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pag. 1 L’AMBITO RELAZIONALE E LE POLITICHE DI MARKETING

L’AMBITO RELAZIONALE E LE POLITICHE DI … · An Introduction to Cybernetics, Chapman & Hall Ltd, London, 1957, cap. 11. pag. 8 Il Marketing concept e la sua evoluzione Alcune imprese

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L’AMBITO RELAZIONALE E LE POLITICHE DI

MARKETING

pag. 2

INDICE

Il marketing e la sua area del decidere

Introduzione

1. Marketing concept e la sua evoluzione

2. Il consumatore

Breve percorso storico sul consumer behavior L’analisi dei bisogni

3. L’individuazione delle aree strategiche d’affari (ASA)

Il rapporto tra domanda e offerta: la macro-segmentazione I segmenti dei segmenti: la micro-segmentazione

4. Il posizionamento

5. Il marketing plan

6. La customer satisfaction

Tipologie di clienti tra prospettiva interna ed esterna La customer satisfaction attraverso la Customer Relationship Management (CRM) Misurare la soddisfazione

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Il marketing e la sua area dell’agire

1. Il prodotto

Il prodotto come paniere di attributi: componenti e servizi Il ciclo di vita del prodotto (CVP) integrato con SWOT e BCG

2. Il prezzo

Sulla determinazione del prezzo: verso una concezione olistica

- Determinanti interne di influenza

- Determinanti esterne di influenza

- Approccio analitico alla determinazione del prezzo Decisioni e scelte strategiche di pricing

3. La promozione o il comunication mix

Pubblicità Vendita personale Promozione delle vendite Pubbliche relazioni

4. La distribuzione fisica e la distribuzione commerciale

La distribuzione fisica La distribuzione commerciale come sistema

- Le componenti del sistema

- Le strutture operative Il nuovo contesto della distribuzione: Internet

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Introduzione

Nonostante il marketer sia Procter & Gamble, il quale osserva che le persone

sovrappeso vogliono cibi gustosi ma meno grassi e t’inventa Olestra; o CarMax, la quale rileva che la gente vuole più certezza quando acquista un’automobile usata e t’inventa un nuovo sistema per vendere automobili usate; o IKEA, che individua persone che vogliono prodotti relativamente buoni a prezzi bassi e t’inventa il sistema di fornitura knock-down – tutto ciò illustra una trasformazione di un bisogno individuale o sociale in un’opportunità di business profittevole tramite la funzione di marketing1.

In sostanza il marketing si occupa dell’individuazione e della soddisfazione delle esigenze individuali e sociali. Uno delle più brevi definizioni del marketing è soddisfare le esigenze con profitto2.

Alcuni eminenti studiosi dell’economia d’impresa hanno sintetizzato al meglio il ruolo del professionista di marketing, l’inquadramento del quale è necessario per capire la funzione di marketing. Gli autori si esprimono come di seguito:

“Il professionista di marketing si interessa allo studio dei bisogni e dei desideri del consumatore, mettendo a punto ipotesi intese a soddisfare quei bisogni rimasti inesauditi, verificando la validità di queste ipotesi di prodotto, progettandone le caratteristiche, ideando la confezione ed un marchio di fabbrica, fissando per il prodotto un prezzo che assicuri una ragionevole redditività dell’investimento, provvedendo alla distribuzione su scala regionale, nazionale e internazionale, creando un’efficace rete di comunicazioni di marketing per far conoscere al pubblico la disponibilità del prodotto, procurandosi i media più efficienti per trasmettere i messaggi commerciali, revisionando l’andamento delle vendite, seguendo il gradimento della clientela e, infine, modificando i piani di marketing alla luce dei risultati. Il professionista di marketing dovrebbe essere il personaggio che riunisce in sé la professionalità del ricercatore di mercato, dell’inventore, dello psicologo, del sociologo, dell’economista, dell’esperto di comunicazioni, del legale.

Questo è quanto credono i responsabili aziendali di marketing”3.

Ora, considerando il faccino trattato nella figura 1.1, possiamo affermare che il marketing, nel senso più ampio, è una funzione appartenente all’ambito relazionale, in quanto questa funzione ha l’obiettivo di relazionare l’interno, nel nostro caso il sistema impresa, con l’esterno, ossia i sovrasistemi di contesto4 quali intermediari commerciali, operatori logistici, fornitori di risorse materiali (in questo caso si tratta

1 Kotler P., Marketing Management, Millenium Edition, Prentice-Hall Inc, New Jersey, 2000, pag. 1. 2 Kotler P., 2000, op. cit., pag. 1. 3 Panati G., Franch M., Marketing e Impresa, Cedam, Padova, 1987, pag. 10. 4 Sul concetto di sovrasistema rilevante nel contesto di riferimento si vedano le opere di GOLINELLI G.M., L’approccio Sistemico al Governo dell’Impresa, vol. 1: L’impresa sistema vitale, CEDAM, 2000, Padova; GOLINELLI G.M., L’approccio Sistemico al Governo dell’Impresa, vol. 2: La dinamica evolutiva

del sistema impresa tra economia e finanza, CEDAM, 2000, Padova; GOLINELLI G.M., L’approccio Sistemico al Governo dell’Impresa, vol. 3: Valorizzazione delle capacità, rapporti intersistemici e rischio nell’azione di governo, CEDAM, 2002, Padova; GOLINELLI G.M., L’approccio Sistemico al Governo dell’Impresa, vol. 1: L’impresa sistema vitale, CEDAM, Padova, 2005; GOLINELLI G.M., L’approccio Sistemico al Governo dell’Impresa, vol. 2: Verso la scientificazione dell’azione di governo, CEDAM, Padova, 2008; GOLINELLI G.M., Viable Systems Approach: Governing business dynamics, CEDAM, Padova, 2010.

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del marketing d’acquisto che non sarà oggetto del capitolo) ed immateriali, consumatori, ambientalisti, ecc., avendo come finalità quella del raggiungimento, acquisizione, soddisfazione e fidelizzazione della clientela.

Le relazioni con l’esterno si qualificano dal punto di vista degli input informativi e fisici, cioè dal punto di vista delle fonti d’informazione private e pubbliche e delle fonti di materie prime e componenti, e da quello dell’output, ossia dal punto di vista della distribuzione fisica e commerciale. Nel primo caso ricordiamo ad esempio le istituzioni delle statistiche, come ISTAT, le quali offrono risorse informative di notevole importanza per la funzione di marketing (si pensi semplicemente alle ricerche di mercato), oppure al sovrasistema di fornitura il quale offre l’input delle materie prime senza le quali non parte il processo produttivo.

Dal lato della distribuzione si potrebbe riferirsi ai distributori commerciali (considerate i supermercati nei quali fate la spesa), agli operatori logistici che si occupano della distribuzione fisica dei prodotti industriali (tra gli esempi più evidenti ci vengono in mente grandi imprese quali, la FedEx, UPS, TNT ecc).

Figura 1 – Il marketing e le altre funzioni dell’impresa

Fonte: ns. Elaborazione

In entrambi i casi, il marketing ha il compito di coinvolgere i sovrasistemi di riferimento, siano essi, sovrasistemi di fornitura o di distribuzione. Il coinvolgimento avviene con l’ampia varietà del ciclo metodo – tecniche – strumenti che questa funzione dispone. Si pensi ad esempio alla pubblicità e alle promozioni di diversa natura.

Il ciclo metodo – tecniche – strumenti di marketing è una rappresentazione degli schemi interpretativi generali e di sintesi che questa funzione utilizza per uno scopo preciso che Peter Drucker meglio di tutti sintetizza cosi:

“There is only one valid definition of a business purpose: a satisfied customer.”

Sappiamo bene che gli schemi specifici sono derivati degli schemi interpretativi generali. Il marketing agisce come mediatore tra sistema impresa e sovrasistemi di contesto; si tratta di una mediazione tra interno ed esterno. Ma interno/esterno non è uno schema interpretativo generale? Decisamente si, e per di più non inventata dai responsabili della funzione marketing. E’ uno schema aristotelico che utilizzano anche gli economisti d’impresa per derivare altri schemi di sintesi (basta pensare alla SWOT analysis, la quale altro non è che uno schema di sintesi derivato dello schema

I = input

O = output

T = trasformazione

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generale interno/esterno utilizzato come schema specifico nel marketing plan e non solo).

Il fatto che parliamo di relazioni ci fa venire in mente un concetto di notevole importanza, un concetto che analogamente alla legge di gravità in fisica, serve esso stesso come “legge di gravità” nei rapporti tra i sistemi. Questo è il concetto della consonanza5. Essa esprime la compatibilità strutturale tra due o più sistemi vitali (ad esempio tra il sistema impresa e i sovrasistemi di distribuzione, di consumo, d’ambiente ecc). Un sistema vitale, diversamente chiamato, è una varietà informativa6. Ne deriva che la consonanza è la compatibilità tra due o più varietà informative. Compatibilità rispetto a che cosa? Per rispondere a questa domanda è necessario ricordare che la consonanza è un concetto strutturale, e nella struttura abbiamo le relazioni tra le componenti interne della stessa struttura, oppure tra le componenti interne di una struttura e quelle esterne di un’altra struttura appartenente ad una altro sistema7. Ciò fa sì che, per trovare la compatibilità tra due sistemi dobbiamo scavare nella struttura della varietà informativa.

Come già trattato e visto in questo corso, la varietà informativa è composta da categorie valoriali, schemi interpretativi generali e di sintesi e unità informative. Ciò fa si che la consonanza tra due varietà informative è la compatibilità tra categorie valoriali, schemi interpretativi e unità informative.

I concetti di varietà informativa e consonanza sono di notevole importanza per la sopravvivenza del sistema impresa. Per sopravvivere a lungo bisogna saper relazionarsi in modo giusto, ma per fare questo è necessario saper leggere i valori e gli schemi degli interlocutori che popolano l’ambiente e il marketing ha un ruolo cruciale nella lettura dell’ambiente. Dalla lettura dell’ambiente si ricava il contesto dei sovrasistemi ritenuti rilevanti per l’impresa con i quali, una volta testata la consonanza, si attiva la risonanza, ossia l’interazione.

Per comprendere meglio è ora di fare un esempio interessante dove la cultura di un determinato ambiente assume un ruolo base e considerevole nelle scelte che andiamo a fare.

La Nestlé quando ha internazionalizzato verso Giappone il mercato dei cereali, inizialmente, non ha saputo bene come posizionarsi. La cultura giapponese (valori e schemi) è particolare e diversa rispetto a quella degli stati europei nei quali la Nestlé serviva già prima questa tipologia di prodotto. Qual è la funzione d’uso dei cereali? Naturalmente quella di mangiare i cereali con latte o yogurt a colazione. I giapponesi invece hanno percepito i cereali come degli snack trovando una funzione d’uso diversa da quella pianificata dall’impresa. Questa incompatibilità (dissonanza) era il risultato di una lettura non attenta dei valori e degli schemi mentali che i clienti asiatici possiedono.

E l’impresa che deve adattare la sua varietà rispetto alla varietà del mercato che serve, e non il contrario. Se un sale manager italiano deve negoziare con clienti stranieri che non capiscono la lingua italiana, ovviamente è lui che si deve adeguare alla loro lingua. A questo punto interviene la legge della varietà necessaria (low of

5 Barile S., Management Sistemico Vitale: Decidere in contesti complessi, Giappichelli, Torino, 2009. 6 Barile S., 2009, op. cit. 7 Ricordiamo che la consonanza va considerata sempre nella presenza di due o più sistemi analizzando le strutture rispettive.

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requisite variety) di Ashby8. Qual è la varietà necessaria per accendere la luce? Sappiamo che il “sistema luce elettrica” è un sistema binario di tipo on/off (salvo il caso che non sia un reostato con stati intermedi del sistema). Questo è un sapere necessario per accendere/spegnere la luce. Conoscere la varietà del sistema con cui ci si confronta è importante e necessario perché influisce sulla consonanza.

Così, in ultima analisi, la metafora della forza di gravità vuole esprimere la forza attrattiva che un sistema ha nei confronti di un altro sistema. La forza attrattiva si basa sui valori e sugli schemi che i sistemi vitali possiedono. Bisogna sottolineare che la consonanza non è unilaterale, ma si tratta di un’attrattività reciproca. Come gli esempi precedenti se ne possono fare centinaia, basta cambiare gli interlocutori. La cosa più importante è ricordarsi del perché si sceglie di relazionarsi con un operatore logistico piuttosto che con un altro, o con un distributore invece di un altro, o con un individuo (volendo semplificare ancora) anziché con uno diverso, e cosi via.

8 Ashby W.R., An Introduction to Cybernetics, Chapman & Hall Ltd, London, 1957, cap. 11.

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Il Marketing concept e la sua evoluzione

Alcune imprese cercano il successo comprando un appezzamento di terra, costruendo una fabbrica, dotandola di personale e macchinari e poi creando un prodotto di cui, secondo loro, gli acquirenti hanno bisogno. Ma accade spesso che queste imprese non riescono ad attrarre clienti con ciò che hanno da offrire perché hanno definito il loro business come «creare un prodotto» invece che come «aiutare i loro clienti a soddisfare i loro bisogni e i loro desideri». Per esempio, quando i CD diventarono più popolari dei dischi in vinile, i fabbricanti di giradischi ebbero l’opportunità di sviluppare nuovi prodotti per soddisfare il bisogno intrattenimento domestico (home entertainment) da parte dei clienti. Le aziende che non hanno cercato di sfruttare questa opportunità, quali Dual e Empire, hanno cessato l’attività: queste organizzazioni non sono riuscite a implementare il concetto di marketing (marketing concept).

Secondo il concetto di marketing, un’organizzazione dovrebbe tentare di fornire prodotti capaci di soddisfare i bisogni dei clienti attraverso un insieme coordinato di attività che permettano anche all’organizzazione di raggiungere i propri obiettivi. La customer satisfaction (soddisfazione del cliente) è il punto focale del marketing concept. Per implementare questo concetto l’impresa si sforza di afferrare che cosa desiderano i clienti e impiega queste informazioni per sviluppare prodotti e servizi capaci di soddisfare la domanda9. Essa si focalizza sull’analisi dei clienti e del più ampio ambiente macro-marketing attraverso l’integrazione di risorse, capacità e competenze10 in ottica di co-creazione di valore con il cliente11.

L’impresa deve anche continuare a modificare, adattare e sviluppare prodotti che tengano il passo con il variare dei desideri e delle preferenze dei clienti. Per esempio, la Ben & Jerry’s valuta continuamente la domanda dei gelati e sorbetti da parte dei consumatori. Sul proprio sito Web mantiene un “cimitero dei sapori” (flavor graveyard) in cui sono elencate le combinazioni dei sapori che sono state sperimentate e che alla fine non hanno avuto successo. Inoltre, registra ogni mese i 10 sapori più popolari (top flavors). Le case farmaceutiche quali Merck e Pfizer si sforzano continuamente di sviluppare nuovi prodotti per combattere malattie infettive batteriche e virali, varie forme di cancro e altre patologie. I farmaci che abbassano il tasso di colesterolo, tengono sotto controllo il diabete, alleviano la depressione o migliorano in altri modi la qualità della vita, procurano alle case farmaceutiche profitti enormi. Quando fabbricano nuovi prodotti – come Rogaine, un farmaco impiegato nella cura della calvizie – le imprese devono sviluppare attività di marketing per raggiungere i clienti e comunicare loro i benefici e gli effetti

9 Se ci facciamo caso questo è il concetto della consonanza. L’impresa si sforza di adattare la sua

varietà informativa a quella dei clienti, cioè la logica vuole che l’impresa venda non ciò che produce, ma ciò che il cliente vuole e desidera. 10 Siano A., Gianpaolo Basile G., Confetto M.G., Il ciclo risorse-capacità-competenze nell’approccio sistemico vitale: dall’individuo all’organizzazione, in: Barile S., L impresa come sistema. Contributi sull’ Approccio Sistemico Vitale, Seconda Edizione, Giappichelli, Torino, 2008. 11 Ci sono alcune nuove tendenze sulla creazione di valore riunite sotto la logica Service Dominant Logic (S-D Logic). Per approfondimenti sull’argomento si consiglia Lusch R.F., Vargo S.L., The Service-Dominant Logic of Marketing, Armonk, New York: M.E. Sharpe, 2006.

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collaterali dei prodotti. Perciò, il concetto di marketing pone in rilievo che il marketing parte dai clienti e arriva ai clienti.

Il concetto di marketing non è una secondaria definizione di marketing, bensì è una filosofia gestionale che guida le attività complessive di un’organizzazione. Poiché questa filosofia influenza tutte le attività organizzative, e non solo il marketing, i dipartimenti di produzione, finanza, contabilità, risorse umane e marketing devono cooperare12 tra di loro.

Per gli operatori di marketing è importane considerare non soltanto i bisogni dei loro clienti attuali, ma anche i bisogni di lungo periodo della società. Per esempio, anche se molti genitori desiderano per i propri bambini pannolini confortevoli, assorbenti e sicuri, la società in generale non desidera pannolini usa e getta che non siano biodegradabili, in quanto essi causerebbero enormi problemi di smaltimento oggi e nel futuro.

In sostanza, essere responsabili della funzione marketing significa essere responsabili per i clienti (intermedi e finali) e per l’ambiente macro-marketing (socioculturale, economia, ecologia, tecnologia, politica/legale), nonché attuare una concorrenza leale.13

12 L’ impresa e ogni altra organizzazione, come lo definiva Chester Barnard, è un sistema cooperativo che necessita la cooperazione tra gli individui sparsi in vari livelli dell’organizzazione. Barnard Ch., The functions of the Executive, Harvard University Press, Cambridge, 1938. 13 Lambin J. J., Marketing Strategico e Operativo, McGraw-Hill, Milano, 2004, pag. 27, 30.

Figura 2 – Principali attori del mercato e principali fattori dell’ambiente macro-marketing

Fonte: Lambin J. J., 2004.

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Oggigiorno avere in mente il cliente per soddisfare le sue attese è una cosa ovvia per i responsabili di marketing, ma non sempre è stato cosi. Gli orientamenti sono cambiati con il dinamismo del mercato e con l’aumento della diversità.

I. Orientamento alla produzione (marketing passivo). Nella seconda meta del XIX secolo, negli Stati Uniti, la rivoluzione industriale era in piena espansione. L’energia elettrica, i trasporti su rotaia, la divisione del lavoro, le catene di montaggio e la produzione di massa permettevano di produrre i beni più efficientemente. La domanda di prodotti industriali era talmente forte che superave anche l’offerta (fase del marketing passivo: domanda > offerta). Un esempio è la catena di montaggio di Ford modello T.

II. Orientamento alla vendita (marketing operativo). Negli anni Venti del secolo scorso la domanda di prodotti, fino ad allora forte, calò e le imprese si resero conto che avrebbero dovuto “vendere” prodotti agli acquirenti. Questa fase di marketing, durata fino all’inizio degli anni Cinquanta, riteneva che le attività principali fossero la vendita personale (personal selling), la pubblicità (advertising) e la distribuzione (placement).

III. Orientamento al marketing o al cliente (marketing strategico). In questa fase cominciata all’inizio degli anni Cinquanta, le logiche sono cambiate da push (spingere verso il mercato, cioè forzare la vendita) a pull (essere il cliente a chiedere ciò che vuole lui). In sostanza non era più l’impresa a vendere, ma era il cliente ad acquistare, perciò un orientamento al marketing richiede di essere in grado di rispondere ai bisogni e ai desideri continuamente mutevoli dei clienti. “In tal caso il management non si accontenterà più di esaminare i risultati di vendita, ma vorrà conoscere l’origine ed esaminare attentamente il comportamento del consumatore, tanto da indurre le università americane a introdurre nei loro piani di studio la disciplina «consumer behavior» ”.14

A questo scopo, Amazon.com, fornitore online di libri, VHS, CD, DVD e altri prodotti, segue gli acquisti online dei clienti e consiglia campi affini.

Orientamento al mercato (market-driven management)15. Nell’ economia mondiale attuale sorgono nuove esigenze sociali, sostenute dal movimento ecologista e dal consumerismo16, che chiedono alle imprese una maggiore sensibilità alle ripercussioni socioculturali della propria attività economica e industriale. L’industria risponde con il marketing verde, che promuove lo sviluppo di concetti di prodotto ecologici e con il marketing responsabile, che si basa su comportamenti etici da parte dell’impresa. Sul piano internazionale, la crescente interdipendenza dei mercati solleva il dilemma della standardizzazione o dell’adattamento. Per restare competitivi, è necessario adottare una strategia di marketing globale o transnazionale nei contesti in

14 Panati G., Franch M., Marketing e Impresa, Cedam, Padova, 1987, pag. 19. 15

Lambin J. J., 2004, op. cit. 16 Il consumerismo è il movimento dei consumatori come sovrasistema influente nei confronti delle decisioni d’impresa. Il movimento consumeristico è il derivato della non soddisfazione dei consumatori in senso ampio e non semplicemente basata sulla materialità del prodotto. Questa insoddisfazione è anche e sopratutto un sentimento di risposta ai comportamenti non etici delle imprese. Come sostiene Drucker, “il consumerismo è la vergogna del marketing”.

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cui le forze che spingono all’adattamento sono ridotte. Tutti questi cambiamenti nell’ambiente macro-marketing richiedono un rafforzamento dell’orientamento al mercato delle imprese. Nell’attuale situazione di turbolenza, l’orientamento al mercato è troppo importante per essere affidato esclusivamente alla funzione marketing. L’orientamento al mercato come cultura e filosofia di gestione deve essere diffuso a tutti i livelli e in tutte le funzioni dell’organizzazione. In questo nuovo contesto, il marketing strategico è più importante che mai, ma la funzione marketing come reparto a sé è messa in discussione e deve perciò essere reinventata. Il marketing deve essere visto non più come una funzione separata, bensì come un processo di integrazione delle varie funzioni. Il semplice orientamento al marketing è

superato dal momento che pressupone un ruolo funzionale nel coordinamento per

rendere l’impresa più attenta ai bisogni dei soli consumatori. L’orientamento al mercato pressupone invece che tutte le funzioni dell’impresa tengano conto di tutti gli operatori (e non solo al consumatore) e i partecipanti che influenzano in modo diretto o indiretto la decisione d’acquisto.

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Il consumatore

1.1 – Breve percorso storico sul consumer behavior Il consumatore è l’oggetto dell’azione di marketing, il bersaglio da colpire con il

prodotto17 e con gli altri strumenti del marketing operativo (prezzo, promozione, distribuzione). Cosi, l’unica finalità del marketing è il raggiungimento e la “cattura” dei consumatori, considerati nel loro insieme e in ogni singola classe.

Come rilevava anche Vilfredo Pareto, tutto comincia dai gusti del consumatore, perciò l’analisi prende la sua origine dalla domanda che essi esprimono. Nella scienza economica classica non si trascura ovviamente la domanda, ma le caratteristiche di chi la esprime non sono così centrali come nel marketing. La maggior parte degli studiosi di impostazione classica, come John Stuart Mill, adottava il postulato che ciascun consumatore fa esattamente ciò che corrisponde alla massima utilità, qualsiasi cosa faccia (concezione utilitaristica) e che l’utilità è qualcosa di soggettivo, non conoscibile che attraverso la configurazione delle scelte compiute.

Nonostante alcune lodevoli eccezioni18, l’economia classica – inseritasi sul filone utilitaristico – non sentì, ad esempio, l’esigenza di svolgere analisi scientifiche dei bilanci familiari.

Questo interesse cominciò assai più tardi, soltanto con l’opera dello statista prussiano Ernst Engel19 che elaborò una delle poche «leggi empiriche» dell’economia, quella sul comportamento del consumatore, la quale afferma che all’aumentare del reddito diminuisce la percentuale delle spese alimentari in rapporto alle spese per altri beni20, cioè varia la composizione dei consumi.

A notevole distanza di tempo sarà poi Keynes ad incorporare questa legge empirica in una «legge psicologica fondamentale» (non empirica) sulla quale – egli affermava – ci si può fiduciosamente basare, vale a dire che di norma e in media, gli uomini sono disponibili ad accrescere il loro consumo con l’aumento del reddito, ma non tanto quanto è questo aumento. La proporzione dell’aumento di reddito destinata a soddisfare il tenore di vita abituale è chiamata da Keynes «propensione al consumo», mentre propensione al risparmio è la differenza positiva tra il valore di reddito effettivo e la spesa del suo tenore di vita abituale.

Lo studio della ripartizione della spesa del consumatore – iniziato da Ernst Engel – restò a lungo trascurato, finché venne ripreso da Katona, che suggerì di suddividere la spesa in due classi di voci: quelle non discrezionali, connesse ad

17 Kotler P., Marketing management, Lied, Torino, 1976, pag. 13, 14, 16. 18 Nel 1672 William Petty, attraverso alcuni studi sui bilanci familiari, analizzò i comportamenti d’acquisto di alcune famiglie operaie inglesi; cent’anni dopo nel 1795 il reverendo David Davies

raccolse 137 bilanci familiari di lavoratori agricoltori che vennero pubblicati, corredati da interessanti considerazioni in merito alla motivazione d’acquisto: Davies D.,The Case of Labourers in Husbandry, London,1795. 19 Engel E., Lebenstoken belgischer Arbeiter-Familien früher und jetz, in “Bulletin de l’Institut International de Statistique”, Roma, 1895, così citato in Alberoni F., Miotto A., Sinigatti S., Consumo, comunicazione e persuasione, Etas Libri, Milano, 1974, pag. 8 e menzionato anche da Meoli U., Lineamenti di storia delle idee economiche, UTET, Torino, 1978, pag. 298. 20 Guatri L., Scott G.W., (a cura di), Manuale di Marketing, Isedi, Milano, 1972, pag. 4-23.

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impieghi già presi, ad abitudini e tradizioni; quelle discrezionali, riguardanti essenzialmente il consumo di beni durevoli ed il risparmio liquido21.

Più in generale Katona afferma l’esistenza di un legame fra «clima psicologico» e propensione all’acquisto del consumatore, indipendentemente da variazioni di prezzo e di reddito22.

Intanto, nell’ambito della teoria dell’utilità che era stata da tempo formulata e sviluppata dalla scuola marginalistica, uno studioso inglese, Edgeworth, aveva introdotto il concetto di «curve di indifferenza»23

Lungo questa direttrice si mosse anche Fisher24 ribattendo la soggettività dei criteri di misurazione della soddisfazione del consumatore, della quale non si riuscì a trovare nessuna valida misurazione di tipo cardinale. L’impasse fu aggirata da Pareto25 ricorrendo ad un criterio ordinale che, prescindendo dalla psicologia, riuscì a dare forma alle operazioni soggettive con la cosiddetta «collina del piacere». In sostanza la collina del piacere prendeva l’origine dai differenti livelli di soddisfazione soggettiva relativamente ai diversi livelli di reddito disponibile.

In assenza di precisazioni (da parte di Pareto) i livelli di reddito cui ci riferiamo corrispondono al reddito disponibile in un dato momento. Bisogna aspettare Milton Friedman26 per capire che il consumatore non fissa (e quindi non ordina) i suoi consumi in base al «reddito istantaneo», ma in base al «reddito permanente», corrispondente alle entrate medie delle quali ritiene di poter disporre durante un certo periodo di tempo.

Nei “teoremi” menzionati il consumatore appartiene ad una popolazione di esseri assolutamente identici ed isolati, senza nessuna interazione tra di loro. È stato Veblen27, per primo, ad osservare che il comportamento del consumatore dipende (anche) dalla struttura sociale e non da qualche sistema di bisogni naturali. Si tratta di una scoperta molto importane, in quanto svela le radici del dinamismo dei consumi: esse si trovano nell’emulazione (effetto dimostrativo). A decidere l’orientamento dei consumi è la classe che sta in cima alla reputazione e alla stima – la classe agiata (leisure class) – la quale divenuta gruppo ideale di riferimento imitativo - comparativo, utilizza due vie dimostrative: lo spreco di tempo (agiatezza vistosa) e lo spreco di beni (consumo vistoso).

Più tardi la questione verrà ripresa da Duesenberry28 il quale osserverà che la soddisfazione ricavabile da un individuo con il consumo non dipende dall’atto di consumo in sé considerato, ma dalla comparazione dei beni che egli usa con una certa frequenza con beni di tipo superiore usati da altri individui. Per esempio, per un individuo che utilizza ancora il computer desktop (non molto confortevole) in un momento in cui i suoi amici utilizzano il laptop (considerandolo in questo caso come

21 Katona G., L’uomo consumatore, Etas Kompass, Milano, 1964, pag. 63. 22 Katona G., Analisi psicologica del comportamento economico, Etas Kompass, Milano, 1964. 23 Il metodo di Edgeworth, per mezzo della ricontrattazione, definisce i valori di equilibrio ovvero i prezzi tali che nessuna domanda disposta a pagarli e nessuna offerta disposta ad accettarli rimanga

insoddisfatta. 24 Fisher I., Mathematical investigation in the theory of value and prices, New Haven, 1926. 25 Pareto V., Manuale di economia politica, Bizzarri, Roma, 1965. 26 Schumpeter J., Storia dell’analisi economica, Boringhieri, Torino, 1972, pag. 1307. 27 Veblen T., La teoria della classe agiata, Einaudi, Torino, 1949. 28 Duesenberry J. S., Income saving and the theory of consumer behavior, Oxford University Press, New York, 1967; trad. It.: Reddito, risparmio e teoria del comportamento del consumatore, Etas Kompass, Milano, 1979.

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bene di tipo superiore rispetto al desktop), ci sarà una tendenza per il primo individuo di acquistare un laptop in modo tale da migliorare il proprio tenore di vita.

L’importanza dei fattori sociologici è ulteriormente ribadita dalla teoria dei gruppi di riferimento, che afferma la dipendenza del comportamento di consumo dell’individuo dal suo gruppo di appartenenza29. L’esempio precedente ne è una buona dimostrazione.

Le scelte del consumatore sono dunque eterodeterminate (quando il consumo degli altri aumenta, l’individuo tenderà ad aumentare le sue spese di consumo e tale aumento sarà indipendente dalle variazioni del proprio reddito) e interdipendenti: ma l’effetto dimostrativo – già scoperto da Veblen – tenderà ad indirizzarle verso beni di qualità superiore. A differenza di Veblen, per Duesenberry è però il valore «successo personale» che garantisce l’integrità del meccanismo consumistico.

Stabilito che nella sfera socioeconomica esiste un meccanismo consumistico integrato, gli studiosi e gli operatori di marketing hanno spostato l’attenzione sui fattori che influenzano le scelte dei consumatori nei confronti dei prodotti, intesi come classi, varietà e marche.

1.2 – L’analisi dei bisogni

Prima di procedere con l’analisi di segmentazione del mercato e del posizionamento, il primo passo del marketing strategico è quello di analisi dei bisogni espliciti ed impliciti dei clienti. Fino ad ora abbiamo detto che il compito più importante e vitale del marketing è quello di soddisfare i bisogni e i desideri dei clienti (in questa sede ci riferiamo al cliente finale, ossia al consumatore).

Prima di procedere con l’analisi, ci sono alcune domande cruciali che debbono essere poste per evitare degli equivoci; poi non si può analizzare senza sapere l’oggetto dell’analisi. La prima domanda, allora, si indirizza verso l’oggetto dell’analisi.

Qual è l’oggetto: il bisogno o il desiderio? Se questi due termini non sono sinonimi, il marketing crea i bisogni o i desideri? E infine quanti marketing esistono: uno solo, o tanti?

Per rispondere alla prima domanda è necessario ricorrere alla dicotomia struttura/sistema30. I bisogni sono sempre quelli che magistralmente Maslow31 ha identificato nella sua gerarchia dei bisogni umani. Cioè i bisogni sono parte della nostra struttura. Da un punto di vista sono oggettivi, in quanto sono sempre quelli, dall’altro sono soggettivi perché la fase della motivazione che vive ognuno di noi non è uguale per tutti. Per esempio, chi si trova nel deserto da due giorni ed è assettato non pensa altro che bere un liquido. In questo caso si tratta di soddisfare un bisogno fisiologico. È diverso il caso di chi ha avuto relativamente “tutto” dalla vita e pensa solo a sfruttare il suo massimo potenziale, la sua creatività, a fare

29 Meoli U.,1978, op. cit., pag. 478. 30 Barile S., Contributi sull’approccio sistemico vitale: L’impresa come sistema, Giappichelli, 2008, cap.

3. 31

Maslow A. H., Motivazione e personalità, Armando Editore, 1973, cap. 4

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beneficienza o altro. Per questo individuo si tratta di soddisfare il bisogno di autorealizzazione. Sintetizzando, l’oggettività dei bisogni riguarda l’elenco “prestabilito” dei bisogni (bisogni fisiologici, di sicurezza, di appartenenza, di stima e di autorealizzazione), invece la soggettività riguarda la scala nella quale si trova l’individuo, cioè in quale punto dell’elenco si trova in un dato momento storico ed in un determinato campo della vita. È consigliabile contestualizzare sempre. Non si può essere socializzati, stimati o autorealizzati in assoluto, ma solo in un dato momento storico e per qualche determinato campo della vita. Per esempio, possiamo essere stimati in famiglia, ma non possiamo dire che della stessa stima godiamo anche in ambito lavorativo. Dal momento che cambia il contesto (in tempo e spazio) possono cambiare anche i bisogni.

Per quanto riguarda i desideri, questi sono più fluidi, come i sogni che oggi sono presenti e domani svaniscono. Si può affermare che il desiderio è sistemico; emerge dal bisogno di riferimento e anch’esso varia al variare del contesto. Nell’approccio sistemico vitale è stato detto che la stessa struttura (bisogno) produce più di un sistema (desiderio) al variare del contesto. Per esempio, ho bisogno di mangiare (bisogno fisiologico), sono fuori casa e devo fare in fretta; sono costretto ad andare in un fast food. Devo decidere se andare a mangiare una pizza HUT, o andare da Pizzico, o andare da McDonald? Supponendo che questi negozi si trovano vicini e i prezzi non variano molto, per risolvere questa situazione basta capire che cosa desidero. In questo momento ho il desiderio di mangiare la pizza HUT per soddisfare il bisogno di nutrimento. Ma un’altro giorno (cambia il contesto ma il bisogno rimane lo stesso) potrei desiderare di andare da Pizzico o altrove. Come si nota, lo stesso bisogno (struttura) ha prodotto più di un desiderio (sistema) dal momento che il contesto è cambiato. Ricordiamo che non solo i desideri possono cambiare al variare del contesto (variazione di tempo e spazio), ma la stessa cosa possiamo affermare anche per i bisogni. L’altra cosa da tenere in mente è che sono i bisogni la struttura sottostante dalla quale emergono i desideri.

La seconda domanda è se il marketing crea i bisogni o i desideri. Quando vediamo la recente pubblicità, dei mondiali di calcio 2010, di Coca-Cola con testimonial il calciatore Roger Milla, abbiamo bisogno di bere la Cola o la desideriamo soltanto? In questo caso la risposta è che il marketing di Coca-Cola ci crea il desiderio di soddisfare la sete (bisogno fisiologico) con questa bibita storica. Ma per lo stesso bisogno – la sete – possiamo avere altri desideri, come ad esempio una birra Heineken, oppure una bottiglietta d’acqua Vitasnella (“l’acqua che elimina l’acqua”) ecc. Come avete dedotto, il marketing crea i desideri soddisfacendo i bisogni.

La terza domanda: quanti marketing esistono? Che si tratti di marketing di imprese industriali, di servizi, pubbliche o private, gli strumenti e le tecniche di marketing sono relativamente sempre le stesse; cambia soltanto il contesto in cui si va ad operare. Naturalmente il marketing contiene in se un certo grado di elasticità e di flessibilità che gli consente di adattare le sue variabili con la varianza delle situazioni. Per esempio, McDonald in Giappone vende riso a colazione, invece in Italia vende i cornetti a colazione, adattando cosi la variabile prodotto (una delle variabili del marketing mix) alla cultura del paese in cui serve.

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Ora, una volta chiariti questi equivoci, sarebbe necessario vedere più in dettaglio i diversi bisogni umani ed il loro legame con la scienza multidisciplinare ed olistica di marketing.

Dal momento che bisogni e motivazione sono un tutt’uno, sarebbe necessario capire che cosa si intende per motivazione.

Una motivazione è uno stimolo interno che orienta le attività di una persona verso il soddisfacimento di bisogni o il raggiungimento di scopi. Le azioni degli acquirenti sono influenzate da un insieme di motivazioni anziché da un’unica motivazione. In un dato momento alcune delle motivazioni sono più forti di altre. Per esempio, le motivazioni di una persona a bere una tazzina di caffè sono molto più forti dopo il risveglio che immediatamente prima di coricarsi. Le motivazioni influenzano anche la direzione e l’intensità del comportamento.

Lo psicologo statunitense Abraham Maslow (1908 - 1970) propose una teoria della motivazione secondo la quale gli esseri umani cercano di soddisfare cinque livelli di bisogni. Dopo avere soddisfatto i bisogni ad un certo livello, gli esseri umani cercano di soddisfare i bisogni ad un livello superiore nella gerarchia. I bisogni di ordine inferiore sono propedeutici per la soddisfazione di quelli di ordine superiore. Come si nota nella figura che segue, a livello di base si situano i bisogni fisiologici, le necessità per la sopravvivenza quali l’ossigeno, il cibo, l’acqua, il sesso, l’abbigliamento, l’alloggio. Le imprese che commercializzano cibi e bevande ricorrono spesso all’appeal dei bisogni fisiologici. Al livello successivo si situano i bisogni di sicurezza.

La sicurezza è intesa in termini esistenziali, cioè avere anche domani ciò che si ha

oggi. Una vecchia pubblicità degli abiti da uomo FACIS diceva: “ La sicurezza veste l’abito FACIS”.

Figura 3 – La gerarchia dei bisogni umani

Fonte: ns. elaborazione

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Seguono i bisogni sociali, esigenze umane di amore, di affetto e di un senso di appartenenza. I messaggi pubblicitari dei cosmetici e degli altri prodotti di bellezza, dei gioielli e persino delle automobili suggeriscono spesso che l’acquisto di questo prodotti procuri l’amore.

Al livello dei bisogni di stima le persone esigono rispetto e riconoscimento dagli altri nonché autostima. Possedere una Maserati o una Rolls Royce, fare le vacanze a Dubai riposando nel lussuosissimo albergo a 7 stelle Burj Al Arab, sono tutti esempi di coloro che hanno necessità di soddisfare bisogni di stima.

Al vertice della gerarchia si situano i bisogni di autorealizzazione, i bisogni di realizzare se stessi ossia di crescere e svilupparsi per diventare ciò di cui si può essere capaci. La US Army, nei propri comunicati per il reclutamento, si è rivolta ai potenziali arruolanti con lo slogan “ be all that you can be in the Army ”.

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L’individuazione delle aree strategiche d’affari (ASA)

Il sistema aziendale per conseguire il successo deve dotarsi di una visione di lungo periodo (strategie di marketing) e, al fine di ottimizzare le risorse disponibili, di un piano di azioni da attuare. Le strategie e il piano di marketing, a loro volta, hanno successo soltanto se l’OdG è in grado di captare le richieste del mercato, intercettando i bisogni palesi e latenti dei consumatori. Troppi consumatori, troppe esigenze di acquisto, troppa distanza e troppa dispersione convincono gli imprenditori ad abbandonare l’idea della competizione ovunque e a ogni costo, per orientarsi invece verso obiettivi particolari del mercato, più alla portata e più facilmente raggiungibili, detti “segmenti”. Per sfruttare al meglio le opportunità e non disperdere energie e risorse, le imprese possono concentrare la propria “capacità di fuoco” solo sugli acquirenti che hanno il massimo interesse all’acquisto. Questo risulterà più semplice se gli imprenditori si concentreranno sulla “mente dei clienti”, piuttosto che sulla qualità del prodotto in sé e dello scaffale.

Nello specifico è conveniente identificare: le opportunità presenti nel mercato di riferimento, chi è la clientela da servire e come l’impresa pensa di raggiungerla. Questi primi dati devono essere integrati con le informazioni concernenti l’ampiezza e il tasso di crescita del segmento o nicchia del mercato, le stime delle vendite e la stima della quota di mercato che l’azienda si aspetta di ottenere. L’analisi di tutti i fattori appena elencati consente all’OdG di procedere con quella che viene definita segmentazione32 del mercato, ossia frazionare il mercato in sub-mercati, in modo tale che ognuno di loro sia omogeneo al proprio interno ed esternamente (rispetto ad altri sub-mercati o segmenti) eterogeneo. L’attività di segmentazione consente di:

evidenziare le eterogeneità nelle preferenze dei consumatori e quindi nelle scelte dei clienti;

studiare e scegliere le caratteristiche principali di un prodotto non solo in funzione del mercato globale ma di uno o più specifici segmenti di consumo omogenei.33

Le attività di segmentazione cominciano con l’individuazione dei macro-segmenti, per procedere poi con l’individuazione dei micro-segmenti che si trovano all’interno dei segmenti macro. L’analisi di micro-segmentazione può avvenire anche in un secondo momento nel tempo e non necessariamente subito dopo la macr-

32 W. R. Smith affermava: “La segmentazione di mercato […] consiste nel pensare un mercato eterogeneo (un mercato caratterizzato da domande divergenti) come un insieme di mercati omogenei di dimensioni minori, in risposta a differenti preferenze di prodotto tra i segmenti di mercato più

importanti.” 33 Cfr. G. Pellicelli, “Il Marketing”, Utet, 1998, pag. 175: “Il mercato è la somma di più gruppi eterogenei di compratori (segmenti). Le differenze nella domanda debbono essere perciò individuate e il programma di marketing deve adattarsi a tali differenze. I segmenti sono quindi diversi, ma ciascuno nel proprio interno è omogeneo negli aspetti più significativi e può essere raggiunto da un programma specifico di marketing. Mentre il marketing di massa aveva come fulcro la produzione e mirava in particolare ai vantaggi delle economie di scala, la segmentazione di mercato ha come obiettivo il cliente e le sue attese. Per soddisfarle l’impresa è pronta ad adattare il programma di marketing. […] Con la segmentazione l’impresa non fa produzione di massa, distribuzione di massa e pubblicità di massa, ma preferisce concentrarsi su una parte del mercato, acquisire una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti e soddisfare meglio i clienti.”

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segmentazione. Per esempio, all’inizio la birra Becks produceva la tipica birra amara (macro-segmento) e solo recentemente è stato introdotto nel mercato la Becks “poco amara” (micro-segmento), nella quale, oltre al gusto (componente di base nel prodotto o core component), sono cambiate anche altre variabili di marketing mix: il packaging component (una delle componenti del prodotto), il prezzo e la promozione (comunication mix).

1.1 – Il rapporto tra domanda e offerta: la macro-segmentazione

Per introdurre il concetto di macro-segmentazione non si può non utilizzare il

modello di Abell 34. L’obiettivo consiste di definire il mercato di riferimento dal punto di vista del cliente e non del produttore. A tale proposito così si esprime Drucker35:

“...è soltanto il cliente che determina il modo d’essere di un impresa, perché la sua disposizione a pagare per un bene o un servizio converte le risorse economiche in ricchezza e gli oggetti in merci. Ciò che il cliente compra e considera un valore non è mai semplicemente un prodotto. È sempre un’utilità, cioè quello che un prodotto o un servizio fa per lui in termini di soddisfazione dei bisogni.”

Dal testo sopracitato emergono alcuni chiarimenti riguardo le componenti della figura – 4 .

Il lato di destra della figura riguarda il mercato. All’interno del mercato vengono svolte le ricerche e l’analisi dei bisogni e dei desideri. I bisogni si manifestano attraverso la domanda dei potenziali clienti.

Il lato di sinistra esprime la volontà del sistema impresa di offrire qualcosa al mercato. Una volta analizzati i bisogni e i desideri e poi manifestati attraverso la domanda, l’impresa comincia la sua negoziazione mostrando al mercato ciò che dispone: la sua offerta. L’offerta è una miscela del know-what e del know-how. Il know-what è il prodotto/servizio e il know-how è la tecnologia utilizzata per la realizzazione di questi.

Segmentazione e diversificazione. La segmentazione descrive la varietà della domanda ossia la varietà dei bisogni espliciti ed impliciti dal mercato, mentre la diversificazione riguarda la varietà dell’offerta ossia l’aumento della gamma dei prodotti all’interno del portafoglio prodotti. Ma visto che la l’individuazione della domanda precede l’invenzione dell’offerta, o in altri termini, visto che l’individuazione del bisogno precede logicamente la risposta (il prodotto/servizio), possiamo affermare che è l’atto della segmentazione che stimola l’atto della diversificazione. Per maggiori dettagli si rinvia al paragrafo 1.2 di questo capitolo.

34 Abell D.F., Defining the business: The starting point of strategic planning, Englewood Cliffs, New Jersey, Prentice-Hall Inc, 1980. 35 Cfr. DRUCKER P.F., Il Management, L’individuo, La Società, FrancoAngeli, Milano, 2002, pag. 29-36.

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Settore produttivo e settore merceologico. dalla frase di Drucker – “il cliente con la

sua disponibilità a pagare converte gli oggetti in merci“– si evince che il settore produttivo è un compartimento di oggetti, invece il settore merceologico è un compartimento di merci. Perché? Per una semplice ragione: un oggetto per diventare merce deve avere una funzione d’uso, funzione questa determinata soltanto da chi è disponibile ad acquistare gli “oggetti”; il cliente. In sostanza, un oggetto diventa merce una volta appropriato dal cliente, il quale vede nell’oggetto (prodotto/servizio) un valore d’uso, o un valore simbolico.

Area Strategica D’affari (ASA) e Strategic Business Unit (SBU). La distinzione tra questi due termini è un dibattito senza fine nella letteratura aziendalistica, perciò ci è parso opportuno di tentare un semplice chiarimento. Secondo la nostra visione, lo schema interpretativo generale interno/esterno è utile a spiegare questa differenza. Nel nostro caso, l’interno è rappresentato dal lato sinistro della figura – 4, cioè dal sistema impresa. L’esterno, invece, è rappresentato dal mercato di riferimento il quale è l’unico contenitore di segmenti che noi andremo ad individuare e possibilmente a servire. Dal momento che si individua un segmento lo chiamiamo area strategica di affari (ASA); dal momento che si appropria (diventa interno) lo chiamiamo strategic business unit (SBU). L’appropriamento del segmento significa che siamo passati dalla potenza (individuare il segmento) all’atto (servire il segmento). In sintesi, una SBU è un’ASA individuata all’esterno e appropriata all’interno, ma solo con l’appropriazione (con l’atto del servire) la SBU diventa ASA.

Ricapitolando lo schema di Abell, definiremo il mercato di riferimento in relazione alle tre domande seguenti:

- quali sono i diversi gruppi di clienti potenzialmente interessati al prodotto/servizio (chi) ?;

Fonte: ns. elaborazione da Abell D.F.,1980

Figura 4 – La definizione del business

Diversificazione Segmentazione

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- quali sono i bisogni/desideri da soddisfare o le soluzioni da trovare (che cosa)?;

- quali sono le tecnologie esistenti o le attività in grado di fornire tali funzioni (come) ?

Occorre qui interpretare il termine “tecnologia” in senso ampio; esso fa riferimento al concetto di mezzi utilizzati (risorse) e ai diversi modi (capacità e competenze) di soddisfare i bisogni.

In conclusione, a livello di macro-segmentazione si considerano solo le caratteristiche generali, che sono generalmente sufficienti nei mercati business to business (B2B). Nel settore dei beni di consumo (mercato business to consumer o B2C), al contrario, è spesso necessario definire più precisamente le caratteristiche dei clienti, per esempio in base alle fasce d’età, ai vantaggi perseguiti, ai comportamenti d’acquisto o allo stile di vita. Di questo si occupa la micro-segmentazione.

1.2 – I segmenti dei segmenti: la micro-segmentazione

Gustosa, frizzante, rinfrescante; che cos’è? Si tratta di uno dei più importanti prodotti di un valore di milioni e milioni di euro. Prima di diventare un prodotto offerto largamente al mercato mondiale era un segmento che qualcheduno lo ha individuato. Quel segmento e prodotto insieme si chiama Coca-Cola. Detto così non è altro che un macro-segmento, ma anni dopo all’interno di questo macro-segmento altri segmenti sono fioriti come la coca-cola light, coca-cola zero, coca-cola classic. Si tratta di micro-segmenti.

L’individuazione dei segmenti di mercato è fortemente connesso con i concetti di

diversificazione, segmentazione e differenziazione. Data l’improtanza, prima di procedere con l’analisi della micro-segmentazione, sarebbe doveroso da parte nostra mettere in luce alcune sfumatture di questi concetti.

Macro-segmento Coca-cola

Micro-segmento Micro-segmento Micro-segmento

Coca-Cola Classic Coca-Cola Light Coca-Cola Zero

Figura 5 – Segmenti tra macro e micro

Fonte: ns. elaborazione

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Diversificazione. La diversificazione è un problema della produzione e del portafoglio prodotti, non del prodotto. Essa corrisponde a un allontanamento simultaneo sia dai prodotti che dai mercati tipici dell’impresa36.

«L’intensità di tale allontanamento dipende essenzialmente dal grado di novità dei prodotti che entrano in portafoglio:

a) Se si tratta di prodotti nuovi per l’impresa, ma già esistenti sul mercato (nella variante) la diversificazione è di carattere imitativo; l’imprenditore dovrà affrontare una concorrenza diretta sul mercato di destinazione, in relazione alle caratteristiche e al servizio offerti dal proprio prodotto rispetto a un prodotto simile che soddisfa lo stesso bisogno, in modo sostanzialmente analogo.

b) Se quelli che entrano nel portafoglio sono prodotti assolutamente nuovi sia per l’impresa che per il mercato (nel tipo o nella variante37) si è in presenza di diversificazione innovativa; l’imprenditore in questo caso lancia sul mercato un prodotto nuovo, che non incontra alcuna concorrenza diretta, venendosi a trovare in una situazione simile a quella del monopolista, anche se nella maggior parte dei casi quando cioè il prodotto risulta di successo, tale posizione ha una durata relativamente breve».38

In base al grado di correlazione dei nuovi prodotti (non ha importanza se nel tipo o nella variante, ovvero se sono assolutamente o relativamente nuovi) la diversificazione può essere di tipo correlata o conglomerale. Il grado di correlazione si determina dalla presenza di alcuni fattori come: l’utilizzazione e la condivisione delle stesse risorse, capacità e competenze; la condivisione dell’approccio strategico; la condivisione di attività e di procedure operative.

La diversificazione è correlata se i nuovi prodotti aggiunti nel portafoglio hanno un qualcosa in comune che, per quanto distinti, sono connessi. Un esempio sono i rasoi e i gel da barba della Gillete che, per quanto diversi, sono complementari.

La diversificazione è invece conglomerale se descrive l’espansione dell’impresa in settori sostanzialmente privi di alcun collegamento in cui essa è già insediata. Un esempio può essere la Virgin che possiede nel suo portafoglio bevande, cioccolatini, aerei, palestre, radio, ecc (in questo casa si tratterrebbe, in termini di strategie di copertura di mercato, della strategia di copertura totale).

Segmentazione. La segmentazione del mercato riguarda la diversità dei bisogni dei clienti potenziali che formano il mercato39. Il riconoscimento dell’esistenza di tale diversità spinge l’impresa ad adattare la propria offerta di prodotti/servizi a ciascun

36 Ansoff H.I., Strategia aziendale, Etas Kompass, Milano, 1968, pag. 142 (Corporate Strategy, Penguin

Books, Harmondsworth, 1965); Ansoff H.I., Strategia d’impresa, Franco Angeli, Milano, 1974, pag. 7 (Business Strategy, Penguin Books, Harmondsworth, 1969) 37 La differenza tra tipo e variante richiede una logica di matematica elementare. Il tipo rappresenta la classe o l’insieme, mentre la variante rappresenta un elemento della classe. Per esempio nella classe (insieme) dei libri di management possiamo trovare diverse varianti: management della produzione, marketing management, management delle operazioni, health management, ecc. 38 Panati G., Golinelli G, Tecnica economica industriale e commerciale, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1989, pag. 429 39 Smith W.R., Product differentiation and market segmentation as alternative strategies, Journal of Marketing, Vol. 21, luglio, 1956, pag. 3-8

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segmento d’interesse. Un segmento non è altro che un gruppo di clienti con preferenze omogenee all’interno del segmento ed eterogenee all’esterno di esso; di conseguenza ad un segmento corrisponde un unico prodotto/servizio. In altre parole “... la segmentazione richiede una dose di creatività, e la base scelta per segmentare il mercato è altrettanto importante quanto il maggiore o minore grado di omogeneità che si ritiene di accettare all’interno dei segmenti”40.

Generalmente, la segmentazione si definisce come un processo di disaggregazione del mercato, ma può essere utile interpretarla come un processo di aggregazione dei clienti41.

Differenziazione. Ora, per quanto riguarda la differenziazione dei prodotti

riprendiamo le parole del Maestro Giovanni Panati: “Qualora la novità non investa il tipo o la variante (riguardanti la diversificazione, come in precedenza chiarito), ma la marca... è d’obbligo parlare di differenziazione. La differenziazione del prodotto è quindi il l’atto dell’abilità dei produttori di far apparire tra loro differenti (fisicamente o psicologicamente) e quindi non perfettamente sostituibili prodotti appartenenti ad uno stesso mercato o ad un insieme grosso modo omogeneo, al punto che il mercato stesso ne risulta frammentato”.42 Nella stessa linea di condotta, un altro eminente studioso di nome Pasquale Saraceno si esprime come di seguito: “La differenziazione del prodotto dà luogo ad una segmentazione del mercato e non alla formazione di mercati diversi; e ciò perché la differenziazione lascia sussistere una interdipendenza rilevante fra la domanda dei diversi tipi di prodotti offerti”.43

Si rivela che la differenziazione è logicamente fondata sui caratteri distintivi della qualità. Le differenze possono essere realizzate sulle componenti del prodotto (core components, packaging components, service components) e non possono (e non devono) essere fine a se stesse. La differenza la percepisce solo il cliente perciò è necessario che venga comunicata nel modo giusto, secondo la prospettiva del cliente. Un venditore può pretendere di offrire un prodotto, secondo lui, differenziato rispetto alla concorrenza, ma se il cliente lo percepisce come analogo, allora la differenziazione non ha avuto successo.

Pertanto un prodotto è realmente differenziato rispetto ad un altro soltanto se presenta degli elementi che lo riconoscono distinguibile nel metro del giudizio del consumatore, indipendentemente dal fatto che le differenze di qualità siano reali o illusorie.44

Ne consegue che la differenziazione è un concetto saldamente legato, più che con il prodotto, con la marca dello stesso, o meglio ancora, con l’immagine della marca (brand image). Ciò che viene percepito all’esterno non è mai l’identità del prodotto, ma la sua immagine. Sono gli sforzi del marketing mix, in particolare del comunication mix, che determinano il grado di differenzazione del prodotto e del posizionamento dello stesso. Sul posizionamento si rinvia al paragrafo successivo.

In sintesi, un prodotto è differente se si percepisce come tale dal target dei soggetti osservatori (i clienti) rispetto ai prodotti concorrenti dello stesso genere, mentre è

40 Abell D.F., Hammond J.S, Marketing Strategico, Ipsoa, Milano, 1986, pag. 459. 41 Lambin J.J., Marketing Strategico e Operativo, McGraw-Hill, Milano, 2004, pag. 115, 116 42 Panati G., Franch M., 1987, op. cit., pag. 130-131. 43 Saraceno P., La produzione industriale, Libreria Universitaria, Venezia, 1970, pag. 152. 44Hay D.A., Morris D.j., Economia industriale, Il Mulino, Bologna, 1984, pag. 119.

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diverso se presenta oggettivamente peculiarità diverse (individuate nelle componenti di base, di packaging e di servizio) rispetto ai prodotti presenti nel portafoglio dell’impresa. Il primo aspetto (la differenziazione) è un fatto soggettivo, di percezione, è qualcosa che succede all’esterno nella mente di qualcuno e che deriva dagli sforzi promozionali dell’impresa; il secondo aspetto (la diversificazione) è un fatto oggettivo che succede all’interno del sistema impresa, frutto di investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) e/o di varie forme di acquisizione interna di business complementari, o meno, con quelli già esistenti nell’impresa.

Ritornando a noi, le figure seguenti aiuteranno la comprensione di ciò che è stato detto in tema di segmentazione e diversificazione. La prima figura tratta le strategie di copertura del mercato; la seconda si focalizza sulle variabili necessarie per la segmentazione in dettaglio.

Nella figura – 6 sono esposte le strategia di copertura di mercato mediante le quali i concetti di segmentazione, diversificazione e differenziazione risultano più comprensibili.

Strategia di nicchia. In questo caso l’impresa scegli di concentrare le risorse e le sue forze in un unico segmento ristretto (nicchia). Per esempio la Lexus (marca di lusso della Toyota) è una macchina che viene acquistata da quelle persone che godono di un certo reddito e che vogliono distinguersi dalla massa; loro comprano la macchina non solo per la sua funzionalità, ma anche e sopratutto per il suo prestigio. L’identificazione di questo bisogno (appartenenza del consumatore della Lexus ad un gruppo sociale “di prestigio”) da parte della Toyota, dà luogo ad un segmento ristretto. In questo caso la Toyota sfrutta la brand image della Lexus, e il fatto che le macchine giapponesi sono di alta qualità45, per far percepire il prodotto come differente rispetto alla concorrenza. La politica di marketing mix, in questo caso, è unica e riferita ad un unico segmento (approccio di marketing concentrato).

Strategia di specializzazione del prodotto. Il fatto che si specializza il prodotto significa che un unico prodotto debba trovare sbocco in diversi mercati. Nei suoi inizi la Fruit of the Loom (www.fruit.com) commercializzava T-shirt e altra biancheria intima soltanto per gli uomini.

45 Le prime iniziative verso la qualità totale e il controllo della qualità sono nate proprio in Giappone e questo comporta un affidabilità verso il mercato giapponese, ovvero un country of origin effect (in questo caso positivo). Questo non succede soltanto nel mercato degli automobili ma anche in altri settori; quando parliamo dei computer Toshiba lo facciamo a tutto rispetto, oppure dei prodotti della Sony e cosi via.

Figura 6 – Strategia di copertura del mercato

Fonte: ns. elaborazione

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Poi ha individuato una varietà di bisogni (di domanda) più ampia e ha cominciato a servire anche il mercato femminile e quello dei bambini (utilizzando per la segmentazione, prevalentemente, le variabili demografiche). Da un segmento sono diventati tre. Si ricordi che con questa strategia, siccome il prodotto è uguale (anche se spesso non del tutto), si applica ai diversi segmenti, più o meno, la stessa politica di marketing mix (approccio di marketing indifferenziato).

Strategia di specializzazione di mercato. Lo schema di questa strategia è lo stesso della strategia precedente, soltanto che si cambia il prodotto con il mercato. Specializzare il mercato vuol dire che nello stesso mercato l’impresa debba vendere una certa varietà di prodotti. Per esempio, la Decathlon offre un’ampia gamma di prodotti al mercato dello sport (comprendendo varie tipologie di sport).

Strategia di specializzazione selettiva. Nel caso di questa strategia il sistema impresa offre diversi prodotti per diversi mercati e la politica di marketing mix è specifica per ogni tipologia di segmento (approccio di marketing differenziato). Nella figura – 6 si nota che le automobili offerte dal Gruppo Fiat variano in base al lusso ricercato, che a sua volta dipende (nella sua percentuale maggiore) dalla disponibilità del reddito.

Strategia di copertura totale. Nel caso in cui un’impresa copre totalmente il mercato significa che la sua offerta comprende una miriade di prodotti, nel tipo e nella variante. Naturalmente che il mercato non si può coprire totalmente senza ricorrere all’outsourcing. Un’impresa come la Virgin – che possiede bevande, cioccolatini, aerei, palestre, radio, ecc. – non può essere specializzata in tutti questi prodotti. Di conseguenza queste imprese non sono produttori diretti delle merce, ma alla fine le merci ottengono il loro nome. Anche i supermercati che distribuiscono prodotti owen brand o private label (di marca propria o di marca commerciale) seguono la stessa strategia, anche se in un livello più contenuto rispetto all’esempio della Virgin.

La figura – 7 contiene le variabili necessarie per la segmentazione di mercato. Queste variabili devono essere considerate in un ottica sistemica per risultare utili durante il processo di segmentazione. Considerare ciascuna in modo isolato fà perdere di vista delle opportunità che il mercato offre.

Figura 7 – Variabili di micro-segmentazione

VARIABILI DEMOGRAFICHE

Età; sesso; gruppo etnico; reddito;

livello di istruzione; occupazione;

dimensione del nucleo familiare;

religione; classe sociale.

VARIABILI GEOGRAFICHE

Regione; area urbana, sub-

urbana e rurale; dimensione

dello stato, della contea, della

città; clima; infrastruttura.

VARIABILI PSICOGRAFICHE

Caratteri della personalità;

motivazioni; stili di vita.

VARIABILI COMPORTAMENTALI

Consumo in volume; utilizzo

finale; benefici ricercati; fedeltà

alla marca; sensibilità al prezzo;

atteggiamento; consapevolezza

del consumatore.

Fonte: ns. elaborazione

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Un esempio può chiarire meglio le idee. La Ferrari, prima di produrre le sue macchine, naturalmente fa un analisi dettagliata delle variabili di segmentazione (una vota analizzati i bisogni). Considerando le variabili demografiche, quale individuo compra probabilmente una Ferrari? Sono in generale quei individui che hanno un età non avanzata, di reddito alto e di una certa classe sociale. Sarebbe sufficiente l’analisi senza considerare le altre variabili? La risposta si deduce facilmente.

Riguardo alle variabili geografiche, probabilmente il marketing manager della Ferrari considera, l’area urbana, il clima, l’infrastruttura (ricordiamo che una macchina di questa specie non può camminare ovunque). In merito alle variabili psicografiche bisogna capire il carattere della persona acquirente (ad esempio un tipo sportivo), le sue motivazioni (per esempio avere il desiderio di essere veloce e dominare gli spazi) e lo stile di vita che può essere di tipo dinamico. Nelle variabili comportamentali non si possono non considerare la fedeltà alla marca e i benefici ricercati dal consumatore di una Ferrari.

Il Posizionamento

Per ogni sistema vitale, che opera nel contesto ambientale attuale caratterizzato

da un eccesso di offerta, le politiche di posizionamento dovrebbero diventare un fondamentale driver per la ricerca del vantaggio competitivo. In queste condizioni l’Organo di Governo di qualsiasi organizzazione, se vuole aumentare la vendita dei propri output, dovrà, non solo agire sulle politiche di pricing, ma considerare altri fattori che influenzano il comportamento d’acquisto del consumatore. Al fine di ridurre la complessità del contesto di riferimento “vanno affermandosi ambiti di predominio della componente immateriale di offerta che tendono ad indirizzare la concorrenza di interi comparti di business verso schemi di concorrenza nuovi, instabili e basati su fattori intangibili”46.

Il posizionamento, fase solitamente successiva a quella di segmentazione in quanto prescinde da un accurata selezione del target al quale ci si vuole rivolgere, rappresenta l’inizio del processo che porta alla costruzione del ed all’affermazione di uno dei fattori intangibili: il brand aziendale.47

Dal punto di vista storico è opportuno precisare che il termine posizionamento venne introdotto nel 1973 nella terminologia corrente di marketing, quando Al Ries e Jack Trout scrivendo sulla rivista Advertising Age ne diedero una prima definizione: “...positioning is not what you do with the product but what you do with the customer’s mind... and marketing is not a war of production, but a battle of perception” 48

I due autori sostengono che: «l’approccio di base del posizionamento non è di creare qualcosa di nuovo e differente, ma di manipolare ciò che è già presente nella mente, di riallacciarsi alle connessioni che già esistono. […] Il miglio approccio per

46 CORNIANI M., GNECCHI F., Bolle di domanda, comunità virtuali e potenziale di domanda, Symphonya. Emerging Issues in Management, Issue 2, 2003. 47 Cfr. BRONDONI S.M., La comunicazione integrata in eccesso di offerta, Il Sole 24 Ore, 1° ottobre 2002. 48RIES A., TROUT J., Positioning, New York, McGraw-hill, citato in PELLICELLI, Il marketing dei servizi, UTET, 1997, pag. 196.

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emergere dalla nostra società “sovracomunicata” è il messaggio iper-semplificato. Nella comunicazione meno è di più. Per far breccia nella testa è necessario affilare il messaggio. Bisogna abbandonare le ambiguità, semplificare il messaggio, e poi semplificarlo ancora un po’ se si vuole lasciare un’impressione duratura»49.

Questo spiega perché molte aziende si facciano ricordare non ricorrendo a dichiarazioni spesso enfatiche sulla qualità o esclusività dei loro prodotti, bensì attraverso un logo, di cui la gente ricorderà il motivo grafico e il colore, collegando subito l’immagine visiva all’azienda e ai suoi prodotti.

Kotler, a sua volta, definisce il posizionamento come: «l’atto di definizione dell’offerta e dell’immagine dell’impresa, in modo che essa occupi una posizione precisa e di riconosciuto valore nella mente del cliente target»50

Kotler parla di una componente specifica del marketing: l’immagine di un’azienda. Quest’ultima può essere intesa come «la manifestazione percepibile di un complesso di elementi interni ed esterni dell’azienda, che nel loro insieme concorrono alla formazione dell’idea che si ha di tale azienda»51.

In altre parole l’immagine rappresenta la sintesi, attraverso gli schemi e le categorie, delle interazioni sistemiche percepite dal consumatore e da tutti gli altri sistemi vitali che a vario titolo entrano in contatto con l’azienda.

49 RIES A., TROUT J., Positioning: The battle for Your Mind, (trad. It. La conquista della posizione vincente, McGraw-Hill, Milano), 1988. 50 KOTLER P. (2003), Marketing Management, XI ed., Upper Saddle River, Prentice Hall. 51 CHERUBINI S., Marketing dei servizi, Franco Angeli, 1996, pag 276.

Figura 8 – La percezione dell’immagine

Fonte: ns. elaborazione

pag. 28

Attraverso il posizionamento l’azienda mira a definire una precisa e distinta immagine nella mente del cliente, differenziandosi rispetto ai concorrenti utilizzando come strumento la leva comunicazionale. La differenza sostanziale tra personalità identità ed immagine consiste nel fatto che la personalità è ciò che in realtà siamo, l’identità è come vogliamo essere percepiti, l’immagine è come veniamo effettivamente percepiti. Quindi, in un determinato momento e spazio, la nostra personalità (struttura) comunica un’identità (sistema) che varia al variare del contesto. L’identità comunicata dall’interno viene trasformata in un’immagine percepita dall’esterno. Può capitare che personalità – identità – immagine possano coincidere totalmente, ma questa è una distribuzione di Poisson o una probabilità di eventi rari.

Possiamo, pertanto, considerare il posizionamento come una strategia logica ed organizzata che mira ad individuare uno spazio vuoto nella mente dei consumatori attuali e potenziali. Dal punto di vista teorico è possibili distinguere due livelli di posizionamento:

posizionamento oggettivo: percezione che i clienti hanno del prodotto e dello stesso rispetto ai prodotti dei competitors;

posizionamento soggettivo: posizione strategica definita dall’Organo di Governo del sistema vitale in relazione alle peculiarità strutturali.

Esistono diverse strategie di posizionamento e tutte sono collegate al concetto di differenziazione (del prodotto) e di percezione (positiva) a livello cognitivo da parte del consumatore. Nello specifico nel 2005 Youngme Moon, in un articolo di HBR52, ha introdotto tre diverse strategie di posizionamento:

posizionamento reverse. Questa strategia, da un lato, tende ad eliminare alcune delle peculiarità classiche (consegna, consulenza post vendita), dall’altro, aggiunge nuove peculiarità di livello alto. Un esempio di posizionamento reverse è rappresentato da IKEA che, ad esempio, non si occupa della consegna dei prodotti, ma ha aggiunto altri elementi, quali baby parking, caffè, giocattoli, ecc.. Il posizionamento reverse è consigliato alle imprese che operano nel settore dei servizi.

posizionamento breakaway. In questo caso, la strategia dell’OdG è quella di creare confusione nella mente del consumatore, associando il prodotto ad una categoria radicalmente differente. In sostanza questa tipologia di posizionamento si basa sull’asimmetria informativa la quale influisce la percezione e la categorizzazione dei prodotti da parte dei consumatori. Per esempio, la Swatch non è più nella categoria degli Orologi Svizzeri, ma in quella degli Accessori Fashion. Tale posizionamento è adatto per i sistemi aziendali che vendono beni confezionati.

posizionamento stealth. Quest’ultima strategia fa perno sull’alterazione della reale natura dell’output del sistema vitale, cioè si nasconde la vera natura del prodotto. Il prodotto, nella fase introduttiva del suo ciclo di vita, viene posizionato enfatizzando funzioni diverse da quelle per cui era stato progettato. Per esempio, il robot AIBO della SONY è stato posizionato come un amabile animale domestico. Ciò ha spostato l’attenzione del consumatore via da limitazioni importanti come l’aiutante della famiglia. Apparentemente

52 Moon Y., “Break free from the product life cycle”, in Harvard Business Review, maggio, 2005.

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ha persino trasformato gli anziani in pionieri della tecnologia. Suggerito alle aziende tecnologiche.

In generale, il posizionamento prevede le seguenti fasi:

1. individuazione consumatori, target. È indispensabile aver segmentato il mercato bersaglio, insieme alle necessità del mercato potenziale.

2. Identificazione della posizione as-is nella mente dei consumatori. Occorre determinare il posto che il sistema vitale occupa dell’attuale mappa di preferenza della clientela.

3. Diagnosi della situazione attuale ed eventuale riposizionamento aziendale per raggiungere la posizione to-be.

4. Pianificazione del cambiamento da attuare al fine di raggiungere il posizionamento desiderato.

5. Elaborazione della strategia di ri-posizionamento da parte del soggetto decisore. Possono essere adottate due tipologie di strategie:

a. strategie conservative, nel caso in cui si voglia mantenere e rinforzare la posizione esistente;

b. strategie di riposizionamento, nel caso in cui si voglia modificare la percezione che il cliente ha dei prodotti aziendali.

In ultima analisi, occorre soffermarsi sui metodi statistici di posizionamento. Al

fine di mostrare, graficamente, come il mercato percepisce le singole aziende è necessario fare ricorso alle mappe di posizionamento. Queste consentono di rappresentare il posizionamento utilizzando la prospettiva del mercato bersaglio e non quella dell’OdG aziendale. Le tecniche maggiormente utilizzate sono tre:

o analisi discriminante. Con questa analisi, attraverso l’attribuzione di punteggi da parte dei consumatori, vengono individuati i principali attributi del prodotto. Quest’analisi è utile per la classificazione dei consumatori in gruppi o classi in base alle loro considerazioni espresse. In questo modo posizionarsi risulta più facile, date le “coordinate” dei consumatori.

o analisi delle corrispondenze. Consente di costruire mappe di percezione a partire da semplici giudizi di presenza/assenza sulle peculiarità dei prodotti. Questa è una modalità dell’analisi fattoriale utilizzata solo per dati qualitativi (analisi delle corrispondenze semplice) o per dati qualitativi e quantitativi insieme (analisi delle corrispondenze multiple). In effetti è una tecnica statistica che permette di ottenere una riduzione della complessità del numero di fattori che spiegano un fenomeno. Si propone quindi di determinare un certo numero di variabili “latenti” più ristretto e riassuntivo rispetto al numero di variabili di partenza. In altre parole si tratta di una sorta di ricerca della parte comune delle rilevazioni fatte.

o multidimensional scaling. È una tecnica di analisi statistica usata spesso per mostrare graficamente le differenze o somiglianze tra elementi di un insieme, nel nostro caso di prodotti o brand appartenenti nella stessa classe (tipologia). In questo caso la costruzione della mappe percettive è realizzata attraverso stime di affinità biunivoca assegnate agli output o brand da posizionare.

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Il Marketing Plan

I sistemi d’imprese isolati sono astrazioni, poiché le loro proprietà sono definibili

ed osservabili solo mediante le loro interazioni con gli altri sistemi presenti nel contesto di riferimento.

A tal fine l’impresa ha la necessità e l’intenzione di interagire con i principali stakeholders. È necessario, quindi, formalizzare le decisioni che consentono al management di raggiungere gli obiettivi prefissati. Lo strumento che consente la traduzione delle strategie di marketing in azioni operative è il marketing plan. Nello specifico, quest’ultimo segue sempre la progettazione, la promozione e la gestione di una nuova idea (nuovo sistema aziendale, nuovo prodotto/servizio, nuovo mercato, ecc.). La forma scritta del piano di marketing è essenziale in quanto consente, favorendo l’allocazione delle risorse e l’attribuzione delle responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi prefissati, una sua agevole condivisione.

Un piano di marketing, indipendentemente dalle dimensioni aziendali, dal settore in cui opera l’impresa e del prodotto/servizio offerto, è strutturato nelle seguenti fasi: 1. indice dei contenuti. Per facilitare i valutatori nella consultazione dei punti

salienti del piano di marketing è necessario redigere l’indice dei contenuti. 2. Excutive summary. In questa sezione viene riportata un descrizione sinottica del

progetto finalizzata ad enfatizzare i punti fondamentali del piano. 3. Descrizione della situazione as-is. Questa sezione dovrà contenere sia la

descrizione dello status quo delle strategie di marketing del sistema aziendale, sia una descrizione dettagliata del contesto di marketing.

4. Analisi SWOT53. Con l’analisi SWOT, tenendo ben presente quanto riportato nella sezione precedente, saranno esplicitati i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats). In base a queste conoscenze individuate attraverso questa analisi si delineano due tipi di strategie: - Strategia Dedotta: in questa ottica l’impresa si propone di adattare nel miglior

modo possibile le risorse e competenze con le opportunità dell’ambiente. Si tratta perciò di una strategia adattiva di un marketing strategico di risposta.

- Strategia Costruita: questa strategia cerca di sfruttare al massimo dalle risorse e competenze dell’impresa cercando di costruirsi delle opportunità che permettano di generare profitti. E’ questo il caso della logica del marketing strategico della creazione dell’offerta.

53 L’analisi SWOT è una tecnica sviluppata da più di 50 anni come supporto alla definizione di

strategie aziendali in contesti caratterizzati da incertezza e forte competitività. Lo scopo dell’analisi è

quello di definire le opportunità di sviluppo di un sistema aziendale, che derivano da una

valorizzazione dei punti di forza e da un contenimento dei punti di debolezza alla luce del quadro di

opportunità e rischi che deriva, di norma, dalla congiuntura esterna.

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Figura 9 - Matrice analisi SWOT

Fonte: ns. elaborazione. 5. Obiettivi del piano. Si enumerano in modo chiaro e sistematico gli obiettivi che il

sistema aziendale intende perseguire per assicurarsi lo sviluppo a medio e lungo termine.

6. Strategie di marketing. La capacità del sistema aziendale di perseguire vantaggi strategici con elevati volumi di vendita e significative quote di mercato, come più volte ricordato, può essere realizzata attraverso adeguate scelte comportamentali. Tra le più significative si ricorda:

la posizione di leader del mercato caratterizzata da una elevata quota di mercato;

la posizione di nicchia, cioè la scelta di un particolare segmento di mercato basato generalmente su prodotti innovativi;

la posizione di sfidante per conseguire una posizione preminente. In quel che segue analizzeremo le strategie ritenute idonee nelle diverse fasi di vita del prodotto.

I. Le strategie nella fase di introduzione54. Vengono riepilogate, di seguito, le quatto maggiori strategie, ottenute incrociando le politiche di price e di promotion.

a. Scrematura rapida. Con questa strategia, che prevede elevati livelli nelle politiche di prezzo e di promozione, l’OdG (Organo di Governo) decide di immettere sul mercato un prodotto/servizio. I vantaggi che il sistema aziendale potrebbe perseguire attraverso questa strategie sono essenzialmente di natura finanziaria. Infatti, la scrematura rapida consente di recuperare velocemente i capitali investiti e di destinarli in altre attività.

54 La fase di introduzione ha inizio quando il prodotto/servizio viene immesso sul mercato per essere acquistato dalla clientela potenziale. Nel lanciare un nuovo prodotto/servizio si possono stabilire livelli più o meno alti in riferimento alle variabili del marketing mix (prodotto, prezzo, distribuzione, promozione.).

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b. Penetrazione rapida. Questa strategie si estrinseca nell’adottare, da un lato, un prezzo basso e, dall’altro, elevati livelli nelle politiche di promozione al fine di lanciare un prodotto/servizio. La penetrazione rapida richiede ingenti investimenti iniziali che verranno recuperati nel medio/lungo periodo.

c. Scrematura lenta. Tale strategia prevede elevati prezzi e un livello di promozione basso. La scrematura lenta può essere adottata quando la clientela potenziale, conoscendo le peculiarità dell’output aziendale, è disposta a pagare un premium price e nel caso non vi sia ancora un elevata pressione da parte dei competitors.

d. Penetrazione lenta. In quest’ultimo caso il prodotto/servizio offerto viene immesso sul mercato ad un prezzo e con un livello promozionale basso. Questa strategia consente al sistema aziendale di contenere i costi e risulta fattibile solo se i consumatori sono sensibili alle variazione del prezzo. Figura 10 - Matrice price – promotion

Fonte: ns. elaborazione.

II. Le strategie nella fase di sviluppo. Il sistema aziendale in questa fase, caratterizzata dalla forte attività di vendita, dovrà adottare strategie tese a favorire, nel più lungo tempo possibile, lo sviluppo dell’output (strategie che mirano ad un miglioramento qualitativo del prodotto/servizio, strategie che consentano di migliorare la rete distributiva, strategie che consentano di rivedere il prezzo al ribasso, ecc.).

III. Le strategie nella fase di maturità. Le strategie che l’Organo di Governo potrà perseguire in questa fase sono:

a. modifiche del prodotto (miglioramento della qualità dell’output aziendale); b. modifiche tese allo sviluppo del mercato (intervenire sul processo che

determina le quantità di prodotto consumato, intervenire sulle variabili che influenzano il numero degli utilizzatori).

IV. Le strategie nella fase del declino. In questa fase il soggetto decisore, prima di eliminare il prodotto/servizio offerto, può perseguire le seguenti strategie:

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c. identificazione dei prodotti deboli ed analisi degli stessi al fine di decidere le variazioni strategiche da adottare;

d. elaborazione di idonee strategie di declino. 7. Piano d’azione. In questa sezione viene spiegato come le strategie di

marketing devono essere trasformate in specifici piani d’azione che rispondono alle seguenti domande:

a. Che cosa fare? b. Quando? c. Chi è responsabile?

8. Budget. Viene presentato, analiticamente, il budget di marketing, enfatizzando i ricavi ed i costi attesi. A tal fine può essere utile utilizzare la break even analysis per individuare il punto in cui viene raggiunto l’equilibrio economico (ricavo di equilibrio).

9. Controllo. Una volta elaborato il marketing plan è opportuno avviare i controlli finalizzati al monitoraggio delle attività che consentiranno al sistema aziendale di raggiungere gli obiettivi stabiliti nel piano.

Concludendo è utile ricordare che l’OdG può elaborare diverse tipologie di piani di marketing:

piano di marketing per marca;

piano di marketing per categoria di prodotto;

piano di marketing per aree geografiche;

piano di marketing per segmento;

piano di marketing per cliente;

ecc.

In un’organizzazione orientata al mercato, il marketing strategico consiste nell’orientare l’attività imprenditoriale verso mercati e/o settori che apportano crescita e redditività.

L’adozione di un marketing plan deve portare, quindi, il sistema aziendale ad una migliore interazione con i principali stakeholders presenti nel contesto di riferimento, al fine di raggiungere gli obiettivi identificati e aumentare le probabilità di sopravvivenza dell’azienda.

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La Customer Satisfaction

Le organizzazioni, oggi, si propongono, tra i tanti obiettivi, quello di migliorare le

proprie capacità di ascolto ed intercettazione dei bisogni e di valutazione della qualità percepita da parte dei clienti e dei sovra sistemi di riferimento. Alla base di quest’idea c’è la consapevolezza che curare il cliente genera molto più valore che interessarsi all’attività di vendita corrente.55

Uno degli strumenti più utilizzati a questo scopo – diretto a conoscere, nella maniera più oggettiva e rappresentativa possibile, la valutazione e, quindi, il grado di soddisfazione della propria clientela riguardo ai prodotti/servizi offerti, al fine di poter individuare eventuali punti critici, pianificare le azioni di miglioramento e stabilire i futuri obiettivi in maniera più mirata alle esigenze del cliente – è la misurazione della soddisfazione dell’utenza, più comunemente definita come indagine di customer satisfaction.

In effetti, il vantaggio competitivo non deriva tanto dalla gestione delle risorse fisiche e finanziarie, quanto dalla capacità dell’azienda di allineare beni immateriali, come le conoscenze, la R&S e l’informatica, alle richieste dei clienti.56

Quali sono i clienti dell’impresa?

1.1. – Tipologie di clienti tra prospettiva interna ed esterna

Dobbiamo distinguere tra i clienti interni (il personale) e quelli esterni, in quanto la soddisfazione dei clienti esterni dipende direttamente dalla soddisfazione dei clienti interni.

Il cliente interno è la persona che riceve, utilizza per il proprio lavoro, il risultato del lavoro di un altro dipendente dell’azienda che ne risulta perciò un “fornitore”. Qualunque sia il risultato di un lavoro (un pezzo, un documento, un’informazione, un oggetto) quello è un servizio, e chi riceve quel servizio è un cliente.

Un’impresa (ed ogni altra istituzione) ha una sola vera risorsa: il personale. Svolge con successo il suo compito se rende produttive le risorse umane. Quello di organizzare il lavoro secondo la sua logica interna è soltanto il primo passo. Il secondo e più difficile è rendere il lavoro appropriato agli esseri umani, la cui logica è radicalmente differente dalla logica del lavoro. Per rendere produttivo il lavoratore è necessario considerare l’essere umano come un organismo che ha peculiari qualità,

55 Cfr. BERENSCHOT, Modelli di management. Idee e strumenti, Pearson Education Italia S.r.l., 2005, pag. 62: “Se si riesce ad identificare correttamente i clienti più preziosi, acquisirli, mantenerli e far crescere i loro acquisti, si potrà generare più valore rispetto ad un approccio one- size-fits-all (una taglia per tutti)”. Ed ancora, si veda F. BARBARINO, Sistemi avanzati di gestione aziendale, IPSOA, 2006, pag. 94: “È da tempo risaputo che acquisire un cliente è molto più costoso che mantenerne uno già attivo: una constatazione valida per qualsiasi tipo di azienda e in qualunque settore di attività. La relazione con il cliente va seguita con cura, cementata in tutti i modi possibili: per le imprese che utilizzano internet per fare marketing, commercio elettronico, assistenza, è una regola ancora più importante.” 56 Cfr. KAPLAN R.S.,NORTON D.P. (2006), «Come attuare una nuova strategia senza danneggiare la propria azienda», Harvard Business Review, novembre, p.66.

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abilità, limiti fisiologici e psicologici, e un modo di agire specifico.57 Queste caratteristiche ci insegnano che l’essere umano è l’essere dei bisogni, e i bisogni devono essere soddisfati.

Un personale (l’unica vera risorsa dell’impresa) con bisogni insoddisfatti è meno produttivo in termini di efficacia ed efficienza. Ma questa insoddisfazione si rispecchia al di là dei confini d’impresa colpendo direttamente i clienti esterni; dopo rientra nei confini iniziali per colpire, non più i clienti (in quanto “non esistono” più), ma l’impresa stessa. Riassumiamo il ciclo con lo schema del Triple Satisfaction (figura 11).

Dallo schema del triple satisfaction vediamo che la soddisfazione dell’impresa dipende dalla soddisfazione dei clienti interni (i lavoratori) ed esterni. La soddisfazione dell’impresa non è altro che la creazione di valore, che si basa sui risultati del lungo periodo.

I risultati non si trovano dentro i confini dell’organizzazione aziendale, ma fuori di essa, laddove sono i clienti. La creazione di valore dell’impresa è frutto della creazione di valore per i clienti. La creazione di valore di quest’ ultimi dipende da un’offerta di valore da parte dell’impresa, che consiste nella soddisfazione delle esigenze dei clienti. Loro non comprano ciò che l’azienda vende, ma comprano ciò che è utile, ciò che è un valore, in altri termini ciò che il prodotto/servizio fa per loro. Il valore offerto, come si nota dalla figura 11, dipende fortemente dall’organizzazione interna del capitale umano da parte del sistema impresa (dal momento che il servizio ai clienti esterni viene offerto dai clienti interni).

L’organizzazione interna del capitale umano è una parte importante della gestione. Qual è la struttura organizzativa giusta ? Non esiste. Esiste solo la struttura

57 Drucker P.F., 2002, op. cit.

Figura 11 – La soddisfazione tripla

Fonte: ns. elaborazione.

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organizzativa più adatta al compito. Qual è il modo corretto per dirigere il personale ? Le persone si guidano, non si dirigono. L’obiettivo è rendere produttivi i punti di forza e le conoscenze, ossia il know-how di ciascun individuo, cioè orientare le risorse umane su quello che sanno fare e non su quello che vogliono fare. In altri termini il personale interno deve fare le cose giuste; questo vuol dire essere efficace. Ma le cose giuste devono essere fatte anche in modo giusto; questo vuol dire essere efficiente. Per diventare efficace ed efficiente bisogna applicare le conoscenze in pratica. Ciò che serve è la competenza, sono gli esercizi. La formula è “training, training e ancora training”. Per esercitarsi bisogna assumere dei compiti e delle responsabilità. Bisogna avere un margine di discrezionalità. Questo modo di agire se lo può consentire soltanto un leader e non un capo. La differenza tra i due è che il capo applica la direzione autoritaria, invece il leader applica la direzione partecipativa. Una definizione valida di leadership emerge dalle parole di Indira Gandhi che, a tale proposito, si esprime in questo modo: “Penso che una volta leadership significasse imporsi, oggi è possedere le qualità necessarie per meritare la stima delle persone58”

Una volta chiarito chi è il cliente interno e qual è la sua importanza, non ci rimane altro che rivolgere il focus verso il mercato, i clienti esterni.

L’impresa, in quanto sistema aperto ed orientato alla sopravvivenza, si prefigge l’obiettivo del mantenimento di un equilibrio dinamico con l’ambiente, nell’ambito di questo, con il mercato di vendita finale od intermedio che sia. Questo significa che siamo in presenza di una clientela a catena che comprende clienti diretti ed indiretti. All’interno della catena di fornitura (supply chain), la quale comincia con il primo fornitore e finisce con il cliente finale, si collocano clienti distributori, clienti prescrittori e clienti finali (consumatori).

I. Il cliente finale

L’attività non è definita dal nome, dallo statuto, dall’atto costitutivo o dall’ aspetto sociale dell’impresa, ma piuttosto dal desiderio del consumatore soddisfatto nel momento (e dopo) dell’acquisto di un bene o un servizio. Nel cliente si rispecchia la missione dell’impresa. La missione riflette tanto i valori quanto gli obiettivi che guidano l’attività del management nella ricerca della soddisfazione del cliente e del massimo profitto impresale. All’interrogativo - Qual è l’attività dell’impresa? - , quindi, è possibile dare una risposta solo guardando l’attività stessa dall’esterno, dal punto di vista del cliente e del mercato.

Ciò che il consumatore vede, pensa, crede e desidera in qualsiasi momento deve essere accettato dal management come un fatto obiettivo. Il consumatore non attribuisce molta importanza ad un determinato prodotto o servizio e sicuramente nemmeno ad una determinata impresa, il consumatore vuole soltanto sapere che cosa sarà per lui domani il prodotto o il sevizio. Ogni serio tentativo di stabilire l’attività deve iniziare dal consumatore, dalle sue realtà, il suo comportamento, le sue aspettative ed i suoi valori.

58 Cosi citato in: RE R., Leader di te stesso, MONDADORI, Milano, 2006, pag.22

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II. Il cliente distributore

Il rapporto tra produttori e distributori è stato per lungo tempo quello di partner con interessi comuni. In seguito alla crescita di potere della grande distribuzione nel settore dei beni di largo consumo, questi rapporti sono diventati ambigui: si tratta di concorrenti, di partner o di clienti intermediari? Oggigiorno il potere di mercato59 è passato dai produttori ai distributori. In altri termini è il produttore, per quanto sia potente, ad avere bisogno della grande distribuzione, e non viceversa, anche se lo sviluppo del marketing diretto e del commercio elettronico rappresentano una valida alternativa in particolare per il produttore, che può cosi scavalcare il distributore. Il trade marketing consiste nell’applicare l’approccio di marketing ai distributori, considerati non come intermediari, bensì come clienti a tutti gli effetti.

III. I clienti prescrittori

In molti mercati, oltre agli attori tradizionali (clienti, distributori e concorrenti), vi sono altri soggetti e organizzazioni che possono esercitare un ruolo importante consigliando, raccomandando oppure prescrivendo marche di società, prodotti o servizi ai clienti e/o ai distributori. L’esempio più evidente è quello del mercato dei prodotti farmaceutici, nel quale i medici hanno un influenza determinante sul successo di un farmaco. Essi sono d’altronde considerati dalle aziende farmaceutiche come gli attori più importanti nel mercato, anche se non sono né acquirenti, né utenti, né paganti. Un’impresa orientata al prescrittore identifica gli opinion leader e i prescrittori chiave, valuta la natura e l’importanza del ruolo che esercitano nel processo di formazione della decisione d’acquisto e mette a punto una strategia di comunicazione per informarli, motivarli e per ottenere il loro appoggio. Perciò i clienti prescrittori sono una fonte determinante dell’offerta di valore ai clienti finali.

1.2. – La customer satisfaction attraverso la Customer Relationship Management (CRM)

L’impresa vede sempre il suo successo attraverso gli occhi del cliente. Per questo

fondamentale motivo deve soddisfarlo, ma prima ancora, deve trovare gli strumenti necessari per la soddisfazione del cliente.

All’interno delle imprese, il concetto d’attenzione per il cliente si perde quasi nel tempo; capire a quale target di clientela ci si deve rivolgere, studiare le tecniche migliori per attirare potenziali acquirenti e, elemento ancora più importante, conservare la loro fedeltà nel tempo, sono i temi centrali della CRM60.

L’obiettivo dei progetti di CRM è proprio quello di creare un rapporto profittevole a lungo termine con la clientela per mezzo di tre attività congiunte: creare, costruire e curare la relazione con il cliente61.

59 Il mercato di cui si parla è quello business to business, ed è soltanto in questo mercato che il potere si è trasferito al distributore, perchè in realtà il “re” indiscutibile del mercato è il cliente finale, ma in tal caso si tratta del mercato business to consumer dove il potere è centralizzato nelle mani del consumatore, in quanto libero di scegliere. 60 Cfr. il sito www.crmassociation.org 61 Cfr. il sito www.fedexemea.skillport.com

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Un ottimo sistema CRM comprende una serie d’infrastrutture sia a livello di front-office (nella relazione con l'esterno vera e propria), sia a livello di back-office, per analizzare e misurare i dati e i risultati raggiunti.

Per quanto riguarda gli strumenti a disposizione delle singole imprese al fine di instaurare con il cliente un rapporto individuale ci sono una serie di modalità diverse:

Chat on-line;

Forum di discussione;

Una banca dati contenente le risposte alle domande più frequentemente poste dagli utenti (F AQ);

Un indirizzo e-mail a cui rivolgersi;

Servizi informativi forniti anche su altri strumenti (come SMS da inviare al proprio cellulare, o l'utilizzo della tecnologia WAP);

Call Center.

In sintesi, l’approccio CRM prevede l’identificazione dei clienti dell’impresa; la classificazione dei clienti in gruppi omogenei; lo sviluppo di sistemi interattivi con i clienti; la personalizzazione della relazione e dell’offerta di prodotti e servizi.

Lo scopo è di comprendere il comportamento dei clienti e ad intervenire su di esso. Questo permette di costruire relazioni individuali con i singoli clienti, elevando in tal modo il più possibile il loro livello di soddisfazione e conseguentemente la loro lealtà all'azienda. A tale scopo, le aziende tendono ad attuare sempre con maggiore insistenza strategie di marketing one to one incentrate sul rapporto individuale e personalizzato tra azienda e cliente.

Un ottimo sistema CRM comprende una serie d’infrastrutture sia a livello di front-office (nella relazione con l'esterno vera e propria), sia a livello di back-office, per analizzare e misurare i dati e i risultati raggiunti. Prima dell’analisi dei dati si ha l’acquisizione degli stessi e il reparto più importante è quello di customer service.

La customer service è il reparto che funge da interfaccia verso il cliente nell’erogazione dei servizi. Il cliente bada sia alle caratteristiche del prodotto/servizio che alle modalità d'erogazione dell'offerta.

Un customer-service efficace/efficiente deve disporre di un data-base integrato ove confluiscono le informazioni provenienti dagli altri reparti. La qualità del customer service offerto dall'azienda è importante per soddisfare i clienti, per acquisirne di nuovi, ed è un ottimo strumento promozionale.

Il servizio alla clientela, quindi, non può essere trascurato: avere le risposte giuste alle domande dei clienti e le soluzioni più adatte ai loro problemi diventa fondamentale per poter offrire un servizio di qualità.

Oggi, la customer-service on-line offre un’opportunità unica ed interessante per rispondere prontamente a tale esigenza. Il vantaggio economico di un buon programma di customer-service via internet non proviene solo dai risparmi nelle attività di comunicazione e distribuzione nei servizi, ma anche, e soprattutto, dall'incremento della fedeltà dei clienti. Attraverso la customer-service on line si ottengono contemporaneamente due vantaggi: l’incremento del servizio e della soddisfazione del cliente e, la diminuzione dei costi d'assistenza.

Da un lato il cliente considera l’interattività come una possibilità in più per

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ottenere un servizio personalizzato, dall’altro l'impresa ottiene un risparmio in quanto riduce le attività d’assistenza e supporto svolte direttamente (via telefono o fax) dal proprio personale interno.

La customer-service, inoltre si occupa anche di62:

Servizio pre-vendita Tra i servizi pre-vendita, i più noti sono il servizio di preventivo, dove l’azienda

deve essere in grado d'illustrare la quantità di risorse finanziarie richieste ogni qualvolta sia necessario, e il servizio di informazione, dove la base della decisione è l’informazione. Non è detto però che avere tante informazioni aiuti a migliorare il processo decisionale. L’azienda deve essere in grado di fornire e rendere disponibile le informazioni utili al cliente.

Servizio post-vendita Questi servizi erogati dopo il processo d’acquisto servono per aumentare e

sondare la soddisfazione dei clienti. La realizzazione di questi servizi si basa su linee telefoniche dedicate, “numeri verdi”, sistemi di risposta via fax e l’utilizzo d'Internet.

Il servizio post-vendita può essere estremamente utile consentendo contemporaneamente una notevole riduzione dei costi di promozione dei nuovi prodotti in quanto l’azienda può contattare periodicamente tutta la clientela attiva, differenziando i contenuti in funzione degli interessi e delle priorità dei singoli gruppi di clienti attraverso la realizzazione di newsletter informative, realizzando ciò a costi ridotti.

Gestione dei reclami Nonostante tutti gli sforzi realizzati dall'azienda per prevenire i problemi, questi

sono inevitabili. Ma considerare una manifestazione di insoddisfazione da parte di uno o più clienti, ovvero uno o più reclami, come un’esperienza negativa potrebbe essere dannoso per l'impresa, in quanto se gestito bene può diventare un utile asset.

“Gestire correttamente l'insoddisfazione o il reclamo di un consumatore può decisamente aumentare la soddisfazione di quest’ultimo”63.

Molto spesso l’insoddisfazione non è espressa in forma spontanea dal cliente. Infatti, solamente il quattro per cento dei clienti insoddisfatti alla fine reclamano. Quindi, l’assenza dei reclami non significa assolutamente che la clientela sia soddisfatta; questi la riversano nella scelta successiva di acquisto decidendo per un’altra offerta, ed inoltre raccontano la loro insoddisfazione ad altre persone, fatto estremamente negativo per l’immagine aziendale. Per questo, l’azienda deve riconoscere sempre di più l'importanza dei feedback e saperli gestire in modo proficuo, variando l’offerta in base alle esigenze della clientela.

1.3. – Misurare la soddisfazione

Ogni anno le imprese perdono dal 10% al 30% della propria clientela senza sapere quali, quando e, soprattutto, perché ciò è avvenuto. Per avere una visione del

62 Cfr. il sito www.managementhelp.org/customersatisfy 63 Cfr. The TQM Magazine (2000), MCB UP Ltd,vol.12, n.6, pag.389-394

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fenomeno si considerano le seguenti statistiche64: il 30% delle vendite presenta dei problemi;

solamente 4% dei consumatori reclamano;

in media un cliente insoddisfatto comunica la propria esperienza a 7-8 persone (passaparola negativo);

all’inverso, il 97% dei clienti insoddisfatti tende a non reclamare;

Quando il cliente presenta reclamo e ottiene una risposta soddisfacente, il suo tasso di riacquisto sale al 91% (da minaccia a opportunità);

Il costo per acquisire nuovi clienti è cinque/sette volte superiori a quello per trattenere i clienti attuali.

Risulta, quindi, evidente l’importanza della rilevazione della customer satisfaction.

In primo luogo le aziende hanno la necessità di capire su quali elementi della loro offerta, prodotto e servizi, devono intervenire per sviluppare e mantenere un vantaggio competitivo sostenibile sui propri concorrenti; ciò è possibile soltanto attraverso un ascolto sempre più attento della “voce del cliente”, che è la fonte più diretta di suggerimenti e indicazioni.

In secondo luogo, esiste una ragione di tipo economico che suggerisce di salvaguardare la risorsa rappresentata dalla clientela aziendale. Si tratta del danno derivante dalla perdita di un cliente acquisito, che è assai più rilevante della semplice perdita di fatturato (si calcola che i costi di ricerca e acquisizione di un nuovo cliente siano in media cinque/sette volte rispetto al costo di mantenimento di un cliente acquisito e fedele). Sostituire un cliente perso con uno nuovo comporta, infatti, investimenti promozionali che spesso non offrono alcuna garanzia di successo.

Per le aziende risulta molto più vantaggioso investire in fedeltà, creando perciò le condizioni per un rapporto duraturo con il cliente. Le aziende possono trarre utili indicazioni dai risultati delle indagini e circa l’opportunità di apportare miglioramenti dei propri prodotti, servizi o processi. Dalle indagini possono emergere indizi su:

Soddisfazione, si ha quando le aspettative sono state raggiunte; Insoddisfazione, si ha, quando le attese sono state disattese e si evidenziano

dei gap da eliminare; Delizia, si ha, quando le attese sono state superate e si evidenziano “delta”

positivi da massimizzare.

In questo contesto sarebbe utile sapere i gradi della soddisfazione del cliente. Quando le aspettative sono state raggiunte si ha soddisfazione. Ma la soddisfazione è un sentimento istantaneo riferito ad un particolare momento (t0). Per l’impresa è 64 Cfr. Lash M.L., The complete guide to customer service, John Wiley and Sons, New York, 1990; www.customer-satisfaction.co.uk/cs_measurement

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necessario che la soddisfazione perduri nel tempo, in modo tale che si abbia una sequenza di soddisfazioni (t0+t1+t2+t3+...+tn). Questa sequenza di soddisfazioni porta al massimo grado della customer satisfaction, la fedeltà (customer loyalty). Per arrivare alla fedeltà bisogna creare fiducia sul cliente e suscitare la ritenzione d’acquisto.

Come l’impresa anche il cliente calcola un suo profitto che è radicalmente diverso dalla logica imprenditoriale (figura 12).

Si evince che la misura più importante è il valore reso al cliente (il suo profitto). Per creare soddisfazione bisogna creare valore per il cliente, ma questo obiettivo non si può raggiungere se la generazione del valore non va vista secondo la prospettiva del cliente. Di conseguenza, non si ha profitto d’impresa senza profitto della clientela. Per misurare tale valore (valore reso o profitto), espressione della soddisfazione, ci sono diversi strumenti a disposizione, tra i quali: il questionario postale, il questionario on-line, l’intervista diretta, l’intervista telefonica, ecc.

∏ = R – C Profitto dell’impresa

VR = VP – VS Profitto del cliente

VR: Valore Reso al cliente (è il profitto ∏ del cliente, la sua

soddisfazione)

VP: Valore Percepito ( è il ricavo R del cliente in termini di valori

funzionali e simbolici del prodotto)

VS: Valore di Scambio (è il costo diretto e indiretto sostenuto dal

cliente per l’acquisto del prodotto, es: prezzo, tempo, ricerche

informative, costi psicologici ecc).

Figura 12 – La bi-direzionalità del profitto

Fonte: ns. elaborazione.

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Il Prodotto

1.1 – Il prodotto come paniere di attributi: componenti e servizi

Per il cliente, un bene apporta non solo un valore funzionale (il servizio di base), ma anche altri valori, servizi supplementari o utilità secondarie di varia natura. Per esempio, il servizio di base di un dentifricio è quello di pulire i denti, invece servizi supplementari possono essere considerati l’alito fresco, la capacità di sbiancare i denti, protezione di gengive ecc. L’insieme di questi valori costituisce un paniere di attributi. In altre parole, vedendo il prodotto in un’ottica riduzionistica, possiamo scomporlo ed analizzarlo individuando delle componenti. Quest’ultime si distinguono in core components, packaging components, support service components.

Nella letteratura dell’economia d’impresa l’abitudine vuole che si parli di componenti del prodotto, ma a nostro avviso il termine servizio (di base o supplementare) è più innovativo e più profondo; non si tratta di terminologia sostitutiva, ma complementare, bisogna soltanto chiarire su quale piano stanno le componenti e su quale altro stanno i servizi; non è neanche una novità, poiché Lambin nel suo libro “Marketing Strategico e Operativo”(2004), ne parla già anche se non di tale consistenza.

Quando compriamo un prodotto lo facciamo perché ci offre un servizio, ma non lo compriamo mai per il prodotto in sé. Noi non siamo interessati alle componenti del prodotto, ma ai ruoli che a queste componenti sono state attribuite. Pensate ad esempio quando avete comprato un lap-top. Le prime domande che fatte agli assistenti di vendita sono del tipo: “che marca è ?”, “quanti giga byte contiene ?”; “qual è la memoria RAM ?”; “che processore ha il computer ?”; “che tipo di carta grafica ?”; “quanti anni di garanzia ?”; “che colore ha ?”; “e il tipo di schermo ?”, ecc. Tutte queste domande non interessano alle caratteristiche (componenti) del computer in sé, ma a ciò che queste caratteristiche (componenti) possono fare per l’utilizzatore, i benefici che possono generare. Dal momento che il computer che voglio comprare è dotato di una memoria interna di 500 giga byte, io comprendo da questa caratteristica il servizio che il computer mi può rendere; in questo caso, ipotizzando, potrei utilizzare il computer non solo per lavorare con i diversi programmi, ma anche per tenere tantissimi documenti e file di varia natura, senza aver bisogno di comprare una memoria esterna (hard disk esterno). In conseguenza di ciò, noi siamo interessati ai ruoli delle componenti piuttosto che alle stesse componenti. Le componenti (parti del prodotto) vengono costruite da servizi, ad esempio, tramite il lavoro del personale che gli ha prodotti e degli ingegneri che gli hanno disegnati e ingegnerizzati con l’intento di generare altri servizi, motivo per il quale viene comprato un prodotto.

Il prodotto, perciò, è una ponte tra i servizi che lo hanno generato e i servizi che esso stesso genera. Per esempio, un automobile è il risultato di un lavoro a catena (ingegnerizzazione, produzione delle parti, assemblaggio, ecc). Una volta comprato e utilizzato in un particolare contesto, l’automobile genera i servizi per cui è stato

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progettato (ad esempio, velocità, comfort, sicurezza, ecc). Questa logica di servizi si chiama Service Dominant Logic (S-DLogic)65.

Il servizio di base offerto da un prodotto corrisponde al valore funzionale della categoria del prodotto. Ciò che il consumatore cerca non è il prodotto in quanto tale, ma il servizio di base che il bene è in grado di offrire. Prodotti molto diversi dal punto di vista tecnologico possono offrire al cliente lo stesso servizio di base. Ad esempio, cellulari molto diversi tecnologicamente (con foto/videocamera, con musica, Wi-fi ecc) offrono lo stesso servizio di base : quello di parlare al telefono. Ma il cliente oggi è molto attento e coerente riguardo alla dinamicità ambientale, in particolare all’innovazione tecnologica, perciò non si limita al servizio di base ma cerca di più. Questo “di più” sono i servizi supplementari.

È in base a questi servizi che si differenziano le imprese. Attraverso i servizi

supplementari, un’impresa crea valore per il cliente offrendogli qualcosa di più rispetto ad un’altra impresa che si limita al servizio di base. Quest’ultimo rappresenta una “zona di comfort” (comfort zone)66, perché negli occhi dei consumatori è qualcosa di normale, non nuovo e di cui loro sono abituati ormai. Il servizio supplementare, invece rappresenta una “nuova zona” (new zone), qualcosa di più speciale e attrattivo, suscitando la curiosità e il sistema motivazionale dei consumatori indirizzandoli così verso l’acquisto del prodotto. A causa dell’innovazione, i servizi supplementari non sono resistenti ai cambiamenti e non

65 Per ulteriori approfondimenti si consiglia il seguente sito web: http://www.sdlogic.net/ 66 Con zona di comfort si intende uno stato inerto nel quale ci si sta già; diciamo che è una zona abituale fatta da prodotti che si trovano nella fase della maturità del loro ciclo.

Fonte: ns. elaborazione.

Figura 13 – Servizi e componenti del prodotto

prodotto

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sopravvivono nel medio/lungo termine. Ciò vuole dire che una “new zone” di oggi può trasformarsi in una “comfort zone” di domani. Ad esempio, il display a colori dei cellulari, oggi può considerarsi un servizio di base, ma al periodo in cui è stato inventato era considerato un servizio supplementare perché era qualcosa di nuovo; era un innovazione che oggi è diventata obsoleta, perché quella “new zone” di allora è diventata una “comfort zone” di oggi.

I servizi supplementari possono essere di due tipi: servizi necessari e servizi aggiunti. Per servizi necessari si intendono le modalità di produzione del servizio di base (comfort, economico e altro). I servizi aggiunti sono utilità non legate al servizio di base, offerti in più dalla marca e che, perciò, rappresentano un importante elemento di distinzione (installazione, servizio post vendita, garanzia ecc). Ricordiamo che l’elemento di distinzione non è rappresentato dall’identità del prodotto ma dall’immagine dello stesso. E soltanto l’immagine che viene percepita all’ esterno e cimentata nella mente del consumatore.

1.2 – Il ciclo di vita del prodotto (CVP) integrato con SWOT e BCG

In analogia con i cicli biologici dei sistemi vitali naturali, anche i prodotti

percorrono un ciclo simile che va dalla nascita fino al declino (figura 14). A differenza dei cicli biologici dei primi (uomini, animali, piante ecc), i prodotti si possono rivitalizzare con interventi di riequilibrio. Per esempio, se un fiore muore, può nascere un altro ma non lo stesso. Il prodotto, invece, misura la sua vitalità con le vendite; se un prodotto non si vende più perché è arrivato nella fase del declino, o muore, o si rivitalizza. La rivitalizzazione può essere il risultato di un’innovazione di prodotto riguardante il servizio di base o i servizi supplementari. Un’altra possibilità è l’innovazione di processo in modo tale da ridurre i costi di produzione e, di conseguenza, il prezzo di vendita del prodotto. Ancora, lo stesso prodotto, senza fare nessun tipo d’innovazione, si può vendere in un mercato in cui si percepisce come nuovo; ciò vuol dire che la sua fase di declino nel mercato 1 si trasforma in una fase di introduzione nel mercato 2.

Figura 14 – Ciclo di vita

del prodotto

Fonte: ns. elaborazione

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La fase di introduzione: Questa e’ la fase più delicata del ciclo e la più costosa. I profitti sono negativi perché le entrate iniziali sono basse e l’impresa deve coprire ingenti spese per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione del prodotto. Pensate a tutti i campioni gratuiti (product sampling) che vengono distribuiti per promuovere nuovi prodotti. Un esempio è il caso della Red Bull Cola che distribuiva campioni gratuiti presso le varie università di Roma.

La maggior parte dei nuovi prodotti decolla lentamente e, considerando le difficoltà iniziali del ciclo, non sorprende che molti prodotti non vadano oltre la fase di introduzione.

Tuttavia, quando la curva di vendita sale, viene raggiunto il punto di pareggio (breakeven point), nel mercato entrano concorrenti e comincia la fase di crescita.

La fase di crescita: In seguito a questa fase le vendite aumentano rapidamente crescendo, prima a tasso crescente e poi a tasso decrescente. La crescita iniziale è dovuta alla posizione monopolistica di brevissimo periodo per l’impresa. L’impresa che ha introdotto il suo nuovo prodotto in un mercato attrattivo, agisce come first mover. Le vendite e gli extraprofitti cominciano a diminuire quando in gioco entrano i concorrenti. Dopo un po’ si passa nella fase di maturità.

La fase di maturità: Durante la fase di maturità la curva di vendite sale fino a un picco e poi comincia a scendere. Questa fase è caratterizzata da intensa concorrenza perché nel mercato sono presenti molte marche e i consumatori sono molto informati su tutto. L’obiettivo principale è quello di mantenere la quota di mercato attraverso pubblicità diretta ai consumatori e promozioni dirette ai distributori. Per distinguersi dai concorrenti bisogna differenziare il prodotto nella mente del cliente.

La fase di declino: Il detergente Oxydol della Procter & Gamble era sul mercato da 86 anni ma l’azienda l’ha eliminato gradualmente e ha venduto il nome di marca alla Redox Brands per 7 milioni di dollari. Quando il prodotto è stato eliminato le vendite del detergente erano diminuite da 64 milioni di dollari nel 1950 a 5,5 milioni di dollari.67 Nella fase di declino, i marketing manager devono determinare se eliminare il prodotto o riposizionarlo per allungare ancora la vita. L’aspra competizione presente in questa fase del ciclo provoca un aumento della sostituzione e del passaggio dei consumatori da una marca all’altra (brand switching). In sintesi, se si decide di rivitalizzare il ciclo, è consigliabile applicare una delle possibilità sopramenzionate (innovazione di prodotto/processo, internazionalizzazione); al contrario, se è più opportuno eliminare il prodotto, sarebbe necessario aumentare le offerte speciali per ridurre i tempi di declino. La riduzione dei tempi significa minori costi per la detenzione delle scorte di magazzino. Per esempio, il ciclo di vita dei cellulari e dei PC (dei prodotti hi-tech in generale) è molto breve; dopo qualche mese dalla loro comparsa al mercato, avete avuto modo di vedere come i prezzi di questi prodotti subiscono una forte diminuzione a causa delle innovazioni tecnologiche continue.

Analizzate le fasi del ciclo, ci sembra opportuno di considerare il ciclo di vita del prodotto da un’altra prospettiva.

Che cos’hanno in comune le matrici della SWOT analysis e della Boston Consulting Group (BCG)? Come si relazionano queste due matrici con il CVP?

67 Swibel M., “Spin Cycle”, Forbes, Apr.2, 2001, pag. 118.

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Dell’analisi SWOT abbiamo già parlato nel marketing plan. Ricordiamo che questa matrice analizza le forze/debolezze di un sistema vitale e le opportunità/minacce derivanti dal conteso in cui il sistema si è inserito68.

Per quanto riguarda la matrice BCG, questa serve per analizzare il portafoglio prodotti in modo tale da classificare i vari prodotti d’impresa secondo la redditività che possono generare.

Come si nota dalla figura 16, le dimensioni della matrice sono il tasso di crescita del

mercato (l’attrattività del mercato) e la quota di mercato relativa dell’impresa. Il tasso di crescita della domanda di ciascun prodotto (tasso di crescita del

mercato) o, come suggerisce Porter69 il tasso di crescita dell’intero settore, rappresenta, oggettivamente, l’attrattività del mercato (settore di riferimento). Un mercato è attrattivo se manifesta delle opportunità di entrata in esso, opportunità espresse attraverso la domanda dei clienti, dai costi bassi di produzione, dal regime fiscale favorevole, dalla struttura del mercato stesso, ecc.

68 Si ricordi che il contesto è un estrazione dall’ambiente fatta da parte di un soggetto osservatore. Ne consegue che le opportunità e le minacce del contesto sono un fatto soggettivo. Una minaccia per un’impresa può risultare opportunità per un’altra. Un esempio è la crisi attuale. Per alcune imprese la crisi è stata un problema (in genere per le banche e per l’industria), per altri un’occasione (in genere per le imprese di servizio come quelle di consulenza). 69 Porter M. E., La strategia competitiva, ed. Tipografica Compositori, Bologna, 1982, pag. 332.

Figura 15 – La SWOT

analysis

Fonte: ns. elaborazione.

Figura 16 – La matrice

BCG

Fonte: ns. elaborazione.

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La quota di mercato applicata nel caso della matrice BCG è quella relativa, ma per essere più esaurienti con il concetto di quota di mercato definiremo, sia la quota semplice di mercato sia la quota di mercato relativa.

La quota semplice di mercato è pari alla percentuale delle vendite del prodotto di un’impresa sul totale delle vendite in quel particolare mercato (o settore) nel quale l’azienda si colloca (market share on total market value). Si fa riferimento alle quantità fisiche (quote “pure”) di prodotti venduti, ma quando non sia possibile trovare un’unità di misura esauriente (come nel caso dei servizi) il calcolo della quota è riferito a grandezze monetarie (quote “spurie”).

La quota relativa di mercato è relativa perché referente al concorrente principale. Non basta sapere che in un dato mercato la nostra impresa detiene una quota, poniamo, del 25% se contemporaneamente non si conosce o non si tiene conto della distribuzione del restante 75% di quote. Ne consegue che la compiutezza informativa e la significatività della quota semplice di mercato è data soltanto dalla relazione con altri concorrenti e in particolare con il grado di concentrazione dell’offerta in quel dato mercato. Così, un’informazione più corretta si ottiene calcolando la quota relativa, pari alla frazione della quota di mercato del concorrente primario (leader), cioè del concorrente che detiene la più alta quota semplice di mercato.

Le tipologie dei prodotti, invece, sono i “punti interrogativi” o “dilemmi”, le “stelle”, le “vacche da cassa”, i “cani”.

Prodotti question mark: hanno una piccola quota di un mercato in crescita e richiedono generalmente una grande quantità di cash per costruire la quota di mercato. Per esempio, la “mountain bike” della Mercedes è un prodotto question mark rispetto ai prodotti automobilistici della stessa casa produttrice.

Prodotti star: sono prodotti con una quota dominante del mercato e buone prospettive di crescita. Un esempio di questa categoria di prodotti potrebbe essere la famiglia di computer Internet-friendly iMac della Apple.

Prodotti cash cow: hanno una quota dominante di mercato, ma basse prospettive di crescita. I rotoli di carta asciuga tutto Bounty, i più venduti negli Stati Uniti, rappresentano un prodotto cash cow per la Procter & Gamble.

Prodotti dog: hanno bassa quota di mercato e basse prospettiva di crescita. La marca Oldsmobile può esser considerata un prodotto dog nella General Motors; i suoi profitti e la sua quota di mercato in calo hanno contribuito alla decisione della GM di eliminare la marca.

Che cosa hanno in comune le matrici SWOT e BCG? La risposta è che entrambe utilizzano lo stesso schema interpretativo generale, la

prospettiva interno/esterno (figura 17). Consideriamo l’esterno. Il tasso di crescita del mercato nella matrice BCG

rappresenta il grado di attrattività del mercato. D’altronde, se il mercato è attrattivo (tasso di crescita del mercato è alto) abbiamo un’opportunità. Al contrario, se il mercato non è attrattivo abbiamo una minaccia. Ma opportunità e minacce sono elementi della matrice SWOT.

Ora consideriamo l’interno: La quota di mercato relativa, espressione delle vendite dell’impresa, può essere considerata una forza, dal momento che è alta, o una debolezza se, al contrario, è bassa.

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Infine, consideriamo il ciclo di vita del prodotto ampliato con l’integrazione delle matrici SWOT e BCG. L’analisi congiunta di queste tre matrici richiede la considerazione di tre direttrici:

a) la tipologia dei prodotti (question mark, star, cash cow, dog) che si determina dalla matrice BCG;

b) la tipologia di mercato (in crescita, attrattivo o opportuno/non crescente, non attrattivo o minaccioso) che si individua tramite la SWOT analysis;

c) la fase del ciclo di vita in cui si trova il prodotto (introduzione, crescita, maturità, declino) determinata dal modello CVP.

Come si nota dalla figura 18, i prodotti question mark si trovano nella fase introduttiva del CVP. Il mercato è attrattivo (opportunità) ma i profitti sono negativi (debolezza) perché le entrate iniziali sono basse e l’impresa deve coprire ingenti spese per lo sviluppo, la promozione e la distribuzione del prodotto. Non a caso questi prodotti si chiamano anche “problem chlidren”.

I prodotti star si posizionano nella fase di crescita perché le vendite e, di conseguenza, la quota di mercato aumentano rapidamente (forza) in un mercato in crescita (opportunità).

Figura 17 – La relazione

SWOT – BCG

Fonte: ns. elaborazione.

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I prodotti cash cow si collocano nella fase di maturità. Ricordiamo che questi prodotti hanno una quota dominante di mercato (forza) ma basse prospettive di crescita (minaccia).

All’ultimo, i prodotti dog sono quelli appartenenti alla fase di declino. Siccome il prodotto, relativamente non si vende più (debolezza), allora può generare un’emorragia finanziaria dovuta ai costi di produzione e magazzinaggio. Il mercato non lo vuole più tale quale (minaccia) perciò bisogna eliminarlo o rivitalizzarlo.

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Il Prezzo

Affinché un’organizzazione definisca un marketing mix soddisfacente, il prezzo deve essere accettabile per i consumatori del mercato target. Le decisioni di prezzo possono avere numerosi effetti sulle componenti del marketing mix. Per esempio, il prezzo può influenzare anche le percezioni dei clienti sul prodotto, le scelte dei canali di marketing di distribuzione e la promozione del prodotto.

Il prezzo è una espressione del valore monetario, ma «secondo l’ottica di marketing, il valore del prodotto non corrisponde al valore monetario cui avviene lo scambio, ma al valore percepito dall’acquirente70». Il valore monetario è una misura oggettiva necessaria per lo scambio. Il valore percepito si riferisce ai benefici funzionali e simbolici del prodotto. La valutazione finale del consumatore si basa sul valore reso, cioè il valore percepito al netto dei costi sostenuti per l’acquisto del prodotto. I costi fanno riferimento ad una accezione più ampia rispetto al valore monetario; si riferiscono al valore di scambio (prezzo o valore monetario + costi di ricerca informativa + costi del tempo + costi psicologici + altri).

Per trattare questa variabile a 360 gradi, bisogna partire dalle considerazioni dell’economia classica – l’analisi della domanda e dell’elasticità, concorrenza basata sul prezzo e non, l’analisi marginale, ecc – fino ad oggi, però in questa sede prevale la sintesi sull’analisi. Il criterio selettivo ci spinge più verso considerazioni strategiche di pricing che emergono dopo che il prezzo sia determinato secondo le diverse prospettive.

1.1. – Sulla determinazione del prezzo: verso una concezione olistica

Nella determinazione del prezzo di vendita ci sono intorno all’OdG del sistema impresa molti sovrasistemi e subsistemi che influenzano la sua decisione sul prezzo. Le influenze sono di origine esterna e di origine interna e il grado della criticità varia nello spazio, nel tempo e a seconda del tipo di sovrasistema, di subsistema, o delle componenti (di qualche sistema più ampio) che si tengono in considerazione. La visione olistica nella determinazione del prezzo è anche giustificata dalla proprietà ricorsiva71 dei sistemi vitali. In effetti non possiamo considerare in modo separato le influenze che ogni determinante (interna o esterna) ha sulla determinazione del prezzo da parte dell’impresa sistema vitale.

70 Rispoli M., L’impresa industriale: Economia, Tecnologia, Management, Il Mulino, Bologna, 1989, pag. 277 71 La proprietà ricorsiva dei sistemi dice che ogni sistema vitale include e allo stesso tempo è incluso da qualche altro sistema. Per esempio, la famiglia è un sistema che include altri sistemi (genitori, figli e nonni) e contemporaneamente è inclusa dal sistema società. Per approfondimenti si consiglia: Beer S., Designing Freedom, in: Vickers G., Freedom in a Rocking Boat, Allen Lane, The Penguin Press, London, 1970; Hilder T., Stafford Beer’s Viable System Model, © Cavendish Software Ltd. 1995, portions © Stafford Beer 1985; Espejo R., Gill A., The Viable System Model as a Framework for Understanding Organizations, © Phrontis Limited & © Syncho Limited, 1997.

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1.1.1. – Determinanti esterne di influenza

Definiamo come determinanti o fattori di influenza esterna tutti quei fattori che interagiscono direttamente o indirettamente con il sistema impresa e che delimitano il margine di discrezionalità dell’impresa nella fissazione del prezzo. Le determinanti esterne possono essere riassunte in:

a) struttura del mercato e la concorrenza b) domanda e il suo grado di elasticità rispetto al prezzo c) influenze delle politiche governative

a. La struttura del mercato e la concorrenza

La struttura che caratterizza il mercato di riferimento ne influenza il comportamento dei sistemi presenti in esso. La struttura del mercato è il risultato del prodotto (non della sommatoria) delle diverse organizzazioni che si relazionano, interagiscono e competono per il fine della sopravvivenza (permanenza duratura nel relativo contesto). Classicamente la struttura del mercato ha determinato le forme del mercato, le quali puntano le lenti sul grado della concorrenza. La concorrenza non può avere lo stesso grado e la stessa intensità al variare delle forme di mercato. Le sue condizioni cambiano se siamo in presenza di concorrenza perfetta (polipolio non differenziato), se siamo in presenza di monopolio, oppure di oligopolio, o di qualche altra forma che qui non andiamo ad elencare ed analizzare in quanto contenuti più consoni con la microeconomia. Ciò che ci interessa in questa sede è il fatto che la struttura del mercato determina la manifestazione delle sue forme; queste determinano le condizioni di concorrenza che, a sua volta, determina l’equilibrio tra domanda e offerta e di conseguenza il prezzo di mercato.

Nel pricing basato sulla concorrenza un’organizzazione considera i costi secondari rispetto ai prezzi della concorrenza. L’importanza di questo metodo di determinazione del prezzo aumenta quando i prodotti in concorrenza sono relativamente omogenei e l’organizzazione serve mercati in cui il prezzo è un fattore essenziale nella decisione d’acquisto. Determinare il prezzo avendo gli occhi dai prezzi dei concorrenti può aiutare l’impresa a determinare un prezzo più realistico (vicino al prezzo di mercato) e di giocare di qualche margine. Conoscendo le decisioni di prezzo dei concorrenti aiuta l’impresa ad adeguare i prezzi propri in modo più flessibile. Per esempio, molte compagnie aeree adeguano frequentemente le tariffe.

b. La domanda e il suo grado di elasticità rispetto al prezzo

Quando si usa il pricing basato sulla domanda, i clienti pagano un prezzo più alto quando e dove la domanda del prodotto è forte e un prezzo più basso quando e dove la domanda è debole. Il quando (dimensione temporale) e il dove (dimensione spaziale) sono i fattori principali nella determinazione del prezzo orientato alla domanda. Per esempio, gli alberghi offrono spesso tariffe ridotte nei periodi di domanda debole. Anche alcune compagnie di telefonia fissa interurbana, quali la Sprint e la AT&T, usano il pricing basato sulla domanda praticando tariffe diverse per le ore di punta e quelle ordinarie. L’efficacia di questo modello dipende dalle

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capacità che il professionista di marketing ha di stimare accuratamente la quantità che i consumatori domanderanno in corrispondenza di differenti prezzi. Naturalmente che si sceglie il prezzo che genera il ricavo totale più alto.

Ora cerchiamo di spiegare brevemente il concetto dell’elasticità della domanda rispetto al prezzo e la sua influenza sulla determinazione del prezzo.

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo è formalmente definita come la variazione percentuale della quantità domandata, rapportata a una data variazione percentuale del prezzo. La domanda è invece anelastica se la quantità domandata di un certo bene non varia o varia poco al variare del prezzo di quel bene. La domanda può essere perfettamente elastica o perfettamente rigida, ma all’interno di questi due stati estremi esistono varie possibilità. Metaforicamente l’elasticità della domanda è simile al funzionamento di un reostato.

Come l’elasticità della domanda influenza le decisioni di prezzo? Una risposta basata su un esempio forse sarà più pratica e comprensibile.

Un’impresa decide di introdurre sul mercato un prodotto di alta qualità al quale corrisponde un prezzo alto (premium price). Ovviamente il target al cui si è rivolta è composto da clienti disponibili a pagare per l’elevata qualità che ricercano. Se dopo un po’ di tempo il prezzo del prodotto aumenta, le quantità domandate dei cliente non diminuiranno (oppure diminuiranno poco) perché questa tipologia di clienti non è sensibile al prezzo ma alla qualità. In queste condizioni la strategia di prezzo può essere quella del prezzo di scrematura (skimming price).

Si ricorda che il prezzo, come le altre variabili del marketing mix viene determinato sempre in base al target (il gruppo dei clienti o il bersaglio da colpire con il prodotto/servizio).

c. L’influenza delle politiche governative

Il governo è vestito da un potere legale basato su leggi, norme e regole, con il quale esercita influenza su organizzazioni di varia natura.

Indipendentemente dall’obiettivo per il quale sono utilizzati, i metodi più generali di intervento da parte della pubblica autorità sui prezzi sono due e prevedono un intervento diretto o un intervento indiretto.

Il controllo diretto si riferisce a espliciti tentativi di limitare il movimento dei prezzi senza alterare le quantità domandate o offerte. Il sistema indiretto si riferisce invece a tentativi di influire sulle forze causali, (cioè l’offerta e la domanda), che determinano il livello dei prezzi. I metodi di controllo indiretto possono essere rivolti alla produzione o al mercato.

Nel primo caso rientrano forme di controllo sull’attività produttiva e/o i mezzi di produzione, come ad esempio, la restrizione delle semine e il controllo sull’area coltivabile per quanto riguarda la produzione agricola; la limitazione nell’utilizzare tecnologia molto vecchia ed inquinante (vale nei paesi sviluppati e non nei paesi in via di sviluppo) per quanto riguarda la produzione industriale.

Nel secondo caso rientrano invece vari tipi di controllo sulle quantità prodotte; sulle esportazioni, le tariffe e i prestiti; tutti metodi indirizzati in generale all’eliminazione del surplus del mercato.

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Negli stati uniti il governo federale, per ridurre l’inflazione, può ricorrere a controllo dei prezzi, congelare i prezzi a certi livelli o determinare i tassi a cui i prezzi possono essere aumentati. Un altro esempio classico in molti paesi del mondo sul controllo dei prezzi è la fissazione del prezzo degli alcolici da parte degli enti di regolamentazione.

Il controllo governativo dei prezzi influenza fortemente le strategie di prezzo. Per esempio, un’impresa che utilizza il pricing di penetrazione deve valutare bene le possibilità di rialzare il prezzo in futuro; deve capire qual è il tetto massimo stabilito dal governo oltre al quale il prezzo non si può rialzare.

1.1.2. – Determinanti interne di influenza

Tra le determinanti interne influenti possiamo ricordare – a) – la scelta dei segmenti cui indirizzare i propri prodotti, scelta che implica: a monte, l’individuazione del potenziale mercato attraverso un processo conoscitivo relativo ai bisogni dei consumatori, agli stili di vita, alle variabili socio-economiche che interferiscono sull’acquisto, eccetera; a valle, una verifica dei confini del segmento stesso attraverso un aggiustamento continuo del prodotto e del prezzo; b) – il grado di utilizzo della capacità produttiva e il tipo di rischio (d’esercizio e di mercato)72 nel senso che il firmamento del prezzo presenterà peculiarità diverse a seconda che l’azienda produca su commessa o per il magazzino; c) – la fase del ciclo di vita del prodotto, diversa sarà infatti la strategia di prezzo se il prodotto è in fase di lancio piuttosto che di maturità; la scelta del portafoglio prodotti (product-mix) e la natura del prodotto, in quanto diverso sarà il prezzo di un prodotto star e diverso sarà il prezzo per un prodotto qualificato come cash-cow; d) – i costi aziendali, i quali hanno un’alta incidenza sulla determinazione del prezzo e degli obiettivi generali dell’impresa.

1.1.3. – Approccio analitico alla determinazione del prezzo

Un po’ di formule e di calcoli elementari sono necessari per formalizzare il problema della determinazione del prezzo; alla fine, lo stesso prezzo è un numero, misura oggettiva necessaria per lo scambio.

L’azienda, nella produzione di beni e servizi sostiene dei costi di varia natura che vanno a incidere sul prezzo finale. La struttura del sistema impresa, l’azienda, non è altro che un centro di costi. Il calcolo del prezzo viene effettuato considerando, al di lá delle altre determinanti interne/esterne, anche i costi sostenuti. L’approccio basato sul costo comprende: il cost-plus pricing (pricing secondo il metodo del costo maggiorato); il markup pricing (pricing secondo il metodo del ricarico); il prezzo del profitto massimizzato; il prezzo nella prospettiva del punto di pareggio.

i. cost-plus pricing e markup pricing

Nel pricing secondo il metodo del costo maggiorato (cost-plus) si determina il costo unitario del prodotto (da parte del produttore, il manufacturer) e poi, per

72 Borghesi A., Il risk manager nella struttura organizzativa aziendale, in Sinergie, 4/1984, pag. 36-37.

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stabilire il prezzo, si aggiunge al costo unitario del prodotto un’ammontare monetario o una percentuale desiderata sulle vendite (detto anche ritorno deisderato sulle vendite).

Il pricing secondo il metodo del ricarico (markup) è un metodo di impiego comune nel commercio al dettaglio in cui si determina il prezzo di un prodotto aggiungendo al prezzo caricato dal produttore una percentuale desiderata detta markup (o ricarico o rialzo). Per esempio, se il produttore di un certo prodotto carica un prezzo di 10 euro nei confronti del distributore, quest’ultimo non venderà il prodotto con lo stesso prezzo (salvo qualche politica temporanea di marketing mix), ma ricaricherà il prezzo secondo la propria percentuale desiderata, poniamo 30 percento; ne consegue un prezzo ricaricato dal distributore pari a 13 euro.

La differenza tra i due metodi è sottile ma molto significativa. Il primo metodo, il cost-plus pricing, si riferisce soltanto al produttore (manufacturer), dove al costo di produzione si aggiunge una certa percentuale.

Nel markup pricing, per determinare il prezzo, si aggiunge al prezzo d’acquisto una percentuale detto markup o ricarico. Questo metodo si riferisce al produttore e/o al distributore commerciale. Nel caso del produttore industriale si tratta del prezzo d’acquisto di materie prime e componenti acquistate dal fornitore, invece nel caso del distributore commerciale si tratta del prezzo d’acquisto dei prodotti finiti acquistati dal produttore. Si ricordi che il distributore commerciale può essere un grossista o un dettagliante; maggiore è il numero degli operatori commerciali fino all’operatore finale, maggiore sarà il numero dei ricarichi o dei markup consecutivi e, di conseguenza, maggiore sarà il prezzo per l’acquirente finale, il consumatore. L’esempio seguente, ripreso da Kotler73, può essere più illuminante a capire l’analisi sopradescritta.

Supponiamo che un produttore di tostiere ha i seguenti costi e le seguenti aspettative di vendita:

Costi variabli unitari 10 € Costi fissi 300.000 € Unità di vendite attese 50.000 unità

Il costo del produttore per tostiera è dato da:

Costo unitario = costo variabile + costi fissi / unità di vendita = 10€ + 300.000€ / 50.000 = 16€

Se il produttore vuole guadagnare un 20 percento sulle vendite (ritorno desiderato sulle vendite), il prezzo caricato verrà espresso nel modo seguente:

Prezzo caricato = costo unitario / 1 – ritorno desiderato sulle vendite = 16€ / 1 – 0.2 = 20€

In questo caso, il produttore industriale carica il prezzo per il distributore commerciale di 20€ per tostiera realizzando un profitto di 4€ per unità.

Ora il distributore deve ricaricare il prezzo per ottenre un suo guadagno, in quanto il prezzo di vendita del produttore diventa il suo costo (prezzo) unitario d’acquisto. Se

73 Kotler P., Armstrong G., Saunders J., Wong V., Principles of Marketing, Prentice Hall Europe, 1999, pag. 699 e 700.

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lui vorrà guadagnare 50 percento sul suo prezzo di vendita, dovrà ricaricare la tostiera di 40€, equivalente ad un costo caricato di 100 percento. In altri termini:

Prezzo ricaricato = prezzo caricato / 1 – 0.5 = 20€ / 0.5 = 40€

Il prezzo caricato rappresenta il prezzo del produttore, mentre il prezzo ricaricato è quello del distributore. Ricordiamo che questi metodi non possono funzionare con un focus isolato senza considerare la domanda di mercato, il target da servire e i competitors.

ii. Il prezzo del profitto massimizzato

Secondo questo metodo si presuppone che l’impresa voglia massimizzare il proprio profitto e che conosca le funzioni di domanda e di costo di un determinato prodotto.

La funzione di domanda descrive la quantità di prodotto (Q) richiesta nel mercato per un dato periodo e in un dato mercato, ai vari livelli di prezzo (P). Secondo “la legge della domanda”, all’aumentare del prezzo la quantità domandata di un prodotto diminuisce, perciò si ha una relazione inversa tra (P) e (Q) che può essere espressa con l’equazione lineare:

Q = 1000 – 4P (i numeri sono stati scelti casualmente per rendere l’idea allo studente)

Per quanto concerne la funzione di costo, essa descrive il previsto livello dei costi totali (CT) per le varie quantità che si potrebbero produrre in ciascun periodo.

I (CT) comprendono due categorie di costi: i costi fissi totali (CF) e i costi variabili totali (CV). I (CF) non variano con il livello di produzione, a differenza di quelli variabili che appunto variano al suo mutare; per questo motivo i CV si esprimono diversamente come C(Q), nel senso che variano al variare della quantità, cioè sono una variabile dipendente (dalla quantità prodotta). La funzione del costo totale si esprime con l’equazione:

CT = CF + C(Q) Supponiamo che l’impresa abbia calcolato la seguente equazione dei costi per il

proprio prodotto: CT = 6.000 + 50Q

Per determinare ora il prezzo migliore, il professionista di marketing ha bisogno

di due ulteriori equazioni: quella del ricavo totale (RT) e quella dei profitti totali (). L’equazione del ricavo totale è per definizione uguale al prezzo per le quantità

vendute: R = PQ

L’equazione dei profitti totali è per definizione uguale alla differenza tra ricavi e costi:

= RT – CT Come si determina il prezzo che massimizza il profitto? Le equazioni seguenti,

frutto di ciò che è stato detto, lo spiegano in modo semplice:

= RT – CT

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RT = PQ = P (1.000 - 4P)

CT = CF + C(Q) = 6.000 + 50 (1.000 - 4P)

= P (1.000 - 4P) - 6.000 – 50 (1.000 – 4P)

= - 4P² + 1.200P – 56.000

L’ultima equazione ( = - 4P² + 1.200P – 56.000) descrive una parabola74 con la concavità verso il basso. Poiché il massimo profitto corrisponde al vertice della parabola stessa, conoscendo il valore delle costanti si può ottenere il prezzo che massimizza il profitto totale.

Infatti dato a = 4 e b = 1.200 si ha:

P = - b/2a = - 1.200/- 8 = 150

Una volta trovato il prezzo, l’unica variabile mancante nell’equazione del

profitto, il massimo profitto (max) risulterà pari a 34.000. iii. Il prezzo nella prospettiva del punto di pareggio

Il problema del modello precedente sta nel fatto che l’impresa non riesce a conseguire sempre il massimo profitto, perciò deve essere consapevole anche degli altri livelli in cui essa risulta profittevole. Deve stabilire, in altri termini, qual è il punto che determina il confine tra l’area della perdita e l’area del profitto. Questo punto si chiama break even point (BEP) o punto di pareggio. L’utilità dell’analisi che individua questo punto (break even analysis o BEP) consiste nell’individuare il grado di elasticità del profitto, cioè l’impresa, attraverso quest’analisi, avrà un orizzonte più ampio dei livelli di profitto; variando il prezzo può stabilire un livello di profitto massimo come uno minimo, medio e altri livelli scelti in base alle esigenze del contesto che l’impresa vive nel tempo e nello spazio. Più che di massimo profitto si tratterebbe di profitto ricercato. Ma in che cosa consiste realmente la break even analysis?

L’analisi del punto del punto di pareggio (break even analysis o BEA) è un valido strumento di supporto alle decisioni aziendali. L’impresa effettua una previsione sulle vendite future e stima il profitto ricercato. La BEA costituisce uno strumento decisionale che pone in relazione prezzi, costi, ricavi e volumi di produzione. In tal modo l’impresa tenta di individuare il prezzo che le permette di conseguire un determinato profitto obiettivo. È possibile naturalmente costruire diversi punti di equilibrio in relazione a differenti politiche di prezzo.

Come accennato, il punto di pareggio è la quantità che bisogna produrre (una volta analizzata la domanda di mercato) per pareggiare costi e ricavi. In linea teorica, il punto di pareggio sarebbe formulato come di seguito:

74 La funzione della parabola è rappresentata da: - ax² + bx - c che risolta per x è uguale con a - b/2a

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Variando il prezzo unitario (il prezzo per ogni quantità prodotta) cambia anche il

punto di pareggio. È soltanto oltre al punto di equilibrio che l’impresa consegue dei profitti; al di sotto di esso siamo nella zona rossa, quella delle perdite (si veda la figura seguente). Dalla figura si nota che nell’area di utile il massimo profitto corrisponde alla zona più larga dell’area, ovvero laddove si ha la maggiore distanza tra ricavi e costi (con ricavi sopra i costi, altrimenti ci troveremmo nella zona di perdita massima).

Un esempio pratico semplifica la comprensione dell’analisi. Prendiamo l’esempio di un impianto usato dalla società Zeta Spa per produrre il

prodotto “a”. Il costo dell’impianto è di 100.000,00 €. Supponete che ogni singolo prodotto “a” si venda a 75,00 €, e che il costo variabile unitario sia di 22,00 €. Dunque i nostri dati sono: p=75; cv= 22; CF=100.000 q=?

Svolgimento:

RT = CT

p * q = CF + cv * q

75 q = 100.000 + 22 q

75 q – 22 q = 100.000

q (75 – 22) = 100.000

q = 100.000/53 = 1886,79 circa 1887 unità

CT = RT

CF + cv = p * q

CF + cv * q = p * q

CF = p * q - cv * q

CF = q (p- cv)

Q = CF/ (p - cv)

CT e RT (costi e ricavi totali)

CF (costi fissi)

cv (costo variabile unitario, cioè per ogni

unità prodotta)

p e q (prezzo unitario e unità prodotta)

(p - cv) (margine di contribuzione)

Figura 19 – Il punto di

pareggio tra costi e

ricavi (BEP)

Fonte: ns. elaborazione.

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Dall’esempio precedente si deduce che l’equilibrio tra costi e ricavi viene determinato dalle quantità prodotte, ma queste possono variare al variare della scelta del prezzo unitario. Un prezzo più alto/basso comporta minori/maggiori unità prodotte che a loro volta determinano un nuovo punto di pareggio (BEP). Ma la scelta del prezzo unitario si fonda sulle politiche di prezzo che vanno considerate in sistema con le atre politiche del marketing mix. Naturalmente che le politiche di prezzo non tengono (per lo meno non devono tenere) conto soltanto dei centri di costo. In primis devono considerare la domanda mercato, capire il trend e fare le stime, per poi trovare un’armonia con le altre variabili del marketing mix e con le strategie complessive d’impresa.

1.2. – Decisioni e scelte strategiche di pricing

Una strategia di prezzo è un approccio o una condotta avente lo scopo di raggiungere obiettivi di pricing e di marketing nella sua totalità (visto che il prezzo non può scindere dagli altri aspetti del marketing strategico e operativo).

I. Differenzazione dei prezzi

Un problema importante nelle decisioni di pricing è stabilire se usare un unico prezzo o differenti prezzi per lo stesso prodotto.

Avere un unico prezzo vuol dire applicare lo stesso prezzo per la stessa qualità e quantità di prodotto a diversi acquirenti. Questo, da una parte crea facilità nella relazione con la clientela, dall’altra rende l’impresa poco elastica.

La facilità riguarda il fatto di non dover negoziare il prezzo, in quanto è unico per diversi acquirenti. La bassa elasticità ha due facce: se il prezzo è troppo alto (ed unico), solo alcuni clienti possono permettersi il prodotto; se invece è troppo basso l’organizzazione perde le entrate che riceverebbe da quei clienti che avrebbero pagato di più se il prezzo fosse stato più alto.

Considerando le problematiche sopradescritte si rende necessario un approccio di Differenziazione del prezzo. Differenziare il prezzo significa praticare prezzi diversi ad acquirenti diversi per la stessa qualità e quantità di prodotto. La messa in uso di questo approccio richiede diverse strategie.

a. Negoziazione del prezzo. Ha luogo quando il prezzo finale è stabilito tra venditore e acquirente. Questa modalità è impiegata in numerosi settori industriali e a tutti livelli di distribuzione.

b. Prezzo sul mercato secondario. Il secondary-market pricng significa che è stabilito un prezzo per il mercato target primario e ne è stabilito uno diverso per un altro mercato. Il prezzo praticato sul mercato secondario è spesso più basso. Sono esempi di mercato secondario un mercato in un paese estero, un segmento di mercato disposto ad acquistare un prodotto nei periodi non di punta. Per esempio, nelle ore di prima serata alcuni ristoranti offrono prezzi speciali, i cinematografi offrono sconti per studenti e anziani. I mercati secondari offrono a un impresa l’opportunità di utilizzare la capacità in eccesso e di stabilizzare l’allocazione delle risorse.

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c. Sconti periodici e sconti casuali. Tutti noi aspettiamo dai dettaglianti i saldi di fine stagione e spesso ritardiamo gli acquisti proprio per questo motivo. Questa riduzione temporanea dei prezzi su base regolare o sistematica si chiama sconto periodico. In questo caso il consumatore diventa un calculus e ritarda gli acquisti per approfittare dai prezzi più bassi. Come contromossa, i marketing manager applicano gli sconti casuali che consistono in una riduzione temporanea dei prezzi su base casuale e non sistematica. Questa strategia viene attuata non solo per aggirare la prevedibilità, ma anche per attrarre nuovi clienti.

II. Pricing di un nuovo prodotto Quando un marketing manager stabilisce il prezzo base di un nuovo prodotto

considera una serie di reazioni. Tra le reazioni più importanti sono quelli statali sul controllo pubblico dei prezzi e, poi, le reazioni della concorrenza.

Le strategie più rilevanti sono la skimming strategy e la penetration strategy.

a. Scrematura del mercato. È una strategia che consiste nell’applicare il prezzo più alto possibile ai clienti che ricercano qualità nel prodotto e sono poco elastici al variare del prezzo. Questa strategia fornisce parecchi benefici, specialmente nella fase di introduzione del ciclo di vita del prodotto, in quanto genera enormi cash flow iniziali che sono necessari per coprire i costi d’investimento. Per esempio, la Polaroid, quando introduce un nuovo modello di macchina fotografica, usa inizialmente un prezzo di scrematura per coprire i notevoli costi di ricerca e sviluppo.

b. Penetrazione del mercato. In questo caso l’impresa agisce come se fosse una talpa, dal basso all’alto. Per strappare quota di mercato ai concorrenti, si utilizza inizialmente un prezzo più basso con l’intento che, quando la quota di mercato aumenterà, il prezzo verrà rialzato di una certa percentuale. Naturalmente il prezzo non può aumentare più di tanto perché i controlli pubblici lo impediscono.

III. Pricing di una linea di prodotti

Il pricing di una linea di prodotti consiste nello stabilire e nell’adeguare i prezzi di più prodotti all’interno di una medesima linea. La visione di linea è una visione olistica perché il marketing manager non si focalizza sulla redditività di un singolo prodotto, ma sulla massimizzazione dei profitti dell’intera linea. Le strategie più comuni sono le segiuenti.

a. Pricing di beni complementari. Perché le stampanti di Hewlett Packard (e non solo) costano poco? La risposta è perche i tonner e gli atri accessori (della stessa marca) hanno un prezzo abbastanza alto. Necessariamente il cliente per far funzionare la stampante deve comprare anche gli accessori utili al suo funzionamento. In generale, secondo questa strategia, al

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prodotto principale di una linea è imposto un prezzo basso, mentre ai prodotti complementari, necessari per il suo funzionamento o potenziamento, sono imposti prezzi più alti.

b. Premium pricing. Il pricing mediante premio di prezzo è usato spesso quando una linea di prodotti contiene parecchie versioni dello stesso prodotto; ai prodotti con la qualità più alta sono imposti i prezzi più alti. Esempi di questa categoria si scontrano nei piccoli elettrodomestici, le birre, i gelati ecc.

c. Pricing mediante prezzi civetta. In primis, i prodotti civetta sono quelli che attirano i consumatori con “l’inganno”; il prezzo civetta è il valore monetario di questi prodotti. Per esempio, nei volantini dei negozi “Acqua e Sapone” vengono pubblicizzati tanti prodotti di qualità a prezzi molto competitivi. Il cliente, una volta entrato al negozio, non si limita a comprare soltanto i prodotti scontati, ma ne compra anche altri. Di conseguenza i prodotti civetta fanno da trampolino per gli altri acquisti (anche di beni complementari se vogliamo). Perciò, quando notate volantini con prodotti sotto costo, non pensate che il dettagliante vada in perdita; lui guadagna non da ciò che pubblicizza, ma dai prodotti che non trovate in volantino (e che forse vi servono).

d. Allineamento dei prezzi. Quando un’organizzazione stabilisce un numero limitato di prezzi per gruppi scelti o linee di prodotti, usa l’allineamento dei prezzi. Un dettagliante può avere camice della stessa qualità e cono vari stili e marche che vende a 20 euro; può poi praticare un prezzo di 30 euro per camice di qualità migliore, anch’esse di vari stili e marche. Un esempio è il negozio di Romana S.I.R. Altri esempi sono i vari outlet (factory outlet e village outlet). Questa strategia semplifica il processo decisionale d’acquisto dei clienti, che possono scegliere una data fascia di prezzo all’interno della quale selezionare poi lo stile e la marca preferiti, mantenendo costante il prezzo.

IV. Pricing psicologico

Questa modalità di determinare i prezzi si basa sui processi di percezione e di apprendimento dei clienti con l’obiettivo di influenzarli. L’influenza non è casuale ma fondata scientificamente sugli studi e le ricerche psicologiche. Alcune delle teorie prevalenti sono state quelle dei riflessi condizionati, behaviorismo o comportamentismo, cognitivismo e altre.

a. Reference pricing. Il pricing di riferimento consiste nell’imporre a un prodotto un livello di prezzo moderato e nel posizionarlo accanto a un modello o a una marca più costosi, nella speranza che il cliente impieghi il prezzo più alto come riferimento esterno (cioè come elemento di confronto). Ci si attende che il cliente, in virtù del confronto, consideri favorevolmente il prezzo moderato. Naturalmente il prodotto a prezzo moderato deve avere caratteristiche simili (almeno in numero) rispetto al prodotto di “marca”. Non è quindi infrequente che un’impresa posizioni le proprie marche di prezzo moderato accanto a quelle più costose di produttori conosciuti.

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b. Bundle pricing. Il prezzo per pacchetti consiste nell’aggregare due o piu prodotti, tipicamente complementari, per venderli come pacchetto indivisibile (bundle) a prezzo unico. Per attrarre i clienti il prezzo unico è notevolmente inferiore alla somma dei singoli prezzi corrispondenti ai singoli prodotti che compongono il pacchetto. Un esempio sono le confezioni dei profumi. Se un certo profumo costa 50 euro e la doccia schiuma della stessa marca costa 20 euro, in periodi particolari si possono acquistare entrambe (in bundle), poniamo, a 55 euro. Oppure, spesso si trovano delle occasioni in cui viene offerto un paccetto comprendente un computer, il relativo software e un mese di connessione gratuita all’Internet, al prezzo del computer stesso.

c. Pricing per unità multiple. È usato il pricing per unità multiple quando due o più prodotti identici vengono aggregati e venduti a un prezzo unico. Ne consegue, secondo la legge economica generale di domanda – offerta (aumenta la quantità e diminuisce il prezzo), un prezzo unitario inferiore a quello praticato normalmente. Esempi sono i pacchetti dei dentifrici, le confezioni di bibite in lattina, le scatolette di tonno, ecc.

d. Everyday low prices (EDLP). Nel caso dell’ EDLP un marketing manager stabilisce prezzi bassi su base continua invece di stabilire prezzi più alti e scontarli frequentemente. Un’impresa che usi tale strategia trae beneficio dalla riduzione delle perdite che si avrebbero se si fosse costretti a frequenti riduzioni, dalla maggiore stabilità delle vendite e dalla riduzione dei costi promozionali. Un esempio di tale impresa è il retailer Wal-Mart, leader mondiale nel commercio al dettaglio.

e. Pricing dispari-pari. Tale strategia consiste nel dare a un prodotto un prezzo che termina tipicamente con un numero dispari, quale 9 o 5, ed è molto vicino a un numero pari, arrotondato, quale 100. Il pricing dispari-pari si basa su una percezione illusoria (ottimistica se vogliamo essere più cauti) da parte del cliente. Per un prodotto che costa, poniamo, 99,95 euro, si presuppone che i clienti riterranno che il prodotto è un buon affare: costa non 100 euro, bensì 99 euro e spiccioli. Questa strategia si utilizza anche per ragioni fiscali ( per esempio, le tasse di un prodotto che costa 100 euro possono essere più alte rispetto alle tasse di uno che costi 99,99 euro, in quanto appartenente in un’altra fascia di imposizione fiscale).

I prezzi pari o arrotondati, invece sono usati spesso per conferire a un prodotto un immagine esclusiva. Questi inducono il cliente a pensare che il prodotto sia una marca premium e di alta qualità.

f. Pricing tradizionale. A volte i consumatori sono talmente affezionati dal prezzo di un determinato prodotto che non possono accettare variazioni dello stesso. In effetti, i produttori, in questi casi, sono disposti a variare la quantità del prodotto pur di mantenere invariato il prezzo. Nel pricing tradizionale il prezzo costante diventa un abitudine, una tradizione (dove la tradizione, ricordiamo, è una categoria valoriale) che crea resistenza al cambiamento. Alcuni anni fa, quando in Albania il prezzo/kg del pane è salito da 50 centesimi a 60 centesimi ha suscitato una reazione forte ai consumatori (in quanto il pane in questo paese aveva un consumo alto,

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dovuto alla scarista delle risorse del referente periodo e al basso potere d’acquisto).

g. Pricing di prestigio. In questo modello strategico i prezzi sono stabiliti a un livello artificialmente elevato per comunicare un’immagine di prestigio o di qualità. In un’indagine fatta da Report (trasmissione di Rai 3) circa 3 anni fa, si è scoperto che il costo medio di produzione delle borse femminili di marca Ferré era di 25 euro; il prezzo di vendita ha raggiunto un livello di 770 euro, mentre Alviero Martini vendeva, dall’atra parte, borse a 130 euro con un costo di produzione il doppio di quello di Ferré. Questa speculazione riferita al valore di scambio non può essere equilibrata con riduzioni drastiche di prezzo perché il nuovo prezzo sarebbe incompatibile con la percezione dell’immagine di alta qualità dei prodotti prezzati secondo il pricing di prestigio.

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La promozione o il comunication mix

«La politica promozionale si concreta, in senso lato, nello stabilire gli obiettivi, le modalità ed i mezzi di comunicazione con l’ambiente, in quanto sopratutto ad essa è confidato il compito d’inviare informazioni ai pubblici con cui l’impresa è in contatto. Il concetto di attività di comunicazione estende i contenuti promozionali sotto due profili: la finalità da conseguire e i destinatari da raggiungere. Esso, infatti, svincola tale politica da immediati effetti di sviluppo delle vendite e coinvolge nel processo anche gruppi sociali (stakeholder) diversi dagli acquirenti delle produzioni (pubblici poteri, fornitori, finanziatori, ecc.).»75

Il mondo delle attività di promotion è un mondo molto affascinante caratterizzato da un’ampia varietà di strumenti e tecniche. È un mondo di segnali, simboli, significanti e significati. Non a caso il promotional mix, diversamente, si chiama anche comunication mix. Ne consegue che la comunicazione è la base della promozione, tanto che, nelle nostre università ci sono discipline di studio ad hoc sulla comunicazione d’impresa.

La comunicazione è la linfa vitale dei sistemi vitali. Parole, gesti e persino i silenzi fanno parte della comunicazione. Il primo assioma della comunicazione umana è che “non si può non comunicare”76. Questo rappresenta uno degli assiomi della Pragmatica della Comunicazione, ovvero quella branca di studi che si occupa degli effetti che il nostro modo di comunicare ha sugli atteggiamenti e comportamenti delle persone con le quali noi interagiamo. La scuola di Palo Alto di cui Paul Watzlawick rappresenta una delle figure di maggior spicco, ha dopo oltre 2500 anni riportato l’attenzione della scienza sullo studio della comunicazione come veicolo di cambiamento.

La comunicazione, nella sua versione di base, è composta dalla pubblicità, promozione vendite, forza vendita, vendita personale. Recenti studi e applicazioni della comunicazione d’impresa77 hanno ampliato la gamma del mix promozionale coinvolgendo alcuni aspetti innovativi, quali il direct marketing, il packaging, l’e-mail marketing, il viral marketing, il body rent, le fiere, il punto vendita, la guerrilla marketing, il product placement, il temporary shop, ecc.

I. Pubblicità

L’advertising permea la nostra vita quotidiana. Talvolta la valutiamo positivamente, altre volte la evitiamo. Alcuni tipi di pubblicità ci informano, ci persuadono o ci divertono, altri ci annoiano o possono perfino offenderci.

La pubblicità (advertising) è una comunicazione impersonale a pagamento riguardante un’organizzazione e i suoi prodotti trasmessa a un’audience obiettivo

75 Sciarelli S., Economia e Gestione dell’Impresa, CEDAM, Padova, 1997, pag. 404. 76 Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson D. D., La pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1971. 77 Per maggiori approfondimenti sulla comunicazione d’impresa in generale e sulla comunicazione di marketing in particolare, si veda: Pastore A., Vernuccio M., Impresa e Comunicazione: Principi e strumenti per il management, Apogeo, 2008.

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attraverso i mass media: televisione, radio, Internet, quotidiani, periodici, posta diretta, display esterni e cartellonistica sui mezzi di trasporto pubblico. Gli individui e le organizzazioni impiegano la pubblicità per promuovere beni, servizi, idee, problemi e persone. Essendo altamente flessibile, la pubblicità è in grado di raggiungere un’audience obiettivo estremamente grande o di focalizzarsi su un piccolo segmento esattamente definito.78

Questo modo di comunicare offre parecchi vantaggi. Quando raggiunge un grande numero di persone a un basso costo pro capite, si rivela estremamente efficiente in termini di spesa. Per esempio, una pubblicità di un’intera pagina a quattro colori sul periodico «Time» costa 192.000 dollari. Poiche il periodico raggiunge più di 4 milioni di abbonati, il costo che si deve sostenere per raggiungere 1000 abbonati è pari soltanto 47 dollari circa.79 Inoltre, la pubblicità permette alla fonte di ripetere il messaggio numerose volte. Per esempio, la Levi’s Strauss (www.levistrauss.com) fa pubblicità in televisione, sui periodici e su manifesti. Altro vantaggio è che la pubblicità di un prodotto è in grado di aumentare il valore e la visibilità. Talvolta un’impresa tenta di valorizzare l’immagine di se stessa o del proprio prodotto includendo negli annunci pubblicitari celebrità del mondo dello spettacolo. Uliveto e Rocchetta sono acque promosse attraverso le pubblicità che includono testimonials quali Alex Del Piero e Cristina Chiabotto. La Gillette, per il suo nuovo rasoi Gillette Fusion Power, ha utilizzato come testimonials pubblicitari figure importanti del mondo dello sport come Thierry Henry, Roger Federer e Tiger Woods.

Ma la pubblicità ha anche degli svantaggi. Sebbene il costo pro capite raggiunto possa essere basso, l’esborso assoluto può essere estremamente alto, specialmente per i commercial (annunci pubblicitari) durante gli spettacoli televisivi popolari. I costi elevati possono limitare e talvolta impedire l’impiego della pubblicità in un mix promozionale. Raramente la pubblicità fornisce un feedback rapido. Misurare il suo effetto sulle vendite è difficile, anche se in generale le spese pubblicitarie comportano uno spostamento in alto a destra della curva della domanda. Nella maggior parte dei casi, il tempo a disposizione per comunicare un messaggio ai clienti è limitato a qualche secondo, poiché le persone dedicano soltanto qualche istante a un annuncio pubblicitario stampato e la maggior parte dei commercial radiofonici e/o televisivi dura 30 secondi o meno. Infine, la pubblicità è meno persuasiva rispetto alla vendita personale. II. Vendita personale

La vendita personale (personal selling) è una comunicazione personale a pagamento che cerca di informare i clienti e di persuaderli ad acquistare prodotti in una situazione di scambio. Per esempio, un venditore che illustra a un cliente i vantaggi di un laptop Sony VAIO in un determinato punto vendita è impegnato in un’attività di vendita personale. Il telemarketing, ossia la vendita diretta via telefono, fa forte affidamento sulla vendita personale; però gli atteggiamenti negativi dei

78 Pride W. M., Ferrell O. C., Marketing (Vol. 1 della collana di Management, Il sole 24 ore, Edizione italiana a cura di Stefano Podestà), Egea, Milano, 2005. 79 Time, www.time-planner.com/planner2001/home.html, 19 luglio 2001.

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consumatori e le regolamentazioni che limitano il telemarketing ne hanno diminuito l’efficacia come tecnica di vendita personale.

La vendita personale conferisce agli operatori di marketing la massima libertà di adattare un messaggio in modo da soddisfare il bisogno di informazioni dei clienti. Rispetto ad altri metodi di comunicazione, la vendita personale è il più preciso, perché permette agli operatori di marketing di focalizzarsi sulle prospettive di vendita più promettenti. Altri elementi del mix promozionale sono diretti a gruppi di persone tra le quali possono non esserci clienti potenziali; si tratta in questo caso di persone fuori target. Con il personal selling, invece, il target è ben focalizzato e preciso.

Paragonata alla pubblicità, la vendita personale presenta sia vantaggi che svantaggi. La pubblicità è una comunicazione generale diretta a un’audience obiettivo relativamente grande, mentre la vendita personale implica una comunicazione più specifica diretta a una o alcune persone. Raggiungere una persona attraverso la vendita personale costa molto di più che raggiungerla attraverso la pubblicità, ma le attività di vendita personale hanno spesso sui clienti un impatto maggiore. La vendita personale fornisce anche feedback immediato: consente agli operatori di marketing di adattare i loro messaggi per migliorare la comunicazione e li aiuta a determinare i bisogni di informazione dei clienti per rispondervi.

Quando un venditore e un cliente si incontrano faccia a faccia, usano vari tipi di comunicazione interpersonale. La forma predominante di comunicazione è la lingua, sia parlata sia scritta. Oltre la lingua gli interlocutori impiegano frequentemente la comunicazione cinesica, prossemica e tattile. Queste forme di comunicazione sono basate nei movimento della testa, degli occhi, delle braccia, delle mani, delle gambe o del torso, nella distanza fisica che separa gli interlocutori e nella sua variabilità durante il discorso e, infine, nel contatto fisico. Queste forme di comunicazione per risultare efficaci necessitano che il venditore capisca abbastanza i linguaggi del corpo80, cioè capisca di psicologia gestuale. III. Promozione delle vendite

La promozione delle vendite (sales promotion) è un’attività o un materiale che agisce da induzione diretta all’acquisto, offrendo del valore aggiunto o un incentivo per il prodotto ai rivenditori, ai venditori o ai consumatori.81 Si tratta di un insieme di attività che incentivano le vendite. Gli esempi comprendono campioni gratuiti, giochi, ribassi di prezzo, display, lotterie, gare, premi e buoni sconto (coupon). Pensate ai campioni gratuiti (product sample) della Red Bull che vengono distribuiti presso centri universitari, non a caso, con una Volkswagen Beetle.

La promozione delle vendite non dovrebbe essere confusa con la promozione: la promozione delle vendite (sales promotion) è soltanto una delle componenti logiche del sistema promozionale (promotion); le altre componenti sono la pubblicità, la vendita personale, le pubbliche relazioni.

80 Per maggiori approfondimenti sul tema si consiglia Molcho S., I Linguaggi del Corpo: Come il corpo comunica senza parole, Red Edizioni, 2007. 81 Burnett J. J., Promotion Management, Houghton Mifflin, Boston, 1993, pag. 7.

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Quando le imprese impiegano la pubblicità o la vendita personale, generalmente vi ricorrono su base continua o ciclica. L’uso della promozione delle vendite da parte di un’impresa tende invece a essere irregolare perché molti prodotti sono stagionali. Pensate alle promozioni delle uova di Pasqua dopo le feste, o ai biglietti d’aereo durante la bassa stagione.

Le imprese ricorrono spesso alla tecnica di promozione delle vendite per migliorare l’efficacia degli altri componenti del promotional mix. Per esempio, la Clorox (www.clorox.com) decise di ridurre il budget promozionale per i prodotti di marca Glad per due anni di fila, anche per compensare il prezzo crescente delle materie plastiche. Poiché i concorrenti non diminuirono i loro budget promozionali, la marca Glad perse una rilevante quota del mercato dei sacchetti per le immondizie (-10,3 %), dei sacchetti per alimenti (-10,6 %) e dei sacchetti per giardino (-23,2 %).82

Per quanto riguarda il decidere quali metodi di promozione delle vendite adottare (campioni gratuiti, giochi, ribassi di prezzo, display, lotterie, gare, premi e buoni sconto), gli operatori di marketing considerano numerosi fattori, in particolare le caratteristiche del prodotto (dimensioni, peso, costi, durata, usi, rischi) e le caratteristiche del mercato target (età, sesso, reddito, ubicazione, densità, tasso di utilizzazione e comportamento d’acquisto). Il modo in cui i prodotti vengono distribuiti e il numero e i tipi di rivenditori possono determinare il tipo di metodo impiegato. La scelta può essere influenzata anche dall’ambiente competitivo e legale.

L’uso della sales promotion è aumentato drasticamente negli ultimi 20 anni, principalmente a spese della pubblicità. Questo cambio di rotta negli investimenti promozionali è avvenuto per vari motivi. L’aumento dell’interesse per il valore ha reso i clienti più sensibili alle offerte promozionali, specialmente agli sconti sui prezzi e ai POP (point of purchase) display (espositori sul punto d’acquisto). Grazie alla loro dimensione e all’accesso ai dati acquisiti dagli scanner delle casse, i dettaglianti sono riusciti a ottenere un notevole potere all’interno della catena di fornitura (supply chain) e ora chiedono maggiori impegni promozionali ai produttori in modo tale da aumentare il loro margine commerciale. IV. Pubbliche relazioni

Sebbene molte attività promozionali siano incentrate sui clienti di un’impresa, per un’organizzazione risultano importanti anche altri stakeholder: fornitori, dipendenti, azionisti, media, ricercatori, investitori potenziali, funzionari pubblici e la società in generale. Per comunicare con i clienti e gli stakeholder il sistema impresa ricorre alle public relations (pubbliche relazioni, PR). Le PR possono essere definite come un ampio insieme di attività di comunicazione impiegate per creare e mantenere relazioni favorevoli (consonanza) tra sistema impresa e sovrasistemi di contesto. Il mantenimento di una relazione positiva, attraverso il meccanismo dell’interazione (risonanza), può influenzare le vendite e i profitti attuali di un’impresa, oltre che la sua sopravvivenza nel lungo periodo.

Le PR fanno ricorso a vari strumenti, inclusi rapporti annuali, brochure, sponsorizzazioni di eventi e di programmi socialmente responsabili diretti a salvaguardare l’ambiente o ad aiutare soggetti svantaggiati. Altri strumenti

82 Neff J., “Clorox gives in on Glade, Hikes trade Promotion”, Advertising Age, www-adage.com, 19 luglio, 2001.

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scaturiscono dall’impiego della publicity, una componente delle public relations. La publicity è comunicazione impersonale sotto forma di notizia su un’organizzazione e/o sui suoi prodotti trasmessa gratuitamente attraverso un mass media. Sono esempi di pubbliche relazioni basate sulla publicity i comunicati stampa, le conferenze stampa e gli articoli speciali. Le attività ordinarie di PR sono pianificate e implementate in modo da essere coerenti con gli atri componenti del comunication mix. Delle attività di PR possono essere responsabili un individuo o un dipartimento all’interno dell’organizzazione, oppure di esse può essere incaricata un’agenzia di PR indipendente. Situazioni sgradevoli ed eventi negativi, quali la contaminazione o manomissione dolosa dei prodotti o un disastro ambientale, possono determinare public relations sfavorevoli per un’organizzazione. Per ridurre al minimo gli effetti nocivi di una copertura avversa, gli operatori di marketing dispongono di politiche e procedure finalizzate a risolvere gli eventuali problemi di public relations. Per esempio, dopo aver subito una notevole publicity negativa a causa di incidenti automobilistici associati ad una difettosità al pedale dell’acceleratore, la casa automobilistica della Toyota ha preparato comunicati stampa in cui ha messo in rilievo il suo impegno per il ritiro dal mercato (product recall) dei prodotti sotto accusa, nonché il suo impegno verso la qualità degli stessi e la disponibilità a risolvere i problemi dei consumatori.

Le PR non dovrebbero essere considerate come un insieme di strumenti da utilizzare soltanto nei momenti di crisi aziendale. Per ottenere il massimo da esse, un’organizzazione dovrebbe avere un responsabile delle public relations al suo interno oppure esterno all’organizzazione stessa e dovrebbe sempre avere in atto un programma di PR.

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La distribuzione fisica e la distribuzione commerciale

Finora abbiamo trattato tutti gli argomenti principali della funzione di marketing, dall’analisi dei bisogni della clientela, fino all’incentivazione all’acquisto dei prodotti/servizi dell’impresa. L’ultima variabile del marketing mix (detto anche marketing operativo) è la distribuzione (placement). Non si può immaginare l’ideazione del prodotto, le sue politiche di prezzo e di promozione senza “accompagnare” poi il prodotto nei luoghi e nei tempi che vuole la clientela. La centralità della distribuzione viene significativamente colta in un’affermazione di James L. Heskett: “Quando un frigorifero non è un frigorifero? Quando si trova a Pittsburgh, mentre chi ne ha bisogno si trova a Houston”. Perciò, l’accompagnamento dei prodotti necessita l’individuazione e lo sfruttamento dei canali di distribuzione.

Un canale di distribuzione (chiamato anche canale di marketing, canale commerciale o sistema distributivo) è un gruppo di individui e di organizzazioni che dirige il flusso dei beni dai produttori ai clienti (intermedi e finali). Il compito principale dei canali è quello di rendere disponibili i prodotti al momento giusto, nel luogo giusto, nelle quantità e nelle qualità richieste. Alla base delle decisioni di canale di distribuzione dovrebbe esserci la forza propulsiva di un orientamento alla customer satisfaction; per i membri del canale i bisogni e il comportamento degli acquirenti sono cruciali. Attraverso il concetto di canale di distribuzione si può richiamare la distinzione concettuale tra distribuzione commerciale e distribuzione fisica.

Nella distribuzione commerciale rientra l’insieme delle decisioni sul canale da scegliere, sul tipo e sul numero degli intermediari, sul tipo di rapporto commerciale, di comunicazione e di controllo che lega l’azienda all’intermediario. Appartengono, invece, alla distribuzione fisica le scelte che riguardano la dislocazione degli impianti, dei magazzini e dei punti vendita, la quantità di scorte da tenere in magazzino, la quantità e il tempo delle ordinazioni e tutte le decisioni che riguardano il movimento fisico di materie prime e beni che si misurano in termini di tempo e di spazio: tempo e spazio sono dunque gli elementi caratterizzanti la distribuzione fisica83.

Nella letteratura dell’economia d’impresa gli schemi interpretativi dei diversi autori in merito ai temi di marketing e distribuzione sono stati divergenti. Tanti dubbi e dibattiti hanno abbracciato il tema della distribuzione fisica e del marketing, tanto che negli indici dei manuali di gestione d’impresa marketing e distribuzione (fisica) venivano (e vengono) classificati e trattati separatamente. In sostanza, con il quarto “P” del marketing mix, il placement, ci si intende, tra i tanti manuali, la distribuzione commerciale lasciando a parte la distribuzione fisica (detta anche logistica di distribuzione). Tale dicotomia tra marketing e distribuzione, e tra distribuzione commerciale e distribuzione fisica (a tutto detrimento di quest’ultima), poteva anche non suscitare perplessità in un’epoca diversa dall’attuale, in cui l’attenzione veniva ancora posta alla produzione e non già alla razionalizzazione della distribuzione e alla conservazione della ricchezza.

83 Panati G., Franch M.,1987, op. cit., pag. 597.

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Attualmente non ci si pone più come unico obiettivo l’incremento continuo delle vendite: l’accento va spostandosi al “quando” (quando è più razionale comprare, vendere, consumare, ordinare) e al “dove” (qual è la dislocazione più razionale, dove la ricchezza è più produttiva e sicura); ecco che allora la distribuzione fisica non può non assurgere ad un ruolo di primo piano, visto che i benefici di tempo (dati dallo stoccaggio) e di luogo (dati dal trasporto) sono i naturali elementi della logistica. Considerare la distribuzione fisica come separata dal marketing, e ad esso asservita, significa svuotare il marketing stesso di gran parte dei suoi più odierni contenuti, relegandoli inevitabilmente ad un ruolo, quello logistico, cui, seguendo le premesse concettuali ora esposte, non andrebbe nemmeno assegnato un responsabile nell’organigramma dell’impresa. Al di là di tutte le distinzioni teoriche è bene dunque ricordare che, soprattutto al giorno d’oggi, la distribuzione nel suo complesso non può essere separata dal marketing e nel marketing d’impresa essa deve avere un ruolo di pari importanza a quello dello studio del prodotto, del prezzo e della promozione. Solo con una visione olistica del marketing l’uomo d’impresa può vincere la battaglia che l’oggi (e il domani) gli presenta: la “redistribuzione” degli impianti nelle moderne aree metropolitane, la reintroduzione di prodotti apparentemente superati, la differenziazione e il decentramento degli stocks.

In sintesi, il sistema della distribuzione commerciale non può emergere senza una o più strutture logico-fisiche appropriate. Il fatto che facciamo la spesa nei vari supermercati non si sarebbe giustificato se non esistesse un’infrastruttura (complesso di strutture logico-fisiche) che accompagnasse i prodotti in queste configurazioni commerciali (grossisti e dettaglianti). Per esempio, il vino si commercializza in diversi punti vendita, ma non viene prodotto negli stessi. L’offerta di una bottiglietta di vino non comincia nei supermercati, ma ha la sua origine nella coltivazione dell’uva da parte dei produttori agricoli. Una volta coltivata dai produttori agricoli, l’uva viene trasformata in vino secondo i rispettivi processi da parte dei produttori industriali. Si ha poi il bisogno di trasferire il prodotto finito dal produttore al consumatore. Questo processo viene eseguito attraverso vari operatori logistici (componenti della struttura) che fanno da infrastruttura per gli operatori commerciali. Da questo esempio ne deriva un punto d’arrivo importante: distribuzione fisica e distribuzione commerciale sono un continuum e la loro separazione darebbe l’immagine di un edificio con le fondamenta altrove.

1.1 – La distribuzione fisica

La distribuzione fisica, nota anche come logistica di distribuzione84, è l’insieme delle attività necessarie per trasferire i prodotti dai produttori ai consumatori. Tali attività comprendono la gestione degli ordini (order processing), la gestione delle

84 Si ricorda che il processo logistico comprende tre unità logiche, come da qualche autore classificato così: logistica di approvvigionamento (inbound logistics), logistica di produzione (operations), logistica di distribuzione (outbound logistics). Per ulteriori informazioni sulla logistica di distribuzione si consiglia: Massaroni E., Il sistema logistico: Progettazione, governo, e gestione della logistica e della supplì chain, Cedam, Padova, 2008.

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scorte (inventory management), lo stoccaggio (warehousing) la movimentazione dei materiali (materials handling) e il trasporto.

All’interno del canale distributivo le attività di distribuzione fisica possono essere svolte da un produttore, un grossista o un dettagliante, oppure possono esser affidate in outsourcing. Nel contesto della distribuzione, l’outsourcing è l’assegnazione in appalto di compiti di distribuzione fisica a terzi, chiamati diversamente operatori logistici. Gli operatori logistici (logistics service providers, LSP)85 sono imprese che hanno competenze specifiche in determinati ambiti, quali lo stoccaggio, il trasporto, il supporto con tecnologie informatiche (IT), la consulenza logistica, ecc. I benefici dell’outsourcing a operatori logistici derivano dal fatto che essi sono specializzati nelle attività che svolgono. La specializzazione, le economie di scala, le economie di scopo e di apprendimento, comportano minori costi e maggiore qualità di servizio. Costi più bassi e qualità alta vengono tradotti in un rapporto qualità/prezzo migliore e, di conseguenza, in un maggior customer satisfaction.

Dal momento che può diminuire i costi e aumentare la customer satisfaction, la pianificazione di un efficiente sistema di distribuzione fisica (pianificazione logistica) ha importanza cruciale per lo sviluppo di un’efficace strategia di marketing. La velocità di consegna, il servizio eccellente e l’affidabilità sono spesso tanti importanti quanto i costi per i clienti. Le imprese che dispongono beni/servizi giusti, nel posto giusto, al momento giusto, nella quantità giusta e con i servizi di supporto giusti sono in grado di vendere più dei concorrenti che ne sono sprovvisti. Perciò, tempo, spazio, quantità e qualità sono le variabili basilari della customer satisfaction. Per esempio la FedEx (Federal Express), leader mondiale nel trasporto delle cose, offre parecchi vantaggi in termini di servizio di consegna, quali tempi di consegna predefiniti e garanzia di rimborso, possibilità di contattare gratuitamente il Servizio Clienti FedEx in tutta Europa, documentazione di facile compilazione, imballaggi gratuiti, sistemi di sdoganamento rapidi ed efficienti, monitoraggio avanzato in tempo reale, pacchetti software gratuiti per le spedizioni, prova di consegna su tutte le fatture86.

Oggi, le tecnologie dell’informazione sono la componente più importante degli operatori logistici. Per esempio, lo stesso FedeEx offre il servizio FedEx Insight: inserendo semplicemente una login ID creata appositamente per utilizzare il programma, oppure il numero di lettera di vettura della spedizione, i clienti hanno la possibilità di visualizzare lo status e il contenuto dei pacchi che verranno ricevuti e che sono stati inviati, mentre questi sono ancora in viaggio.

L’offerta dei servizi logistici comporta fisiologicamente dei costi. Anche se i responsabili della distribuzione fisica tentano di minimizzare i costi associati alla gestione degli ordini, alla gestione delle scorte, alla movimentazione dei materiali, allo stoccaggio e al trasporto, l’abbassamento di tali costi in un’area provoca spesso un aumento degli stessi in un’altra. Alcuni autori definiscono il costo proporzionale di ciascuna funzione della logistica come percentuale del costo di distribuzione totale: trasporto 48%, stoccaggio 19%, tenuta delle scorte 23%, gestione degli ordini 6%, amministrazione 4 %.87 Un approccio alla distribuzione fisica basato sul costo 85 Per maggiori approfondimenti sul tema si consiglia: Cozzolino A, Operatori logistici, Cedam, Padova, 2009. 86 www.fedex.com, www.fedexemea.skillport.com. 87 Herbert W. Davis & Co, Logistics Cost and Service, Fort Lee, NJ, 2000.

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totale permette ai manager di considerare la distribuzione fisica come un sistema anziché come un insieme di attività non correlate. Questo approccio sposta l’attenzione dalla riduzione dei costi separati delle singole attività alla minimizzazione dei costi complessivi di distribuzione. I responsabili di logistica devono essere attenti alla questione dei trade-off tra costi: ci può essere bisogno di costi più alti in un’area funzionale in un sistema distributivo per ottenere costi più bassi in un’altra. I trade-off comportano decisioni strategiche per aggregare (e riaggregare) risorse allo scopo del miglior impiego delle stesse.

Un altro importante scopo della distribuzione fisica attiene alla riduzione del tempo di ciclo, l’intervallo di tempo necessario per portare a termine un processo, in questo caso quello logistico. Il tempo, in effetti, non deve essere considerato soltanto nella fase della logistica di distribuzione, ma deve essere ottimizzato in tutte le fasi della supply chain. Se esiste un ritardo ( un non just in time) nella distribuzione del prodotto finito, probabilmente questo ritardo dipende anche dai tempi di produzione (logistica di produzione o operations) e quelli di approvvigionamento (logistica di approvvigionamento o inbound logistics) dell’impresa industriale. Ne consegue che il focus sulla supply chain deve essere sistemico e deve abbracciare sia il primo fornitore che l’ultimo distributore della catena di fornitura.

La riduzione dei tempi è una fonte di vantaggio competitivo. Moli corrieri espressi che assicurano la consegna entro 24 ore, i principali news media e gli editori di instant book, usano la riduzione del tempo di ciclo per acquisire un vantaggio competitivo. Attraverso applicazioni di logistics management sul Web, le imprese sono in gradi di ridurre fino al 33 per cento i tempi di ciclo e fino al 30 per cento le proprie scorte. Per esempio, nel settore dei giocattoli il successo si incentra spesso sulle capacità dei dettaglianti di prevedere quale sarà la prossima moda nel campo dei giocattoli 6-12 mesi prima che il prodotto sia commercializzato. Questo fa si che il dettagliante, una volta analizzati i bisogni, i desideri, e il trend del mercato, manda un ordine al produttore, il quale, a sua volta al fornitore; così i tempi di ciclo si riducono e il dettagliante ne uscirà con la merce pronta al mercato più velocemente rispetto ai suoi concorrenti. Dal esempio precedente si deduce che il tempo deve essere calcolato lungo tutta la catena di fornitura, altrimenti emerge il rischio dei cosiddetti colli di bottiglia che rallentano il flusso dei prodotti indirizzati verso i consumatori. I tempi rallentati aumentano la sensibilità dei consumatori e la loro churn rate (il tasso di spostamento della domanda da un concorrente a un altro, ovvero l’abbandono di un concorrente per un altro).

1.2 – La distribuzione commerciale come sistema

1.2.1 – Le componenti del sistema

Come tutti i sistemi anche la distribuzione, vista in quest’ottica, è dotata da una struttura che, a sua volta, include delle componenti logico–fisiche. Le componenti basilari della del sistema distribuzione commerciale sono il commercio, la distribuzione, il sistema distributivo, le strutture commerciali, gli operatori commerciali e i canali commerciali.

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Da un punto di vista teorico è opportuno indicare secondo quali accezione si usano i termini distribuzione e commercio al fine di disporre di alcuni strumenti definitori sufficientemente circoscritti.

Il commercio rappresenta una categoria logica mediante la quale si esprime lo scambio di merci e/o servizi. Si tratta di un evento ripetuto che contraddistingue le relazioni tra imprese, evento configurato come scambio di qualche cosa.

La distribuzione, invece, è espressione delle modalità secondo le quali si effettua lo scambio, ovvero il modo con il quale prodotti e servizi vengono ripartiti o disposti.

Da un punto di vista economico–funzionale, possiamo dire che il commercio consiste nella realizzazione di un efficiente collegamento tra produzione e consumo, nel rendere cioè disponibili i beni di consumo nei luoghi, nei tempi e con le modalità preferite dai consumatori88.

Tale funzione è presente in tutte le aziende industriali nella misura in cui esse debbano approvvigionarsi della materia prima o del semilavorato e trasferire il prodotto (finito o semilavorato) al mercato finale o intermedio.

La distribuzione riassume invece le scelte e le strategie che guidano “l’ideale sentiero” che il prodotto deve percorrere per giungere sul mercato di consumo o di utilizzo.

La funzione distributiva, fatta eccezione per le imprese caratterizzate da integrazione verticale (riunificazione sotto un’unica proprietà di due o più anelli della catena produttiva e/o distributiva che in genere si presentano separati) è normalmente svolta da agenti esterni all’organizzazione produttiva, per cui essa non è presente in tutte le aziende.

All’interno della distribuzione commerciale è possibile compiere un ulteriore distinguo parlando di sistema distributivo, designandolo come “il trasferimento fisico– economico–giuridico dei beni dalla produzione al consumo finale”89.

L’insieme delle unità decisionali e delle unità produttive di servizi che svolgono in modo specialistico o generale una o più funzioni commerciali costituisce la struttura commerciale.90

Ad ogni struttura commerciale corrisponde un certo mix di servizi, prezzi e merci offerte ai consumatori. I soggetti che utilizzano le strutture distributive e regolano le operazioni commerciali vengono indicati come operatori commerciali o intermediari. Gli operatori commerciali sono soggetti che, all’interno del sistema distributivo, svolgono le operazioni di scambio e governano le strutture commerciali.

Le diverse combinazioni di intermediari commerciali che sezionano la via del prodotto verso il compratore, rappresentano i canali commerciali. Il canale commerciale fa riferimento ai diversi trasferimenti di proprietà che il prodotto subisce prima di giungere al mercato finale.

88 Lugli G., Il commercio nell’economia italiana, Il Mulino, Bologna, 1978, pag.102. 89 Scott G. W., Santagostino M., Impresa e mercato: dispense del corso di tecnica delle ricerche di mercato e della distribuzione generale, I.S.U., Università Cattolica, Milano 1984. 90 Cfr. Panati G., Lezioni A.A. 1983784, Università di Verona.

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1.2.2 – Le strutture operative

Precedentemente abbiamo affermato che le strutture commerciali sono costituite dall’insieme delle unità decisionali e delle unità produttive di servizi che svolgono in modo specialistico o generale una o più funzioni commerciali. Potremmo aggiungere ora che tali unità prendono anche il nome di imprese commerciali e che possono essere ripartite in due grandi categorie.

Nella prima possiamo raggruppare le imprese che acquistano (da produttori o da altri intermediari commerciali) per rivendere al consumatore o utilizzatore finale, cioè le imprese di commercio al dettaglio.

Nella seconda categoria possiamo comprendere invece quelle imprese che acquistano (sempre da produttori o da altri intermediari commerciali) per rivendere a imprese al dettaglio, ad altre imprese intermediarie commerciali, a imprese di produzione, a imprese di servizi, ad enti ed istituti. Sono tali le imprese di commercio all’ingrosso.

I. Commercio e operatori al dettaglio

Come abbiamo delineato in precedenza il commercio al dettaglio è l’ultimo anello della catena distributiva commerciale, quello direttamente legato al consumatore o utilizzatore finale (famiglie, individui, imprese).

Secondo i criteri gestionali ed organizzativi possiamo distinguere tra piccolo dettaglio o dettaglio tradizionale, e grande dettaglio o grande distribuzione organizzata (GDO).

Nel dettaglio tradizionale la dimensione del business è assai contenuta e l’organizzazione gestionale è quasi sempre in mano dello stesso imprenditore-proprietario, che si avvale spesso di strumenti estremamente semplici. In questa categoria possiamo distinguere tra il dettaglio indipendente e la superette (minimarket).

Dettaglio indipendente. Nel dettaglio indipendente il criterio gestionale è quello familiare (tipico del mercato italiano) con funzioni accentrate. Il business che viene configurato è di dimensioni piccole e in prossimità al cliente. Il punto di vendita generalmente è unico e le modalità di vendita sono quelle tradizionali.

Superette. La superette può essere definita come un esercizio prevalentemente alimentare, con una superficie di vendita compresa fra i 200 e i 400 mq., fino a 1000 mq., avente caratteristiche analoghe al supermercato, ma con un assortimento e una gamma di prodotti quantitativamente e numericamente inferiori, in rapporto alla minore superficie di vendita.91

La superette è quindi una specie di supermercato alimentare caratterizzato da dimensioni economiche, finanziarie, organizzative e fisiche, minori. Rispetto al dettaglio indipendente la superficie di vendita della superette è maggiore, le modalità di vendita sono quelle tradizionali ma con qualche elemento di libero servizio, la gestione va da quella familiare a quella imprenditoriale e, infine, la localizzazione prende sfumature che variano da quelle del negozio tradizionale (prossimità al cliente) a quelle del supermercato. In sintesi, la superette è una via di

91 Ravazzi G., Le strutture commerciali in Italia: situazione e prospettive, F. Angeli, Milano, 1967, pag. 149.

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mezzo tra il dettaglio indipendente e il supermercato. Un esempio al riguardo sono i negozi Margherita Conad.

Ora passiamo al grande dettaglio o alla grande distribuzione organizzata. La grande distribuzione organizzata (GDO), è l’evoluzione del commercio dal dettaglio all’ingrosso. È composta da grandi strutture o grandi gruppi (in alcuni casi multinazionali) con molte strutture distribuite su tutto il territorio nazionale, internazionale o addirittura mondiale. Nel gergo tecnico si distingue tra strutture della Grande Distribuzione (GD) e strutture della Distribuzione Organizzata (DO). Le prime vedono grosse strutture centrali gestite da un unico soggetto proprietario, che gestiscono punti di vendita quasi sempre diretti. Gli attori più importanti sul mercato italiano sono sicuramente Carrefour, Auchan, Coop, Conad e Esselunga. Le seconde vedono invece piccoli soggetti aggregarsi secondo la logica de l’unione fa la forza: attraverso infatti l’adesione ai gruppi d’acquisto i piccoli e medi dettaglianti possono ottenere agevolazioni economiche in termini di approvvigionamento, derivanti dal maggior potere contrattuale nei confronti dell’industria da parte delle centrali. Inoltre vi sono anche vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del marchio e dall’ottenimento di supporto in termini di know-how e coordinamento strategico. In Italia i gruppi più importanti sono sicuramente Interdis, Selex, Sisa e Despar.

Ad integrare le due tipologie distributive vi sono, inoltre, le cooperative di consumatori e le cooperative di dettaglianti. Le prime vedono nel principale attore Coop Italia, mentre le secondo Conad, entrambe con sede a Bologna. Di norma i sistemi cooperativi vengono comunque inseriti all’interno dei gruppi della Grande Distribuzione.

In generale, in Italia la GDO soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano soverchiate dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati, rispettivamente dominati da gruppi tedeschi e francesi. Ne consegue anche una totale assenza di gruppi italiani nei mercati esteri, mentre in Germania e Francia dominano le proprie catene nazionali. Nessun gruppo italiano ha una diffusione capillare in tutto il Paese, ad eccezione delle cooperative di consumatori Coop e di dettaglianti Conad. Oltre a Esselunga, attiva solo nel settore supermercati, tra i gruppi nazionali si fanno notare anche Iper, Bennet e Panorama: da notare che questi ultimi due si riforniscono dalla stessa centrale di acquisto intermedia e si presentano in maniera estremamente simile, ma sono finora diffusi capillarmente solo in aree limitate e diverse del Paese, senza mai farsi concorrenza; un’eventuale loro fusione, similmente a quanto accaduto nello sviluppo delle catene d’oltralpe, farebbe di questo gruppo il maggiore in Italia, anche davanti a Coop, ma è una realtà abbastanza lontana dal concretizzarsi.

Le configurazioni commerciali, ossia i canali di vendita della GDO sono ampie, perciò pare esigente elencare e analizzare brevemente le diverse forme espressive della GDO.

Grandi magazzini. I grandi magazzini sono strutture commerciali operanti prevalentemente nel campo non alimentare, di dimensioni grandi, che possono oltrepassare una superficie di 30.000 mq, eventualmente ripartita su vari piani (si pensi che un campo di calcio misura da 8.000 a 8.500 mq).

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In Italia il primo grande magazzino sorse nel 1899 a Milano, col nome “Alle città d’Italia”; dopo un incendio risorse col nuovo nome “La Rinascente”, assegnatoli da Gabriele D’Annunzio.

La caratteristica principale di queste strutture è la combinazione logistica di parecchie decine (talvolta centinaia) di reparti che pongono in vendita merci e servizi diversi. I servizi collaterali all’acquisto hanno assunto un ruolo determinante nell’attività dei grandi magazzini: al loro interno si sono infatti inseriti ristoranti, agenzie viaggi, sportelli bancari, sale per la custodia dei bambini, ecc. Si potrebbe dire che i grandi magazzini hanno non sono semplici punti di vendita (point of sale), ma anche punti di intrattenimento (point of entertainment).

Ipermercato. Un ipermercato è un’area attrezzata per la vendita al dettaglio con superficie di vendita superiore ai 2.500 metri quadrati. Con l’aumento esponenziale delle superfici degli ipermercati, questi sono oggi stati suddivisi in sotto-categorie: dai 2.500 ai 4.000 mq si parla di “mini-iper”, tra i 4.000 e i 10.000 mq si parla di ipermercati propriamente detti, oltre i 10.000 mq si parla di grandi ipermercati (o megastore). Il format mini-iper si sovrappone parzialmente per metratura al format superstore (1.500-3.000/3.500 mq): a differenziare i due formati è il differente peso e articolazione del settore non food.

L’ipermercato si contraddistingue per l’ampio assortimento di scelta ed è composto di generi alimentari e non. Italia ne sono esempi Auchan, Carrefour, Cityper Sma, Ipersidis, ecc. Se l’ipermercato vende solamente prodotti alimentari e detersivi viene definito “iperalimentare”. Nella tendenza attuale si vanno sviluppando assortimenti con beni di consumo semidurevoli (non food), quali prodotti di elettronica come impianti stereo, televisioni, radio, elettrodomestici, computer, oggetti legati alla telefonia, ecc. Spesso nella struttura è compreso anche un rilevante numero di altri negozi (galleria) che offrono assortimenti differenziati per qualità o prezzo. In tale caso si parla di centro commerciale o outlet.

Supermercato. Un supermercato è un punto vendita al dettaglio a libero servizio di prodotti di largo consumo con una superficie compresa tra 400 mq e i 2.500 mq. Oggigiorno nei supermercati si vendono non soltanto prodotti alimentari, ma anche alcuni altri generi, quali cosmetici e farmaci non soggetti a prescrizione medica (farmaci da banco).

Il fatturato è il principale indicatore della dimensione di un supermercato e della sua capacità di “fare massa” (massa critica), per avere un forte potere contrattuale (rilevanza in termini di influenza sistemica) verso i fornitori e ottenere prezzi più bassi.

Per l’elevato afflusso di liquidità, si è pensato di abbinare l’attività dei supermercati a quella bancaria. Gli incassi divengono in parte depositi della banca, che servono ad espandere il credito con riserva frazionaria92. Un solido esempio è la Unipol e la Lega delle Cooperative.

All’interno di un gruppo di società, il supermercato fornisce la liquidità necessaria a pagare i salari, fornitori e gli altri costi, riducendo il ricorso a

92 La riserva frazionaria è la percentuale dei depositi bancari che per legge la banca è tenuta a detenere sotto forma di contanti o di attività facilmente liquidabili. Tale riserva è l’insieme delle poste contabili che, in percentuale rispetto ai depositi, un istituto di credito non può erogare.

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temporanei indebitamenti con le banche per il pagamento delle spese correnti (indice di una gestione negativa dell’impresa). In questo senso aumenta l’autonomia finanziaria di una società.

Ne sono esempi di supermercati che operano in Italia insegne quali Sidis, Pam, SISA, Conad, Despar, ecc.

Discount store. Il discount è un punto vendita al dettaglio a libero servizio di prodotti di largo consumo con una superficie quasi sempre inferiore ai 1.000 mq, ad assortimento ristretto.

Il sistema distributivo del discount è nato in Germania subito dopo la seconda guerra mondiale. Oggi, alcuni leader tedeschi sono Lidl (operativo anche in Italia sin dal 1992) e ALDI.

Come indicato dal nome stesso, il discount è un punto vendita all’interno del quale è possibile trovare merce a prezzi più bassi rispetto ad analoghi prodotti venduti in altre tipologie di negozi. Rispetto ai dettaglianti tradizionali i discounter accettano margini commerciali più contenuti in cambio di un grande volume di vendita. Tale caratteristica viene perseguita dal punto vendita attraverso precise scelte commerciali, che possono essere: minor assortimento, vendita di marchi commerciali meno conosciuti, abbattimento dei costi per il personale e per l’allestimento, abbattimento delle quote di guadagno percentuale (con l’obiettivo di aumentare il guadagno complessivo puntando al volume di vendita), ottimizzazione dei sistemi di distribuzione e di approvvigionamento.

Sebbene in massima parte il discount punti alla vendita di prodotti alimentari, esistono discount specializzati anche in altri settori (elettrodomestici, casalinghi, attrezzature sportive, ecc.).

Le principali strutture operative discount in Italia sono Eurospin, Lidl Italia, In’s Mercato (azienda del Gruppo PAM), ecc.

Superstore. I superstore, nati in Europa, sono punti di vendita al dettaglio giganti che offrono prodotti alimentari e non. Questi centri combinano caratteristiche dei discount store, dei supermercati e degli ipermercati. Ne sono esempi i Wal-Mart Supercenters. Nella realtà italiana, invece le prime imprese ad usare il nome “superstore” sono state Sma e Standa, ma la catena che ha sviluppato questo format, in maniera precisa, è stata Esselunga. In Italia la quota di mercato complessiva, nella GDO, dei supersotre è pari al 6,8%.

Nei superstore, il contenuto dei prodotti è simile a quello dei supermercati ma, quantitativamente, con un numero di articoli pari al quadruplo.

La superficie può coprire un’area fino a 20.000 mq.

Magazzino showroom. Un magazzino showroom è un punto vendita al dettaglio con cinque caratteristiche fondamentali: edifici grandi di basso costo; tecnologia di movimentazione dei materiali di magazzino; display verticali delle merci; grandi scorte nei locali del punto vendita e servizi minimi. L’IKEA, azienda svedese, è un esempio mondiale di questa categoria.

I prezzi offerti alla clientela sono bassi e sono dovuti ai bassi costi. La riduzione dei costi si deve al fatto che alcune funzioni, quali il trasporto e a volte persino l’immagazzinamento della merce, sono state trasferite ai consumatori; la maggior

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parte di loro portano via la merce acquistata nell’imballaggio del produttore, anche se i punti vendita eseguono consegne a pagamento.

II. Commercio e operatori all’ingrosso

La legge del 11 giugno 1971 n.426, abrogata poi dal Decreto legislativo del 31 marzo 1998 n.114, definisce grossista “chiunque professionalmente acquista merci a nome e per conto proprio e le rivende o ad altri commercianti grossisti o dettaglianti, o ad utilizzatori professionali, o ad altri utilizzatori in genere”.

Le caratteristiche di una transazione grossista non attengono solo alla quantità acquistata, ma alla finalità di chi effettua l’acquisto, ai diversi metodi di vendita applicati, all’ampiezza del territorio servito, all’assortimento dei prodotti trattati, al prezzo per unità di prodotto. “Pertanto la diversa destinazione dei beni, in quanto diverse le motivazioni di chi effettua l’acquisto, può assumersi senza dubbio come il più qualificante carattere distintivo tra commercio al dettaglio e commercio all’ingrosso”. 93

Nella categoria delle imprese all’ingrosso si comprendono, per la sostanziale identità funzionale-commerciale, le imprese di import-export e i concessionari contraenti in proprio, poiché entrambe queste categorie si assumono le funzioni di compravendita dei beni svolgendo tutte o gran parte delle funzioni di commercializzazione connesse.

In quanto non attuano il trasferimento fisico e/o della proprietà dei beni commercializzati non si considerano grossisti i concessionari che operano in nome proprio ma per conto di un terzo committente, i broker, i mediatori, gli agenti rappresentanti, le agenzie di vendita o di acquisto, i commissionari, le imprese di trasporto e quelle di puro deposito. Tutte queste figure sono infatti dei puri e semplici sussidiari delle attività commerciali, che svolgono anche alcune delle funzioni di commercializzazione , ma mai quelle fondamentali di compravendita.

Per lo stesso motivo, non si considerano nemmeno le imprese di produzione e quelle di commercio al dettaglio che integrano le proprie funzioni con quelle tipiche dell’intermediazione grossista; l’integrazione fa si che si violi il principio di autonomia giuridica ed economica di ogni singola impresa intermediaria.

Esposte le linee definitori del commercio all’ingrosso, nasce l’esigenza di conoscere e classificare gli operatori principali grossisti. I grossisti sono classificati secondo vari criteri. Il fatto che un grossista sta sia di proprietà di un operatore indipendente oppure di un produttore ne influenza la classificazione. Perciò i grossisti possono essere raggruppati a seconda che acquistano o no il titolo di proprietà dei prodotti che trattano. Un altro criterio usato per la classificazione è la gamma di servizi forniti. Infine, i grossisti possono essere classificati secondo l’ampiezza e la profondità delle loro linee dei prodotti. Usando questi criteri ne

93 Cfr. Sicca L., Ricerche di marketing e distribuzione commerciale, Cedam, Padova, 1967, pag. 228; Garrone N., La scienza del commercio, Vallardi, Milano, 1922, pag. 364-369; Amaduzzi A., Ragioneria applicata alle aziende mercantili operanti all’ingrosso, Cacucci, Bari, 1950, pag.16; Caprara C., Economia delle imprese commerciali. I principi, Giuffré, Milano, 1975, pag. 121; Fabrizi C., Aziende e strutture della distribuzione commerciale, Cedam, Padova, 1966, pag. 120; Stiassi P., Il grossita, Il Mulino, Bologna, 1972, pag. 8 e segg.

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escono fuori tre tipologie di grossisti: grossisti indipendenti, agenti e broker, filiali e uffici vendite dei produttori.

Grossiti indipendenti. I grossisti indipendenti sono imprese autonome che acquisicono il titolo di proprietà dei beni che trattano, assumendo i rischi associati alla proprietà, e che generalmente acquistano e rivendono quei beni ad altri grossisti, a clienti business o a dettaglianti. Questa categoria di grossisti contiene due sottocategorie: grossisti a servizio completo e grossisti a servizio limitato.

I grossisti a servizio completo coprono la gamma più ampia possibile di funzioni d’ingrosso. I clienti si rivolgono a loro per la disponibilità dei prodotti, gli assortimenti appropriati, l’assistenza finanziaria, consulenza, suddivisioni di grandi quantità in quantità più piccole. In questa sottocategoria di grossisti abbiamo:

grossisti generalisti (despecializzati) i quali trattano un ampio mix di articoli ma offrono una profondità limitata all’interno delle linee di prodotti;

grossisti a linee limitate che trattano soltanto alcune linee di prodotti, ma offrono un ampio assortimento di articoli all’interno di ciascuna linea;

grossisti specializzati che offrono la gamma di prodotti più ristretta, di solito un’unica linea di prodotti o un numero limitato di articoli all’interno di una linea di prodotti;

rack jobber i quali sono grossisti a servizio completo specializzati che possiedono e mantengono espositori e scaffali (display rack) in supermercati, farmacie, discount store e variety store (punti di vendita di merci diverse a basso prezzo). I rack jobber allestiscono display, marchiano le merci, riforniscono gli scaffali e mantengono la documentazione sulle fatture e sulle scorte; i dettaglianti devono fornire soltanto lo spazio.

I grossisti a servizio limitato invece sono specializzati soltanto in alcune funzioni. Le funzioni restanti sono svolte dai produttori. I grossiti a servizio limitato acquisiscono il diritto di proprietà delle merci ma spesso non si occupano della loro consegna, non concedono crediti, non forniscono informazioni di marketing, non stoccano scorte e non pianificano riguardo le esigenze future dei clienti. Anche questa sottocategoria di grossista indipendente comprende una propria classificazione:

grossisti cash & carry i quali sono intermediari i cui clienti – quasi sempre piccole imprese – pagano in contanti e provvedono autonomamente al trasporto delle merci acquistate. Loro trattano di solito una linea limitata di articoli con un elevato tasso di avvicendamento: prodotti grocery, materiali edilizi, materiali elettrici e forniture per uffici.

grossisti con consegna al punto vendita i quali trasportano una linea ristretta di prodotti direttamente ai punti vendita dei clienti. Si tratta spesso di piccoli operatori che guidano personalmente i propri autocarri, percorrono tragitti fissi, visitando dettaglianti e altri clienti per determinare i bisogni e riceverne gli ordinativi.

grossisti per corrispondenza che impiegano cataloghi anziché rappresentanti per vendere prodotti a dettaglianti e acquirenti business. L’ingrosso per corrispondenza consente agli acquirenti di scegliere e ordinare particolari articoli su catalogo e di riceverli attraverso vari corrieri (FedEx, UPS, ecc.).

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Agenti e broker. Gli operatori di questa categoria negoziano gli acquisti e facilitano le vendite ma non acquistano il titolo di proprietà dei prodotti. Questi operatori, noti anche come intermediari funzionali, svolgono un numero limitato di servizi in cambio di una provvigione, basata generalmente sul prezzo di vendita del prodotto. La differenza sostanziale tra agente e broker consiste nel fatto che gli agenti rappresentano gli acquirenti o i venditori su base permanente, mentre i broker sono intermediari che gli acquirenti o i venditori impiegano temporaneamente.

Filiali e uffici di vendita dei produttori. Questa è l’ultima categoria dei grossisti derivata dai nostri criteri di classificazione. Le filiali e gli uffici di vendita dei produttori, detti anche grossisti dei produttori, svolgono attività simili a quelle dei grossisti indipendenti.

Le filiali di vendita sono intermediari di proprietà del produttore che vendono prodotti e forniscono servizi di supporto alla forza vendita del produttore stesso. Le filiali di vendita. Queste filiali, ubicate lontano dall’impianto produttivo e generalmente presso i clienti più importanti, o laddove la domando è più alta, offrono servizio di credito alla clientela, forniscono assistenza promozionale alla forza vendita del produttore, forniscono il servizio di consegna dei beni, ecc.

Gli uffici di vendita, di proprietà del produttore, forniscono servizi normalmente associati agli agenti. Sono localizzati lontano dagli impianti produttivi, come le filiali vendite, ma, a differenza di queste, non sono dotati di scorte.

1.3 – Il nuovo contesto della distribuzione: l’Internet

Per designare le attività di marketing e le transazioni commerciali su Internet sono stati coniati numerosi termini. Uno di quelli usati più frequentemente è commercio elettronico (e-commerce), che è stato definito come «la condivisione di informazioni commerciali, il mantenimento di relazioni commerciali e la conduzione di transazioni commerciali mediante reti di telecomunicazioni»94.

Concentrando l’attenzione sulle attività della distribuzione, l’Internet può essere considerato come un nuovo canale di distribuzione. Da strumento, nella sua fase embrionale per il commercio, oggi, l’Internet è una vera e propria tecnica (sistema in via di compimento) e a breve si qualificherà come metodo commerciale a tutti gli effetti (sistema compiuto).

Nei nostri giorni va aumentando il numero delle imprese che sfruttano i progressi della tecnologia dell’informazione (IT) per sincronizzare le relazioni tra i propri impianti di produzioni o di assemblaggio dei prodotti e le operazioni di contatto con la clientela. Questo aumento della condivisione di informazioni (information sharing) tra varie operazioni dell’impresa facilita la personalizzazione (customization) dei prodotti. Le imprese sono in grado di utilizzare i propri siti Web per interrogare i clienti sui loro bisogni e poi creare i prodotti/servizi che soddisfano esattamente quei bisogni. Per esempio, la Gateway (www.gateway.com) e la Dell Computer (www.dell.com) aiutano i propri clienti a costruire i loro computer

94 Zwass V., “Electronic Commerce: Structures and Issues”, International Journal of Electronic Commerce, Fall 1996, pag. 3-23.

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chiedendo loro di specificare quali componenti includere; poi queste imprese assemblano il prodotto secondo le esigenze del cliente e dopo qualche giorno spediscono direttamente al clinete il prodotto personalizzato.

Datto che la distribuzione fisica diverge per come svolge i suoi processi dalla distribuzione commerciale, è facilmente intuibile che le modalità di usufruire dell’Internet cambiano per i due tipi di distribuzione.

Trattando ora della distribuzione fisica o logistica di distribuzione, ricordiamo che appartengono alla distribuzione fisica le scelte riguardanti la dislocazione degli impianti, dei magazzini e dei punti vendita, la quantità di scorte da tenere in magazzino, la quantità e il tempo delle ordinazioni e tutte le decisioni che riguardano il movimento fisico di materie prime e beni che si misurano in termini di tempo e di spazio: tempo e spazio sono dunque gli elementi caratterizzanti la distribuzione fisica. Considerando che tempo e spazio sono gli elementi essenziali della distribuzione fisica, allora optare per una logica customer satisfaction bisogna trovare il modo di aumentare l’efficienza spaziale-temporale. Il miglior mezzo conosciuto sino ad ora è Internet. L’Internet è una rete globale che attraversa i confini geografici (efficienza spaziale), è disponibile 24 ore su 24 ed offre una comunicazione e un’interazione real-time (efficienza temporale). D’altronde i costi di contatto tra i vari operatori sono bassi (efficienza economica).

Nel caso in cui la logistica di distribuzione avviene tramite Internet si tratta di logistica elettronica di distribuzione (e-logistics di distribuzione). Una possibile definizione di E-logistics95 potrebbe essere l’insieme dei processi necessari per il trasferimento delle merci vendute su Internet verso i consumatori96.

Un altro aspetto importante di E-logistics (per il produttore) è l’eliminazione o la riduzione del numero degli intermediari, quali grossisti e dettaglianti e di alcuni operatori logistici (logistics service providers). Comunque l’eliminazione o la riduzione di alcuni players tradizionali per chi sfrutta Internet si è bilanciato con l’emergere dei players innovativi. Questa è una deriva fisiologica dal momento che un contesto viene sostituito con un altro, perciò più che di eliminizaione di intermediari si tratterebbe, in una certa misura, di sostituzione degli stessi. Questi nuovi intermediari sono importanti per le imprese perché offrono un’ampia gama di servizi specializzati basata sulla tecnologia dell’informazione.

Alro aspetto rilevante è quello del miglioramento della gestione della distribuzione utilizzando intermediari on-line.

Prendiamo l’esempio della Descartes Global Logistics Network (www.descartes.com). La figura seguente rappresenta una sintesi della Descartes network.

95 In questa sede, per semplicità, intendiamo per E-logistics soltanto la logistica elettronica di distribuzione, poiché il termine di logistica ha un significato più ampio e comprende anche l’approvvigionamento e le operazioni di produzione. 96 Auramo J., Aminoff A., Punakivi M., Research agenda for e-business logistics on professional opinions: International Journal of Physical Distribution & Logistics Management, 2002; 32, 7; ANI/INFORM Global.

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I produttori (manufacturers) possono utilizzare la Descartes network per relazionare insieme i sistemi di ordinazione della produzione con quelli di controllo delle vendite in modo tale di avere in un panorama unico produzione e distribuzione. Questo sistema informativo basato sul Web aiuta i responsabili logistici di prendere decisioni logistiche proattive. I vantaggi principali sono le informazioni logistiche real-time e la riduzione dei costi logistici. A tal riguardo così si esprime Tim Hossack (Executive Director of Supply Chain, Coca-Cola Korea Bottling Company): “With Descartes, we reduced out-of-stocks while increasing delivery capacity by 13%. We now have better customer service and our costs are down.”97

Ora spostiamo il focus sulla distribuzione commerciale via Internet, in particolare sul commercio al dettaglio online.

Se nella distribuzione fisica tramite Internet abbiamo utilizzato il termine e-logistics di distribuzione, nel caso della distribuzione commerciale su Internet utilizzeremo il termine e-commerce o commercio elettronico. La guida pubblicata dal Forum Italiano sul Commercio Elettronico, con il Patrocinio del Ministero dell’Industria, definisce l’e-commerce come: «ogni iniziativa a supporto dell’attività commerciale di un’azienda che venga svolta sulla rete Internet»; il commercio elettronico non si limita pertanto alla sola fase di vendita di beni e servizi. Le imprese che operano con l’e-commerce si rivolgono ad un’utenza dislocata in ogni parte del mondo.

97 Per un approfondimento del caso di studio si faccia riferimento al link seguente:

http://www.descartes.com/resources/case_studies/coke_korea.pdf

Figura 20 – Descartes Global Logistics Network

Fonte: descartes.com

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I modelli di e-commerce variano ma sono sostanzialmente tre: B2B (Business to Business) in cui sia il venditore che l’acquirente sono

imprese. I risparmi di tempo nel processo degli ordini vanno dal 50 al 90%. Il B2B produce circa l’80% del volume d’affari dell‘e-commerce;

B2C (Business to Consumer) in cui il venditore è un’impresa e l’acquirente un privato. Il B2C è la forma più pubblicizzata del commercio elettronico. Può essere considerato come un’evoluzione della tradizionale vendita per corrispondenza con la differenza che il catalogo da consultare è elettronico, più o meno ricco a seconda del sito o dei beni/servizi che l’azienda propone. Il compratore, entrando nel negozio virtuale, può visionare i prodotti e ricevere informazioni più o meno dettagliate: alcuni siti presentano dei filmati descrittivi della merce, indicano la disponibilità del prodotto e i tempi di con-segna. Una volta fatta la scelta, il compratore deve compilare un modulo con i suoi dati e gli estremi della carta di credito. Se tutto procede secondo il percorso standard, l’operazione si conclude con l’arrivo a casa del compratore, nei tempi previsti, della merce ordinata;

C2C (Consumer to Consumer) in cui sia il venditore che l’acquirente sono consumatori. L’esempio più tipico è dato dalle aste on-line (esempio classico è quello di eBay), nelle quali un sito Internet offre lo spazio che permette la compravendita, senza intervenire nella transazione vera e propria.

Uno dei membri più visibili di ogni canale di marketing è il dettagliante e Internet sta diventando sempre più un punto di vendita al dettaglio. Questo strumento potente offre ai produttori di qualsiasi prodotto, dai computer alle prenotazioni dei viaggi, l’opportunità di promuovore gli scambi. Per esempio, Amazon.com ha venduto nel 2001 libri, CD, DVD, VHS, giocattoli, giocchi ed elettronica per più di 3 miliardi di dollari. Un’altra attività di vendita al dettaglio è rappresentata dalle case d’asta online, quali eBay (www.ebay.com) e BargainAndHaggle.com (www.bargainandhaggle.com), che vendono all’asta ogni cosa, dai prodotti di arte e antiquariato ai prodotti di elevato contenuto tecnologico.

La vendita al dettaglio tramite Internet sta manifestando nuove sfumatture di intermediazione che Strauss e Frost ragruppano in tre grandi categori98:

o la disintermediazione. La disintermediazione è quel fenomeno che si osserva quando i tradizionali canali di distribuzione e vendita di un prodotto/servizio vengono scavalcati, principalmente grazie all’uso delle reti informatiche (Internet). Il concetto di disintermediazione acquisisce particolare rilevanza nell'ambito del lavoro sociale in ambito di web 2.0. Non esendo più indispensabili gli intermediari, si fa ricorso alla vendita diretta via Internet.

o la re-intermediazione. La re-intermediazione può essere definita come la reintroduzione di un intermediario tra consumatore e produttore. Questa è una modalità di intermediazione nata per risanare le inefficenze derivanti dalla disintermediazione. Vendere direttamente online ha il suo costo: creare e sviluppare siti web di qualità, mantenere informazioni disponibili e aggiornate sui prodotti/servizi, effettuare spese di marketing. Per i

98 Strauss J., Frost R., E-marketing, Upper Saddle River, Prentice Hall, 2001.

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produttori, i limiti risiedono nel ciclo risorse-capacità-competenze riferito alla creazione e alla gestione dei rapporti virtuali diretti con i consumatori. Il superamento di tali limiti è avvenuto con i nuovi intermediari che popolano il contesto virtuale, quello online. Esempi di successo di questi intermediari sono Amazon e eBay.

o l’infomediazione. La perdita del contatto fisico che comporta la disintermediazione contribuisce all’emergere di un nuovo bisogno, quello di informazione. Da qui la comparsa di una nuova figura di intermediari intorno alla gestione dell’informazione, gli infomediari. Un infomediario lavora come agente personale di uno o più consumatori in modo da aiutarli di avere controllo sull’informazione posseduto (tramite diverse tecniche online, come i cookie per esempio) su di loro da commercianti e pubblicitari. Il concetto di infomediario è stato coniato per la prima volta dai consulenti di McKinsey e professori John Hagel e Marc Singer, nel loro libro NetWorth99. Diversamente dagli intermediari classici che ritrasmettono il messaggio dei fabbricanti al fine di condividere i margini generati, gli infomediari cpovolgono il processo, mettendosi al servizio del cliente e risolvendo problemi di asimetria informativa (garanzia di qualità sui produttori, informazione pertinente e non tendenziosa, ecc.).

Per quanto riguarda il commercio all’ingrosso via Internet questo è meno visibile ma di forte sostanza. Navigando su Internet si possono trovare diversi siti Web riferenti al commercio all’ingrosso. Per esempio, il sito Web www.grossista.info offre una vasta informazione sui grossisti mettendo a disposizione anche un elenco da consultare per chi è interessato a commercializzare. Oltre a ciò il sito offre vari servizi per grossisti e la possibilità di comprare direttamente on-line dai grossisti presenti nell’elenco; nel caso mancasse il grossista desiderato si può aggiungere dagli stessi utilizzatori del sito, lasciando sottintendere che questo sito si comporta anche come un open source software offrendo un margine di interattività elevata.

99 Hagel J., Singer M., NetWorth, Harvard Business School Press, 1999.

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