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LA VITA: CELESTE ARMONIA INCARNATA. L’arte incontra l’Energia nell’impero dell’estatica Estetica. Atti del Seminario Scuola di Medicina Naturale SOWEN – Milano 27 Marzo 2015 Alberto Lomuscio Ars pulchritudo non est, est-ethica: L’arte non è bellezza, è (est) etica. L’Arte ci restituisce l’incantato stupore della vera essenza della realtà INTRODUZIONE Studi umani diversi trattano con materie e con movimenti diversi. Per esempio, la geologia tratta con le materie delle pietre, dei metalli, dei pigmenti. La psicologia tratta con il movimento del pensiero, dell’emozione e dell’istinto. Si può dire che l’arte tratti con le materie studiate dalla geologia sottoposte ai movimenti studiati dalla psicologia. La fisica tratta con il movimento generale della luce, del suono e del calore. Ma anche la religione e l’astronomia trattano, da punti di vista diversi, con il primo, la musica e l’acustica con il secondo, la dietetica e la meteorologia con il terzo. Studi umani diversi incontrano così, costantemente, gli stessi fenomeni, ma poiché li avvicinano da angoli diversi, danno loro nomi completamente diversi. Il risultato è che un uomo ben educato, che ha imparato per le cose diverse serie di nomi forniti dalla religione, dalla scienza, dall’arte, dalla poesia, dalla moda, dalla politica, si trova in un mondo così complicato che egli perde costantemente la sua strada in esso. Poiché ogni cosa che egli incontra ha almeno una mezza dozzina di diverse etichette, che dipendono dal fatto che lui guardi la cosa come un devoto, come uno scienziato, un artista, un poeta, un uomo di mondo, un politico. Possiamo veramente immaginare tutte queste materie e movimenti sistemati su una stessa scala? Possiamo veramente immaginare tutte le materie e i movimenti sistemati non secondo il particolare punto di vista umano, con il quale noi li avviciniamo in ogni dato momento, ma secondo la loro energia innata, la loro densità obbiettiva, per così dire? Possiamo veramente immaginare una moderna scala di Giacobbe, posata sulla terra e la cui cima raggiunge il cielo, che sia riconoscibile nelle condizioni della vita ordinaria?” Proviamo a tuffarci nella numerologia e vediamo se grazie alla scala dell’Estetica possiamo raggiungere il Cielo della comprensione… Il mio intendimento è far passare il messaggio secondo il quale tutto ciò che esiste è basato su una comune caratteristica fondamentale: la vibrazione. Questo è un concetto ampiamente confermato dalla fisica quantistica moderna, per la quale tutto è in perenne movimento ondulatorio. Orbene, questa vibrazione di fatto è un'onda, un'oscillazione con un massimo e un minimo, e si configura come la classica onda elettromagnetica che tutti noi conosciamo. Nella sua concretizzazione pratica, può diventare un'onda sonora, una vibrazione di fotoni (luce), una increspatura della superficie del lago, e così via. La base di tutto, originariamente, è stata però l'onda sonora, la vibrazione originaria dalla quale è scaturito l'universo con il Big Bang. La vibrazione presenta una caratteristica fondamentale, ossia l'aspetto armonico che segue leggi matematiche fisse e immutabili in tutto l'universo. In altre parole, è basata su un'equazione matematica, o comunque su una realtà numerologico-matematica che le conferisce stabilità, eleganza e capacità di creare la vita vibrando in una determinata maniera e combinandosi con altre onde che lavorano in sintonia con lei. Un grande conoscitore dei segreti di queste onde creative è stato Fibonacci, che ha stabilito la relazione che esiste tra la numerologia dell'onda formatrice di vita e il modello geometrico-

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LA VITA: CELESTE ARMONIA INCARNATA. L’arte incontra l’Energia nell’impero dell’estatica Estetica.

Atti del Seminario

Scuola di Medicina Naturale SOWEN – Milano 27 Marzo 2015

Alberto Lomuscio

Ars pulchritudo non est, est-ethica: L’arte non è bellezza, è (est) etica.

L’Arte ci restituisce l’incantato stupore della vera essenza della realtà

INTRODUZIONE

Studi umani diversi trattano con materie e con movimenti diversi. Per esempio, la geologia tratta con le materie delle pietre, dei metalli, dei pigmenti. La psicologia tratta con il movimento del pensiero, dell’emozione e dell’istinto. Si può dire che l’arte tratti con le materie studiate dalla geologia sottoposte ai movimenti studiati dalla psicologia. La fisica tratta con il movimento generale della luce, del suono e del calore. Ma anche la religione e l’astronomia trattano, da punti di vista diversi, con il primo, la musica e l’acustica con il secondo, la dietetica e la meteorologia con il terzo. Studi umani diversi incontrano così, costantemente, gli stessi fenomeni, ma poiché li avvicinano da angoli diversi, danno loro nomi completamente diversi. Il risultato è che un uomo ben educato, che ha imparato per le cose diverse serie di nomi forniti dalla religione, dalla scienza, dall’arte, dalla poesia, dalla moda, dalla politica, si trova in un mondo così complicato che egli perde costantemente la sua strada in esso. Poiché ogni cosa che egli incontra ha almeno una mezza dozzina di diverse etichette, che dipendono dal fatto che lui guardi la cosa come un devoto, come uno scienziato, un artista, un poeta, un uomo di mondo, un politico. Possiamo veramente immaginare tutte queste materie e movimenti sistemati su una stessa scala? Possiamo veramente immaginare tutte le materie e i movimenti sistemati non secondo il particolare punto di vista umano, con il quale noi li avviciniamo in ogni dato momento, ma secondo la loro energia innata, la loro densità obbiettiva, per così dire? Possiamo veramente immaginare una moderna scala di Giacobbe, posata sulla terra e la cui cima raggiunge il cielo, che sia riconoscibile nelle condizioni della vita ordinaria?” Proviamo a tuffarci nella numerologia e vediamo se grazie alla scala dell’Estetica possiamo raggiungere il Cielo della comprensione… Il mio intendimento è far passare il messaggio secondo il quale tutto ciò che esiste è basato su una comune caratteristica fondamentale: la vibrazione. Questo è un concetto ampiamente confermato dalla fisica quantistica moderna, per la quale tutto è in perenne movimento ondulatorio. Orbene, questa vibrazione di fatto è un'onda, un'oscillazione con un massimo e un minimo, e si configura come la classica onda elettromagnetica che tutti noi conosciamo. Nella sua concretizzazione pratica, può diventare un'onda sonora, una vibrazione di fotoni (luce), una increspatura della superficie del lago, e così via. La base di tutto, originariamente, è stata però l'onda sonora, la vibrazione originaria dalla quale è scaturito l'universo con il Big Bang. La vibrazione presenta una caratteristica fondamentale, ossia l'aspetto armonico che segue leggi matematiche fisse e immutabili in tutto l'universo. In altre parole, è basata su un'equazione matematica, o comunque su una realtà numerologico-matematica che le conferisce stabilità, eleganza e capacità di creare la vita vibrando in una determinata maniera e combinandosi con altre onde che lavorano in sintonia con lei. Un grande conoscitore dei segreti di queste onde creative è stato Fibonacci, che ha stabilito la relazione che esiste tra la numerologia dell'onda formatrice di vita e il modello geometrico-

matematico che realizza la perfetta proporzione tra le varie parti di un tutto (che sia un corpo, un monumento o un dipinto, etc) secondo una legge estetica che rende ragione della gradevolezza con cui noi guardiamo ciò che funziona secondo natura, e che QUINDI, di conseguenza, è anche BELLO. E se ciò che funziona secondo Natura è anche necessariamente Bello, risponde a leggi di Etica universale. Il piacere che ci deriva dall'essere al cospetto di ciò che è bello, pertanto, non dipende dalla moda del momento o dalle tendenze stilistiche di una determinata epoca o zona del mondo, ma da una intrinseca sintonia con la struttura naturale dell'universo, secondo leggi che sono nascoste dietro (o dentro) tutto ciò che esiste. Inseguire il piacere vuol dire inseguire il Bello ideale, e viverci dentro, e riprodurlo in noi, anche nel senso di salute: allontanarsi dal Bello vuol dire cadere nella malattia, che è Bruttezza in quanto è disarmonia, in quanto è assenza di sintonia con il fluire del corso naturale dell'energia universale (o Tao). Ora, se noi consideriamo le arti, troviamo che in esse c'è tutta questa energia, che però può assumere tonalità differenti a seconda dell'impatto che ha con la nostra sensibilità emotiva, con la nostra psiche, con la nostra capacità percettiva, pur mantenendo le sue caratteristiche oggettive di Bellezza: in altre parole, è la nostra soggettività che canalizza la Bellezza esterna dell'opera (o di ciò che viene in contato con noi) nella sfera dell'allegria, o in quella della malinconia, o in quella dell'impeto passionale, e così via. E questo dipende da nostre caratteristiche interne dettate dal nostro carattere, dai nostri gusti, dalle esperienze fatte che ci fanno vivere come paurosa un'onda del mare piuttosto che piacevole o indifferente (se amiamo la montagna...). Ma la tonalità allegra, triste, pensosa o altro, può dipendere anche dal momento in cui noi ci troviamo (oggi la Gioconda mi crea allegria perchè son sereno, domani quell'enigmatico sorriso mi creerà preoccupazione perchè ho pensieri cupi per la testa, e così via). E lo stesso fa la musica: pur mantenendo la sua Bellezza intrinseca, ci darà l'allegria di un DO maggiore o la triste malinconica pensosità di un LA minore: probabilmente l'allegria dipende dal fatto che la base dell'accordo è un intervallo di quinta, che secondo Pitagora e altri rappresentava la base della musica delle sfere, ossia l'armonia serena e solida dell'universo, mentre un LA minore, ad esempio, si basa su un accordo che tende a "cadere", ad "appoggiarsi" su qualcosa di più solido, e quindi esprime l'instabilità, quella stessa instabilità della vita che ci ricorda quanto siamo mortali e transeunti. E lo stesso vale per la scultura, l'architettura, la poesia, la prosa, e così via. Per l'architettura, alcuni spunti potrebbero essere: la musica o l'armonia nei monumenti, la radice dell'estetica nelle costruzioni, l'architettura di autori non umani (pensiamo al nido degli uccelli, alle dighe dei castori, ai termitai, vere e proprie opere d'arte della natura). In ogni epoca gli uomini hanno cercato di riunire tutta la conoscenza e l'esperienza dei loro giorni in un solo insieme che potesse spiegare il loro rapporto con l'universo e le loro possibilità in esso. Nel modo ordinario essi non ci sarebbero mai potuti riuscire, perchè l'unita delle cose non è comprensibile per la mente ordinaria, in uno stato ordinario di consapevolezza. La mente ordinaria, divisa dagli innumerevoli e contraddittori stimoli dei diversi lati della natura umana, riflette il mondo come molteplice e confuso, cosi come è l'uomo stesso. Una unità, un disegno, un significato che comprenda tutto, se esiste, può essere sperimentato solo da un diverso tipo di mente, in un diverso stato di consapevolezza. Potrebbe essere realizzato solo da una mente che fosse diventata essa stessa unita. Quale unità, per esempio, potrebbe essere percepita dal fisico, filosofo o teologo più brillante mentre, seduto su uno sgabello, vaga con la mente assente, si arrabbia se gli viene dato meno resto in denaro, non si accorge quanto si irrita sua moglie, ed in genere rimane sottoposto alle normali cecità giornaliere della mente ordinaria che funziona con la sua consueta assenza di consapevolezza? Qualunque unità egli raggiunga in tale stato, può esistere solo nella sua immaginazione. Per questo motivo il tentativo di riunire tutta la conoscenza in un intero è sempre collegato con la ricerca di un nuovo stato di consapevolezza. Ed è senza significato ed inutile se e separato da tale ricerca. Forse si può perfino dire che i pochi tentativi riusciti che sono giunti fino a noi sembrano essere solo dei sotto-prodotti di una tale ricerca, quando questa è stata coronata da successo. I soli

convincenti "modelli dell'universo" che esistono sono quelli lasciati da uomini che evidentemente ottennero un rapporto con il mondo ed una consapevolezza di esso completamente diversi da quelli appartenenti all’esperienza ordinaria. Infatti questi veri "modelli dell'universo" devono mostrare non soltanto la forma e la struttura interne di questo universo, ma devono anche rivelare il rapporto dell'uomo con esso, ed i suoi presenti e possibili destini in esso. In questo senso alcune cattedrali gotiche sono dei completi modelli dell'universo, mentre non lo è un moderno planetario, nonostante la sua bellezza ed accuratezza. Perche quest'ultimo modello dimentica completamente l'uomo. La differenza naturalmente sta nel fatto che le cattedrali, direttamente o indirettamente, furono disegnate da uomini che appartenevano a scuole fatte per raggiungere stati superiori di consapevolezza, ed avevano il vantaggio dell'esperienza ottenuta in tali scuole; mentre i disegnatori del planetario sono scienziati e tecnici abbastanza intelligenti e qualificati nel loro campo, ma senza alcuna particolare conoscenza delle potenzialità della macchina umana con la quale devono lavorare. Infatti, se siamo in possesso di alcune chiavi per la loro interpretazione, la cosa più sbalorditiva di questi antichi "modelli dell'universo" sorti in epoche, continenti e culture completamente separate fra loro, è proprio la loro somiglianza. Perciò possiamo dire che una consapevolezza superiore rivela sempre la stessa verità, solo effettuando uno studio comparativo di alcuni "modelli dell'universo" esistenti, e che sembra derivino appunto da questa diversa consapevolezza - come per esempio, la Cattedrale di Chartres, la Grande Sfinge, il Nuovo Testamento, la Divina Commedia, certi diagrammi cosmici lasciati da alchimisti del XVII secolo, i disegni delle carte dei Tarocchi, e i dipinti di alcune icone russe e di bandiere tibetane. Naturalmente una delle difficoltà principali per questo studio comparativo sta nel fatto che tutti questi modelli sono espressi in linguaggi diversi, e che per la mente ordinaria, non preparata, un linguaggio diverso significa una verità diversa. Infatti questa e un'illusione caratteristica dello stadio ordinario dell'uomo. Al contrario, anche un piccolo miglioramento nella sua percezione rivela che lo stesso linguaggio, la stessa formulazione, può interessare comprensioni diametralmente opposte, mentre i linguaggi e le formulazioni che a prima vista non hanno niente in comune, in effetti si possono riferire alla stessa cosa. Per esempio, mentre le parole "onore", "amore", "democrazia", vengono universalmente usate, e quasi impossibile trovare due persone che danno loro lo stesso significato. Questo vuol dire che gli usi di una stessa parola (ma anche di una stessa immagine) possono essere completamente diversi. D'altra parte, per quanto possa sembrare strano, la Cattedrale di Chartres, un mazzo di carte dei Tarocchi, ed alcuni bronzi di divinità tibetane dalle molte braccia e dalle molte teste, in effetti sono formulazioni delle stesse identiche idee, cioè essi sono direttamente paragonabili. A questo punto diventa perciò necessario considerare la questione del linguaggio in rapporto alla costruzione di un modello dell'universo, ad un abbozzo di disegno dell'unita. Fondamentalmente il linguaggio, o forma di espressione, è differente a seconda che si rivolga all'una o all'altra funzione, sia normale che potenziale dell’uomo. Per esempio una certa idea può essere espressa in un linguaggio filosofico o scientifico, per rivolgersi alla funzione intellettuale dell'uomo; oppure può essere espressa in un linguaggio religioso o poetico, e rivolgersi alla funzione emozionale; può essere espressa nel rituale e nelle danze, e rivolgersi cosi alla sua funzione motoria; può perfino essere espressa nei profumi e nelle posizioni fisiche, allo scopo di rivolgersi alla sua filosofia istintiva. Naturalmente i più completi "modelli dell'universo", creati dalle scuole nel passato, cercavano di combinare in molti linguaggi le formulazioni di ciò che desideravano esprimere, cosi da rivolgersi a molte o a tutte le funzioni contemporaneamente, e cosi bilanciare parzialmente la contraddizione tra i diversi lati della natura dell'uomo, di cui abbiamo appena parlato. Nella cattedrale, per esempio, i linguaggi della poesia, della posizione, del rituale, della musica, del profumo, dell'arte e dell'architettura, erano combinati con successo; e sembra che qualcosa di simile sia stato fatto nelle rappresentazioni drammatiche dei Misteri Eleusini. Inoltre, in alcuni casi, per esempio nella grande Piramide, il linguaggio dell'architettura sembra sia stato usato non solo per il simbolismo della sua

forma, ma anche per creare, in una persona che cammina in un certo modo vicino alla costruzione, una ben precisa serie di impressioni e di shock emozionali, che avessero in loro stessi un significato ben preciso, e che era stato calcolato per rivelare la vera natura della persona loro esposta. Tutto ciò si riferisce all'uso oggettivo del linguaggio, cioè all'uso di un determinato linguaggio per comunicare un'idea precisa, con precedente conoscenza dell'effetto che sarebbe stato creato, della funzione che sarebbe stata interessata, e del tipo di persona che avrebbe risposto. Noi dobbiamo ammettere che un tale uso oggettivo del linguaggio non è ordinariamente conosciuto - eccetto forse in una forma elementare di pubblicità - e che il suo uso superiore può derivare soltanto, direttamente o indirettamente, dalla conoscenza ottenuta in stati superiori di consapevolezza. Oltre a questi linguaggi riconoscibili dall'uomo per mezzo delle sue funzioni ordinarie, ci sono altre forme di linguaggio che nascono e si rivolgono a funzioni super-normali, cioè a funzioni che possono essere sviluppate nell'uomo, ma che egli ordinariamente non usa. Per esempio, c'e il linguaggio della funzione emozionale superiore, dove una formulazione ha il potere di comprendere un enorme numero di significati, sia contemporaneamente che in successione. Alcune tra le più belle poesie, che sebbene contengano sempre qualcosa di fresco, non possono mai essere capite completamente, possono appartenere a questa categoria. E’ evidente che i Vangeli sono stati scritti in tale linguaggio, e per questa ragione ogni loro verso può comunicare a cento uomini cento significati diversi ma mai contraddittori. Per non parlare dell’ I-King! Nel linguaggio della funzione emozionale superiore ed in particolare della funzione intellettuale superiore, i simboli hanno una parte molto importante. Poichè i simboli sono basati sulla comprensione di vere analogie tra un cosmo più grande ed uno più piccolo, cosi una forma, o una funzione, o una legge in un cosmo, può essere usata per capire le corrispondenti forme, funzioni e leggi in altri cosmi. Questa comprensione appartiene esclusivamente alle funzioni superiori o potenziali dell'uomo, e deve sempre produrre un senso di confusione e perfino di frustrazione, quando viene avvicinata con le funzioni ordinarie, come quella del pensiero logico. I gradi superiori del linguaggio emozionale non hanno bisogno di nessuna espressione esterna, e perciò non possono essere capiti male. Se invece ci si esprime in un linguaggio scientifico, e perciò diretto soprattutto alla funzione intellettuale, ed alle persone nelle quali prevale questa funzione, sarà possibile essere fraintesi. Certamente è ben chiaro che questo linguaggio logico-razionale è il più lento, il più noioso, ed in qualche modo il più difficile da seguire fra tutti i linguaggi. Il linguaggio della buona poesia, dei miti o delle favole, per esempio, sarebbe molto più penetrante e potrebbe portare le idee nella comprensione emozionale del lettore con maggior forza e velocità. La civiltà da cui deriva la nostra cultura occidentale è certamente quella greca. Prima di questa, l’Europa era un Eden pieno di foreste, abitato da tribù sparpagliate, che vivevano sotto usanze tribali. Non esistevano città, nè letteratura, nè scienza o religione generale. Le civiltà primitive - in Egitto, Mesopotamia, India e Cina - si erano sviluppate tra popoli di razze completamente diverse, e cosi non possono essere considerate come appartenenti a questa particolare linea di sviluppo. Noi non conosciamo l'identità di quegli uomini consci, i quali, verso l'inizio del sesto secolo prima di Cristo, concepirono la prima vera civiltà in Europa. C'e il semi-leggendario Solone, legislatore, poeta, riformatore, civilizzatore, il tradizionale "padre del suo popolo", ed il suo contemporaneo Talete di Mileto, oscura figura del primo scienziato, osservatore e dimostratore delle leggi della natura e dell'universo. Questi personaggi emergono solo a metà dell'invisibile "periodo d'incubazione" del quale abbiamo parlato. Forse essi non sono niente di più che figure-tipo. Infatti i veri fondatori devono aver portato un insieme di conoscenza intensamente concentrata, necessaria per un tale nuovo inizio, da qualche civiltà già altamente sviluppata - forse quella egizia - e sembra probabile che essi siano stati uomini appartenenti a quella razza straniera. Infatti Platone ci dice che Solone - suo antenato -, durante la sua visita a Sais verso il 590 a.C, aveva imparato dai preti egizi, e Clemente d'Alessandria aggiunge che Pitagora apprese la sua scienza dalla stessa sorgente. Nel Timaeus e detto chiaramente che la scuola di Sais rivelò deliberatamente

ai visitatori greci la conoscenza tenuta a lungo nascosta, perchè essi amavano molto gli Ateniesi, e disse che essi erano in qualche modo collegati con loro. Questo rapporto, parlando esotericamente, era come quello dei genitori verso la prole. Ma gli Egizi da chi avevano imparato? C’è chi ventila una loro provenienza dalla mitica Atlantide, ma ad oggi non abbiamo prove certe della sua esistenza. Però forse possiamo affermare una cosa: che Atlantide sia esistita o meno come continente vero e proprio non ha molta importanza. Quello che è certo è che è esistita, ed esiste tuttora, come LUOGO DELLO SPIRITO: Atlantide è DENTRO DI NOI. L’essere Atlantidei vuol dire solo avere il Cuore aperto per accogliere la comprensione globale, la Vera Sapienza unificante. D’altro canto, il fatto stesso che popoli lontanissimi dall’Europa abbiano raggiunto le stesse forme di Sapienza degli antichi Greci ed Egiziani conferma che è dentro lo spirito dell’uomo, e non su un fantomatico continente sommerso, che vive la Sapienza: gli Orientali infatti parlavano di Mu, o Lemuria, il loro continente sommerso equivalente di Atlantide. In ogni caso è durante la vita dei seguaci di Pitagora, che i contorni della nuova cultura diventano meravigliosamente chiari. In ottant'anni, sulle rive della Grecia e dell'Italia del Sud, dove prima c'era solo legno e pietra, sorsero i più bei templi mai costruiti dall'uomo. Per rendere possibili queste conquiste tecniche, Pitagora aveva già sviluppato le leggi interne dell'armonia, e studiato le loro manifestazioni per una nuova architettura e per una nuova musica. Anassimandro, un allievo di Talete, aveva inventato gli strumenti basilari per una nuova tecnologia: lo gnomone, l'orologio, la sfera astronomica. Scultori sconosciuti avevano risvegliato la statuaria egizia dalla sua vecchia immobilità, e creato la figura del Kouros, l'uomo a occhi aperti della nuova epoca. Pittori di vasi avevano portato in ogni casa una simbologia mitologica del rapporto fra uomini e dei, e la drammatica forma della tragedia, creata da Tespi, rivela l'eterno scontro tra l'ostinazione dell'uomo e le leggi superiori dell'universo, nei grandi festival drammatici in cui I'intera popolazione poteva in questo modo "essere purgata con la pietà ed il terrore".Tuttavia al di là di tutta questa diversità, noi percepiamo una sorgente informativa, qualche centro nascosto di vitalità, il quale è suggerito, ma mai svelato, dallo strano ruolo dei Misteri Eleusini. Facendo un balzo di oltre due millenni, verso il 1860, l'analogia di Clerk Maxwell tra le ottave di colore e di suono, tra il tono e la tinta, tra l'altezza e l'ombra, alla fine mise in rapporto diretto lo studio della luce del pittore, con la nuova conoscenza dell'elettricità e del magnetismo, e dimostrò la loro obbedienza alle stesse leggi che regolano infiniti altri fenomeni in precedenza considerati come non collegati. La luce come forza creativa e unificatrice dell'universo; l’ottava come modificazione della luce pura in forma e colore; il tempo, la ricorrenza e l'appagamento di tutte le possibilità, come i tre stadi dell'ascesi dell'uomo verso la natura della Vera Luce. Si rammenta che la luce può creare particelle subatomiche, e che il fotone, ossia il quantum di luce, tiene insieme protoni ed elettroni all’interno dell’atomo. In modo che se viene chiesto che cosa è caratteristico della nuova epoca, e come possa essere distinta dalla vecchia, ora possiamo rispondere: tutto quello che separa e divide appartiene al passato. Tutto quello che riconcilia e unisce appartiene al futuro. E la via verso l'unità sta nella fuga dal tempo.

L’ARTE VISTA ALLA LUCE DELLO ZEN SPIRITO E FORMA Il quesito fondamentale dello Zen è quello di vedere la realtà propria e altrui spogliata di qualsiasi sovrastruttura, nella propria nuda semplicità, che è il vero aspetto delle cose, scevro del velo dell’illusione (il velo di Maya), vedere le cose per quello che sono, senza il filtro discriminante della visione egotica, vedere la vera natura delle cose per quello che sono, così come sono: impermanenti, prive di un sé, ma nello stesso tempo partecipi, così come sono, della natura dell’illuminazione, espressione della realtà ultima. Questi concetti astratti della dottrina dello Zen, e fondamento del Buddhismo, sono presenti in forma concreta nelle varie forme artistiche che lo Zen ha ispirato. Ma è anche tutta la struttura della materia – che poi è sovrastruttura – che alla fine è priva di un sé, ma partecipa alla realtà ultima tramite l’onda di luce (il fotone tiene insieme le

particelle costitutive dell’atomo). Infatti la materia è priva di un sé in quanto, scomponendola fino alle particelle subatomiche che la compongono, alla fine non troviamo più materia, ma i quark, che sono onde vibratorie di energia non materiali. Ad esempio, le tazze di ceramica naku yaki e hagi yaki usate nella cosiddetta “cerimonia del tè” – una forma di artigianato che diventa raffinata arte – appaiono grezze, non finite, asimmetriche, irregolari, con una patina di vetustà ma proprio per questo esprimono la natura originale degli oggetti privi delle sovrastrutture estetiche: sono l’oggetto nel suo aspetto originario e archetipico, che in definitiva coincide con la loro natura originaria che è comunque natura-di-Buddha. L’arte dello Zen va alla ricerca della buddhità anche nelle cose e nei fenomeni naturali, oltre che dentro se stessi: ogni elemento o evento è tutta la natura-di-Buddha, è espressione di tutta l’illuminazione. Per questo l’arte dello Zen non vuole creare l’illusione della realtà, né imitarla, ma cerca di esprimerla nella sua forma essenziale, nella sua purezza intrinseca, quindi non imitando ma sublimando. Per fare questo, l’artista si sforza di togliere tutto quanto è superficiale per andare all’essenziale, in profondità. Sono le qualità intrinseche ed eterne che interessano l’artista zen, poiché esse sono il fondamento della realtà in ogni sua manifestazione concreta. Mentre l’artista occidentale si pone all’esterno della sua opera d’arte, osservandola da fuori, l’artista zen cerca di collocarsi all’interno, confondendosi con essa. Daisetsu Suzuki, grande studioso dello Zen, osserva che in generale l’arte orientale descrive lo spirito mentre quella occidentale la forma. Si sente spesso dichiarare da parte dei critici d’arte cinesi e giapponesi che l’arte orientale consiste nel dipingere lo spirito e non la forma. Infatti essi dicono che quando lo spirito è compreso, la forma si crea da se stessa; la cosa principale è di giungere allo spirito dell’oggetto che il pittore sceglie di dipingere. L’Occidente, d’altra parte, enfatizza la forma, e cerca di giungere allo spirito attraverso la forma. L’Oriente è proprio l’opposto: lo spirito è tutto. E pensa che quando l’artista fa suo lo spirito, la sua opera rivela qualcosa di più di quello che le linee e i colori possono trasmettere. Un vero artista è un creatore e non un copiatore. Egli ha visitato l’officina di Dio e ha imparato i segreti della creazione: creare qualcosa dal nulla. La pittura in bianco e nero a inchiostro di china ci ha lasciato immagini dove a prevalere è il vuoto che copre gran parte del dipinto; la cerimonia del tè ha sviluppato una ritualità strettamente semplice e povera ma armoniosa e affascinante; i giardini sono stati costruiti seguendo gli schemi della natura e non quelli dell’uomo; il teatro ha prodotto performance di essenzialità estrema ma profonda; la poesia ha ridotto la sua già breve dimensione (31 sillabe) a quella di 17 sillabe dell’haiku dando luogo a immagini poetiche rarefatte… Giocando con le parole, si può dire che Arte è Estetica, ossia: Art’ è-stetica… Ma poi si vedrà che Art-est-etica, l’Arte è l’etica del buon funzionamento armonico del Tutto, secondo un detto latino: Ars pulchritudo non est, est ethica (Trad.: L’arte non è bellezza, è – est – etica). WABI Tra gli ideali estetici che incarnavano queste caratteristiche vi è quello del wabi, che propone un ideale di bellezza imperfetta, semplice, rustica, da assaporare nella calma e nel silenzio. La concezione estetica del wabi si sviluppò in Giappone nei secoli XIV, XV e XVI, in tutte le arti del periodo: il “Nò”, il “cha no yu”, la pittura a inchiostro di china, l’arte dei giardini e la poesia. Wabi significa trasformare l’idea del suo significato letterale di “insufficienza, esser triste e solitario, mancanza, povertà, sofferenza, desolazione” in un ideale estetico in cui si passa dall’insoddisfazione per quanto manca o è insufficiente a una capacità di apprezzare ciò che è semplice, austero e povero, in quanto espressione di grande profondità e purezza. In altre parole, l‘ideale del wabi è quello di apprezzare la vera semplicità ed essenzialità considerando che queste qualità non ottundono i sensi e giungono nel profondo dell’animo umano. Ciò che non colpisce i sensi colpisce il cuore, e la sensibilità del cuore è molto più sottile e pregnante di quella dei sensi fisici. Si tratta di una concezione estetica di grande raffinatezza e spiritualità che nasce in ambito zen, dove i princìpi del wabi sono perseguiti nella pratica che porta all’acquietamento della mente.

Così i semplici gesti del maestro del tè, le tazze e gli utensili usati, così come la costruzione stessa dove la cerimonia si svolge, sono tutti improntati a grande semplicità e povertà (spesso, però, solo apparente). Wabi è la bellezza della povertà: non una povertà misera, sofferente, ma una povertà voluta, ricercata, oggetto di apprezzamento estetico e spirituale: rappresenta il distacco dalle cose, l’abbandono dell’attaccamento, supremo ostacolo sulla via dell’illuminazione. Un’altra caratteristica della bellezza del wabi è l’imperfezione e l’irregolarità. Ciò che è imperfetto è più attraente del perfetto, e questo si ricollega a un principio della filosofia taoista, ossia che la vita, l’estetica, il fluire energetico è basato sulla sfasatura, sull’asimmetria, sull’assenza di regolarità eccessiva (in natura non ci sono forme geometricamente perfette), e a sua volta questo principio si rifa a un principio fondamentale della fisica quantistica, ossia che l’opposizione e l’asimmetria consentono la vita stessa dell’universo: la quantità di materia e antimateria dopo il big bang erano sfasate, perché se fossero state identiche, si sarebbero annichilate senza poter dar luogo all’universo; inoltre le particelle che costituiscono il creato devono essere asimmetriche (i fotoni non hanno massa, i barioni sì), altrimenti la materia non potrebbe esistere, e così via a consultare testi di fisica quantistica… Una famosa frase giapponese afferma che “La bellezza sta nell’imperfetto”. Le tazze naku sono imperfette: non esattamente rotonde, a volte asimmetriche o anche sbilanciate, con evidenti segni di vetustà e di prolungato uso: sembrano uscire dalle mani di un ceramista distratto e frettoloso. Ciò che è perfetto è poco interessante, è noioso, anche banale, sa di industriale, non di artigianale. Infine, l’ultima caratteristica del wabi è quella di esprimere una bellezza tranquilla e austera, da assaporare nella calma. Per esempio, questo tipo di bellezza viene espressa nella seguente poesia di Fujiwara Yietaka (1158-1237): “Per coloro che solo aspettano di vedere la fioritura dei ciliegi, si mostri piuttosto l’erba che spunta tra la neve in primavera in un villaggio di montagna.” La modesta erba tra la neve suscita, agli occhi di chi la sa apprezzare, una sensazione di bellezza superiore agli splendidi ciliegi in fiore. Essi sono ancora oggi molto amati dai Giapponesi, i quali concordano però nell’affermare che la vera bellezza di quella pianta è comunque quando a fine fioritura cadono i fiori: allo stesso modo, la vista della luna notturna, costante tema poetico, è apprezzata non tanto nella notte serena quando brilla in forma perfettamente tonda, ma quando le nubi in parte la coprono. E’una bellezza non appariscente ma modesta, e spesso non considerata. Tutti possono apprezzare un albero in fiore ma pochi hanno la sensibilità di sentirsi attratti da ciò che cade sotto i loro occhi ogni giorno e a cui fanno poco caso. E’ a questa ricercata e quasi ossessiva semplicità, naturalità, essenzialità senza orpelli che viene dato il nome di wabi, o bellezza della povertà. I princìpi dello Zen (semplicità, essenzialità, naturalezza, spontaneità, intuizione, assenza di orpelli, desiderio di giungere alla profonda origine delle cose, assenza di ornamenti, severità, povertà dei materiali, rifiuto delle strutture logiche e razionali, semplice raffinatezza) ispirarono questa nuova fioritura artistica in tutti i campi in cui si espresse. ARTE E ZEN Quando la mente che dimora nella sua essenza, ed è quindi libera da sottigliezze intellettuali e attaccamenti moralistici di ogni sorta, contempla il mondo dei sensi in tutta la sua molteplicità, vi scopre pregi di qualsiasi genere, fino ad allora nascosti alla vista. Si apre così all’artista un mondo ricco di meraviglie e miracoli. Il mondo dell’artista è libera creazione, che può nascere solo da intuizioni che scaturiscono in maniera diretta e immediata dall’essenza delle cose, non condizionate dai sensi e dall’intelletto. L’artista crea forme e suoni da ciò che è privo di forma e di suono. Sotto questo aspetto il mondo dell’artista coincide con quello dello Zen. Ciò che invece distingue lo Zen dalle arti sta nel fatto che, mentre l’artista deve fare ricorso alla tela e al pennello o a strumenti meccanici o ad altri mezzi per esprimersi, lo Zen non ha alcun bisogno di supporti

esterni, a parte il “corpo” nel quale l’uomo-zen è incarnato. Ciò che fa lo Zen è delineare se stesso sulla tela infinita del tempo e dello spazio, nello stesso modo in cui l’oca selvatica in volo getta involontariamente la sua ombra sulle acque sottostanti, che a loro volta riflettono l’oca con altrettanta naturalezza e senza alcuna intenzionalità. L’uomo-zen è un artista nella misura in cui, come lo scultore estrae col suo scalpello una grande figura sepolta dentro una massa di materia inerte, trasforma la propria vita in un’opera creativa che esiste, come si direbbe nella cultura cristiana, nella mente di Dio. Lo stile dei pittori giapponesi segue la strada del “pennello frugale”, ossia cerca di usare il minor numero possibile di tratti o di pennellate per le loro composizioni, e questo è in perfetta sintonia con lo spirito Zen. Una semplice barca di pescatori in balia delle onde basta a risvegliare nella mente dell’osservatore il senso della vastità marina e al tempo stesso a comunicare pace e appagamento: il senso Zen della solitudine. Fluttuando sull’acqua,la barca sembra indifesa. E’ una struttura primitiva, priva di strumenti che possano darle stabilità o permetterle audaci manovre sulle onde tumultuose, senza tecnologie per fronteggiare le avversità atmosferiche, in totale contrasto con i moderni transatlantici. Ma la sua virtù sta proprio nella sua vulnerabilità, grazie alla quale ci è possibile percepire l’incomprensibilità dell’assoluto che circonda la barca e il mondo intero. Lo spirito del misticismo Zen è ben descritto da Georges Duthuit: “Quando l’artista cinese dipinge, è essenziale la concentrazione mentale e l’immediata e vigorosa risposta della mano alla volontà che la guida. La tradizione gli impone di vedere, o meglio di percepire, nel suo insieme l’opera da eseguire, prima di intraprendere alcunché: se le idee di un uomo sono confuse, egli diventerà schiavo delle circostanze esteriori. Colui che riflette e muove il pennello con l’intenzione di fare un dipinto si allontana ancora di più dall’arte della pittura (sembra quasi la descrizione della scrittura automatica). Disegna bambù per dieci anni, diventa un bambù, poi quando disegni dimentica tutto quello che sai sui bambù. Una volta posseduta una tecnica impeccabile, ci si deve abbandonare alla ispirazione.” Diventare un bambù e dimenticarsi di essere una cosa sola con esso quando lo si disegna: è questo lo Zen del bambù, muoversi con il movimento ritmico dello spirito che risiede nel bambù così come nell’artista stesso. Si deve avere una salda presa su quello spirito pur senza esserne consapevoli. E’ un compito assai arduo, che si può ottenere solo con un lungo esercizio spirituale. Ai popoli orientali viene insegnato fin dai tempi remoti che solo seguendo questo genere di disciplina si possono ottenere risultati significativi in campo artistico. Lo Zen esprime questo concetto con la frase: “Uno nel Tutto e Tutto nell’Uno”. Quando la si comprende pienamente, allora si manifesta il genio creativo. I GIARDINI GIAPPONESI I giardini giapponesi, diversamente da quelli occidentali, sono rappresentazioni della natura nella sua forma più autentica. Il giardino giapponese è costruito dall’uomo per rappresentare, però, la natura come essa è. O meglio, nel suo massimo aspetto possibile di perfezione, che praticamente mai si trova in natura. In altre parole, si tratta di una ricostruzione secondo natura della potenziale perfezione della natura stessa. L’uomo è in grado di riprodurre la natura nel suo massimo aspetto di bellezza, e questo è ovviamente un intervento umano, cioè un’abilità umana che però prende lo spunto, impara, segue i dettami e le regole della natura, non quelle della razionalità umana. L’uomo, che è essere raziocinante e sta all’interno della natura, è capace di studiare e comprendere la natura e di riprodurla al meglio. Si tratta di mettere in risalto ciò che è bello e attraente o coinvolgente e di eliminare o nascondere i difetti o quello che contrasta con quanto detto prima. La differenza fondamentale tra i giardini occidentali (per esempio all’italiana) e quelli giapponesi non consiste nell’artificialità, in quanto entrambi sono frutto di studio, di pianificazione, insomma della mano dell’uomo. La differenza sta piuttosto nell’intenzione che vi sottende: quelli occidentali sono la manifestazione della razionalità umana, e il protagonista delle raffigurazioni della natura è l’uomo; in Giappone, invece, le rappresentazioni naturali hanno invece come soggetto la natura stessa.

Nel giardino giapponese la mano dell’uomo non si deve vedere. La natura non è dominio dell’uomo, è piuttosto l’uomo che è parte della natura e dal suo interno la ricostruisce, secondo gli schemi della natura stessa che in sé viene considerata perfetta. Così, l’uomo che vede un giardino giapponese non pensa che è costruito dall’uomo, e apprezza la natura per se stessa. La rappresentazione naturale in Giappone è selettiva, organizzata, partecipe dei sentimenti umani, ma il fulcro dell’attenzione rimane comunque la natura stessa.

FIBONACCI E L’AUREA ARMONIA

Galileo Galilei davvero non sbagliò quando, quasi quattro secoli or sono, nella sua celebre opera Il Saggiatore (1623) scrisse: «… la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto». In effetti è evidente che l’universo si esprima in un linguaggio squisitamente matematico attraverso leggi fisiche alle quali soggiacciono i fenomeni naturali che osserviamo (sebbene molte dinamiche rimangano ancora oscure), sebbene le forme della natura siano ben lungi dall’assomigliare a figure geometriche perfette. Eppure dietro al senso di bellezza ed armonia che sanno suscitare, a ciò che è esteticamente sublime, inatteso e talvolta spiritualmente mistico si celano ancora eleganti e misteriose leggi matematiche e geometriche. Splendida è la preziosa molecola dell’acqua, che nella sua fase ghiacciata si sbizzarrisce in inaspettati capolavori artistici e non solo quando piove dal cielo, ma anche quando si dispone su superfici fredde come i parabrezza delle auto, per esempio. Per qualche buona ragione essa non si distribuisce uniformemente come un sottile manto lattiginoso, ma forma una giungla surreale di minuscole felci frastagliate. Ma, a quanto pare, gli spigoli non sono le uniche vanità di madre natura, che si diletta anche con sinuose curve come le spirali. La più affascinante la troviamo dentro le nostre cellule ed è il Codice Genetico, il motore della vita come la conosciamo, ma se ne trovano di sublimi espressioni pressochè ovunque. Il Nautilo, per esempio, è un mollusco marino superstite dell’antichissima era Paleozoica, scampato alla più colossale estinzione di massa di tutti i tempi allorchè oltre il 90% delle specie capitolarono per cause ancora non chiare. Questo curioso organismo costruisce la sua dimora calcarea secondo quella che in matematica viene chiamata Spirale Logaritmica. Le spirali sono curve piane che girano intorno ad un punto centrale spostandosi sempre più all’esterno via via che si procede. Quelle in cui la distanza tra una spira e la successiva è costante si chiamano Spirali di Archimede, e ne sono ottimi esempi conchiglie altrettanto vetuste come le ammoniti, per esempio, purtroppo non abbastanza fortunate da aver resistito alla crisi Permiana e giunte a noi solo sottoforma di fossili. Quando invece la distanza tra le spire aumenta in maniera esponenziale raddoppiando le dimensioni in un intervallo determinato, la spirale si chiama logaritmica, e abbiamo forme come il Nautilo. Tale curva fu chiamata anche equiangola dal matematico e filosofo Cartesio nel 1638 perché, tracciando una linea dritta dal polo a un suo punto qualsiasi, questa la intercetta formando sempre lo stesso angolo. E ancora la natura sfrutta tale proprietà. Il falco pellegrino, per esempio, avendo un apparato visivo che guarda lateralmente, seguendo tale spirale, può tenere la testa dritta (e non doverla ruotare di continuo in un senso e nell’altro) non perdendo di vista la preda e massimizzando la velocità durante l’attacco in picchiata di caccia. Questa forma partorita dalla natura, peraltro scelta per svariati altri oggetti come le galassie, gli uragani ecc., è talmente armonica e ipnotica dall’aver ispirato opere d’arte come quella dell’americano Frank Lloyd Wright, che ha progettato il museo Guggenheim di New York secondo la sua struttura. Ma già il

grande Leonardo da Vinci ne restò ammaliato, immortalandola nell’opera Leda e il Cigno nei capelli raccolti, e ancora sottoforma di vortici in un’impressionante serie di schizzi catastrofici ispirati al Diluvio. E lo stesso dio indù Shiva, danzante, ha in mano questa conchiglia come simbolo della Creazione. Altri gusci come quelli delle chiocciole sia di mare che di terra, invece, esibiscono spirali più anguste che si attorcigliano nello spazio come quelle strette scale da arredamento che portano nelle mansarde. Sempre per tale forma hanno optato molte piante per disporre i loro semi. Le squame delle pigne dell’abete, per esempio, sono disposte secondo spirali intrecciate, così come i gustosi semi che punteggiano il capolino di un girasole. I segreti di questo straordinario mondo della “matemagica”, che esibisce vere e proprie opere d’arte, sono sbalorditive sequenze numeriche, come si accorse più di otto secoli fa un grande matematico toscano di nome Leonardo Pisano, meglio noto come Fibonacci. Partendo dalla proliferazione di una coppia di conigli, egli si rese conto che la popolazione delle coppie cresceva secondo la seguente progressione numerica (che ovviamente prese il suo nome): 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, … ecc. dove ogni numero a partire dal terzo è la somma dei due precedenti. E il mondo naturale è stracolmo di tali numeri che utilizza per disporre le proprie configurazioni. Facciamo qualche esempio cominciando dal regno floreale e proprio dalla ben nota margherita di campo, che spesso interroghiamo per dissipare i nostri tormenti sentimentali con la domanda: “M’ama o non m’ama”?. La maggior parte di questi fiori ha 13, 21 o 34 petali, e a proposito del dilemma amoroso, quando la beccate con i numeri dispari e cominciate col “m’ama” l’esito sarà affermativo; quindi vi conviene sempre cominciare con questa domanda! Poi ci sono i gigli che hanno 3 petali, i ranuncoli 5, i delphinia 8, i tageti 13, gli astri 21 e i girasoli che oscillano tra 34, 55, 89 o 144. Se vi cimentate nel conteggio considerate che qualche petalo potrebbe essere caduto, oppure la corolla potrebbe essere doppia (ma sempre multipla dei numeri di Fibonacci) come conseguenza delle tecniche agricole di lavorazione. Nel girasole i semi sono disposti lungo spirali il cui numero dipende di solito dalle sue dimensioni. Nel caso più comune ci sono 34 spirali avvolte in senso orario o antiorario, e 55 avvolte nel senso opposto. Ma sono stati osservati girasoli con rapporti del numero di spirali 89/55, 144/89 e perfino 233/144. Anche gli alberi non sono immuni da tali configurazioni. Le squame della pigna dell’abete sono disposte in due famiglie di spirali intrecciate, e ogni famiglia contiene un numero di Fibonacci di squame. E che dire dei frutti? La maggior parte degli ananas presenta sulla superficie 5, 8, 13 o 21 spirali via via più ripide di squame esagonali. Ma c’è di più. Oltre un millennio prima che Fibonacci facesse balzare fuori dal cilindro la sua “magica” sequenza numerica, i primi grandi pensatori erano in piena crisi filosofica per le anomale caratteristiche di alcuni numeri che, per questo, vennero definiti irrazionali. Senza entrare troppo nel dettaglio che esulerebbe dal nostro scopo, diciamo solo che questi ultimi non possono essere il quoziente di due numeri interi (in pratica non scaturiscono da una frazione e, quindi, tramite essa non si possono esprimere); ma, soprattutto, la loro rappresentazione decimale non termina mai e non è periodica. In sostanza sono numeri interminabili, incommensurabili o infiniti, e nel loro esserlo riescono pure a non ripetersi! Il pi greco (π), pari al rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio qualsiasi per un valore che parte da 3,14159…, è il più noto di questi numeri anche al grande pubblico. Meno famoso ma ancora più affascinante, invece, è phi (φ), corrispondente ad un anonimo 1,6180339887. Eppure, esprime una relazione geometrica considerata talmente preziosa da essere definita sezione aurea o numero aureo, e da aver ispirato pensatori di tutte le discipline più di qualunque altro numero nella storia della matematica. Il suo potere, poi, si è rafforzato quando nel diciassettesimo secolo l’astronomo polacco Giovanni Keplero si accorse del suo legame con la sequenza di

Fibonacci: procedendo, infatti, lungo i numeri della sua successione, si trova che il rapporto tra un termine e il suo precedente oscilla (risultando ora in eccesso ora in difetto) intorno a un numero al quale si avvicina sempre di più. E quel numero è proprio Phi, il Rapporto Aureo. Quindi la misteriosa sequenza numerica racchiude qualcosa di ancora più strabiliante che la natura sfrutta di continuo. Per esempio, a causa del fenomeno scientifico noto come fillotassi (disposizione delle foglie) le piante tendono a disporre i loro tronchi e il loro fogliame secondo schemi regolari per cercare di massimizzare l’esposizione alla luce, alla pioggia e all’aria. E tali schemi seguono moti rotatori in quanto evitano che la pianta ombreggi le proprie fronde le une con le altre (vale anche per i frutti come le pigne o i semi; ecco perché la disposizione spiraliforme di questi ultimi come abbiamo visto in precedenza). Qualche esempio? I tigli collocano le proprie foglie da due parti opposte corrispondenti a un mezzo giro intorno al fusto (quoziente di fillotassi ½); il rovo, il faggio e il nocciolo dispongono il passaggio da una foglia all’altra con un terzo di giro (quoziente di fillotassi 1/3); il melo, alcune querce e l’albicocco 2/5 di giro, il pero e il salice piangente 3/8 ecc. Le foglie, insomma, si succedono tutte lungo una stretta spirale chiamata vegetativa scandita dai numeri di Fibonacci, avanzando lungo una circonferenza secondo un angolo costante (noto come Angolo di Divergenza) prossimo a 137,5° e ancora legato al Rapporto Aureo! Infatti l’angolo maggiore risultante dalla divisione dell’angolo giro secondo il Rapporto Aureo misura360°/ φ, ovvero 222,5°. Quindi l’angolo minore in cui l’angolo giro è diviso è 360° – 222,5° cioè 137,5°: l’Angolo Aureo. A livello ottico l’impressione che questa disposizione genera è quella di due spirali di senso opposto che si avvitano l’un l’altra così come esibisce il capolino del girasole, le spire delle pigne, e tanti altri organismi ancora. Anche la corolla della rosa è collegata al rapporto aureo. Gli angoli che definiscono le posizioni dei petali (in frazioni di angolo giro) sono la parte decimale di semplici multipli di phi. Il primo petalo è a un 0,618esimo (la parte decimale di 1 x phi) di giro dal petalo 0; il secondo è a un 0,236esimo (la parte decimale di 2 x phi) dal petalo 1 e così via. Ma perché accade tutto ciò? Qualche secolo fa l’astronomo polacco Keplero si convinse che si trattava di pura efficienza: se posti secondo la cadenza degli Angoli Aurei i germogli risultano più fitti e utilizzano lo spazio nel modo migliore. D’altro canto se l’Angolo di Divergenza avesse un’ampiezza di qualsiasi altro prodotto razionale dell’angolo giro, le foglie si allineerebbero o in modo da lasciare inutilizzata una grande quantità di spazio tra l’una e l’altra, o sovrapponendosi ostacolandosi a vicenda. Idem varrebbe per l’ingegno del Nautilo: poiché con l’età la creatura dal corpo molle cresce, diventa troppo grande per la camera e amplia la casa secernendo nuovo materiale per la costruzione. Ma mentre la conchiglia si allunga, il raggio aumenta in proporzione, cosicchè la forma del guscio resta immutata. In tal modo questo inconsapevole e geniale architetto della natura, pur ampliandola, trascorre tutta la vita nella stessa dimora in costante equilibrio. In altri casi è una questione di avido sfruttamento degli spazi, come dimostra la forma esagonale dei nidi d’api, in assoluto la configurazione più efficiente per stipare cerchi in un piano. E a questo punto sembra che cotanta efficienza valga anche per il mondo inorganico; avendo, infatti, la maggior parte dei cristalli di neve sei punte, essi tendono a incastrarsi egregiamente ottimizzando lo spazio vuoto e agevolando la trasformazione del vapor acqueo in neve. Ma Aureo non è solo un numero o un angolo, bensì anche alcune figure geometriche. Il Rettangolo Aureo, per esempio, si ottiene quando i suoi lati, maggiore e minore, stanno in rapporto con φ, e accade che è l’unico che consente, togliendo un quadrato corrispondente alla sua area, di ottenere un rettangolo simile al primo. Così facendo, tracciando due diagonali che si intersecano in ciascuna coppia di rettangoli padre e figlio, si trova che tutte passano per un punto, in modo che una serie di rettangoli aurei sempre più piccoli converga nel suo intorno senza mai raggiungerlo (il matematico Clifford Pickover lo chiamò “l’Occhio di Dio”). E se si congiungono i punti in cui questo vortice di quadrati divide i lati secondo il Rapporto Aureo, si ottiene la famosa spirale logaritmica che si avvolge intorno all’“ Occhio”. Il grafico illustra la relazione tra il Rettangolo Aureo e la Spirale Logaritmica. Stando i lati maggiore e minore del Rettangolo in rapporto con φ,

togliendo un quadrato corrispondente all’area del primo si può ottenere un rettangolo simile. Così facendo tracciando due diagonali che si intersecano in ciascuna coppia di rettangoli padre e figlio, si trova che tutte passano per un punto, in modo che una serie di rettangoli aurei sempre più piccoli converga nel suo intorno senza mai raggiungerlo (il matematico Clifford Pickover lo chiamò “l’Occhio di Dio”). E se si congiungono i punti in cui questo vortice di quadrati divide i lati secondo il Rapporto Aureo, si ottiene la famosa spirale logaritmica che si avvolge intorno all’“occhio”. Idem vale per il Triangolo Aureo, un triangolo in cui il rapporto di lunghezza tra i lati uguali e la base è pari a φ. Anche in questo caso continuando a bisecare gli angoli alla base si forma un vortice di triangoli sempre più piccoli i cui vertici, collegati, danno una curva logaritmica. Il legame di phi esiste anche nell’ambito di figure piane come il Pentagramma, ottenuto collegando tramite diagonali tutti i vertici di un Pentagono. Quest’ultimo è la comune stella a cinque punte ognuna costituita da un triangolo isoscele dove il rapporto della lunghezza di uno dei lati con la base è uguale alla Sezione Aurea. Se continuiamo all’infinito a inscrivere il Pentagramma all’interno del Pentagono, si può dimostrate che ogni segmento è minore del precedente di un fattore esattamente uguale al Rapporto Aureo, e che la diagonale e il lato del Pentagono sono incommensurabili, ovvero che il rapporto delle loro lunghezze non può essere espresso come rapporto di numeri interi. Anche i poliedri regolari (quelli che possono essere inscritti in una sfera, ovvero i “solidi platonici” tetraedro, cubo, ottaedro, il dodecaedro, l’icosaedro) sono legati al Rapporto Aureo, essendo le facce costituite da figure piane; in particolare l’icosaedro (con 20 facce triangolari) e il dodecaedro (con dodici facce pentagonali). Nel primo i dodici vertici si possono dividere in tre gruppi di quattro, e i vertici di ciascuna tetrade si possono collocare in cima agli angoli di un Rettangolo Aureo. In egual modo i centri delle dodici facce pentagonali del dodecaedro si possono raggruppare quattro a quattro, e ciascuno di questi gruppi corrisponde ai vertici di un Rettangolo Aureo. È indubbio che il senso estetico umano provi un senso di piacere nell’ammirare forme che possiedono certe simmetrie, ovvero emanano una sorta di armonia inducendo un’estasi quasi mistica. E così nel Rinascimento il Rapporto Aureo sconfinò oltre il mondo matematico per approdare in quello dell’arte e dello studio dei fenomeni naturali. spesso si riscontrano parametri figurativi che più che altro si avvicinano a questo numero, come per esempio le dimensioni del quadro di Salvador Dalì Il Sacramento dell’Ultima Cena del 1955, grande all’incirca 268 x 167 cm, peraltro abbellita di un enorme dodecaedro che fluttua sopra la tavola e la circonda. Poi ci sono opere come la splendida tela de La Madonna di Ognissanti del pittore e architetto Giotto di Bondone, dove molti studi affermano che le figure centrali (rappresentate dalla Madonna e il Bambino) siano inscrivibili in Rettangoli Aurei, così come la Madonna di Rucellai (di Duccio di Buoninsegna) e la Madonna di Trinità di Cimabue, che però sono molto precedenti alla data ufficiale di diffusione del Rapporto Aureo al di fuori del mondo matematico, essendo state dipinte tra il 1200 e il 1300. La matematica, insomma, sembra essere dotata di una dimensione estetica che comunica direttamente all’animo umano tramite la semplice contemplazione delle forme che cesella. Ma in fondo è una consapevolezza, magari inconscia, che già possediamo; non rimaniamo, forse, estasiati da fiori di vario colore o pietre pregiate al punto che le doniamo per esprimere i nostri sentimenti e le nostre emozioni? Quale gesto d’amore può essere più struggente del sacrificio di una rosa rossa o della luce immortale di un gioiello? Ma ciò dischiude tutta un’altra serie di domande: questa “umanità” che trasuda dai numeri è stata fatta per essere contemplata da noi oppure ha un’esistenza indipendente? Dio è un matematico? Un geniale architetto? E perché profondere tanti sforzi estetici per cesellare parti di un mondo di cui spesso neppure ci accorgiamo?

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PREMESSA STORICA A titolo esemplificativo ci occuperemo di una chiesa che simboleggia il principio di applicazione delle leggi dell’armonia all’architettura: il Duomo di Ferrara, dopo una ampia premessa storica. L’architettura riconosce come origine la riproduzione della struttura dell’universo. Secondo Eliade, anzi, questo legame tra architettura e cosmologia avrebbe origini assai remote, e risalirebbe all'epoca di transizione tra paleolitico e neolitico (circa 8000 a.C), quando l'evoluzione culturale legata all'introduzione dell'agricoltura ed il conseguente passaggio dalla vita nomade a quella sedentaria aveva portato gli uomini alla valorizzazione dello spazio ed all'erezione dei primi altari e dei primi santuari. In Cina, per quanto riguarda i templi, non esiste niente che distingua un tempio taoista da uno buddhista, così come non c’è niente che differenzi una struttura religiosa da una statale o privata. L’architettura si basa su regole ispirate alla cosmologia in cui l’ordine terrestre dell’uomo deve essere in armonia con i ritmi celesti ed era simboleggiata dalla tartaruga: la piastra ventrale è quadrata (immagine della Terra) e le quattro zampe sostengono un carapace rotondo (immagine del Cielo). Come conseguenza il mondo veniva concepito come un’immagine geometrica, evidente soprattutto in architettura, dove lo spazio era un insieme di quadrati incastrati, ognuno dotato di quattro porte che si aprivano verso i Quattro Orienti (centri di convergenza delle influenze cosmiche): orientamento che doveva rispondere ai principi dell’alternanza di Yin e Yang e ai Cinque Elementi. Questo concetto vale sia per una città che per una casa privata (che è come una città in miniatura, all’interno della città che la contiene): ogni insieme è una serie di mondi chiusi. E’ per questo che la struttura dell’edificio cinese tradizionale non ha subito variazioni di rilievo nei tempi: per la costruzione si utilizzava il legno che, pur richiedendo frequenti restauri, non modifica la pianta iniziale. Per quanto riguarda il Feng Shui, il termine significa “Acqua e Vento” e vuol dire saper costruire nei luoghi e nei modi più favorevoli, studiando i flussi di acqua e aria, in relazione ai monti, alla luce e all’ombra al fine di determinare una concentrazione d’influenze cosmiche favorevoli, evitando quelle negative. Un esempio è dato dalla costruzione di una delle tredici necropoli della dinastia Ming (Changling), il cui sito è stato scelto proprio in base a questi criteri. Il principio base di questa arte (svolta dal geomante, o esperto di feng shui) è capire che ogni uomo è influenzato dall’ambiente fisico circostante perchè uomo e cosmo interagiscono tramite il QI attraverso una relazione che il Feng Shui deve rendere armonica affinchè rechi benefici al destino e alla vita dell’uomo. Il geomante viene interpellato per stabilire la sede degli edifici, dell’arredamento, delle tombe e così via: questi luoghi devono essere carichi di ling, o energia primordiale, che deve essere incanalata da alcune caratteristiche del paesaggio. In genere si tratta di luoghi aperti, ariosi, elevati, e vicini a sorgenti d’acqua. Sui colli vivono due animali mitici: il Drago Verde (a est) e la Tigre Bianca (a ovest): da essi si può ricevere molto qì ed è per questo che un’abitazione dovrebbe sorgere tra i due e mai in cima ad una collina. Nello stesso modo vanno evitati luoghi tristi, umidi e bui, dal terreno roccioso (è preferibile quello argilloso). Lo scopo del taoismo (perseguito nella vita come nell’arte) è il raggiungimento dell’armonia, espressa nei racconti che narrano le gesta degli immortali e la vita ascetica negli eremi di montagna; armonia che deve essere anche perseguita dall’uomo comune nella sua vita quotidiana attraverso una condotta giudiziosa, seguendo la “Via”. L’arte tradizionale cinese è ricca di simboli che rimandano alle forze dello Yin e dello Yang, a tutte le energie che scorrono nell’Universo e ai continui cambiamenti che ne conseguono. Nell’arte cinese ricorre sempre la complementarietà di Yin e Yang, dalla cui interazione proviene il significato di numerosi dipinti e affreschi, ma anche di ricami di abiti fino ad oggetti di uso quotidiano. L’utilizzo associato di alcuni colori esprime l’equilibrio tra Yin e Yang (blu/rosso, nero/bianco, verde/rosso): se gli abiti sono destinati ad uno solo dei due sessi, viene utilizzato soprattutto uno dei due colori, che si esprime con maggior forza. Nello stesso modo, abiti e

recipienti vengono decorati con simboli riferibili ad uno specifico sesso: se usati da una donna (come porcellane o contenitori per il talco), saranno presenti simboli dello Yin, come funghi o cesti. Un bravo artista di paesaggi deve essere in grado di ricreare la conformazione di un terreno e di raffigurare una composizione armoniosa attraverso lo studio e la disposizione appropriata delle energie che attraversano il paesaggio, dette “vene del drago” ; queste corrono in ogni direzione e corrispondono ai costanti flussi di energia presenti in natura (come le venature delle rocce e le correnti dell’acqua) e sono anche presenti nel corpo e nella mente umana. Sono le stesse correnti energetiche del suolo che vengono studiate dal maestro fengshui prima della costruzione di un edificio o di un giardino. Perché il dipinto sia armonioso, il corpo e la mente dell’artista devono essere modulati in modo da diventare un tutt’uno con il mondo esterno che vuole rappresentare. Tornando al Mondo Occidentale, notizie del massimo interesse, che ci provengono dalla Bibbia, riguardano le misure del Tempio e dei suoi principali arredi liturgici, perché esse, per molti studiosi moderni, in forza dei valori dei loro rapporti numerici, attestano proprio la presenza del simbolismo cosmologico . Ma il valore simbolico del Tempio, probabilmente in età ellenistica, subì un'evoluzione che lo portò a divenire, da immagine celeste e paradisiaca quale era in origine, metafora dell'intero cosmo. Lo testimoniano le parole del filosofo ebreo Filone di Alessandria, contemporaneo di Cristo, che esprimevano il convincimento che costruendo un santuario fatto dalla mano dell'uomo per il Padre e Signore dell'universo, conveniva che si prendessero elementi simili a quelli con i quali Egli aveva fatto il tutto (...) [perché] il tempio supremo e autentico di Dio è il cosmo nel suo insieme. Il cielo, per quanto si apprende da Isaia (40,22), era pensato come una volta emisferica, con, al di sopra del vertice - coincidente con la stella polare - il trono di Dio. Mentre la terra, di cui la Genesi (1,10) non precisa la forma, era immaginata come un'unica massa raccolta nel mezzo delle acque del mare, divisa in quattro parti da quattro fiumi che sgorgavano da un'unica sorgente posta nel centro del giardino di Eden e si dirigevano verso i quattro punti cardinali (Genesi 2,8-14) irradiandosi dal luogo paradisiaco creato da Dio appositamente per l'uomo. Il Sole, la Luna e le Stelle, infine, erano concepiti come «lampade», poste da Dio in cielo per dar luce alla terra e per cadenzare con i loro moti periodici i ritmi del tempo astronomico e della liturgia (Genesi 1,14-19). Il processo di assimilazione della cultura antica, e più propriamente delle teorie cosmologiche di origine greca, portò però in breve tempo a conseguenze imprevedibili e di grande portata. La rilettura dei testi greci, infatti, non solo riaccese l'interesse per la natura dell‘universo, ma impresse al pensiero cristiano nel suo insieme un impulso determinante che lo spinse verso le grandi conquiste speculative dell'epoca medioevale. Le conseguenze non tardarono a risentirsi, come è logico, anche nella pratica dell'arte e dell'architettura, dove l'innesto tra le due culture portò all'imprevedibile risultato che una teoria matematica sarebbe divenuta una delle principali teorie estetiche di un periodo religioso. Di fatto un grande sviluppo del pensiero cristiano si può ricondurre all'evento della riscoperta del Timeo di Platone da parte di S. Agostino, che, riproponendolo all'attenzione, gli fece raggiungere in breve tempo, tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, un'ampia notorietà ed una vasta diffusione. Il concetto basilare della cosmologia platonica era costituito dalla concezione che il mondo fosse un'entità organizzata razionalmente e, al pari di un organismo vivente, permeata di energia vitale grazie alla presenza immanente di un principio di ordine e di vita (il logos o Anima del mondo) immesso da Dio nella materia primigenia, dominata dal caos fino al momento della creazione. Questa idea non trovò difficoltà ad essere compresa dai cristiani perché gli stessi concetti, come si diceva, erano già contenuti sia nel Vangelo di Giovanni che nel Siracide e nel Libro della Sapienza. Così come ugualmente diffuso era il concetto di armonia e di bellezza dell'universo in senso greco, che era la conclusione implicita cui portava Platone, mostrando che le leggi matematiche che reggevano l'universo erano le stesse che governavano l'armonia musicale. Esso era già da tempo patrimonio della cultura ebraica essendovi penetrato fin da quando si era resa

necessaria la traduzione in greco di alcune parti del corpo di scritti dell'Antico Testamento per consentirne la diffusione tra le comunità ebraiche di lingua greca. Ed anzi proprio l'esigenza di effettuare questa traduzione aveva costituito uno dei veicoli più efficaci di penetrazione della cultura ellenistica nel mondo ebraico. Il senso del versetto 1,31 della Genesi, infatti, in cui si racconta della soddisfazione di Dio per la buona riuscita della creazione, era stato alterato, nella traduzione greca, mediante una connotazione eminentemente estetica (E Dio contemplò quello che aveva fatto e vide che era molto bello) che portò all'introduzione nella Bibbia del concetto greco concernente la bellezza del mondo. Ma la rivelazione più feconda per il pensiero cristiano contenuta nel Timeo fu soprattutto l'esplicitazione della teoria matematica ed armonica che sottendeva l'ordine universale, perché in essa i cristiani non solo trovarono una suggestiva teoria che consentiva di risolvere in termini di bellezza e di armonia il problema della conciliazione dialettica tra l'unicità della causa prima e la molteplicità dei fenomeni di cui era costituito il mondo, ma vi trovarono anche le basi per dare un fondamento razionale alla loro fede. Non a caso infatti fu proprio di qui che prese il via la grande sintesi di pensiero dell'epoca medioevale, nella quale il numero, la proporzione e l'ordine avrebbero assunto il valore di principi universali, ontologici non meno che etici ed estetici. La teoria che per il tramite di Platone sarebbe rientrata nella cultura occidentale a partire dal IV secolo, aveva tuttavia già goduto in passato di un'ampia considerazione nel mondo greco e latino. Essa risaliva infatti a Pitagora ed alla sua scuola che l'avevano elaborata a cominciare dal VI secolo a.C. Le prime concezioni sul valore dei numeri quali elementi fondanti e costitutivi della realtà ultima dell'universo, punto di partenza della dottrina pitagorica, erano state acquisite da Pitagora per il tramite dei contatti che egli aveva avuto con egiziani e babilonesi e con la loro scienza, fortemente intrisa, come del resto le teorie pitagoriche, di elementi magici e sacri. Sulla base di queste nozioni i pitagorici seppero poi sviluppare geometria ed aritmetica in modo nuovo e sistematico, conducendo nel contempo tutta una serie di osservazioni che li convinsero della profonda analogia esistente tra il carattere dei numeri ed i fenomeni della natura. Le dottrine di questa scuola, che nei primi tempi della sua esistenza ebbe più il carattere di setta religiosa che non quello di scuola filosofica, erano perciò il risultato di una grandiosa sintesi di osservazioni scientifiche e di elementi ascetici che avevano finito per confluìre in una visione unitaria del mondo, in grado di fornire una risposta al problema filosofico e religioso centrale del VI secolo a.C, quello del rapporto tra l'Uno ed il Molteplice, lo stesso che avrebbero poi dovuto affrontare anche i teologi cristiani. I primi a porsi questo problema erano stati i filosofi ionici del VI secolo a.C. Essi, intuitivamente persuasi che la molteplicità delle forme naturali fosse solo apparente, si erano posti alla ricerca di un principio che potesse costituirne l'elemento di unificazione. La loro ricerca costituisce una tappa fondamentale del pensiero umano, non tanto per il tentativo di ricondurre il tutto ad un'unica causa (i primi in questo essendo stati gli ebrei), quanto perché essi furono di fatto i primi a tentare di individuare questa causa in un principio naturale ed immanente invece che trascendente e di natura divina, come oggi confermano le varie teorie della fisica quantistica. Sotto questo profilo la soluzione che Pitagora fornì al problema posto dai filosofi ionici della scuola di Mileto non fu soltanto un progresso: lo fu perché il principio di unificazione che egli credeva di aver individuato era per la prima volta quantificabile ed oggettivo, ma al tempo stesso rappresentò un regresso perché le implicazioni mistiche e religiose connesse con le sue teorie riportavano la questione all'ambito religioso pre-ionico. Il Soffio che guida gli esseri è anche nelle sfere: è il titolo del quadro di Odilon Redon del 1882. Il pittore si era ispirato alla visione del Creato di Edgar Allan Poe, che ebbe a dire: “Noi passeggiamo attraverso i destini dell’esistenza del nostro mondo circondati da memorie oscure, ma pur sempre presenti, di un destino più vasto, molto remoto nel tempo passato, che incute infinito sgomento”

Le leggende che avvolsero la figura storica di Pitagora già poco tempo dopo la sua morte rivelano inequivocabilmente le analogie tra il suo insegnamento e l'orfismo. Queste leggende narrano, ad esempio, dei suoi rapporti con gli dei e con gli spiriti, del potere sugli animali, della sua facoltà di apparire contemporaneamente in più luoghi e, persino, di una sua discesa nel regno dei morti: tutte doti straordinarie che portavano a confonderne la figura con quella del mitico Orfeo, cui venivano attribuiti gli stessi poteri eccezionali. L'aspetto più affascinante del mito di Orfeo, l'eroe che aveva indissolubilmente legato il canto vocale al suono della lira (lo strumento di Apollo, dio della razionalità e della sapienza), era stato la rivelazione del potere magico ed incantatore della musica, capace di elevare l'uomo fino alla divinità ma anche di precipitarlo in basso, verso la perdizione e le forze dell'irrazionale. E forse per carpire questi poteri Pitagora si era accostato alla musica, dedicandosi allo studio dei suoni e degli strumenti musicali. E fu proprio da questi studi che trasse le cognizioni rivelatrici che lo portarono alla formulazione della sua teoria sulla natura armonica ed unitaria dell'universo. Sperimentando con diversi corpi vibranti (martelli, dischi metallici, vasi, canne, corde) egli si accorse che l'altezza dei suoni emessi era una funzione delle dimensioni dei corpi emittenti; e che, in particolare per le corde, a parità di calibro e di tensione, il suono dipendeva soltanto dalla lunghezza. Da qui alla successiva più sorprendente scoperta il passo fu breve: egli potè infatti constatare che le lunghezze necessarie per produrre i suoni fondamentali dell'armonia musicale, legati tra loro dagli intervalli di diapason, diapente e diatessaron (coincidenti con gli odierni intervalli di ottava, quinta e quarta) erano del tutto particolari. Presa una corda di lunghezza qualsiasi, infatti, posta uguale ad uno (con la quale produrre il suono di riferimento), per ottenere un suono più alto (acuto) di un'ottava, è necessario impiegare una corda di lunghezza uguale alla metà di quella di riferimento (con un rapporto tra le lunghezze uguale ad 1:2); analogamente per ottenere un suono più alto di una quinta occorre una corda di lunghezza pari ai due terzi della prima, con un rapporto tra le lunghezze uguale a 2:3; per ottenere un suono più alto di una quarta, occorre una corda di lunghezza pari ai tre quarti della prima, con un rapporto tra le lunghezze uguale a 3:4. Mentre, come appare logico, i corrispondenti suoni più bassi (gravi) si ottengono invertendo i rapporti tra le lunghezze. In definitiva, quindi, i tre intervalli armonici fondamentali, quelli dai quali derivano tutti gli altri, risultavano sorprendentemente esprimibili per mezzo delle più semplici frazioni dei primi quattro numeri interi naturali 1, 2, 3, 4. Gli stessi quattro numeri che i pitagorici già sapevano capaci di interpretare interamente le qualità dello spazio; o, per meglio dire, che, come insieme di numeri, contenevano tutte le dimensioni dello spazio. Nella visione greca, infatti, nella quale i numeri erano concepiti più come configurazioni spaziali di punti che come entità astratte, lo spazio era immaginato come quadridimensionale: all'uno corrispondeva il punto, al due la linea, al tre la superficie piana ed al quattro il volume solido. I primi quattro numeri perciò, che con l'ultima scoperta non risultavano essere più soltanto l'essenza delle proprietà fisiche dello spazio, ma anche la base dei fenomeni percettivi e musicali (e quindi spirituali), confermavano la riconducibilità dell'universo a quell'unico principio, di cui i numeri e le loro proprietà erano il fondamento. E quindi Pitagora poteva proclamare, con valide ragioni, che ogni cosa è fondata sul numero. Continuando nelle loro indagini i pitagorici approfondirono ulteriormente le analogie intercorrenti tra i fenomeni naturali e le proprietà dei numeri e delle figure geometriche, giungendo ad associare un'entità numerica e geometrica ad ogni aspetto della realtà. La parte delle loro teorie più interessante ai nostri fini riguarda tuttavia l'estensione del concetto di armonia. Dopo aver individuato una legge che per le sue proprietà sembrava essere l'espressione matematica del principio di armonia, essi riuscirono ad accertarne la presenza nei modelli geometrici dei quattro elementi costitutivi della materia, nel modello del cosmo e persino alle radici dei principi morfologici degli esseri viventi, finendo per riconoscerle il carattere dell'universalità:questi modelli sono i cinque poliedri regolari, ossia tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro, icosaedro Le loro caratteristiche formali, secondo i filosofi greci, erano servite da modello per le strutture dei 4

elementi e per l’intero universo: il tetraedro per il fuoco, il cubo per la terra, l’ottaedro per l’aria, l’icosaedro per l’acqua e il dodecaedro per l’intero universo. Questa legge, derivata da nozioni sulle proporzioni e sulle medie numeriche che già i babilonesi avevano studiato, era costituita da una sequenza di numeri costruita per il tramite di un numero particolarissimo: il numero d'oro o rapporto di sezione aurea, che avrebbe occupato, nella mistica pitagorica come nella successiva storia del pensiero occidentale (e nella teoria delle proporzioni in particolare) una posizione di assoluto rilievo. Un segmento AC si definisce sezione aurea di un segmento AB di cui è parte, quando si può scrivere che il rapporto tra l'intero segmento AB e la sua parte AC è uguale al rapporto tra lo stesso AC e la restante parte CB; ossia quando si può scrivere: (1) AB : AC = AC : CB Esiste un'unica scomposizione di AB (e quindi un solo valore del rapporto AB:AC) che rende vera l'uguaglianza espressa dalla (1); e tale valore corrisponde al numero irrazionale 1,618..., il cosiddetto numero d'oro. Stante l'uguaglianza (1), se AB:AC = 1,618..., tale sarà pure AC:CB. Dunque, come AC è sezione aurea di AB, CB lo sarà di AC. Se poi scomponessimo CB con un punto D che lo dividesse in due parti secondo il rapporto aureo, potremmo dire che CD è la sezione aurea di CB, mentre DB lo sarebbe di CD. Poi potremmo dividere analogamente DB con un punto E, continuando all'infinito, e costruendo una successione di segmenti ciascuno dei quali è la sezione aurea di quello che lo precede: (2) AB, AC, CB, CD, DB, DE, EB, EF, FB... Ebbene, tra le numerose singolari proprietà di una successione di questo tipo ve ne è una veramente suggestiva: la lunghezza di quattro suoi elementi presi a caso (purché consecutivi), qualora essi fossero corde sonore, sarebbero tali da produrre suoni stanti tra loro nei rapporti fondamentali dell'armonia musicale: diatessaron (quarta), diapente (quinta), diapason (ottava). Se prendiamo come esempio il quartetto CD, DB, DE, EB e riteniamo il suono di CD suono fondamentale, avremo infatti che DB emette un suono più alto di 3:4 (diatessaron), DE di 2:3 (diapente) ed EB di 1:2 (diapason). Data la genesi della successione (2) era inevitabile che i pitagorici attribuissero al numero d'oro quei sorprendenti risultati. Essi sapevano anche che il numero d'oro è tipico delle proporzioni di alcune figure geometriche piane (pentagono regolare, decagono regolare, pentagono stellato, decagono stellato) e solide (dodecaedro regolare e dodecaedro stellato, quest'ultimo però non ancora studiato dai pitagorici), dunque esso appariva loro anche come l'ente che ne governa la forma. Come si sarà notato, tutti e quattro i poligoni di cui si è detto sono derivati (e sono, anzi, i soli regolari derivabili) dalla scomposizione del cerchio in dieci parti. Circostanza che instaura una relazione diretta tra la sezione aurea ed il numero dieci, la Decade, il numero sacro e perfetto dei pitagorici (detto tetraktys in quanto composto dei primi quattro numeri interi, 1+2+3+4=10), che era così importante da essere ricordato nel giuramento di impegno al silenzio che essi presentavano al momento dell'iniziazione. Come il tutto partecipa delle qualità delle sue parti, così, per i pitagorici, il dieci sintetizzava le qualità dei primi quattro numeri interi che ne erano gli elementi costitutivi. Esso era quindi concepito come il numero che conteneva interamente le qualità del cosmo: sia quelle inerenti l'aspetto fisico e dimensionale dello spazio, sia quelle attinenti la sua struttura armonica. Il dieci, perciò, nella mistica del numero, era l'equivalente del tutto, il simbolo per eccellenza dell‘universo; mentre la tetraktys, o, meglio, la relazione grazie alla quale si esplicitava il rapporto tra il tutto e le sue parti, era il simbolo del processo divino della creazione che dall'uno conduceva alla molteplicità del tutto. L'ultima importante proprietà del numero d'oro che vogliamo ricordare (dopo quelle che lo indicavano come l'origine dell'armonia e il principio formale del tutto, in quanto generatore dei poligoni riconducibili al dieci) era quella legata alla «crescita» di quegli stessi poligoni, che, concretandosi con modalità suggestivamente simili a quelle degli organismi viventi, ne era

considerata il modello. Di fatto l'accrescimento organico, che si esplica come per azione di un impulso interno, avviene in modo da conservare costantemente l'omoteticità della forma con se stessa: esattamente con le stesse modalità, come vedremo, che caratterizzano l'accrescimento dei poligoni fondati sul dieci; mentre, al contrario, la crescita dei corpi inorganici (come ad esempio i cristalli) avviene non solo per apporto di materia dall'esterno, ma con stratificazioni casuali e diversificate nelle diverse direzioni spaziali. Per darne un esempio, ci riferiremo ad un pentagono di lato AB, entro cui tracciamo il pentagono stellato avente gli stessi vertici. Al suo interno quest'ultimo determina un secondo pentagono, il cui lato A'B' (come si potrebbe dimostrare) è la sezione aurea di BB', a sua volta sezione aurea di AB. Ripetendo la costruzione all'interno del pentagono di lato A'B' si giunge a un nuovo pentagono di lato A"B", sezione aurea di A'A", a sua volta sezione aurea di A'B'. Procedendo così indefinitamente si realizza una successione di segmenti costruita in modo tale che ogni elemento risulta sezione aurea di quello che lo segue, esattamente come nella (2). L'inverso di questa sequenza può essere considerata la «legge di crescita» di un pentagono a partire da un centro: crescita che avviene, come appare, nel rispetto dell'omoteticità formale e come per intervento, dall'interno della forma, del numero d'oro che ne determina gli incrementi. Si può quindi capire quale suggestione potesse esercitare questo numero nell'ambito di una concezione del mondo centrata totalmente su modelli matematici, apparendo allo stesso tempo come il principio formale, il fattore di ordine e di armonia e l'apportatore dell'energia vitale. E come, di conseguenza, la sua forte valenza simbolica non potesse che influire profondamente prima sugli artisti greci e poi su quelli cristiani che si proponevano di imitare la natura a partire proprio dai suoi stessi principi. Già in Agostino il recupero del platonismo era comunque completo. Forte dell'affermazione contenuta nella preghiera di Salomone, secondo la quale il mondo era stato creato con misura, numero e peso (Sp 11,20) che legittimava il platonismo agli occhi dei Padri della Chiesa, egli aveva infatti potuto introdurre il misticismo dei numeri e le teorie armoniche contenute nel Timeo nel modello di universo cristiano, ponendo con ciò le basi anche della sua filosofia dell'arte, che sarebbe rimasta il fondamento dell'estetica cristiana per tutto il millennio successivo. In sintesi, la scuola di Chartres, partendo da un serrato confronto tra il Libro della Genesi e il Timeo, era giunta a elaborare una cosmologia e una teologia strettamente intrecciate con la matematica, nel cui ambito la creazione appariva come una grande composizione sinfonica originata dalla immissione nella natura del principio di armonia; mentre il platonismo cistercense, fondamentalmente più mistico, tendeva a scorgere, nell'armonica struttura del creato, più il riflesso della perfezione divina e delle future beatitudini celesti che non l'effetto di un principio immanente. Entrambe queste forme di neoplatonismo influenzarono l'architettura sacra. Ma, mentre quella promossa dall'ordine cistercense, sulla base di una concezione più musicale dell'armonia, fu elaborata con proporzioni numeriche corrispondenti direttamente ai rapporti semplici di unisono, diapason, diapente e diatessaron, quella riconducibile al neoplatonismo chartriano, fondata su una concezione di cosmo a struttura essenzialmente matematica, pur non avendo una codificazione così esplicita come l'altra, ci sembra da porre in relazione con la progettazione attuata mediante il criterio di scomposizione del cerchio. Si potrebbero forse definire questi due procedimenti: progettazione «aritmetica» il primo e progettazione «geometrica» il secondo. L'esame dei rapporti proporzionali ci offre ora anche l'occasione per approfondire ulteriormente il progetto, Operando nell'ambito della geometria del decagono dovremo aspettarci di incontrare frequentemente il numero d'oro 1,618...; ma, oltre a esso e ai classici rapporti 1:1, 1:2, 2:3 e 3:4, troveremo anche altri valori di cui fino ad ora non abbiamo parlato. Procedendo nella suddivisione degli intervalli armonici fondamentali, Pitagora aveva calcolato altri valori frazionari che, insieme ai primi, costituivano le sette note della sua scala musicale. Ma nei secoli successivi, altri teorici ritennero necessario proporre alcune varianti alla scala pitagorica, sempre però mantenendo, come punti fermi, i rapporti armonici fondamentali di dìapason, diapente e dìatessaron.

Tra questi Didimo (I sec. a.C.) e Tolomeo (II sec.) che, continuando nella progressione 1:1, 1:2, 2:3 e 3:4 introdussero i rapporti 4:5 e 5:6 (terza maggiore e terza minore) e 3:5 e 5:8 (sesta maggiore e sesta minore) portando la scala pitagorica a modificarsi come segue: scala pitagorica 1 8:9 64:81 3:4 2:3 16:27 128:243 1:2 scala modificata 1 8:9 4:5 3:4 2:3 3:5 8:15 1:2 DO RE MI FA SOL LA SI DO IL DUOMO DI FERRARA Con queste necessarie premesse possiamo iniziare l'esame dei rapporti proporzionali intercorrenti tra le dimensioni della costruzione del Duomo di Ferrara dopo aver precisato che le misure poste a corredo degli schemi che seguono sono tutte date in piedi ferraresi per la maggiore espressività delle cifre rispetto a quelle in metri, stante il fatto che la costruzione fu di fatto progettata e pensata in quella unità di misura. Riferendoci dunque innanzitutto alle principali misure della facciata, riscontriamo i seguenti risultati:

- il rapporto tra la larghezza e l'altezza complessive della facciata corrisponde ad una terza maggiore

- l'altezza complessiva del doppio protiro è scomposta nel rapporto di sezione aurea dalla linea di imposta degli archetti del loggiato

- il rapporto tra la quota d'imposta del loggiato e la misura di un terzo della facciata corrisponde a! valore composto: 27:33,33=0,81, e 0,81 è la metà di 1,618 Passando poi alle misure del protiro e del portale, possiamo constatare che: - il rapporto tra le dimensioni del vano di ingresso del portale centrale corrispondente alla sezione aurea L'altezza della parte inferiore (romanica) del protiro resta divisa dalla linea superiore dell'architrave in due parti stanti tra loro nel rapporto di sezione aurea … e via discorrendo, anzi, misurando e calcolando… Sulla base delle misure risultanti possiamo trarre che: - il rapporto tra le dimensioni dei vani dì ingresso delle porte laterali corrisponde ad un'ottava: -il rapporto tra la larghezza dell'architrave e la larghezza degli stipiti corrisponde ancora ad un'ottava: La variazione di larghezza al netto e al lordo degli stipiti, sia per il portale centrale che per i portali laterali, corrisponde ad un tono. Tante altre misure ci danno rapporti significativi, sia il rapporto 1,618 che valori frazionali significativi, corrispondenti a una quarta o ad altri intervalli.

MEDICINA

Gli aspetti medici di estetica, arte e armonia sono tratti da un intervento tenuto al Congresso Nazionale di Agopuntura di Assergi del Giugno 2011. Armonia è salute, disarmonia è malattia. NUMEROLOGIA DELLA LUCE E DEI SUONI L’insegnamento di Gurdjeff Secondo Gurdjeff [OUSPENSKY 1976], l’universo è formato da fenomeni vibratori, veri e propri segnali che si diffondono ovunque, e questi segnali vibratori sottostanno a due leggi-base fondate sui numeri 3 e 8. La legge basata sul numero 3 è straordinariamente in sintonia con i principi del taoismo: esisterebbero tre forze di fondo, quella attiva, quella passiva e quella neutrale, che è come dire yang, yin e fulcro di mezzo che funge da intermediario e consente alle altre due forze di interagire

in modo dinamico e continuativo. Queste tre energie-base devono sempre essere presenti contemporaneamente, perché in caso contrario si ha stasi o distruzione. La legge basata sul numero 8 sostiene che tutte le vibrazioni si comportano analogamente a un’ottava musicale, salendo e scendendo in modo non uniforme, ma con alcuni salti a intervalli costanti lungo la direttrice del percorso, analogamente appunto a un’ottava musicale, che dopo il “mi” presenta non un tono, ma un semitono, come avviene anche tra il “si” e il “do” dell’ottava successiva. Sempre secondo Gurdjeff, “La scala dei sette toni costituisce la formula di una legge cosmica che venne elaborata dalle antiche scuole e applicata alla musica”: esempi ne sono i 7 colori dello spettro, le simmetrie a base 7 della tavola periodica degli elementi, la struttura base del DNA (4 basi chimiche delle quali ne servono 3 per costituire un codone, che è uno stampo di cui esistono 64 varianti, ossia 8 X 8). Dunque, tre ottave sono il simbolo della vita, o meglio dei principi che rendono possibile la vita. Ma tre ottave sono composte da 22 note, vista la sovrapposizione dei due DO centrali. E il rapporto tra le 22 note che rendono possibile la vita con le tre forze primigenie (Yin, Yang, neutra) ci dà 22/7 = 3.14. E’ il Pi Greco. E’ la cifra, il simbolo della vibrazione dell’Universo, un Universo musicale che vibra armonicamente. Il Codice Ermetico di Toth-Ermes afferma: “Ciò che è in alto è come ciò che è in basso”. E il termine “in alto” indica quella Realtà Implicata, fuori dal tempo e dallo spazio, quel “senza forma” che si estrinseca grazie alla costante del Pi Greco, ossia 22 diviso 7, numero composto da tre ottave, ciascuna delle quali formata da altre tre ottave, tanto da dare un totale di 64 note. Il termine “in basso” si riferisce invece al codice di Ermes applicato alla materia, anche quella vivente, come il DNA, la cui architettura intrinseca ricalca quella del Codice Ermetico. Gurdjeff era convinto che la scuola pitagorica, che viene ritenuta la culla della teoria materiale della musica, fosse stata in grado di riscoprire un’antica conoscenza sparita da moltissimi anni [HAYES 2010]. Paul Davies [DAVIES 1981] spiega che gli elettroni orbitanti intorno al nucleo hanno un ordine costante, una fluttuazione analoga al modello ondulatorio stazionario dell’aria nelle canne di un organo, dove possiamo avere solo certe vibrazioni, ossia certe note, e non altre, perché esiste un rapporto ben definito tra le onde d’aria e la forma geometrica della canna. Analogamente, solo certe vibrazioni sono accettate dall’atomo. E quando vi sono dei passaggi di elettroni da un livello all’altro, gli elettroni emanano dei colori (ossia, dei treni di fotoni) che corrispondono esattamente a note musicali: luce e musica sono forme complementari della creazione, quasi fossero una sorta di “Shao Yin cosmico”! Da una parte troviamo infatti la Luce-Fuoco, e dall’altra il Suono-Acqua! Così si esprime Davies: “Possiamo considerare lo spettro di luce proveniente da un atomo simile al motivo sonoro di uno strumento musicale. Ogni strumento produce un suono caratteristico, e come il timbro di un violino differisce notevolmente da quello di un tamburo o di un clarinetto, così la miscela cromatica della luce proveniente da un atomo di idrogeno è caratteristicamente diversa dallo spettro emanato da un atomo di carbonio o di uranio. In entrambi i casi vi è una profonda associazione tra le vibrazioni interne (membrane oscillanti, onde di elettroni ondulanti) e le onde esterne (suono, luce).” E a conferma di ciò è ben noto che la scienza attuale considera massa ed energia come un unico aspetto della realtà. E la stessa coscienza [HAYES 2010, PACIFICI 2008] può essere vista come una forma di energia: un’energia molto sfumata, certamente, analogamente alla luce, in quanto il fotone, praticamente privo di massa misurabile, è un’entità pressoché immateriale; inoltre il fotone è l’unica particella che non ha una corrispondente antiparticella: se potessimo disporre tutte le particelle su un foglio di carta sul quale abbiamo disegnato un segmento, mettendo contemporaneamente tutte le rispettive antiparticelle dall’altra parte del segmento, il fotone si troverebbe esattamente nel mezzo, né a destra né a sinistra del segmento, in quanto esso è la sua stessa antiparticella. E’ la cosa che più di tutte si avvicina e ci ricorda il famoso “Uno Ineffabile”, ossia il Tao.

L’Ottava creatrice La già citata Ottava che crea la materia sulla base del numero 3, che tanto ci ricorda “l’ottuplice sentiero verso l’illuminazione” del Buddha, la si ritrova anche nella teoria della cromo dinamica quantistica, secondo la quale a livello subatomico esiste una musica suonata dalla natura, chiamata, in onore appunto di Buddha, “la via dell’ottetto”. Il nome si spiega col fatto che questa teoria classifica in gruppi di ottetti alcune particelle, come barioni, pioni e mesoni: otto barioni formano un ottetto, otto pioni un secondo ottetto, e otto mesoni ne formano un terzo. Ma ognuna delle otto particelle di un ottetto è composta da 3 parti (dette quark), per cui è una tripletta, ossia è un trigramma, e di queste triplette ne esistono otto! E poiché i quark sono 6, denominati UP, DOWN, STRANGE, CHARM, BOTTOM, TOP, ecco comparire un esagramma! E la modernissima teoria delle superstringhe afferma che una superstringa (particella infinitesimale composta da vibrazione pura) presenta esattamente 64 gradi di movimento possibili, come gli esagrammi dell’ I-King! Secondo quanto afferma Timothy Ferriss [FERRISS 1998], questa teoria può “rappresentare tutta la materia in un elegante quadro in cui gli attributi delle particelle sono visti come vibrazioni di stringhe, come delle note suonate sulla lira di Pitagora” Dunque, per produrre la materia e la vita ci vogliono luce e musica: Paramhansa Yogananda [YOGANANDA 1971] afferma che “l’essenza della creazione è la luce”. E anche la luce, che ha 7 “note”, o colori, presenta il suo DO, il gradino di passaggio verso l’ottava superiore, la luce bianca creatrice che porta verso una scala più alta, verso una qualità emergente che crea la vita. Tra l’altro, il pi greco ha rappresentato la costante filosoficamente più importante nella metafisica dell’antico Egitto, che verosimilmente ha ispirato Pitagora. Il cosiddetto “modello degli dei” di questo antico popolo, ossia l’essenza della divinità, aveva origine nella luce stessa, tanto che la stessa Grande Piramide aveva, come nome primigenio, “Le Luci”: e la scienza moderna ha scoperto che la luce è una realizzazione elettromagnetica del pi greco, in quanto, come si è visto, è un’ottava di risonanza, con le sue sette note di colore più il bianco che le trascende nella nota paragonabile al DO dell’ottava successiva; ma la luce, con le sue tre lunghezze d’onda base, ossia rosso, giallo e blu, possiede anche le frequenza che consentono di dividere l’ottava di fondo in tre scale secondarie, realizzando la consueta struttura a tripla ottava. Come ben suggerisce Hayes [OP. CIT.]: “Il pi greco, come la luce stessa, è ovunque”. Quindi, i due schemi dell’I-King rappresentano, tramite il valore pi greco derivante dal rapporto tra le tre ottave (che ci danno il numero 22) e la tripletta (numero 3) la base a tipo “Cielo Anteriore” dell’esistenza, quel “campo di forma”, quel JING che rappresenta il modello primigenio della vita. E che, in quanto indifferenziato, implicato, ineffabile, è ancora nel regno dell’unità. Ma, per creare la vita, questo modello, da unitario, deve divenire duale. Ecco allora che si crea lo Yin/Yang, il quale deve essere dotato della capacità di ricircolare su se stesso (in altre parole, deve esistere anche uno Yang nascente dallo Yin e uno Yin nascente dallo Yang): ecco che si creano le quattro direzioni, ossia lo spazio, ossia i quattro elementi che, tenuti insieme dalla terra/fulcro, realizzano il sistema dei Cinque Movimenti, che rappresenta la penta-coordinazione della Tripla Ottava (per gli antichi Pitagorici questo stesso sistema su base 4 che confinava col 5 si chiamava “tetraktys”, dove 4 strati erano formati da 5 X 2 = 10 punti). E’ a questo punto che il pi greco si divide in due, e genera l’esistenza reale, la vita. Come? Trasferendo l’armonia celeste, la musica delle sfere luminose nella realtà esplicata. Il ruolo dei Cinque Movimenti Tornando alla modalità con cui la divisione in 2 del pi greco può generare la vita reale (il JING crea il midollo! La Luce, creata dal Suono della Realtà Anteriore, ricrea il Suono del Cielo Posteriore!) consideriamo la Legge dei Cinque Movimenti: disegnando un pentagono regolare nel quale ogni vertice corrisponde a un organo, notiamo che il campo d’influenza dell’organo può essere definito come uno dei triangoli A, B, C, D, E, costituito dall’emanazione energetica

dell’organo finchè non interseca il campo d’influenza degli altri organi. Per inciso, si noti che l’incrocio dei campi d’influenza dei vari organi delimitati dalle diagonali del pentagono forma al centro un pentagono più piccolo, a ricordare che il macrocosmo si riflette in un analogo microcosmo. Ora, se consideriamo avente valore 1 la linea di confine del campo d’azione di un organo (segmento 1), vedremo che i lati dei triangoli A, B, C, D ed E acquisiscono un valore di 1,618, che è la sezione aurea, ossia PHI! Questo rapporto aureo, o armonico, sembra dirci che, se la sfera d’influenza di un organo non va oltre il segmento 1, ossia non oltrepassa i limiti naturali, la sua funzionalità sarà armonica! Si noti, tra l’altro, che nella stessa figura troviamo un ottimo rapporto tra due logge adiacenti, espresso dal valore di PHI elevato al quadrato, in quanto loggia madre e loggia figlia non si danneggiano mai gravemente, mentre l’esagerazione anomala di questo rapporto (PHI elevato al cubo) rende ragione dell’inibizione realizzata da una loggia-nonna su una loggia-nipote. Questa figura, tanto cara ai medici taoisti, altro non è che un’altra figura sacra di Pitagora, ossia il Pentagono Stellato. A questo punto il rapporto pi greco si è spezzato in due, generando un valore che è circa la metà: la metà esatta sarebbe 1,571, mentre il rapporto PHI vale di più, ossia circa 1, 618, quindi un valore più alto di circa 0,047. Dobbiamo però considerare che la matematica dell’Ottava presenta una discrepanza rispetto alla matematica della Quinta nella Teoria Armonica che ha valore di circa 0,14: e 0,14 per ognuna delle tre ottave ci dà 0,042, valore quasi identico allo 0,047 anzidetto. Questa discrepanza, chiamata “Comma pitagorico” era già nota agli antichi Greci e agli Egizi [TEMPLE 2001]. Come si può leggere nell’Appendice 1, inoltre, la costante di struttura fine, che è una sorta di indice di capacità di creare la materia da parte della luce, presenta nelle misurazioni sperimentali rispetto ai calcoli teorici una discrepanza di valore 0,036, valore non lontano sia dallo 0,042 che dallo 0,047 già citati. Come ci spiega Hayes [HAYES 1994], la lieve sfasatura del Comma pitagorico ha lo scopo di mettere in evidenza la differenza tra la musica reale e quella ideale: la prima è sempre un po’ cacofonica in quanto esiste nel mondo della realtà, rispetto alla vera armonia da cui viene a essere generata. E il già citato Temple definisce questa discrepanza “la particella pitagorica”, affermando:”Si potrebbe sostenere che essa esprima l’infinitesimale discrepanza tra l’ideale e il reale”. O meglio, aggiungo io, tra il Jing e i Midolli. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE “IMMAGINE DI SHIVA DANZANTE La materia, la vita, il pensiero non sono che relazioni energetiche, ritmo, movimento e attrazione reciproca: E’ solo luce! Il principio che dà origine ai mondi, alle varie forme dell’essere. Può dunque essere concepito come un principio armonico e ritmico. Simboleggiato dal ritmo dei tamburi, dai movimenti della danza. In quanto principio creatore, Shiva non proferisce il mondo. LO DANZA” (Alain Daniélou) [Danielou A: Shiva e Dioniso, 1980] A conclusione di quanto detto è opportuno riportare le parole di Hayes [OP. CIT.]: “Dobbiamo ricordarci che la luce stessa, oltre a essere l’agente grazie al quale gli oggetti diventano visibili, è anche un fenomeno musicale, come ben sapevano gli antichi Egizi. Con le sue sette frequenza fondamentali (lo spettro) e le sue tre distinte frequenza primarie, essa rappresenta un perfetto modello elettromagnetico della tripla ottava, ossia del Codice Ermetico che descrive lo sviluppo evolutivo di tutti i processi organici”

PITTURA

Il concetto fondamentale nella pittura filosofica taoista è quello del Vuoto e del Pieno.

Di tutte le forme artistiche, è nella pittura paesaggistica e nella calligrafia (spesso fra loro combinate) che meglio si manifesta il concetto taoista di “armonia”, inteso come fusione con le energie che animano costantemente l’Universo: attraverso il Vuoto ed il Pieno, colui che dipinge deve essere in grado di diventare una cosa sola con la natura così da suscitare gli stessi sentimenti in chi osserva il dipinto. Il Vuoto della tela non è “mancanza” ma “pienezza” di soffi, che circolano liberamente, producendo l’alternanza dello Yin e dello Yang. E’ attraverso il Vuoto che si può manifestare la Pienezza del tratto di pennello, che corrisponde alla capacità di riprodurre i gesti della Creazione, di dare origine all’Uno a partire dal Caos primordiale. Il tratto del pennello deve rendere concrete le forme, ma deve anche far trasparire il “li ”, ovvero quelle linee invisibili che collegano l’uomo alla natura ed all’Universo nelle sue più varie manifestazioni, riconducendolo quindi all’Uno originale. In conclusione, un dipinto ultimato è come un ritorno al Vuoto Originale, al di là dello spazio e del tempo Dal momento che affonda le radici nella scrittura ideografica, gli elementi della natura sono trasformati in segni, in cui viene privilegiato l’uso del pennello. Il pensiero estetico cinese si fonda su una concezione organicista dell’universo, in cui i soffi vitali del microcosmo vibrano all’interno del Vuoto stesso, sotto l’azione unificatrice dello Spirito. La pittura occupa, tra tutte le arti cinesi, il primo posto in quanto, meglio di ogni altra, rivela il mistero dell’universo perché l’atto di dipingere non è tanto la rappresentazione degli spettacoli della Creazione, quanto una partecipazione diretta ai gesti della Creazione stessa ed è per questo che la pittura è considerata essa stessa una pratica sacra. La pittura rappresenta un particolare modo di vivere perché alla base si trova una filosofia che pone l’uomo in rapporto costante con l’universo e pertanto arte ed arte di vivere sono una cosa sola. Per giudicare il valore di un’opera, vengono distinti dalla tradizione tre gradi di eccellenza: neng-p’in = “opera di compiuto talento” miao-p’in = “opera di meravigliosa essenza” shen-p’in = “opera di spirito divino” Mentre per definire i primi due gradi ci si rifà a nozioni di bellezza, per il terzo si parla di un’opera che sembra collegata all’universo originario. Il Vuoto è l’affermazione più originale prodotta in Cina e costituisce un asse sempre presente nella concezione cinese dell’Universo, caratterizzato dalla visione dinamica della vita. Essendo un elemento dinamico e non qualcosa di vago, inesistente e statico, è strettamente connesso all’idea dei soffi vitali e all’alternanza dello Yin e dello Yang e costituisce il luogo in cui avvengono le trasformazioni, in cui il Pieno raggiunge la vera pienezza. E’ in grado di creare discontinuità e reversibilità in un sistema, superando opposizioni rigide e consentendo quindi all’uomo di confrontarsi con l’universo nella sua globalità. Molti sono i testi in cui si parla di Vuoto, ma non viene mai definito con precisione perché il cinese non ne ha bisogno in quanto accetta intuitivamente questo concetto come principio di base: nato come tentativo di spiegare l’universo, spiritualmente e razionalmente, è diventato un punto cardine della vita di tutti i giorni. Il Vuoto, oltre ad essere un concetto filosofico-religioso, è anche alla base di molte pratiche quali pittura, musica, poesia, agopuntura, t’ai-chi-ch’uan, arte culinaria. Fra tutte è però la pittura ad essere considerata una pratica sacra perché il suo scopo è la totale realizzazione dell’uomo (inclusa la sua parte più inconscia), consentendogli di esplorare il mistero dell’universo, che regola il ritmo delle stagioni, della natura e dell’uomo stesso.

• nella musica il Vuoto è il silenzio, che interrompe uno sviluppo continuo e permette al suono di entrare in risonanza

• nella poesia il Vuoto viene introdotto attraverso la soppressione di termini grammaticali, detti “parole vuote” , che interrompono la linearità del linguaggio, trasformando il Tempo vissuto in Spazio vivente

Nella pittura il Vuoto è lo spazio non dipinto, che non è inerte, non è una “mancanza”, ma un qualcosa di vibrante percorso da soffi, che collegano il visibile con l’invisibile; in alcuni dipinti dell’epoca Sung e Yuan lo spazio vuoto costituisce anche i due terzi della tela. Anche all’interno del mondo visibile, che è lo spazio dipinto, è presente il Vuoto. Esempio: se venissero rappresentate unicamente una Montagna e l’Acqua (spazio pieno), si tratterebbe di elementi statici, in opposizione reciproca, ma con l’aggiunta di una nube (spazio vuoto) si ottiene dinamismo: la nube nasce dall’acqua che, condensandosi, sale verso la montagna, assumendone la forma, mentre la montagna penetra nella nube e si dissolve verso il basso nell’acqua sottostante. Avremo quindi una relazione di reciproco divenire, tra uomo e natura (all’interno del dipinto) e tra chi osserva il dipinto ed il dipinto stesso nella sua totalità. Per i taoisti il Vuoto possiede una doppia natura (espressa in modo piuttosto confuso nei testi), che fa riferimento al concetto di noumeno (ciò che rientra nell’Origine, nell’indifferenziato) e di fenomeno (concreti aspetti dell’universo creato). Il Vuoto è lo stato supremo dell’Origine, ma è contemporaneamente l’elemento centrale del mondo delle cose: il Vuoto originario garantisce l’efficacia del ruolo funzionale che, a sua volta, manifesta la realtà del Vuoto primordiale, regolando il mondo delle cose. “30 raggi si uniscono in un solo mozzo, ma è il foro al suo centro che permette al carro di muoversi *^* s’impasta l’argilla per fare un vaso, ma è nel suo vuoto che si può mettere l’acqua *^* si erigono muri per fare una casa ma è lo spazio vuoto che la rende abitabile: ciò che usiamo sono le cose materiali ma ciò che ci serve veramente è immateriale” (Tao Te Ching, Cap.11) Wuji è lo sconfinato, l'invisibile, il senza qualità, l'inizio primordiale e la condizione originaria a cui ogni cosa tende a fare ritorno. Dal Wuji, si arriva al Taiji, da cui si sviluppa la dualità yin/yang, le cinque permutazioni dei cinque movimenti, wuxing... fino alle diecimila cose. L’essere è generato dal non essere “è proprio grazie al vuoto che sole e luna si muovono, che le stagioni si succedono; è da esso che procedono i diecimila esseri. Tuttavia il vuoto non si manifesta e non opera se non mediante il pieno” Solo quando l’uso del vuoto è in funzione vi è “la grande abilità che sembra mancanza di abilità” Perché è assenza di intenzionalità e l’io è messo da parte Utilità del vuoto Nel corpo: la pleura permette l’espansione del polmone, il pericardio quella del cuore, il mediastino quella degli organi toracici Nell’atomo: “L’atomo è quasi vuoto, nell’intervallo non c’è niente... ma è grazie al suo campo atomico (vuoto) che il protone crea mesoni Π” Rutheford

• Il vuoto della musica (pause) • il vuoto del tempo (assenze) • il vuoto della ceramica Raku • il vuoto del paesaggio karesansu • Il vuoto nell’ikebana • Il vuoto nella pittura ad inchiostro • Il vuoto nella cerimonia del tè • Il vuoto nel teatro nō

“Benché i piedi dell’uomo non occupino che un piccolo angolo della terra è grazie alloo lo spazio che non occupa che l’uomo può camminare sulla terra immensa. Benché l’intelligenza dell’uomo non penetri che una particella della verità totale è grazie a ciò che non penetra che l’uomo può comprendere il cielo” (Zhuang Zi)

Il conflitto sta nel non riconoscere il vuoto sia come un limite di ciò che ancora non si conosce ma anche come un orizzonte che ci permette di andare avanti Possedendo il Vuoto, l’uomo coglie il ritmo di Spazio e Tempo e gestisce la legge di trasformazione. Il non-agire si collega al Vuoto, che è quiete e distacco ed è il livello di equilibrio dell’universo. Chuang-tzu dice che non si deve ascoltare con le orecchie, ma con lo spirito perché è dal vuoto dello spirito che nasce la luce; è dalla comprensione interiore e non dall’intelligenza o dalla conoscenza che si viene “visitati dagli Spiriti”. E’ il Vuoto a garantire il buon funzionamento della vita nell’ambito spazio-temporale perché il Tempo ha uno sviluppo lineare, all’interno del quale il Vuoto introduce un movimento circolare, che lega un individuo allo Spazio. E’ come un elemento regolatore che introduce degli spazi ricchi di soffi vitali nelle varie tappe della vita. Il Libro dei Mutamenti tratta il concetto di Mutamento, che regola qualsiasi cosa, soprattutto la relazione tra Cielo-Uomo-Terra, dove Cielo e Terra rappresentano Spazio e Tempo, entrambi animati da soffi vitali, mutevoli, tra loro collegati indissolubilmente e componenti fondamentali della vita. Come fare perché s’instauri in un dipinto il moto circolare fra Montagna e Acqua, ossia tra yin e yang? Attraverso l’introduzione del Vuoto, come spazio libero, nebbie e fumi, o con tratti sciolti ed inchiostro diluito. Il Vuoto suscita, attraverso il soffio che genera, l’interna trasformazione, interrompendo la staticità dei due poli opposti Montagna – Acqua. Le nubi ed il fumo creano una sensazione di attrazione dinamica in cui la Montagna sembra sprofondare nell’Acqua e l’Acqua risalire verso le cime della Montagna. Una nozione importante regola pittura e geomanzia, quella del lung-mai = “arterie del drago”. Evoca un paesaggio dinamico mosso dai soffi vitali Da questa ne conseguono altre due, di cui il pittore deve tener conto se vuol dare vitalità ad un dipinto: k’ai-ho = “apertura – chiusura”. Organizzazione oppositiva dello spazio ch’i-fu = “salita – discesa”. Sequenza ritmica del paesaggio Dobbiamo ora esaminare il rapporto tra elementi dipinti (i pieni) e lo spazio che li circonda (i vuoti), il che implica il rapporto tra Terra e Cielo. La Montagna e l’Acqua rappresentano i due poli terrestri e la Terra, a sua volta, è in rapporto col Cielo. Si verifica quindi un gioco di contrasti a più piani (all’interno di ogni livello sono implicati poi altri sottolivelli), che non è altro se non il gioco tra Yin e Yang: Terra: formata dalla coppia Montagna – Acqua (Yin e Yang) è di natura Yin Cielo: di natura Yang Il rapporto tra Cielo e Terra si gioca però con un terzo elemento, che è l’Uomo: per i suoi rapporti con la Terra perché possiede la dimensione del Cielo per lo sguardo che rivolge al paesaggio di cui è parte integrante egli stesso (pittore e spettatore) L’unità e totalità tra Terra – Uomo – Cielo è, come sempre, consentita dal fattore Vuoto. Una nota sulla prospettiva: mentre la prospettiva Occidentale prevede un punto di vista privilegiato ed una linea di fuga, nella prospettiva Cinese è tutto questione di equilibrio e contrasto che presuppone una doppia prospettiva:

• in genere l’artista si pone su un’altura da cui poter avere una visione globale del paesaggio. Per mostrare le distanze delle cose utilizza contrasti di volume, forme, tonalità.

• sembra contemplare il paesaggio da diversi punti di vista contemporaneamente: da lontano, da vicino, dall’interno. Ad esempio le montagne sono viste nello stesso tempo da lontano e da vicino e quelle più lontane possono essere più grandi di quelle vicine.

Il dipinto rispecchia il desiderio dell’artista di vivere l’essenza di tutto quel che fa parte dell’universo. Il dipinto non deve essere solo un oggetto da contemplare ma deve essere vissuto suscitando il desiderio, in chi l’osserva, di volersi trovare all’interno della pittura.

Kuo Hsi - epoca Sung dice: Ci sono paesaggi dipinti che s’attraversano o si contemplano; altri nei quali si può passeggiare; altri ancora in cui si può abitare o vivere…quelli in cui si può vivere sono superiori a tutti gli altri…si è tentati d’inoltrarsi nel sentiero che serpeggia attraverso il fumo azzurrino… Il muoversi dello spettatore nel dipinto diventa quindi una ricerca spirituale del Tao. Infatti:

• il livello Montagna – Acqua corrisponde simbolicamente al Due = mutamento interno • il livello Uomo – Cielo corrisponde al numero Tre = molteplice (“il Tre genera i Diecimila

esseri”), ma è contemporaneamente l’Unità. E’ infatti dal Tre che si ha il Ritorno, annullando quindi il vicino-lontano ed il lontano-vicino: l’allontanamento a distanza è un moto circolare che ritorna (il soggetto si proietta al di fuori e ciò che è al di fuori diventa il paesaggio interiore del soggetto). Iscrizione di una poesia sul dipinto: Questa pratica iniziò nell’epoca T’ang e divenne costante dalla fine dell’epoca Sung. La poesia è iscritta nello spazio bianco del dipinto, che corrisponde al Cielo; non si tratta di un commento inserito artificiosamente nel dipinto, ma vi introduce, con il suo ritmo, il Tempo e rivela il processo in base al quale il pittore è unito al dipinto. La poesia è scritta con lo stesso pennello con cui viene eseguito il dipinto e permette all’uomo di rivelare la sua presenza nell’ambito Cielo – Terra, anche se non vi è raffigurato. Con i precedenti quattro livelli viene seguito un movimento spiraliforme che si apre all’infinito. In particolare, col quinto livello Uomo – Cielo, si ha la costante ricerca delle simbiosi tra Tempo e Spazio e quindi tra uomo e universo: si può quindi parlare di Quinta Dimensione, che va oltre lo Spazio ed il Tempo: corrisponde al Vuoto al massimo grado che trascende l’universo riconducendo l’uomo all’Uno originale. Il dipinto ultimato rappresenta quindi il massimo grado di uno sviluppo attraverso il quale le cose tornano all’Uno originale, al Vuoto originale. L’atto di dipingere diventa quindi il tentativo d’imitare i “gesti” stessi del Creatore:

• la carta vergine è il Vuoto originario da cui tutto origina • il primo Tratto tracciato è l’atto di separazione di Cielo e Terra • i tratti che seguono e che creano le forme sono le infinite metamorfosi del primo

Tratto • il dipinto finito è il “Ritorno” al Vuoto originario

Tutte queste fasi si susseguono secondo il movimento a spirale a cui abbiamo accennato. Wang Yu dice: Il Vuoto puro, ecco lo stato ultimo al quale tende ogni artista. Egli può giungervi solo se lo concepisce prima di tutto in cuore. E’ lo spazio in cui è assente il Pennello – Inchiostro, il più difficile da ottenere per un artista perché è l’unica via per accedere al Mistero. Concludendo, il dipinto ultimato è il Ritorno al Vuoto originale. In Cina la natura non è considerata solo come qualcosa di esteriore ma funge da specchio per l’uomo perché vi si possa ritrovare; la lenta assimilazione delle forme della natura portano l’uomo a viverla fino in fondo, e in tal modo ritornando all’Uno da cui tutto origina. Ne consegue che la pittura è considerata in Cina come qualcosa di sacro perché si fonda su una religione del Segno: la Creazione (dell’Universo e perciò anche dell’uomo) raggiunge lo stato ultimo attraverso ciò da cui è iniziato, che è il Tratto. La pittura del paesaggio non è solo rappresentazione di un bel panorama ma la proiezione interiore dell’uomo ed è per questo che l’uomo, anche quando non sia rappresentato, è sempre presente perché nel dipinto vibrano quegli aspetti della natura che l’uomo ha vissuto e sognato e quindi raffigurato. Un paesaggio è come un ritratto dell’uomo perché vi sono riflessi e suoi sentimenti ed il suo spirito e ogni elemento della natura ha una corrispondenza simbolica. Per esempio una valle può simboleggiare un corpo femminile; una rupe può indicare il tormento interiore e le paure dell’uomo; in un un gruppo di montagne esiste un rapporto particolare, in cui ogni monte è

l’incarnazione di sentimenti diversi, evocando da un lato tensione e ostilità, dall’altro armonia e venerazione. In conclusione, mentre nella pittura occidentale la figura umana è quasi sempre presente perché incarna tutte le bellezze dell’universo, nella pittura cinese è privilegiato il paesaggio perché incarna i sogni ed il profondo dell’anima umana, che si riflettono nella natura (una categoria a sé è costituita dalla pittura a carattere religioso, in cui sono raffigurati Buddha, dèi e demoni). Neijing tu o “Mappa della visione interiore” – riproduzione moderna su stele – Baxian Gong, Xi’an Si tratta di una riproduzione moderna di un’incisione su legno dell’alchimia interiore di epoca Song (andata perduta), che a sua volta si basava su un antico disegno su seta (rinvenuto sul monte Song). Raffigura la testa ed il busto di un essere umano visto di profilo: le energie scorrono fra la testa (monte Kunlun) e la parte inferiore del busto attraverso i “tre passi”, che sono collocati lungo la colonna vertebrale (raffigurata come un corso d’acqua). parte superiore: sulla sommità del capo (immersa fra nove picchi) si trova un’ampia radura destinata all’incontro con le divinità celesti appena sotto: sono raffigurati un anziano (simbolo del piombo) ed un monaco (simbolo del mercurio) campo del cinabro mediano: è collocato nel cuore ed è la sede del giovane pastore, personificazione di una stella che, una volta all’anno, incontra l’amata, la giovane tessitrice posta all’altezza dei reni campo del cinabro inferiore: ha la forma di un crogiolo in cui le energie provenienti dal basso (Yang – fuoco) si uniscono con quelle che scorrono dall’alto (Yin – acqua), trasformandosi nell’elisir (rappresentato dal cerchio con quattro Taiji). Il grande pittore Shih-t’ao si autodescrive in alcune poesie o iscrizioni su dipinti. In tutto traspare la sua personalità sensibile e tormentata e dalle mille sfumature: io parlo con la mia mano, tu ascolti con gli occhi qui, in questa montagna (dipinta), al passar della tigre si sente l’odor della carne dipingendo il quadro, diventavo il fiume primaverile, via via che lo disegnavo: I fiori del fiume si schiudevano al tocco della mia mano; le sue acque scorrevano al ritmo del mio essere…onde e nubi improvvisamente s’ammassano. Srotolando di nuovo il dipinto, mi sprofondo nella visione del Divino divento l’uomo del dipinto, con in mano una canna da pesca, in mezzo all’acqua e alle canne. Laddove, senza confine, Cielo e Terra fanno un tutt’uno. (dipinto X)

SCULTURA AMORE E PSICHE: UN’INTERPRETAZIONE GEOMETRICO-FI LOSOFICA

Quando l’Amore ideale del mondo “irrazionale” si specchia nell’amore reale del mondo “razionale”

Nella statua di Amore e Psiche di Canova l’abbraccio dei due personaggi crea due cerchi che si intersecano formando con la loro intersezione una figura simbolica chiamata “vesica piscis” . Con il termine "Vesica Piscis" si indica una figura simbolica che deriva geometricamente dall’intersezione di due cerchi aventi lo stesso raggio ed i cui centri giacciono l’uno sulla circonferenza dell’altro. Il nome latino, che letteralmente significa "vescica di pesce", deriva dall’osservazione che la forma di questa figura ricorda quella della vescica natatoria dei pesci. Il simbolo era già noto in India, nell'antica Mesopotamia, in Africa e nelle civiltà asiatiche, ma si diffuse ampiamente soprattutto nel contesto cristiano, mediante l’associazione della figura del pesce a Cristo (con la figura dell’ichthys). Successivamente, nelle elaborazioni iconografiche che seguirono, soprattutto negli affreschi e nei codici miniati medievali, la ‘vesica’ viene associata all’immagine del Cristo e della Vergine in maestà, nell’iconografia nota anche come "mandorla mistica".

Questa figura ha differenti proprietà geometriche che l’hanno resa oggetto di numerose speculazioni filosofiche ed esoteriche nel corso dei secoli. Si può innanzitutto osservare che tracciando il tratto orizzontale mediano e unendo i suoi estremi con i due vertici, si vengono a formare al suo interno due triangoli equilateri uguali e contrapposti. In pratica, essi simbolicamente rappresentano il "Doppio Ternario", attivo e passivo, maschile e femminile, che portati l’uno sull’altro formano un altro ben noto simbolo della Tradizione: l’Esagramma, o Stella di Davide. Un altro simbolo molto diffuso e conosciuto, il Fiore della Vita, può essere visto come l’intersezione di sei ‘vesicae piscis’. Il cerchio simboleggia l’Amore completo, perfetto, infinito (in quanto il cerchio è una linea senza soluzione di continuità). L’assoluta assenza di spigoli e di angoli rende il cerchio una figura armonica, compiuta, ideale, che rappresenta pertanto il simbolo ultimo di un’entità (l’Amore) che tutto racchiude in sé, che non ha fine, e che incessantemente fluisce senza mai fermarsi. Il cerchio è un archetipo, e rappresenta l’Amore in sé, quello originario, quello archetipico, quello che regna nel mondo delle Idee di Platone. Il cerchio dunque è l’Amore trascendente, il modello ideale che sta nella realtà non manifesta, al di là dell’immanenza creata. Ebbene, questo Amore, con un atto creativo, si cala poi nella realtà manifesta, nell’immanenza, realizzando una linea, ossia il diametro (quello che unisce con una linea i due volti che si baciano), che è invece una delle infinite espressioni (cioè, uno degli infiniti diametri) della vita reale, della realtà esplicata: vera e propria figura dell’immanenza, il diametro è la concretizzazione di quell’Amore-Cerchio che ora diventa Diametro-Bacio, come si vede unendo i due estremi della figura con una linea che taglia in due il cerchio. A perenne conferma che le due realtà sono tra loro divise da un invalicabile muro di confine sta il concetto di incommensurabilità tra il cerchio e il diametro, nel senso che se io considero il cerchio, non potrò mai avere un diametro misurabile in modo sicuro e definitivo, e ovviamente se io ho un segmento , non potrò mai avere un cerchio tracciabile in modo sicuro e definitivo, in quanto la formula per passare dall’uno all’altro è: C = D x π Ciò implica che se voglio conoscere l’uno avendo l’altro posso farlo, ma il risultato non è completamente definibile con precisione, in quanto non posso prescindere dalla costante PI GRECA che, essendo un numero irrazionale, non ha una misura definitiva, poiché i suoi decimali sono infiniti. L’incommensurabilità è confermata anche dal fatto che una linea che unisca i due centri dei due cerchi unirebbe la testa di Eros (Yang) e il cuore di Psiche (Yin), avvicinando i due estremi, che però non si fondono mai del tutto Si nota inoltre che, unendo la punta delle ali con le gambe dei personaggi, si forma un quadrato che contiene in sè un doppio cerchio che forma una figura a otto, simbolo d’infinito. Il respiro e il bacio dei due personaggi si incrociano all’interno di questo “otto”, quindi nel centro del quadrato, nel punto d’incontro delle due diagonali, rappresentate dall’ala sinistra che continua nella gamba di lui e dall’ala destra che continua nelle gambe di lei. E ancora troviamo il concetto di incommensurabilità tra il lato del quadrato, che rappresenta la realtà esplicata (gli arti, le membra, il corpo fisico del mondo razionale materiale) e la diagonale (l’incrocio del respiro creante in quanto simbolo dell’alito divino, simbolo della vita stessa, nonché il bacio, simbolo d’amore). Infatti, come sappiamo dal teorema di Pitagora, il lato e la diagonale del quadrato sono incommensurabili. Analogo concetto è espresso negli ultimi versi della Divina Commedia: Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond'elli indige, (135) tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; (138)

ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. (141) A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, (144) l'amor che move il sole e l'altre stelle. (Dante, Divina Commedia, Paradiso XXXIII) versi nei quali si parla di un “geomètra” che non riesce a trovare il sistema per correlare in modo razionale il diametro e la circonferenza del cerchio: e infatti non potrà mai realizzare la cosiddetta quadratura del cerchio, proprio perché realtà manifesta e non manifesta non potranno mai sovrapporsi; in questo Canto Dante crea una corrispondenza tra il cerchio, la luce e l’Amore divino, suggerendo quindi ancora una volta che il cerchio è archetipo di quel luminoso Amore primigenio che “move il sole e l’altre stelle”.

POESIA HAIKU Nella letteratura giapponese, gli Haiku rappresentano una parte molto importante e caratteristica dell'essenza più profonda della cultura nipponica. La condizione alla base di questo tipo di poesia è la convinzione dell'inadeguatezza del linguaggio, rispetto al compito di testimoniare la verità. C'è molta cultura Zen alla base della poesia Haiku, il cui intento è quello di far tornare il linguaggio alla sua essenza pura, ovvero alla sua nudità Nessuna manifestazione del reale, neppure la più semplice, è indegna di essere trattata dai Maestri di Haiku: in ogni cosa è l'energia vitale a svelarsi alla mente, se questa è scevra da schemi e pregiudizi, dalle proprie abitudini e dai limiti del razionale. E poiché l'energia vitale è movimento, anche l'Haiku, seppure nella sua semplicità, dovrà permettere a questo movimento di esprimersi, attraverso le sillabe, e di esprimere a sua volta la comunione, l'esigenza dell'uomo di essere tutt’uno con la natura. Anche se veicolo di questa comunione, l'Haiku, però, non diventa mai semplice descrizione realistica, ma và sempre interpretato come testimonianza di una visione che va appunto oltre gli schemi di cui sopra Esistono almeno due modi di scrivere Haiku che danno vita a due stili diversi. Il primo stile è caratterizzato dal fatto che uno dei tre versi (normalmente il primo) introduce un argomento che viene ampliato e concluso negli altri due versi. Il secondo stile produce Haiku che trattano due argomenti diversi messi fra loro in opposizione o in armonia. Questo secondo stile può attuarsi con due modalità: il primo verso introduce un argomento, il secondo verso lo amplia e lo approfondisce, il terzo verso produce un'opposizione di contenuto, un capovolgimento semantico che in qualche modo ha però relazione con il primo argomento. Questo sbalzo semantico può anche essere sottilissimo. Ma potrebbe anche essere che il primo verso introduce un argomento, e sono i due versi successivi che introducendo un nuovo argomento lo mettono in relazione con l'argomento trattato nel primo verso (in opposizione o in armonia). Basho, uno dei massimi poeti di Haiku, dopo aver letto una composizione del discepolo Kikaku, gli disse: "Hai la debolezza di voler stupire. Cerchi versi splendidi per cose lontane; dovresti trovarli per cose che ti sono vicine“. Nelle poesie di Basho l'intera natura è chiamata ad esprimersi: l'acqua, le rocce, i fiori, il sole, le nuvole e le stelle, gli animali, le piante, il mare e il vento e insieme a tutto ciò, il dolore e la gioia dell'uomo. Tutto è Kami, divinità, e al cospetto del divino il poeta si colloca, anima e corpo in un'unità inscindibile, nella condizione estatica della contemplazione. L'Haiku è nato in Giappone nel XVII secolo. Deriva dal Tanka, componimento poetico di trentun sillabe. Si scrivevano poesie Tanka già nel IV secolo. Il Tanka è formato da cinque versi con una quantità precisa di sillabe per ogni verso: il primo verso contiene cinque sillabe, il secondo sette

sillabe, il terzo cinque sillabe, il quarto sette sillabe, il quinto sette sillabe. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l'Haiku. La prima antologia di poesia giapponese intitolata "Manyoshu" risale all' VIII secolo; comprende 20 volumi con 4.500 poesie in diverso stile. In Giappone si calcola che più di dieci milioni di persone si diletta a scrivere Haiku. Ci sono attivissimi gruppi di poeti (chiamati Haijin) che si riuniscono per parlare di Haiku. Tutte le maggiori riviste e quotidiani giapponesi hanno una rubrica dedicata agli Haiku. HAIKU E FISICA QUANTISTICA Ma cosa c’è nell’haiku da rendere questa forma di poesia così “riconoscibile” nel mondo, così fruibile a ogni livello e gradita in generale? Molte persone nel mondo occidentale scrivono poesie, adottando le tecniche più disparate, ma chi inizia a scrivere haiku, bambino o adulto che sia, normodotato o meno, sente istintivamente che si tratta di un tipo di poesia molto diverso da quella che definiamo “classica”. Questa percezione ha, in realtà, delle basi nella fisica e nella fisiologia. Per quanto riguarda la fisica, nel concetto di vuoto, per quanto riguarda la fisiologia nel concetto di ritmo. Il vuoto Per parte della filosofia greca, i principi costitutivi di ogni cosa e fenomeno sono la materia e il vuoto. La fisica moderna, con la teoria quantistica dei campi, annulla la distinzione classica tra materia e vuoto, che perde la connotazione di “non essere” per diventare veicolo di tutti i fenomeni materiali. L’esistere e il dissolversi delle particelle materiali sono semplicemente forme di moto del campo. Il “vuoto” è sempre stato visto come un concetto negativo, corrispondente ad “assenza”, “annullamento”, “nulla”, ma per la poesia, non meno che per la fisica quantistica, è un luogo in cui ogni possibilità esiste. Insieme al silenzio, altro concetto che attualmente sembra poco “moderno”, è un luogo per ritemprare la mente, placare la continua ridda di pensieri e osservare il mondo, in cui si accende un lampo di percezione. Chi non ha mai provato, almeno una volta, il silenzio nella mente e ne ha sentito la capacità rigenerante, la capacità di resettare la mente? L’haiku è uno dei figli privilegiati del vuoto, inteso nel senso di śunyātā (sanscrito , giapponese: kū ), una parola in sanscrito che significa “vacuità”, un vuoto che contiene in sé la pienezza della realtà. Da questo vuoto, che ci riporta alla percezione sottile della realtà, nascono alcuni aspetti dell’haiku: sabi: calma, distacco, quiete, pace, solitudine, semplicità, che sono aspetti della mente quando riesce a staccarsi dai pensieri e dai rumori della vita di tutti i giorni; wabi: l’inatteso, l’attenzione che si riattiva, quando la mente è libera di percepire; aware: rimpianto, ricordo, nostalgia, percezione della transitorietà, della caducità, del mutare del tempo, che la mente vive con levità e non con un senso di disfatta; yugen: il senso di inatteso, di stupore, il senso dell’inafferrabilità, caratteristiche della mente che coglie la meraviglia nella realtà e che vengono resi così bene dalla brevità dell’haiku. L’haiku è la massima condensazione linguistica possibile di un “qui-e-ora” e il vuoto che vibra nell’haiku, cioè la parola non detta e intuita, lo stacco che ferma la lettura per aprire spazio alle sensazioni, il concetto che si trasforma in immagine, è uno spazio di pienezza, della pienezza dell’esistenza. In inglese, c’è un gioco di parole: “Qual è il nome del miglior maestro Zen” “M.T. Ness” (si legge come la parola “emptiness”, vuoto). In giapponese, per dire “sì”, si dice “hai”. E noi potremmo dire, giocando con i suoni delle parole: “Conosci il nome del migliore maestro di poesia?” “Hai, Ku” (Si, Ku, il vuoto, l’haiku). Il ritmo Cos’è il ritmo? La parola deriva dal greco rheon, che significa “scorrere”.

E’ il succedersi ordinato nel tempo di forme in movimento. La pulsazione è l’aspetto interno, nascosto, del ritmo. La pulsazione è determinata dall’impulso (es. elettrico). Le pulsazioni uguali non producono un ritmo, per ottenerlo bisogna organizzare le pulsazioni in gruppi, tramite gli accenti. I ritmi che inducono la trance (per es. il ritmo del tamburo sciamanico), invece, hanno tutti la stessa cadenza. La trance può essere indotta con qualsiasi suono non ritmico o in cui il non-ritmo diventa un ritmo in grado di modificare le onde cerebrali: E’ bene ricordare che ogni ritmo cerebrale è caratterizzato da una specifica attività bioelettrica cerebrale che genera correnti elettriche oscillanti di determinata frequenza, le cosiddette onde cerebrali. Quando un soggetto si trova in uno stato mentale caratterizzato da intensa attività cerebrale, ad es. mentre lavora, pratica sport o legge, il ritmo cerebrale che determina tale stato è detto "beta" e le onde cerebrali a esso associate hanno una frequenza compresa tra 30 e 13 Hz, mentre in un soggetto che si trova in uno stato mentale rilassato, a riposo quindi, il ritmo cerebrale è detto "alfa" e le onde cerebrali corrispondenti sono caratterizzate da una frequenza compresa tra 12 e 8 Hz. Lo stato di sonno superficiale, invece, è contraddistinto da un ritmo cerebrale, detto "delta", che si manifesta con la produzione di onde cerebrali di frequenza compresa tra 3 e 1 Hz; nello stato di sonno profondo e in quelli di coscienza modificata, quali la trance, infine, il cervello genera onde cerebrali di tipo theta, caratterizzate da una frequenza compresa tra 7 e 4 Hz. (1 Hertz = 1 volta al secondo). Il ritmo è inscritto nel nostro corpo: cuore, respirazione, sistema nervoso, ormoni,.. Ci sono studi sui ritmi in grado di curare, per es. i campi elettromagnetici pulsati per la ricostruzione ossea. Tutta la nostra vita è immersa nel ritmo, anche se di alcuni non ci rendiamo conto: per es., il nostro apparato visivo (occhio+cervello) patisce frequenze di refresh (rigenerazione dello schermo o frequenza di aggiornamento dello schermo; il numero di volte/secondo in cui viene ridisegnata l’immagine su un display) inferiori a 72Hz, cioè 72 volte al secondo (la frequenza dovrebbe essere di almeno 75Hz per offrire un minore affaticamento della vista). Il ritmo determina un movimento, che determina a sua volta un ritmo, e se aggiungiamo una cadenza armonica percepiamo un senso, la sensazione che qualcosa in noi abbia trovato il suo posto. Tutta la poesia è/ha ritmo, ma nell’haiku, per la sua brevità, lo percepiamo. La poesia “classica” racconta una storia e noi la seguiamo usando funzioni cerebrali razionali (comprensione verbale, consecutio logica di quanto viene esposto,..), ma l’haiku usa altre vie e ci fa usare percezione, creatività, immaginazione, prima di tradurre in razionalità. Proprio come nella musica. L’haiku (come la poesia, la filosofia, l’arte,..) è un modo di vivere: se si impara a sentire e vedere con altri occhi e altre orecchie, a sedare il rumore nella mente, a equilibrare la forma con il vuoto, il detto con il non-detto, resta l’essenza delle cose, senza commenti, non c’è distinzione tra la mente e ciò che si sa e si vede, si può provare, anche solo per un attimo, l’esperienza dell’essere connessi a tutto ciò che ci circonda, senza che il tempo sia un limite. In questo spazio nasce la percezione che si traduce in haiku. HAIKU GIAPPONESI in riferimento alla natura Keiko Higuchi racconta: una volta, vicino alla casa dei miei genitori, c’era un vecchio pino. La gente lo chiamava “oikakematsu”. Significa “un pino che insegue”. Fu tagliato più di 40 anni fa in seguito a qualche progetto di ampliamento della strada. Nessuno, nel nostro villaggio, era contrario. Né lo era la mia famiglia rispetto a questo cambiamento. Ma la notte in cui oikakematsu fu tagliato tenemmo una cerimonia di lutto con il saké. Lo ringraziammo molto per i molti anni di coesistenza con noi. Mia madre credeva che i bambini dovessero tornare a casa prima del tramonto a causa di quest’albero. Aveva abbastanza presenza per spaventare i bambini (ricordo che mi guardavo dietro

alcune volte per essere sicura che l’albero non mi stesse inseguendo). Mio padre scrisse un haiku per questo pino. Sebbene il suo valore letterario sia basso, lo amo molto. *old pine tree (il vecchio pino) he's not just following me (non mi sta inseguendo) he wants to talk (vuole parlare) (oikakete hontowa matsu wa kataritashi) Il vecchio stagno – salta la rana – tonfo d’acqua (Matsuo Basho) Yosa Buson : Il pruno bianco ritorna secco. Notte di luna. Ero soltanto. Ero. Cadeva la neve (Kobayashi Issa ) Jack Kerouac: Gli uccelli cantano nel buio. Alba piovosa. Brace d'Inverno I capelli tuoi Dove il mio cuore brucia (Stephen King) L' Haiga è ogni composizione poetica (Haiku, Senryū, Haikai) abbinata ad una immagine. Io, personalmente e un po’ scherzando con le parole, li ho rinominati “Imm-haiku”, ossia haiku con immagine. Naturalmente l’immagine dev’essere rigorosamente dell’autore dell’Haiku, non presa da Internet o da giornali o altro, in quanto l’intero insieme di immagine e poesia deve risuonare della vibrazione dell’autore, non essere un mosaico. Il Vangelo di Giovanni inizia con le famosissime parole: “En archè en o logos”, comunemente tradotte “In principio era il verbo”. Ma “en archè” non vuol dire “in principio”, o “all’inizio”, bensì significa “A FONDAMENTO DI TUTTO”. E “logos” non è il verbo inteso come parola pronunciata, o come pensiero, bensì E’ LA VIBRAZIONE ORIGINARIA! E il termine “vibrazione” deriva proprio da “verbo”. La vibrazione del Logos è a fondamento, è il Principio di tutto. La vibrazione è un linguaggio, un linguaggio comune a tutto il Creato, ed è proprio la modulazione, la declinazione della Vibrazione originaria che dà la forma e l’esistenza a tutte le cose, plasmandosi nell’arte, nella poesia, nella musica, nella scultura, pittura, architettura… Ma tutte queste arti sono innanzitutto arti NATURALI, ossia in sintonia con la vibrazione originaria, ed emergono dalla Realtà come tali, senza artificiali manipolazioni da parte dell’uomo: così la musica degli uccelli in un bosco, il gioco dei pianeti che si rincorrono nel cosmo, il quadro commovente di un tramonto sul mare, e via così, all’infinito… Certo, l’uomo ha poi interpretato l’Armonia Celeste realizzando opere indimenticabili, come la Nona di Beethoven, la Gioconda, il Partenone, la Divina Commedia, e chi più ne ha, più ne metta: ma sempre seguendo la grammatica nascosta di un’Armonia Superiore! Il vero Artista è l’Universo! Al più, noi possiamo esserne ispirati e creare opere che lo celebrano, ma è Lui il vero Regista!

IL GENIO DI MASARU EMOTO Ai nostri giorni, un grande genio della Visione Olistica ha capito e dimostrato che la Vibrazione dà la forma alle cose: è Masaru Emoto. Emoto che ha rivelato come i cristalli d’acqua assumano forme armoniche in presenza di una vibrazione in sintonia coll’Ordine Supremo del Tao (per esempio, una musica gradevole, ma anche una parola gradevole, come “Pace”, “Gratitudine” , “Amore” I cristalli sono interrotti o asimmetrici in presenza di vibrazioni negative. L’Acqua è pertanto l’interfaccia tra la Vibrazione originaria e le cose create, e per vibrazione si intende anche soltanto l’intenzione non detta, come dimostra sempre Emoto quando ci mostra cristalli armonici creati dal semplice PENSARE un concetto gradevole… E noi, che siamo composti di acqua al 60-70%, possiamo reagire (in quanto la nostra acqua interna reagisce) alle vibrazioni esterne in modo armonico o disarmonico, a seconda dell’influsso esterno che ci raggiunge. L’Acqua è il tramite tra il Logos e la Materia, dunque anche la nostra acqua, e noi stessi, siamo il punto di confine tra la Vibrazione e la realtà comune: noi siamo tutti imperatori del nostro cuore, della nostra interiorità, e sta a noi realizzare un impero di Luce o uno impero fondato su soldataglia e bande. Dobbiamo svegliarci, raggiungere la veglia distesa e serena della Consapevolezza, saper guardare il Tutto per ciò che è, non per ciò che sembra o per ciò che sogniamo che sia! Che la Bella Addormentata si svegli! Comunque stiano le cose, in conclusione, c’è una sola Verità, c’è una sola Luce, c’è un solo Tao: è così, E’ COSI’, e in latino “è così” si dice “ITA EST”, e verrebbe da giocare con le parole e dire “I-TAO EST”, unendo in un fiato solo il Tao, l’Oriente (Est) e il termine “Così”. La mia poesia che segue riprende questo concetto: naturalmente, in sintonia con quanto detto finora, l’ho intitolata “Vuoto”. Quando la scrissi, il lontano 24 Luglio 1975, forse non sapevo cosa stavo scrivendo, sotto dettatura superiore: ora comincio a capirlo. VUOTO Nel secco chiarore dei tempi un albatros grida nel vento Le strida si perdono lente morendo nel fuoco del cielo La vita s’innalza alle stelle Montagne di polvere bianca impalpabile morbida brezza Non sei che una piuma nel mare Non sei che un’idea nell’Immenso Non sei che una voce che grida in silenzio: E’ COSI’ (Alberto Lomuscio, 24/07/1975) Buon volo, buon viaggio, buon percorso. Luce nel cuore a tutti.