-logiche sulle professioni vedendone le interrelazioni e, soprat-tutto, gettando le basi per un approccio teorico alle professio-ni che non sia sovra-socializzato, come la tradizione della so-ciologia delle professioni, ma neanche sotto-socializzato come la tradizione della teoria economica neoclassica;

• di aprire numerose nuove possibilità di operazionalizzazione del concetto di comunità professionale e di controllo sociale della professione, che si concretizzano prevalentemente negli strumenti e nelle misurazioni quantitative offerta dalla social network analysis.

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Tabella 2.5: Comparazione stilizzata delle forme di governance delle attività economiche per l’esercizio dell’attività medica

Mercato Gerarchia Professionalismo / Network Valutazione qualità dei professionisti

Operata dai pazienti che, avendo poca capacità di giudicare la qualità tecnica, osservano solo il prezzo (o altre leve di marketing) del professionista.

Operata da un supervisione gerarchico che deve avere conoscenze sull’attività molto specializzata dei sui sottoposti e la possibilità di osservare e valutare l’attività complessa dei professionisti

Operata dai colleghi in maniera distribuita in base a conoscenze scientifiche e ripetuti contatti nell’ambito dell’attività lavorativa.

Reperimento di informazioni sull’attività dei professionisti

Le informazioni si ottengono principalmente da conoscenti che hanno interagito precedentemente con i professionisti. Il numero di professionisti su cui è possibile reperire informazioni in questo modo è estremamente basso e, inoltre, il conoscente ha operato una valutazione necessariamente imprecisa (cfr.riga precedente). In alternativa, il paziente può utilizzare fonti di informazioni come giornali o ranking quantitativi dei professionisti che, a causa della complessità dell’attività medica, sono anche essi necessariamente imprecisi

Le informazioni si ottengono principalmente attraverso l’osservazione dell’attività dei professionisti sottoposti. La comprensione della qualità tecnica è possibile solo se il supervisore ha le conoscenze tecniche necessarie e, in ogni caso, l’osservazione sistematica e dettagliata richiede tempi e risorse ingenti.

L’informazione, ottenuta attraverso interazioni casuali o meccanismi formali di peer-review, circola velocemente all’interno della comunità attraverso le relazioni sociali ed all’esterno di essa attraverso il consiglio di altri professionisti ai pazienti e meccanismi di accreditamento formali come l’iscrizione all’albo.

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 48 Mercato Gerarchia Professionalismo / Network Sanzioni in caso di bassa qualità dell’attività del professionista

I pazienti possono punire un medico che agisce in modo inappropriato rivolgendosi ad un altro o consigliando ai propri conoscenti di non consultarlo. Questa punizione è molto debole perché raggiunge una piccola frazione dei pazienti potenziali di un professionista. Oppure i pazienti possono rivolgersi ad un tribunale che ha pochi elementi oggettivi per valutare l’operato complesso dei medici e creando a livello di sistema un forte ricorso alla “medicina difensiva”

L’autorità può escludere il professionista che ha la possibilità di trovare un’altra organizzazione o, similmente ai pazienti, rivolgersi all’autorità giudiziaria

La comunità professionale può sanzionare un professionista facendogli mancare un flusso di pazienti adeguato a sostenersi, privandolo della stima dei colleghi o, attraverso meccanismi di peer-review radiandolo dall’albo professionale e, quindi, privandolo della possibilità di esercitare la professione.

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Capitolo terzo

Le implicazioni della natura della conoscenza, della differenziazione del lavoro e delle asimmetrie informative per le caratteristiche relazionali in sanità

3.1. Le implicazioni della prospettiva relazionale applicata alla sanità - 3.2. Il sistema tecnico nelle organizzazioni sanitarie: la natura della conoscenza medica - 3.2.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità - 3.2.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità - 3.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità - 3.3. La differenziazione del lavoro in medicina e la natura delle interdipendenze in sanità - 3.3.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la differenziazione delle attività sanitarie - 3.3.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la differenziazione delle attività sanitarie - 3.3.3. La dimensione relazionale delle reti sociali e la differenziazione delle attività sanitarie - 3.4. Le implicazioni delle asimmetrie informative tra professionisti, pazienti e manager - 3.4.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità - 3.4.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità - 3.4.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità

3.1. Le implicazioni della prospettiva relazionale applicata alla sanità

In questo ultimo capitolo sono discusse le implicazioni di alcune specificità delle attività sanitarie per la loro organizzazione dal punto di vista relazionale. La rilevanza per la pratica di questa discussione deriva dal fatto che il management di un’azienda sanitaria ha diverse leve su cui agire per poter in-fluenzare le relazioni delle persone nella propria azienda e può, quindi, utiliz-

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zarle per fare in modo che le reti sociali all’interno dell’azienda siano coerenti con l’attività che vi sono svolte all’interno. Alcuni studi nel settore sanitario (Chang, Gotcher, e Chan, 2006; Hoelscher, Hoffman, e Dawley, 2005) hanno enfatizzato che i manager possono ridisegnare il layout degli spazi di lavoro per incrementare le occasioni di interazione, incoraggiare la partecipazione del per-sonale nelle attività della comunità, supportare una cultura che sviluppa fiducia ed assumere persone che già hanno una rete sociale con le caratteristiche desi-derate. Ad esempio, l’Istituto Humanitas, una struttura sanitaria privata d’eccellenza in Italia già citata nel presente lavoro nel quadro 1.1., ha per primo introdotto il concetto di open-space - molto diffuso negli uffici in altri settori e-conomici - per le postazioni di lavoro da scrivania dei medici. Con questo pic-colo accorgimento, al contrario di quanto avviene nella maggior parte degli o-spedali in cui esistono uffici in ogni reparto (spesso assegnati in base alla pro-fessione o la posizione organizzativa), tutti i medici dell’Istituto svolgono le at-tività di studio o quelle burocratiche in un luogo che incrementa le loro possibilità di interazione con professionisti di altre specialità. Un altro esempio abbastanza diffuso di interventi manageriali rivolti a modificare le reti sociali dei propri professionisti è quello degli ospedali pediatrici che spesso stimolano i contatti dei propri medici con le associazioni di volontariato in modo da poter incrementare la propria capacità di raccolta di donazioni da parte della comuni-tà e delle imprese. Inoltre, anche pratiche di gestione delle risorse umane come, ad esempio, procedure di selezione che valutano le capacità relazionali, oppure richiedono lettere di raccomandazione, hanno degli effetti significativi sulle ca-ratteristiche delle reti sociali in cui il personale dell’azienda si trova.

Per quanto riguarda le implicazioni per la progettazione dell’organizzazione, poter considerare quali sono le caratteristiche della rete sociale che meglio si adatta allo svolgimento di ciascuna tipologia di attività può informare alcuni e-lementi del disegno organizzativo. Ad esempio, il disegno dell’organizzazione può prevedere meccanismi di coordinamento intra- o inter-organizzativi allo scopo di modificare le caratteristiche delle reti sociali attraverso l’interazione tra persone che il disegno dell’organizzazione formale implica. Esempi di questi meccanismi possono essere riunioni periodiche, gruppi di progetto, rotazione del personale, o project manager. Si può anche arrivare a progettare la struttura gerarchica dell’ organizzazione formale attraverso l’analisi delle relazioni di co-ordinamento tra persone o unità organizzative (Cicchetti e Lomi, 2000). Anche le pratiche di gestione delle risorse umane possono adottare meccanismi che forniscono incentivi allo scambio di informazioni e conoscenza come, ad e-sempio, programmi di mentoring o l’utilizzo delle pubblicazioni come un crite-rio per l’avanzamento di carriera. Oppure possono incentivare il controllo so-

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ciale, ed esempio, basando la retribuzione variabile sulla performance del grup-po o mettendo in competizione le unità organizzative tra di loro.

La discussione che si può leggere in questo capitolo vuole contribuire alla letteratura già esistente specificando meglio le contingenze nelle qua-li queste prescrizioni manageriali dovrebbero essere applicate. Infatti, creare e tenere vive relazioni costa agli individui ed alle aziende tempo ed altre risorse che potrebbero essere utilizzati per produrre i servizi per cui l’organizzazione esiste. Le contingenze nelle quali dovrebbe essere valutato se investire in politiche che creano una rete sociale di un deter-minato tipo devono essere considerate perchè le attività svolte all’interno delle aziende sanitarie variano notevolmente in termini delle tre specifici-tà considerate. Alcune delle attività, infatti, utilizzano una conoscenza medica molto complessa, altre una relativamente semplice; in alcune atti-vità il lavoro è fortemente differenziato ed esistono interdipendenze complesse, mentre in altre le interdipendenze tra i professionisti coinvol-ti sono relativamente semplici; per alcune attività, infine, le asimmetrie informative sono tali che pazienti o amministratori non possono assolu-tamente valutare la qualità delle prestazioni, per altre, invece, le conse-guenze sono facilmente valutabili anche da chi non ha una conoscenza specialistica. Per questo motivo i manager dovrebbero concentrare gli sforzi per la gestione delle reti sociali dei propri dipendenti in base alle caratteristiche delle attività da svolgere. La tabella 3.1. riassume le carat-teristiche delle reti sociali che meglio si prestano a supportare attività che siano alte nelle tre specificità delle attività sanitarie poste sulle righe della tabella. Le proposizioni in ciascuna cella della tabella saranno sviluppate nel resto del capitolo.

3.2. Il sistema tecnico nelle organizzazioni sanitarie: la natura della conoscenza medica

Come diversi altri campi di studio nelle scienze naturali e nelle scienze sociali, la medicina studia l’interazione di sistemi complessi e non-lineari. Infatti, la medicina studia sistemi biologici, non sistemi meccanici ed, al contrario di quest’ultimi, i sistemi biologici sono molto complessi ed il loro comportamento può essere non-lineare, cioè sistemi per i quali pic-coli cambiamenti su di un livello possono produrre enormi cambiamenti allo stesso o ad altri livelli (Dershin, 1999).

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Per una serie di motivazioni storiche, sociali ed epistemologiche, la medicina occidentale è costruita in gran parte secondo un impostazione positivista, cioè dall’idea che un ordine naturale governi i fatti materiali, i fatti naturali (come, ad esempio, la biologia) e i fatti sociali ed il compito del ricercatore sia scoprire questo ordine delle cose. Alla prospettiva po-sitivista è spesso associata anche una propensione verso il riduzionismo: la realtà può essere scomposta in fatti elementari e la conoscenza pro-gredisce tramite la comprensione dei singoli elementi di cui è composta (Fattore, 2005). Il più diffuso approccio scientifico per affrontare la complessità e per generare conoscenza isola alcune variabili, attraverso esperimenti di laboratorio o strumenti statistici, e trae conclusioni sulla loro relazione. Per questo motivo, l’evidenza empirica in medicina è pro-dotta, valutata, pubblicata per usi scientifici, clinici e commerciali ed è sempre più frequentemente espressa e descritta in termini statistici e probabilistici (Upshur, 2001).

Tabella 3.1.: Le implicazioni della complessità della conoscenza medica, della differenziazione del lavoro, e delle asimmetrie informative sulle caratteristiche delle reti sociali dei medici

Dimensione Strutturale

Dimensione Relazionale

Dimensione Cognitiva

Complessità della conoscenza medica

(P 1) network denso e uni-

professionale

(P 2) relazioni di

consiglio e fiducia

(P 3) standardizzazione delle informazioni e

dei criteri di valutazione dell’evidenza

Differenziazione della organizzazione del lavoro delle attività cliniche

(P 4) network denso e

multi-professionale

(P 5) relazioni di fiducia

(P 6) standardizzazione delle informazioni

per il coordinamento

Asimmetrie informative tra medici e gli altri attori

(P 7) network denso e uni-

professionale

(P 8) referral di pazienti

(P 9) comportamenti basato su di un

prototipo dell’ in-group

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Secondo Upshur (2000) l’evidenza empirica derivata dagli studi clinici è provvisoria (“provisional”), falsificabile (“defeasible”), emergente (“e-mergent”), incompleta (“incomplete”), limitata (“constrained”) da fattori etici, economici e computazionali, di natura collettiva (“collective”), di-stribuita asimmetricamente (“asymmetrically distributed”) tra le discipli-ne. Inoltre, Upshur (2000) afferma che la teoria epistemologica che me-glio si addice alla evidenza empirica in medicina è il fallibilismo.

Nonostante la ricerca per motivi epistemologici e pratici sia condotta prevalentemente isolando l’azione di una variabile dalle variabili confon-denti (come ad esempio, l’azione di una molecola allo scopo di testare un farmaco), in ogni singolo caso clinico moltissimi elementi di specificità del singolo paziente interagiscono. Un paziente può essere affetto da di-verse patologie contemporaneamente, non rispondere all’utilizzo di alcu-ne terapie o vivere in condizioni sociali che rendono sconsigliabile sot-toporlo ad una determinata prestazione sanitaria. Inoltre, come menzio-nato, il risultato di questi esperimenti è una conoscenza di tipo probabi-listico. Un cardiologo, ad esempio, conosce dalla letteratura scientifica che l'aspirina riduce del 20% il rischio di alcune patologie nelle categorie di pazienti a rischio. Una conoscenza di tipo probabilistico influenza ne-gativamente la possibilità di valutare i risultati su di un singolo caso ed, inoltre, rende impossibile coordinare le attività attraverso risultati inter-medi standardizzati. Infatti, per la valutazione ex-post dei risultati, una conoscenza di tipo probabilistico implica che vi sia bisogno di un nume-ro di pazienti simili relativamente alto per poter valutare in maniera at-tendibile quale parte dei risultati è dovuta al caso e quali alle procedure mediche applicate.

Anche quando le evidenze empiriche disponibili forniscono indica-zioni univoche, il fatto che i professionisti li applichino non è una con-seguenza automatica. Al contrario di quanto viene assunto tradizional-mente dalla teoria economica, nel mondo reale scoprire l’esistenza di un’informazione è un’attività costosa ed, una volta ottenuta, processare l’informazione per prendere azioni conseguentemente può essere difficile (Watts, 2003, p. 263).

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Quadro 3.1. – Le iniziative per la diffusione dell’Evidence Based Medi-cine

La medicina basata sull’evidenza (Evidence-Based Medicine, o EBM), cioè il ten-tativo di modificare i comportamenti dei professionisti sanitari in modo che essi basi-no le loro decisioni sulla base di risultati degli studi scientifici, ha le sue radici nelle scienze razionaliste ed in particolare in epidemiologia.

Proprio a causa delle proprie radici, la ricerca sulla diffusione delle pratiche basate sull’evidenza era centrata su un modello concettuale fortemente razionale che consi-derava l’adozione di un’idea (in questo caso, nuova conoscenza scientifica su di un trattamento farmacologico o una procedura chirurgica) come la fase finale di un sem-plice algoritmo lineare rappresentabile come:

Ricerca � pubblicazione dell’evidenza � cambio del comportamento dei medici.

Il problema della alta variabilità dell’attività dei medici fu, quindi, inizialmente considerato come una conseguenza della mancanza di ricerca empirica di alta qualità. Perciò, l’attività di ricerca si focalizzò sulla produzione di evidenze attraverso progetti anche imponenti come il progetto “Health Technology Assessment Programme”4 che il servizio sanitario inglese ha lanciato all’inizio degli anni Novanta. Inoltre, queste ini-ziative hanno investito nello sviluppo di metodi e sistemi per confezionare e distribui-re i risultati dei programmi di EBM per colmare le lacune di evidenza scientifica e renderla disponibile negli studi medici ed al letto del paziente.

L’evidenza empirica era considerata come oggettiva e non influenzata dal contesto in cui viene applicata, e si riteneva che la semplice produzione avrebbe indotto l’applicazione nella pratica secondo un meccanismo descrivibile con la metafora dell’acqua che fluisce attraverso le condutture.

Grol (2001) sintetizza le ragioni per cui gli interventi per promuovere l’implementazione di innovazioni basate sull’evidenza sono stati così inefficaci:

• molte linee-guida basate sull’evidenza erano ambigue o confuse; • le linee guida trattavano solitamente solo una parte della sequenza di de-

cisioni e di azioni in un consulto clinico; • erano spesso difficili da applicare ai problemi unici del singolo paziente; • molto spesso richiedevano cambiamenti contemporanei in ampie parti

4 Il sito web è del “Health Technology Assessment Programme” è all’indirizzo http://www.hta.nhsweb.nhs.uk (ultimo accesso; 28 dicembre 2005).

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dei sistemi sanitari; • raramente l’implementazione delle linee guida non comportava costi.

Fonte: Ns. adattatamento da Greenhalgh, Robert, Bate, Kyriakidou, Macfarla-

ne, e Peacock, (2004, pp. 94-95).

La storia degli interventi per la diffusione della medicina basata

sull’evidenza supporta l’idea che la natura della conoscenza medica sia una variabile fondamentale nel management delle organizzazioni sanita-rie e che, un’eccessiva semplificazione della sua natura e, soprattutto, il considerare la conoscenza isolandola dal contesto in cui si applica, può portare al fallimento di iniziative importanti.

Secondo Ferlie, Wood e Fitzgerald (1999) l’implementazione è un processo complesso e soggetto a numerosi fattori di natura scientifica, organizzativa e comportamentale che interagiscono nel determinare il comportamento clinico. In un caso-studio condotto in un reparto di or-topedia gli autori hanno trovato che:

• esistono modelli teorici alternativi ed in competizione per definire cosa costituisce evidenza empirica nell’atto di utilizzarla; • la conoscenza scientifica è, in parte, costruita socialmente; • i professionisti detengono il monopolio della conoscenza tecnica anche in presenza di tentativi di standardizzazione come quelli pro-mossi ai progetti legati alla medicina basata sull’evidenza.

Nel reparto di chirurgia ortopedica di elezione che hanno studiato, gli autori hanno focalizzato l’attenzione sull’introduzione di un nuovo far-maco: l’eparina a basso peso molecolare come profilassi antitrombolitica dopo la chirurgia elettiva dell’anca o del ginocchio. L’uso di questo far-maco era controverso in quanto la base di evidenza empirica che ne af-fermava l’efficacia non offriva conclusioni univoche al tempo in cui il la-voro ha avuto luogo. Durante lo studio, gli autori hanno trovato che l’uso del nuovo farmaco era influenzato dalle convinzioni di un gruppo di chirurghi ortopedici, dalla visione dei medici circa il conflitto tra “scienza formale”, da un modello di conoscenza differente basato sulla conoscenza tacita ed esperenziale, e da altri fattori come ad esempio se una massa critica di altri colleghi abbiano adottato la nuova pratica pre-scrittiva.

La conoscenza medica è molto complessa in termini di quantità di no-zioni e si evolve molto rapidamente, incrementando la base di conoscen-

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ze disponibile e, spesso, confutando i risultati degli studi precedenti. La rapidissima evoluzione delle conoscenze, la quantità e la complessità del-le informazioni generate dalla ricerca scientifica richiede un'elevata spe-cializzazione dei professionisti di ogni branca. E' molto difficile che un medico specialista in una branca possa avere una conoscenza approfon-dita dell'evoluzione scientifica nelle altre branche. Sono molte le attività in cui le differenze individuali nella percezione da parte dei medici dei “dati” influenzano l’accuratezza e la variabilità della definizione dello stato clinico del paziente (Malterud, 2001). Differenze individuali nella percezione sono comuni se i dati sul paziente non sono espressi in modo quantitativo. Ad esempio, nel far leggere 150 immagini mammografiche a 10 radiologi diversi, Elmore, Wells, Lee, Howard, e Feinstein (1994) hanno trovato una percentuale di accordo del 78% sulla presenza o me-no di formazioni tumorali e percentuali di accordo molto minori sulle modalità di gestione del paziente. Inoltre, vi sono anche differenze indi-viduali nella percezione da parte dei pazienti che influenzano l'attività medica perché per molti sintomi non esistono strumenti di misurazione oggettivi diversi dalla percezione del paziente. La percezione del paziente è, ad esempio, l'unico modo per misurare intensità e tipologia del dolore.

Una significativa parte della conoscenza medica è classificabile come tacita. Due esempi comuni di conoscenza tacita in medicina sono la co-noscenza necessaria ad eseguire prestazioni mediche che richiedono l'ac-quisizione di una abilità manuale e tutte le conoscenze utilizzate nelle at-tività di diagnosi molto destrutturate in cui il medico deve adattare le conoscenze scientifiche alla specifica situazione individuale. Tra le cono-scenze mediche che richiedono un'abilità manuale possono essere classi-ficate gran parte delle prestazioni chirurgiche. L'esperienza e la pratica di operazioni di complessità crescente sono l'unico modo per apprendere questa conoscenza, perché anche il migliore chirurgo non è in grado di codificare la conoscenza necessaria in modo che i suoi risultati possano essere ottenuti da ogni chirurgo in possesso di un manuale sufficiente-mente dettagliato. Tra le conoscenze scientifiche così destrutturate da ri-chiedere un processo di adattamento difficilmente codificabile possono essere classificate anche le conoscenze necessarie a poter assegnare una diagnosi ad una specifica situazione. L’applicazione delle conoscenze scientifiche al singolo paziente, infatti, richiede un attento processo di adattamento delle conoscenze alla specifica situazione individuale. Nella fase iniziale di questo processo, quando il paziente si presenta dal medi-co internista con pochi sintomi che possono essere causati da un numero

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molto alto di patologie diverse (o da nessuna patologia), il medico deve prendere delle decisioni cliniche utilizzando un insieme di conoscenze tacite ed esplicite. Michael Polanyi, chimico e filosofo ungherese sempre citato negli studi di management quando si parla di conoscenza tacita, usa come esempio di conoscenza tacita nel suo “The tacit dimension” (1983) proprio l’attività di diagnosi di un medico. Egli considera la dia-gnosi un’arte perché è un processo fatto di tentativi dettati dalla compe-tenza e dall’osservazione esperta che, spesso, non possono essere codifi-cate in procedure esplicite. Infine, l'applicabilità delle conoscenze pub-blicate nella letteratura scientifica internazionale alla realtà delle singole organizzazioni sanitarie non è automatica. Esistono fattori specifici di ogni organizzazione che derivano dalla cultura e dalle condizioni di vita locali e dalla disponibilità di risorse umane e finanziare che possono mo-dificare l'opportunità e la possibilità di applicare standard definiti a livel-lo internazionale.

L’idea che la maggior parte delle attività cliniche sia ad alta intensità di conoscenza è fondamentale per poter comprendere il modo in cui il settore sanitario è organizzato a livello individuale, di organizzazione e della società. La ricerca medica produce una quantità di informazioni ba-sate su studi scientifici davvero notevole. MEDLINE, il principale database bibliografico che raccoglie articoli nei campi della medicina, scienze infermieristiche, odontoiatria, medicina veterinaria, sistemi sani-tari, e scienze pre-cliniche, aggiunge al proprio archivio tra i 1.500 ed i 3.500 riferimenti bibliografici riguardanti studi scientifici pubblicati ogni giorno lavorativo.5

Nonostante ciò, le decisioni cliniche ed i metodi di cura del paziente sono basati su molto di più che esclusivamente sui risultati di trial clinici controllati: la conoscenza clinica consiste in azioni ed interazioni inter-pretative, fattori che richiedono comunicazione, giudizio critico ed espe-rienza (Bosk, 1979; Malterud, 2001). La conoscenza clinica è complessa non soltanto nella quantità di informazioni che utilizza ma anche in di-verse altre dimensioni di analisi. A causa di questa complessità, le in-formazioni stampate sui manuali e sulle riviste scientifiche non sono per questo motivo in grado da sole di assicurare il trasferimento di cono-scenza. Le modalità in base alle quali le conoscenze sono create e trasfe-rite sono state l’oggetto di analisi degli studi organizzativi sul knowledge

5 Fonte: www.nlm.nih.gov/pubs/factsheets/medline.html (Ultimo accesso il 4/4/2006).

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management che si sono diffusi dagli anni Novanta in poi (Nonaka e Ta-keuchi, 1995).

3.2.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità

Attraverso la partecipazione in un network ed attraverso le interazioni ripetute che questa partecipazione implica, si crea una situazione di po-tenziale apprendimento per i partecipanti al network. Gopee (2002) os-serva che all’interno delle organizzazioni sanitarie “un significativo inse-gnamento, apprendimento e facilitazione dell’apprendimento avviene a livello informale attraverso i contatti di lavoro con gli altri professionisti sanitari”.

Per questo motivo è possibile ipotizzare una relazione positiva tra il grado in cui la conoscenza utilizzata all’interno di una specialità è tacita ed il numero di legami che i medici in quella specialità avranno con membri della loro stessa specialità. Nella dimensione strutturale delle re-ti, infatti, un alto numero di legami con propri pari, permette ai medici l’accesso alla conoscenza tacita nei casi in cui è difficile rendere esplicita la conoscenza (ad esempio, nel caso di attività chirurgiche o di eurismi decisionali con dati clinici ambigui). Inoltre, legami con i propri colleghi permettono di ottenere consulti informali sui casi di pazienti con situa-zioni cliniche particolarmente difficili. Se fonti formali di conoscenza come le riviste accademiche non sono efficaci nel trasferire know-how, i medici hanno bisogno di poter accedere ai colleghi nella stessa specializ-zazione medica perché i colleghi sono gli unici in grado di trasferire la propria conoscenza. Legami verso i colleghi permettono, inoltre, di di-sporre di un meccanismo per poter selezionare le informazioni rilevanti tra l’incredibile quantità di nuove informazioni. Infatti, osservare il com-portamento degli altri prima di decidere di investire tempo a prestare at-tenzione ed ad apprendere nuove informazioni e conoscenze rappresenta un efficace meccanismo di selezione.

PROPOSIZIONE 1 : Quanto più la conoscenza medica è tacita o ambigua tanto più le comunità professionali dei me-dici saranno caratterizzate da legami in reti sociali dense composte da medici della stessa specialità.

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Nella misura in cui la medicina è un’arte più che una scienza (Malte-rud, 2001) la conoscenza tacita è altamente diffusa in ogni specialità me-dica. E’ possibile, però, individuare alcune branche della medicina in cui la componente tacita della medicina è essenziale ed altre che hanno una base di conoscenza più formalizzabile ed è, quindi, possibile utilizzare il paragone tra specialità per discutere, ed in lavori futuri testare empirica-mente, l’idea che la componente tacita della conoscenza influenza le ca-ratteristiche dei network che i professionisti formano.

Come accennato precedentemente, due attività mediche in cui la componente tacita è predominante sono la medicina generale e la chirur-gia.

L’attività dei medici di medicina generale è caratterizzata dal dover prendere decisioni cliniche in situazioni cliniche spesso ambigue, osser-vando cioè dei sintomi che potrebbero indicare moltissime o nessuna pa-tologia, dovendole prendere in una situazione in cui il contesto in cui ci si trova influenza fortemente ciò che è possibile prescrivere, e deve farlo necessariamente seguendo degli eurismi decisionali che hanno una forte componente di conoscenza tacita ed esperenziale la quale può essere tra-smessa dalle relazioni con altri medici di medicina generale meglio che da relazioni con specialisti di ciascuna patologia.

La natura tacita della conoscenza potrebbe aver contribuito a svilup-pare la tendenza dei medici di medicina generale ad essere molto più connessi tra di loro di quanto lo siano con medici specialisti.

Similmente i chirurghi utilizzano anch’essi una conoscenza altamente tacita che è costituita dall’abilità manuale nel compiere una procedura operatoria. Anche questa comunità tende a sviluppare relazioni al suo in-terno più che verso i clinici ed ad usare spesso il meccanismo di scambi di personale per periodi di tempo medi o lunghi per trasferire conoscen-za su di una nuova procedura chirurgica.

Quadro 3.2. – La conoscenza tacita o esperenziale in medicina generale

La medicina generale è l’attività svolta in Italia dai medici di medicina generale, un tempo denominati medici di famiglia, a cui i pazienti si rivolgono prevalentemente per

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la prima diagnosi di un problema di salute e per essere indirizzati verso le prestazioni specialistiche di cui hanno bisogno oppure per risolvere problemi di salute a bassa complessità assistenziale. Le conoscenze scientifiche di questi medici devono essere necessariamente generali, perché ogni tipo di paziente può rivolgersi a loro, anche se non necessariamente approfondite, perché nei casi più complessi essi si limitano a consigliare uno o più specialisti ed a coordinare il loro operato. Questi medici, quindi, vedono prevalentemente un numero molto alto di pazienti (fino a sessanta in un gior-no) per poco tempo e, molto spesso, quando una diagnosi non è stata ancora ipotiz-zata e non è noto che patologia ha un paziente e se ne ha una. Inoltre, il Servizio Sani-tario Nazionale responsabilizza questi medici sui consumi dei loro pazienti premendo fortemente affinché i medici di medicina generale non prescrivano prestazioni dia-gnostiche non strettamente necessarie. Centrale nell’attività dei medici di medicina generale sono, quindi, diverse conoscenze oltre quelle scientifiche tra cui:

• la padronanza di una serie di eurismi decisionali che permettano di decide-re velocemente cosa prescrivere con pochi dati a disposizione (solitamente dopo un -molto breve- ascolto del paziente ed una visita in ambulatorio);

• la conoscenza della struttura di offerta del territorio in cui operano. Ad e-sempio, quale struttura o professionista è in grado di gestire al meglio un determinato paziente, e cosa è nel concreto possibile fare conoscendo le infrastrutture e le liste d’attesa presenti nell’area;

• la conoscenza sociale e psicologica dei propri pazienti. Ad esempio, capire velocemente se un paziente abbia un contesto familiare che permette di seguirlo a casa o se abbia bisogno di un ricovero anche se magari non è necessario dal punto di vista tecnico); oppure conoscere le modalità per convincere un paziente che non ha bisogno della prescrizione di una pre-stazione che richiede ma che non è considerata necessaria dal sistema sani-tario.

E’, infine, interessante notare che la dimensione strutturale di una rete socia-

le, può essere utilizzata dagli attori che la formano oppure da osservatori ester-ni come un indicatore delle loro caratteristiche e, di conseguenza come guida per il comportamento. Il concetto di prominenza, si basa sull’idea che quando le informazioni non sono una guida chiara per il comportamento, la posizione di un individuo può essere usata per valutarne l’affidabilità e, quindi, gli altri in-dividui nel network possono assumere il comportamento dell’individuo più centrale per minimizzare il proprio rischio. Il concetto della prominenza è alla base della letteratura relazionale sugli opinion leaders. Un altro concetto che mostra come la posizione nella struttura può essere utilizzata come guida per il comportamento è quello di “equivalenza strutturale”. Burt (1987) analizza nuovamente i dati sulla diffusione della tetraciclina di Coleman e colleghi utiliz-

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zando tecniche statistiche di social network analysis ed una capacità computazionale data dai moderni computer che non erano disponibili all’originario gruppo di ricerca. Secondo Burt, il “contagio” del compor-tamento osservato (cioè il cominciare a prescrivere il farmaco) non era guidato dalla coesione - quindi, dall’essere connessi ad un collega che ha già prescritto il farmaco - ma, piuttosto, dall’equivalenza strutturale, cioè dalla percezione di quale sia il comportamento appropriato da adottare attraverso l’osservazione di come si comportano i colleghi che occupano una posizione simile alla propria nella rete sociale dei colleghi. La definizione più stringente di equivalenza strutturale stabilisce che due attori occupano la stessa posizione sociale se e solo se hanno relazioni identiche con altri attori (Friedkin e Johnsen, 1997; Wasserman e Faust, 1994), ma è possibile fissare definizioni e misure più larghe per identificare posizioni equivalenti.

3.2.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità

Per la dimensione relazionale della rete sociale in cui i professionisti opera-no la particolare natura della conoscenza medica richiede la presenza di scambi di risorse differenti. Infatti, la conoscenza medica è caratterizzata dall’essere supportata da un’evidenza empirica che non sempre è certa ma, spesso, è stata supportata da alcuni trial clinici e non da altri o è applicata insieme ad altri ele-menti di conoscenza e l’interazione tra di essi non è stata sperimentata in trial clinici. In caso di ambiguità della conoscenza, i medici devono essere in grado di prendere una decisione, cioè scegliere se adottare l’innovazione che la cono-scenza comporta per le terapie ai propri pazienti o meno. Il network sociale del singolo professionista fornisce diversi tipi di risorse utili per tale scelta.

Una prima, anche se semplice, risorsa che fluisce lungo i network è la possi-bilità di osservare il comportamento degli altri. Questa informazione è ad e-sempio alla base di tutti i modelli di diffusione dei comportamenti basati sull’idea di contagio. Questi modelli, nati per analogia con la diffusione delle malattie infettive, partono dall’idea che l’essere in relazione diretta con qualcu-no che ha adottato una pratica, aumenta la probabilità di adottare la stessa pra-tica. Modelli evoluti basati sull’idea di contagio nelle scienze sociali utilizzano il concetto di soglia (“threshold”).

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Figura 3.1.: Un modello di diffusione dell’innovazione basato sul conta-gio e la soglia individuale

Fonte: Valente (1996, p. 72).

La figura 3.1, tratta da Valente (1996, p.72), mostra il network professionale

di un medico utilizzando i dati di Coleman et al. sulla diffusione della tetracicli-na. Nella figura i nodi in nero hanno già prescritto il nuovo farmaco nel perio-do considerato. Nella rete (a) non ci sono colleghi che hanno già adottato l’innovazione. L’esposizione del medico centrale il cui network è rappresentato è quindi uguale a zero. Nella rete (b) due colleghi nel social network hanno a-dottato l’innovazione; l’esposizione del medico centrale è quindi 2/5 o il 40%. Nella rete (c), due ulteriori colleghi hanno adottato l’innovazione; l’esposizione è quindi di 4/5 o l’80%. Nell’ ultima rete l’esposizione è del 100%. Poiché la soglia è uguale all’esposizione dell’individuo nel momento in cui adotta

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l’innovazione, la soglia dell’individuo la cui rete sociale è rappresentata nella fi-gura 3.1., è uguale al 100%.

Quindi, una prima risorsa rilevante che è condotta dai legami di una rete so-ciale è l’informazione sul comportamento degli altri. Nel caso presentato di dif-fusione di un’innovazione, le relazioni sono importanti perché forniscono in-formazioni adatte a ridurre l’incertezza sul comportamento da adottare in si-tuazioni in cui le conseguenze delle azioni sono difficili da prevedere (Coleman, Katz, e Menzel, 1966). Se non si ha modo oggettivo di scegliere se è meglio adottare o non adottare un comportamento, prendere la scelta che prendono altre persone simili riduce i rischi sia perché si assume che gli altri possano aver avuto modo di compiere una valutazione più approfondita (ad esempio, dopo aver provato a prescrivere il farmaco ad un paziente, hanno scelto di continua-re a prescriverlo ad altri pazienti avendone potuto verificare gli effetti con il primo) sia perché compiere scelte condivise da altri contribuisce a proteggere da possibili conseguenze negative delle scelte. Ma l’informazione sul compor-tamento degli altri non è rilevante esclusivamente per il fenomeno di adozione delle innovazioni, ma è anche alla base dei meccanismi di controllo sociale. In-fatti, l’informazione su di un medico che agisce in modo poco professionale, ad esempio, una volta che un collega ha avuto l’opportunità di osservarene il com-portamento direttamente si diffonde rapidamente all’interno di reti sociali den-se, danneggiando la reputazione del medico ed, in alcuni casi, provocando sanzioni sociali o professionali.

Ma i contenuti relazionali dei network possono essere costituiti anche da ri-sorse come dai consigli professionali che ciascun professionista chiede all’altro o dalle relazioni di fiducia. Entrambe queste relazioni sono rilevanti se l’oggetto di studio è il trasferimento di conoscenza complessa che avviene tra attori all’interno di una rete sociale.

PROPOSIZIONE 2 : Quanto più la conoscenza medica si ba-sa su evidenza scientifica ambigua, tanto più le comunità pro-fessionali dei medici saranno caratterizzate da relazioni di con-siglio professionale e da relazioni di fiducia in reti sociali composte da medici della stessa specialità.

Infatti, se la ricerca scientifica non è riuscita a dimostrare in modo univoco

una relazione causa-effetto che è rilevante per l’attività di un medico, la possibi-lità di condividere le esperienze con colleghi rispetto ad una determinata tecno-logia (ad esempio, una terapia, una prestazione diagnostica o una modalità di gestione della relazione con il paziente) aiuta i professionisti a prendere una de-

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 64

cisione riguardo la sua adozione avendo a disposizione maggiori informazioni. Queste relazioni di consiglio professionale hanno a loro volta necessità di esse-re supportate da relazioni di fiducia; infatti, poiché un trasferimento di cono-scenza ci sia effettivamente non è sufficiente che ci sia una relazione, ma anche che all’interno della relazione ci sia fiducia. La dimensione strutturale delle reti quindi, è una condizione necessaria ma non sufficiente per il trasferimento di conoscenza ed è necessario considerare anche la dimensione relazionale. Levin e Cross (2004) hanno condotto uno studio sul ruolo della fiducia e dell’affidabilità per il trasferimento di conoscenza in tre divisioni di un’impresa farmaceutica, una banca ed una compagnia petrolifera rispettivamente negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada. Gli autori hanno trovato che, la presenza di un legame intenso6 tra due persone aumenta la probabilità che esse dichiari-no di ricevere conoscenza utile dalla relazione. Ma lo studio ha anche dimostra-to che non è l’intensità del legame a influenzare lo scambio di conoscenza ma l’affidabilità percepita degli individui nella relazione, definita come la fiducia che una persona ripone nell’altra e come la competenza che una persona ritiene che l’altra possieda. L’intensità del legame influisce positivamente su entrambe queste misure di affidabilità e, quindi, agisce solo indirettamente sullo scambio di conoscenza. In termini statistici si dice che il legame tra legami intensi e rice-zione di conoscenza utile è mediato dalla fiducia e dalla competenza. Una volta controllato statisticamente per l’effetto che l’intensità del legame ha sull’affidabilità percepita, gli autori hanno scoperto che come teorizzato dagli articoli sulla “forza dei legami deboli” (Granovetter, 1973) i legami deboli han-no un effetto più grande dei forti sul trasferimento di conoscenza, probabil-mente non tanto a causa della loro forza ma poiché gli individui tendono ad avere un numero maggiore di legami deboli rispetto a quelli forti e soprattutto, tendono ad avere legami deboli con persone più eterogenee tra loro (le persone che vediamo molto spesso hanno un’alta probabilità di conoscersi tra di loro) e che, quindi, possono fornire accesso a conoscenza nuove e non ridondanti tra loro. Infine, gli autori hanno trovato che la fiducia nella competenza dell’altro è particolarmente importante nel trasferimento di conoscenza tacita suppor-tando l’idea che quando la conoscenza è ben documentata non è necessario a-

6 L’intensità è stata misurata ponendo agli intervistati tre domande:

1. Quanto stretta è la tua relazione lavorativa con ciascuna persona?

2. Quanto spesso comunichi con ciascuna persona?

3. A che livello interagisci di solito con ciascuna persona?

Le alternative possibili come risposta ed altre informazioni metodologiche sono disponibili nell’appendice dell’articolo.

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Le implicazioni della natura della conoscenza, della differenziazione del lavoro e delle asimmetrie informa-

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vere fiducia nella sua affidabilità, perché questa è verificabile da una fonte for-male come le riviste scientifiche. Quando la conoscenza non è ben documenta-ta, perché è tacita o ambigua nella relazione causa effetto, allora le relazioni so-ciali divengono il principale meccanismo con cui gli individui determinano il valore di una nuova conoscenza.

3.2.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e la natura della conoscenza medica in sanità

Rispetto alla dimensione cognitiva delle reti, il trasferimento di conoscenza è facilitato dalla condivisione di schemi cognitivi. Secondo Orlikowski (2002, p. 249), “conoscere non è una capacità statica o una predisposizione stabile in un attore, ma piuttosto una realizzazione sociale, costruita e ricostruita durante l’agire degli attori nella pratica del mondo”. La letteratura sul concetto di “ab-sorptive capacity” – o capacità di assorbimento- (Cohen e Levinthal, 1990), sebbene si focalizzi sul livello di analisi interorganizzativo, individua le basi co-gnitive per la capacità di assorbimento della conoscenza a livello individuale la conoscenza correlata già posseduta e la similarità del background. La cono-scenza, quindi, si scambia più facilmente tra persone con una formazione simi-le (Reagans e McEvily, 2003). Almeno uno studio sullo scambio di conoscenza all’interno di network tra unità organizzative (Tsai, 2001), ha trovato che l’accesso a nuova conoscenza è determinato dalla capacità di assorbimento dell’unità e questa capacità dipende anche dalla quantità di conoscenza simile che un nodo della rete ha con gli altri della rete. Come discusso nel paragrafo 3.2.2., infatti, un individuo che è connesso in una rete sociale ad altri individui che sono portatori di conoscenze molto differenti dalle sue ha un’alta probabi-lità che almeno una delle persone a cui è connesso lo metta in contatto con co-noscenze o risorse cui altrimenti non avrebbe accesso e che possono essere uti-li nello svolgere la propria attività. Al tempo stesso, un’eterogeneità davvero molto alta nelle conoscenze degli individui rende impossibile “assorbire” cono-scenza anche se si è esposti ad essa, infatti, un certo livello minimo di sovrap-posizione della base di conoscenza serve a comprendere ed a processare le in-formazioni cui la rete sociale ci espone. Inoltre, la rete sociale può essere utiliz-zata per sviluppare e trasmettere una serie di meta-conoscenze che sono utiliz-zate nel processare, apprendere e, soprattutto, valutare la qualità delle cono-scenze di contenuto scientifico.

Infatti, la condivisione di un linguaggio e la standardizzazione delle modalità di comunicazione rendono molto più veloce la trasmissione di molti pezzi di

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L’analisi relazionale delle organizzazioni sanitarie 66

conoscenza. Il livello di standardizzazione delle modalità di comunicazione raggiunto dalla comunità medica è davvero notevole soprattutto se paragonato a quello raggiunto dalla comunità degli studiosi di management. La grande maggioranza delle riviste scientifiche in medicina ha abstract strutturati attra-verso i quali gli autori sono obbligati a fornire determinate informazioni al let-tore ed ha articoli di lunghezza inferiore alle 10 pagine. In management le rivi-ste che utilizzano gli abstract strutturati sono poche, mentre non è difficile tro-vare alcune che pubblicano articoli oltre le 40 pagine. Nelle conferenze in me-dicina si utilizzano molto spesso le presentazioni attraverso poster ed anche le comunicazioni orali sono tendenzialmente brevi. Ma quello che più sorprende è quanto la medicina abbia standardizzato i criteri di valutazione della ricerca in cui si è affermato un “gold standard” per la valutazione delle terapie e degli in-terventi che si basa sul disegno di ricerca del trial clinico randomizzato, e la ampia diffusione delle review sistematiche degli studi empirici su di un tema.

PROPOSIZIONE 3: Quanto più nuova conoscenza medica scientifica viene prodotta ogni anno, tanto maggiore sarà la standardizzazione degli schemi cognitivi dei medici.

Gli schemi cognitivi si sviluppano anche attraverso le ripetute interazioni

che avvengono all’interno delle reti sociali in maniera non molto dissimile da quanto studiato per la diffusione delle innovazioni. Watts (2003) considera gli esperimenti di Asch sugli effetti della pressione del gruppo sulla modifica e di-storsione di giudizio un esempio di fenomeno analizzabile da una prospettiva relazionale. Nel noto esperimento un individuo doveva scegliere tra tre linee quella più simile ad un’altra mostrategli in un contesto in cui tutti gli altri pre-senti nella sala erano stati istruiti a dare una stessa risposta errata e, questo e-sercitava una pressione sociale che arrivava in molti casi a modificare la perce-zione dell’individuo nonostante il fenomeno di cui si richiedeva la percezione nell’esperimento - la lunghezza di un segmento - presenti pochi elementi di ambiguità. Meccanismi del genere possono contribuire a sviluppare nel tempo schemi cognitivi molto simili alla rete sociale in cui un individuo è, oppure a selezionare i membri della propria rete sociale tra individui con schemi cogniti-vi simili.

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Le implicazioni della natura della conoscenza, della differenziazione del lavoro e delle asimmetrie informa-

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3.3. La differenziazione del lavoro in medicina e la natura delle interdipendenze in sanità

Dal secondo dopoguerra in poi è rapidamente cambiato molto nel modo in cui l’attività sanitaria è condotta e nel ruolo che il sistema sanitario ha nella so-cietà. Per quanto concerne il modo di svolgere le attività mediche, ad esempio, le attività sono sempre meno svolte in maniera isolata da un singolo professio-nista, modalità operativa che ha contraddistinto storicamente la medicina, ed ha sviluppato sempre più interdipendenze complesse e, negli ultimi anni, attivi-tà che richiedono il lavoro di team multi-disciplinari. Questo ha comportato un’evoluzione nelle forme organizzative che in Italia il legislatore nazionale ha dettato con tre principali riforme (la legge 883/1978, i d.lgs. n. 502/92 e n. 517/93, ed il d. lgs. n. 229/99). Filo conduttore di queste riforme è il tentativo di introdurre meccanismi di integrazione e coordinamento sempre più com-plessi principalmente attraverso interventi sulla struttura organizzativa. L’esempio più evidente è probabilmente il lungo processo di creazione dei di-partimenti (Bergamaschi, 2000; Cicchetti e Lomi, 2000; Cicchetti, 2004; Mercu-rio, 2000), già presente nella legge costitutiva del Servizio Sanitario Nazionale del 1978 e che ancora oggi numerose aziende faticano ad implementare concre-tamente. Inoltre, la capacità di trattare un numero sempre maggiore di patolo-gie e di farlo in modo differenziato a seconda della situazione ha incrementato le conseguenze di un’importante fonte di eterogeneità dei processi: le caratteri-stiche individuali dei singoli pazienti che, per la natura delle singole patologie, per eventuali comorbilità o per particolari situazioni sociali o famigliari, creano la necessità di innumerevoli variazioni ad un processo assistenziale “ideale” e disegnato a tavolino.

L’eterogeneità nei processi caratterizza le attività sanitarie sotto molteplici punti di vista. In primo luogo la quantità delle tipologie di servizi e di procedu-re che ogni organizzazione sanitaria eroga è di norma molto grande. Inoltre, all’interno delle aziende sanitarie non sono svolte esclusivamente attività di na-tura medica. Maggi (1989) individua all’interno delle organizzazioni sanitarie tre cicli funzionali diversi tra loro in base alla loro base tecnologica sottostante:

• il ciclo medico è caratterizzato da fasi tradizionali quali l’anamnesi, la diagnosi, la terapia e il controllo;

• il ciclo dell’assistenza e della custodia comprende, invece, le attività infermieristiche e quelle di supporto alla permanenza del paziente in ospedale;

• il ciclo amministrativo, infine, attiene alla gestione dei processi che hanno contenuto economico-finanziario.

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La frammentazione delle competenze nelle organizzazioni sanitarie è anche una diretta conseguenza dell’eterogeneità dei processi da gestire perché ha rap-presentato il fabbisogno organizzativo principale cui le aziende sanitarie hanno risposto applicando modelli organizzativi caratterizzati da una divisione del la-voro centrata sulla specializzazione di ordine clinico. I sistemi sanitari sono, in-fatti, contraddistinti da un alto grado di differenziazione che li rende frazionati in numerosi sottosistemi organizzativi (Glouberman e Mintzberg, 2001a). In base alla definizione data da Lawrence e Lorsch (Lawrence e Lorsch, 1967a; Lawrence e Lorsch, 1967b), per differenziazione si intende “lo stato di segmen-tazione del sistema organizzativo in sottosistemi, ciascuno dei quali tende a svi-luppare attributi specifici in relazione ai requisiti posti dal suo ambiente esterno rilevante” ed il suo opposto è l’integrazione a sua volta definita come “il pro-cesso dell’ottenere unitarietà di sforzo tra i vari sottosistemi allo scopo di por-tare a termine le attività dell’organizzazione”.

L’alto grado di differenziazione delle organizzazioni sanitarie da un lato è ri-chiesto da alcune caratteristiche del sistema tecnico come si è visto trattando della natura della conoscenza medica; d’altra parte richiede che le organizzazio-ni compensino il suo effetto con meccanismi di integrazione.

Infatti, l’alta differenziazione è una conseguenza diretta della conoscenza al-tamente specialistica che favorisce un’organizzazione del lavoro funzionale che è molto adatta a gestire una competenza altamente specialistica. Si vengono pe-rò a creare interdipendenze nelle attività. Thompson (1967) classifica le inter-dipendenze in “generiche” (“pooled”) quando ciascuna parte apporta un con-tributo finito al tutto e ciascuna parte è anche supportata dal tutto; “seguenzia-li” (“sequential”) quando una interdipendenza diretta (cioè tale che una parte non può agire a meno che un’altra non abbia già agito in maniera corretta) si aggiunge alla generica; e, “reciproche” (“reciprocal”) facendo riferimento alla situazione in cui gli output di ciascuna parte diventano gli input per l’altra. La natura dell’interdipendenza e i meccanismi di coordinamento applicabili dipen-dono dalle attività che ciascuna specialità tipicamente compie. Molte attività nelle organizzazioni sanitarie sono caratterizzate da un’alta variabilità e dal non poter essere rimandate (Shortell e Kaluzny, 2005), mentre altre posso essere sottoposte ad una standardizzazione abbastanza dettagliata (Salvatore, 2006).

Lamothe e Dufour (2002) nel riportare uno studio empirico di un ospedale universitario Canadese suggeriscono che l’approccio delle configurazioni orga-nizzative (Miller, 1987; Mintzberg, 1980) può essere utilizzato con profitto per descrivere anche la differenziazione tra le unità organizzative di uno stesso o-spedale e, quindi, descrivere la differenziazione dei sottosistemi organizzativi non più solo come un meccanismo di adattamento alle pressioni dell’ambiente

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esterno come nell’originaria elaborazione che Lawrence e Lorsch avevano pro-posto negli anni Sessanta, ma piuttosto come l’interazione complessa di una se-rie di variabili interne ed esterne al sottosistema. I due autori riportano eviden-za empirica su quattro unità organizzative dell’ospedale che hanno studiato, e le utilizzano come paradigmi di quattro tipologie di sottosistemi organizzativi pa-radigmatici dell’attività sanitaria. La figura 3.1, adattata dal paper degli autori, sintetizza i principali risultati della loro ricerca. Sintetizzando ed adattando i ri-sultati di Lamothe e Dufour alla discussione portata avanti in questo breve la-voro, si può affermare che le configurazioni sviluppate dalle unità operative dell’ospedale dipendono:

• dalla complessità delle attività in termini: - di numero di patologie che i pazienti hanno; - di numero di professioni che sono coinvolte nel processo di cura; - di grado di ambiguità della diagnosi.

• dalla variabilità dell’attività in termini: - di capacità di poter programmare l’attività piuttosto che dover trattare pazienti che hanno caratteristiche di emer-genza e non sono programmabili; - la probabilità di complicanze durante le prestazioni.

3.3.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e la differenzia-zione delle attività sanitarie

Glouberman e Mintzberg (2001b), prendendo spunto dalla ricerca di Lamo-the e Dufour, ne rielaborano i risultati sui meccanismi di coordinamento tipici di ciascuna configurazione delle unità operative visualizzandoli come delle rela-zioni all’interno di sociogrammi, la modalità di rappresentazione tipica dell’analisi delle reti sociali. Come mostrato in figura 3.2., le caratteristiche dell’oftalmologia rendono una linea sequenziale di comunicazione un meccani-smo di coordinamento efficace; in reumatologia (ed in chirurgia vascolare), in-vece, operano due o più professionalità diverse ciascuna con una determinata competenza ed autonomia decisionale su di una parte del processo ma il coor-dinamento può essere efficacemente gestito da un attore centrale nella rete di comunicazione; infine, in geriatria la complessità di un paziente multipatologia e con esigenze sociali oltre che sanitarie rende necessario un lavoro di gruppo ed il meccanismo di comunicazione e decisione conseguentemente necessario è rappresentato da una rete sociale molto densa.

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Figura 3.1.: Una tipologia di unità organizzative in base all'approccio delle configurazioni

Chirurgia Oftalmologia

Chirurgia Vascolare

Reumatologia Geriatria

Pura standardizzazione Standardizzazione segmentata

Personalizzazione segmentata

Personalizzazione integrata

Un trattamento

Un trattamento principale ed altri trattamenti ad hoc

Alcuni trattamenti principali ed ciascuno con altri trattamenti ad hoc

Un trattamento globale composto di numerosi trattamenti specializzati

Si prega non disturbare Attenti alle

complicazioni Detective al

lavoro Lo spirito della cura geriatria

Missione: evitare complicazioni

inaspettate

Missione: sorveglianza

Missione: disegnare una

terapia

Missione: dare una

possibilità in più Mezzo:

pianificazione/controllo Mezzo:

tecnologia Mezzo:

medicazioni Mezzo: gruppo

Target: l’organo

Target: le complicazioni

Target: le patologie

Target: la persona anziana

Ingegnere capo Dispatcher Project Manager Direttore d’orchestra

Fonte: Ns. adattamento da Lamothe e Dufour (2002).

Natura dell’interdipendenza

Una patologia Incertezza Numerose patologie

Temi d’orchestra principali

Il ruolo chiave del medico del paziente

Implicito Complessità Esplicito

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Figura 3.2.: Modelli di coordinamento clinico all'interno di tre unità ope-rative di un ospedale universitario

A) Modello 1: Catena programmata (ad esempio, chirurgia della cataratta). Coor-dinamento attraverso un disegno predefinito.

B) Modello 2: perno di consultazione (“consultative hub”) (ad esempio, reumatolo-gia). Coordinamento attraverso categorie stabilite.

C) Modello 3: Rete per la soluzione dei problemi (ad esempio, geratria). Coordi-namento attraverso la discussione aperta.

Fonte: Ns. adattamento da Glouberman e Mintzberg (2001b).

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La figura 3.2., mostra proprio come all’aumentare della complessità del si-

stema tecnico utilizzato in una specialità - influenzato in medicina prevalente-mente dalla natura della conoscenza utilizzata - diminuisce l’efficacia di reti so-ciali sparse (cioè reti poco dense ed in cui ciascun attore non ha contatti ridon-danti) e gerarchiche (cioè reti con un attore con un grado di centralità molto alto) in favore di reti dense e costituite da pari. Inoltre, come discusso in rife-rimento ai risultati della ricerca di Lamothe e Dufuor la complessità è influen-zata dalle due (fortemente correlate) variabili che descrivono il numero di pato-logie che i pazienti hanno ed il numero di professioni che sono coinvolte nel processo di cura.

PROPOSIZIONE 4: Quanto più complesse sono le interdi-pendenze tra due specialità mediche, tanto più saranno i lega-mi tra i professionisti delle due specialità.

La dimensione strutturale delle reti sociali dei medici, infatti, rappresenta

una condizione necessaria al fluire di risorse –ed al coordinamento per adatta-mento reciproco- tra i professionisti delle specialità. Quindi, per attività clini-che che sono tipicamente compiute per pazienti con patologie multiple o con caratteristiche tali da rendere la diagnosi ambigua, la presenza di relazioni tra le discipline aiuta l’adattamento reciproco di professionisti che devono cooperare in situazioni non standardizzabili. Al contrario, attività che possono essere standardizzate non richiedono una rete sociale densa per funzionare efficace-mente ma possono essere compiute semplicemente leggendo ciò che i colleghi hanno scritto sulla cartella clinica dei pazienti. In questo caso favorire la crea-zione di reti sociali per supportare il coordinamento reciproco comporterebbe semplicemente dei costi non necessari e, quindi, sarebbe inefficiente.

Pearce e David (1983), propongono un approccio relazionale al disegno or-ganizzativo. Gli autori ipotizzano che, nonostante la ricerca manageriale ha tra-dizionalmente fallito nel trovare una stabile relazione empirica tra disegno or-ganizzativo, considerando il modo in cui il disegno organizzativo agisce sulle reti sociali sarebbe probabilmente possibile trovare una relazione significativa con la performance dell’organizzazione. Nell’approccio teorico degli autori, il legame tra disegno organizzativo e performance è indiretto e mediato dalle proprietà strutturali del gruppo (figura 3.3) ed i fallimenti della ricerca sul dise-gno organizzativo si spiegano con il fatto che gli effetti della struttura organiz-zativa sulla rete sociale dei gruppi all’interno dell’organizzazione non erano stati considerati. Nella visione degli autori, quindi, le caratteristiche

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dell’organizzazione hanno effetti sulle caratteristiche della struttura sociale dei gruppi le quali, a loro volta, hanno un effetto diretto sulla performance.

Figura 3.3: Una concettualizzazione relazionale del legame tra disegno organizzativo e performance

Fonte: Ns. adattamento da Pearce e David (1983).

3.3.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e la differenzia-zione delle attività sanitarie

Considerando la dimensione relazionale delle reti sociali, il contenuto degli scambi che avvengono nella rete allo scopo di facilitare il coordinamento deve essere innanzitutto costituito da relazioni di fiducia. Senza fiducia, infatti, attivi-tà con alte interdipendenze sequenziali o reciproche non potrebbero essere rea-lizzate. Medici che forniscono cure allo stesso paziente devono poter fare affi-damento sul lavoro degli altri per poter svolgere il proprio lavoro. Un endocri-nologo, ad esempio, deve essere in grado di poter fare considerare attendibili i risultati del laboratorio di analisi per poter prescrivere una determinata terapia al paziente. Un chirurgo per potersi sentire sicuro di operare ha anche bisogno di sapere di avere un anestesista di cui si fidi al suo fianco nel caso che lo svi-luppo dell’operazione chirurgica lo richieda. Senza fiducia nel lavoro dei colle-

Disegno organizzativo: - Meccanicistico - Organico

Proprietà strutturali del gruppo: - Connettività - Centralità - Reciprocità - Differenziazione verticale - Differenziazione orizzontale - Stelle - Isolati - Collegamenti - Coalizioni

Performance

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ghi molte decisioni cliniche sarebbero impossibili da prendere e molte duplica-zioni del lavoro creerebbero problemi di inefficienza. Una tipica situazione spesso citata da chi propone politiche di integrazione ospedale territorio è quel-la in cui ad un paziente, fatto ricoverare da un medico sul territorio in base ad alcune prestazioni diagnostiche, sono ripetute le stesse prestazioni diagnostiche all’inizio del ricovero nonostante spesso non siano necessarie. Il modo spesso proposto per eliminare queste duplicazioni è l’implementazione di un qualche sistema informativo per condividere i referti diagnostici tra medici in ospedale e medici sul territorio. Una prospettiva relazionale permette di notare come il problema della fiducia sia probabilmente almeno altrettanto rilevante anche perché il paziente spesso consegna agli specialisti ospedalieri una copia cartacea dei referti che vengono fatti ripetere.

PROPOSIZIONE 5: Quanto più complesse sono le interdi-pendenze tra due specialità mediche, tanto maggiore sarà il le-game di fiducia tra i professionisti delle due specialità interdi-pendenti.

La funzione del raggruppamento in unità operative tipiche delle attività di

progettazione organizzativa ha anche la funzione di aumentare la probabilità che relazioni di fiducia si sviluppano attraverso la condivisione di risorse e di uno stesso supervisore gerarchico.

3.3.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e la differenzia-zione delle attività sanitarie

Rispetto alla dimensione cognitiva delle reti il coordinamento è facilitato dalla condivisione di schemi cognitivi in modo molto simile a quanto discusso per il trasferimento della conoscenza scientifica. Mintzberg (1985, p. 292) nel descrivere i meccanismi di coordinamento all’interno delle burocrazie profes-sionali cita la tesi di dottorato di Gosselin (1978) che sostiene che “[Durante un intervento lungo e complesso come nella chirurgia a cuore aperto fra anestesi-sta e chirurgo] molto poco deve essere detto prima dell’apertura del torace e durante l’intervento sul cuore stesso: le informazioni (linee, pulsazioni e segnali luminosi) fornite dalle attrezzature sono indicative delle aspettative di compor-tamento verso ciascuno e ciascuno si comporta in quel modo”.

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PROPOSIZIONE 6: Quanto più complesse sono le interdi-pendenze tra due specialità mediche, tanto maggiore sarà la standardizzazione degli schemi cognitivi dei medici.

Un linguaggio comune permette, infatti, di ridurre le ambiguità nella comu-

nicazione e di descrivere attività complesse in poche parole. Se le attività impli-cassero un aggiustamento reciproco così frequente, ma senza un linguaggio comune altamente codificato, potrebbe essere impossibile gestire una grande quantità di comunicazioni nei tempi normalmente richiesti dagli interventi chi-rurgici.

3.4. Le implicazioni delle asimmetrie informative tra profes-sionisti, pazienti e manager

A causa della alta complessità della conoscenza medica, le informazioni in possesso dei professionisti rispetto alle conseguenze ed alle possibilità di trat-tamento sono necessariamente molto superiori a quelle in possesso dei pazienti o, almeno, questo è ciò che ritengono entrambe le parti (Arrow, 1963). Queste asimmetrie informative rendono difficile per i pazienti controllare direttamente la qualità dei servizi che gli sono forniti, condizione necessaria per potere ne-goziare i servizi su di un mercato competitivo e, per questo motivo, le asimme-trie informative sono considerate una della cause di fallimento del mercato in economia della salute. Le asimmetrie informative creano anche il potenziale per un comportamento opportunistico dei professionisti che normalmente gli eco-nomisti dei costi di transazione (Williamson, 1975) citano come una delle ra-gioni per utilizzare strutture di governance gerarchiche. Ma anche quando le attività sanitarie sono erogate all’interno di una struttura di governace gerarchi-ca (ad esempio, quella che si ritrova in un’azienda sanitaria come un ospedale) la capacità del management aziendale di utilizzare la formalizzazione, l’autorità, o la standardizzazione dei risultati per controllare l’attività dei medici è limitata dalla resistenza dei professionisti (Raelin, 1985, 1989), dal fallimento dell’autorità quando il coordinamento richiede un’alta quantità di informazioni (Grandori, 1997), e dalla bassa efficacia dei sistemi di budget nei casi in cui c’è incertezza nell’attività (Abernethy e Stoelwinder, 1991; 1995).

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Quadro 3.3. – L’inefficienza della gerarchia a gestire l’ambiguità della conoscenza: una prospettiva relazionale

Quando devono risolvere problemi complessi in ambienti caratterizzati da ambi-guità, gli individui compensano la loro necessariamente limitata conoscenza delle in-terdipendenze tra le varie attività e la loro incertezza circa il futuro scambiando in-formazioni, -conoscenza, consigli, esperienze, e risorse- con altre persone incaricate di risolvere i problemi. L’ambiguità, in altre parole, implica la necessità di comunicazione tra gli individui le cui attività sono interdipendenti, nel senso che uno ha informazioni o risorse rilevanti per l’altro.

Un modello organizzativo puramente burocratico può essere rappresentato come una rete sociale fortemente gerarchica, in cui una comunicazione per arrivare da un nodo all’altro deve passare necessariamente attraverso il supervisore comune più bas-so (Figura 3.4.). Oltre a semplicemente smistare le informazioni, il supervisore prende una decisione su cosa fare con gli eventuali problemi che l’informazione pone, come approfondire la situazione, e inoltre decide a chi smistare la comunicazione. Nel caso più semplice, il supervisore si limita a passare un messaggio. Il successo della trasmis-sione di una comunicazione dipende dall’effettiva capacità di ogni nodo della rete di svolgere i suoi compiti nel processare le informazioni, ma non tutti i nodi sono sotto-posti allo stesso carico di lavoro nel processare informazioni. Tanto più in alto un no-do è nella catena gerarchica di comando, infatti, tanto maggiore è il numero di coppie di nodi che passerà informazioni attraverso il nodo, e quindi, tanto maggiore il suo ca-rico di lavoro per il coordinamento. Per questo motivo, al salire di livello nella gerar-chia di organizzazione diminuisce sempre più il tempo dedicato a produrre i servizi (nel caso di un’azienda sanitaria ad esempio il tempo dedicato a visitare i pazienti) ed aumenta quello dedicato a coordinare e controllare. Ma la capacità di coordinare di una persona richiede risorse cognitive e, soprattutto, tempo che nel caso di una per-sona non possono crescere all’infinito. Al contrario di quanto è possibile fare aggiun-gendo processori ad un server, le persone non solo “scalabili” per aumentare la loro potenza di gestione delle informazioni. I nodi più in alto della gerarchia tenderanno ad essere, quindi, congestionati al crescere della necessità di comunicazione (sia essa dovuta all’ambiguità delle attività o semplicemente alla dimensione della gerarchia).

Quindi se è vero che creare relazioni sociali per processare e trasmettere informa-zioni (compiendo attività manageriali) è costoso per l’organizzazione perché sono at-tività che impegnano tempo che non potrà essere usato per produrre servizi, una rete fortemente gerarchica è quella più efficiente perché riduce al minimo il numero di connessioni e di passaggi per unire due nodi scelti a caso nel network. Lo svantaggio di una rete molto gerarchica è che il coordinamento tende a passare sempre attraverso gli stessi nodi e questi diventano rapidamente congestionati al crescere delle comuni-cazioni. Le reti molto gerarchiche, quindi, riducono al minimo il costo del coordina-

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mento ma distribuiscono in modo molto sproporzionato l’onere del coordinamento. Inoltre, come accennato, ambiguità e complessità tendono ad incrementare esponen-zialmente la necessità di comunicazione necessaria al coordinamento.

Una possibile soluzione, può essere quella di creare scorciatoie nel percorso di comunicazione tra alcuni nodi: nel linguaggio del disegno organizzativo queste scor-ciatoie possono essere rappresentate da posizioni di coordinamento come product o account manager.

Meccanismi di controllo sociale esercitati dalla professione e l’auto-

controllo dei professionisti integrano meccanismi di controllo più tangibili qua-li l’autorità o la programmazione e controllo poiché questi meccanismi sono meno efficaci nella organizzazione delle attività sanitarie rispetto a quanto lo sono nell’organizzazione della maggior parte di servizi diversi.

Nel paragrafo 2.5. si è descritto come le professioni siano una modalità di governance delle attività mediche e che parte della loro azione è quella di un controllo sociale. Le transazioni che riguardano attività mediche sono cioè “embedded” in un contesto professionale che contribuisce a controllarne l’erogazione. Come avviene nella forma di controllo sociale dei clan, questi meccanismi si basano su un processo di socializzazione lungo e relativamente totalizzante che ha lo scopo di ridurre l’incompatibilità tra gli obiettivi dei sog-getti che socializza (Ouchi, 1979; 1980). Nel contesto della professione medica, ad esempio, ridurre l’incompatibilità tra gli obiettivi vuol dire convincere i sin-goli professionisti che l’obiettivo di migliorare lo stato di salute del paziente viene prima dei propri obiettivi di reddito o di vita personale. Nella sociologia delle professioni le modalità tipiche con cui i medici sono socializzati sono in-dividuate nelle università e le scuole di specializzazione che li formano, negli esami di abilitazione che ne testano la preparazione, nelle licenze che li identifi-cano, e nei codici etici cui si dovrebbero attenere (Abbott, 1988; Becker, 1961; Bosk, 1979).

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Figura 3.4. : Una rappresentazione relazionale di un organigramma. Le relazioni rappresentate sono quelle gerarchiche formali. Ciascun no-do rappresenta un dipendente dell'organizzazione eccetto i gruppi di stakeholder rappresentati come elementi disconnessi dal network

Fonte: tratto da http://www.orgnet.com/decisions.html . Ultimo accesso 3 febbraio 2006.

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3.4.1. La dimensione strutturale delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità

L’esistenza di asimmetrie informative in sanità è dovuta a due principali fattori: il primo è la quantità e la complessità della conoscenza che rende difficile comprendere l’attività di un professionista per qualcuno che non svolge a tempo pieno la stessa attività; il secondo è l’osservabilità dei processi e dei risultati che è anche essa complessa nel caso di attività di natura medica. L’osservabilità diretta dei processi di erogazione nel settore sanitario, poiché si tratta di servizi personalizzati ed erogati ad individui, è costosa e solitamente limitata solo nella fase di formazione dei professionisti in cui l’operato del tiro-cinante è sottoposto alla costante supervisione di un tutor. Una metodologia alternativa ma anche essa molto lunga e costosa è l’analisi ex-post delle cartelle cliniche (Salvatore, 2006). L’osservabilità dei risultati dipende, invece, dalla pos-sibilità di definire indicatori di risultato che misurano effettivamente l’attività clinica che è spesso in sanità limitata dalla natura ambigua delle relazioni causa-effetto in sanità come discusso nel paragrafo 3.2..

I colleghi di un professionista sono i soggetti coinvolti nell’erogazione dei servizi sanitari che più di ogni altro sono in condizione di minimizzare entram-be le fonti di asimmetrie informative. Infatti, i professionisti nella stessa specia-lità hanno sia la conoscenza necessaria per valutare il comportamento dei col-leghi sia la possibilità di osservarne il comportamento tramite le interazioni ca-suali che avvengono in ambienti clinici e scientifici.

PROPOSIZIONE 7: Tanto minore l’abilità dei pazienti e degli amministratori di giudicare la qualità di una attività medica, tanto maggiore sarà la densità delle reti sociali dei professioni-sti e la proporzione di colleghi nella stessa specialità.

Network densi ed uni-professionali, infatti, incrementano la capacità di con-

trollo sociale ed inducono meccanismi di auto-controllo e, quindi, sono utiliz-zati come forma di governance in grado di compensare la bassa abilità di valu-tare processi o risultati assistenziali da parte di pazienti ed amministratori.

Rispetto agli studi empirici sull’embeddedness (DiMaggio e Louch, 1998; Uzzi, 1997) in cui si teorizza che le transazioni sono protette da parte del ri-schio che le caratterizza perché avvengono all’interno di una rete sociale, il tipo di embeddedness che può essere creato dalle comunità professionali ha una differenza sostanziale: infatti, l’essere embedded nell’insieme di relazioni in una comunità - quella dei propri colleghi - riduce il rischio nelle transazioni che av-

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vengono all’interno di relazioni con soggetti esterni alla comunità professiona-le. Per questo motivo, la capacità di ridurre il rischio delle professioni nelle transazioni con i pazienti è probabilmente più debole, di quanto, ad esempio, le relazioni di amicizia, parentela e reciproca fiducia riducono il rischio delle tran-sazioni all’interno di un distretto industriale o di altri contesti in cui gli studi sull’ embeddedness indicano la presenza di una modalità di governance rela-zionale.

3.4.2. La dimensione relazionale delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità

All’interno delle relazioni sociali, molteplici tipologie di risorse pos-sono essere scambiate. Una singolare risorsa, però, è particolarmente importante nelle relazioni tra medici: i pazienti. Infatti, a causa della alta differenziazione dell’attività medica, spesso un professionista non è in grado di erogare ad un paziente tutte le prestazioni di cui ha bisogno. Al tempo stesso, a causa delle asimmetrie informative, i pazienti non sono in grado di giudicare la qualità dei medici e, quindi, di scegliersi da soli quale professionista o struttura gli debba fornire quelle prestazioni ag-giuntive che il primo medico non è in grado di fornirgli. Per questo mo-tivo, i pazienti ascoltano spesso il consiglio del proprio medico quando questi gli indica un medico o una struttura a cui rivolgersi per le presta-zioni di cui ha bisogno. Rispetto, al paziente un medico ha:

• informazioni molto più approfondite (anche se comunque lontanissime dalla conoscenza perfetta che un mercato com-petitivo assumerebbe). Egli ha, infatti, una base di conoscenza comune data dalla formazione medica generalista; ha potuto probabilmente osservare la qualità del collega per le presta-zioni che ha fornito ad altri pazienti comuni; ed, infine, di-spone di informazioni sulla reputazione di ciascun professio-nista che circolano nella rete sociale densa dei propri colleghi;

• una alta probabilità di aver bisogno nuovamente di quelle pre-stazioni per un altro suo paziente. Questa probabilità crea un gioco ripetuto -simile al noto “tit for tat” descritto da Axelrod (1981)- in cui la possibilità di sanzionare il comportamento non cooperativo rende non conveniente attuarlo. Infatti, un professionista che nota che un collega eroga prestazioni di bassa qualità può semplicemente reagire smettendo di consi-gliare ai propri pazienti quel determinato collega, arrecandogli in tal modo un danno di status e probabilmente anche eco-

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nomico. Inoltre, poiché ciascun medico diffonderà ai propri colleghi il proprio giudizio sui colleghi con cui è in contatto, il conseguente danno di reputazione può ridurre ulteriormente il numero di pazienti che un professionista riceve dai colleghi.

PROPOSIZIONE 8: Tanto minore l’abilità dei pazienti di giudicare la qualità di una attività medica, tanto maggiore sarà il numero di pazienti inviati da un professionista all’altro.

“L’invio” di pazienti, cioè il fatto di consigliare ad un paziente di rivolgersi

ad un determinato collega o ad una struttura è detto il inglese “referral” ed è, nella pratica quotidiana, una delle principali leve di marketing che i professioni-sti di alcune specialità hanno per procurarsi nuovi pazienti. Tra le sanzioni o i riconoscimenti che le comunità professionali possono utilizzare nei confronti dei loro partecipanti, il referral dei pazienti è probabilmente quello più forte anche se non è sempre utilizzato a livello esplicito. Alcuni studiosi hanno sottolineato che i medici sono spesso più interessati alla reputazione piuttosto che all’opinione dei propri pazienti (Raelin, 1985). Se vera, questa tendenza potrebbe essere correlata al numero di pazienti che si rivolge ai professionisti di una specialità inviati da colleghi delle altre specialità.

3.4.3. La dimensione cognitiva delle reti sociali e le asimmetrie informative in sanità

La dimensione cognitiva delle reti sociali è legata alla specificità delle asim-metrie informative perché supporta lo sviluppo di una forma di auto-controllo che, insieme al controllo dei pari di cui si è discusso nel paragrafo 3.3.1. parlan-do della dimensione strutturale, sopperisce ai fallimenti del mercato e della ge-rarchia nel settore sanitario. La categorizzazione sociale di sé stessi assimila dal punto di vista cognitivo sé stessi ad un prototipo di membro del gruppo e, conseguentemente, allinea la percezione di sé ed il comportamento con il pro-totipo del gruppo rilevante in ciascun contesto. L'identificazione, cioè la perce-zione di sé all'interno di un gruppo sociale, è stata utilizzata nella letteratura or-ganizzativa da un numero crescente di studiosi dalla fine degli anni ottanta in poi. Tra i primi autori nel campo degli studi organizzativi vanno citati Asforth e Mael (1992), Dutton, Dukerich, e Harquail (1994), e Mael e Tetrick (1992). Le radici del concetto possono, però, essere trovate nella psicologia sociale. Più in particolare, è la teoria dell'identità sociale che ha permesso di teorizzare e operazionalizzare una serie di concetti relativi al legame tra individui e gruppi

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(Tajfel e Turner, 1986; Tajfel, Billig, Bundya, e Flament, 1971). Diversi significati possono essere attribuiti ad una persona da sé stesso e da-

gli altri (Gecas, 1982). Queste attribuzioni si basano sui ruoli sociali degli indi-vidui e sull’appartenenza a diversi gruppi (identità sociali) e sulle caratteristiche e personalità individuali (identità personali) (Ashforth e Mael, 1989; Gecas, 1982; Ibarra, 1999).

Il concetto di sé di ciascun individuo deriva dalla propria appartenenza ad un gruppo sociale. L’appartenenza a vari gruppi conduce ad una varietà di identità sociali che sono salienti nelle diverse situazioni in cui un individuo si trova.

Per quanto riguarda le cause dell’identificazione studiate dalla psicologia so-ciale, gli studiosi assumono che le persone vogliano sempre migliorare la pro-pria autostima. Allo scopo di migliorare la propria autostima, ogni individuo sentirà più forte l’appartenenza ai gruppi di cui considera positivi i valori. Tan-to più i valori del gruppo sono in linea con quelli dell'individuo, tanto più l'i-dentificazione nel gruppo sarà alta. Un individuo molto religioso, ad esempio, troverà più facile identificarsi in un ospedale gestito da un ordine religioso ri-spetto ad un individuo che ha valori etici laici.

Allo stesso tempo, la propria autostima dipende anche da quanto ci si sente accettati dai propri amici e familiari. Per questo motivo, gli individui si identifi-cano più volentieri in un gruppo considerato prestigioso, perché maggiore è il prestigio del gruppo di cui sono membri, maggiore è la stima ricevuta da coloro che sono intorno. Le principali cause psicologiche dell'identificazione sono schematizzate nella Figura 3.5..

Secondo la prospettiva della psicologia cognitiva, invece, identificarsi vuol dire classificare se stessi e gli altri in alcune categorie sociali. Inserire una per-sona in una categoria serve a fare previsioni affidabili sui comportamenti di quella persona anche conoscendola poco. Allo stesso modo, categorizzare se stessi permette di conoscere quali comportamenti gli altri si attendono dall'in-dividuo.

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Figura 3.5.: Cause psicologiche dell'identificazione

Fonte: Ns. adattatanemento da Dukerich, Golden e Shortell, (2002).

Inoltre, allo scopo di essere percepiti dagli altri come parte di un determina-

to gruppo, ciascuno si comporta nei modi tipici dei membri di quel gruppo. Ci sono, quindi, due conseguenze principali dell’identificazione con la professione nelle aziende sanitarie:

• l'individuo agisce diversamente verso i membri di un gruppo con cui si identifica rispetto ai membri di altri gruppi. Ci comportiamo naturalmente, cioè, in modo da favorire i mem-bri di un gruppo con cui ci identifichiamo quando dobbiamo prendere decisioni;

• il modo di comportarsi, di vestirsi ed in generale tutto ciò che una persona fa di osservabile dagli altri è influenzato dall'iden-tificazione perché ciascuno cerca di segnalare all'esterno l'ap-partenenza ad un gruppo con cui si identifica molto.

L’approccio della teoria dell’identità sociale permette di superare i limiti di delle altre concezioni di gruppo, ponendo l’enfasi sul gruppo nell’individuo piuttosto che sull’individuo nel gruppo (Bergami, 1996). Secondo Tajfel il comportamento inter-individuale (in cui gli individui agiscono esclusivamente in base alle loro caratteristiche individuali) ed il comportamento inter-gruppo (in cui gli individui agiscono esclusivamente in base alla loro appartenenza a di-versi gruppi sociali) non sono altro che due estremi di un continuum.

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Quadro 3.6. – La teoria dell’identità sociale nelle teorie organizzative

La teoria dell’identità sociale, applicata allo studio delle organizzazioni, può per-mettere di avanzare le conoscenze scientifiche sul legame tra l’interazione sociale e l’identità sociale degli individui, cioè della appartenenza percepita ad un gruppo. L’abilità di pensare in termini di “noi”, e non solo di “io”, permette alle persone di at-tuare comportamenti organizzativi che sono significativi, integrati e collaborativi (Ha-slam, 2004).

La teoria dell’identità sociale è una teoria integrativa sulla differenziazione inter-gruppi perché ne considera sia i fondamenti cognitivi che quelli motivazionali. Essa fu inizialmente sviluppata nel tentativo di comprendere le basi psicologiche della discri-minazione tra gruppi. Tajfel, Billig, Bundya e Flament (1971) notano, attraverso espe-rimenti su piccoli gruppi, come condizioni molto elementari come l’assegnazione ca-suale ad un gruppo incoraggiano comportamenti che favoriscono il gruppo di appar-tenenza a svantaggio dei gruppi esterni. Questi comportamenti sono scelti nonostante il fatto che una strategia alternativa, agire in modo da massimizzare il valore per tutti i partecipanti all’esperimento indipendentemente dal gruppo, è possibile ad un costo relativamente basso. Ciò che sembrava guidare i comportamenti individuali nell’esperimento, non era ottenere buoni risultati in senso assoluto ma ottenere risul-tati migliori dell’altro gruppo.

Il mero atto di categorizzare se stessi come membri di un gruppo era sufficiente a conferire ai propri comportamenti un significato distintivo e, quindi, a dimostrare fa-voritismo verso il gruppo. Il punto centrale della teoria dell’identità sociale è che gli individui, dopo essere stati categorizzati in termini di appartenenza ad un gruppo ed aver definito se stessi in termini di quella categorizzazione sociale, cercano di raggiun-gere una autostima positiva differenziando in senso positivo il loro gruppo da un gruppo comparabile su alcune dimensioni considerate importanti.

Secondo Ellemers, Kortekaas e Ouwerkerk (1999) l’identità sociale ha tre dimen-sioni correlate ma distinte: l’auto-categorizzazione, il committment verso il gruppo e autostima derivante dal gruppo.

La teoria dell’auto-categorizzazione specifica le operazioni del processo di catego-rizzazione sociale come le basi cognitive del comportamento nel gruppo. La catego-rizzazione di se stessi e degli altri in un ingroup ed in un outgroup accentua la simili-tudine percepita del soggetto categorizzato a prototipi di ingroup o outgroup rilevanti. Quindi, i soggetti non sono più rappresentati come individui unici, ma piuttosto, co-me materializzazioni di un prototipo rilevante attraverso un processo di depersonaliz-zazione. La nozione di prototipo, quindi, che non era considerata centrale nei primi studi sull’identità sociale focalizzati sulle relazioni inter-gruppi, è assolutamente cen-trale per la teoria dell’auto-categorizzazione (Hogg e Terry, 2000).

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Perché i comportamenti individuali siano influenzati dall’identificazione, l’appartenenza al gruppo deve essere percepita come saliente. Secondo Tajfel e Turner (1986) questo dipende dal grado in cui il contesto esistente fornisce spazio per la comparazione tra gruppi e dall’importanza percepita di questa comparazione. In base a processi cognitivi diretti alla riduzione dell’incertezza e all’auto miglioramento, gli individui scelgono tra le identità sociali quella più appropriata (quindi, la più saliente in una determinata situazione) ad un determinato contesto. In questi processi è anche rilevante quali categorie sociali sono accessibili all’individuo e la loro coerenza con i valori dell’individuo (Hogg e Terry, 2000).

La prospettiva psicologico-sociale ed, in particolare, la teoria dell’identità sociale sono particolarmente utili come prospettiva da cui analizzare il settore sanitario per-ché:

● la discussa difficoltà ad utilizzare strumenti di controllo formali, e la correlata ne-cessità di utilizzare meccanismi di auto-controllo o controllo sociale rendono l’identificazione nell’organizzazione e i correlati comportamenti in-ruolo ed extra-ruolo una variabile più importante rispetto ad attività in cui il controllo formale è più efficace;

● l’evoluzione storica del sistema, l’alto status di alcune professioni, la tradizionale struttura organizzativa delle aziende, rendono le aziende sanitarie un contesto che con-tribuisce a rendere particolarmente salienti le identità professionali;

● il particolare tipo di conoscenza utilizzata in medicina rende molto utilizzate “scor-ciatoie” cognitive nelle decisioni necessariamente prese da ciascuno nell’attività quoti-diana.

Le aziende sanitarie rappresentano un contesto particolarmente interessante

per studiare le determinanti e le conseguenze dell'identificazione nelle organiz-zazioni a causa dei diversi gruppi in cui il personale medico può identificarsi. Inoltre, l'identificazione dei medici è un elemento centrale nel processo di a-ziendalizzazione in atto nella sanità italiana perché i medici devono accettare di sviluppare competenze manageriali per poter rispondere in modo adeguato al cambiamento.

All’interno di un'azienda sanitaria un medico fa parte contemporaneamente di diversi gruppi sociali, tra cui: la specialità (ad esempio la comunità dei cardio-logi nazionale ed internazionale), l'unità organizzativa (il personale del reparto di cardiologia dell'azienda in cui lavora), e l'azienda (il personale di tutta l'orga-nizzazione).

L’azienda è uno tra i gruppi sociali nei quali l’individuo può identificarsi.

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Dutton, Dukerich, e Harquail (1994) definiscono l’identificazione organizzativa come “il grado in cui un membro attribuisce a se stesso le stesse caratteristiche che egli ritiene siano attribuibili all’organizzazione”. L’identificazione nell’azienda è rilevante negli studi di management perché può aiutare a com-prendere perché alcuni individui si impegnano regolarmente in comportamenti cooperativi a vantaggio dell’organizzazione ed altri non lo fanno (Dukerich, Golden, e Shortell, 2002). Uno dei fenomeni che si prestano ad essere studiati meglio in un contesto come quello delle organizzazioni sanitarie è la contem-poranea presenza di più identità potenzialmente salienti rispetto alla stessa si-tuazione.

La letteratura organizzativa ha analizzato diversi casi identificazioni multiple ed in competizione:

• individui che cambiano spesso organizzazione (Lindgren e Wa-hlin, 2001);

• individui con rapporti di lavoro temporaneo (Bartel e Dutton, 2001);

• differenti identità contemporanee (Korotov, 2004); • identità provvisorie o “Provisional selves” (Ibarra, 1999); • appartenenza organizzativa ambigua (Bartel e Dutton, 2001; Ko-

rotov, 2004) . Inoltre, a causa del tipo di attività che si svolge nelle aziende sanitarie diversi

gruppi professionali sono costretti ad interagire. I medici devono interagire con gli infermieri e gli amministratori, ma anche differenti specialità devono colla-borare tra loro. In un’operazione, ad esempio, un cardiochirurgo deve coordi-narsi con l'anestesista e con tutti i medici che hanno contribuito a fare la dia-gnosi al paziente.

Un lavoratore di un’azienda sanitaria ha diversi gruppi in cui identificarsi (ad esempio, il proprio ospedale, il reparto, la professione, il turno di lavoro). L’identificazione con la professione, può costituire una criticità da gestire per l’azienda poiché nelle organizzazioni ci sono altri diversi gruppi professionali ed il favorire l’ingroup a svantaggio di outgroup costituiti da altri gruppi pro-fessionali può avere conseguenze negative su tutta l’organizzazione. D’altra parte, l’identificazione con la professione dei medici serve a rafforzare il con-trollo sociale reciproco tra i professionisti e, quindi, contribuisce al rispetto del-le norme etiche del gruppo pena l’esclusione da esso ad opera degli altri mem-bri.

Per studiare le conseguenze negative dell’identificazione sui rapporti tra di-

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versi gruppi professionali, alcuni ricercatori (Bertolotti, Cantarelli, Macrì, e Ta-gliavento, 2004) hanno trascorso sei mesi in un reparto di radioterapia oncolo-gica in un ospedale italiano. In questo reparto è importante il lavoro di almeno quattro tipi di gruppi professionali: i medici, i tecnici, gli infermieri ed i fisici sanitari. Nel caso studiato la percezione negativa che ciascun gruppo ha degli altri influisce negativamente sulla qualità del lavoro di tutto il reparto. Per far capire meglio le dinamiche dell’interazione tra i diversi gruppi, i ricercatori hanno riportato alcuni dialoghi a cui hanno assistito (quadro 3.5.).

Quadro 3.5. – Alcune conversazioni che testimoniano le conseguenze negative dell’identificazione organizzativa in un reparto di radioterapia oncologica

• Un tecnico commenta con un collega: “Ma che etica hanno secondo te i fisici quando fanno un piano di cura? Certo, se fanno un piano che non va proprio bene lo sanno, secondo me anche più dei medici, ma la verità è che a loro non interessa perché loro non hanno di fronte il paziente, non lo vedono mai.”

• Un’infermiera dichiara: “Scusa, sai, ma corriamo solo noi. C’è chi non fa niente e invece noi moriamo qui.”

• Un medico incontrandone un altro nel corridoio afferma: “Non mi dici nulla? Mi hanno appena detto che la TAC non funziona. Comunque, se posso dire una cosa, non si può riempire così tanto la TAC e il simulato-re e questo è compito dei tecnici.”

• Un tecnico: “Noi iniziamo alle 7, mentre i medici arrivano alle 8,30. Se fossero qui alle 8 avremmo guadagnato già mezz’ora. Poi basterebbero delle indicazioni in più, per esempio se il medico lasciasse scritto <fai la maschera così> … c’è stato un tentativo un anno fa ma poi hanno smes-so […] siamo i primi ad arrivare e gli ultimi che se ne vanno.”

Fonte: adattato da Bertolotti, Cantarelli, Prisca, Macrì e Tagliavento, 2004.

Inoltre, la differenza tra i diversi gruppi viene spesso segnalata attraverso simboli come i vestiti o la suddivisione degli spazi. Pratt e Rafaeli (1997) riferi-scono di un reparto di riabilitazione in cui la direzione dell’ospedale voleva che gli infermieri indossassero abiti comuni ma gli infermieri erano divisi su questo tema. Secondo la direzione, la mancanza di divise comunica al paziente (che ha superato un’operazione chirurgica) che il suo ricovero è quasi terminato e che la riabilitazione è un’anticamera del ritorno alla vita normale. Gli infermieri del

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turno di giorno, che compiendo in prevalenza azioni di riabilitazione si identifi-cavano molto con il reparto, approvavano l’uso degli abiti normali. Per gli in-fermieri del turno di notte, che sono chiamati a compiere prevalentemente a-zioni di assistenza tipica di un reparto di ricovero per acuti, invece, indossare il camice è un segno tangibile e necessario della loro professionalità. Anche divi-dere gli spazi in base al gruppo professionale (ad esempio, creando all'interno di un reparto una stanza degli infermieri, una degli specializzandi ed una dei medici) è una conseguenza dell'identificazione (o una pratica adatta a gestirla) in diversi gruppi piuttosto che nell'organizzazione.

Le identità sociali evolvono attraverso le interazioni sociali ed ai significati che gli individui attribuiscono ad esse. In uno studio longitudinale e qualitativo sulla socializzazione dei medici, Pratt, Rock e Kaufmann (2001) suggeriscono che i medici sono motivati ad attribuire un senso alle attività a cui sono asse-gnati sul lavoro. Questo processo di sensemaking, rappresentato in figura 3.6, comporta la scelta di identità da un elenco di opzioni (che comprendo identità già internalizzate e storie organizzative) e produce un arricchimento o un cam-biamento dell’identità.

Le organizzazione possono influenzare le interazioni e le attribuzioni di si-gnificato in diversi modi. Pratt (2000) analizza le pratiche di sensebreaking (che cercano di mettere in discussione il significato che l’individuo attribuiva ad una determinata attività) e di sensegiving (che cercano di fornire un nuovo significato al quella stessa attività) attuata da una grande organizzazione che utilizza il marketing multilivello. Covaleski, Dirsmith, Heian e Samuel (1998) studiano, invece, sei grandi società contabili e suggeriscono che strumenti come il management by objectives e il mentoring possono essere utilizzati per trasformare i professionisti in “membri dell’organizzazione disciplinati e auto-disciplinati i cui obiettivi, linguaggio e stile di vita riflettono gli imperativi dell’organizzazione”. E’ difficile, però, conoscere dai casi studio disponibili quanto l’organizzazione è in grado di influire sull’identità delle persone e, so-prattutto, qual è il confine tra il legittimo uso di tecniche per gestire l’identità organizzativa e la manipolazione.

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Figura 3.6: Modelli di socializzazione di medici ospedalieri

Fonte: Pratt, Rock e Kaufmann (2001).

Gli studi sull’identificazione organizzativa hanno trovato relazioni empiriche

significative con molte variabili di “performance” intermedie, abitualmente

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analizzate dagli studi di comportamento organizzativo. In particolare, uno stu-dio nel contesto sanitario ha trovato una relazione positiva con comportamenti cooperativo (Dukerich, Golden e Shortell, 2002) e un elevato numero di altri studi ha trovato correlazioni con il commitment, l’autostima basata sull’appartenenza all’organizzazione e i comportamenti di cittadinanza organiz-zativa (per una review di questi studi si veda Bergami, 1996).

Così come le conversazioni riportate nel quadro 3.5. suggeriscono, le identi-tà professionali sono molto rilevanti nelle organizzazioni sanitarie e si manife-stano in molte organizzazioni come contrasti da comunità professionali prima che tra individui. Tra questi contrasti, il più studiato all’interno degli studi ma-nageriali in sanità è il conflitto tra manager e professionisti (Ashmos, Duchon, e McDaniel, 2000; Brooks, 1999; Golden, Dukerich, e Fabian, 2000; McAuley, Duberley, e Cohen, 2000; Shook, Payne, e Voges, 2005) che è causato almeno in parte dal fatto che alle due figure sono assegnati dal sistema obiettivi diversi ed in parte contrastanti.

PROPOSIZIONE 9: Tanto minore l’abilità dei pazienti di giudicare la qualità di una attività medica, tanto maggiore sarà la rilevanza del prototipo dell’ingroup professionale come guida per il comportamento dei medici.

La letteratura della sociologia delle organizzazioni ha descritto il prototipo

dell’ingroup professionale come un medico per il quale il bene del paziente e la stima dei pari sono di fondamentale importanza. Il comportamento che si basa su tale prototipo riduce, attraverso l’auto-controllo dei singoli, il potenziale di comportamento opportunistico nei confronti del paziente.

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DOMENICO SALVATORE

L’ANALISI RELAZIONALE DELLE ORGANIZZAZIONI SANITARIE

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FINITO DI STAMPARE

NEL MESE DI APRLE 2006

DALLA PICCOLA SOCIETÀ COOPERATIVA

E. ALBANO A.R.L.

VIA ENRICO FERMI, 17 - NAPOLI