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18 Quando, nel 1687, il cardinale Marco Antonio Barbarigo prese possesso della sua diocesi e visitò il piccolo seminario di Montefiascone, dislocato presso la ex-casa parrocchiale di S. Bartolomeo, si rese immediatamente conto del gran lavoro che lo attendeva. Venti anni prima, il vescovo Paluzzo Paluzzi Albertoni Altieri aveva eretto quel minuscolo seminario accogliendovi cinque alunni sotto la direzione di un prefetto, ma a causa delle scarse rendite, che non per- mettevano di finanziare scuole e maestri propri, i chierici erano costretti a frequentare la scuola di grammatica della città. Oltre a ciò, i cinque o sei seminaristi erano materialmente accuditi da una donna. Una volta aperto il nuovo seminario, il Barbarigo stabilì regole più rigorose, direttamente derivate da quella “Ratio Studiorum” che, ispirata alle direttive di Carlo Borromeo, da circa venti anni si stava perfezionando presso il seminario di Padova. Ancora pochi mesi prima della sua morte, il cardinale Barbarigo così scriveva, al rettore del seminario di Montefiascone Mazzinelli, al riguardo delle Regole: “Nella sua scuola, come in quella de gl’altri faccia osservare quel tanto viene disposto nel libretto intitolato Ratio Studiorum stampato in Padova com’ella sa [...] Roma, 13, Gennaio 1706”. A questo proposito il rettore doveva far sì che ognuno degli studenti avesse il libretto delle regole ed inoltre, nelle camerate “de’ mezzani e dei piccoli che non hanno senno bastantemente maturo [...] ogni 8. giorni per lo spazio di mezz’ora” i prefetti avevano l’incarico di leggergliele e spiegar- gliele. Dai capitoli che compongono le diverse edizioni del regolamento, dalla Sacra visita eseguita dallo stesso Vescovo nel 1703-1704 e da altri documenti esistenti presso l’archivio del seminario, oltre alle note di carattere reli- gioso e didattico che in questo contesto non vengono considerate, si rilevano numerose informazioni sui particolari aspetti del vivere quotidiano di quei tempi e, specialmente, del vivere in seminario. L’ammissione. Erano ammessi al seminario, come alunni o convittori, soltanto i ragazzi che avevano compiuto dodici anni o che li stavano per compiere. Gli alunni erano i veri seminaristi, mentre i convittori - cittadini di ambedue la città e diocesi; in maggior parte, però, stranieri ed i più anche ultra montani ed ultra marini, tra i quali illustrissimi per sangue - entra- vano in seminario principalmente per riceve- re una buona istruzione. Sedici adolescenti, meritevoli e provenienti dai vari paesi della diocesi, erano mantenuti dalla munificenza del Vescovo. Nell’istrumento d’erezione del seminario questa presenza è prevista e stabili- ta con precisione dallo stesso Barbarigo; due ragazzi dovevano provenire da Montefiascone, due da Taquinia ed uno da ognuno degli altri paesi della circoscrizione vescovile: Marta, Capodimonte, Valentano, Bisenzo, Piansano, Tessennano, Arlena, Latera, Gradoli, Grotte di Castro, San Lorenzo e Celleno. La retta di altri quattro ragazzi di Montefiascone era a carico dell’ospedale della città; alcuni, specie di nazionalità straniera, veni- vano finanziati dalle elemosine pontificie; tutti gli altri, che si mantenevano a proprie spese, al momento dell’ingresso in seminario dovevano presentare un fideiussore a garanzia del regolare pagamento della retta. Il vestiario. Gli aspiranti seminaristi, che si distinguevano dai convittori per il vestiario esterno color paonaz- zo, dovevano essere forniti di due vesti talari di lana, usate per uscire dal seminario e nelle occasioni impor- tanti e di altri due vestiti comuni, uno per l'estate e uno per l'inverno, da usare esclusivamente all’interno del seminario. Dovevano poi possedere un ampio mantello a ruota, o ferraiolo, un cappello regolamentare e un berretto internamente nero, una cintura, almeno sei camicie, dodici colletti, calzoni corti neri, due o tre asciu- gamani, fazzoletti ed altra biancheria a seconda delle necessità. Ai convittori, che indossavano vesti di colore nero più corte, o zimarre, era concesso anche l'uso di guanti e soltanto agli stessi, che a parte l’abbigliamento in nulla differivano per gli studi e per il trattamento, venivano impartite lezioni di scherma. Le scarpe erano nere per tutti. Non erano tollerati gli indumenti di cattiva qualità né, tantomeno, quelli eccessivamente elegan- ti; erano pertanto proibiti i colletti troppo elaborati, le guarnizioni di pelliccia, le camicie con le maniche abbondanti, i vestiti con il collo troppo largo. (continua) LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIO DI MONTEFIASCONE (XVIII-XIX sec.) di Giancarlo Breccola Il territorio della diocesi di Montefiascone ai tempi del vescovo cardinal Marco Antonio Barbarigo (1687-1706)

LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIO “divota preghiera al SS ...s75882b832fdad8e7.jimcontent.com/download/version/1430426062/module...18 l oggetta la il ss. crocifisso di castro nelle

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IL SS. CROCIFISSO DI CASTRO NELLE “MEMORIE STORICHE DELLA

DISTRUTTA CITTA’ DI CASTRO” DI DON ERACLIO STENDARDIIschia di Castro

Non lontano da quelle maceriedella città di Castro in gran partesepolte e sopraffatte dalla vegetazione, sorge il tempiodel SS.Crocifisso, ultimo e solo ricordo della scomparsa città di maremma, nascosto nel fondo di un’insenatura al di sotto della vastanecropoli etrusca dove ancora oggi regna silenzio e oblio.Nel tempio nulla vi è di pregevole dal punto di vista artistico; non marmi, non decorazioni, ma solo un’effigie del Crocifisso priva diqualsiasi pregio e in gran parte sbiadita dal tempo; una pittura grossolana, rozza, smorta nelle tinte, e nella parte inferiore rattoppata congesso e calcina. Una tradizione popolare, della quale ci manca un vero documento per confermarla, dice che in tempo remoto si tentò dismantellare l’intonaco per togliere l’effigie, forse per farne una migliore. Altri dicono che durante la distruzione della città di Castro sivoleva distruggere anche quell’immagine. Alla prima tradizione si dà la spiegazione che, tolto dagli operai l’intonaco, il dì appresso lotrovarono a posto coll’immagine che avevano cancellata. Alla seconda, legata alla distruzione della città di Castro, lo smacco di chi tentòdi distruggerla ma non vi riuscì; e nell’intonaco rovinato e rattoppato si volle vedere una prova miracolosa del fatto sostenuto dalla tradi-zione. Comunque sia questa è la realtà delle cose; il Crocifisso di Castro sparse copiose grazie e per i continui miracoli operati chiamò echiama ancora da paesi vicini e lontani una schiera sempre più numerosa di pellegrini che si portano a visitarlo.L’Annibali, oltre cento anni orsono, scriveva che l’immagine del Crocifisso si era resa tanto celebre per i miracoli che, sebbene in mezzoad una selva, in particolare nel periodo di primavera, vi accorreva moltissima gente e non solo dai paesi vicini. In un piccolo libro mano-scritto della prima metà del ‘700 si legge una “divota preghiera al SS.Crocifisso che si venera nella diruta città di Castro”. In essa,dopo aver ringraziato il SS.Crocifissodi aver concesso a noi il privilegio diessere rimasti in questa zona “ad ontadei replicati colpi e prove fatte dal-l’armata e furibonda soldatesca perdemolire la città di Castro”, soggiun-ge: “Ma quali e quante maggiori gra-zie non ve le dobbiamo oggi che dopodue secoli dalla distruzione della cittàsi è ottenuto dal vicario di Cristo ilPapa Pio IX le opportune facoltà ondepoter erigere una cappella e un altareper aumentarvi e perpetuare il cultocoll’incruento Sacrificio”. La preghie-ra prosegue invocando grazie e bene-dizioni per la persona benefattrice eper il popolo di Ischia “erede e pos-sessore di sì gran tesoro”. La perso-na cui allude fu Pio Baldeschi, tantoben visto presso il Pontefice perchétanto di adoperò per il tempio diCastro.Il 3 giugno 1928 segnò l’alba radiosadi un auspicato avvenire.Numerosissimi pellegrini disceserodalla montana regione dell’Amiata,accorsero dai ridenti paesi vulsini,dalla valle del Paglia e dalle valleOntana. Spettacolo grandioso, sugge-stivo, mistico fu quello che ci offriro-no le serene dominicali notti del belgiugno. Migliaia di pellegrini oranti eosannanti a Gesù Sacramentato pro-cessionalmente accompagnarono dalprincipio alle rovine della fu città diCastro. Furono spettacoli di entusia-stica fede il ricordo dei quali rese piùnumerosi e fervorosi i pellegrinaggidegli anni successivi.In questi anni tanti avvenimenti hannomutato aspetto ed esistenza alla silen-ziosa zona presso il Santuario. Ilpetroso Lamone e l’assolato altipianodel Pianetto hanno aperto una comodae spaziosa strada in diretta comunica-zione con Pitigliano e con la regioneamiatina. Recentemente altra strada,attraversando il ponte S.Pietro sulFiora per Manciano, apre la comuni-cazione con la sorella maremmatoscana. E sì facile comunicazione, epiù la facilità dei mezzi che conrisparmio di tempo abbreviano ledistanze, il Santuario di Castro haveduto accrescere ogni anno il nume-ro dei pellegrini e del pellegrinaggi.

Quando, nel 1687, il cardinale Marco Antonio Barbarigo prese possesso della sua diocesi e visitò il piccolo seminariodi Montefiascone, dislocato presso la ex-casa parrocchiale di S. Bartolomeo, si rese immediatamente conto del granlavoro che lo attendeva. Venti anni prima, il vescovo Paluzzo Paluzzi Albertoni Altieri aveva eretto quel minuscoloseminario accogliendovi cinque alunni sotto la direzione di un prefetto, ma a causa delle scarse rendite, che non per-mettevano di finanziare scuole e maestri propri, i chierici erano costretti a frequentare la scuola di grammatica dellacittà. Oltre a ciò, i cinque o sei seminaristi erano materialmente accuditi da una donna. Una volta aperto il nuovoseminario, il Barbarigo stabilì regole più rigorose, direttamente derivate da quella “Ratio Studiorum” che, ispirata alledirettive di Carlo Borromeo, da circa venti anni si stava perfezionando presso il seminario di Padova.Ancora pochi mesi prima della sua morte, il cardinale Barbarigo così scriveva, al rettore del seminario di MontefiasconeMazzinelli, al riguardo delle Regole: “Nella sua scuola, come in quella de gl’altri faccia osservare quel tanto viene disposto nellibretto intitolato Ratio Studiorum stampato in Padova com’ella sa [...] Roma, 13, Gennaio 1706”. A questo proposito il rettoredoveva far sì che ognuno degli studenti avesse il libretto delle regole ed inoltre, nelle camerate “de’ mezzani e dei piccoli

che non hanno senno bastantemente maturo [...]ogni 8. giorni per lo spazio di mezz’ora” i prefettiavevano l’incarico di leggergliele e spiegar-gliele. Dai capitoli che compongono le diverseedizioni del regolamento, dalla Sacra visitaeseguita dallo stesso Vescovo nel 1703-1704 eda altri documenti esistenti presso l’archiviodel seminario, oltre alle note di carattere reli-gioso e didattico che in questo contesto nonvengono considerate, si rilevano numeroseinformazioni sui particolari aspetti del viverequotidiano di quei tempi e, specialmente, delvivere in seminario.L’ammissione. Erano ammessi al seminario,come alunni o convittori, soltanto i ragazziche avevano compiuto dodici anni o che listavano per compiere. Gli alunni erano i veriseminaristi, mentre i convittori - cittadini diambedue la città e diocesi; in maggior parte, però,stranieri ed i più anche ultra montani ed ultramarini, tra i quali illustrissimi per sangue - entra-vano in seminario principalmente per riceve-re una buona istruzione. Sedici adolescenti,meritevoli e provenienti dai vari paesi delladiocesi, erano mantenuti dalla munificenzadel Vescovo. Nell’istrumento d’erezione delseminario questa presenza è prevista e stabili-ta con precisione dallo stesso Barbarigo; dueragazzi dovevano provenire da

Montefiascone, due da Taquinia ed uno da ognuno degli altri paesi della circoscrizione vescovile: Marta, Capodimonte,Valentano, Bisenzo, Piansano, Tessennano, Arlena, Latera, Gradoli, Grotte di Castro, San Lorenzo e Celleno. La retta dialtri quattro ragazzi di Montefiascone era a carico dell’ospedale della città; alcuni, specie di nazionalità straniera, veni-vano finanziati dalle elemosine pontificie; tutti gli altri, che si mantenevano a proprie spese, al momento dell’ingressoin seminario dovevano presentare un fideiussore a garanzia del regolare pagamento della retta.Il vestiario. Gli aspiranti seminaristi, che si distinguevano dai convittori per il vestiario esterno color paonaz-zo, dovevano essere forniti di due vesti talari di lana, usate per uscire dal seminario e nelle occasioni impor-tanti e di altri due vestiti comuni, uno per l'estate e uno per l'inverno, da usare esclusivamente all’interno delseminario. Dovevano poi possedere un ampio mantello a ruota, o ferraiolo, un cappello regolamentare e unberretto internamente nero, una cintura, almeno sei camicie, dodici colletti, calzoni corti neri, due o tre asciu-gamani, fazzoletti ed altra biancheria a seconda delle necessità. Ai convittori, che indossavano vesti di colorenero più corte, o zimarre, era concesso anche l'uso di guanti e soltanto agli stessi, che a parte l’abbigliamentoin nulla differivano per gli studi e per il trattamento, venivano impartite lezioni di scherma. Le scarpe eranonere per tutti. Non erano tollerati gli indumenti di cattiva qualità né, tantomeno, quelli eccessivamente elegan-ti; erano pertanto proibiti i colletti troppo elaborati, le guarnizioni di pelliccia, le camicie con le manicheabbondanti, i vestiti con il collo troppo largo. (continua)

“L’amore per la mia maremma mi spinse nel passato a raccogliere la devozione dei miei antenatida essi a me inculcata, per il SS.Crocifisso di Castro; mi spinge ora

delle notizie storiche raccolte a farne omaggio a Gesù Crocifisso”.

di

Giuseppe

Talucci

LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIODI MONTEFIASCONE (XVIII-XIX sec.)

di Giancarlo

Breccola

Dai centri vicini

PIANSANO

novembre 2002

Il territorio della diocesi di Montefiasconeai tempi del vescovo cardinal Marco Antonio Barbarigo (1687-1706)

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Sono state numerose le iniziative a carattere religioso e musico-culturalipromosse dall’associazione socio-culturale “Card. Girolamo Farnese” diLatera e dalla parrocchia San Clemente.Un programma denso di appuntamenti che ha avuto inizio sabato 21dicembre con l’inaugurazione presso il centro polivalente della mostramercato dei presepi realizzati dai bambini e ragazzi delle scuole, il cuiricavato, ammontato complessivamente a 400 euro, è stato devoluto inbeneficenza ai paesi terremotati del Molise.Domenica 22, invece, una conferenza e una mostra su Celestino V, il papadel “gran rifiuto”. La mostra e la conferenza sono state realizzate grazieal contributo della Regione Abruzzo e della Provincia di Viterbo. Allamanifestazione inaugurale erano presenti numerosi ospiti e persone diriguardo, come la dott.sa Stefania di Carlo dell’università di Bordeaux inFrancia, del vicario generale della diocesi di Viterbo, del prof. Izzo asses-sore alla cultura del comune di Marta, del col. Nucci Piero comandantedell’aeroporto militare di Viterbo e di altri autorevoli personaggi delnostro territorio.Lunedì 23 pressola chiesa collegia-ta è stata la voltadella TusciaBanddi Piansano inconcerto. In unachiesa gremita diamanti della mu-sica si è svolto iltradizionale con-certo di Natale,quest’anno resoprezioso dallacelebre orchestragiovanile compo-sta da circa 50elementi.Appuntamento straordinario il pomeriggio di Natale con la rappresenta-zione del presepe vivente per le vie del centro storico (nella foto il grup-po dei giovani che ha partecipato al presepe vivente). All’interno delleantiche cantine e dei vecchi sotterranei del castello ducale sono statifedelmente interpretati numerose scene di vita quotidiana del tempo, dalbottaio al falegname, all’arrotino, al cestaio, fino a realizzare un vero eproprio mercato presso la piazza antistante il castello. La rappresentazio-ne ha visto la partecipazione di oltre 80 figuranti, quasi tutti giovani.La sera del 26 alle ore 18, invece, si è esibita presso la chiesa collegiata la

Corale polifonica “L.Perosi” di Latera e laCorale “S. Fran-cesco” di Canino,entrambi dirette dalM° Stefano Calan-drelli, proponendoun vasto repertorionatalizio, e al termi-ne del quale i ragaz-zi partecipanti alcorso di musica av-viato dall’associa-zione hanno potutoricevere gli attestatidi frequenza e lanomina di un tutor.

Alle 16 di sabato 28, attraverso piazze e vie affollatissime di curiosi, si èsvolta la prima uscita del Corteo Storico “Card.Girolamo Farnese” di Lateracon oltre 60 figuranti (nella foto la sezione dei tamburisti: da sinistra LucaGinanneschi, Marco Procenesi, Andrea Freddiani, Luca Baglioni, MarcoDinarelli). I costumi, realizzati con stoffe pregiate, sono state cucite e con-fezionate dalle nonne e dai sarti del paese e serviranno per la realizzazio-ne del bivacco medievale 2003 previsto ad agosto prossimo.Il cenone di fine anno presso le scuole elementari con oltre 120 partecipan-ti e la befanata per le vie del paese hanno concluso le festività natalizie.Un bilancio positivo per l’associazione culturale e per la parrocchia, chein pochi giorni è riuscita a mettere in programma interessanti manifesta-zioni, che, a differenza degli altri anni, hanno entusiasmato bambini, gio-vani e adulti.

Dai centri vicini

PIANSANO

Domenica 22 dicembre si è svolta presso la sala consi-liare del comune la cerimonia di premiazione riguardan-te il 1° PREMIO LETTERARIO “CITTÀ DI GROTTE DI CASTRO”. Ilconcorso, realizzato con il contributo dell’Assessoratoalla Cultura della Regione Lazio e della Comunità Montana Alta Tuscia Laziale, siarticolava in quattro sezioni: poesia, narrativa, ricerca storiografica e saggisti-ca, poesia e narrativa riservata ai ragazzi delle scuole dell’obbligo. La com-missione esaminatrice, costituita da cinque membri e presieduta dal prof.Vincenzo De Caprio, docente di letteratura italiana all’Università della Tuscia,ha assegnato i seguenti premi:1a sezione: sorella Agnese (al secolo Enza Berlingozzi, per Il silenzio diMaria); Umberto De Vergori (Plenilunio sul lago); Giuseppe Prosperini(Carezzando un ricordo).2a sezione: Pietro Paris (Natale); Patrizia Cimarra (O vicolo do pidocchio),Barbara Eramo (Non avevo gli occhi per vedere).3a sezione: d.Angelo Maria Patrizi (S.Maria dei Monaci o delle Colonne);Rosa Maria Gallelli (Grotte di Castro, storia urbanistica e recupero); BrunoDel Papa (Note romantiche e risorgimentali nella lirica di Maria BonaparteValentini).4a sezione: Simone Recato Vacca (La guerra di Piero); Fabrizio Faziani (Lagodi Bolsena); Eleonora Brinchi (Il mio paese).A tutti i concorrenti è stato rilasciato un attestato di partecipazione. Nelcomplesso, considerato l’elevato numero dei partecipanti ed il livello ottimodegli elaborati, si può affermare che è stato un successo culturale che spe-riamo possa essere ripetuto negli anni futuri.

(dal numero precedente)

Igiene e saluteL’igiene personale dei ragazzi era quella contemplata dai tempi equindi - ai nostri occhi di persone abituate agli attuali livelli diasetticità e di comfort - piuttosto carente. Essa consisteva nell’ob-bligo di lavarsi mani e viso ogni mattina, ma anche di tanto intanto nel corso dell’estate i piedi, dovendo anticipatamente prevenireperché il rispettivo Cameriere porti a tale effetto l’acqua tepida, e un reci-piente atto a tal lozione. Per il taglio della barba e dei capelli, gli stu-denti dovevano ricorrere al personale addetto in quanto era seve-ramente vietato il tener [...] rasoj e forbici, non potendo alcuno radersila barba da se stesso, o tagliarsi i Capelli; tra l’altro, sui capelli, nontagliati alla moda, i chierici avevano l’obbligo di radere una chieri-ca ben visibile. Le unghie dovevano essere senza lordura e tagliatefrequentemente. La biancheria, che si voleva monda d’ogni sozzura, equindi andava cambiata spesso, veniva lavata da alcune lavandaiedel paese e riportata in seminario il sabato sera.In quanto allo sputare in terra, usanza molto comune all’epoca,non bisognava farlo alla presenza di persone ragguardevoli, e doveil pavimento sia mondo ed oliato, o coperto di tappeti. Se un conoscenteo un amico avesse avuto l’alito cattivo, era buona norma infor-marlo del problema, dato che il cattivo odore non si avverte da chi lospira, e [...] moltissimo infastidisce tutti coloro, ai quali tocca ragionarvi.L’avvertito doveva sciacquarsi spesso, e molto bene la bocca, efarsi pulire i denti e quando questo non fosse stato sufficienteavrebbe dovuto farsi estrarre i denti guasti, e cavernosi.Per i bisogni corporali vi erano delle latrine, le cui chiavi eranocustodite dai portinai; una di queste era collocata in fondo al corri-doio delle scuole. Singolare risulta il capitoletto ove si segnala come tra le precipuesorgenti delle malattie nel Seminario e Collegio [vi fossero] le indige-stioni, mangiandosi cioè frutta ed altri cibi che si mandano ai Convittorie Alunni dalle proprie Case, come pure li riscaldamenti ed infreddagioniche si contraggono da’ giovani a cagion delle lunghe passeggiate, o delsoverchio abuso del fuoco nell’inverno. Nello stesso paragrafo vienequindi previsto che le passeggiate estive dovevano effettuarsi dueore prima del tramonto e viene proibito l’uso del focone (braciere)in camera quando il carbone non fosse stato bene acceso.

gennaio 2003

INIZIATIVE CULTURALIE MUSICALI PER

FESTEGGIARE IL NATALE

Latera

diEmanueleGermani

PRIMO PREMIO LETTERARIO “CITTA’ DI GROTTE DI CASTRO”

Grotte di Castro

di AdelioMarziantonio

LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIODI MONTEFIASCONE (XVIII-XIX sec.)

di GiancarloBreccola

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marzo 2003LoggettaLla

14

to), nonché uno spazioso ambiente polifunzionale da destinare a concerti, mostre, festeggiamenti e, quandonecessario, consigli comunali.Contemporaneamente si dava corso alla domanda di finanziamento presso il competente assessorato dellaRegione Lazio, il quale, valutata l’importanza del progetto, ne finanziava l’esecuzione per l’80%, ossia per unimporto di circa 280 milioni di vecchie lire. Si è proceduto quindi ad una gara d’appalto che, per la dimensioneeconomica dell’intervento previsto, ha importo una licitazione privata di natura europea. Vi hanno partecipato56 imprese, e alla fine l’apposita commissione ha attribuito l’incarico allo Studio Montuori di Roma, associato,nel caso di specie, alla facoltà di architettura dell’università di Napoli. (A titolo di cronaca, lo studio Montuoriha realizzato progetti di altissimo livello, quali la stazione Termini di Roma, il piano di ricostruzione diCamerino, il recupero-restauro del convento di S. Antonio di Ferentino, ecc.).Il progetto complessivo, completato nel luglio scorso, prevede un fabbisogno finanziario di un milione di euro,per il quale è stata presentata domanda di finanziamento alla Regione Lazio attraverso i capitoli di coperturada questa stabiliti: SAT (Sviluppo Alta Tuscia), DOCUP, ecc. Nel frattempo, tramite finanziamenti provinciali,abbiamo avviato interventi di recupero degli ambienti del piano terra, che in parte sono stati eseguiti e peraltra parte sono in corso di appalto. Si può ragionevolmente ritenere che entro il 2004 i lavori saranno comple-tati, consentendo la fruizione pubblica ad indirizzo culturale del bene architettonico. La Rocca di Cellere diven-ta quindi testimonianza di una possibile svolta culturale per la comunità intera. Le potenzialità racchiuse nellequalità formali e spaziali dell’edificio, infatti, rappresentano l’occasione per dotare il comune di quei servizi cul-turali essenziali per una vita civile, e costituire uno stimolo per i giovani al recupero delle proprie radici.E’ un processo che può far da traino anche per una svolta urbanistica. Fino a quando, infatti, l’edificio conti-nuerà a restare una presenza muta, priva di funzioni, tutto il contesto del centro storico risentirà della memo-ria negativa suggerita dal suo degrado. La riqualificazione e il riuso, invece, possono innescare meccanismi rige-nerativi e stimoli per il recupero dell’intero nucleo storico. In tale ambito appare doveroso informare il nostrolettore che il comune di Cellere ha vinto un progetto-concorso per il recupero, appunto, del centro storico, sullabase di una proposta elaborata dallo Studio dell’architetto Carla Pasqualini, il cui obiettivo è quello di collegareil centro abitato alla chiesa di S. Egidio (in fase di completamento del restauro), attraverso un percorso chearrivi fino alla piazza Castelfidardo, dove appunto si affaccia la Rocca. Tale intervento, del valore di circa600.000 euro, riguarderà l’adeguamento di una parte del percorso stradale, il restauro della torre dell’orologio eforse anche la pavimentazione della piazza stessa.Nella prospettiva di sviluppo turistico e culturale dell’intero territorio dell’Alta Tuscia, Cellere potrà offrire così,fra le risorse più significative, un centro storico recuperato alle sue piene funzioni urbane ed al suo valore arti-stico e culturale, come premessa per il recupero integrale della sua memoria.

Il vittoI ragazzi ospiti del seminario dovevanomangiare con civiltà e creanza ed a questoproposito il rettore aveva l’incarico di andargirando pel Refettorio [...] per meglio osservarli.I posti del refettorio erano assegnati; aglistudenti più piccoli erano riservati quelli alcentro della stanza. Durante i pasti, a turno,uno studente leggeva ad alta voce, e nonstentatamente, testi di carattere spirituale;chi leggeva male, oltre ad essere correttopubblicamente, poteva essere punito. Ilrefettoriere, responsabile della pulizia delrefettorio, tra i vari incarichi aveva quellodi nettare settimanalmente col polverino botti-glie, bicchieri e posate; di collocare una botti-glia grande d’acqua ogni due piccole divino; di controllare che venisse usato unpiccolo piatto, o tondino, per la frutta etutt’altro. Il vino era una bevanda semprepresente durante i pasti e la sua assenzaaveva il significato di penitenza o di puni-zione. Nessuno poteva spiegare la salviettané, tantomeno, cominciare a mangiareprima che l’avesse fatto il rettore. Al difuori dei pasti previsti, era proibito mangia-re o bere alcunché.A salvaguardia della qualità del cibo, aicuochi non era permesso cuocere la mattinale pietanze della sera, pietanze che, inoltre,dovevano essere ben condite e variate ognigiorno. Il brodo - di cui i cuochi erano parti-colarmente responsabili e che doveva esse-re conservato in un vaso di creta ben chiusoe, in tempo d’estate, riposto in cantina -poteva essere somministrato ai malati solosu ordine del medico. Con il brodo venivaabitualmente preparata una zuppa seraledestinata ai superiori, disponibile anche peri ragazzi che l’avessero scelta in alternativaall’insalata.

Ai cuochi - oltre ad essere richiesta la massi-ma pulizia in cucina con l’obbligo di lavare ivasi della medesima [...] con tutti i piatti ognigiorno, e spesso purgandoli collalessiva, la quale verrà fatta unavolta la settimana - era proibitoappropriarsi degli avanzi, alloscopo di evitare facili frodi: Eperché i giovani abbiano le giusteporzioni di quanto passa loro ilSeminario [...] resta severamenteproibito al 1° cuoco di appropriarsiqualsiasi cosa sotto pretesto d’in-certi.

La disciplinaAi tempi in cui venne eretto ilseminario, l’educazione dei col-legi e delle scuole religiose offri-va, pur con tutti i suoi limiti,una indiscutibile serietà e solidità, distin-guendosi da quella privata, generalmentescadente. Ciò che accomunava le due istitu-zioni, però, era lo spietato rigore del metodoeducativo. Frusta e bastone erano gli stru-menti normali coi quali si imponeva all’al-lievo la disciplina dello studio.Il Barbarigo, pur conformandosi agli intran-sigenti criteri didattici dell’epoca, in diverseoccasioni sottolineò la necessità di mitigarnela rigidità con prudenti suggerimenti rivoltiai superiori: “Si esiga da ciascheduno l’esattadisciplina, e modestia nella chiesa, e nel Choroparticolarmente come la prego; e non allentareper niente, anzi tener forte le redine in mano,perché le cose a dovere camminino, e tutti stianoin timore, et osservanza [...] si tenghino in timo-re, e tremore codesti giovani studenti col mezzodelle penitenze, cosa onnimamente necessaria,

per esigere da medesimi il dovere, e percorregere de gl’errori, che non devonopassare impuniti [...] Io lodo sopramodo,

che quando giovi, e si possa reggere la gioventùalmeno più adulta con la ragione, non s’adoperigiamai la forza; et è gran prudenza di fare inquesto modo; perché all’incontro farebbesi peg-gior il male”.

E così i professori dove-vano richiamare aldovere i delinquentipiuttosto coll’amore ecoll’onor del premiopiuttosto che coll’a-sprezza e col timor delcastigo; e quando sifosse resa necessariauna punizione sarebbedovuta consistere nel-l’aumento delle fatichescolastiche. La sferzadoveva essere l’ultimo eraro castigo. Anche ilrettore doveva usare nelriprendere o castigare

coloro che mancavano la severità contempe-rata con paterno amore mostrando ai giova-ni la ragione del castigo.Le ragioni del castigo potevano essere, tral’altro, molteplici. Tra i tanti divieti vierano quelli relativi al fumo e all’uso disoprannomi; era proibito il possesso dilibri, di denaro, di coltelli, di temperiniappuntiti e, comunque, di armi di qualun-que tipo. I ragazzi non potevano dare confi-denza ai servitori, né scendere in intimitàfisica con i compagni: “Né per giuoco, oburla, o scherzo in qualsiasi modo, né sottoqualsivoglia pretesto, ardirà l’uno toccar l’al-tro”. Ogni quindici giorni i ragazzi poteva-no ricevere una visita dei parenti, pur rima-nendo severamente vietato far entrare nel-l’interno del Seminario le donne, anche semadri degli alunni.

Frammenti di alcuni piatti commissionati dalBarbarigo per il seminario. Sulle tese compare, inbruno manganese, la sigla S.D.M.F., (SeminariumDiocesanum Montis Falisci).

LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIODI MONTEFIASCONE (XVIII-XIX sec.)

Dai centri vicini

PIANSANO

di GiancarloBreccola

(dai numeri precedenti)

Era pomeriggio inoltrato quello del 5 giugno 1563, quandoNicola Pellegrini, col suo passo distratto di ragazzo, stavaritornando a casa dai “prati renari” verso il lago dove erastato fino allora. Al braccio portava un canestrello pieno dierbe buone per l’acquacotta che la madre avrebbe preparatoper la cena. Il suo sguardo ed i suoi pensieri vagavano per lapiana nel silenzio interrotto solo dai versi degli uccelli e dalmormorio dell’acqua del fiume della vena, diviso in quel trattoin mille canali di irrigazione dei campi.Ormai mancava meno di un miglio al paese e Nicola stavaattraversando un posto che tutti chiamavano col nome diS.Giovanni. Da sempre la voce popolare indicava questa con-

diSilvio

Verrucci

San Lorenzo Nuovo

GUAI A LORO!

Chiesa di S. Giovanni in Val di Lago

Dai centri vicini luglio 2003LoggettaLla

tamente al vecchio molino ad acqua (il cui progettodi recupero è in fase di finanziamento), rappresen-tano elementi sufficienti per far rivivere il vecchiocentro storico attraverso la sua riqualificazione confinalità turistiche, storiche, ambientali. E’ con taleproposito che l’amministrazione comunale presentòuna articolata proposta tecnico-economica, elabo-rata dall’arch. Carla Pasqualini, in risposta ad unprogetto concorso bandito dalla Regione Laziofinalizzato alla rivitalizzazione dei centri storiciminori, con particolare riferimento ai parametridella qualità della vita. L’obiettivo della proposta di valorizzazione delborgo è quello di mettere in evidenza gli elementipresenti di rilevanza storico-architettonica, di viabi-lità interna, di miglioramento dell’arredo urbanoecc., con l’individuazione di percorsi attrezzati, evi-denziati da adeguata pavimentazione, illuminazio-ne, sistemazione a verde, punti informativi che

Tra le iniziative assuntedal comune di Cellerenell’ambito delle atti-vità di recupero e valo-rizzazione del propriopatrimonio storico-architettonico, vi èquello certamente prio-r itario del l ’anticoborgo che attraversola torre dell’orologio siconfigura tutto intornoalla piazza Castelfidardo.Cellere, come è noto, è un paese la cui orografia ècaratterizzata dalla rupe tufacea su cui sorge epresso il cui più antico insediamento abitativo lavita si svolgeva un tempo in ogni sua esigenza: resi-denziale, commerciale, produttiva, ecc. Con lo svi-luppo avvenuto in tempi recenti del nuovo centro

urbano e lospostamentodel la chiesaparrocch ia lenel la partenuova delpaese, il borgoantico ha per-so definit iva-mente i l suopeso nella vitasociale. Tut-

tavia, la presenza di un gioiello d’arte come la chie-sa di S.Egidio, di Antonio da Sangallo il Giovane(attualmente in fase di ultimazione del restauro), laRocca Farnesiana (in corso do appalto per il primostralcio dei lavori di recupero), l’habitat naturaledel costituendo Parco del Timone, che comprendeal suo interno il borgo medioevale di Pianiano, uni-

Cellere Il recupero e la valorizzazione del centro storico. Un progetto di interesse artistico, ambientale ed economico

di Paolo De Rocchi

Era vacanza ogni giorno difesta ed ogni giovedì; se però

fosse stato festivo un martedì, unmercoledì, o un venerdì, la vacanza del gio-vedì sarebbe stata soppressa. Nei giorni diriposo era possibile dilettarsi al gioco dellapalla, o “pila minori”, senza comunque“oltrepassare la misura”; a lanciare un globodi legno attraverso un cerchio di ferro; algioco detto dell’ossi, “pyramidulis pila iacen-dis”; al “trucco maggiore detto volgarmente diterra”. Si potevano poi eseguire esercizi gin-nici e comunque “alio eiusmodi non indecoroexercitationis”. Erano invece proibiti tutti igiochi di carte e quelli indicati nel Sinodocome giochi proibiti.Le vacanze di Natale iniziavano dal 24dicembre e terminavano il primo giornodell’anno; quelle di carnevale andavano dalgiovedì precedente la domenica di quin-quagesima al mercoledì delle ceneri; quelledi Pasqua dal venerdì santo al martedìdopo Pasqua; le vacanze annuali, che nonerano estive ma autunnali, dal 9 settembreal 3 novembre. Mediamente, nel corso del-l’anno, ad ogni giorno di scuola ne corri-spondeva uno di riposo. In realtà questatregua era solo apparente poiché, durante igiorni di vacanza, “non s’intende che si debbacessare dallo studio nelle ore stabilite [ma] dopol’officiatura in Chiesa, tutto il rimanente tempodella mattina s’impieghi nello studio...”. Anchele ferie autunnali, presso la famiglia, nonerano propriamente rilassanti: non era leci-to, ai chierici, uscire senza abito talare esenza tonsura; non potevano parlare conragazze, donne o giovani scapestrati; nonavevano il permesso di fare giochi proibiti,né andare in locali pubblici e luoghi profa-ni. Una nota particolare meritano le rappresen-tazioni teatrali che, al tempo del Barbarigo,si tenevano in tutti i collegi e seminari diRoma in occasione del carnevale. IlBarbarigo, pur non amando molto questotipo di diversivo, si uniformò, per alcunianni, alla volontà del pontefice, concedendoai seminaristi di mettere in scena dei piccolispettacoli:“Quando la rappresentazione morale

da farsi il prossimo Carnevale habbia da servireper sollievo de giovani, senza pregiudizio dellospirito, et della buona disciplina, non possodesiderar di vantaggio, e se i giovani medesimiosserveranno la modestia dovuta; potranno starsicuri di ritrovarmi sempre disposto, e propensoa procurar loro sempre nuovi modi per ricrearel’animo nel Signore; ma altrimenti facendo nonpiù rappresentazioni, nè dispotitione in me cer-care il sollievo che per altro conosco utile, enecessario alla studiosa gioventù...”. Ma appe-na Clemente XI proibì simili rappresenta-zioni, il Barbarigo immediatamente si ade-guò alle nuove disposizioni: “...non convienenemmeno pensare al Seminario diMontefiascone a simile ricreatione; ma a qual-che altro sollievo lecito, che possa prendersi contutta modestia da giovani convittori...”.

“Cose necessarie”Questa essenziale digressione sui variaspetti della vita quotidiana nel seminariomi sembra trovi adeguato completamentonella puntigliosa, ma eloquente lista delle“Cose necessarie” alla vita del seminarista.COSE NECESSARIE. Da provedersi per li Chierici,

che sono, o devono entrare nel Seminario diMontefiascone, secondo le Regole, e Costituzionidel medesimo, per ordine di Sua Eminenza.Un letto consistente in tre cavalletti di ferro contavole segate a traverso per metà, in modo cheunite riesca di palmi nove di lunghezza, e palmicinque di larghezza, due Matarazzi, due Copertedi lana, una Copertina di saja verde, all’uso delSeminario, un Capezzale, ed un Guancialetto.Una scanzia con chi ve sotto, e sopra, la qualeserve per Armario, e per Tavolino da scrivere. UnaSedia per uso di Stanza. Una Lucerna d’Ottone.Biancherie, cioè Salviette, Tovaglie, e Sciucatoriper uso di Tavola. Oglio per lo Studio.Il Seminario soministrarà tutte le sudette robbe alGiovine, che per una sol volta nell’ingressopagherà scudi quindici.Una Posata per uso di Tavola. Libri necessari perle Scuole, alle quali sono destinati. Il Breviario,Diurno, la Corona, ed Uffizio della Beata Vergine.Un Quadretto di Divozione, ed il vaso per l’AcquaBenedetta. Una Cotta, le Regole del Seminario. UnLibro Spirituale, quale sarà l’introduzione allaVita di vota di S. Francesco di Sales, o altro simile.Due vesti talari lunghe fino al collo del piede, cioèSottana, e Soprana, o di Stametto, o Sarzetta, dicolor pavonazzo, ambedue alla forma delSeminario. Tutti li Abiti sotto le vesti siano dicolor nero, e non fatti ad opera, ne con soverchiornamenti, ma umili, e modesti: così ancora le cal-zette, che non dovranno essere, se non di colornero. Abbiano almeno sei Camicie, e altrettantiFazzoletti, e dieci Collari, e due para di Lenzoli peril Letto, e una veste di saja lunga nera, per portareper casa. Una Berretta da Prete, le Scarpe, e ilCappello di forma modesta, senza verun ornamen-to.Pagheranno anticipatamente ogni sei mesi la loroDozzina al Economo del Seminario, che saranoscudi venti ogni sei mesi. E per offerta alla Chiesanell’ingresso del Chierico per una sol volta libre seidi Cera.IN MONTEFIASCONE, nella Stamparia del Seminario1754.

LA VITA QUOTIDIANA NEL SEMINARIODI MONTEFIASCONE (XVIII-XIX sec.)

Prima pagina dell’edizione originale delle Regole stabilite dalcardinale Barbarigo, pubblicate in appendice ai decreti delSinodo diocesano del 1692.

di GiancarloBreccola

(ultima parte)

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