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Lino Leonardi La filologia romanza in Italia: come rinnovare una tradizione? DOI 10.1515/zrp-2016-0073 Abstract: The prestigious tradition of Romance Philology in the 20th century Italian academic world needs to be reconsidered and renewed; at the same time, the reasons and targets of this discipline (which used to bring together a wide range of competences and perspectives) need to be reshaped. In my paper, I will discuss six major points, outlining strengths and weaknesses, opportunities and threats: the focus on the Middle Ages, which implies being both fashionable and marginal; the focus on textual culture more than on the models offered by literary theory (sometimes with an excessively narrow point of view); the excellence of textual criticism and manuscript studies (with the risk of not being understood outside Italy); the marginal role of historical linguistics (with the exception of lexicography); the boundary between comparative literature and anthropology; European culture (past, present, and future) as a context and an opportunity for medieval romance studies. Keywords: textual criticism, comparative literature, linguistics, Middle Ages, Europe Parole chiave: ecdotica, comparatistica, linguistica, Medioevo, Europa 1 Una disciplina tra realtà e mito In Italia le discussioni sullo stato di salute della filologia romanza sono ricorrenti. 1 Il che forse non è solo il sintomo di una difficoltà peraltro comune a molte Indirizzo di corrispondenza: Prof. Dr. Lino Leonardi, Università di Siena/Istituto CNR Opera del Vocabolario Italiano, via di Castello 46, I-50141 Firenze, E˗ Mail: [email protected] Nota: Inevitabilmente in queste pagine farò riferimento più volte allattività che si è svolta negli ultimi dieci anni attorno alla rivista «Medioevo Romanzo»: è stato questo il luogo in cui sono maturate gran parte delle riflessioni che vi sottopongo. 1 Mi limito a ricordare i due incontri organizzati da «Critica del Testo» (Antonelli/Canettieri/ Punzi 2012) e da «Medioevo Romanzo» (Perché il Medioevo romanzo 2016). Più in generale sul ruolo della romanistica nel quadro dei saperi umanistici cf. Pioletti (2011). ZrP 2016; 132(4): 979996 Authenticated | [email protected] author's copy Download Date | 11/19/16 5:29 PM

LafilologiaromanzainItalia: comerinnovareunatradizione? · 2019. 10. 9. · Alessandro Barbero o Franco Cardini, o a una storica dell’arte come Chiara Frugoni.7 Quella che sembramancare,

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Lino Leonardi

La filologia romanza in Italia:come rinnovare una tradizione?

DOI 10.1515/zrp-2016-0073

Abstract: The prestigious tradition of Romance Philology in the 20th centuryItalian academic world needs to be reconsidered and renewed; at the same time,the reasons and targets of this discipline (which used to bring together a widerange of competences and perspectives) need to be reshaped. In my paper, I willdiscuss six major points, outlining strengths and weaknesses, opportunities andthreats: the focus on the Middle Ages, which implies being both fashionable andmarginal; the focus on textual culture more than on the models offered by literarytheory (sometimes with an excessively narrow point of view); the excellence oftextual criticism and manuscript studies (with the risk of not being understoodoutside Italy); the marginal role of historical linguistics (with the exception oflexicography); the boundary between comparative literature and anthropology;European culture (past, present, and future) as a context and an opportunity formedieval romance studies.

Keywords: textual criticism, comparative literature, linguistics, Middle Ages, Europe

Parole chiave: ecdotica, comparatistica, linguistica, Medioevo, Europa

1 Una disciplina tra realtà e mito

In Italia le discussioni sullo stato di salute della filologia romanza sono ricorrenti.1

Il che forse non è solo il sintomo di una difficoltà – peraltro comune a molte

Indirizzo di corrispondenza: Prof. Dr. Lino Leonardi, Università di Siena/Istituto CNR Opera delVocabolario Italiano, via di Castello 46, I-50141 Firenze, E 

˗ Mail: [email protected]

Nota: Inevitabilmente in queste pagine farò riferimento più volte all’attività che si è svolta negliultimi dieci anni attorno alla rivista «Medioevo Romanzo»: è stato questo il luogo in cui sonomaturate gran parte delle riflessioni che vi sottopongo.

1 Mi limito a ricordare i due incontri organizzati da «Critica del Testo» (Antonelli/Canettieri/Punzi 2012) e da «Medioevo Romanzo» (Perché il Medioevo romanzo 2016). Più in generale sulruolo della romanistica nel quadro dei saperi umanistici cf. Pioletti (2011).

ZrP 2016; 132(4): 979–996

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discipline umanistiche –, ma anche l’espressione di una vitalità: nella misura incui interrogarsi sulla propria disciplina, sul ruolo che essa ricopre nel quadro deisaperi umanistici e più in generale nel panorama culturale e educativo nazionalee internazionale, interrogarsi insomma su se stessi, è una forma di insicurezza chedà anche qualchemaggiore garanzia di affidabilità.

Del resto una parte del problema è che è difficile prescindere, quando si parladella filologia romanza in Italia, dal suo passato prestigioso: dopo una fase nonfacile di affermazione nell’ultimo quarto dell’Ottocento (cf. Lucchini 2008, 185–356), la tradizione di studi che si è identificata entro quella disciplina ha saputorinnovarsi in forme via via aggiornate, cercando di mantenere il difficile equili-brio fra i suoi tre versanti, ecdotica – linguistica – letteratura, e riuscendo a porsicome centrale non solo nel sistema della formazione universitaria, ma anche nelsistema culturale del Paese, come snodo di altissima specializzazione indispensa-bile per la comprensione della letteratura medievale, ma anche come laboratorioapplicabile alla contemporaneità. Decisivo è stato il ruolo di figure come Gian-franco Contini, dal commento alle rime di Dante al rapporto con Montale, Gadda,Pasolini, e poi nella seconda metà del secolo, in modo diverso l’uno dall’altro, diquelli che sono stati i maestri della mia generazione: mi potrei limitare a ricorda-re, in ordine di scomparsa, Gianfranco Folena, Aurelio Roncaglia, d’Arco SilvioAvalle, Cesare Segre, Alberto Varvaro, e la loro copertura globale della vastissimaarea disciplinare, dalla linguistica italiana e romanza alla provenzalistica, dal-l’ecdotica al folklore, dal retroterra mediolatino alla ricezione moderna, finoall’impegno nello sviluppo di strutturalismo e semiologia. Le etichette sonotroppo sbrigative, e evocano appena la complessità di interessi e l’autorevolezzadi posizioni intellettuali che hanno contribuito a mantenere fino a noi un patri-monio intellettuale tale da far sì che nel sistema universitario italiano la filologiaromanza sia ancora professata come disciplina autonoma.2

In una dimensione più generale, direi di opinione pubblica, la filologiaromanza detiene ancora per certi versi l’immagine di una disciplina difficile, diun sapere complicato per iniziati, quando non di una specializzazione polverosa.In un blog tutto femminile di lifestyle troviamo per esempio la filologia romanzaassociata al vertice della ricerca nucleare europea, il CERN di Ginevra: «Che la tuapartner sia una ricercatrice del CERN, una laureata in filologia romanza o Rita LeviMontalcini, l’area delle domande stupide nell’emisfero destro del suo cervello

2 Manca ancora una storia della filologia romanza nell’Italia del Novecento. Sui singoli nomirinvio ad alcuni tra i numerosi contributi (per Contini mi limito al più recente): per Contini,Leonardi (2014b); per Folena, Paccagnella/Peron (2006); per Roncaglia, Aurelio Roncaglia (2013);per Avalle, Leonardi (2005); per Segre, Per Cesare Segre (2016); per Varvaro, Studi sull’opera(2015).

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sarà sempre e comunque attiva e sviluppatissima».3 Ha valenza analoga lacitazione che trovo in un articolo satirico di Michele Serra sull’Espresso delloscorso giugno (parlo del 2015, quando il flusso di migranti premeva al confine traItalia e Francia): «I francesi, come prova di buona volontà, hanno finalmente datola loro disponibilità ad aprire le porte ai profughi accampati alla frontiera diVentimiglia. Sola condizione, che queste persone dispongano di curricola profes-sionali rispondenti a questi requisiti: servono quindici affinatori di camembert,dodici docenti di filologia romanza, cinque astronauti con esperienza di almenodue mesi su una stazione orbitante, otto traduttori simultanei dal russo e dalcinese e una ventina di sommelier referenziati».4 Michele Serra naturalmente nonsa che la Francia, mentre ha probabilmente davvero bisogno di tutte le altrespecialità qui elencate, non ha alcuna consapevolezza di mancare di docenti difilologia romanza; e che tra i pochissimi previsti dal suo ordinamento, quello perla cattedra che fu di Gaston Paris all’École Pratique des Hautes Études viene perl’appunto dall’Italia.

Questa immagine elitaria e insieme marginale, che sembra combinare ilvertice dell’eccellenza scientifica con un rischio di inutilità o quanto meno diincomprensibilità, induce a pensare che la continuazione della filologia romanzain Italia, e solo in Italia, abbia a che vedere con l’autorevolezza delle personalitàche ho appena ricordato, e di cui oggi non è sempre facile riconoscere gli eredi. Enon vorrei sottovalutare questo aspetto diciamo personale: in ultima analisi, è lospessore intellettuale dei filologi ciò che fa grande la filologia, come qualsiasialtra attività umana, ed è il loro impegno e il loro esempio che attrae i migliori trai giovani a proseguirne e superarne il modello.

Detto questo, ciò di cui è possibile discutere è se invece esistano condizionioggettive, nella nostra disciplina e nel suo modo di stare nella contemporaneità,che possano giustificarne la sopravvivenza, e insieme motivarne la continuazionee il rinnovamento. Vorrei declinare questo discorso in sei punti, che mi sembranosignificativi per la particolare identità della filologia romanza in Italia, mostrandocome ciascuno di essi porti con sé le ragioni di una forte potenzialità e insieme irischi di una intrinseca debolezza. Avverto fin d’ora che i pochi nomi che menzio-nerò vogliono essere nient’altro che esemplificativi, e non implicano assoluta-mente una sottovalutazione di tutti gli altri che sarebbero evocabili, nell’impossi-bilità di un regesto ragionato.

3 Cf. <http://www.blogdilifestyle.it/10-domande-stupide-donne-fanno-agli-uomini-30390.html>[consultato il 14marzo 2016].4 Cf. <http://espresso.repubblica.it/opinioni/satira-preventiva/2015/06/17/news/idea-per-gli-immigrati-torniamo-alla-schiavitu-1.217417> [consultato il 14marzo 2016].

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2 Il Medioevo come orizzonte storiografico

La prima caratteristica che sottolineerei come specifica della filologia romanza inItalia è la concentrazione sul periodo medievale. Essa non è del tutto esclusiva, eho appena ricordato i nomi di autorevoli maestri che si sono dedicati anche allacontemporaneità, o all’eredità della tradizione medievale ad esempio nei classicidella poesia cavalleresca tra Quattro- e Cinquecento. Ma non vi è dubbio che laconcentrazione sul periodo tra le origini del volgare da una parte (o meglio tra ilsuo retroterra in ambito mediolatino e anche tardolatino), e il rinnovamentorinascimentale dall’altra, è ben presente nella tradizione italiana, e in anni recentitende semmai a radicalizzarsi. Ciò accade, sul piano disciplinare-universitario,anche altrove in Europa o negli Stati Uniti, dove l’assenza di una disciplinacomplessiva come la filologia romanza lascia spazio a discipline specifiche che,in ambito letterario, sono in genere concentrate sul Medioevo (con l’esclusionedel sistema ancora vigente in Germania), ma spesso, ad esempio nella tradizioneanglosassone, all’interno di un dipartimento di Romance Studies che raccoglie levarie lingue e letterature romanze in senso anche cronologicamente ampio, finoalla modernità,5 mentre l’aggettivo «romanzo» in genere in Italia indica unaspecificazione medievistica.

D’altra parte, questa particolare concentrazione sul Medioevo si accompagnain Italia all’assenza di una specializzazione medievistica negli studi di letteraturaitaliana. Il fatto che non esista un settore disciplinare accademicamente ricono-sciuto per il Medioevo italiano è certo da collegare alla visione unitaria dellastoria letteraria nazionale, che fin dalla prima impostazione del sapere accademi-co, alla fine dell’Ottocento, riconobbe nell’età delle «Tre Corone» – Dante, Petrar-ca, Boccaccio – il fondamento di un percorso ininterrotto e identitario dellacultura italiana.6 Ma in parte questa situazione ha a che fare con la forte ipotecaposta dalla filologia romanza sulla tradizione letteraria medievale, anche italiana.Tornerò su questo tema cruciale, il rapporto con l’italianistica, nell’ultimo deimiei sei punti.

Qui vorrei piuttosto sottolineare come la connotazione medievistica dellafilologia romanza costituisca una grande opportunità e insieme apra un fronte didebolezza. Nell’immaginario contemporaneo, non solo europeo, il Medioevogioca un ruolo significativo, evidente anche a livello di mass media e di fiction

5 Questa accezione cronologicamente ampia dell’aggettivo «romanzo» è verificabile anche nellatradizione di numerose riviste, da «Romanische Forschungen» a «Romanic Review», da «Revueromane» a «Estudis Romànics».6 Per questo aspetto fu importante la Storia della letteratura italiana di De Sanctis (1870–1871), sucui si può ancora ricorrere a Contini (1968).

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letteraria e cinematografica: una potenza evocativa che dovrebbe portare linfavitale a una disciplina che ha al suo centro il Medioevo, e per di più non ilMedioevo latino della teologia e delle arti liberali, ma quello avventuroso, epico oinnamorato che trova la sua espressione nel volgare. In realtà questa valenza«grand public» del brand Medioevo è raramente intercettata dagli studi di filolo-gia romanza in Italia: vi riescono molto meglio gli storici, e penso a figure comeAlessandro Barbero o Franco Cardini, o a una storica dell’arte come ChiaraFrugoni.7 Quella che sembra mancare, nel nostro caso, è una chiave di lettura cheinterpreti la produzione culturale del Medioevo romanzo come significativo in sé,e quindi per noi.

È in fondo questo il tema che abbiamo cercato di proporre al recente semina-rio di «Medioevo Romanzo»: la domanda Perché il Medioevo romanzo? intendevaverificare se sia promovibile una consapevolezza condivisa del ruolo di quellatradizione letteraria nella formazione della cultura europea, tale da fornire unagiustificazione attuale del nostro lavoro. Da quelle interessanti giornate fiorentinemi sembra che sia emersa la difficoltà a declinare un paradigma condiviso suquesto punto specifico: le due relazioni introduttive, richiamate spesso durante ildibattito di quei giorni, avevano chiaramente espresso questa difficoltà, oraevocando una visione ancora pseudo-romantica del Medioevo volgare comeinfanzia della nostra cultura, ora applicando categorie proprie ancora della crisinovecentesca, con il rinvio ai lavori di Curtius o di Jauss.8 Qui sta a mio avviso ladebolezza di questo legame intrinseco col Medioevo, rispetto per esempio aglistudi sul mondo greco-romano che, pure anch’essi in calo di consensi, continua-no a vantare uno statuto di imprescindibilità, come se non si fosse dato nel corsodel Novecento il crollo della tradizione umanistica che, tramite il Rinascimento,discendeva in ultima analisi proprio da quei classici latini e greci.9

La questione dello specifico medievale come rilevante per la cultura contem-poranea è un terreno sul quale sarebbe interessante e proficuo lavorare, appro-fondendo spunti che pure sono emersi in questi anni. Per accennare a un solo

7 Corrisponde a questa situazione il fatto che il primo «Festival del Medioevo» organizzato aGubbio nell’autunno 2015 (<http://www.festivaldelmedioevo.it>) vedeva la partecipazione dimolti storici, paleografi, storici dell’arte, mediolatinisti, ma di un solo filologo romanzo (France-sco Zambon).8 Cf. rispettivamente Zink (2016) e Antonelli (2016).9 Un buon termometro di questa continuità può essere l’organizzazione dei panels applicatidall’European Research Council per distribuire i più importanti finanziamenti europei per laricerca: all’interno del dominio disciplinare Cultures and Cultural Production (SH5) il primo panelè il solo definito in base all’oggetto delle ricerche cronologicamente identificato, Classics, ancientGreek and Latin literature and art (SH5_1), mentre tutti gli altri dieci sono dedicati a specifichediscipline, senza precisazioni cronologiche o linguistiche.

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esempio, penso al grande tema della laicità, insita nell’uso del volgare in quantocontrapposto al latino, che potrebbe rivelarsi un ambito non scontato di appro-fondimento circa il complesso rapporto con la cristianità, sia in ambito lirico, daitrovatori a Petrarca, sia in ambito romanzesco, con la vicenda del Graal, o più ingenerale per il tema dei volgarizzamenti di testi religiosi.10

3 La centralità del testo

Ma vengo al secondo punto, passando dall’oggetto al metodo. In Italia filologiaromanza è da sempre sinonimo di approccio rigoroso alla testualità letteraria. Lodefinirei un approccio solidamente tradizionale, che trova nel testo, nella suaforma in primo luogo e nella sua dichiarazione letterale, il primo obiettivo einsieme il limite agli eccessi di una sovrainterpretazione non di rado sorda alleragioni intrinseche del dato letterario. Il fatto che in Italia filologi romanzi comeAvalle e Segre siano stati fra i protagonisti della stagione strutturalista, nellaseconda metà del Novecento, ha contribuito a mantenere quell’esperienza entrouna dimensione propriamente testuale.11 Un buon esempio di questa adesione altesto mi sembra di poterlo indicare nel notevole sviluppo del filone di studimetrici, da Menichetti a Antonelli a Di Girolamo a Beltrami solo per fare alcuninomi, concentrato soprattutto sulla metrica italiana ma con potenzialità di svilup-po direi molto interessanti per gli altri ambiti romanzi.12 Più in generale, è unatteggiamento metodologico che implica una strumentazione e una preparazionenon scontata altrove, e che emerge ancora bene nelle generazioni più giovani.13

Tenderei quindi a vedere in questa aderenza al testo un fattore positivo, dapreservare con cura, soprattutto se confrontato con una buona parte della ricercasulle letterature romanze prodotta in ambito angloamericano o francese, dove itesti medievali sono volentieri i pretesti per un discorso critico che li trascende,rispondendo piuttosto a impostazioni generali e generalissime legate alle teorie digenere, alla geografia postcoloniale, all’introspezione psicanalitica o, ultimamen-te, a una visione globale dei processi culturali. Tuttavia credo sia opportuno

10 Mi limito a ricordare interpretazioni complessive e suscettibili di dibattito come Lazzerini(2013) e Zambon (2012).11 Tra i molti suoi contributi, rinvio almeno a Segre (2001). Si può ancora leggere con grandeinteresse la ricostruzione di Avalle (1970).12 Anche quimi limito a rinviare alla sintesi di Beltrami (2011), con nutrita bibliografia.13 Per fare un esempio potrei menzionare le precisazioni contenute nel recente intervento diCaterina Menichetti a proposito di un libro importante di Sarah Kay, ispirato a Lacan e Derrida,sulle citazioni letterarie in ambito poetico (Menichetti 2015).

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evitare di considerare queste prospettive come semplici mode: esse sono ancheespressione del tentativo di mantenere gli studi sul Medioevo romanzo integratiin un sistema di ricerca umanistica che deve trovare una sua giustificazione nellacultura contemporanea. E rifiutare tali punti di vista, come per lo più accade inItalia, porta a una forma di isolamento – magari splendido isolamento – che nonproduce però soltanto effetti positivi. C’è addirittura il rischio di una semprecrescente incomunicabilità, all’interno della stessa generazione di medievisti.Negli ultimi dieci anni abbiamo cercato di rispondere a questa esigenza dicondivisione e discussione continuando l’opera di Alberto Varvaro nel settoredelle recensioni in «Medioevo Romanzo», e dando cioè conto analiticamente ecriticamente di quanto si pubblica anche all’estero, non solo in ambito ecdotico.È stato uno sforzo di confronto di cui sentivamo la mancanza, e che confidiamopossa portare qualche frutto reciproco, con l’impegno, da parte italiana, dileggere e reagire, e con la speranza che la reazione arrivi a suscitare un interesse eun dibattito.

E c’è poi un ulteriore elemento problematico, se non addirittura critico,nell’approccio alla testualità prevalente in Italia. Non di rado infatti lo sguardoresta talmente incollato al testo da rendere impossibile ogni allargamento divisuale. È molto difficile oggi in Italia anche solo concepire lavori di granderespiro, dove i dati di una tradizione testuale possano essere letti in funzione dilinee interpretative generali, che possano ambire a collocarsi sul piano storiogra-fico o ermeneutico. Eppure di tali lavori c’è un estremo bisogno, e quando neemergono alcuni – vorrei citare, oltre al recente quadro di Maria Luisa Meneghettisulla tradizione iconografica della narrativa cavalleresca, almeno il volume diGiovanni Palumbo su Carlo Magno in Italia e quello di Nicola Morato sullatradizione narrativa e testuale del ciclo di Guiron le Courtois14 – gli effetti diricaduta sull’avanzamento delle conoscenze vanno di gran lunga al di là deirisultati puntuali.

4 L’ecdotica come ermeneutica della tradizione

Siamo così arrivati al terzo punto, che è poi forse quello più scontato in quantodistintivo della «scuola» italiana, ovvero la filologia intesa come storia dellatradizione manoscritta e critica del testo. In questo ambito il contributo italianopuò essere solo accusato di un eccesso di impegno. Il neolachmannismo bentemperato che Contini, facendo tesoro della lezione di Bédier ma senza accettarne

14 Cf. rispettivamente Meneghetti (2015), Palumbo (2013), Morato (2010).

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lo scetticismo, promosse dagli anni Cinquanta del Novecento, ha saputo coniuga-re la storicità della trasmissione nei singoli testimoni con l’esigenza di produrreun testo critico che non rinunciasse a proporre una sintesi di quella molteplicità(cf. Contini 2014). La formula di Avalle della «doppia verità», dell’autore e delcopista,15 ha aperto la strada anche in Italia a una filologia della ricezione che havalorizzato la specificità di ciascun manoscritto, con applicazioni notevoli diquella che si è chiamata filologia materiale, e con risultati particolarmenterilevanti nella filologia dei canzonieri (cf. Cadioli/Meneghetti 2008; Leonardi2006).

Non è mancato inoltre un importante investimento sul fronte della filologiadigitale, soprattutto con l’allestimento di repertori di testi e manoscritti on line(penso almeno ai progetti Bibliografia Elettronica dei Trovatori,Manoscritti france-si in Italia, Lirica Italiana delle Origini), ma anche alle raccolte di edizioni comeRIALC e RIALTO.16

Resto convinto tuttavia che il maggior contributo della romanistica italiana incampo ecdotico sia stato e resti tuttora legato all’approccio stemmatico, e altentativo di ricostruire il testo critico. Non nelle forme caricaturali con le qualitalvolta questa impostazione è ridicolizzata da chi non ne comprende il senso,17

ma con le procedure razionali e metodologicamente consapevoli che hannoprodotto, per fare un solo esempio, l’edizione Segre della Chanson de Roland. Èquesta una frontiera ancora ben aperta: ne stiamo facendo l’esperienza in questianni con i gruppi per lo più di giovani ricercatori che lavorano a progetti comequello sul Guiron o sull’Aspremont, su tradizioni cioè estremamente complesseche rivelano però, ad una analisi rigorosa, la possibilità di rintracciare le lineedella diffusione dei testi, e di proporre una soluzione coerente per l’edizionecritica (Leonardi/Trachsler 2015; Palumbo/Rinoldi 2015): è recente il primo volu-me dell’edizione guironiana, che è anche la prima edizione propriamente criticadi un romanzo francese in prosa dopo laMort Artu di Frappier (1936) (Lagomarsini2014).

Non è facile coinvolgere giovani dottorandi in lavori come questi, che fuorid’Italia rischiano di essere considerati quanto meno inutili. Anche per questocredo sia opportuno e urgente, in primo luogo da parte della romanistica italiana,tentare di rinnovare la riflessione sul metodo filologico in modo da tradurla in un

15 Cf. alcuni dei saggi raccolti sotto questo titolo in Avalle (2002).16 I repertori a cura rispettivamente di Stefano Asperti, Maria Luisa Meneghetti e di chi scrive(con Alessio Decaria); le raccolte testuali a cura di Costanzo Di Girolamo. Si vedano i siti web<www.bedt.it>, <www.mirabileweb.it/p_romanzo.aspx> (da cui si possono selezionare sia LIO siaMAFRA), <www.rialc.unina.it/> e <www.rialto.unina.it/>.17 Emblematico il caso di Cerquiglini (1989), su cui Varvaro (1997).

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linguaggio comprensibile anche in un contesto più ampio, da parte di chi non neabbia condiviso i presupposti formativi.18 Illuminare il valore di un approcciodiacronico alla testualità medievale, come l’unico in grado di rivelarne la naturamobile e rielaborativa; approfondire l’accusa di anacronismo di cui sono oggettole edizioni ricostruttive, richiamando la valenza intrinsecamente anacronistica diogni procedimento storiografico; proporre letture sintetiche dei grandi fenomenidi trasmissione testuale, in modo da ricondurre a un quadro generale ricercheanche minutissime che rischiano di apparire nient’altro che eccessi di filologi-smo; sono altrettante sfide che la romanistica italiana deve porsi in condizione diaffrontare, per far comprendere anche la necessità di questo orizzonte di ricercaper l’interpretazione della testualità medievale19 (un esempio interessante hafornito Simon Gaunt al convegno di Firenze, costruendo il suo discorso circa ladiffusione dell’Histoire ancienne jusqu’à César sul fondamento dell’analisi stem-matica di Luca Barbieri) (cf. Barbieri 2005; Gaunt 2016).

Un ottimo segnale, in questa direzione, offre ora il lavoro di Frédéric Duval suLes mots de l’édition des textes, nel quale molti concetti e istituti elaborati dallafilologia italiana sono proposti per la prima volta in un contesto francese.20 È unostrumento che risulta prezioso anche per la stessa scuola italiana, e induce ariprendere e sviluppare l’idea che alcuni di noi accarezzano da qualche tempo, diorganizzare un grande dizionario critico di filologia che – a partire dall’esperienzaitaliana – sia allestito in un contesto internazionale e pubblicato in più lingue, inmodo da ritrovare un terreno comune di discussione e di ricerca filologica.21

5 Luci e ombre della linguistica romanza

Il quarto punto di questa mia panoramica, la linguistica, è strettamente legato alprecedente, ma appare oggi molto più problematico. Nonostante la modifica checredo negli anni Novanta ha unificato, sul piano burocratico-accademico, filolo-gia e linguistica in un’unica formula che riunisce i due punti di vista (la dicituraufficiale del settore è da allora Filologia e linguistica romanza), e nonostante ladisciplina continui a essere obbligatoria per i corsi di laurea in lingue straniere, laricerca propriamente linguistica è largamente minoritaria nel quadro della produ-

18 In questo senso va il tentativo di Trovato (2014), a partire soprattutto da una casistica italianama con tentativi di aperture romanze.19 Ho cercato di offrire un contributo in questo senso con Leonardi (2011) e Leonardi (2014a).20 Cf. Duval (2015), da leggere con le riflessioni di Duval (2007).21 Dopo una fase istruttoria, una prima riunione operativa per il lancio del progetto è prevista perl’autunno 2016.

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zione scientifica dei romanisti italiani. Può aver contribuito a questa riduzionel’ottica medievistica, che tende a escludere interi settori della linguistica e delladialettologia dedicati al contemporaneo, e soprattutto ha influito lo sviluppo,nella seconda metà del Novecento, di una disciplina autonoma come la Linguisti-ca italiana, anzi originariamente Storia della lingua italiana: tanto che oggisembra difficile pensare che possano essere dei filologi romanzi di formazione edi professione a concepire, prima ancora che realizzare, opere come sono state lagrammatica dell’italiano di Renzi (Renzi/Salvi 2001) o come il dizionario sicilianodi Varvaro (2014), per non dire della dimostrazione di Avalle, ancora negli anniSessanta, della tripartizione dello spazio linguistico galloromanzo (Avalle 1962).La scuola di Varvaro, con Laura Minervini e Marcello Barbato, continua questatradizione, così come da tutt’altra formazione anche Paul Videsott, ma resta ilfatto che la linguistica rimane marginale nel quadro attuale della romanisticaitaliana.22

Un’eccezione importante riguarda però la lessicografia. Se non fosse toccatoa me parlare oggi, chiunque al posto mio avrebbe senz’altro sottolineato il fattoche la principale impresa lessicografia storica sull’italiano antico, l’Opera delVocabolario Italiano, dopo Avalle negli anni 1975–1983, ancora all’interno del-l’Accademia della Crusca, e dopo Beltrami nel ventennio 1992–2013, ormai ingestione CNR, è oggi ancora diretta da un filologo romanzo, e tra i suoi pochi mavalorosi redattori annovera una buona percentuale di ricercatori formatisi comefilologi romanzi.23 E devo dire che il valore aggiunto di una prospettiva pan-romanza, e delle relative competenze, nell’elaborazione di un vocabolario storicodedicato al Medioevo italiano si misura quotidianamente.

Anche perché il TLIO (Tesoro della lingua italiana delle Origini) è un vocabola-rio fondato direttamente sull’analisi del corpus testuale di riferimento, un corpusin continua evoluzione, che richiede un monitoraggio costante non solo pergarantirne l’affidabilità filologica, ma anche per controllarne le indicazioni geo-linguistiche.24 E in questo ambito specifico, della linguistica applicata all’analisidei testi e delle tradizioni manoscritte, c’è invece ancora un filone di fortepresenza della romanistica italiana: comprendo naturalmente in questa catego-ria Fabio Zinelli e i suoi lavori di stratigrafia applicati ormai a varie tipologie

22 Altre esperienze sono rimaste un po’ ai margini della romanistica internazionale, come peresempio il lavoro sul provenzale di Rocco Distilo, il cui corpus informatizzato – con il connessoprogetto di un laboratorio lessicale: <http://trobvers.textus.org/> – non ha trovato spazio accantoalla COMdi Peter Ricketts.23 Rinvio al sito web <www.vocabolario.org>. Per una prima storia dell’OVI cf. Vaccaro (2013) eBeltrami (2016).24 Cf. la sintesi di Larson/Artale (2013).

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di trasmissioni testuali, dal francese d’oltremare al contatto occitano-catala-no.25 Non è un caso se un settore in cui si può cogliere appieno il contributo dellaromanistica italiana è un altro settore di contatto, come il cosiddetto franco-italiano: solo competenze approfondite sui due versanti gallo-romanzo e italo-romanzo, come è ormai raro trovare fuori dalla tradizione formativa italiana,possono garantire di evitare fraintendimenti e sovrapposizioni di fenomeni chehanno ricadute su entrambi i dominii linguistici (cf. Barbato/Beretta/Palumbo/Zinelli 2015).

La questione delle competenze, e quindi della formazione, è uno degli aspettipiù delicati per il futuro della filologia romanza: anche in vista di un eventualerilancio della disciplina, come felicemente si sta sperimentando qui a Losanna,non sarà facile riuscire a evitare che le competenze si limitino a un solo settorelinguistico romanzo, senza aver presente in forma diretta e produttiva le intera-zioni con gli altri settori. In questo senso l’esperimento di Varvaro della scuolaestiva in linguistica romanza a Procida (2008–2012),26 che consenta di coordinaree condividere esperienze e modalità formative, potrebbe essere ripensato e rilan-ciato.

6 La comparatistica e l’apertura antropologica

La dimensione comparatistica è dunque il quinto punto del mio discorso. Essa èin effetti al cuore dell’identità della romanistica, che per definizione abbracciauna diversità di tradizioni linguistiche e letterarie, nella convinzione che la lorocomune origine, e gli stretti rapporti di interdipendenza e scambio reciproco,suggeriscano se non impongano di considerarle da un’ottica unitaria, appuntocomparatistica. Ciò è vero fin dalle origini della disciplina in Italia, a partiredall’intitolazione della prima cattedra milanese di Pio Rajna (1874), che dopol’iniziale Letterature romanze fu trasformata in Storia comparata delle letteratureneolatine. Vale la pena citare lo stesso Rajna (1878, 288):27

«Non già che la comparazione abbia qui ad esser continua e a costituire la preoccupazioneperpetua. Una Storia comparata, in senso stretto, non varrebbe a soddisfare che in partegl’imperiosi bisogni che si son venuti manifestando. La nostra Storia sarà dunque compara-ta solo dove così porta la natura del soggetto. Quest’aggettivo [...] interpretato con questalarghezza, vale ad adombrare l’intima e sostanziale differenza tra la Storia delle letterature

25 Cf. almeno Zinelli (2007 e 2013).26 Cf. il bilancio di Varvaro (2012).27 Sulla complessa questione del titolo della disciplina cf. Lucchini (2008).

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neolatine e la Storia della letteratura italiana. [...] All’una preme un’infinità di prodotti, chel’altra invece appena appena può menzionare».

È da sottolineare come già allora l’attenzione si concentrasse sul rapporto con laletteratura italiana: snodo cruciale, che abbiamo già sfiorato più volte, e sul qualetorneremo per concludere. Vorrei piuttosto soffermarmi un momento sull’attuali-tà di tale approccio comparatistico, confermata peraltro dal titolo di una delleraccolte di scritti filologici di Cesare Segre, dove all’ecdotica si affianca appuntola comparatistica romanza, a riassumere un’impostazione complessiva non limi-tata alla critica testuale.28 La comparatistica ha infatti un suo statuto riconoscibi-le, questo sì, anche a livello internazionale e extra-medievistico, e mi apparestrategicamente opportuno che non solo in campo linguistico, ma anche nell’ap-proccio letterario alle tradizioni romanze, si mantenga un’impostazione di questogenere. Tanto più che da questa linea si è diffuso e radicato in più di un’esperien-za (penso almeno a quanto si è costruito in questi anni nelle scuole di Genova ePadova, coi lavori tra gli altri di Alvaro Barbieri, Sonia Barillari, Massimo Bonafin,Carlo Donà) il recupero di un’attenzione per il floklore che fu originaria dellafilologia romanza in Italia, a partire dallo stesso Rajna, e poi rinnovata dai lavoriad esempio di Avalle e Varvaro, e che oggi si declina piuttosto in termini diantropologia (cf. Avalle 1990; Varvaro 1994).

Anche questo è un terreno che non è privo di riscontri negli studi di romani-stica fuori d’Italia, e anche per questo motivo credo sia importante che esso possatrovare piena cittadinanza negli sviluppi della disciplina. In realtà la questione èstata oggetto di un qualche dibattito, che potrei forse semplicisticamente sintetiz-zare nella difficoltà di tenere insieme un discorso propriamente antropologicocon l’adesione alla lettera dei testi di cui parlavo all’inizio. Al tema abbiamodedicato uno dei seminari di «Medioevo romanzo», nel 2009, intitolato Dal mitoalla letteratura e ritorno. Il rapporto fra testi e folklore nel Medioevo romanzo(Pasero/Trachsler/Donà 2010), ma temo che siano rimaste incomprensioni erigidità che sarebbe opportuno continuare a discutere, al di là delle facili e purcomprensibili riserve circa la natura profondamente antistoricistica di alcuneprese di posizione; se non altro per verificare in che misura un maggiore appro-fondimento dell’interpretazione puntuale del testo possa guidare anche le valuta-zioni su larga scala proprie di una lettura antropologica, e come reciprocamentel’apporto di un confronto che oggi forse diremmo global possa contribuire ailluminare il retroterra di un testo, o meglio di una categoria letteraria.

28 Cf. Segre (1998), e tutta l’impostazione che emerge da Segre (2014).

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Più complicato, e vi accenno soltanto, il rapporto con la deriva di stampoetnografico che Francesco Benozzo ha proposto di definire «etnofilologia», e checontinuo a non capire fino in fondo perché abbia bisogno di richiamarsi allafilologia romanza. Anche in questo caso però credo doveroso discutere e appro-fondire, come abbiamo tentato di fare in «Medioevo romanzo» con un’ampiadiscussione promossa da Eugenio Burgio (cf. Burgio 2009; Benozzo 2010; Burgio2010), i cui toni sono stati meno accesi, ma con risultati temo altrettanto scarsi, diquella pubblica che alcuni ricorderanno al convegno triennale della SocietàItaliana di Filologia Romanza del 2009, a Bologna (protagonista, ancora unavolta, Alberto Varvaro: e questa sua capacità di confronto esplicito, fino allapolemica, che non si risparmiava nell’affrontare direttamente e pubblicamente lequestioni, non è l’ultimo dei motivi per cui ci manca).

7 L’Europa avrà un futuro?

Vengo dunque all’ultimo punto, ovvero il rapporto con la cultura europea, che miconsente di riprendere vari aspetti di quanto già detto fin qui da un punto di vistagenerale. Siamo in molti a ritenere, e credo non solo in Italia, che l’orizzontepolitico-culturale nel quale la filologia romanza può continuare a trovare un suoruolo da protagonista è quello di un’Europa culturalmente unitaria.29 È benevidente anche dalla cronaca degli ultimi anni che questo orizzonte non è affattoscontato, e che da una parte la rilevanza culturale europea vive un’epoca dimarginalizzazione nel mondo globalizzato, dall’altra lo spirito unitario subisceforti lacerazioni che sembrano far regredire lo scenario a prima del trattato diRoma, verso un’Europa delle Nazioni. Ho trovato emblematica dell’impatto chequesto stato di cose può avere sui nostri studi la vicenda esposta da RichardTrachsler al seminario di Firenze lo scorso ottobre, circa le difficoltà finanziarieche rischia di incontrare in Germania un’impresa storica come il Lessico Etimolo-gico Italiano di Max Pfister e Wolfgang Schweickard, per il fatto di avere comeoggetto la lingua di un altro stato europeo.

Sono convinto che, almeno in parte, la scomparsa della filologia romanza neivari paesi europei, Svizzera compresa, a favore delle discipline di ambito lingui-stico nazionale si debba anche a questa condizione «ambientale», mentre la suasopravvivenza in Italia ha anche un legame, per quanto impalpabile, con la

29 In un quadro di riflessioni non limitato alla sola filologia romanza, ma che ad essa fariferimento, mi limiterò a citare Contini (1946), e più specificamente Roncaglia (1954). Al tema hadedicato poi continue attenzioni Antonelli (1992; 2007); cf. da ultimo Pioletti (2016).

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vocazione filo-europeistica che fino a ieri caratterizzava la posizione italiana. Esono anche convinto che questo ruolo europeo della romanistica vada giocatofino in fondo, e sia in grado di sostenere anche tentativi di rivitalizzazione delladisciplina come quello in atto a Losanna, pur in un contesto che all’Europa hasempre guardato con diffidenza.

Tuttavia, tornando all’Italia, non vorrei che sfuggisse il paradosso per cuiquesto investimento europeo e comparatistico rischia di contrapporsi alla perti-nenza della filologia romanza nel campo che più le dovrebbe essere proprio,quello dell’italianistica. L’istituzione disciplinare della Linguistica italiana prima(1937) e della Filologia italiana poi (1971) – rispettivamente a Firenze con BrunoMigliorini e a Pisa con Alfredo Stussi – ha certo affiancato all’esclusiva competen-za della filologia romanza due settori più specifici di studio, dedicati alla tradizio-ne nazionale. Ed è vero che quando si è trattato, anni fa, di aggiornare l’elencodelle discipline universitarie ritenute indispensabili nel percorso formativo deidocenti delle scuole secondarie – discipline che quindi possono aspirare a unospazio privilegiato nella programmazione dello sviluppo accademico –, allaletteratura italiana e latina, alla storia e alla geografia, è stata aggiunta lalinguistica italiana, non la filologia romanza, privilegiando la dimensione nazio-nale rispetto a quella europea.

La questione del rapporto della romanistica con l’insieme delle disciplinededicate all’italiano (letteratura, lingua, filologia) mi pare in effetti assolutamentedecisiva per il futuro della filologia romanza in Italia. E vorrei tornare alla notaconvinzione di Contini (1972 [1949], 344), espressa nel ricordo del suo maestroSantorre Debenedetti:

«per chi non voglia prodursi in tecnicismo bon à tout faire, per chi abbia la pietas di unatradizione linguistica e il senso vivo d’una presenza culturale, la filologia romanza sopravvi-verà seriamente solo nelle filologie nazionali: se almeno essa voglia essere un attrezzoquotidiano, un ingrediente indispensabile agli usufruttuari della cultura, che non sonospecialisti di medio evo».

Il problema non è diverso da quello che affrontiamo oggi, e la «presenza cultura-le» è la chiave di questo passo: una filologia si giustifica appieno solo se èfunzionale – al di fuori di ogni visione utilitaristica – alla consapevolezza cultura-le della società in cui si colloca. In questo senso reinterpreterei volentieri l’espres-sione di Contini modificandola in questo modo: la filologia romanza sopravviveràseriamente solo se risulterà determinante per le filologie nazionali. In particolarein Italia, il patrimonio di valori scientifici che ho tentato di evocare (Medioevo,testualità, filologia, linguistica, comparatistica) deve essere messo a frutto anchee soprattutto per meglio comprendere la tradizione culturale italiana. E del restonon è difficile sostenerlo, per una tradizione che conosce il suo vertice nei secoli

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medievali, dove è inevitabile affrontare la comprensione dei grandi classici dellaletteratura da un punto di vista non limitato al quasi inesistente retroterranazionale.

Se saprà trovare sempre nuove forme per coniugare la sua dimensionenaturalmente europea e questa presenza sulla scena della cultura italiana, lafilologia romanza, almeno in Italia, potrà sopravvivere ancora a lungo. E forsetroverà il modo, anche da questo avamposto di Losanna, di allargare la diasporache, senza rendersene conto, Michele Serra evocava nel pezzo satirico che hocitato all’inizio, e che in Belgio, in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna,in Svizzera, e anche negli Stati Uniti e in Canada, comincia a costituire una partenon trascurabile della romanistica italiana fuori d’Italia, riconoscimento e insie-me potenziale sviluppo di una competenza intellettuale di cui la cultura occiden-tale mostra di avere ancora bisogno.

Ma non vorrei apparire troppo ottimista. Sono allora tornato alle mie duecitazioni iniziali, dove la filologia romanza era assimilata alla ricerca fatta alCERN di Ginevra, o indicata come requisito per l’accettazione degli immigrati inFrancia. E grazie al web ho verificato, non senza sorpresa, che la madre diFabiola Gianotti, direttrice del CERN, era laureata in filologia romanza; e che ilnonno materno di Michele Serra era il filologo romanzo Guido Errante. Forse unruolo non secondario, per la filologia romanza in Italia, consiste nel creare lecondizioni perché nascano e crescano i futuri direttori del CERN, o per farscattare, a distanza di una generazione, lo spirito ironico di una delle penne piùbrillanti della satira civile italiana. Per eterogenesi dei fini, non mi paionorisultati disprezzabili, a significare una ricaduta più largamente culturale deinostri studi, anche al di là della stretta pertinenza scientifica (ma non senza unrapporto con essa): chissà se anche alla nostra generazione capiterà di produrresimili effetti collaterali.

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996 Lino Leonardi

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