24
Anno 3 - N. 35 (#94) Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano - Supplemento culturale del Corriere della Sera dell’8 settembre 2013, non può essere distribuito separatamente Marco Tirelli per il Corriere della Sera Irrompere nella superficie per farne un abisso #94 Domenica 8 settembre 2013

la_lettura_20120908

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Settimanale di libri del Corsera 8 settembre 2012

Citation preview

Page 1: la_lettura_20120908

Anno

3-

N.3

5(#

94)P

oste

Italia

neSp

ed.i

nA.

P.-

D.L

.353

/200

3co

nv.L

.46/

2004

art.

1,c1

,DCB

Mila

no-

Supp

lem

ento

cultu

rale

delC

orrie

rede

llaSe

rade

ll’8

sette

mbr

e20

13,n

onpu

òes

sere

dist

ribui

tose

para

tam

ente

Marco Tirelliper il Corriere della Sera

Irrompere nella superficieper farne un abisso

#94Domenica

8 settembre 2013

Page 2: la_lettura_20120908

Una decina di anni fa, riflettendo sulle te-stimonianze che compongono il libroQuando i genitori si dividono: le emozio-ni dei figli, mi sembrava evidente che lagrandezza di un amore si misurasse dal-l’imponenza delle sue rovine. Ma ora ilmondo è così cambiato che quella meta-

fora mi appare improponibile: nella società liquida incui viviamo, tutto scivola via e la crisi degli affetti, an-che i più cari, lascia dietro di sé una scia di detriti pocovisibili e difficilmente valutabili. Significa forse che era-no inconsistenti? Che i legami amorosi si dissolvononell’indifferenza generale? Che il collante che ci tieneemotivamente uniti non funziona più e che ciascuno dinoi procede nella corrente del tempo nella solitudinedell’abbandono? Non credo. Penso piuttosto che la finedi una relazione venga spesso dimenticata, sottratta al-la riflessione e alla condivisione ma che, come un gru-mo opaco, continui a interferire sulle nostre vite e acondizionare le nostre scelte. Amore e odio costituisco-no da sempre i poli energetici che alimentano la nostravita e quando l’odio prevale, l’amore si inabissa, manon scompare. Nonostante ogni tentativo di normaliz-zare l’abbandono e di considerare irrilevanti le sue con-seguenze, lasciarsi non va da sé.

La separazione muta il copione della nostra vita, magli attori dello spettacolo precedente permangono sul-lo sfondo come presenze incancellabili. Nulla, infatti,va perduto e, negli archivi della memoria profonda,giacciono tanto le storie concluse quanto quelle inter-rotte, quelle che per certi versi continuano come quelleche avrebbero potuto accadere e non sono mai accadu-te, pronte a ricomparire nella forma ipotetica del «se».Ogni ricordo è correlato dalle emozioni corrisponden-ti, ma è raro che prevalgano quelle positive. Come san-no gli psicoterapeuti, nel ricordo prevale il dolore, qua-si le esperienze infelici fossero scritte nella mente conun inchiostro indelebile e quelle felici con una sostan-za volatile. Scoperchiare il passato vuol dire affrontarestati d’animo più o meno penosi, come la nostalgia, ilrimorso, il rimpianto. Eppure non vorremmo distrugge-re l’album dei ricordi, che raramente sfogliamo, perchésentiamo che racchiude la trama della nostra identità eche quanto accadrà non può essere disgiunto da quelloche è stato. Nella separazione degli affetti sono conte-nuti tutti i temi della nostra vita: il passato, il presente eil futuro, correlati dal filo della narrazione con cui cer-chiamo di conferire continuità e senso al mero succe-dersi degli avvenimenti. La motivazione che ci spinge aeseguire questo compito è l’amore, l’amor proprio in-nanzitutto nel senso di affermazione e valorizzazionedi sé, e l’amore per gli altri in quanto coautori e inter-preti della nostra storia.

Al «cogito ergo sum» di Cartesio aggiungerei la piùimpegnativa dichiarazione «amo ergo sum»: io sono laforza dei miei sentimenti.

Questa formula contiene due princìpi importanti: larelazione fonda l’identità (non c’è io senza l’altro); amo-re e odio coesistono. Dal loro impasto nasce l’armonia,dalla loro contrapposizione il conflitto. Mentre l’amoreunisce l’odio divide, ma se amo in modo assoluto pro-

voco una adesione fagocitante, se odio senza condizio-ni, una contrapposizione evitante. Come esemplifica ef-ficacemente Schopenhauer, noi siamo come i porcospi-ni: se stiamo troppo vicini ci pungiamo, se stiamo trop-po lontani abbiamo freddo. Ogni relazione comportadi stabilire la giusta distanza, di trovare una mediazio-ne tra la paura di perdere l’oggetto d’amore e il timoredi esserne invaso.

Il primo amore, quello materno, è totalizzante, pos-sessivo, un amore calibrato in modo da avvolgere e pro-teggere l’essere più indifeso del mondo, il neonato. Unamore al tempo stesso necessario e oppressivo dal qua-le il figlio cerca progressivamente di allontanarsi. Mache lascia dietro di sé una scia di timore e di rimpianto.Scrive Fromm: «Non si può comprendere la vita di unuomo se non si capisce quanto oscilli tra il desiderio diritrovare la madre in un’altra donna e il desiderio diallontanarsi dalla madre trovando una donna che sia ilpiù possibile diversa da lei».

Vi è timore nell’amore perché, osserva Donald Winni-cott, ci ricorda ciò che vorremmo dimenticare: di esse-re stati, nei primi tempi della nostra vita, assolutamen-te dipendenti da qualcuno, per lo più la madre. Senzala disponibilità e la dedizione di un altro, di un’altra,non avremmo potuto sopravvivere. Ma i nostri figli,prosegue Winnicott, crescono e diventano a loro voltapadri e madri senza riconoscere quanto devono a unafigura materna, senza dire «grazie» alla madre.

L’incapacità di provare gratitudine genera, negli uo-mini, paura delle donne, timore di sottostare al loro po-tere come è accaduto all’alba della vita. E, nelle donne,difficoltà di accettare la gerarchia femminile, di inscri-versi in una genealogia materna. Eppure nell’innamora-mento cerchiamo proprio l’assoluto del primo amore,l’esclusività del primo legame. La contraddizione tra ri-conoscerci dipendenti dal partner e affermare la nostralibertà è presente sin dalle prime mosse, ma non ce neaccorgiamo, presi da un sogno o meglio da un’illusionedestinata a svanire... E pronta a risorgere perché l’amo-re, sin dall’infanzia, dice «ancora».

Come sottolinea provocatoriamente Freud, la sceltadell’oggetto d’amore si regge sull’inganno, sulla soprav-valutazione del tutto arbitraria della persona amata.Una esaltazione che lascia l’amante privo delle qualitàche ha proiettato sull’altro, esposto alle sue reazioni co-me un giocatore che punta tutta la posta su una roulet-te che non controlla. C’è rischio nell’innamoramento e,anche quando l’impresa va a buon fine, è poi difficilepassare dall’illusione alla dis-illusione senza cadere nel-

Il paradossoporcospinodel

In amore se stai (troppo) vicino ti ferisci,se stai (troppo) lontano senti freddoL’incapacità di accettare la fine di una storia

L’inserto continua onlinecon il «Club della Lettura»:

una community esclusivaper condividere idee e opinioni

Il dibattito delle idee

di SILVIA VEGETTI FINZI

Sommario

Sentimenti, affetti in crisi, separazioni: la difficoltà di essere adulti

4 Il dibattito delle ideeL’Europa riscopre DioAnzi, gli deidi MARCO VENTURA

5 WelfareI bambini nella trappoladella povertàdi MAURIZIO FERRERA

Orizzonti6 Mestieri

Un maggiordomoin ospedaledi ROBERTA SCORRANESE

7 SocietàÈ sempre il colpevolenei libri polizieschidi MARIAROSA MANCUSO

8 AntropologiaL’imperialismo dell’obesitàdi ADRIANO FAVOLE

9 Visual DataSul divano dei Simpsondi ALESSANDRO BERETTA

Caratteri10 Riscritture

Ci ripenso, dunque sonodi PAOLO DI STEFANO, GIUSEPPEGENNA e IDA BOZZI

12 Narrativa stranieraLa grande elegia russadi Michail Saltykov-Šcedrindi FRANCO CORDELLI

13 EsclusivaIl cardellino di Donna Tarttdi MATTEO PERSIVALE

14 Classifiche dei libriLa pagelladi ANTONIO D’ORRICO

Sguardi16 Geografie

Il museo franco-tedescodella storia condivisadi ELISABETTA ROSASPINA eSTEFANO BUCCI

18 Le mostreCarlo Levi, la realtà emotivadi SEBASTIANO GRASSO

19 SimboliFirenze, il potere al Gigliodi ARTURO CARLO QUINTAVALLE

Percorsi20 Il teatro di Roberta Torre

Riccardo III è un ansiosoche parla sicilianodi MARIA ROSARIA SPADACCINO

22 Incontri: Sofija Gubajdulina«La mia cattiva musica»di GIUSEPPINA MANIN

23 Anniversari: Carlo GesualdoIl principe dei madrigaligenio e assassinodi RAFFAELE NIGRO

i

RRR

L’iniziativa«Amare» è il temadell’edizione 2013

del Festival Filosofia che sisvolge in tre città —

Modena, Carpi e Sassuolo —da venerdì 13 a domenica

15 settembre. La rassegnapropone oltre duecento

appuntamenti, tutti gratuiti.Tel 059 2033382;

www.festivalfilosofia.itL’autrice

La psicologa Silvia VegettiFinzi interviene al FestivalFilosofia il 15 a Carpi (ore

18, piazza Martiri) con unalezione magistrale su «Laseparazione degli affetti».Tra i suoi libri più recenti:

«Giocattoli» (ConsorzioFestivalfilosofia, 2013)

e l’ebook «Si può ancoraessere felici?»

per la collana «I Corsivi»del «Corriere della Sera»

Il temaSul tema della rassegna

da segnalare il saggiodi Michela Marzano

«L’amore è tutto: è tutto ciòche so dell’amore» (Utet

2013, pp. 208, e 14) e i libridi Luc Ferry «De l’amour.

Une philosophie pour le XXIesiècle» (Odile Jacob)

e di Anne Dufourmantelle«En cas d’amour.

Psychopatologie de la vieamoureuse»

(Manuels Payot).Questi ultimi due autori

sono ospiti del festival

Un tempo le tappe erano già fissate:fidanzamento, matrimonio, figli. Ma ora non cisono indicazioni e ognuno traccia da sé ilproprio futuro. In un mondo incerto mancaall’amore una cornice sociale che lo stabilizzi

corriere.it/lalettura

RRR

2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 3: la_lettura_20120908

la de-lusione e non riuscire più a comprendere perchéci siamo lasciati coinvolgere in una relazione che neesclude mille altre, perché si è scelto proprio quel part-ner tra i tanti possibili.

Dopo l’esaltazione dell’amore allo stato nascente, do-vrebbe iniziare un percorso di fondazione della coppia,la condivisione di un progetto comune. Un tempo letappe erano già fissate: fidanzamento, matrimonio, fi-gli. Ma ora non ci sono indicazioni e ognuno procedecercando di tracciare da sé il proprio futuro. Impresadifficile, talora impossibile quando si vive in un presen-te destrutturato e precario, dove gli ideali sono collassa-ti, il lavoro è stato sostituito dai lavoretti, la casa di pro-prietà è diventata una chimera e i ruoli familiari hannoperduto l’alta definizione che li caratterizzava.

In un mondo incerto manca all’amore una cornicesociale che lo confermi e lo stabilizzi.

Anche i bambini sanno che l’unione dei loro genitoriha fondamenta instabili e basta che mamma e papà, di-scutendo, alzino un po’ la voce perché temano che laloro famiglia si frantumi.

Amarsi per sempre sembra una pretesa assurda e, co-me si suole dire con un certo cinismo, l’amore è eternofinché dura. Eppure il desiderio di prolungare all’infini-to l’incanto dell’innamoramento rimane nella penom-bra della mente, incapace di giungere sulla scena dellacoscienza per due motivi: perché manca il copione perrecitarlo, le parole per dirlo, e perché si ha paura delfallimento. Si preferisce allora non giocare per non per-dere. È significativo che le coppie di conviventi, chenon intendono certificare la loro unione, tendano co-stantemente ad aumentare e che, nello stesso tempo,chiedano di essere socialmente riconosciute e parifica-te nei diritti e nei doveri. Ciò che rifiutano è allora l’attoistituzionale, la cerimonia delle nozze, vista come unaformalità esibizionista e consumistica.

In realtà, nonostante l’apparenza, cercano, nel rito re-ligioso o civile che sia, di rispondere all’esigenza, tipica-mente umana, di elevarsi sopra la contingenza del pre-

sente, di uscire dalle strettoie del qui e ora per acquisi-re il respiro ampio della perennità.

Come osservavo ne Il romanzo della famiglia, nel mo-mento del «sì» e dello scambio degli anelli persino lacoppia più scettica, quella convinta di «sposarsi per al-legria», colta da un nodo di commozione, avverte il de-siderio di superare la caducità dell’esistenza conferen-do continuità alla spinta vitale che anima l’amore.«L’amore per la vita — scrive Erich Fromm — è il noc-ciolo di ogni tipo di amore».

Ma come dicevo, i modelli imposti dalla dimensionespettacolare della tarda modernità non confermanoquesto anelito, anzi sostituiscono l’erotismo all’amore,la sessualità ai sentimenti, la superficialità alla profon-dità, il corpo all’anima.

Walter Siti, nel suo ultimo disperato romanzo consta-ta con rammarico: «L’umanità non vuole accettare quel-lo che lei stessa ha scoperto: che la vita non dipendedall’amore, che i sentimenti sono essudati della biolo-gia, che l’individuo non è più laboratorio di nulla e cheil mercato è in grado di fornire l’intero kit per una indi-vidualità fai-da-te». Ma è vero che l’Eros si è ridotto asecrezione ormonale e il desiderio è diventato una mer-ce di scambio? No, non è vero, non può essere vero,altrimenti non saremmo più umani.

Ben lo sanno gli adolescenti, a ogni generazionepronti a rivivere, come canta d’Annunzio, la «favola bel-

la che ieri ti illuse, che oggi mi illude». Ma, mentre nel-la scena profonda della mente tutto si ripete, è mutatala rappresentazione delle passioni, il lessico dell’amo-re, la musica delle emozioni.

Calato il sipario sul teatro della tragedia, finiti i ro-manzi d’amore, ridotta a puro spettacolo l’opera lirica,soffocata la poesia, non resta che raccontarci da soli,cercando, più che di raggiungere la felicità, di evitare ildolore. L’amore viene considerato una pretesa assurda,un gioco pericoloso da lasciare all’incoscienza degliadolescenti, prima che rinsaviscano occupandosi di ciòche conta davvero: il fare e l’avere.

L’amore ci spaventa perché non è un sentimento te-nero e delicato ma una passione, con tutta la complessi-tà e il rischio che questa esperienza comporta. Comedice l’etimo stesso, vi è pathos, cioè dolore, nella pas-sione. Rinunciando alla passione amorosa impoveria-mo la nostra vita, rendiamo più piatta e banale la no-stra storia. In compenso evitiamo, almeno si spera, disoffrire, di affrontare stati d’animo penosi, come il rico-noscimento della dipendenza, le ferite dell’incompren-sione, il gelo della solitudine, lo sconforto dell’abban-dono. Senza una narrazione della relazione, senza il so-stegno di un’autobiografia, alla prima difficoltà si reagi-sce con la svalorizzazione del rapporto: «non ci siamomai capiti», «non siamo mai andati d’accordo», «ti vo-glio bene ma non ti amo». Ma una volta recisi i legamiaffettivi, la barca della nostra vita procede priva di or-meggi, col rischio di ricominciare una nuova storia sen-za aver fatto i conti con la precedente, o di lasciarsi tra-scinare verso il nulla dalla corrente del tempo. Eppuretutto sembra meglio che riflettere sulla relazione, am-mettere le proprie responsabilità, recuperare il sensodi responsabilità che il «fare famiglia» comporta e so-prattutto affrontare il dolore della separazione.

Nella società delle assicurazioni, dove la sicurezza èun bene inestimabile e il dolore sembra aver perso sen-so e valore, si vorrebbe barattare l’amore con una sup-posta autonomia narcisistica, con la pretesa di bastarea se stessi e di sostituire il partner difettoso. So beneche esistono separazioni necessarie, che talora è me-glio dividersi che procedere nello sconforto. Che si de-ve stare insieme per convinzione e non per convenien-za, ma ciò che mi preoccupa è la meccanicità di questadecisione, il fatto che la si dia per scontata, che la divi-sione incrini sin dall’inizio l’unione, che non se ne valu-tino le conseguenze per sé e per gli altri.

Membri anonimi di una folla solitaria, di una «socie-tà degli individui» dove si è sempre insieme e sempresoli, ci si avvicina e ci si allontana come in discoteca,seguendo un ritmo personale che non cerca l’unisono.Ma i sentimenti non detti e le emozioni soffocate per-mangono nell’anima come un potenziale energeticoche, buttato fuori dalla porta della coscienza, rientradalla finestra dell’inconscio. All’incapacità di viverel’amore fa seguito la difficoltà di accettarne la fine, dielaborarne il lutto. Nella indistinzione tra il bene e ilmale, la sofferenza viene sostituita dalla insofferenza.«È l’indifferenza — scrive Fromm — il nuovo disuma-no». Una disumanità che si esprime, nel modo più tra-gico, nel «femminicidio», nella strage delle donne ucci-se, come sostengono i loro assassini, per «amore», do-ve il farmaco si traduce in veleno e la vita precipita nel-la morte. Se quegli uomini avessero saputo amare, sa-rebbero stati capaci di sopportare il dolore della perdi-ta, la ferita inflitta dal «non più». Invece quell’esperien-za mancata ha esasperato le componenti più pericolosedella relazione tra i sessi, il possesso e il potere, sino afarla esplodere nell’omicidio e talora nel suicidio. Inquesti casi, che costituiscono un’angosciante epide-mia, la passione vitale dell’amore è stata sconfitta dallacoazione mortale dell’odio. Sono certamente gestiestremi, ma che dovrebbero farci riflettere sulla poten-za insita nei legami di coppia, sulla complessità dellenostre relazioni, sull’afasia delle nostre interazioni, sul-la solitudine che ci opprime.

Come insegna la psicoanalisi, la violenza nasce dallamorte del pensiero, dalla negazione del dolore menta-le, sulla incapacità di esprimere e condividere le nostreemozioni. Nella vita quotidiana, nella cosiddetta nor-malità, possiamo riconoscere la fuga dalla sofferenza,la pretesa di vivere schivando il dolore, nella indifferen-za che permea i nostri rapporti. La maggior parte dellepersone finge di essere felice perché l’infelicità è un fal-limento e dichiararla è inopportuno, sembra di trasgre-dire a una regola di galateo. Incontrando un conoscen-te è opportuno chiedere «tutto bene?», un modo perprevenire discorsi inopportuni, eventuali confidenze in-cresciose. Si accetta che vengano pubblicizzati i mali fi-sici (ora di «tumore» si può parlare), mentre vengonomessi a tacere quelli morali. In questo contesto la sepa-razione coniugale (più o meno certificata) diventa unevento irrilevante, un caso della vita come un altro, pa-ragonabile a un furto in casa, allo smarrimento di unoggetto prezioso, a una vacanza mancata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Si deve stare insieme per convinzionee non per convenienza, ma ciò che preoccupaè la meccanicità di questa decisione: la divisioneincrina sin dall’inizio l’unione, non se nevalutano le conseguenze per sé e per gli altri

RRR

ILLUSTRAZIONEDI AMALIA CARATOZZOLO

3LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 4: la_lettura_20120908

Nel 1889 uno storico e teologosvizzero-tedesco, emigrato ne-gli Stati Uniti, comparò la reli-gione nel vecchio e nel nuovomondo. Philip Schaff conclu-

se che l’Europa era progredita, passandodall’intolleranza medievale alla tolleranzamoderna, ma restava indietro rispetto al-l’America. «L’intolleranza e la persecuzio-ne — scrisse Schaff — furono la teoria del-l’Europa medievale. La tolleranza è la teo-ria dell’Europa moderna. La libertà el’eguaglianza religiosa sono la teoria delNord America».

Cento anni più tardi, alla vigilia della ca-duta del Muro di Berlino, si aprì una pagi-na nuova per l’Europa. Per la prima volta,il 9 maggio 1989, un organo europeo — lacommissione per i diritti umani — censu-rò uno Stato firmatario della Convenzioneeuropea, la Svezia, per aver leso la libertàreligiosa del medico Peter Darby, costret-to a pagare l’imposta obbligatoria allaChiesa di Stato svedese pur non essendo-ne membro. Nel 1993, la Corte di Strasbur-go emise la prima storica sentenza controuno Stato per violazione della libertà reli-giosa. La Grecia fu condannata per avermesso in galera un testimone di Geova,reo di aver fatto propaganda alla propriafede.

Era tempo di rivedere il giudizio di Phi-lip Schaff. La libertà religiosa e l’eguaglian-za erano ormai principi largamente sus-sunti nel diritto dei singoli Stati e delleistituzioni europee. Nei venti anni passatida allora, tuttavia, libertà religiosa edeguaglianza non hanno smesso di sfidarel’Europa. Ragioni apparentemente con-traddittorie sono alla base della sfida. Inparte, i problemi dipendono dalla soprav-vivenza nella società europea di forti mag-gioranze confessionali, cui corrisponde lostatus privilegiato delle Chiese tradiziona-li. È il caso, in particolare, dei Paesi postco-munisti come la Russia, in cui il nazionali-smo religioso presenta ogni giorno unconto molto salato a chi sta fuori dal grup-po. In parte, al contrario, la sfida viene dal-la crescente percentuale di europei appar-tenenti a religioni non tradizionali o di re-cente espansione, come pure dai tanti —oggi circa il 20% — senza appartenenza re-ligiosa. È cresciuta nei venti anni trascorsidal Trattato di Maastricht e dalla nascitadell’Unione europea la consapevolezzache c’è molto lavoro da fare su quella chePhilip Schaff chiamava la «libertà ed egua-glianza religiosa». È anche cresciuta la co-scienza che non potrà esservi sviluppo cul-turale e sociale della nuova Europa plura-le senza un armonico approccio alla sfidareligiosa: dentro i confini europei, anzitut-to; ma anche fuori, nelle politiche esternedell’Unione.

In risposta al bisogno, il settimo pro-gramma quadro della commissione diBruxelles ha stanziato nel 2010 quasi tremilioni di euro per finanziare la più vastaricerca europea su religione e laicità disempre. Il progetto triennale Religare, de-dicato allo studio di «diversità religiosa emodelli di laicità in Europa», si è ora con-cluso; il rapporto finale verrà consegnatoal committente europeo nelle prossimesettimane. Coordinato dall’antropologa

del diritto belga Marie-Claire Foblets del-l’Università Cattolica di Lovanio, il proget-to Religare ha coinvolto quattordici grup-pi di ricerca di varie università europee,tra cui, presso la Statale di Milano, l’unitàdiretta da Silvio Ferrari. La ricerca ha ri-guardato nove Paesi dell’Unione Europea,più la Turchia. La collaborazione di giuri-sti e sociologi ha prodotto varie pubblica-zioni e un Rapporto le cui linee guida in-terpellano i decisori nazionali ed europei.

Al cuore del Rapporto sta la proposta diun’armonizzazione europea del diritto edelle politiche sulla religione, a partire daidue principi di «neutralità inclusiva delloStato» (inclusive State neutrality) e di«giusta imparzialità» (justice as even han-dedness). La «neutralità inclusiva» inten-de superare il modello di stretta separazio-ne tra Stato e religione e la pretesa che lareligione possa essere ignorata: pretesa ir-realistica, da cui derivano le ipocrisie os-servate da Religare in Francia e in Tur-chia. La «neutralità inclusiva» è anche al-

ternativa allo Stato laico spagnolo, italia-no e tedesco, che favorisce le Chiese mag-gioritarie, mentre ostacola, «esclude», lealtre presenze religiose, in particolare le«minoranze vulnerabili che sono viste co-me outsider». La «giusta imparzialità»completa la «neutralità inclusiva», do-mandando allo Stato una politica attiva diriconoscimento della diversità religiosa enon religiosa. In ossequio a questo secon-do principio, lo Stato dovrebbe promuove-re la varietà di convinzioni e di pratiche,considerandole non come un ostacolo al-lo sviluppo, ma come «parte integrantedel diritto di partecipare alla vita sociale».

Combinate, «giusta imparzialità» e«neutralità inclusiva» consentirebbero diriconciliare da un lato la libertà di religio-ne e convinzione, comprensiva delle con-vinzioni filosofiche non religiose, e dall’al-tro l’eguaglianza e il divieto di discrimina-zione. Religare ha applicato i principi aquattro ambiti critici: famiglia, lavoro, spa-zio pubblico e sostegno statale, compren-sivo di finanziamento e accesso ai media.Per ognuno degli ambiti, i gruppi di ricer-ca hanno ascoltato testimoni qualificati,analizzato la letteratura scientifica e rico-struito il quadro giuridico, in particolarela giurisprudenza delle corti nazionali edeuropee. Davanti allo scontro tra le oppo-ste pretese di chi vuole la propria fedesempre più visibile e di chi intende vivereal riparo dal marketing religioso, le regoledi ingaggio con la religione nello spaziopubblico diventano cruciali.

Religare propone di scomporre la sferapubblica in tre ambiti. Lo «spazio comu-ne» coincide con lo spazio fisico — la stra-da, la piazza, il mercato — che tutti abitia-mo per soddisfare le necessità fondamen-tali; questo spazio, secondo Religare, deveessere aperto all’integrazione della diversi-tà e quindi accessibile ai simboli religiosie non religiosi. Nello «spazio politico» haluogo il dibattito pubblico, il confronto diidee. Onde favorire un confronto aperto edemocratico, lo spazio politico deve esse-re libero e pluralista: sicché, sostiene Reli-gare, «la presenza visibile di diverse reli-gioni e convinzioni» in tale spazio è «indi-spensabile al pluralismo sul quale si fon-da una società democratica». Infine, nello«spazio istituzionale» di un tribunale o diun Parlamento, si prendono decisioni vin-colanti per tutti, la cui applicazione richie-de che esse siano rispettate e riconosciutedalla generalità dei consociati. A tal fine,lo «spazio istituzionale» deve «non soltan-to essere, ma anche apparire, giusto e im-parziale».

Se Philip Schaff studiasse oggi l’Euro-pa, vedrebbe una realtà conflittuale, in cuipersistono vecchi problemi e ne spuntanoogni giorno di nuovi; ma vedrebbe ancheuno straordinario laboratorio di pratichee idee, in cui si distillano una nuova reli-gione e un nuovo diritto. Un laboratorioin cui si reinventano l’islam, il cristianesi-mo, l’ateismo e si riformulano i concettidi laicità, neutralità, imparzialità, egua-glianza e non discriminazione. Non po-trebbe non constatare, un redivivo Schaff,che se fu epocale in Europa il passaggiodall’intolleranza medievale alla tolleranzamoderna, non meno epocale è la costru-zione, in questi anni, di uno spazio euro-peo di diversità ed eguaglianza delle fedi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I l degrado, sia delle nostre classi dirigentisia di chi le seleziona nell’urna, procede datrent’anni di pari passo con l’uscita dei

libri di storia dalla cultura comune, sostituitidal malcerto inglese della «spendingreviù» eda quei «pantheon» che spesso sono solocollezioni di figurine. Per questo è difficile, madoveroso, suggerire la lettura di Tumulti.Moltitudini ribelli in età moderna, di Angela DeBenedictis (Il Mulino, pp. 304, € 27): ilracconto di quattro insurrezioni che agitanocontesti politici diversi (Urbino, Messina,Mondovì, Castiglione delle Stiviere) fra fineCinquecento e fine Seicento e dei processi neiquali gli insorti cercano di liberarsidall’infamia del crimine di lesa maestà; uncrimine che, come mostrò Mario Sbriccoli, ècome una lanterna che si accende nelMedioevo e che forse, in questa Italia cheattende i suoi tumulti come la nebbia agli irticolli, non è diventata inutile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il Seicento e l’attualità

{

di ALBERTO MELLONI

Impararedai tumulti

di MARCO VENTURA

L’Europa riscopre Dio. Anzi gli dei

di Nicola Saldutti

Nella guerra del Peloponneso, a un certo punto,la città di Mitilene non si mostra più leale conAtene. Ma sceglie Sparta. La democraziaateniese non può tollerare il tradimento: Cleonee Diodato si confrontano per stabilire la

punizione. Prima si decide di uccidere tutti imaschi della città, poi soltanto i milleconsiderati responsabili del tradimento. Atenecambia idea in una notte. E due navi devonosolcare il mare per portare due verdetti diversi.

Il progetto ReligareÈ partito il 1˚febbraio 2010

e si è concluso il 31gennaio di quest’anno il

progetto di ricerca Religare,coordinato dall’Università

Cattolica di Lovanio (inBelgio), che ha esaminato i

problemi del pluralismoreligioso in Europa allo

scopo di suggerire politichepiù efficaci nel tutelare la

libertà di coscienza.Un’anticipazione dei risultati

è stata presentata indicembre, il rapporto finaleuscirà tra poche settimane

I dieci Paesi coinvoltiLa ricerca, finanziata

dall’Unione Europea, hariguardato nove Paesi

dell’Ue (Belgio, Bulgaria,Danimarca, GermaniaFrancia, Italia, Olanda,

Spagna e Gran Bretagna)più la Turchia. I materiali

sono disponibili sul sitowww.religareproject.eu.

L’illustrazione in altoè di BEPPE GIACOBBE

Una ricerca sottolinea il nuovo rilievo delle fedi, che supera la separazione Stato-ChiesaCruciale la distinzione fra vari spazi: quello pubblico, quello politico, quello istituzionale

Il dibattito delle ideeCambusa

Il verdetto sulle due navi di Atene

i

Libertà religiosa

Il lanciere Mario Tronti

Nel libro Per la critica del presente(Ediesse, pp. 147, € 12) Mario Tronti agitaun’idea di sinistra dal sapore antico. Parladi «popolo lavoratore» come «classegenerale». Sostiene che l’economia vasottomessa alla politica. Invoca una«rivoluzione intellettuale e morale delleforme di vita». Conclude bellicoso: «Eripartiamo all’attacco». Fa tornare allamente il mito della cavalleria polacca checaricava i carri armati con le lance.

Antonio Carioti

RRR RRR

Tiromancino

Pluralismo in aumentoLa sfida viene dalla

crescente percentuale dicittadini appartenenti a

religioni non tradizionali odi recente espansione

L’obiettivo di fondoGarantire la tolleranzanon basta più: occorre

costruire una sferadi convivenza tra diversi

su una base di parità

RRR

4 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 5: la_lettura_20120908

Immaginate di passare una nottecompletamente insonne. Come visentireste il giorno dopo nell’affron-tare un colloquio di lavoro o nego-ziare un prestito in banca? Non cer-

to bene, sicuramente non in grado di da-re il vostro meglio. È ciò che succede achi diventa povero. La preoccupazionesu come sbarcare il lunario drena atten-zione ed energia, la mente si annebbia,diventa difficile essere intraprendenti esi finisce per restare come imprigionatinella situazione di indigenza. Da tempogli scienziati sociali parlano di «trappoladella povertà».

Finora si pensava però che la dinami-ca sottostante fosse di natura essenzial-mente economica: se il welfare state pa-ga un sussidio, il povero perde conve-nienza a cercare lavoro e si rassegna a vi-vere con poco, ma a carico dello Stato. Ineuropsicologi ci spiegano ora che latrappola è (anche) di natura cognitiva: ècioè connessa alla «finitezza» delle no-stre capacità mentali e al loro eccessivoutilizzo, in caso di difficoltà materiali,per salvaguardare elementari esigenzedi «sopravvivenza».

A lanciare l’allarme sulle conseguenzecognitive della povertà è stato a fine ago-sto un importante articolo uscito su«Science» (già commentato sul «Corrie-re» del 31 agosto da Sergio Harari), cheha illustrato i risultati di alcune interes-santi ricerche sperimentali. Due parteci-panti del gruppo di ricerca hanno anchescritto un libro di taglio più divulgativo,in cui approfondiscono le dinamiche del-la «psicologia della scarsità», della for-ma mentis che s’impadronisce di noiquando ci manca qualche bene impor-tante: non solo denaro, ma anche tem-po, calorie, amici. La mentalità «da ca-renza» ci spinge a concentrare energiesui bisogni più pressanti e sulle miglioristrategie per soddisfarli (e ciò è un benedal punto di vista della sopravvivenzaevolutiva). Ma al tempo stesso questamentalità accorcia i nostri orizzonti, cirende miopi e meno creativi, limitandoparadossalmente le nostre possibilità disuperare la carenza stessa, di evolvereverso un maggior benessere.

Secondo il libro, il «sentirsi povero»abbassa il quoziente di intelligenza di cir-ca 13 punti, più o meno quanto una not-te insonne. Si tratta di un’indicazione diportata storica: per secoli la relazionecausale fra povertà e intelligenza/impe-gno è stata di segno opposto. Non è lamancanza di «orgoglio, onore e ambizio-ne» che conduce alla povertà (secondola famosa teoria di Joseph Townsend, au-

tore di una influente Dissertation on thePoor Laws del 1786). È al contrario la po-vertà che ci condanna a una vita cogniti-vamente limitata, a usare il paraocchi pernon distogliere la nostra attenzione dalloscopo primario della sopravvivenza mate-riale, trascurando ogni altro obiettivo dimiglioramento. È un dato che nei Paesiin via di sviluppo le persone che si trova-no in miseria estrema non prendono lemedicine (anche se gratuite), non si lava-no le mani per evitare contagi, non strap-pano dai campi le erbacce che danneggia-no i raccolti... Non si tratta di vizi caratte-riali, ma di conseguenze cognitive delleloro condizioni economiche.

L’impatto della povertà sulle capacitàdel nostro intelletto è particolarmentenefasto durante l’infanzia. Molti studi dipsicologia dell’età evolutiva e di econo-mia hanno già da tempo segnalato che, apartire dal secondo anno di età, il conte-sto socioeconomico all’interno del qualesi cresce condiziona in modo significati-vo la gamma e il tipo di opportunità dicui i bambini dispongono e aumentanoil rischio di «restare indietro» dal puntodi vista intellettivo. Dire che quando siinizia la scuola dell’obbligo più della me-tà delle carte che contano nel successodella vita sono già state giocate può suo-nare come un’iperbole, ma rende benel’idea.

A quindici anni, a parità di quozientedi intelligenza misurato a sei anni, chiproviene da famiglie povere ha accumu-lato un ritardo di due anni quando ri-sponde ai test Pisa sulla comprensioneverbale. La povertà produce cicatrici pre-coci nello sviluppo cognitivo, che resta-no visibili per tutta la vita. Ciò vale in lar-ga parte anche per la disoccupazione.Chi si affaccia sul mercato del lavoro perla prima volta durante una recessione

(come purtroppo sta accadendo oggi amoltissimi giovani europei) si sente piùinsicuro, è oppresso dal timore di resta-re senza lavoro e senza reddito e tendead avere un profilo occupazionale e retri-butivo più sfavorevole lungo tutto il cor-so della vita rispetto a chi vi entra duran-te una fase di crescita. La Joseph Rown-tree Foundation ha stimato che gli attua-li livelli di povertà minorile in Gran Breta-gna (superiori al 20%) «costano» circa il2% del Pil in termini di sussidi e mancatoreddito per l’economia (e il fisco).

Se è vero che i poveri sono vittime divere e proprie trappole che ostacolano laloro intraprendenza e che hanno effettimolto negativi a livello sia individualesia aggregato, la risposta non può che es-sere una lotta collettiva senza quartierealla povertà e all’esclusione sociale, so-prattutto quella fra i minori. Lo sanno be-ne i Paesi nordici, che da almeno tre de-cenni hanno ricalibrato il proprio welfa-re irrobustendo trasferimenti e serviziper i meno favoriti.

La rete di sicurezza di questi Paesi ènon solo generosa, ma anche efficace: ibeneficiari delle misure antipovertà rie-scono a fuoriuscire molto rapidamente(pochi mesi) dalla loro condizione e a ri-mettersi in careggiata. Se hanno ragionei neuropsicologi, le loro capacità intellet-tive non ne risentono in misura significa-tiva. In Scandinavia inclusione e istruzio-ne (compresi gli asili nido) sono conside-rate priorità irrinunciabili e a esse vengo-no dedicate quote importanti di spesapubblica: intorno al 10%, più della metàin confronto ai Paesi dell’Europa conti-nentale.

Riflettendo su tutte queste dinami-che, gli studiosi di welfare sono diventa-ti critici nei confronti di molte politichedi tipo tradizionale, volte a risponderesolo ex post ai bisogni sociali e racco-mandano invece un approccio preventi-vo, che miri a contenere il più possibileex ante l’insorgenza dei bisogni e in par-ticolare della povertà e dell’esclusione.Secondo un recente studio di Morel, Pa-lier e Palme, è opportuno passare dalwelfare state novecentesco a nuove for-me di investimento sociale da parte del-lo Stato, rivolte in particolare ai bambinie alle madri che lavorano. L’Unione Euro-pea ha sposato con entusiasmo questaprospettiva. Una rottura col paradigmadell’austerità? Potenzialmente sì. Natural-mente aspettiamo decisioni concrete, ca-paci di cambiare la percezione ormai dif-fusa che Bruxelles sia amica del merca-to, ma nemica di ogni forma di welfare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I vantaggi della scuola

i

Il dibattito delle idee {Stato sociale

di MAURIZIO FERRERA

di Giuseppe Remuzzi

I bambini nella trappola della povertà

Sopra le righeCi sono, in Cina, studenti che stanno a casama... vanno a scuola. È perché genitori stanchie delusi dal modo di far lezione («non siimpara nulla di quello che serve», dicono) simettono in proprio e si occupano loro

dell’educazione dei figli. E lo fanno a casa.«Funziona, costa poco e i ragazzi corronomeno pericoli», sostiene chi ci ha provato.Sarà, ma forse ci sono altri vantagginell’andare a scuola: ne avranno tenuto conto?

La condizione di indigenza comporta una riduzione delle capacità intellettiveUn dramma per le nuove generazioni che accumulano un dannoso deficit cognitivo

BibliografiaA. Mani, S. Mullainathan,

E. Shafir, J. Zhao,«Poverty impedes cognitive

function», sul numerodi «Science» del 30 agosto;S. Mullainathan e E. Shafir,«Scarcity: Why Having Too

Little Means So Much»,Times Book, 2013;

M. Ravallion, «The Ideaof Anti Poverty Policy»,

Nber working paper,luglio 2012;

European Commission,«Towards Social

Investment for Growthand Cohesion»,Comunicazione

del 20 febbraio 2013.L’illustrazione in alto è di

FRANCESCA CAPELLINI

RimediL’Europa ha preso coscienza

del problema, ora è tempodi agire: riorganizzare

il welfare investendosoprattutto sui più piccoli

RRR

INFOLINE E PRENOTAZIONI

06.399.67.700 www.coopculture.it

PROGETTO E IDEAZIONE

MAIN PARTNER MAIN SPONSOR SOSTENITORI

CON LACOLLABORAZIONE DI UNAMOSTRA

5LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 6: la_lettura_20120908

di ROBERTA SCORRANESE

I fotografi Danny Ghitise Daniella Zalcman, distanti5.000 chilometri, creanopaesaggi da scatti sovrapposti

Cambia e si raffina una professione classicaUn «facilitatore» tra le persone e la società

RRR

Un maggiordomo in ospedale

{

Due luoghi e quattro mani. Ma una sola fotodi IRENE ALISON

Assecondando la vocazione allaselettività propria della vec-chiaia, la signora Lucia, com-piuti ottant’anni, decise che lecose che le interessavano dav-

vero erano tre: il caffè ben zuccherato, ilriposino pomeridiano e i classici latini egreci. Purtroppo non aveva più nessunoal mondo, così decise di investire partedella sua (pingue) pensione assumendoun maggiordomo preposto quasi solo al-la lettura ad alta voce di Omero e Virgilio.Poco distante dalla sua casa in Brianza, ildirettore di una clinica privata giungevaalla conclusione che l’elevata specializza-zione del suo personale non bastava più.I contatti con pazienti di altre religioni, irapporti con i clienti stranieri o semplice-mente il compito delicato di spiegare almalato il percorso da seguire, sono coseche richiedono ben più di un master. Ecosì anche il direttore della clinica decisedi assoldare un maggiordomo, una figurache facesse da «ponte» con i clienti.

Sono storie — qui anonime per ragio-ni di riservatezza — sempre più frequen-ti: la crisi economica rispolvera mestieriinterstiziali, facilitatori. E torna il mag-giordomo, stavolta privo di guanti bian-chi e livrea ma flessibile e colto, dinami-co e concreto, preciso e discreto. «Una fi-gura molto richiesta, soprattutto oggi:già prima della fine del corso, i nostri al-lievi sono prenotati», dice Elisa Dal Bo-sco, vicepresidente dell’Associazione ita-liana maggiordomi, la stessa che organiz-za un corso per aspiranti «valletti» a Tori-no (il 20 settembre termine ultimo periscriversi, il sito è www.maggiordomi.it).Il 26 e 27 settembre ci saranno le selezio-

ni per quindici posti in totale. «Pochi?No, anzi — precisa Dal Bosco — noi te-niamo al massimo tre corsi l’anno peruna decina di persone, tutt’al più venti.Le seguiamo passo passo per tutte e set-tanta le ore previste. Dietro c’è una prepa-razione molto meticolosa».

In Italia si contano circa 200 professio-nisti «diplomati». Guadagnano dai due-mila euro mensili in su (si può arrivareanche a 10 mila, ma dipende dalle man-sioni e dalle situazioni) e molti lavoranocome freelance o per periodi limitati e al-l’estero. Gli italiani sono richiesti soprat-tutto nei Paesi anglosassoni (sì, anglosas-soni, patria delle livree) e in quelli orien-tali. Arabia Saudita, Dubai, Bahrein. Lad-dove le buone maniere «all’occidentale»sono un valore ancora da scoprire e datrasformare in codice. Giovanni Lodigia-ni, dopo un passato trascorso ai vertici(come manager) di grandi aziende, ha de-ciso di mettersi a fare il maggiordomo. Enon in una casa qualunque: è il maggior-domo presso la corte reale del Bahrein.

«Che cosa faccio esattamente? Varie cose— dice alla "Lettura" —. Supervisiono laparte amministrativa, dalla corrisponden-za alla finanza; curo la gestione del perso-nale e, in generale, l’andamento della ca-sa». Una sorta di «aiuto» di classe, di ele-vata cultura e sensibilità.

Ed è qui che un piccolo topos lettera-rio, accattivante, si compie: il maggiordo-mo moderno non è più il muto vallettodei romanzi di Agatha Christie, per nonparlare di Battista, l’indimenticato assi-stente di Paperon de’ Paperoni. Ma somi-glia piuttosto a Jeeves, la creatura di P. G.Wodehouse, coltissimo e discreto, tal-mente abile con il suo sapere da salvare (eredimere) in diverse circostanze il padro-ne. Un ribaltamento sociale, dunque, do-ve l’aiutante sale sullo stesso gradino deldatore di lavoro, se non oltre. Un po’ co-me la servitù della serie inglese DowntonAbbey (eccezionalmente apprezzata an-che in Cina) dove i domestici ricreano, aipiani inferiori della tenuta, una piccola ge-rarchia improntata a quella dei signori.

Fondamentale, qui, l’etimologia: la pa-rola deriva da maior domus, «signore del-la casa». Quindi, a differenza del valletto(che è al servizio del padrone), il maggior-domo è al servizio della «stirpe». Un ruo-lo politico, che investe la famiglia, il casa-to, i rapporti strategici con l’esterno. «Ec-co perché queste figure, oggi, sono sem-pre più richieste dalle aziende — dice DalBosco — proprio per la loro abilità di an-dare oltre le personalità, di rappresentareun mondo».

Cliniche, si diceva. Dal Bosco fa l’esem-pio dei dentisti: «I pazienti devono sop-portare non solo la paura del dolore ma

Orizzonti

«M i domando quante persone ho guardato in vitamia senza mai vederle». John Steinbeck, daL’inverno del nostro scontento, è una

delle citazioni che accompagnano le immagini di @echosight,serie nata dalla collaborazione virtuale tra due fotografi,Danny Ghitis e Daniella Zalcman, separati da 5.000 chilometridi oceano (nell’immagine: una delle foto del progetto online).Insieme a quelle di Betty Smith, Bob Dylan o ThomasJefferson, le parole di Steinbeck segnano l’atmosfera,i sensi e le interpretazioni di immagini oniriche e disorientanti,in cui la realtà si sovrappone a strati creando composizioni erelazioni impreviste. Ghitis, di base a New York, e Zalcman, dibase a Londra, hanno infatti deciso di documentare a quattro

mani la realtà intorno a loro senza accorciare le distanzegeografiche: realizzando uno scatto al giorno col proprioiPhone e poi fondendo le proprie foto (con l'app persmartphone «Image Blender») in un'unica immagine,successivamente postata — insieme a una citazione— su un account Instagram condiviso. L’effetto è quellodelle doppie esposizioni realizzate in analogico,con in più una sfumatura di brillantezza digitale, di sottileironia e di fantascientifica virtualità. Ma il futuro riservapossibilità ulteriori: il prossimo passo per Ghitis e Zalcmanè di aprire il format @echosight ad altri fotografi, fondendotre, quattro o più punti di vista in una visione collettiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

FUTURAMA

Mestieri Una scuola a Torino, un film, la serie tv. Molto più di un badante per anziani soli, a metà tra infermiere e manager nelle cliniche

Telmo Pievani è il twitterguestTelmo Pievani, filosofo della scienza, è tra imassimi esperti di evoluzione: insegnaFilosofia delle scienze biologiche pressol’Università di Padova. Ha firmato «Creazionesenza Dio» (Einaudi), «La vita inaspettata»(Cortina) e, con L. L. Cavalli Sforza, «Homosapiens» (Codice). Ha curato mostre suDarwin e sull’evoluzione umana. Dirige ilportale «Pikaia». Da oggi consiglierà un libroal giorno dall’account Twitter @la_Lettura.

Al servizio del reL’italiano assunto dalla

Corte Reale del Bahrein:«Supervisiono la

corrispondenza, le finanze,il personale, la casa»

Il cast di «Downton Abbey»: la terza serieandrà in onda in autunno su Retequattro.L’illustrazione a destra è di CHIARA DATTOLA

Nuovi linguaggi, scienze, religioni, filosofie

RRR

6 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 7: la_lettura_20120908

Era l’asso nella manica dei gialli-sti privi di fantasia (l’assassinoè il maggiordomo) o l’appren-distato degli attori caratteristi(«il pranzo è servito»). In Go-

sford Park di Robert Altman, ricevevale lamentele della servitù residente peri posti a tavola: ogni ospite arrivava invilla con il proprio cameriere persona-le, per accomodarli a pranzo e a cenaservivano astuzia e diplomazia. In Quar-to potere di Orson Welles, il maggiordo-mo Raymond voleva vendere la sua sto-ria per mille dollari (degli anni 30): nel-la principesca Xanadu aveva visto un fu-rioso Charles Foster Kane placarsi gra-zie a una boccia di vetro con la neve,mormorando «rosebud».

Era l’impassibile Anthony Hopkinsin Quel che resta del giorno di JamesIvory, tratto dal romanzo di Kazuo Ishi-guro. Resisteva alla corte della gover-nante Emma Thompson, sopportava ladelusione per le magagne del padroneLord Darlington. Vedendolo, abbiamomisurato quanto profondamente il fa-scino delle storie che gli inglesi chiama-no «upstairs / downstairs» — su e giùper le scale — aveva sedotto lo scritto-re di origine giapponese.

Upstairs, downstairs era il titolo diuna serie anni 70 della Bbc (tra gli auto-ri, Fay Weldon), ripresa nel 2010. Pochimesi dopo il lancio di Downton Abbey,la serie scritta da Julian Fellowes, giàsceneggiatore di Gosford Park. Aggiun-giamo che Robert Altman citava quellaserie sulla servitù come modello, e avre-mo un altro esempio della regola già va-lida per Il Codice da Vinci: non importaquante volte una storia sia già stata rac-contata, i meccanismi del successo po-polare sono imprevedibili. Sul grandecomplotto ordito dalla Chiesa cattolicaai danni di Maria Maddalena si eranoesercitati in parecchi, prima di DanBrown. I loro libri ancora si impolvera-no sugli scaffali.

Arrivata alla quarta stagione (dal 22settembre in Gran Bretagna, new entryl’americana Shirley McLaine guardatacon la puzza sotto il naso dall’aristocra-tica Maggie Smith, da noi Rete 4 tra-smetterà in autunno la terza stagione),Downton Abbey ci ha fatto conoscere ilmagnifico maggiordomo Carson. A luitocca recapitare il telegramma con lacattiva notizia che muove la storia: l’af-fondamento del Titanic, la scomparsadi due eredi, denaro e proprietà avviativerso un lontano cugino che finora halavorato per vivere e non vuole farsi ve-stire dal valletto. Siamo nel 1912, già ilmaggiordomo rimpiange i tempi anti-chi. Tranne i suoi: in gioventù ha calca-to il palcoscenico, nel duo The Cheer-ful Charlies, e per questo stanno tentan-do di ricattarlo.

Dopo essersi appassionati ai mag-giordomi altrui, gli spettatori america-ni ne hanno ora uno tutto loro, a stellee strisce già sul manifesto. Da tre setti-mane in cima alla classifica degli incas-si americani resiste The Butler di LeeDaniels, il regista lanciato da Precious,una storiaccia di incesto e degrado am-bientata ad Harlem negli anni 80, prota-gonista una grassa ragazza nera. Comesempre più spesso accade, perlomenonei Paesi anglosassoni, il film prendespunto da un articolo di giornale. Usci-to sul «Washington Post» nel 2008, po-chi giorni dopo l’elezione di BarackObama, era intitolato «A Butler WellServed by This Election».

Il maggiordomo nero finalmente ri-compensato, dopo 34 anni di fedele ser-vizio alla Casa Bianca abitata da otto pre-sidenti, si chiamava Eugene Allen. La-sciò l’incarico nel 1986 — aveva comin-ciato nel 1952 come lavapiatti — e morìnovantenne nel 2010 senza mai rilascia-re un’intervista. Nel film è Forest Whi-taker, sposato con Oprah Winfrey (su-perstar mediatica, nata in un tugurio eora miliardaria, che già basta a garanti-

re incassi stratosferici e curiosità, nonsolo tra gli afroamericani). Lo invitanocon tutti gli onori a un ricevimento or-ganizzato dal primo presidente nero e,come nella maggior parte dei film bio-grafici, partono i flashback. Vita dura al-la piantagione. Primo impiego in casadi ricchi bianchi. Carriera fulminea chelo portò a sedere a tavola con i Reagan,a volare con l’Air Force One, a incontra-re Martin Luther King.

Nei suoi primi anni da maggiordomo— sotto il presidente Eisenhower — idiritti civili dei neri non erano per nullagarantiti. Su questo gioca la sceneggia-tura, inventando per Cecil Gaines (cosìsi chiama nel film il servitore di lungocorso) un figlio barricadero che finiràcon le Pantere Nere. Da qui le polemi-che. Ad alcuni The Butler pare troppozuccheroso e buonista, ad altri costrui-to per dimostrare una tesi, ad altri anco-ra poco rispettoso dei diritti dei neri,tanto da essere paragonato alla famige-rata Capanna dello zio Tom di HarriettBeecher Stowe.

Viene in mente la grandiosa e ambi-gua figura di maggiordomo in DjangoUnchained, scritto e diretto da QuentinTarantino. Al servizio del miliardario Le-onardo DiCaprio, che dimostra l’inferio-rità dei neri con teschio e martelletto dafrenologo, il perfido Stephen (l’attore Sa-muel L. Jackson) è un ex schiavo dal cuo-re bianco. A cominciare dal nome. Nes-suna fratellanza tra chi ce l’ha fatta, pas-sando dalla parte degli schiavisti, e chiancora cerca la libertà. Così negli StatiUniti di metà Ottocento, mentre nellapiù sofisticata Europa l’indagine di Frie-drich Hegel sulla dialettica servo-padro-ne dava il bastone del comando ai sotto-posti, indispensabili e più grintosi. E già

prima Jonathan Swift, nelle Istruzioni al-la servitù, insegnava a maggiordomi,cuoche e valletti le più raffinate tecni-che per «disubbidire, confondere, in-gannare, ridicolizzare, truffare, svergo-gnare, umiliare i loro padroni».

A metà del ’700 William Hogarth di-pinse il suo maggiordomo, attorniatoda cinque servi, in un celebre quadro(serviva come spot per il suo talento daritrattista: se uno è così bravo con la ser-vitù, i padroni si possono fidare). Da al-lora un maggiordomo non si nega a nes-suno: ce l’ha il supereroe Batman e l’ero-ina dei videogiochi Lara Croft. Ce l’ha lafamiglia Addams, nelle vignette sul«New Yorker», nella serie tv, nei filmdove i ragazzini mettono in scena unoShakespeare molto splatter: Lurch, chepare il gemello della creatura diFrankenstein. Nei romanzi di Wodehou-se, Bertie Wooster ha il suo Jeeves.

Firmato dal maggiordomo StanleyAger con la sua padrona (e amica) Fio-na St. Aubyn, The Butler’s Guide to Run-ning the Home and Other Graces inse-gna a tutti noi (che un servitore con ifiocchi non l’avremo mai) almeno lagrammatica, se non la pratica. Uscitonel 1980, è stato ristampato (da PotterStyle) con la prefazione di Alastair Bru-ce, consulente storico per Downton Ab-bey. Al capitolo «other graces», formu-la che fa sognare, impariamo i segretidi un romantico picnic per due e la tec-nica per stirare i giornali. Anche a direle piccole bugie, come «la signora nonè in casa», quando la signora ha decisodi negarsi ai noiosi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di MARIAROSA MANCUSO

anche quella del costo delle prestazioni.Dunque una figura che, con discrezione,spieghi loro le spese al dettaglio». Molterichieste anche per l’educazione dei figli:la sempre più diffusa liquidità delle pro-fessioni rende difficile seguire i ragazzicon metodo. Così, grazie ai moderni mag-giordomi, rivive la vecchia figura dell’isti-tutore, persone che non insegnavano so-lo il latino, ma anche come condurre unaconversazione gradevole.

Ecco perché in questi corsi non contatanto l’età (si va dai 18 ai 60 anni), né iltitolo di studio. «Conta la curiosità — di-ce la vicepresidente — la capacità di stareal mondo». Prima ancora che l’inglese de-vono conoscere l’italiano, perché questaistituzione domestica è parte fondantedelle radici di un Paese e deve andarne or-gogliosa. Devono saper sistemare una vali-gia (giacche e camicie piegate con l’abbot-tonatura rivolta verso l’alto) e intuire il to-no di voce da assumere rispondendo alcellulare (sì, fanno anche questo e rispon-dono alle email). Devono sapere che il fio-re ideale da regalare è la margherita, per-ché poco «impegnativa» e simbolo di di-screzione; ricordare i compleanni dellemogli (e non solo). Devono entrare nellapsicologia delicatissima delle donne di al-tre religioni e consigliare loro una terapiaadeguata, così come sapere che, per «rin-frescare» maglioni e cappotti senza lavar-li, va passato il vapore tenendoli in vertica-le. Il loro è insomma un bagaglio di cono-scenza invisibile ma che fa funzionarecomplesse architetture sociali, economi-che e politiche. «Più che come un lavoro— chiosa Lodigiani — quest’attività vapresa sempre come un’avventura. Ci vo-

gliono alcune attitudini chiave, come unagrande capacità organizzativa, il saper es-sere all’altezza di imprevisti e responsabi-lità». Il tutto, nell’ombra.

Capacità mimetica, dunque, ma pure di-mestichezza con la tecnologia: prenotareun’auto di lusso sui siti, cercare un risto-rante con un’applicazione, saper maneg-giare un iPad. E, ovviamente, tener testa aospiti internazionali con conversazioni sa-pide, ricche di esperienza. In un romanzodi P. D. James, Una certa giustizia (Monda-dori), il maggiordomo ingaggia un dialo-go coltissimo, serrato, con l’investigatore.E, dati alla mano, la media degli iscritti aicorsi dell’associazione va dai 22 ai 55 an-ni, con una netta prevalenza dei più «ma-turi». Anche perché questa potrebbe rap-presenta un’occasione per chi ha perso illavoro sui 45-50 anni.

Così, mentre la pellicola di Lee DanielsThe Butler conquista i botteghini america-ni, Lodigiani invita a considerare un altrolato di questa professione: «I cambiamen-ti nella vita delle grandi dimore riflettonoi cambiamenti profondi nella società. Lacasa non è un’organizzazione democrati-ca: è una struttura gerarchica ben definitaal cui vertice si colloca il direttore, nellevarie denominazioni che potrà assumere.Laddove la gerarchia è ben definita eognuno ha un compito ben preciso, ognicosa scorrerà dolcemente e il maggiordo-mo potrà realizzare uno dei suoi obiettiviprimari: creare una piacevole atmosferadi lavoro».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

È sempre il colpevolenei libri polizieschi(ma non nelle fiction)

Costume

Uno di famigliaDi culto: il mostruosoLurch degli Addams,

l’anziano Alfred servitoredi Batman. E il Carson

di «Downton Abbey»

i

ll personaggioLa vita di Eugene Allen,

1919-2010 (ritratto nellefoto grandi da Kevin

Clark/Getty Images), chelavorò dal 1952 al 1986

alla Casa Bianca, ha ispiratoil film «The Butler» di Lee

Daniels con Forest Whitaker(foto piccola). Nipote di

schiavi della Virginia,Eugene Allen entrò alla

Casa Bianca nel 1952 comelavapiatti, ma per il suo stile

e la sua bravura divennemaggiordomo personale del

presidente: ne servì otto, edi molti divenne anche

confidente. Tanto che lafamiglia presidenziale lo

invitò come ospite d’onoreal funerale di John Kennedy

nel 1963 (ma preferìricevere i Kennedy al ritorno

alla Casa Bianca).Incontrò Martin Luther King,

che durante una cena allaCasa Bianca aveva chiesto

di fare un giro nelle cucine.Fu invitato a cena dalla firstlady Nancy Reagan, a CampDavid da Carter, volò sull’Air

Force One con Nixon. Inpensione, rifiutò di scrivere

libri sulla sua esperienza.Barack Obama lo invitò alla

festa d’insediamento, eAllen entrò come ospite

d’onore alla Casa Biancascortato dai Marines

Personaggio chiavedelle saghe domestiche

RRR

7LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 8: la_lettura_20120908

{ La letteratura è un moltiplicatore di Cine.E gli scrittori che più incarnano la varietàsono anche i meno visibili: i nonappartenenti all’etnia dominante han.Il n˚ 14 del bimestrale «Tian Nan»

(«Chutzpah!»), del poliedrico Ou Ning,lascia a loro la parola: dal kazako AydosAmantay all’uiguro Alat Asem, dal mongoloBaoerj Yuanye al tujia Ye Fu, fino ad autoriyi, tibetani o dong. Fateceli leggere.

Con il termine globesity, cioè«globesità», lo studioso america-no Sander Gilman (La strana sto-ria dell’obesità, Il Mulino, 2011)ha definito l’ossessione per i cor-

pi abbondanti che pervade l’Occidente con-temporaneo. Una «epidemia di obesità» sistarebbe pericolosamente diffondendo,portando con sé gravi rischi di malattie co-me il diabete, l’ipertensione, problemi car-diaci e vascolari. Espressioni forti come«guerra» e «lotta» all’obesità, un nemico o«virus» da sconfiggere, sono piuttosto dif-fusi sui media. Nel 2008 il Centre for Disea-se Control americano ha dato all’obesità lostatuto di «malattia», permettendo quindila prescrizione di farmaci. In un mondo incui, paradossalmente, una parte consisten-te del l ’umanità soffre la fame, la«globesità» è enfatizzata come un proble-ma prioritario.

Un articolo pubblicato sulla rivista«Science» il 23 agosto scorso, firmato daAhima Rexford e Lazar Mitchell (The Heal-th Risk of Obesity, vol. 341), mette in di-scussione non tanto il quadro allarmistico,quanto il modo in cui calcolare le condizio-ni di «sovrappeso» e di «obesità». L’artico-lo propone di rottamare niente meno chel’Indice di massa corporea (noto a livelloscientifico come Bmi, Body Mass Index). In-ventato nell’Ottocento dal matematico ecriminologo belga Adolphe Quetelet, ilBmi categorizza le persone in «sottopeso»,«normopeso», «sovrappeso» (una condi-zione già di rischio) e «obese», medianteun semplice rapporto tra il peso (in chilo-grammi) e il quadrato dell’altezza (in me-tri). Nel tempo, la linea di confine tra «nor-mali» e «sovrappeso» è stata spostata ver-so il basso: nel 1998 il confine venne ridot-to da 27,5 a 25, con il risultato che ben 29milioni di statunitensi entrarono a far par-te dell’area di rischio. «Science» proponeora di adottare un indice molto più com-plesso, che tiene conto del rapporto tramassa grassa e massa muscolare, delle dif-ferenze di genere e di corporatura tra per-sone appartenenti a diverse popolazioni.

Le perplessità e i dubbi di «Science»non suonano nuovi per le scienze sociali. Apartire almeno dagli anni Novanta, sociolo-gi e antropologi, alla luce di ricerche com-parative e nel quadro di riflessioni sul ca-rattere «imperialista» di alcuni aspetti del-la biomedicina, hanno espresso riserve sulBmi, sull’idea che sia in corso una «epide-mia di obesità» e sulla definizione dell’obe-sità come malattia. A essere messe seria-mente in discussione sono le pretese di de-finire in modo semplice, lineare e universa-le le caratteristiche di un corpo in salute,senza tenere conto delle variabili sociali,culturali e politiche. Ridurre il problemadell’obesità a un appetito vorace, a questio-ni genetiche o a scelte individuali è appar-

so come una diagnosi non solo errata e ri-duttiva, ma soprattutto generatrice di poli-tiche sanitarie inefficaci quanto costose. IlBmi, tarato su un corpo «ideale» costruitoa partire da modelli occidentali, soffrireb-be insomma di una malattia concettualeche gli scienziati sociali definiscono «etno-centrismo». Misurare gli altri (letteralmen-te, in questo caso) con il metro della pro-

pria cultura, delle proprie concezioni (e mi-tologie) del corpo.

Un interessante testo al proposito è quel-lo scritto da Gaia Cottino, antropologa cul-turale romana, in uscita nelle prossime set-timane (Il peso del corpo. Un’analisi antro-pologica dell’obesità a Tonga, Unicopli).Dopo uno studio sugli aspetti politici del-l’obesità alle Hawaii, Cottino ha compiuto

un lungo lavoro di campo alle isole Tonga,nel Sud Pacifico. La scelta dell’Oceania èmotivata dal fatto che questo «mare di iso-le» racchiude molti degli Stati che occupa-no i primi posti delle classifiche mondialidell’obesità. Il rapporto dell’Organizzazio-ne mondiale della sanità del 2000 colloca-va infatti ben otto nazioni oceaniane neiprimi dieci posti — Nauru con il 94% dellapopolazione obesa, seguito da Samoa, Sa-moa Americane, Cook, Tonga, Polinesiafrancese, Stati federati di Micronesia, Niue.Perché questo «primato»?

Osservando la «globesità» a partire dauno specifico contesto, collocandosi cioèin una delle tante periferie del sistema glo-bale, Cottino sfata diversi miti. In primoluogo molte lingue e culture fanno distin-zioni tra «grasso» e «grosso». In rapportoagli europei, i polinesiani hanno in effettiuna corporatura più robusta. La grande dif-fusione del rugby a partire dagli anni Ottan-ta ha ulteriormente «ingrossato» i poline-siani, per i quali l’essere grossi è un idealecorporeo che riflette le capacità dell’indivi-duo di avere molte relazioni sociali (le qua-li comportano in primo luogo il mangiareinsieme) e uno status elevato. La genetica,la storia, l’organizzazione sociale, i valori le-gati al cibo e alla corporeità, sono tutti fat-tori che insieme concorrono a modellare ilcorpo dei tongani. L’opportuna correzioneo abolizione del Bmi contribuirà ad abbas-sare drasticamente il numero dei polinesia-ni sovrappeso o obesi — suonava ironicoche i rugbysti All Blacks maori finissero nel-la categoria dei ciccioni a rischio!

Rimane il fatto che, negli ultimi decen-ni, l’aspettativa di vita in molte di questeisole è scesa, a causa di malattie come ildiabete e i problemi cardio-vascolari. I ri-sultati della ricerca di Gaia Cottino sposta-no l’attenzione dall’obesità alla malnutri-zione. Il problema di fondo non è il control-lo dell’appetito, né l’impatto della moderni-tà (con cui i tongani si confrontano da piùdi due secoli). La storia ci dice che la prefe-renza per pasti abbondanti, per cibi grassie unti, per corpi grandi — le donne tahitia-ne incantarono i marinai inglesi per la loroprosperità — è un tratto persistente delleculture di questi popoli. Ciò che è cambia-to non è tanto la quantità di cibi, quantol’infima qualità di quel junk food («cibospazzatura») che proprio a partire dagli an-ni Ottanta ha cominciato a invadere le iso-le. Bevande ipercaloriche, costolette diagnello considerate come scarti dal merca-to occidentale, carne in scatola e snack divaria natura sono entrati nella dieta quoti-diana dei tongani e di molte altre popola-zioni, deteriorando le condizioni di salute.

La miglior cura dell’obesità, insomma,consisterebbe in una revisione delle politi-che alimentari globali, piuttosto che nel-l’imposizione di diete e nella prescrizionedi farmaci.

@AdrianoFavole© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Daria Gorodisky

di Marco Del Corona

LE REGOLEDELL’ERESIACARAITA

Orizzonti ScienzeInchiostro di Cina

Gli scrittori invisibili che incarnano la verità

«Nel 1935, avevoappenacompiuto 18

anni quando mi unii allafamiglia di RudolfMitwisser, lo studioso delcaraismo. "Lo studioso delcaraismo"! Allora nonavevo la minima idea dicosa significasse…». Iniziaa raccontare così RoseMeadows, protagonista diquello che vieneconsiderato il miglioreromanzo della grandescrittrice americanaCynthia Ozick: Eredi di unmondo lucente (Feltrinelli).In effetti, i Caraiti sonouna piccolissima comunitàscismatica che verso il IXsecolo si è separatadall’ebraismo «ufficiale»,da quel solido troncoramificato nei movimentiortodossi, conservativi,riformati, ricostruzionisti.Lo scostamento principaledalla radice comuneconsiste nell’adesioneesclusiva al significatoletterale del Pentateuco: laTorah come unica fonte dicredo e di diritto, senzaspazio per la Legge Oraledelle successiveinterpretazioni dei grandimaestri codificate inTalmud e Mishnà. Lecomunità maggiori si sonosviluppate soprattutto inEgitto, ma poi anche inTurchia (al Gran Bazar diIstanbul esiste ancora viadei Caraiti), Iraq, Polonia,Russia. Dopo il primostrappo, le relazioni conl’ebraismo rabbinico nonsono mai state davverotraumatiche e nel ’300l’eccelso Maimonide e ilprincipale teologo caraitaAaron ben Elijah diNicomedia si lanciavanomessaggi di apertura. Peròla separazione è rimasta.Oggi ci sono alcunecomunità anche negli Usa,ma la densità più forte ènel centro-sud di Israele,con circa 30 mila persone;Ramla è sede del loroCentro mondiale, conbiblioteca e archivi. IlRabbinato non liriconosce, ed è reciproco;calendario, liturgie e ritisono leggermente diversi,però i matrimoni tra le dueconfessioni sono inqualche modo facilitati. Haspiegato tutto il rabbinocapo caraita in Israele,Moshe Firrouz, durante unseminario alla Ben-GurionUniversity of the Negev,che si può rivedere ininternet(www.youtube.com/watch?v=4PyybbkPpeo). MentreEmanuela Trevisan Semi,docente all’ateneo Ca’Foscari di Venezia, ha datoun contributo apprezzatointernazionalmente con ilsuo Gli ebrei caraiti traetnia e religione (Carucci).Ma per farsi incuriosire, ilromanzo della Ozick è giàun ottimo assaggio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

AlefBetAntropologia

di ADRIANO FAVOLE

L’«imperialismo» dell’obesità

L’indice di massa corporea è inapplicabile alle popolazioni dell’OceaniaSemmai è la diffusione del junk food che mette in pericolo la salute

UNM

URAL

ESA

VALE

NCI

A

8 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 9: la_lettura_20120908

{

Gli autori

Visual data

Orizzonti Mappe

Il ricettario di Sophia

La visualizzazione e l’analisi dei datidi questa settimana sono a curadi Accurat, agenzia di informationdesign fondata da Giorgia Lupi,Simone Quadri e Gabriele Rossi(www.accurat.it)

di ALESSANDRO BERETTA

Sophia Loren ripubblica il suo ricettario,scritto nel 1971 (anzi, dettato alla segretaria)mentre era «prigioniera» in un lussuosohotel-grattacielo di Ginevra, incinta di Carlojr. Da questa altezza, anche la semplice

ricetta delle Barchette di sedani, incipit dellaserie antipasti, è carica di promesse. Sophiasi rilegge e annota: «Un tuffo nel passato, traprofumi, luoghi e personaggi». («In cucinacon amore», Rizzoli).

C’è una famiglia che da 24anni accompagna il pub-blico Usa e, dal 1991, quel-lo italiano: I Simpson, la si-tcom animata creata da

Matt Groening e prodotta da Louise L.Brooks per la Fox, ormai diventata lapiù longeva serie della prima seratad’Oltreoceano. Una sfida vinta con unsuccesso planetario, perché Groening,autore dell’enigmatico fumetto Life inHell, lottò perché gli episodi durasserocome quelli di una sitcom dal vivo.

Gialli per una scelta quasi casuale, iSimpson sono una famiglia tipo del ce-to medio americano: il padre Homer hadue compagne fedeli, la moglie sogna-trice Marge e la birra al pub di Boe, do-po il lavoro nella centrale nucleare, etre figli. Il ribelle Bart, che indispone ilmondo con il suo proverbiale «Ciuccia-ti il calzino!», Lisa, studentessa diligen-te e genio di casa, e la piccola e silenzio-sa Maggie, che ha parlato una volta conla voce di Jodie Foster. Ma intorno al di-vano dove si riuniscono all’inizio diogni puntata nelle couch-gag della siglad’apertura, ruota la vita di Springfield

— una delle 71 omonime presenti negliStates — e dei suoi abitanti.

Sono loro i protagonisti della visua-lizzazione di questa settimana, i cin-quanta personaggi principali indagatinelle loro apparizioni, dal primo episo-dio del 17 dicembre 1989, fino agli ulti-mi trasmessi in Usa e non ancora arriva-ti in Italia, dove le voci dei Simpsonhanno recentemente perso il loro pa-dre, il doppiatore Tonino Accolla.

Se la maggioranza dei personaggi èmaschile, nell’universo dei Simpson ilbuon senso sta dalla parte delle donne,mentre il male, con tenerezze inattese,

è incarnato da Charles MontgomeryBurns, anziano padrone della centralenucleare e capo di Homer. Domina so-vrano, comunque, Homer J. Simpson,irresistibile per le gag visive che crea e

in cui la sua testa, spesso, è attraversatada voci in cerca di un’intelligenza chefortunatamente non c’è.

La parte inferiore dell’infografica, in-fine, mostra come la fantasia di MattGroening, che ha dato i primi nomi par-tendo dai suoi parenti di Portland, nonsi sia fermata, arrivando a coinvolgere438 personaggi nell’ultima stagione,con, negli anni, cameo vocali illustri:da Thomas Pynchon a Lady Gaga. Unavera commedia umana, sfrenatamentepop e rigorosamente in giallo.

@bedrella© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Marisa Fumagalli

Sul divano dei Simpson

Cotture brevi

Matt Groening partì nell’89 usando i nomi dei parenti,oggi la serie è affollata di personaggi, da Pynchon a LadyGaga. Ma le star restano Homer, Marge e i loro tre figli

9LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 10: la_lettura_20120908

di PAOLO DI STEFANO

Liti con editori e con se stessiCosì gli scrittori si riscrivono

Ci ripenso,dunque sono

di Gianni Farinetti

«Ho lavorato tutta lamattina alla bozza diuno dei miei poemi,e ho tolto una virgo-la. Al pomeriggio

l’ho rimessa». Chi non ricorda l’autoironi-ca confessione di Oscar Wilde? Un parados-so, ma neanche troppo. I veri scrittori tol-gono, cambiano e aggiungono di conti-nuo. A volte lo fanno anche a cose compiu-te, quando il libro ha già da tempo comin-ciato la sua vita pubblica, come è capitato aMichele Mari con il suo romanzo d’esor-dio, Di bestia in bestia, ripreso due volteben dopo l’uscita del 1989. Ma gli esempidel passato sono numerosi: basti pensarealle numerose tappe che portarono Ludovi-co Ariosto a rivedere il piano dell’Orlandofurioso per oltre dieci anni, fino a pochimesi dalla morte e dopo molte ristampe. ETorquato Tasso riscrisse la Gerusalemme li-berata chiamandola Conquistata per se-gnare lo scarto. Anche per Manzoni, comesi sa, le progressive riscritture imposeroun cambiamento nei titoli: dal Fermo e Lu-cia agli Sposi promessi ai Promessi sposi,con il travagliatissimo passaggio, per que-st’ultimo, dall’edizione Ferrario 1827 allacosiddetta Quarantana degli editori Gu-glielmini e Redaelli.

Insomma, letteratura è ossessione, e os-sessione è insoddisfazione perenne. Nontutti lavorano in levare, come Mari. Per sa-perlo, non c’è bisogno di fare il nome diCarlo Emilio Gadda, che considerava prov-visoria praticamente tutta la sua produzio-ne narrativa, compresi i romanzi e i raccon-ti già editi. Restando ai nostri anni, va ricor-dato il caso di Alberto Arbasino, il re dellariscrittura, e non certo soltanto per la famo-sa serie di Fratelli d'Italia 1, 2 e 3 (Feltrinel-li 1963, Einaudi 1967, Adelphi 1993): rifaci-mento quasi totale e per di più ampiamen-te accresciuto. Altro esempio: Antonio Mo-resco ha messo mano, a distanza di anni, anumerosi suoi libri, e Lettere a nessuno,transitando dall’edizione Bollati Boringhie-ri del 1997 alla seconda, Einaudi 2008, èquasi triplicato. Più spesso si procede conil bisturi, togliendo ripetizioni o aggiustan-do qua e là una svista dell’intreccio, un baf-fo del personaggio, un giro sintattico che

non convince più. Come ha fatto UmbertoEco apportando qualche variante stilisticaal Nome della rosa 1980, dopo tre decennie trenta milioni di copie vendute. E si sache qualche ritocco è sopraggiunto, dopoventicinque anni dalla prima uscita, ancheper Il pendolo di Foucault.

Può anche capitare che a furia di cambia-re venga fuori un libro nuovo. Così ItaloCalvino, nel 1968, per il Club degli Editorimette insieme due libri di racconti prece-denti (Le cosmicomiche e T con zero) ri-strutturando l’intera raccolta, che avrà untitolo inedito: La memoria del mondo e al-tre storie cosmicomiche. Una nuova edizio-ne garzantiana (1984), con il titolo Le co-smicomiche vecchie e nuove, è il frutto diuna ulteriore revisione strutturale con no-tevoli aggiunte. Come Giorgio Bassani, an-che Giuseppe Pontiggia è stato un altro in-stancabile rifacitore di se stesso con secon-de edizioni rivedute e ampliate, quandonon addirittura interamente rinnovate. Oc-corre anche una buona dose di lucidità eautocritica: «Mi sono reso conto che il te-sto presentava alcuni difetti non margina-li», affermava nella Nota della Grande se-ra. Altre volte, le variazioni sono dettatedalle circostanze: dopo la prima edizionedi Agostino (1945), Alberto Moravia potràfinalmente permettersi di sostituire con il«lei» il «voi» imposto dal regime fascista.

Non è certo come dare una mano di ver-nice ai muri di casa e neanche come sana-re le crepe di un edificio invecchiato. È unaquestione di orecchio, che solo l’autorepuò valutare: è lo stesso Mari, nella notafinale alla nuova edizione, ad alludere alleVariazioni Goldberg eseguite da GlennGould. Certo, l’editore ha tutto il diritto (eanche il dovere) di dire la sua. Nel caso diMari, non va dimenticato che Mario Spa-gnol gli aveva consigliato un energico edi-ting sul manoscritto. Ne discusse a lungocon il giovane autore, che rispose: «Puòdarsi che lei abbia ragione, ma io non senti-rei più il libro come mio». Spagnol cercòdi aggirare l’imbarazzo, sottoponendoglile revisioni realizzate da «un altro scritto-

re» (curiosità: chi sarà mai?). Nulla da fare,Mari non mollò. Poi, nel 2004, cominciò aripensarci e, senza renderne conto a nessu-no, si mise ad asciugare e ritornò ad asciu-gare nel 2012. Il risultato del doppio inter-vento è l’attuale edizione Einaudi, che for-se dà ragione (postumamente) a quel gran-de editore-cane-da-tartufi che fu Spagnol.

Gli editori di razza, da primi lettori, nonesitano a entrare in dialettica sui libri. Glialtri accettano o respingono, e basta. Inuna lettera Valentino Bompiani suggerìcon delicatezza a Eco di dare un’occhiata al

sogno di Adso («un po’ lungo e insistito»)e di rivedere la descrizione dell’incendio fi-nale («non tutta utile»). Il semiologo-scrit-tore, pur con l’enorme stima che nutrivaper il suo editore storico, respinse gentil-mente al mittente quelle osservazioni. E in-tervenne pochissimo. Ma si sa che zio Valnon era un tipo facile. Con i primi raccontidel giovane Luigi Malerba reagì a modosuo, cioè da una parte manifestando la pro-pria fiducia, dall’altra precisando che «nonsempre l’invenzione regge tutto l’arco delracconto (...), la seconda parte è stanca. Eallora si finisce sul piano bozzettistico».Malerba avrebbe accolto le proposte infor-mando di avere «già fatto delle correzioniche mi sembrano risolutive».

Non fu vera tensione, com’era stata nel1955 quella tra Pier Paolo Pasolini e LivioGarzanti a proposito di Ragazzi di vita.«Garzanti all’ultimo momento — scrissePasolini al poeta Vittorio Sereni — è statopreso da scrupoli moralistici, e si è smonta-to. Così mi trovo con delle bozze morte frale mani, da correggere e da castrare. Unavera disperazione, credo di non essermi tro-vato mai in un più brutto frangente lettera-rio...». L’editore aveva imposto all’autoreun lavoro di «autocensura» sempre più ra-

Casi «Agostino» di Moravia: dopoil fascismo passò dal voi al lei

Inquietudini Ariosto, Manzonie gli altri: l’opera non è mai finita

Il celebre autore è incastrato in questo premioper signore con smanie letterarie.È riuscito a mollare la sezione «Poesia»a un altro malcapitato, si è beccato quella

«Racconto».Ed ecco che si avvicina tremante la vincitricementre scrosciano applausi invidiosi. La targaricordo passa dalle mani dell’autore a quelle

della signora non più giovanissima e lì per lì ilceleberrimo prova una schietta tenerezza per ladonna in tailleur misto lino che, stringendoglimolle la mano, cerca emozionata una fraseadatta al solenne momento.Le vien fuori una vocina strozzata: «Mi hannodetto che anche lei scrive».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La frase adatta

Caratteri

Un romanzodi cento parole

O tutti o nessuno. Deve averla pensata cosìJames Franco, il più intellettuale tra gli attoridi Hollywood, nei giorni scorsi al Lido daregista. Seguito su Twitter da quasi unmilione di persone, ha scelto di ricambiarel’interesse solo con 55 di loro e, quasisempre, si tratta di sconosciuti. In ogni caso,di colleghi famosi non c’è nemmeno l’ombra,contrariamente a quanto spesso accade. O èmolto diplomatico o troppo sofisticato.

L’INEDITO

di Chiara Maffioletti

Tiromancino

Nato a Bra (Cuneo),classe 1953, ha esorditoin narrativa con ilromanzo «Un delittofatto in casa» . Nel 2013è uscito «Rebus di mezzaestate» (Marsilio).

Follower

James Franco li preferisce anonimi

RRR

Fabio Fazio come Sartre

i

Secondo Piergiorgio Odifreddi la figuradell’intellettuale impegnato è sempre lastessa. Cambiano soltanto, scrive nel nuovonumero di «MicroMega», mezzi e contesto.Ieri c’era la rivista «Les Temps Modernes» diJean-Paul Sartre, oggi «Che tempo che fa»di Fabio Fazio. «Sarei contento — dichiaracandido — di avere maggiore spazio in tvper far circolare di più le mie idee».

Luca Mastrantonio

RemixSe è qualcun altro — e non

lo stesso autore — ariscrivere un testo celebre,

allora si parla, in genere, di«cover»: il termine viene dalcampo musicale, dove indica

la reinterpretazioneo il rifacimento di un branofamoso da parte di un altro

musicista. Un caso di «cover»in cui la riscrittura incrociò

i terreni della musica e dellapoesia, fu il libro «Nelle

galassie oggi come oggi»(Einaudi, 2001) in cui Raul

Montanari, Aldo Novee Tiziano Scarpa scrissero

parole nuove su brani di LouReed, Nirvana, Björk, DavidBowie e altri. All’idea delle

«cover», ma nell’ambitodi un progetto editoriale e

didattico, si ispiranole attività di «Letteratura

rinnovabile», iniziativa creatadall’editore Marcos y Marcos

nel 2009, partita conlaboratori di riscrittura

dei classici e divenuta oraun’associazione che anima

tra l’altro i laboratorieditoriali «BookGenerator»

e gli eventi dellamanifestazione «Letti dinotte», con letture fuori

orario in libreria. Tra scrittura,riscrittura, «cadavres esquis»

e gioco social, si colloca lacommunity «The incipit» sul

sito www.theincipit.com in cuisono gli stessi lettori a

indirizzare il corso della storiae a riscriverne in sostanza

il corso, attraversoun sistema di preferenze

{Narrativa italiana, straniera, saggistica, classifiche

RRR

10 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 11: la_lettura_20120908

dicale cui Pasolini, sulle prime, sembrò de-dicarsi senza batter ciglio facendo uso deipuntini di sospensione per sostituire le pa-rolacce. Anzi, dicendosi disponibile a inter-venire con più decisione: «Potrei farne (na-turalmente a malincuore) ancora di più, seLei lo credesse opportuno». Nel giro di unmese, però, non si trattò più solo di usare ipunti di sospensione, ma di attenuare, ta-gliare e ricucire, purgare, rifare: seguiran-no, per Pasolini, «giorni atroci».

Può sembrare incredibile, ma ci sonoscrittori finiti nella grande storia letterariache di fronte a un’osservazione del loro edi-tore non fanno alcuna resistenza, assecon-dano desideri e capricci anche a costo divedersi violentare il proprio testo: sono ca-si che si trovano raccontati, tra mille altri,nel libro di Alberto Cadioli Le diverse pagi-ne (il Saggiatore 2012), dove si affronta ilruolo dell’editore nella confezione del te-sto letterario. Si veda, per esempio, la mi-tezza con cui l’esordiente Beppe Fenogliosi sottopose alla revisione del duo Calvi-no-Vittorini (funzionario einaudiano il pri-mo, direttore dei «Gettoni» il secondo).Nell’affaire Fenoglio, che Vittorini nonamava particolarmente, c’è qualcosa di bef-fardo. Lo scrittore di Alba ubbidì ai deside-

ri editoriali di rivedere La paga del sabato,secondo le puntuali richieste dell’editor Vit-torini: «A me pare di avere abbastanza rin-forzato e sostanziato i due ultimi capitoliche erano certamente i più deboli: vi ho ag-giunto un episodio per ognuno dei due ca-pitoli. E mi pare di esser riuscito ad elimina-re in parte quel che di "ovvio" lamentava ilSig. Vittorini».

Neanche dopo la correzione, però, il ro-manzo piacque e dunque fu respinto, nono-stante il parere cautamente positivo di Cal-vino, espresso per lettera nel ’50: «Mi sem-bra che tu abbia delle qualità fortissime;certo anche molti difetti, sei spesso trasci-nato nel linguaggio, tante piccole cose an-drebbero corrette, molte cose urtano il gu-sto — specie nelle scene amorose — e nontutti i capitoli sono egualmente riusciti. Pe-rò sai centrare situazioni psicologiche parti-colarissime con una sicurezza che davveromi sembra rara». Alla fine sarà don Elio achiedere a Fenoglio di rinunciare al libroper concentrarsi sui racconti. E scrivendo aPavese, anche l’autore sarà preso dal dub-bio: «Ma non ha forse ragione, in fondo, ilsignor Vittorini?». No. Aveva torto marcio,e Fenoglio avrebbe dovuto insistere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di GIUSEPPE GENNA

Testimoni «Assalto a un tempo...» è alla terza redazione. «Cerco gli ossi di seppia»

«Il tempo erode i testi. Come i monumenti»

La prosa italiana nasce dalleriscritture. AlessandroManzoni trapassa dal

Fermo e Lucia ai Promessi sposi.Giacomo Leopardi: fino al ’900inoltrato nessuno afferma che loZibaldone è un libro. Si tratta direti di testi, un incrocio quantomai virtuoso tra campimagnetici e teorie degli affetti. Iltesto italiano è tale solo se inmovimento esausto. Si guardasoprattutto a Dante e a Petrarca— quelle cancellaturecontinue, quelle lacunee quei brani grattati,che non sono maistati scrittidefinitivamente.Non è un caso sel’italiano è la

lingua letteraria più anticadell’umanità, insieme alsanscrito. Chi scrive in sanscritovede i monumenti in questomodo, per noi originale: non sirestaura, l’erosione stessa è ilmonumento, rappresenta benel’impermanenza, le pietrecrepitano, noi pensiamo alpieno e la gente indianacontempla dei vuoti. Di qui, unatteggiamento lugubre emuseale degli occidentali, chetentano di conservare unaforma per un impossibilesempre. Il testo è ilmonumento, una circolazionedi erosioni e cecità.Nell’esperienza personale horegistrato resistenze aimutamenti non soltanto deitesti, ma anche dei paratesti.Una volta scrissi un finto thrillerche si intitolava Gotha el’editore suggerì che si trattavadi un titolo troppo «alto» e«freddo», così quel libro fuintitolato Non toccare la pelledel drago, in quanto Mao (il

libro trattava apparentementeanche di mafie cinesi) avrebbedetto una volta che si puòtoccare tutto, educazione epolitica ed economia, tranne «lapelle del drago». Questacitazione è falsa. Quindi prestoil libro tornerà a intitolarsiGotha. Vi prolifereranno capitolifantasma. Nel 2000 unagiornalista accolse un testo ditesti, giunto ora alla suaversione 3.0 e che si intitolaAssalto a un tempo devastato evile: «Esordisce il giovaneGenna con Assalto a un trenodevastato e vile». Questoslittamento delle parolepermette di essere attenti a sestessi, alla caducità e allospalancamento imposto da unavecchiezza dolce di questocodice, l’italiano, sempre sfinito.Un fantasma non è mai fermoeppure non si muove. I testisono allucinazioni bellissime.Per questo riscrivo i testi, necerco gli ossi di seppia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Le due «versioni di Mari»Ovvero la lima dell’esperienzacontro l’impeto dell’esordiodi IDA BOZZI

Nella foto grande a centro pagina: duebrani di «Di bestia in bestia»nell’edizione Longanesi del 1989 e inquella Einaudi 2013. Qui accanto:Michele Mari. Sopra, da sinistra:Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni,Carlo Emilio Gadda e Alberto Arbasino

Talvolta le vicissitudini editoriali e di scrittu-ra d’un romanzo sembrano ispirarsi al ro-manzo medesimo. Ad esempio, mentrel’agrimensore di Kafka fallisce nel tentati-vo di giungere al cuore del Castello, anche

lo scrittore non conclude il romanzo: la doppia in-compiutezza, esterna e interna, fa schizzare alle stel-le l’efficacia dell’opera kafkiana, consentendoci (perun caso che non pare però del tutto casuale) di trova-re riverberato il significato nel significante, la sostan-za nella forma, ovvero l’incompiutezza del destinodell’agrimensore nell’incompiutezza del raccontokafkiano.

Anche nel romanzo Di bestia in bestia di MicheleMari (nato nel 1955 a Milano, ora residente a Roma)la vicenda editoriale sembra in qualche modo paral-lela alla materia del romanzo. La prima edizioneuscì per Longanesi nel 1989, e misurava 272 pagineassai fitte: ripubblicato da Einaudi, ne misura oggisoltanto 232 (in realtà, del romanzo vero e propriove ne è qualcun’altra di meno, poiché Mari nella nuo-va versione pubblica anche alcune pagine di una«Nota» del tutto inedita che spiega la riscrittura). Ilromanzo raccontava — e racconta tuttora, ma in ma-niera diversa — l’incontrollabile violenza e forza di-rompente della bestia naturale, del mostro che tuttiteniamo segreto, e d’altro canto l’energia razionaleche la fronteggia, cioè la cultura. Cultura e naturasono incarnate in due gemelli di indole opposta,Osmoc e Osac, il primo faustiano e intellettuale, l’al-tro bestiale e priapesco, il primo castellano circonda-to dai libri, il secondo un orco quasi animalesco neisuoi istinti sessuali e tenuto a bada dal fratello mag-giore in un’oscura torre. La visita nella proprietà daparte di alcuni viaggiatori, tra cui una donna somi-gliante a Emilia, moglie defunta di Osmoc, scatene-rà Osac e con lui il confronto finale.

La prima versione, quella del 1989, come testimo-nia il primo brano riportato qui accanto, eraun’esplosione caleidoscopica e straordinaria di lin-gua aulica e contenuti favolosi, una fantasmagoriadi cavalieri moderni che richiamava la parodia don-chisciottesca unita a certe avventure gotiche ottocen-tesche come il Frankenstein di Mary Shelley, insie-me ai racconti scientifici ed eruditi degli esploratoripositivisti e alle chiose insistite dei filologi umanisti.Una somma di culture, di eredità, di influenze.

Era però, anche, il primo romanzo pubblicato daMari: vi si leggeva tutta l’incontenibile energia di ungiovane scrittore, il gioco divertito della lingua, lelunghe teorizzazioni spinte sul filo della capziosità;vi si ironizzava sulla pedanteria del professorPesùmai e dello stesso Osmoc, con le loro lunghedissertazioni sulla natura dell’amore. D’altro canto viera anche la capacità istintiva di accelerare o rallenta-re l’azione disseminando la narrazione di anticipa-zioni, giocando a irritare e irretire il lettore con lun-ghi giri di frase che ritardavano il compiersi dell’atte-so colpo di scena. Insomma, questa torrenziale scrit-tura era il vero «mostro» davanti al quale ci si trova-va aprendo l’inatteso capolavoro, era questo l’ecces-so, l’istinto bruto. In una parola, quella prima versio-ne rappresenta la «natura».

La nuova edizione diviene in qualche modo «laversione di Osmoc», come se il trionfo della cultura

e dell’esperienza sull’impeto originario si trasferissedalla vicenda dei due fratelli alla lotta delle parolesulla carta. Ecco, la vicenda editoriale del romanzoricalca quasi il contenuto del medesimo. «Oggi pe-rò, dopo tanti altri libri — racconta infatti lo stessoMari nella "Nota" alla fine del romanzo — , ho riscrit-to Di bestia in bestia in modo più asciutto, soprattut-to là dove l’oltranza classicheggiante e l’accumulo ci-tativo rischiavano di privilegiare un controcanto pa-rodico».

Il testo del 2013 contiene ora indubitabilmente lastessa potenza immaginativa e meno ingenuità nar-rative (ove ve ne fossero), meno digressioni erudite— vere, ma insieme false, ovvero parodiche — cheal lettore potevano sembrare faticose. Vi sono picco-le scelte dissimulate, oltre al taglio di molte pagine,che indicano come lo scrittore desideri oggi, «dopotanti altri libri» (tra gli altri, impossibile non ricorda-re Io venia pien d’angoscia a rimirarti, con la suamimesi del linguaggio settecentesco, edito da Longa-nesi nel 1990, ripubblicato da Marsilio nel 1998 e daCavallo di Ferro nel 2012; e poi Filologia dell’anfibio,uscito per Bompiani nel 1995 e poi per Laterza nel2009, Rosso Floyd, pubblicato da Einaudi nel 2010 enel 2012) prendere le distanze dalla partecipazionetotale di allora: un esempio per tutti sia il fatto che ipersonaggi della versione del 2013 si rivolgono l’unoall’altro con il «voi», mentre nella versione dell’89 sirivolgevano gli uni agli altri con il «lei». Una lonta-nanza, un distacco, in qualche modo, si è aggiunto.

Tuttavia, se nella versione del 2013 l’accenno paro-dico sfuma e sono sfrondate molte pesantezze e lun-gaggini, sembra sfumare in parte anche l’«eccezio-ne» che il romanzo costituiva nella prosa realisticadi fine anni 80 e nella narrativa italiana in generale,cioè l’affabulazione libera che lambiva le vette del-l’assurdo, del fantasioso, evocando senza limiti diimmaginazione la trilogia fantastica di Calvino, ilDracula di Stoker, il bestiario medioevale e quant’al-tro («era soltanto una bestia: un pipistrello. Ma oh,che pipistrello! Mirabile visu, aveva le dimensionidi un grosso tacchino, e la cosa più impressionanten’era il colore bianchissimo»). Si tratta di un libropiù «portabile», quello che forse avrebbe voluto Ma-rio Spagnol quando propose un «energico editing»— racconta Mari nella «Nota» — che lo scrittore ri-fiutò. E che oggi sembra in fondo accolto.

È un esperimento nel laboratorio di uno scrittore.Per illustrarlo, un ultimo esempio. Nel secondo bra-no riportato qui a fianco, la dissertazione sull’«amo-re» della prima versione è sintetizzata in un fraseg-gio più breve: «Riesce ad essere così spaventosamen-te vuoto, come il Nihil antico». E la chiosa si fa piùefficace con una semplice inversione degli elementi:la «sostituzione da effettuarsi soltanto in una circo-stanza particolare, e revocabile a mia discrezione»,diventa oggi «una sostituzione, revocabile a mia di-screzione, da effettuarsi soltanto in una circostanzaspeciale». Non solo l’efficacia ai fini della suspensemigliora, ma ecco, questa frase pare contenere an-che un’autoprofezia: chissà che anche la «sostituzio-ne» della versione antica con quella del 2013, nonsia «da effettuarsi in una circostanza particolare», asua volta «revocabile» a discrezione dell’autore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Il protagonista

Revisioni

Come cambia «Di bestia in bestia»ripubblicato con molti tagli

11LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 12: la_lettura_20120908

Michail Saltykov-Šcedrin, l’au-tore di Fatti d’altri tempinel distretto di Pošechon’je,fu più o meno coevo di Do-stoevskij. Nacque da una fa-

miglia di media nobiltà nel 1826. Quandoa ventidue anni, influenzato dagli eventirivoluzionari di Parigi, pubblicò Un affareimbrogliato, Nicola I lo spedì in provincia,a Vjatka, dove ricominciò la carriera am-ministrativa. L’esilio durò otto anni, lo re-vocò Alessandro II e nel 1857 Saltykov pub-blicò Cronache (o Schizzi o Bozzetti) pro-vinciali, il libro che lo impose all’attenzio-ne e che suscitò l’interesse di Nikolaj Cer-nyševskij. La collaborazione tra i due scrit-tori alla rivista «Sovremmenik» costitui-sce uno sviluppo del pensiero liberale, co-m’era interpretato dal duo Belinskij-Tur-genev: per lo stesso Lenin siamo a un pas-so dall’idea democratica. Non così per Kro-potkin, per il quale la satira di Saltykov ac-costandosi all’uomo medio «rimane na-scosta dietro una massa di episodi comicie di espressioni esotiche».

Ma Kropotkin sbagliava. Saltykov co-mincia da Aksakov, dalla sua Cronaca difamiglia; ha punti di contatto con Turge-nev (ma i loro mondi sono diversi, l’atten-zione di Saltykov è quasi per intero con-centrata su quello che si sarebbe chiama-to proletariato, e che per lui era o era stataservitù della gleba), e anche con Gogol’(nelle sue punte satiriche). Ma specie nel-le opere maggiori, I signori Golovliòv ePošechon’je, è un caso a sé per obiettivitàdello sguardo; per durezza (tutta implici-ta) del giudizio; per nichilismo (pari aquello dei grandi del secolo successivo, se-condo Anthony Burgess la sua opera pre-lude a Belyj e al Nabokov di Ada); per ilsottotesto di «pietas» che il suo nichili-smo mai nasconde fino in fondo.

L’analisi che ne fece Cernyševskij èesemplare. Saltykov in quanto funziona-rio statale non è un democratico. Se l’ideadominante è che la concussione è unatransazione, condannare è difficile; néAmleto è Amleto solo per il suo carattere,lo è per il mondo in cui vive. Ma a questaaltezza, contraddicendo l’uomo, entra inscena lo scrittore che assunse il nome diŠcedrin, un vero scrittore democratico.

Saltykov è il più nero degli umoristi, di-ceva Cernyševskij nel 1857; ma per lui i rus-si non sono mostri, bensì uomini comegli altri, quegli uomini «comuni» che Kro-potkin pensava l’autore di Golovljòv e diPošechon’je non sapesse vedere. Quelloche a me più preme è capire cosa fa di Sal-tykov, al di là delle idee, uno scrittore nongrande, ma grandissimo e anche, aggiun-go, molto bello da leggere, trascinante,

sempre toccante. I suoi registri sono tre.Comico-umoristico, d’un umorismo cheprocede raso terra. Satirico, d’una satirache può essere circoscritta al mero ritrat-to di un personaggio: in Pošechon’je cosìè descritto il maresciallo Strúnnikov: egli«mangia una cotoletta dietro l’altra. Strap-pa la carne coi denti, e masticando guardalontano, come sperduto nei pensieri. Dalpiacere il suo viso prende un’espressionequasi sofferente». Il terzo registro è elegia-co: i ritratti più lancinanti sono quelli deiservi, della loro quasi sempre breve e stre-mante vita, e della loro morte. Annuška inpunto di morte dirà: «Sono nata serva(...). E adesso se l’Altissimo mi giudica de-gna di morire, resterò per i secoli dei seco-li... serva del Signore!». Mavruša, che di-venta serva sposandosi, non ce la fa e s’im-picca; l’impenetrabile Konòn che, agoniz-zante, alla domanda «E allora, soffre?» ri-sponde solo: «Si sa... è la morte»; il sartoSerëžka che diventa sarto per «smorzareogni sensibilità, e farci il callo» (alla nor-

malità delle angherie); Matrënka che rima-sta incinta fuori del matrimonio si lasciamorire assiderata; Van’ka-Caino che al nar-ratore riappare anni dopo, più scheletricoche mai per dirgli, semplicemente, senzadirlo, «è ora di morire».

Non mi soffermerò sui due ritratti mag-giori, che si suppongono autobiografici,quello della tirannica eppure «buona» pa-d r o n a e d i tu t t i « m a m m a » A n n aPàvlovna, e quella del padre «bigotto e pu-sillanime» (Gigliola Venturi) Vasilij Porfi-ryc. Né sui ritratti un po’ comici, le «ziet-te-sorelline» e, stupendo, quello della«zia golosetta». Voglio ricordare invece ilmatrimonio tra il nobile d’antico stampo(proprio come in Gogol’) Burmakin e la vi-

ziatissima Mílocka, cheappena arriva a Moscamostra di che pasta èfatta, così ricordando, sipuò supporre, lo sciagu-rato matrimonio di Sal-t y k o v , c h e a v e v a

trent’anni, con Elizaveta Apollònovna, diquindici anni più giovane (una donna che,annoterà il marito, «in quanto a ideali nonè esigente» mentre «i maldicenti cercanodi azzeccare a chi somiglino i miei figlio-li»).

Per concludere, vorrei dire due cose sucome è fatto (scritto) Pošechon’je. Le varia-zioni di ritmo sono tanto sottili, quasi inav-vertibili, quanto incessanti. Passaggio dapassato prossimo a passato remoto, e dapassato a presente («ecco che...»); passag-gio dal personale all’impersonale, e quindidalla forma romanzo alla forma saggio (an-tropologico, o sociologico, o morale); pas-saggio dalla seconda alla terza persona«impersonale», una specie di monologointeriore; più raramente alla prima perso-na (le apparizioni in scena del narratore so-no rarissime, eppure ci sono) o al com-mento («può darsi che questa conversazio-ne sia stata un po’ abbellita da qualche vici-no spiritoso» — una notazione che la dicelunga su cose narrate e che non possonoaver avuto il narratore come testimone).

Una parola infine sulla struttura. Primaho citato tre diverse traduzioni di un tito-lo: Cronache, Bozzetti, Schizzi. Tutti vedo-no anche nei Signori Golovljòv una orga-nizzazione frammentaria, quasi fosse un li-mite. Ma in questo romanzo e in Poše-chon’je è la stessa, identica (solo più am-pia), di quella del nostro Gattopardo. Lo«schizzo», o il ritratto, di personaggi chepoi ritornano, sempre si inscrive in unaspecie di polittico, vale a dire la campiturache meglio si addice all’evocazione di unmondo inconsapevole, che di sé non ha al-cuna idea, altro non ha che abitudini, ripe-tizioni, vizi, aperte o soffocate crudeltà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

{

Jason, il ragazzinoche la mammavoleva «aggiustare»

MICHAILSALTYKOV-ŠCEDRIN

Fatti d’altri tempinel distretto di Pošechon’je

Traduzione di Gigliola VenturiQUODLIBET

Pagine 614, e 18

Caratteri Recensioni

L’etica umana di rispettare gli animali

Moderni

di FRANCO CORDELLI

di Armando Torno

Elegia nera e democratica per i servi russi

i

Va pensieroBernard E. Rollin, professore alla ColoradoState University, con «Diritti degli animalied etica umana» (Edizioni Ariele, pp. 354, e 20)ricorda che chi utilizza gli animali non soloha il dovere di curarli e rispettarli ma anche

di tenere nei loro confronti un atteggiamentodiverso da quello tradizionale; sono esseriviventi che continuano a essere maltrattati.Rollin invita a riflettere sui loro diritti citandoKant o criticando la stessa ideologia scientifica.

I neurotipici dicono cose che nonpensano, reggono una parte,mentono a se stessi e agli altri,

parlano anche se non hanno nulla dadire, pretendono sempre rispostealle proprie domande. E se non seicome loro ti tengono alla larga, tiisolano, o al più ti commiserano.Alcuni, i familiari più stretti, provanoanche a cambiarti, a tirarti dalla loroparte. Come fa la madre di Jason,che suo figlio lo vuole «aggiustare» e

ricorre a uno psicoterapeuta perprovarci. Lo stesso specialista cuiperò è costretta ad appoggiarsi lei,per tenersi in piedi. E seapparentemente è questo dodicenneaffetto da autismo il protagonista diTutt’altro che tipico (pp. 178, e 14)primo romanzo tradotto in Italiadell’americana Nora Raleigh Baskin(grazie a Sante Bandirali e per i tipi diUovonero, gli stessi che hanno fattoconoscere il Fonzie scrittore per

ragazzi), in realtà sul lettinodell’autore ci siamo noi, i «normali», ineurotipici appunto come li definisceJason. Quelli cui non capita disfarfallare le mani sopra la testa se siinnervosiscono e ai quali le parolenon spuntano isolate nella menteogni mattina, ma che poi a benguardare, come la mamma di Jason,«non sembrano affatto felici». Dovesta, dunque, la vera diversità?

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di MARCO OSTONI

Igor Grubic(Zagabria, 1969)«366 liberationrituals», 2011(courtesyGalerija Škuc)

Autobiografia e critica sociale indiretta: Saltykov detto Šcedrin mostra la sua grandezzaE la capacità d’anticipare sensibilità che dall’800 (è coevo di Dostoevskij) aprono al ’900

Stile

Storia

Copertina

Nora Raleigh Baskin

12 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 13: la_lettura_20120908

Verso la fine del terzo movimen-to de I pini di Roma (1924), Re-spighi fa una cosa fino a quelmomento mai sentita nella sto-ria della musica. Fa irrompere

la voce autentica della natura, la vita: alsuono dell’orchestra sovrappone il cantodi un usignolo riprodotto dal fonografo.Da allora ogni versione de I pini di Romaeseguita ovunque nel mondo compren-de proprio quella registrazione, il cantodi quell’uccellino la cui voce arriverà at-traverso i secoli agli ascoltatori fino aquando Respighi verrà eseguito.

È difficile non pensare all’usignolo diRespighi — immortale senza saperlo,che ci interroga ogni volta che lo ascol-tiamo — leggendo il nuovo romanzo diDonna Tartt, The Goldfinch (Il cardelli-no), letto in anteprima da «la Lettura» eche uscirà il 22 ottobre negli Stati Uniti ein Gran Bretagna e nella tarda primave-ra del 2014 in Italia (Rizzoli). Perché lavita dickensiana del protagonista TheoDecker, orfano come Oliver Twist —uno dei riferimenti più immediati del li-bro —, è segnata dalla morte della ma-dre in un attentato (raccontata da Tarttcon uno di quei pezzi di bravura che co-stellano da sempre i suoi libri) ma an-che dal Cardellino di Carel Fabritius, pit-tore olandese del Seicento maestro diVermeer (anche lui morto giovane a cau-sa di un’esplosione, proprio come lamamma di Theo).

Il romanzo non è costruito come unthriller, al contrario della sua opera pri-ma da 5 milioni di copie, Dio di illusioni(Rizzoli, 1993), giallo atipico nel qualel’allora poco più che ventenne Tartt siera liberata del fardello del whodunit ri-velando subito alla prima riga il colpevo-le del delitto in una dimostrazione acce-cante di fiducia nei propri mezzi, spen-dendo le successive 543 pagine nel rac-contare perché un gruppetto di studentiuniversitari di lettere classiche aveva uc-ciso un compagno.

The Goldfinch, invece, è un lunghissi-mo flashback: Theo, ormai adulto, pri-gioniero (perché?) in un albergo di Am-

sterdam, racconta la storia della sua vi-ta. Partendo da quando, tredicenne, ab-bandonato dal padre (uno dei genitoriinvisibili, indifferenti o impresentabilidei quali i suoi tre romanzi sono pieni),assiste alla morte della madre duranteun attentato terroristico bombarolo alMetropolitan Museum durante il quale,nella confusione, scapperà raccogliendoda terra il piccolo, enigmatico quadro diFabritius.

Dickens è il nume tutelare di questolibro come Flannery O’Connor lo fu delprecedente Il piccolo amico; Dio di illu-sioni invece era una lettera d’amore aiclassici greci, a T.S. Eliot, ai racconti diPoe come Il cuore rivelatore — ed ecco

allora un orfano senza famiglia, rifiutatodai nonni, ospite di una eccentrica fami-glia ricca dell’Upper East Side i cui ticvengono descritti da Tartt con una diver-tita precisione che avrebbe fatto sorride-re il giovane J.D. Salinger.

Salinger che viene citato quasi subito— «geotaggando» Franny e Zooey nel-l’Upper West Side: l’amore della sudistaTartt per la sua città d’adozione emergein ogni pagina — e al quale la metà delromanzo nella quale Theo è ancora ado-lescente deve moltissimo, Theo (omoni-mo del fratello di Van Gogh in un libroincentrato sui pittori olandesi, sul sensodi colpa, sui confini tra verità e menzo-gna) e la sua irrimediabile solitudine agirare per New York come un giovaneHolden di questo millennio — candida-to a un futuro poco allegro come non èdifficile immaginare che sarebbe statoquello del personaggio di Salinger, unavolta diventato adulto.

La droga, il mondo dei falsari d’arte, ilsenso — molto greco, anche se i classicinon hanno qui il ruolo centrale che ave-vano in Dio di illusioni — che un eventotraumatico ha creato una ferita destinataa non rimarginarsi mai più, la vita diTheo cambiata per sempre dalla mortedella madre che non riesce, per la tristez-za, nemmeno più a sognare come facevada piccolo, la condanna più crudele: nonessere nemmeno più in grado di incon-trare nel sonno (Tartt, come i greci, nondistingue tra sonno e veglia, con bella di-mostrazione di fiducia nei classici e nellettore) l’unica persona che ci ha volutobene. «Se sono i nostri segreti a definirechi siamo, al contrario del volto che sce-gliamo di mostrare al mondo: allora il di-pinto è stato il segreto che mi ha elevatosopra la superficie della vita e mi ha fattocapire chi ero» dice Theo, che passa at-traverso il libro camminando sul «confi-ne multicolore tra verità e non verità»,prima tra ricchi ipocriti e poi tra sincerifalsari d’arte, afflitto da un peso insop-portabile sulle spalle ma con «la glo-ria e il privilegio di amare quelloche la Morte non può toccare».

È un romanzo sull’isolamento, sul-l’alienazione, un Bildungsroman atipicocome quelli di Dickens. Verso la fine diquesto romanzo così speciale, tanto lun-go quanto difficile da abbandonare,Theo si chiede «cosa sarebbe successose quel particolare cardellino (ed è mol-to particolare) non fosse mai stato cattu-rato o nato in cattività, esibito in una ca-sa dove il pittore Fabritius potesse veder-lo? Non può aver compreso perché siastato costretto a vivere in una tale tristez-za, spaventato dai rumori (così immagi-no), stressato dal fumo, dai cani che ab-baiavano, dagli odori di cucina, importu-nato dagli ubriachi e dai bambini, impe-dito a volare dalla più corta delle catene.Eppure, anche un bambino può vederela sua dignità: un soldino di coraggio,fatto di piumette e fragili ossicini. Nontimido né senza speranza, ma deciso atenere la sua postazione. Si rifiuta di riti-rarsi dal mondo». Di cosa parla Theo?Dell’uccellino? Di se stesso? E Tartt?

Dio di illusioni raccontava cosa sareb-be successo se un gruppo di ragazzi in-namorati dei miti greci avesse organizza-

to un Baccanale uccidendo poi due per-sone: la prima per errore e la secondaper coprire il primo delitto (cinque mi-lioni di copie vendute, successo irripeti-bile: che, dei tre romanzi di Tartt, sia ilmeno sofisticato, dice qualcosa di signi-ficativo sul mercato librario). Il piccoloamico («soltanto» 300 mila copie vendu-te negli Stati Uniti e l’editore ebbe il co-raggio di dolersene; adesso l’autrice èpassata da Random House a Little,Brown) è la storia di una bambina trau-matizzata dalla morte del fratello, e lastoria della sua famiglia: un gioiello ne-ro come l’ossidiana, un romanzo per ra-gazzi diretto agli adulti, portatore di unavisione tragica dell’esistenza e di un pes-simismo ancora superiore a quello, con-siderevole, di The Goldfinch. Che è il ro-manzo più maturo della scrittrice chetra poco compirà 50 anni e ha detto piùvolte che scriverà soltanto cinque ro-manzi, uno per decennio: è il suo librodi mezzo, che ci fa guardare al 2022-’23con la certezza di leggere un altro librospeciale, volutamente inattuale (chi usanel 2013 Charles Dickens come nume tu-telare del proprio romanzo?) e portatoredella visione spietata dell’autrice. Che co-nosce benissimo il mondo antico: il suoprofessore all’Università di Benningtonè stato Claude Fredericks, uno dei gran-di intellettuali irregolari del ’900 ameri-cano, modello per il Julian Morrow diDio di illusioni.

Tartt sa che sul Gianicolo — l’uccelli-no di Respighi compare nel movimentochiamato I pini del Gianicolo — gliàuguri scrutavano il futuro interpretan-do il volo degli uccelli. Quello del qua-dro di Fabritius e del romanzo, che do-mina la copertina strappata disegnatada Keith Hayes — il cardellino che gira-va le viti del mondo — non può volare.È legato con una catenella. E non canta.Donna Tartt non può slegarlo, ma è riu-scita a farci ascoltare la sua voce.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

{

DONNA TARTTThe Goldfinch

LITTLE, BROWNAND COMPANY

Pagine 772, $ 30

di MATTEO PERSIVALE

Donna Tartt: l’eternità è un cardellino

di Arianna Gavioli

La lettura pubblica di febbraio ai FrigoriferiMilanesi diventa un audiolibro da ascoltare eriascoltare. In «Grandi ustionati» (Marcos yMarcos, 1cd-mp3 di 2h 54', e 14) la vocecadenzata dall’accento emiliano di Paolo Nori,

che legge se stesso attraverso il suo alter egoLearco Ferrari, costruisce un universo buffoe struggente, dove la pelle bruciata in unincidente stradale si rinnova. E in ospedaleil valore delle cose cambia per sempre.

Il nuovo romanzo 11 anni dopo «Il piccolo amico» e 21 anni dopo «Dio di illusioni»«The Goldfinch» uscirà il 22 ottobre in Stati Uniti e Gran Bretagna (in Italia nel 2014)

Caratteri AnticipazioniCi vuole orecchio

L’universo buffo di Paolo Nori

Il prigionierodi Amsterdam

i

Esclusiva

L’incipit

❜❜

Stile

Storia

Copertina

Mentre ero ancora aAmsterdam, sognai miamadre per la prima voltadopo molti anni. Erorinchiuso nel mio albergo dapiù di una settimana,troppo spaventato pertelefonare a qualcuno ouscire. Con il cuore in golaogni volta che sentivo il piùinnocente dei rumori: lacampanella dell’ascensore, iltremolio delle ruote delcarrello del minibar, ilcampanile della chiesa chesuonava, De Westertoren,Krijitberg, qualcosa dioscuro nel rumore dellecampane, la sensazione diuna fiaba che finirà male. Digiorno stavo seduto ai piedidel letto, sporgendomi versoil televisore per cercare diinterpretare le notizie deltelegiornale olandese...

Il protagonistaTheo Decker, tredici anni,sopravvive a un attentato

terroristico al museoMetropolitan di New York

E scappa con un quadro

Simon Jung, Paul & HannoSchweizer, «Il cardillo diScampia» (graffito, 2009),Napoli, quartiere di Scampia

DonnaTartt(1963)e, sopra,Carel Fa-britius, «Ilcardellino»(1654)

RRR

13LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 14: la_lettura_20120908

S

4

621

3

Nicholas SparksLa rispostaè nelle stelleFrassinelli, e 19,90

63

47

1

1

Cassandra ClareShadowhunters - Città di ossa

Mondadori, € 6,99ePub con Adobe DRM

80

7

Marco VichiIl nuovo venuto

Guanda, € 3,99ePub con Adobe DRM

Ci sono libri fatali (in tutti i sensidella parola). Uno è Altre voci,altre stanze di Capote. Un altro èIl giovane Holden di Salinger. Unaltro ancora è Lamento di

Portnoy di Roth. E poi: Il mondo secondoGarp di Irving, Il Maestro e Margherita diBulgakov, La zia Julia e lo scribacchino diVargas Llosa. Il più fatale di tutti penso chesia Il buio oltre la siepe di Harper Lee. Checos’è un romanzo fatale? È tutto quello chela parola «fatale» significa (nel senso,anche, di quando si dice: una donnafatale). Ragazze di campagna di EdnaO’Brien è un romanzo fatale. Ha qualcosadi necessario, di predestinato. Quando uscìnel 1960 suscitò scandalo per motivisessuali (in realtà, se ci pensate bene, nonc’è altra tipologia di scandalo in

letteratura). Parlava inmodo troppo esplicitodi sesso (e, aggravantedecisiva, da parte diragazze molto giovani).C’era, addirittura,una scena di nudo, conla ragazza giovane chedescrive l’anatomia delpartner (più vecchiodi lei e sposato)con parole forseinsuperabili. Da allora èpassato più di mezzo

secolo ma l’avventura di Caithleen (laprotagonista) è ancora fresca, nervosa,palpitante: i drammi e le tragedie della suaadolescenza rurale (il padre, violento ealcolizzato, la madre, vittima sacrificale), lapiccola epopea della sua carrierastudentesca (in un collegio di suore) e,infine, lo sbarco (come un personaggio diBalzac) a Dublino, la capitale daconquistare, la Babilonia da visitare.L’inchiostro con cui è stata scritta questastoria non si è coagulato, è sempre liquido,mutevole e sensibile come il mercurio deltermometro. Una caratteristica deiromanzi fatali è che si somigliano tutti perqualche aspetto, c’è tra di loro un’aria difamiglia. Però ogni romanzo fatale è fatalea modo suo. Unico come è unica, originalee irripetibile ogni esistenza.Massimo dei voti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

5

5

1

(1)

(7)129

E. L. JamesCinquantasfumature di rossoMondadori, e 5

(1)512

Marco VichiUna brutta faccenda

Guanda, € 3,99ePub con Adobe DRM

(-)N23

(2)

Low Cost

N

(3)

Margherita HackSotto una cupola stellata

Einaudi, € 6,99ePub con Adobe DRM

1La classifica

{

1

((1)S40

6

8

novità

Saggistica

Da solo o in gruppo (nella raccolta Ferragosto ingiallo), Camilleri è l’unica presenza italiana in topten. Nella classifica nostrana salgono le storieromantiche (Bianchini, Premoli); resiste, a dispettodel titolo, anzi guadagna un posto, il premio StregaSiti. Nessuna novità ma alcuni rientri: D’Avenia, cheraddoppia le presenze, e il thriller di Carrisi.

(1)S19Alessandra De TommasiDiario di viaggio.ViolettaWalt Disney, e 9,901

Arriva subito sul podio la riflessione sull’amoredella filosofa Michela Marzano: racconti epensieri che partono dall’esperienza personaledell’autrice. L’altra new entry è il De rerum naturadi Lucrezio tradotto in prosa e commentato dalloscienziato Odifreddi. Due rientri eccellenti: Sgarbisui capolavori dell’arte e Severgnini sui giovani.

1

AA. VV.Ferragosto in giallo

Sellerio, e 14

3

rientro

Niccolò MachiavelliIl Principe

Newton Compton, e 0,99

Khaled HosseiniE l’eco rispose

Piemme, e 19,90

2

S

26

Marco VichiIl commissario Bordelli

Guanda, € 3,99ePub con Adobe DRM

2

stabile

Varia

Friedrich NietzscheL’Anticristo

Newton Compton, e 0,99

Stranieri i primi otto posti in top ten: apreHosseini chiude Dan Brown; la novità è lacommedia di Sophie Kinsella. Tre new entry diqualità nella classifica di categoria: Jonathan Coeche parte dall’Expo di Bruxelles, un’avventura diPérez-Reverte e un classico di Simenon. EdnaO’Brien sale di quattro posizioni, rientra Stoner.

1

S

5

S

(3)129

1

(1)S21

10

28

titolo più venduto (gli altri in proporzione)

Irene CaoIo ti guardo

Rizzoli, e 5

(1)S100

3

E. L. JamesCinquantasfumature di grigioMondadori, e 5

Andrea CamilleriUn covo di vipere

Sellerio, e 14

4

1

Narrativa straniera

(3)117

2

2

(8)

5

54

N

2

1

3

Hosseini e Dicker coppia di testa davanti a E. L. JamesEntra Kinsella, scende Dan Brown, resiste Camilleri

Joël DickerLa verità sul casoHarry QuebertBompiani, e 19,50

Sophie KinsellaFermate gli sposi!

Mondadori, e 20

9

2

R

Top 102

E.L. JamesCinquantasfumature di grigio

Mondadori, e 5

S to guidando sulla stradaprovinciale che porta incittà: terra arata, tramonto

rosso, cielo basso, «sguardoorizzontale». D’improvviso notosulla destra, a bordo strada,un palo della luce in cemento,spezzato. Ai piedi un mazzodi fiori appassiti. Un uomosi avvicina, indossa la tuta dalavoro, in mano tiene un mazzo

di fiori freschi, gialli...Al limite del campo sta in attesala sua utilitaria di un azzurrometallico, nuova.

1

Khaled HosseiniE l’eco rispose

Piemme, e 19,90

E. L. JamesCinquantasfumature di neroMondadori, e 5

Dan BrownInferno

Mondadori, e 25

La pagella

100

AA.VV.Ferragostoin giallo

Sellerio, e 14

(4)163

110 e lode

Silvia D’AchilleGioca con Peppa Pig!Con adesivi

Giunti Kids, e 4,90

Michela MarzanoL’amore è tutto:è tutto ciò che sodell’amoreUtet, e 14

100

50

46

57

ebook

in salitaLegenda

Ragazzi

e bacio (accademico)

Nota

3

2

voto

corriere.it/lettura

D’improvviso

(-)N8

(5)

(-)

(10)

di Antonio D’Orrico

in discesa

(2)525

Joël DickerLa verità sul casoHarry Quebert

Bompiani, e 19,50

Invia il tuo incipit

di Silvana Barbieri70 anni, insegnante in pensione

Reggio Emilia

L. Bisignani, P. MadronL’uomoche sussurraai potentiChiarelettere, e 13

L’attrazione fataleper le cattive ragazze

(4)

59

40

100

Andre AgassiOpen.La mia storia

Einaudi, e 20

di Alessia Rastelli

5

Narrativa italiana

Gli ebook in promozionetornano in vetta. Tuttiofferti per un giorno a1,99 euro i titoli nella TopFive di Cubolibri, lo store diTelecom Italia dedicatoall’editoria digitale. Alprimo posto MargheritaHack, scomparsa lo scorsogiugno, con Sotto unacupola stellata, dialogo del2012 su scienza ed etica.Tripletta poi per MarcoVichi, in seconda, terza equarta posizione con Ilcommissario Bordelli, Unabrutta faccenda e Il nuovovenuto, indagini delpoliziotto impegnato nellaFirenze degli anniSessanta. Fari accesi suVichi, infatti, da partedell’editore Guanda, invista dell’uscita anovembre di un nuovoromanzo sul commissario.Quinto, infine, il fantasyper ragazzi di CassandraClare, Shadowhunters-Cittàdi ossa. Da segnalare,ancora una volta, ilsuccesso dell’erotico:ottavo, senza sconti,L’incontro (€ 3,49), primovolume della trilogiaNewton Compton Lapromessa della britannicaPortia Da Costa. Sul frontedello store, dopo averampliato negli ultimi mesil’offerta di quotidiani eperiodici, Cubolibri cambiail look del sito e aggiungeal logo le parole «News &Mags». Non solo negoziodi libri, quindi, ma più ingenerale di contenutidigitali da leggere.Disponibile, inoltre, un’appper contrassegnare gliebook e i giornali preferiti.

@al rastelliehibook.corriere.it

Caratteri Le classifiche dei libri

(3)126

(2)S80

(3)19

52

L’incipit dei lettori

posizione precedente

Edna O’Brienè nata nel 1930

Andrea CamilleriUn covo di vipere

Sellerio, e 14

Edna O’BrienRagazzedi campagnaElliot

Thomas HardingIl comandantedi AuschwitzNewton Compton, e 9,90

(2)

(6)

(7)

AA.VV.Where we are.One direction...L’Ippocampo, e 16,90

Le classifiche de «la Lettura», per registrareil fenomeno dei libri a basso costo,comprendono la voce «Low Cost». In questacategoria rientrano titoli, tascabili e non,disponibili a un prezzo uguale o inferiore a treeuro. Tali titoli sono esclusi dalla top ten dovesono riportati i bestseller delle altre categoriemantenendo invariate le proporzioni di vendita

Insieme all’incipit — che deve essere inedito — invia-te un indirizzo email corretto e controllato con regola-rità in modo da poter essere contattati dalla redazio-ne in caso di scelta e pubblicazione. Verranno privile-giati gli incipit brevi (massimo 100 parole).

Il commissarioBordellifa tripletta

(26 agosto-1 settembre 2013)

14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 15: la_lettura_20120908

AA.VV.Il mio diario.Violetta

Walt Disney, e 14,90

AA.VV.Le canzoncinedi Peppa Pig.Con cd audioGiunti Kids, e 9,90

BuddhaI quattro pilastridella saggezza

Newton Compton, e 0,99

Cassandra ClareShadowhunters.Città di ossa

Mondadori, e 14,90

Silvia D’AchilleUna gitanel bosco

Giunti Kids, e 4,50

M. Tullio CiceroneL’amicizia.Testo latinoa fronteNewton Compton, e 0,99

(10)S17Irene CaoIo ti voglio

Rizzoli, e 14,90

Massimo GramelliniFai bei sogni

Longanesi, e 14,90

Silvia D’AchilleIl signor Dinosauro.Peppa Pig

Giunti Kids, e 4,50

Arthur SchopenhauerL’arte di ottenereragione

Newton Compton, e 0,99

Charles DarwinL’originedelle specie

Newton Compton, e 0,99

Massimo GramelliniL’ultima rigadelle favole

Tea, e 11

Silvia D’AchilleIo coloro Peppa

Giunti Kids, e 3,90

Clarissa Pinkola EstésDonne checorrono coi lupi

Frassinelli, e 14

Piergiorgio OdifreddiCome stannole cose

Rizzoli, e 20

VoltaireCandido

Newton Compton, e 0,99

15

T. Hogg, M. BlauIl linguaggiosegretodei neonatiMondadori, e 11

Vittorio SgarbiNel nomedel Figlio

Bompiani, e 24

Daniela FarneseI love Chanel

Newton Compton, e 9,90

17

Roberto SavianoZeroZeroZero

Feltrinelli, e 18

Anna PremoliTi prego,lasciati odiare

Newton Compton, e 9,90

Jorge Mario BergoglioAprite la menteal vostro cuore

Rizzoli, e 14

17

Jorge Mario BergoglioPapa Francesco.Il nuovo papasi raccontaSalani, e 12,90

Alexandre DumasLa signoradelle camelie

Newton Compton, e 0,99

Silvia D’AchilleLa fatinadei dentini

Giunti Kids, e 4,50

Suzanne CollinsLa ragazza di fuoco.Hunger games

Mondadori, e 13

10

Nathaniel HawthorneLa letterascarlatta

Newton Compton, e 0,99

Claudio RendinaI papi.Da San Pietroa papa FrancescoNewton Compton, e 6,90

Ferdinando ImposimatoI 55 giorniche hannocambiato l’ItaliaNewton Compton, e 7,90

Joseph ConradCuore di tenebra

Newton Compton, e 0,99

(4)S23

Beppe SevergniniItaliani di domani

Rizzoli, e 15

T. Colin CampbellT. M. Campbell IIThe China study

Macro, e 20

Alexander EbenMilioni di farfalle

Mondadori, e 16

10

Marcello SimoniL’isola dei monacisenza nome

Newton Compton, e 9,90

Jonathan CoeExpo 58

Feltrinelli, e 17

C. Cussler, G. BrownUragano

Longanesi, e 17,60

Andrea BempensanteLe guidede le Iene.Droga, perché...Fivestore, e 9,90

Mauro CoronaConfessioniultime. Con dvd

Chiarelettere, e 13,90

Sam PivnikL’ultimosopravvissuto.Una storia veraNewton Compton, e 9,90

Luca BianchiniIo che amosolo te

Mondadori, e 16

Georges SimenonL’angioletto

Adelphi, e 10

Ken FollettL’inverno del mondo.The century trilogy

Mondadori, e 15

Dan BrownInferno

Mondadori, e 25

Andrea CamilleriI racconti di Nené

Melampo, e 11

9

Arturo Pérez-ReverteIl tango dellaVecchia Guardia

Rizzoli, e 18

Sylvia DayNel profondo di te.The crossfire series

Mondadori, e 14,90

Nicholas SparksLa rispostaè nelle stelle

Frassinelli, e 19,90

Alessandro D’AveniaBianca come il latte,rossa come il sangue

Mondadori, e 13

Alessandro D’AveniaCose chenessuno sa

Mondadori, e13

Irene CaoIo ti sento

Rizzoli, e 14,90

Edna O’BrienRagazzedi campagna

Elliot, e 17,50

Stephen KingJoyland

Sperling & Kupfer, e 19,90

Sophie KinsellaFermategli sposi!

Mondadori, e 20

(2)58

Walter SitiResistere non servea niente

Rizzoli, e 17

Federico MocciaQuell’attimodi felicità

Mondadori, e 17

Clara SánchezIl profumodelle fogliedi limoneGarzanti, e 9,90

John E. WilliamsStoner

Fazi, e 17,50

E. L. JamesCinquantasfumature di nero

Mondadori, e 5

9

(16)S9

Isabel AllendeAmore

Feltrinelli, e 12

Khaled HosseiniMille splendidi soli

Piemme, e 13

E. L. JamesCinquantasfumature di rosso

Mondadori, e 5

6 9

(6)54 (9)53

6 9

(8)S19 20

(-)N17(5)162

15

208

4

8

(3)546

4

Papa FrancescoLumen fidei

LEV, e 3,50

(-)N6

3 7

10Donato CarrisiL’ipotesidel male

Longanesi, e 18,60

159

5

14 (10)53

7

6 10

5

3

14

(18)19

(-)R8

(-)N10

(14)510

(10)123

8

Pierre DukanLa dieta Dukan

Sperling & Kupfer, e 16

John P. SloanEnglishal lavoro

Mondadori, e 15,90

(1)529 (6)527

Slavoj ŽižekBenvenuti intempi interessantiPonte alle Grazie, e 13

(15)19

197

14 (11)588

3 (6)513

(11)53

5 9

3 8

2

124

13 19

(2)516 7

(13)54

19

6

Rhonda ByrneThe secret

Macro, e 18,60

Andrea Pirlo(con A. Alciato)Penso quindi gioco

Mondadori, e 16

7

1

13 (-)R8

(7)1216

12 18

7

(5)514

13 (18)53

(-)R7

4 8

(5)S28 (4)527 (8)526

(13)514

18

11 17

6

(-)N15 (-)R13

(-)R4

18

5

Richard KochÈ facile usareil 100%del tuo cervello...Newton Compton, e 9,90

Allen CarrÈ facile smetteredi fumarese sai come farloEwi, e 10

David HarveyIl capitalismo controil diritto alla cittàOmbre Corte, e 10

Matthew KlamQuestioni delicate che hoaffrontato dall’analistaMinimum fax, e 13

(11)514Nicolai LilinEducazionesiberiana

Einaudi, e 12,50

5

10 16

5

(4)S15 (-)R13

12Massimo RecalclatiIl complessodi Telemaco

Feltrinelli, e 14

4

Benedetta ParodiMettiamocia cucinare

Rizzoli, e 9,90

Benedetta ParodiLe fate a metàe il segreto di Arla

Rizzoli, e 12,50

(2)528 (-)R26

(20)18

(9)S17

(-)N11 204

(10)113

(12)S4 (16)53

(7)56

(5)54 (7)53

(9)126

Il podio del critico

11 (14)59(5)520

(17)112 (12)58(7)S47

11 (15)53

(4)55 (6)53

(Elaborazione a cura di GfK. Dati relativi alla settimana dal 26 agosto all’1 settembre 2013)

di Giuliano Vigini

di Simona Galateo

(12)115

16

(6)121

(9)512 (-)R9(-)N50

(8)54

16

(5)57

La strada dei piccoli e medi editori: lastricata di novità ma in salita

(-)N7 (-)R3

Il numero

Simona Galateo (Merano, Bolzano, 1974),architetto e curatore, si occupa di ricerchenell’ambito dell’architettura contemporanea, inparticolare del rapporto tra agricoltura e città. Èautrice di diverse pubblicazioni. Di prossima uscitaun volume sul tema delle urban farms (per Skira).

Simona SparacoNessunosa di noi

Giunti, e 12

(8)515 (13)510(6)159

10D. Avey, R. BroombyAuschwitz.Ero il numero 220543

Newton Compton, e 5,90

(4)57

Molte novità sono annunciate per i prossimi mesi:prevediamo così che, anche per quest’anno, l’offertaeditoriale non sarà inferiore ai 60 mila titoli. Ciò checonta, però, è se si riuscirà ad agganciare la ripresa, vistoche troppe case editrici si trovano ancora in difficoltà e

hanno le casse semivuote, anche per effetto dei ritardatipagamenti del circuito librario e distributivo. Del resto,gli spazi effettivi di manovra si riducono; per i piccolie i medi, singolarmente presi, la strada è sempre piùin salita, come confermano anche le quote di mercato:

quasi il 60% dei libri di consumo è appannaggio dei primicinque gruppi (Mondadori, Rcs, Mauri-Spagnol, Giunti,Feltrinelli) e oltre il 70% del settore scolastico-educativoad altri cinque (Zanichelli, Pearson Italia, Rcs Education,Mondadori Education, De Agostini Scuola).

(2)58 (3)54

60.000

15LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 16: la_lettura_20120908

VALORI Tutti pazzi per la Colt di Al Capone: 75 mila eurodi PAOLO MANAZZA

Sguardi

Il museo della storia condivisa

Il mercato dei memorabiliasi divide (nelle aste)tra oggetti-feticcioe manufatti preziosi

«F inché la guerra verràconsiderata malvagiaconserverà il suo fascino.

Quando sarà vista come volgarecesserà d’esser popolare». Per unavolta Oscar Wilde ha ragione a metà.C’è un altro modo per depotenziare iconflitti. Trasformarli in cultura. Ilcollezionismo d’armi d’epoca omemorabilia militari coinvolge moltepersone. Due le strade percorribili.Quella di raccogliere e conservareoggetti-feticcio, collegati ad

avvenimenti speciali nella storia. El’altra, che d’ogni arma enfatizza lastraordinaria manifattura o leingegnose acrobazie nell’inventarla ecostruirla. Un classico esempio dellaprima è l’aggiudicazione, da Christie’snel giugno 2011, della Colt calibro 38 diAl Capone (nella foto). Dopo una garaserrata nei rilanci è passata di mano(stavolta innocuamente) per 75.656euro. Di esempi per il secondo caso èpieno il mercato. Il 26 giugno scorsoThomas del Mar, associato a Sotheby’s,

sempre a Londra, ha venduto unelmetto militare cinese del Settecento a38.400 sterline, il quadruplo della stima.Stesso prezzo, nel 2006, da Christie’sper un bellissimo elmo tedesco del1580-90. Intanto, venerdì prossimo aVienna, Dorotheum presenta uncatalogo d’armi d’epoca, uniformi emilitaria. Ma anche Bonhams a Londraorganizza aste di questo tipo. Mentre inItalia ci sono Van Morenberg a Trento eSan Giorgio a Genova.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Fabrizio Villa

Quando la fotografia prima di guardarla sitoccava, la condivisione dei ricordi spettavaalle riunioni di famiglia. Oggi, dopo rullini ecamere oscure, lo spazio è sempre più dellemacchine pensate per trasmettere immaginida condividere sui social network. Come lafotocamera svedese TheQ che possiede unaconnessione dati interna: dopo lo scattopubblica subito su Facebook e simili.Nel mondo virtuale anche il click è simulato.

dal nostro inviato a ParigiELISABETTA ROSASPINA

RRR

Scatti flessibili

Il click simulato

Sul fronte dell’Alsazia morirono 30 mila soldati francesi e tedeschiQui verranno raccolte le memorie della Prima guerra mondiale

Ci sono molte cose che nessunmuseo di guerra potrà mai ri-produrre fedelmente. La paura,la fame, la disillusione, il fred-do, la nausea, la nostalgia, le la-

crime, la morte; e l’odore, soprattutto.L’odore della decomposizione dei corpidei propri commilitoni e dei nemici, a po-che decine di metri di distanza, in quellasoffocante immobilità forzata che si crea-va nelle opposte trincee durante la Gran-de guerra. E che non consentiva nemme-no di uscire allo scoperto il tempo neces-sario a seppellire i propri caduti.

C’è qualcosa invece che il museo del-l’Hartmannswillerkopf (in sigla Hwk,per i francesi, le Vieil Armand, il VecchioArmando) potrà ricreare, a distanza dicento anni: quella strana, misteriosa em-patia che, a tratti, deve essersi formatatra due eserciti nemici, pronti al recipro-co sterminio, ma in grado di comprende-re e condividere le identiche sofferenze,le interminabili attese, le angosce dell’in-cognito, tra un assalto e l’altro. Due schie-ramenti così vicini, a volte, da poter per-cepire le voci degli avversari, o il lampeg-giare di un fiammifero nel solco di fron-te, infestato dalla medesima famiglia dipidocchi.

Là, tra le alture dei Vosgi sopra Col-mar, a 24 chilometri da Mulhouse, è arri-vato il momento di ricordare assiemequel calvario che, tra la fine del 1914 e il1918, unì nelle fauci della «Mangiatricedi uomini», come fu significativamenteribattezzata la montagna, due eserciti te-naci e disperati nel contendersi un mise-ro sperone di roccia e granito a strapiom-bo sulla vallata dell’Alsazia.

Quattro anni di un faccia a faccia fattodi cariche, di avanzate e di ritirate, conspostamenti minimi delle posizioni, so-prattutto per una questione di principio.

Certo, con la sua visuale sulla pianuradel Reno, l’altopiano era anche un puntostrategico, tanto per lo stato maggiorefrancese quanto per quello tedesco che,sui 700 chilometri di fronte occidentale,aveva visto con incredulità i nemici incu-nearsi nel suo territorio attraverso la mo-desta vetta di 956 metri: il varco, l’unicovarco a ovest, attraverso il quale la guer-ra era arrivata dentro la Germania. Nel1870, con la guerra franco-prussiana,quella zona dell’Alto Reno era passata al-l’impero del Kaiser, ma nei successiviquarant’anni era rimasta intrinsecamen-te alsaziana, con il suo dialetto, più tede-sco che francese, le sue tradizioni, il seco-lare legame tra vicini che si erano ritrova-ti di colpo separati, al di qua o al di làdella frontiera. Costretti a odiarsi.

Ma correva fin troppa intesa, tra i ven-ti metri che separavano le due trincee. Isuperstiti raccontarono di bottiglie di ac-quavite fatte rotolare da un terrapieno al-

l’altro, nei pomeriggi più freddi, o quan-do le nuvole basse bagnavano imparzial-mente le uniformi di diversi colori. Cosìi rispettivi vertici militari decisero di in-viare truppe più bellicose, e trasformaro-no quella prima linea nella tomba di ven-timila uomini soltanto nel primo annodi guerra, almeno trentamila complessi-vamente. Quindicimila per parte, si usacalcolare salomonicamente sul posto.

Ma secondo molti storici la bilanciadella morte pende a sfavore della Fran-cia, dell’eroico 152esimo reggimento,dei «diavoli rossi», come li definirono— impressionati — gli antagonisti. Fuuna delle prime volte in cui l’esercito te-desco sfoderò i lanciafiamme e intrapre-se la guerra chimica.

Cento anni dopo, la ferita si rimarginaanche sul piano istituzionale. La memo-ria sarà condivisa, non ci saranno giudi-zi, né accuse, né rivendicazioni, né trion-falismi, nel primo museo franco-tede-sco, che aprirà i battenti nel 2017 sullespalle del Vecchio Armando.

Conterrà cimeli, documenti, diari, let-tere, foto, che confluiranno dagli archivifrancesi dell’Haut-Rhin e da quelli tede-schi del Baden-Württemberg, nei 600metri quadri del futuro «Historial» bina-

zionale, al cui finanziamento di 4 milio-ni di euro si è impegnata a contribuireanche la Germania: «Il museo sarà divi-so in due parti — annuncia JeanKlinkert, direttore dell’Agenzia per lo svi-luppo turistico dell’Alto Reno, a Colmar—. Una sala di 250 metri quadrati ospite-rà le esposizioni temporanee. La primadelle quali s’intitolerà: "Vivere in tempodi guerra nell’Alta Lorena", una galleriadi ritratti di francesi e tedeschi che han-no vissuto questa guerra da militari, civi-li, politici, medici, infermieri. Nella se-conda sala, di 350 metri quadrati, saràpresentata la "terra dell’Impero", il Reich-land. È il primo lavoro sulla memoriafranco-tedesco in questa parte dell’AltoReno».

Anche se non è la prima volta che i ri-cordi si rincontrano, tra i vecchi fili spi-nati arrugginiti, i bunker di pietra, le trin-cee ancora aperte di quei 90 chilometriche furono scavati nel raggio di tre chilo-metri quadrati, insomma i resti ancora vi-sibili del lungo pasto della «Mangiatricedi uomini»: «Non esiste più alcun testi-mone in vita di quel tempo» si rammari-ca Kinkert. Ma in molti ricordano i redu-ci che, ancora all'inizio degli anni 80, ve-nivano a rivisitare i luoghi della loro fero-ce giovinezza.

«Narravano la loro guerra — ha riferi-to al "Journal du Dimanche" Gilbert Wa-gner, alla guida dell’associazione di Ami-ci dell’Hwk, un gruppo di volontari cheguida i visitatori negli anfratti dell’Hart-mannswillerkopf —. C’erano Hans Kil-lian, un artigliere tedesco diventato poichirurgo a Friburgo, e Auguste Perna-ton, il poilu francese che da lui era statofatto prigioniero, il 21 gennaio 1915. Queidue sono rimasti amici fino alla fine. Liho visti venire a piangere qui, insieme».

Lentamente, sul campo di battaglia do-ve si consumò una delle più pesanti car-neficine della Prima guerra mondiale, so-no arrivati anche i governi. Molti anni do-po i cineasti che, impressionati dalle leg-

»»L’Alsazia, oggi parte dellaFrancia, è una regione di

confine bilingue sul Reno,da sempre contesa, in cui siparlano il francese e idiomi

tedeschi. Appartenne alSacro romano impero fino

alla Guerra dei trent’anni(1618-1648), quando finìsotto l’influenza di Parigi.

Annessa alla Francia dal ReSole nel 1681, passò alla

Germania dopo la vittoria diBismarck nella guerrafranco-prussiana del

1870-71. I francesi larecuperarono in seguito al

Primo conflitto mondiale.Nel 1940 Hitler la inglobò

nel Terzo Reich, ma gliAlleati la ripresero nel 1944.

{Pittura, scultura, fotografia, design, mercato

Geografie Sarà inaugurato nel 2017 sull’Hartmannswillerkopf, lungo uno dei confini più contesi e sanguinosi d’Europa

PacificazioneIl ricordo del dolore:

in quel luogonon ci saranno giudizi,

né rivendicazioni,accuse o trionfalismi

La terra contesasulle rive del Reno

RRR

16 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 17: la_lettura_20120908

iLe immagini

Sopra: l’interno dell’attualemonumento nazionale diHartmannswillerkopf (in

francese, Vieil Armand; fotodi Christophe Meyer/Adt);sotto: un altro particolare

del memorialeche fu inaugurato nel 1932.

La località che accoglie,oltre al sacrario, un

cimitero, sorge su unospuntone roccioso dei monti

Vosgi in Alsazia.Nella pagina a sinistra:

il monumento inun’elaborazione che mostra

dove si trova il luogo che,nella Prima guerra

mondiale, fu teatro dibattaglie in cui persero la

vita circa 30 mila soldatifrancesi e tedeschi. Info:www.abri-memoire.org

L’occhio dei cittadini, e deglistessi soldati, invece che quel-lo dell’artista. Magari quellodi un grande maestro che inpassato avrebbe potuto chia-

marsi Leonardo, Raffaello, Michelangelo,Tintoretto. Che più di recente avrebbe po-tuto essere il «macchiaiolo» GiovanniFattori che avrebbe stupendamente docu-mentato la Battaglia di Magenta o l’entra-ta di Garibaldi a Palermo. O che, tantoper parlare al contemporaneo, avrebbepotuto invece scegliere la prospettiva or-ribilmente tragica adottata dai diabolicifratelli Chapman per il loro Fucking Hell:un enorme plastico a forma di svastica,costellato di trentamila raccapricciantisoldatini, destinato a narrare l’orgia dellaviolenza nazista, con un occhio all’Apote-osi della guerra (1871) di Vasily Vasilyevi-ch Vereshchagin.

È una strada completamente diversa,dunque, quella scelta da Yadegar Asisiper narrare giusto duecento anni dopo,tutti gli orrori della Battaglia delle Nazio-ni combattuta tra il 16 e il 19 ottobre 1813davanti a Lipsia: oltre seicentomila solda-ti impegnati, più di novantamila tra mor-ti e feriti, lo scontro più grande delle

guerre napoleoniche, una delle sconfittedecisive subite da Bonaparte imperatorea opera della Sesta coalizione che riunivale potenze antifrancesi dell’epoca. Quelladi Asisi è una rappresentazione emozio-nale, passionale e vissuta in prima perso-na: nel suo Panometer di Lipsia, un vec-chio gasometro in rovina trasformato nel2003 in una riedizione aggiornata dei«panorama» di ottocentesca memoria (ilnome deriva proprio dalla fusione di «pa-norama» e «gasometro»), ha così messoin scena il dolore della gente comune nel-la «confusione della battaglia delle nazio-ni». Osservando la ritirata di Napoleonedal campanile della Chiesa di san Tom-maso (in alto: uno scorcio dell’installazio-ne di Asisi e, subito sotto, un momentodella Battaglia di Lipsia in una stampa ot-tocentesca).

Yadegar Asisi (nato in Austria nel 1955,radici familiari persiane, da tempo attivoin Germania) ha già sperimentato in pas-sato panorami con la caduta del Muro diBerlino, la bellezza di Dresda, le meravi-glie della foresta amazzonica, le nevi del-l’Everest, la classicità di Pergamo, i fastidella Roma imperiale. Anche in quei casiricostruendo in scala 1:1 (alla maniera deipanorama che lui definisce il «primo

esempio di mass media capace di mette-re insieme, grazie al digitale, arte, foto-grafia, cinema, animazione») la distruzio-ne di una città.

Il risultato? Un enorme dipinto digita-le, il più grande nel suo genere al mon-do, fatto di tante tele incollate che illu-strano i vari frammenti della storia(«Quando non sono soddisfatto del risul-tato — assicura Asisi — preferisco di-struggere il mio lavoro, come è successonel caso dell’Everest»), destinato a unpubblico «non più passivo ma finalmen-te coinvolto nel gioco delle emozioni».Un gioco comunque di successo che haspinto Asisi a clonare a Dresda, nel 2006,il suo modello di «Panometer» (inaugura-to a Lipsia nel 2003) che permette ai visi-tatori di entrare direttamente nella sto-ria, grazie a una passerella sospesa a mez-z’aria davanti alla parete circolare del vec-chio gasometro.

Ad aggiungere suggestioni ci pensanopoi una serie di suoni e luci (compresa lasimulazione del ciclo giorno-notte) conscoppi e urla del dopo battaglia intercala-

ti dai rumori dellanatura e dalla musi-ca firmata dal com-positore belga EricBabak. Qualcosa disimile era accadutoa giugno nelle cam-pagne inglesi delSuffolk, dove in oc-casione dell’Alten-burgh Festival, Mag-gi Hambling avevapresentato un’instal-lazione multimedia-le ispirata al War Re-quiem di BenjaminBritten che volevatradurre, in musica,bombardamenti emacerie di Coventry.

Per ognuna dellesue installazioni, Asi-si impiega in mediadai tre ai cinque an-ni, ricostruendo conl’aiuto di esperti,c o m p a r s e , f o t od’epoca, documenti,con la memoria e na-turalmente con leemozioni, prima ditutte quelle persona-li: la passione infan-tile per il disegno ela prospettiva, la sco-perta della tradizio-ne dei panorama.Perché l’emozione

resta sempre l’elemento fondamentale ditutta questa esperienza «dove ognunopuò scegliere la prospettiva che preferi-sce». In questa ricerca appassionatal’esperienza di Asisi (che, visto il succes-so, ha deciso di fondare una corporationper promuovere le sue gigantografie)non ha molto da invidiare, almeno nelleintenzioni, all’idea della (forse) perdutaBattaglia di Anghiari vista da Leonardo,al mosaico romano che rappresentava lavittoria di Alessandro Magno contro Da-rio III, alla Battaglia di Hastings del me-dievale Bayeux Tapestry, al Paolo Uccellodi San Romano, alla Guernica di Picasso.

Anche se forse nel suo caso viene piut-tosto in mente il Bombardamento navaledi Marghera dipinto (attorno al 1849) dalpittore-reporter Ippolito Caffi oggi con-servato nel Museo del Risorgimento diVenezia. Oppure volendo cercare un oc-chio forse meno ispirato ma più coinvol-to, William Simpson, l’inglese che avevaraccontato in diretta la Guerra di Crimeacon i suoi disegni. O più di recente Micha-el Fay, l’ufficiale dei marines che, con ilsuo cavalletto, aveva scelto di descrivereombre e fantasmi dei conflitti di Iraq eAfghanistan.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

gende fiorite sull’Hartmannswillerkopfe attratti dal suo fascino dantesco, lo han-no scelto come scenario di film memora-bili: «Qui sono stati girati La grande illu-sione di Jean Renoir, negli anni Trenta, edue terzi della pellicola Jules et Jim, diFrançois Truffaut, negli anni Sessanta».

Poco dopo, nel 1969, l’associazione de-gli «Amici dell’Hwk» cominciò a pensa-re che quella Pompei della Prima guerramondiale meritasse qualcosa di più del-la cripta inaugurata in pompa magna dal-l’allora presidente della Repubblica, Al-bert Lebrun, nel 1932, davanti al cimite-ro militare, e poi dimenticata. Visite gui-date tra gallerie e trincee quasi intatte at-tirano ogni anno, tra l’inizio di maggio ela fine di ottobre, 250 mila visitatori.

Ma resta molto da fare. Il progetto sidivide in tre parti. La prima è stata la ri-strutturazione del monumento, per 2 mi-lioni e 300 mila euro: la cripta, con unaMadonna restaurata dello scultore Antoi-ne Bourdelle, la cattedrale sotterranea,con le tre cappelle dedicate alle tre con-fessioni concordatarie professate in Alsa-zia, cattolica, protestante ed ebraica; el’ossario con i resti dei soldati francesi etedeschi mai identificati.

Giovedì scorso è iniziata la seconda fa-se: la creazione di un percorso scenogra-fico sulla montagna, da inaugurare il 28giugno 2014, nel centesimo anniversariodell’attentato di Sarajevo. In tre lingue,inglese, francese e tedesco, e con l’ausi-lio di strumenti multimediali, saranno vi-sibili su tablet e smartphone immaginidell’epoca. Il costo dei lavori, 750 milaeuro, si spiega con la necessità di smina-re tutta l’area. Infine, la realizzazione delmuseo si concluderà fra quattro anni.Ma prima una grande cerimonia franco-tedesca è fissata per l’11 novembre 2015.Angela Merkel, se sarà confermata can-celliera alle prossime elezioni, ha pro-messo di esserci. I «diavoli rossi» sonoavvisati.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La battaglia di Lipsiafinisce in un gasometro:la scommessa di Asisidi STEFANO BUCCI

Nuove prospettive La sconfitta di Napoleoneduecento anni dopo

17LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 18: la_lettura_20120908

Nel gennaio del 1956, Carlo Le-vi (1902-1975) va in India peril Congresso panasiatico de-gli scrittori. Frutto di questoviaggio, una serie di reporta-

ges pubblicati su «La Stampa». Sono an-ni in cui l’India (e così pure altri Paesi co-me Russia, Perù ecc.) viene scandagliatada scrittori occidentali. Un esempio di ca-sa nostra? Viaggio in India di AlbertoMoravia e L’odore dell’India di Pier Pao-lo Pasolini (entrambi del 1962).

Il Paese dei bramini esercita un gran-de fascino su Levi, sin dalla giovinezza.Una suggestione nata probabilmente dal-la lettura del libro Dall’India (1913) diHermann Hesse, che vi si era recato nel1911, assieme all’amico pittore Hans Stur-zenegger.

Già nel 1929, l’artista piemontese vi de-dica una serie di monotipi. Uno di essi,India 24, di grande bellezza, con una fo-lata picassiana, fa parte della rassegna ra-vennate di 100 fra dipinti, monotipi esculture, intitolata Carlo Levi. Il volto delNovecento, a cura di Silvana Costa. Si vadalla Natura morta con teschio (1922) aCarrubo Donna (1974).

In mostra anche sette autoritratti, pae-saggi italiani e francesi, nudi di donne,

episodi di guerra (La Fucilazione, 1944),e ventuno monotipi (Pietro Micca, 1938)dedicati al soldato sabaudo che, nel1706, a Torino, ferma l’avanzata dei fran-cesi facendo esplodere un barilotto dipolvere in una galleria, rimettendoci lavita. Lavori, questi, collegati al film omo-nimo di Aldo Vergaro (Roma, 1938), sce-neggiato dallo stesso Levi, andato di-strutto, a parte cinque minuti di proiezio-ne, conservati al Museo nazionale del ci-nema di Torino.

Esposti, inoltre, un buon numero di ri-tratti: da Garosci a De Pisis, da Leone Gin-zburg a Cagli, da Pavese ad AntonelloTrombadori, a Fosco Maraini, Dolci, Cal-vino. Ritratti — che offrivano a Levi l’op-portunità di indagare i soggetti — resicon stili diversi.

Ma non importa quanto l’artista deb-ba a Casorati o a Kokoschka, a Soutine oa Seurat, a Modigliani oppure ai fauves,agli espressionisti. Così come non impor-ta verificare la sua adesione al Gruppo

dei Sei di Torino, con Menzio, Galante,Paulucci, Chessa e la Boswell, proprioquando Lionello Venturi predicava lorodi svincolarsi dalla tradizione italiana«malata di sarfattiana mediterraneità»,per guardare alla Francia.

Altri metri di giudizio? Nel caso di Le-vi bisogna farne a meno. Diversamente,si rischia di incappare nella stessa querel-le fra Carlo Ludovico Ragghianti e Fortu-nato Bellonzi.

Il primo sosteneva che si poteva tran-quillamente fare «il giro della pitturacontemporanea», ma alla fine «bisogna-va riconoscere che i quadri di Levi» nonerano soggetti ad alcuna retorica, «akoiné linguistica», a «passaggi occasio-nali del gusto», mentre Bellonzi osserva-va che Levi non era un «pittore che an-che scrive, ma uno scrittore che anche di-pinge».

Questo avveniva negli anni Quaranta enon è che, dopo, le cose siano andate me-glio. Alcuni critici che, dal 1920 al 1945circa, sostengono Levi come pittore, do-po il 1950 parlano di stanchezza, di rifaci-menti, ecc. ecc. Ma, si ripete, occorre va-lutare Levi con parametri di giudizio di-versi.

Levi inizia a dipingere verso i dodicianni. Paesaggi. «Il ritratto d’un mattinodell’infanzia — annota anni dopo —; l’in-fanzia pura, non ancora simbolica e ado-lescente». Quindi, la scrittura. Il primoarticolo, nel 1922, sulla «Rivoluzione Li-berale» di Piero Gobetti. Poi viene la Qua-driennale di Torino, nel 1923, l’andata aParigi, la Biennale di Venezia del 1924 (lostesso anno della laurea in Medicina; al-la manifestazione lagunare tornerà nel’26, ’30, ’32, ’48 e ’54 con una sala perso-nale), sino al confino in Lucania (dal lu-glio 1935 al maggio 1936) che gli ispira,fra l’altro, il celebre libro Cristo si è fer-mato a Eboli.

Militante del movimento Giustizia e Li-bertà, amico di Gobetti, Pavese, Gram-sci, Einaudi e Noventa, Levi ritrae la gen-te che gli sta attorno e la trasfigura, ingi-gantendola, conferendole quellamonumentalità tipica della Scuola roma-na. Levi si orienta verso una pittura incui c’è sì l’adesione alla realtà (l’astrattonon gli è congeniale: «È svincolato dal-l’uomo», dice), ma che egli trasforma,stemperandola, in un cromatismo domi-nato dall’emozione, dai sentimenti.

Dipingere e scrivere sono un tutt’uno.Dai suoi inizi, scrive Jean-Paul Sartre, Le-vi «ci ha posto, sempre, contemporanea-mente su due piani, quello della Storia equelle delle sue storie, che si specchianol’uno nell’altro. Occorre, per questo mol-ta arte e molta semplicità, molta maliziae una sorta di innocenza. Coraggio, an-che: quello di rifiutare tutti i realismi innome della realtà».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’appuntamento«Carlo Levi. Il volto delNovecento», Ravenna,

Palazzo de André, (VialeEuropa 1), a cura di SilvanaCosta, fino al 16 settembre

(Info Tel 335 81 51 821;[email protected]).

Ingresso gratuito. Orario:tutti i giorni, 19.00-23.30

Le immaginiQui sopra: Carlo Levi nel suo

studio davanti al ritratto diDanilo Dolci (1956); a destra:

«India 24» (1929)La curiosità

Fino al 29 settembre alla«Arte Paolo Maffei»

di Padova (www.artepaolomaffei.it) sono

esposti i «Disegni dellacecità» realizzati da Levi nel

1973 dopo un intervento chelo aveva privato della vista

i

Giappone, 1941. «D. felice. D. adora farele cose abunai (proibite, ndr), come papà».Quel padre era Fosco Maraini. La spericolataD., la piccola Dacia. La voce narrante,sua mamma, Topazia Alliata, che di quegli

anni raccolse le memorie. Così è nato«La nave per Kobe — Diari giapponesi di miamadre» di Dacia Maraini (Rizzoli). Omaggiodi una figlia a una donna colta e coraggiosa.E a una grande famiglia.

BARD (Aosta)Istantanee di storiaLa prima «collettiva» in Italia deifotografi dell’agenzia Magnum:settanta anni di storia attraversoscatti indimenticabili, dallo sbarcoin Normandia di Robert Capa all’11settembre di Thomas Hoepker(sopra: Marc Riboud, Eiffel towerpainter, 1953, particolare).Attraverso i provini il visitatorecomprende la scelta dello scattoda parte del fotografo.Forte di BardFino al 10 novembreTel 0125 83 38 11

PALERMOSvelare l’arte nascostaUn percorso espositivo che vuoleinnanzitutto portare alla luce i tesorinascosti nel deposito del museo,vero cuore pulsante di molte altregallerie palermitane. Le opere scelteripercorrono così la storia dell’artedell'Ottocento e del Novecentoattraverso sezioni tematiche espaziano dal Neoclassicismo fino alLiberty (sopra: Giacomo Favretto, Ilcardellino, 1884-1885, particolare).Galleria d’arte modernaFino al 22 settembreTel 091 84 31 605

BRUXELLESNon solo nature morteIl museo belga rende omaggio alpittore italiano Giorgio Morandi(1890-1964) che seppe fonderela tradizione italiana, da Giotto inavanti, con la lezione francese diSeurat e Cézanne. Fanno partedella retrospettiva un centinaio diopere, dagli oli su tela ai disegni,che spaziano dai soggetti piùricorrenti (sopra: Natura morta,1936) fino ai paesaggi emiliani.Bozar Palais des Beaux-ArtsFino al 22 settembreTel +32 2 507 82 00

MADRIDUn impressionista da scoprireCézanne lo definiva «umile ecolossale»; infatti Camille Pissarro(1830-1903) fu fondamentale peril successo degli impressionisti,ma è poco conosciuto, poiché ilsuo successo fu eclissato daquello dell’amico Monet. Lamostra si concentra sui paesaggidei luoghi dove il pittore visse,ordinati in modo cronologico(sopra: Boschi di Marly, 1871).Museo Thyssen-BornemiszaFino al 15 settembreTel +34 902 76 05 11

Sguardi Le mostre {

di SEBASTIANO GRASSO

a cura di CHIARA PAGANI

ROMARitratti per una cittàDalle vedute suggestive della cittàalle immagini malinconiche dellacampagna: esposte le opere in cuii vedutisti inglesi hanno ritratto lacittà eterna tra XVIII e XIX secolo.Presenti disegni ad acquatinta diRichard Cooper, vedute del pittoree incisore inglese Arthur JohnStrutt (sopra: Via Appia al IVmiglio, 1862), litografie di EdwardLear e schizzi di John Ruskin.Museo di Roma Palazzo BraschiFino al 15 settembreTel 06 06 08

di Annachiara Sacchi

Nei quadri si ritrovano le suggestioni di Picasso, Modigliani e degli espressionistiMa la sua grande passione resta raccontare il mondo (anche politico) senza retorica

Sushi style

Le cose proibite che piacciono a D.

La realtà emotiva di Carlo Levi

Calendario

MONZACapolavori salvatiLa mostra presenta cento operedi artisti italiani, da Lucio Fontana(nella foto: Concetto spaziale,1960) a Fausto Melotti, daGiacomo Manzù a Bruno Munari.Dopo la Triennale di Milano icapolavori del MaGa (Museod’arte di Gallarate), danneggiatodall’incendio del febbraio scorso,arrivano a Monza per sostenere ilmuseo in attesa della riapertura.Serrone della Villa RealeFino al 6 gennaio 2014Tel 039 39 46 42 13

Allestimento

Rigore scientifico

Catalogo

Ravenna Un centinaio di lavori raccontano il lato artistico dello scrittore e intellettuale torinese

18 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 19: la_lettura_20120908

La città, quella che noi viviamo, èun sistema di segni: quelli stra-dali, quelli delle pubblicità,quelli degli edifici del potere.Ma cercare di ricostruire il sen-

so di Firenze fra ’300 e ’400, scavando nelsignificato delle immagini e nel loro tra-sformarsi nel tempo, è un’impresa diffi-cile, che Monica Donato ha portato avan-ti negli anni e che, adesso, con finezza,propone in mostra (Dal Giglio al David,Firenze, Galleria dell’Accademia, fino al-l ’ 8 d i c e m b r e , c a t a l o g o G i u n t i ,www.unannodarte.it) attraverso una no-vantina di pezzi attentamente schedati.

Da che segni cominciare per capire?Due leoni di pietra (1381), che vengonodalla Loggia della Signoria, hanno fra lezampe uno un maiale l’altro un bove, ilmaiale è l’Impero (Firenze adesso è guel-fa), l'altro rappresenta l'eresia. Politica,dunque, ma insieme ortodossia. La cittàè prima di tutto ricchezza e carità: in duesplendide miniature dello Specchio Uma-no di Domenico Benzi (1335-1347), un re-gistro dei prezzi dei cereali, si contrap-pongono due storie, da una parte Sienache caccia i poveri durante la carestia,dall’altra Firenze che li accoglie. Le im-magini delle due città sono un sistema

simbolico: Firenze con le mura, il Palaz-zo Pubblico, le torri e il Battistero, Sienacon le mura, il Duomo e ancora le torri.La città inventa presto un suo segno, ilfiorino d’oro, coniato nel 1252, che diven-terà presto moneta di scambio a livelloeuropeo: sulla moneta da una parte il gi-glio, dall’altra San Giovanni.

E un San Giovanni raffinato e smagri-to, dipinto attorno al 1315-20, torna an-che nella legatura del Constitutum artisMonetariorum che si ritrova in mostra aconfronto con la Gabella di Siena dipin-ta nel 1344 da Ambrogio Lorenzetti. Cer-to, Ambrogio ha rappresentato a Siena,in Palazzo Pubblico, il Buono e CattivoGoverno, ma Firenze doveva avere mo-delli analoghi visto che Giotto, a Padova,agli Scrovegni, nel 1306, raffigura gli ef-fetti della amministrazione della cittàsotto le immagini della Giustizia e dellaIngiustizia. Nel Libro del chiodo(1276-1369) sono registrati a Firenze ibandi comminati ai guelfi e ai ghibellinie quei bandi danno senso a precise im-magini. Così Andrea Pisano non a casoscolpisce la Giustizia (1335) alla base delcampanile di Giotto a fianco del Duomo.E Bernardo Daddi, nella croce del PoldiPezzoli (1335-40), mostra da una parte il

Cristo, la Madonna e San Giovanninoma, dietro, ci sono tre santi cui è statatagliata la testa, questa infatti era la cro-ce che si faceva baciare ai condannati pri-ma dell’esecuzione.

Una giustizia dura che vuole rappre-sentarsi per via di immagini: due disegnidi Andrea del Sarto, con figure appeseper un piede, ci raccontano un’altra sto-ria, quella degli esiliati, dei traditori. Do-po la congiura dei Pazzi (nella quale è as-sassinato Giuliano dei Medici), Botticellidipinge sopra la Porta della Dogana, die-tro Palazzo Vecchio, degli impiccati,quelli che erano stati appesi alle finestredel Palazzo della Signoria; ma due sonosfuggiti alla cattura e quindi vengonorappresentati appesi per un piede. Le pit-ture sono distrutte nel 1494 ma FilippinoLippi, poco prima, trae da queste un dise-gno, ora al Louvre. Quanto ad Andrea delSarto e ai suoi due disegni di appesi lastoria è divertente: Andrea schizza a san-guigna le figure tra febbraio e marzo1530, siamo in clima ancora repubblica-no, i Medici sono stati cacciati nel 1527,ma Carlo V è vicino e tre capitani del po-polo tradiscono: si chiede ad Andrea ladamnatio memoriae dei traditori ma ilpittore capisce che è rischioso esporsi,così si nasconde coprendo l’impalcaturasul Palazzo della Magistratura e, pur ese-guendo lui i dipinti, li fa prudentementepagare a un allievo.

La Giustizia si comunica dunque perimmagini, per questo la Incredulità diSan Tommaso è il tema prescelto per lesedi del tribunale, infatti chi giudica de-ve «toccar con mano» il vero, come l’apo-stolo; qui, fra i molti pezzi, il raro model-lo in terracotta di Luca della Robbia(1463-66) forse apprestato per il gruppodi Orsanmichele. La città è densa di sim-boli e l’Ercole che abbatte Caco di An-drea Pisano (1335-37), segno della liber-tà cittadina, viene evocato da Lorenzode’ Medici nel Palazzo di Via Larga facen-do dipingere a Pollaiolo tre grandi qua-dri con storie dell’eroe (1460) purtroppoperduti ma, in mostra, echeggiati nell’Er-cole che strozza l’Idra (1470) degli Uffizi.

I David di Donatello, il vestito e il nu-do, sono il segno della fortezza, comepoi quello di Michelangelo. Ma la città,lo si è visto, se bene amministrata e pro-spera, chiede anche altri simboli e così,proprio sulla piazza del Mercato Vecchiodi Firenze, su un'alta colonna, viene eret-ta la statua della Dovizia di Donatello(1430). La piazza è stata distrutta, la sta-tua perduta, ma la memoria della anticaricchezza deve essere tramandata: cosìecco le riprese della scultura nel ’400 enel ’700, da Giovanni Battista Foggini. Fi-renze come civile luogo della Giustizia,della Indipendenza, certo. Ma anche del-l’Abbondanza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La protagonista del «Tango della VecchiaGuardia» di Pérez-Reverte legge molti libri.Eccoli: 1928, sul transatlantico per BuenosAires, «I quattro cavalieri dell’Apocalisse» diBlasco-Ibánez e «Il velo dipinto» di Maugham.

1966, a Sorrento, «Lettere da Capri»di Soldati, «Alla ricerca di Baron Corvo»di A. J. A. Symons e i romanzi polizieschi diEric Ambler. Ma perché degli Ambler si diceche «sanno di edicola da stazione»?

Sguardi Propaganda {

di ARTURO CARLO QUINTAVALLE

di Ranieri Polese

Il David di Donatello, gli appesi di Andrea del Sarto, la Giustizia di Andrea Pisano:la rappresentazione del buono e del cattivo governo tra Medioevo e Rinascimento

Incanti

Il tango dei libri da edicola di stazione

Firenze, tutto il potere al Giglio

Allestimento

Rigore scientifico

Catalogo

Simboli Alla Galleria dell’Accademia un’esposizione sull’uso dell’immagine nella città dei Medici

Da sinistra: Biagio d’Antonio Tucci(1446-1516 circa), «Allegoria della

Giustizia» (tempera su tavola,1470-1475 circa); Vangeli rilegati con

decori «a pastiglia» utilizzati per ilgiuramento dei Priori (XIV-XVI secolo);

Andrea del Sarto (1486-1530),Studio per figura maschile appesa

per un piede (disegno a matita rossasu carta bianca, febbraio-marzo 1530)

19LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 20: la_lettura_20120908

PercorsiTeatro Roberta Torre dirige una «compagnia instabile» nata da un’idea folle

Ma l’arte non è maiun esercizio appagante

Basterebbe la scena finale di Insa-namente Riccardo III, l’alchemi-co respiro collettivo degli attori— che per osmosi supera il pal-coscenico, si avvicina minaccio-

samente al pubblico e diventa il palpitaredella stessa platea — per giustificare l’inte-ro spettacolo. L’apoteosi conclusiva chiu-de il caos — il delirio del regnante shake-speriano e dei sudditi bramosi di potere— ma non ferma l’emozione, restituisce ilsenso — a chi ne avesse bisogno —, senzaperò appagare. La frenesia compulsiva diInsanamente Riccardo III lascia il deside-rio di sé e il dubbio: ma allora «siamo tuttiRiccardo III?».

Roberta Torre, regista milanese da annitrapiantata a Palermo, rivelatasi nel ’97con Tano da morire, insinua la domanda,turba il pubblico usando venti attori «pa-zienti» e cinque attori «impazienti». Tra-sformando il disagio, il disturbo della men-te, in «materiale prezioso» con cui lavora-re, «con gli scarti si possono creare capola-vori». Gli attori pazienti sono malati psi-chiatrici, in cura presso il centro diurno Ca-sa del sole dell’Asp6 (azienda sanitaria diPalermo), gli altri sono professionisti, «ar-tisti molto fisici, che frequentano poco laprosa e la parola — spiega la regista —.Ho lavorato con tutti allo stesso modo, sen-za alcuna remorao ipocrita delica-tezza. L’unica dif-ferenza l’ho ri-scontrata nellafisicità. I pazientihanno corpi pocousati, guardati,strapazzati, quin-di mi sono focaliz-zata molto sullariappropriazionedel corpo. Gli atto-ri veri spesso so-no impazienti, glialtri alla loro pri-ma esperienza tea-trale hanno dimo-strato il desideriospasmodico di darsi, con enorme generosi-tà».

Come Emanuele Di Pace — Riccardo III— 39 anni, anglo-palermitano che sfoggiavere attitudini artistiche: recitando il mo-nologo di Shakespeare in siciliano. «Sof-fro di ansie, di fobie di ogni tipo — raccon-ta Emanuele-Riccardo III — la mia vita neè stata condizionata, non ho mai lavoratodavvero, non sono riuscito a diplomarmi.Recitando ho scoperto che riesco a guarda-re le persone negli occhi. Ho tirato fuori larabbia, la frustrazione. Non sono più soloora davanti allo specchio, qualcuno miguarda e io stesso guardo gli altri senzapiù timore».

Nella tragedia suo padre è Giovanni Mel-dola, psichiatra (il suo) dell’Asp6, a cui Tor-re ha ritagliato una parte. «Durante le pro-ve sono stati trattati da attori, non da mala-ti, e i risultati sono stati notevoli, ora sonopiù propositivi, determinati. Dominanol’ansia, hanno meno paura di esporsi almondo. Roberta non ha fatto riabilitazio-ne, ha fatto la regista, ha ignorato lo "stig-ma". Io sono stato sempre con loro per so-stenerli, avevo con me dei farmaci se neavessero avuto bisogno durante le rappre-sentazioni o le prove, non li ho mai usati.È stato sufficiente il supporto umano».

L’effetto terapeutico sugli attori-pazien-ti che ha suscitato l’attenzione degli psi-chiatri palermitani («alcuni mi hanno chie-sto di far entrare nella compagnia i loromalati»), non interessa la regista: «Io nonfaccio teatro sociale, la funzione terapeuti-ca non mi riguarda, se non avessi raggiun-to un risultato artistico di livello alto avreismesso di lavorare con loro, che poi sia ac-caduto ben venga, ma non era nelle mieintenzioni».

Questo è il primo esperimento italianodi compagnia «mista», e si avvia a diventa-re una vera realtà culturale, «una compa-gnia Instabile» nata da un’idea «folle, quel-la di immettere accanto a veri attori ungruppo di pazienti, che potranno anchecambiare durante i prossimi lavori».

Lo spettacolo, prodotto dalla Compa-gnia della Torre, è stato un successo inquesti mesi a Palermo, nato come laborato-rio nella sala Perriera dei cantieri culturalidella Zisa, si è trasferito al teatro Garibaldi(spazio recuperato da un gruppo di lavora-tori dello spettacolo all’inizio di quest’an-no), per cinque repliche da tutto esaurito.«Sono legata a quel teatro, negli anni 90ho visto grandi Shakespeare di Cecchi»,racconta Torre. «E continuo il mio lavorodi governo del caos, in fondo cos’è un’ope-ra d’arte se non sistemazione del caos? Ciprepariamo a realizzare anche Insanamen-te Macbeth, interpretato sempre da unacompagnia mista pazienti-impazienti».

In autunno l’«insano Riccardo III» saràa Milano, il 2 novembre al Teatro Studioper l’Edge Festival, e sarà rappresentato an-che in altri teatri della Lombardia. «Non sa-rà facile muovere questa compagnia —spiega Torre — perché è un lavoro che pre-vede trenta persone in scena e venti fuo-ri». La complessità nasce dagli attori: mol-ti soffrono di fobie, psicosi, tali da renderenon semplici gli spostamenti in aereo o intreno. «Io voglio continuare a recitare, an-drò ovunque — dice Salouia Hamidi, 37

anni, italo-tunisina — voglio dimenticarei miei problemi». Salouia ha un fisico piùche burroso, durante lo spettacolo danzacon la leggerezza di una ballerina profes-sionista, si avvicina al pubblico soave, qua-si lo accarezza, come un’étoile. La spiega-zione a tanto slancio la offre Gerardo Scali-ci, 50 anni — in arte Clarence — che si de-finisce, «paziente borderline, ansioso conforti scariche di adrenalina». Fornisce lasua profonda verità in poche parole: «Unacosa è stare chiusi dentro a rimuginare,un’altra cosa incontrarsi, discutere, parla-re della rappresentazione: questa è vita».

Una delle principesse del regno di Ric-cardo III è Giuditta Jesu, 34 anni, attriceprofessionista con un passato televisivo.Lei è tra gli «impazienti», ma rifiuta la di-stinzione. «Siamo una compagnia di attoriche ha lavorato bene ottenendo grandi ri-sultati, anche io sono arrivata a inviare ilmio curriculum su suggerimento del miopsicoanalista, stavo vivendo un momentodi malessere, di chiusura. Ora grazie a que-sto lavoro sono di nuovo al centro di me».

Il Riccardo III è solo un pretesto per rac-contare la mostruosità del potere e dell’es-sere umano che ne subisce il riverbero.Struttura portante della drammaturgia è lamusica di Enrico Melozzi, compositore esperimentatore di strumenti, da lui stessocreati. Suona il violoncello, seminascostoin un palco, improvvisando, guidato dallaregista attraverso una radio cuffia. La musi-ca detta i tempi: incalza, prolunga o ferma.«Sostituisce le parole, diventa protagoni-sta del rituale che va in scena — spiega ilcompositore — può essere modificata a se-conda del comportamento del pubblico odegli attori». Il ritmo guida fortemente laregina aliena, una drag queen con smaniedi regno, «un personaggio fuori contestoumano e storico, che deve creare scompi-glio visivo e umorale», spiega Antonio Fe-ster Nuccio, l’attore che la interpreta. Il tra-vaso tra la follia e la normalità si compie, ilvaso comunicante funziona quando il pub-blico inizia a chiedersi chi siano i «veri»pazzi. «Molti indicano convinti lo psicoa-nalista e me. Sento i loro commenti quan-do mi avvicino», racconta l’attore profes-sionista Rocco Castrocielo. La risposta arri-va dal re: «Visto da vicino nessuno è nor-male», urla Riccardo III al pubblico, ormaicompletamente parte del caos collettivo.La frase non è di Shakespeare, ma di Fran-co Basaglia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riccardo III è ansiosoe parla in siciliano

Storie, date, biografie, reportage, inchieste

Successo del primo cast misto (malati e non)Insieme sul palco anche il disagio mentale

L’ arte, una forma di terapia? Intorno a questa domandaruota il nuovo pamphlet del filosofo-divulgatore-aspirantesantone Alain de Botton e dello storico dell’arte John

Armstrong, Art as Therapy (in uscita da Phaidon e, a novembre, daGuanda). Vi si sostiene una tesi provocatoria e, insieme, seduttiva:l’arte sarebbe uno straordinario strumento per conoscerci meglio,addirittura per vivere meglio. Non servono preparazionispecifiche. Occorre portarsi al di là delle idee precostituite, dellesovrastrutture interpretative e delle contestualizzazioni storiche.Solo così potremo imparare ad ammirare i quadri come proiezionidi un’aspirazione alla felicità: dell’artista prima e del fruitore poi.De Botton e Armstrong si interrogano su un nodo decisivo dellamodernità: il nesso arte-anima. Ma il loro discorso, come èemerso dalle anticipazioni del libro, rischia di appariresemplificativo e riduttivo. Troppo lineare. Troppo edificante. Essipropongono una lettura «debole». Sembrano muoversi in unaprospettiva impressionistico-spiritualistica, situando i capolavoridella storia dell’arte in un’ottica New Age. Davvero l’arte si offre

essenzialmentecome spazioedonistico eappagante? In rarimomenti è accaduto.Nella maggior partedei casi — daLeonardo a LucianFreud — la pitturanon si dà affattocome mezzoattraverso il quale cisi può «curare». Nonpuò essere concepitacome una puroriginale forma diterapia: ove, conquesto termine, siallude a un processo

interpersonale, consapevole e pianificato, rivolto a intervenire sudisturbi del comportamento e su situazioni di sofferenza, grazie aun armamentario verbale e anche non verbale, con l’intento diridurre i sintomi e di normalizzare le alterazioni della personalità.Piuttosto, l’arte potrebbe essere considerata come uno specchioinclinato, nel quale si riflettono ansie, inquietudini, tormenti: ciòche sta dietro i nostri gesti quotidiani. Un luogo testimoniale. Cheesprime e pronuncia in maniera prodigiosa l’imprevisto affioraredel perturbante, inteso, freudianamente, come dimensione dellospavento e dell’insolito: quel che sopraggiunge a nostra insaputa,generando terrore, «un qualcosa che avrebbe dovuto rimanerenascosto e che è affiorato». Iscrivendosi in una lunga tradizione —da Leonardo a Caravaggio, da Sofonisba Anguissola a Géricault —molti protagonisti delle avanguardie del XX secolo compiono unavventuroso e incerto viaggio verso il profondo. Abitanol’inconscio. Perlustrano il discontinuo mondo dell’interiorità.Raffigurano l’invisibile. Le loro opere sono come finestredell’anima. «L’uomo — scriveva Artaud — è soltanto un bloccoopaco, / mosso dal represso, / dal rimosso / e dal non rivelato».Per lambire i territori del «non rivelato», Boccioni e de Chirico, Dixe Ernst, de Kooning e Dubuffet, Fautrier e la Bourgeoissperimentano anamorfosi. Pollock e Basquiat, invece, assemblanografie impazzite e deliranti, suggerendo involontari esercizi dipsicoanalisi poetica. Per coglierne il senso, potremmo ritornare auna pagina di Jung, il quale, in Tipi psicologici, aveva descritto lostile astratto come una spietata radiografia del male di vivere.L’astrattista, secondo Jung, nega la «volontà di vivere». E mette inscena l’«irrappresentabile». Che è in noi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

di VINCENZO TRIONE

dal nostro inviato a Palermo MARIA ROSARIA SPADACCINO

Parola di regista«L’effetto curativo non mi

riguarda, se non avessiraggiunto un risultato di alto

livello avrei smesso. Anchese la tournée non sarà facile»

Il pamphlet di de Botton e Armstrong

RRR

20 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 21: la_lettura_20120908

C’è una targa a due passi dal traffico dicorso Italia, a Trieste, per ricordare chequella che inizia lì e sale fino a San Giusto èancora la Via del Monte di Umberto Saba. Lacittà, «dove son tristezze molte», ma anche«bellezze di cielo e di contrada», in quell’ertaospitava la vecchia sinagoga e il cimiteroebraico. La vita del poeta e di una Triesteche ancora, da lì, domina «il mare con le navie il promontorio».

di Stefano RighiPost it

La Via del Monte di Umberto Saba

Murales dipinti sulle facciatedi palazzine che un tempoospitarono i malati psichia-trici; e poi una galleria diquadri, dove le firme d’auto-

ri famosi si mescolano a quelle di gente co-mune, tutti ex pazienti. L’insieme di questeopere è il Mapp, oggi museo d’arte a tuttigli effetti, nato nell’ex ospedale psichiatri-co Paolo Pini, che rimane la rappresenta-zione più evidente dell’arte-terapia intro-dotta trent’anni fa dagli stessi medici dellamente incaricati di smantellare il grandemanicomio alla periferia di Milano. Il Pao-lo Pini era arrivato negli anni Sessanta aospitare 1.200 «matti». E Antonio Guerrini,psichiatra, fu l’artefice dell’una e dell’altraoperazione. Il linguaggio del corpo è statoper lui uno strumento prezioso in più per«riagganciare» nel mondo i pazienti psi-chiatrici, per «riattivarli». E lo è tuttora. Dadieci anni, da quando ha lasciato le corsiedegli ospedali, infatti, coordina l’ex Pianourbano per la salute mentale (esperimentotutto milanese) e dice: «Uso come palcosce-nico per i miei matti lacittà intera, bar, teatri, ci-nema, campi da calcio».Cominciato come unesperimento, il progettodi far cadere due barrie-re (la paura che i mattihanno del mondo e lapaura che il mondo hadi loro) è diventatoquotidianità. «Facciamofare loro le cose che fac-ciamo tutti, inclusi dan-zare, suonare, giocare acalcio, fare teatro». L’ar-te-danza-musico-tera-pia è, spiega, «un gran-de strumento di riabilita-zione. A noi può dareemozione calcare un palcoscenico o danza-re o suonare o andare a teatro? Perché nondovrebbe essere lo stesso per loro?».

Lavorare sulle emozioni per riabilitareun corpo disabile ma anche una mente di-sabile è l’esperienza che Maria Fox, balleri-na e coreografa argentina — la mammadella danzaterapia — per cinquant’anni haportato nel mondo. Lei, che psichiatra nonera, capì com’era più facile e immediata lacomunicazione attraverso il corpo anchein quelle psicosi o nei ritardi mentali chenon consentono una via dialettica. «Quan-do balliamo -— scrisse — non esprimiamosolo la bellezza, ma la rabbia, l’angoscia, ildolore. Sono un’artista che ha trovato nonuna cura ma un metodo che cambia la gen-te mediante il movimento». E non c’è curasenza cambiamento.

La psichiatria ufficiale, per anni, ha guar-dato con sospetto se non ignorato questoapproccio umanistico. Eppure per convin-cersi che «dentro a ognuno c’è un potenzia-le autorigenerativo che va semplicementestimolato e che l’arte permette un’espres-sione diretta, spontanea, arcaica e istintivache non è mediata dalla ragione», comespiegano i suoi sostenitori, basta rileggereciò che scrisse Edvard Munch nel suo dia-rio dopo aver dipinto l’Urlo, icona delle an-sie collettive: «Io avverto un profondo sen-so di malessere, che non saprei descriverea parole, ma che invece so benissimo dipin-gere». Il pittore norvegese, precursore del-l’Espressionismo, aveva studiato le teoriesulla psiche di Freud ed era convinto nonsolo che la pittura l’avesse aiutato a guarda-re dentro se stesso ma anche che fosse un«mezzo per esprimere le emozioni edespiare i propri dolori». «L’arte — scriveva

— è il sangue del nostro cuore». Era il1885. Vent’anni dopo sarebbe diventato pri-mario all’ospedale psichiatrico di Zurigo,Carl Gustav Jung, grande innovatore, chevedeva nell’inconscio «il serbatoio di tuttele risorse di guarigione» e sosteneva chel’arte fosse «la via regia» per accedervi.Una ripresa dell’antica tradizione greca, dicui era profondo conoscitore, che utilizza-va il teatro e la musica per favorire la catar-si collettiva.

Oggi le neuroscienze gli danno ragione.«Hanno dimostrato che le nostre emozioniguidano i comportamenti più della raziona-lità — sintetizza la psichiatra e criminolo-ga Erica Poli, che lavora con una allieva diMaria Fox, Federica Varone —. Hanno se-de nel sistema limbico sottocorticale chenon riconosce le parole ma il linguaggiodel corpo. Se vuoi curare un trauma e nonpassi da qui, non curerai il nocciolo più du-ro del trauma. Tutte le terapie che, invece,passano per il corpo sono in grado oltreche di modificare i traumi anche di svilup-pare l’area corticale della corteccia prefron-

tale, la stessa che si sviluppa in chi fa medi-tazione o prega e che permette funzioni su-periori, fino al raggiungimento di uno sta-to di benessere pieno e incondizionato».Scienza e arte, filosofie antiche del benesse-re e medicina, si fondono.

L’arte-danza-musico-terapia si basa sulrecupero della parte sana dell’individuoper scoprire, attraverso il movimento e lamusica, le risorse che esistono in ognunodi noi. «Un movimento totale del corpo co-me la danza migliora le funzioni di moltisistemi fisiologici. Creare arte, visualizzar-la, e parlarne fornisce alle persone l’oppor-tunità di far fronte a conflitti emotivi, au-mentare la consapevolezza di sé ed espri-mere le preoccupazioni inespresse e spes-so inconsce della loro malattia», concludePoli. Queste terapie che attingono all’arte eintegrano le terapie convenzionali, in so-stanza, ci riconnettono all’emisfero del cer-vello (il destro), che è sede della creatività,della fantasia, dell’intuizione, delle perce-zioni sensoriali.

È lo stesso binario entro cui si muove daqualche anno e con sempre migliori risulta-ti la psicologia assistita con animali. «Il set-ting terapeutico nel nostro caso si spostada una stanza a un prato — racconta Beatri-ce Garzotto, laurea in Psicologia generalesperimentale a Padova e perfezionamentoin Colorado —. Il contatto con l’animale èistintivo. Cavalli e asini codificano imme-diatamente le tue emozioni: sono prede edevono capire in fretta se è il caso di scap-pare o se possono fidarsi. La comunicazio-ne è ben diversa dalla nostra, spesso ambi-valente, ambigua e nevrotica. Gli animalinon lasciano spazio alle ambiguità».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

La danza, la musica(e i giochi con gli asini)per aiutare i pazienti

i

di PAOLA D’AMICO

L’operaIspirato al testo di William

Shakespeare, «InsanamenteRiccardo III» è interpretato

da venti attori pazientipsichiatrici e cinque

professionisti. Dopo il debuttoa Palermo, sarà in scena il 2

novembre al Teatro Studiodel Piccolo di Milano per Edge

Festival, in seguito saràreplicato nella regionecon il circuito teatrale

«Scena Aperta»L’artista

La regia è di Roberta Torre:milanese trapianta a Palermo,nel ’97 con «Tano da morire»

vince due David di Donatelloe tre Nastri d’Argento;

gira negli anni successivi«Sud Side Stori»; «Angela»,

selezionato al Sundance FilmFestival e premiato al Tokyo

Film Festival; nel 2006 «MareNero» è in concorso a Cannes

e Locarno. Nel 2010 dirige«I baci mai dati» selezionato

a Venezia e al SundanceFestival. Nel 2010 firma la

regia de «La ciociara» alTeatro Bellini di Napoli. Nel

2012 debutta con «Uccelli» diAristofane per la stagione del

teatro greco di Siracusa: vinceil premio «Ombra di Dioniso»

Le immaginiLe foto di scena pubblicate in

questa pagina sono di PaoloGalletta, 36 anni, di Messina,ritrattista di artisti jazz come

Omar Sosa, Paolo Fresu,Enrico Rava, Wayne Shorter.Collaboratore di Torre per ilcinema e il teatro, ha vintonel 2012 il premio «I beni

invisibili» della fondazioneTelecom Italia. A sinistra:

Lucian Freud, «BenefitsSupervisor Sleeping», tela

andata all’asta da Christie’snel 2008 per 33,6 milioni

di dollari (Reuters)

Tecniche terapeutiche

{Il lavoro sulle emozioniper riabilitare il corpo

La psicologa Beatrice Garzotto con Oscar (foto di Nicola Vaglia)

21LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 22: la_lettura_20120908

«Avevo cinque anniquando un pianofor-te a coda comparvenella nostra casa.Quel piano grandissi-mo, nero, stagliatocontro il cielo, è sta-

to per me una folgorazione religiosa prima chemusicale. Il segno di una fede inattesa quantoviolenta, che mi avrebbe accompagnata tutta lavita».

Al telefono dalla sua casa di Appen, vicino adAmburgo, la voce di Sofija Asgatovna Gubajduli-na suona fresca come quella di una ragazza. «Einvece il prossimo 24 ottobre compirò 82 anni»,svela ridendo la celebre compositrice russa, uno

dei nomi più singolari del Novecento musicale,nata a Cistopol, cittadina sul Volga della Repub-blica del Tatarstan, e che il 4 ottobre verrà deco-rata dalla Biennale Musica di Venezia con il Leo-ne d’oro alla carriera. Prima donna a conquistar-lo. Per meriti d’arte e anche di vita.

Perché la musica non è stata per lei solo unaforma di espressione creativa, ma anche di resi-stenza umana a un potere ostile a ogni forma diespressione non in linea con le sue direttive.«Musica e vita per me sono sempre andate dipari passo, intrecciate in modo inestricabile. Lamusica e l’arte in generale fanno parte dello spi-rito, strettamente legate all’anima, non solo lamia, ma quella della natura e dell’universo inte-ro».

Idee poco conformi a quel materialismo stori-co in voga in Unione Sovietica, quando la religio-ne era bandita dallo Stato, ogni pulsione spiri-tuale guardata con sospetto, ogni tentativo di fa-re musica fuori da schemi celebrativi e conven-zionali ferocemente represso.

«È stato così sotto Stalin e poi sotto Krusciove sotto Brežnev... Dei primi due ormai sono ri-maste solo labili tracce nella mia memoria.Quanto a Brežnev, quel che ricordo vorrei tantopoterlo cancellare del tutto».

Anni durissimi. Sempre osteggiata, messa aimargini, irrisa per quella sua musica, incapace

di cedere a compromessi estetici e linguistici.«Essere donna non è mai stato un problema. Ionon sono stata discriminata in quanto tale, maper le mie idee. In Urss potevi diventare un com-positore solo se accettavi l’ideologia del regime.Ma mai io avrei messo la mia arte al servizio del-lo Stato».

A sostenerla nei difficili esordi fu Dmitrij Šo-stakovic. Fu lui, commissario d’esame al Conser-vatorio di Mosca, a riconoscere per primo il ta-lento della giovane Sofija, difendendola a spadatratta dalle critiche degli altri professori. «Miprese in disparte e mi disse: tutti pensano chelei stia andando nella direzione sbagliata. Ma iovorrei che lei continuasse per questa sua cattivastrada».

di GIUSEPPINA MANIN

Fedi religiose ed eresie politiche«Suonare è vita, in Russia non si può»

Musica sulla cattiva strada

Percorsi Compositori

Il Leone d’oroalla Biennale

Concerto «per elicotteri»:apre un festival giovaneTre spettacoli al giorno per un totale ditrentatré concerti. È la Biennale Musica: dal4 al 13 ottobre a Venezia. La 57ª edizionedel Festival internazionale di musicacontemporanea ha per titolo «Altra voce,altro spazio»; propone opere di ottantunocompositori, la metà trenta-quarantenni. Nelcartellone, programmato dal direttore IvanFedele, trenta prime mondiali. L’apertura, il4, è con «Helicopter String Quartet» (1995),composizione di Karlheinz Stockhauseneseguita soltanto tre volte: gli interpretidell’Arditti Quartet suoneranno nelle cabinedi quattro elicotteri a 1.500 metri di quota;la performance sarà seguita dal pubbliconella Sala Grande del Palazzo del Cinema(Lido di Venezia, ore 15). La stessa sera,al Teatro delle Tese (ore 20) la compositriceSofija Gubajdulina riceverà il Leone d’oroalla carriera mentre la Fondazione Spinola-Banna per l’Arte sarà premiata con il Leoned’argento. Biennale Musica proponeun tributo a Luciano Berio, a dieci annidalla scomparsa, con un excursus nella suaricerca musicale. Info: www.labiennale.org.

SofijaGubajdulina

Venezia, 4-13 ottobre

Sofija Gubajdulina (1931) vive ad Appen, in Germania. A destra, dall’alto: L. Brežnev (1906-’82), M. Gorbaciov (1931), D. Šostakovic (1906-’75) e J. S. Bach (1685-1750)

22 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 23: la_lettura_20120908

Gubajdulina seguì il consiglio. Negli anni Set-tanta finisce nella black list degli eretici dellamusica, i cosiddetti «Sette di Khrennikov», dalnome del potente capo dell’Unione dei composi-tori che la stilò. Nell’elenco, oltre a lei anche au-tori come Denisov e Schnittke. Tutti bollati,emarginati dalla vita musicale nazionale, impe-diti di recarsi a qualsiasi festival straniero. Solonel 1985, morto Brežnev e con l’arrivo di Gorba-ciov, Gubajdulina recupera la libertà di movi-mento. «Ho molta stima per Gorbaciov. Lui haavuto il merito di aver finito con la guerra fred-da, di aver dato il via alla glasnost. Purtropponon capiva molto di economia e per questo èstato punito».

Una ventata d’aria fresca che la spinge a varca-re i confini, a farsi conoscere all’estero. Due am-pie partiture sinfoniche, Offertorium suonatoda Gidon Kremer e Stimmen diretto daRoždestvenskij, le assicurano le prime afferma-zioni. Gli anni Novanta segnano la sua consacra-zione come compositrice. Con lavori come Zeit-gestalten per Simon Rattle, il Concerto per violae orchestra per Yuri Bashmet e Kent Nagano,Sonnengesang per Rostropovich.

Ma la caduta di Gorbaciov e la confusione chesegue la spingono a una scelta dolorosa quantodefinitiva. «Nel 1992 ho lasciato il mio Paese.Non potevo più lavorare. E non perché ero pove-ra. A quello ero abituata. Il guaio era il declinomorale, tutti erano diventati dei mascalzoni. Co-me poter comporre musica in quel contesto? Misono trasferita in Germania, in questa cittadinapoco lontana da Amburgo. La mia seconda casa.Ma le radici sono rimaste in Russia».

Tornerebbe ora? «Domanda dolorosa. Non sipuò attraversare la storia senza riportarne ferite.Ai tempi dell’ Urss c’era un solo valore degno diessere salvato, la cultura. Ogni città, anche picco-la, aveva il teatro, il conservatorio. L’istruzioneera di qualità alta e molto diffusa. Con Putin sista perdendo anche questo. Ma è vero che laRussia è difficile da gestire, troppi contrasti,ogni idea viene esasperata nel bene e nel male.Spiritualmente è un Paese che ha perso. No,non penso che vorrei tornarci».

La sua musica affonda le radici nella fede cri-stiana. «Mi chiedo ancora come ci sia arrivata.La mia era una famiglia musulmana, non mihanno mai portato in chiesa. Quel pianoforte ca-lato dal cielo è stato un segno... Poi ne sono arri-vati altri, l’incontro con la pianista Marija Judi-na, le sue esecuzioni di Bach hanno significatomoltissimo. Ma alla fine credo che l’attrazioneper la Chiesa ortodossa sia nata in me nell’infan-zia. E quando sono diventata adulta mi sono fat-ta battezzare».

Sotto il segno di una fede profonda nasconoPassione e Resurrezione di Gesù Cristo secondosan Giovanni eseguito da Valery Gergiev, The Li-ght of the End per Kurt Masur, In tempus prae-sens per Anne-Sophie Mutter, Il cantico del so-le, omaggio a san Francesco.

E sotto il segno di un misticismo estatico eapocalittico compone The Mirage of the Dan-cing Sun. Brano per otto violoncelli nato da unavisione. «Passeggiavo in campagna, guardavo ilsole e a un certo punto l’ho visto roteare. Unasfera di colore blu scuro al centro avvolta in fa-sce d’oro. Un corpo pulsante che danzava soprala mia testa. Al culmine di questa visione ho per-cepito il sole come una creatura che ha attraver-sato la tragicità dell’esperienza. Il mio brano ri-flette quell’emozione. Il misticismo è un miste-ro. Così come lo è la nozione stessa di musica».Per Gubajdulina qualcosa che si rapporta con lanatura e la matematica. «Ogni cellula del nostrocorpo è accordata sulla natura. Cercare questecorrispondenze è la stella polare che mi guidanel comporre. Se paragoniamo la musica a unalbero, oggi l’armonia non è più nelle radici manelle foglie. Come la natura, la musica varia se-condo le stagioni, si muove a ondate come il ma-re. Dopo la grande marea dell’Ottocento, il Nove-cento e questi nostri anni sono segnati da un ri-flusso. Quanto ai numeri, sì, ho usato la serie diFibonacci in molte composizioni, compresaquella dedicata alla poetessa Marina Cvetaeva».

L’intuizione, motore primo di ogni sua crea-zione, l’ha spinta sui sentieri più esoterici dellapsicoanalisi. «Adoro Jung. Un amico mi ha rega-lato il suo Libro rosso ed è diventato la mia bib-bia. Sono affascinata dai simboli, ma l’unico checonta davvero è la croce, il segno di Cristo. Lì c’èl’essenza della vita e la sostanza dell’arte».

Alla fine, secondo lei, a cosa serve la musica?«A niente. Servire non è un verbo che le si addi-ce. La musica è. È nata con l’uomo, con la paro-la, con il canto. Come il respiro, vibra dentro dinoi. E la vibrazione è vita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quattro secoli fa moriva Carlo Gesualdo

Torna il «grido della pace»

di RAFFAELE NIGRO

Io pur respiro in così gran dolore,e tu pur vivi, o dispietato core

Q uesto distico che leggiamo nei madrigalidi Carlo Gesualdo riassume lo statod’animo che accompagnò la vita del

musicista di Venosa, uno dei più grandi espressidall’età controriformistica. Nacque a Venosa nel1566 e si spense a Napoli nel 1613, quattro secolifa, una ricorrenza che si sta celebrando dovunquecon concerti e convegni. Sua madre, Geronima,sorella del cardinale Carlo Borromeo, contribuì aeducarlo secondo la religiosità rigorosa epenitenziale del tempo e, attraverso gli esercizispirituali gesuitici, a piegare la sensibilità delgiovane alla colpevolezza dell’uomo, creaturafacile al peccato. Il padre Fabrizio invece avevaaperto a Napoli, nel palazzo di Torre Maggiore, uncenacolo intellettuale frequentato da musici epoeti della provincia, Pomponio Nenna, StefanoSalis, Stefano Effrem. In questo contrasto si formòCarlo, che amò presto la musica e tutti coloro chearmeggiavano con liuti, tamburi e chitarre, imparòa dare corrispondenza tra figure musicali e

significato dei versi e ad affidare a madrigali a piùvoci le sue malinconie. A 19 anni pubblicò sottopseudonimo, per non infangare la casata, quel Nereminiscaris Domine delicta nostra, «PerdonaSignore i nostri peccati», che avrebbe convintoTorquato Tasso a diventargli amico e a farsiautore di testi che Gesualdo provvide a musicare.Contrizione e paura per la morte dell’anima,destino infelice che incombe sugli uomini: maCarlo non venne mai meno alla «cattivacondotta», continuò a suonare e a scrivere. GlennWatkins che per primo lanciò a livello europeol’immagine trascurata del musicista, scrisse nel1973, in The man and his music, che quei madrigaliavevano rivoluzionato la storia della musica,creando la moderna polifonia e preannunciandoMonteverdi e Marenzio. Tuttavia bisogneràattendere il 1982 per avere una prima completabiografia, Carlo Gesualdo Principe di Venosa diAntonio Vaccaro, dopodiché gli verranno dedicatecrescenti attenzioni, da Battiato a Herzog.Occorreva in casa un erede e i Gesualdo cercaronomoglie al giovane Carlo. Aveva vent’anni quandosposò Maria D’Avalos, una cugina di sei anni piùgrande, della quale si diceva che fosse la donnapiù bella del Reame, vedova due volte e due voltemadre. Ospitò gli sposi il palazzo di Torre Alta, ementre i genitori del principe si trasferivano alcastello di Gesualdo, nasceva il piccolo Emanuele.

Ora finalmente Carlo può tornare alle suepassioni, musica e caccia, trascurando la bella eirruente moglie che in una festa da ballo incrociòlo sguardo del giovane Fabrizio Carafa, principe diAndria. Nel petto di lei, è scritto in uno dei tanti«successi» a stampa che giravano nella Napoli diquel tempo, «scoppiò voglia impura et libidinosa,anzi sfrenato appetito di provare le dolcezzed’amore et godere le bellezze del giovane». I duecominciarono a vedersi di nascosto. Don Carlousciva dal palazzo per lunghe cacce e don Fabrizione occupava il letto. Finché le voci non si feceroinsistenti e il principe corse ai ripari. Architettòuna partenza di pochi giorni e un rientroprecipitoso. Nel suo letto c’era proprio donFabrizio. Che cadde con la D’Avalos sotto ilpugnale dei servi, fatto che mandò in bestia ipotenti Carafa. Carlo fu costretto ad allontanarsiper sfuggire alla vendetta più che alla legge cheproteggeva i delitti d’onore. Si ritirò nellafortificazione di Gesualdo (oggi in provincia diAvellino) e vi rimase molti anni, chiamandoattorno a sé musicisti e poeti come TorquatoTasso e Giambattista Marino. A Gesualdo approdò

nel 1594 un uomo difiducia di Alfonso d’Este,signore di Ferrara, AlfonsoFontanelli, con il segretocompito di spiarlo, dalmomento che aveva chieston sposa la nipote di

Alfonso, Eleonora. Vaccaro,che ha pubblicato lacorrispondenza segreta diFontanelli, ci fa sapere chel segretario si stupiva nel

vedere don Carlo intento aavarsi molte volte al giorno

e impegnato a scrivere emusicare. «Questa seradoppo cena ha fatto cercarun cembalo per farmi sentirScipione Stella et sonarviegli stesso co’ la chitarradella quale fa grandissimastima». Lo stesso anno,superato l’esame, CarloGesualdo si trasferisce aFerrara, dove pubblica dueibri di madrigali. Di qui si

muove per Venezia doveconosce Giovanni Gabrieli, ilmaggior compositoreveneziano del tempo.Rientrerà a Ferrara solosette mesi più tardi e quinizierà una lunga

permanenza tracomposizioni e concerti cherinverdiscono gli anni in cuiBoiardo e Ariosto danno

lustro alla corte. Ma i rapporti con Cesare d’Este,fratello di Eleonora, non sono idilliaci, giranomaldicenze sui maltrattamenti alla consorte e supresunte avventure galanti. Nel 1596 il ducadeciderà di rientrare nelle sue terre, raggiunto piùtardi dalla moglie. Fu come un taglio netto con lafelicità. Seguirono anni orribili, sebbene creativi, lapresenza di Tasso e di Marino gli suggerirono ilsuperamento del petrarchismo bembesco quale siera diffuso nella poesia del ’500 e l’approdo a unanuova espressione intrisa di malessere metafisicoe di stupore per il creato. Tutto questo portò Carloa produrre i Responsoria per la Settimana diPassione, le Sacrae cantiones edite nel 1603 e iResponsoria del 1611: sei libri di madrigali percinque voci, prodotti nel clima di malinconiaprovocato dalla morte del piccolo Alfonso, il figlioavuto da Eleonora, e più tardi da quella del figlioventenne Emanuele. Carlo cadde in una infelicecondizione psichica della quale è traccia nelritratto che Giovanni Balducci dipinge nella paladella chiesa di Santa Maria delle Grazie aGesualdo (nella foto un particolare), dove suo ziosan Carlo intercede per il nipote e per Eleonora.Andò avanti così fino alla morte, l’8 settembre1613. Una liberazione per l’uomo che avevatrovato nella propria infelicità una propulsione acreare musica sacra.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Principe dei madrigaligenio e assassino

di Luigi Accattoli {RRR

Una mano tesa, statica,ferma, quasi a sollecitareun blocco, l’interruzionedi un flusso. Ma questamano, al contrario,accoglie, si faattraversare da unacorrente di energia.

Marco Tirelli con quest’opera sintetizzasimbolicamente la sua visione del mondo,confermata anche dalla frase cheaccompagna il disegno e che invita a«Irrompere nella superficie per farne unabisso». Che cosa significa?Semplicemente imparare a vedere,stimolare lo sguardo della mente, entrare insintonia con l’universo della creazione.Marco Tirelli (Roma, 1956) è un artista chesi rifà a un canone classico, con una pitturacomplessa, visionaria, talvolta eterea, dalforte impatto metafisico. Esponente di quelmanipolo di artisti romani del «Gruppo diSan Lorenzo» Tirelli si muove sul territoriodella memoria, dove i frammenti dellanostra realtà quotidiana o di un personalediario visivo diventano simulacri di unosguardo che va oltre il visibile. In fondoTirelli dà vita e corpo alle parole di JoséSaramago che nel suo libro Cecità fa dire auno dei suoi personaggi: «Le immagini nonvedono. Ti sbagli, le immagini vedono congli occhi che le vedono». (gianluigi colin)

Due parole in croceIl «grido della pace» è frequente nellecanzoni e nei motti dei pacifisti, ma nonsolo. «Si alzi forte il grido della pace» vienedicendo Papa Francesco e Wojtyla avevaproclamato: «Fino a quando avrò fiato io

griderò: pace!». Pare che non vi sia rimedio,linguisticamente parlando: come c’è il gridodi guerra, ci dev’essere il grido di pace. «I’ vogridando: pace, pace, pace» era già un versodi Petrarca.

Una copertinaun artista

L’energia di Marco Tirelli

Supplemento culturale del Corriere della Seradell’8 settembre 2013 - Anno 3 - N. 35 (#94)

Direttore responsabile Ferruccio de BortoliCondirettoreVicedirettori

Luciano FontanaAntonio MacalusoDaniele MancaGiangiacomo SchiaviBarbara Stefanelli

Supplemento a curadella Redazione cultura Antonio Troiano

Pierenrico RattoStefano BucciAntonio CariotiSerena DannaMarco Del CoronaDario FertilioCinzia FioriLuca MastrantonioPierluigi PanzaCristina Taglietti

Art director Gianluigi Colin

5 2013 RCS MediaGroup S.p.A. Divisione QuotidianiSede legale: via A. Rizzoli, 8 - MilanoRegistrazione Tribunale di Milano n. 505 del 13 ottobre 2011REDAZIONE e TIPOGRAFIA:Via Solferino, 28 - 20121 Milano - Tel. 02-62821RCS MediaGroup S.p.A. Divisione PubblicitàVia A. Rizzoli, 8 - 20132 Milano - Tel. 02-25841© COPYRIGHT RCS MediaGroup S.p.A. Divisione QuotidianiTutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo prodotto puòessere riprodotta con mezzi grafici, meccanici, elettronici o digitali.Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge.

23LA LETTURACORRIERE DELLA SERADOMENICA 8 SETTEMBRE 2013

Page 24: la_lettura_20120908

24 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA DOMENICA 8 SETTEMBRE 2013