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1/24 Realtà o Illusione, Caso o Destino? Il Segreto dei Numeri Primi: L’Universo nei numeri ed i numeri nel Universo Prof. Gerardo IOVANE La luce della conoscenza irradiandosi e propagandosi può illuminare anche l’oscurità più estesa e profonda Scritto in occasione ed in onore della visita in Italia di Sua Eminenza Admor Dov Riger Ha Cohen Gran Maestro Spirituale dell’Ordine Spirituale United Order of Light (Cagliari 26 Maggio 2014)

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Realtà o Illusione, Caso o Destino? Il Segreto dei Numeri Primi:

L’Universo nei numeri ed i numeri nel Universo

Prof. Gerardo IOVANE

La luce della conoscenza irradiandosi e propagandosi può illuminare anche l’oscurità più estesa e profonda

Scritto in occasione ed in onore della visita in Italia di Sua Eminenza Admor Dov Riger Ha Cohen

Gran Maestro Spirituale dell’Ordine Spirituale United Order of Light

(Cagliari 26 Maggio 2014)

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1. Introduzione Viviamo in tre Universi concentrici.

1. Il più piccolo è l’Universo materiale: si tratta di quello che vediamo, sentiamo, udiamo, tocchiamo, gustiamo e odoriamo; esso è finito nello spazio e nel tempo;

2. Più grande, concentrico e contenente il precedente è l’Universo energetico: lo vediamo solo parzialmente, ma la parte invisibile prepotentemente e con forza ci domina; è questo l’Universo delle forze visibili e non visibili: vediamo la luce e quindi l’elettromagnetismo, ma non vediamo le altre tre forze o interazioni fondamentali, la forza di gravità, la forza nucleare forte e la forza nucleare debole. Certo il non vederle non vuol dire che non esistano. Pensate al fatto che in questo momento ci stiamo muovendo ad oltre 100.000 chilometri orari intorno al Sole ed a circa 1700 chilometri orari su noi stessi: eppure io ho la percezione/sensazione di essere seduto e descrivere quanto sto facendo. Cosa è reale e cosa è un’illusione? E’ reale che mi stia muovendo a tale velocità, mentre è un’illusione che sia fermo o viceversa, la Terra è ferma e questa gravità di cui si parla è solo una frottola inventata da Newton. Io credo che anche quelli più scettici circa l’esistenza di questa forza invisibile, avrebbero difficoltà a gettarsi dal decimo piano di un edificio per dimostrare che la gravità non esiste poiché esiste solo ciò che si vede. Così come avete mai visto i raggi X o sentito il loro odore? Ovviamente no, eppure esposizioni prolungate possono ucciderci. Impariamo quindi che l’Universo in cui viviamo è piu’ grande di quello osservabile, ma soprattutto che quello che non vediamo non è detto che non esista, tanto è che ne sperimentiamo gli effetti. Tenuto conto che alcuni dei campi di forze suddetti – come la gravità - non sono schermati, ciò vuol dire che questo secondo Universo è Infinito nello Spazio; inoltre, è anche Infinito nel tempo visto che o continuerà ad espandersi all’infinito o si contrarrà fino a diventare estremamente piccolo per poi riesplodere secondo le teorie estese della gravitazione in un ciclico divenire infinito.

3. Infine, il più grande dei tre Universi, ma anche il più piccolo è quello di una forma di energia sottile che diciamo animare il nostro esistere; tale forma di energia che la si chiami anima, spirito o altro evidentemente non risponde alle leggi della fisica classica che conosciamo, genera lo spazio-tempo e lo supera, così come descritto nella teoria di Einstein-Rosen nota come Ponte di Einstein-Rosen. Questo Universo grazie alle singolarità topologiche create attraverso i Ponti di Einstein-Rosen, permette ad entità energetiche sottili come lo spirito di muoversi a velocità superiori a quelle della luce apparentemente. Di fatto non c’è né velocità né moto. In questo Universo tutto è immobile, l’Universo non è esteso è piuttosto un punto ed è qui che è in equilibrio e vive l’anima universale. In altre parole, questi ponti rappresentano si comportano come delle porte lungo un corridoio, questa energia sottile che chiamiamo spirito, quando c’è consapevolezza nell’aprire queste porte ci proietta in spazi-tempi diversi. E’ come dire che dietro ogni portà c’è un Universo, un mondo ed una storia diversa. Per muoversi dall’uno all’altro ci vorrebbero km e km ed anni forse secoli o millenni, mentre per lo spirito si tratta solo di una breve, brevissima passeggiata lungo il corridoio e dell’apertura di una porta per affacciarsi in un nuovo mondo.

Idea bizzarra, vero? Forse non troppo, ma arriviamoci per gradi. Cominciamo a parlare di cose semplici, di numeri ad esempio. Parlare di numeri può sembrare banale poiché significa parlare del tutto o del niente, può sembrare arido poiché molto spesso la Matematica ci appare così, ma questa volta parlare dei numeri vuol dire parlare dell’uomo; un uomo che nel corso dei millenni ha compreso come la sua evoluzione dipendesse dalla capacità di riconoscere nella realtà che lo circonda non solo proprietà ed aspetti

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qualitativi, ma quantitativi. In ogni disciplina scientifica o umanistica prima o poi si avverte la necessità di quantificare qualcosa, di descriverla attraverso un attributo che ci permetta di dire che è piu’ o meno di qualcos’altro ed ecco allora che i numeri intesi matematicamente come entità astratte entrano nel quotidiano e ci accompagnano nelle nostre attività. Molti di noi dicono di non essere portati per la Matematica senza accorgersi che forse ne sono l’espressione piu’ armonica e bella. Altri, invece, si accorgono subito che dietro quell’apparente aridità si cela un mondo di estrema bellezza, fatto di armonie, energie e simmetrie senza eguali in natura. Ricordo un maestro delle scuole elementari che un giorno entrando nella classe elementare seconda al fine di far comprendere agli allievi l’importanza delle cifre e della loro posizione chiese se lo zero fosse importante: in molti risposero di no, poiche’ gia’ mentalmente viziati dal pregiudizio del valore, uno fra loro disse invece che lo zero o meglio gli zeri potevano avere un ruolo fondamentale; infatti, l’unione di tanti zeri preceduti da un solo uno avrebbe realizzato un numero molto piu’ grande di qualsiasi delle altre cifre dall’uno al nove. Questo esempio vuole solo far riflettere su come nel processo di crescita forse tendenzialmente ci allontaniamo da un’essenza individuale che è in piena armonia con la natura e l’universo che ci circonda. I numeri sono molto piu’ simili agli esseri viventi di quanto possiamo immaginare. Essi molto spesso sono simili tra loro, ma diversi l’uno dall’altro proprio come accade per gli uomini. L’uomo nei secoli si è evoluto al punto di sopraffare tutte gli altri esseri viventi, divenendo il dominatore indiscusso tra i predatori, ha conquistato la terra, l’acqua, l’aria ed il fuoco e persino lo spazio, ma su due aspetti e’ ancora a lavoro: il tempo ed i numeri. Questi due concetti tanto diversi il primo un’entità fisica il secondo una matematica sono stati gli unici elementi cognitivi che non hanno lasciato il passo all’uomo ed allora forse vale la pena interessarci un po’ di piu’ a loro, poiche’ conoscendoli meglio forse conosceremo qualcosa in piu’ su noi stessi.

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2. Il tempo ed i numeri Il tempo, eterno forse come le problematiche che costantemente ha rappresentato nel dibattito filosofico e scientifico, è per alcuni un concetto chiaro, esplicitamente definito e facilmente schematizzabile in passato, presente e futuro; per altri una quantità con la quale descrivere il regolare evolversi del contesto in cui viviamo, per altri ancora il migliore o il peggiore dei nemici . Gli Antichi Greci vedevano nel tempo la misura del perdurare delle cose mutevoli, la musica e il battito scelto per la ritmica della natura. Nella tradizione orfica il tempo e la memoria rappresentano le nuove dimensioni spirituali che aiutano l’uomo nella difficile rinuncia del mondano. Crono, infatti, padre di tutte le cose, ci spinge al conseguimento della salvezza dell’anima manifestandoci i cicli del tempo, attraverso lo spettacolo seducente della natura. Una trattazione filosofica vera e propria del tempo la si trova nel Timeo di Platone dove il tempo è “l’immagine mobile dell’eternità”, una traduzione visibile di un’anima che per sua natura è invisibile. Lo stesso Aristotele legherà il tempo allo spirito umano che anima la vita, scrivendo che esso è il “numerato ed il numerabile”, cioè manifestazioni del numerante che è l’anima. Il suo insegnamento non crea alcun dubbio quando afferma: “se è vero che nella natura delle cose soltanto l’anima o l’intelletto che è in essa hanno la capacità di numerare, risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima”. Per misurare il tempo, all’inizio l’ispirazione venne dalla luna; infatti, ventimila anni fa, i cacciatori segnavano con tacche incise sulle ossa o sulle pareti delle caverne il passare dei giorni fra le varie fasi del ciclo lunare. Anche i Sumeri ed i Babilonesi circa cinquantamila anni orsono utilizzavano il nostro satellite per misurare il tempo. Ma seimila anni fa la misura del tempo cambiò drasticamente; infatti, in quell’epoca gli Egizi cominciarono ad utilizzare il levarsi di Sirio vicino al Sole ogni 365 giorni per misurare il trascorrere del tempo. C’è addirittura chi è riuscito a definire tempi immaginari o viaggi nel tempo. Quindi, si potrebbe dire che il tempo è un concetto primitivo; eppure la maggior parte degli esseri umani dice di saperlo misurare. Già nel XIV secolo è presente il primo orologio meccanico; ed in verità sono in pochi a lamentarsi della precisione degli orologi moderni, anche se spesso ci sembra che corrano più di quanto vorremmo. Esistono addirittura orologi naturali, più precisi di ogni altro orologio che l’uomo abbia mai costruito: le pulsar, stelle, cioè, che emettono fotoni con impulsi periodici, la cui precisione è tale che risulta difficile cronometrarle con precisione. Gli stessi orologi al quarzo, che sono quelli di uso più comune, si rivelano anch’essi inadeguati per numerose applicazioni scientifiche, come la verifica della Teoria della Relatività di Einstein. Secondo tale teoria, la gravità distorce sia lo spazio che il tempo. In particolare, la differenza di potenziale gravitazionale fa sì che nell’alta atmosfera il tempo passi più velocemente che a terra (chiaramente la differenza è minima). Per esempio, per misurare che sulla vetta dell’Everest (8848 metri sopra il livello del mare) il tempo scorre 30 milionesimi di secondo all’anno più in fretta che al livello del mare è stato necessario utilizzare gli orologi atomici, che sfruttano la quantizzazione dei livelli di energia degli atomi e delle molecole. Fino all’inizio del secolo si pensava, quindi, che il tempo potesse essere considerato omogeneo ed isotropo, ma che soprattutto scorresse in modo lineare. Con Sant’Agostino, infatti, il pensiero cristiano aveva abbandonato l’idea pagana di un tempo ciclico, considerandolo piuttosto lineare e progressivo. Galileo, inoltre, contribuì, anche da un punto di vista scientifico, a tale visione rileggendo il tempo come una serie idealmente reversibile di istanti successivi. Oggi, con la Teoria della Relatività Generale e con gli attuali modelli cosmologici sappiamo che esso può accelerare, rallentare ed addirittura invertirsi se relazionato al campo gravitazionale generato da oggetti astronomici, come ammassi di galassie e buchi neri . In altre parole, il tempo

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può non essere più lineare, anche se però nella meccanica moderna è rimasto come nella meccanica classica una sorta di reversibilità dei processi; cioè, una particella può dare vita ad una coppia speculare di altre due particelle e viceversa tale coppia può annichilirsi originando quella particella che prima incontravamo allo stato iniziale. E’ come se le leggi della meccanica fossero incise su di una pellicola fotografica che potete far scorrere in avanti ed all’indietro e capire in entrambi i casi la vicenda che è raccontata nel film. Per fortuna, c’è una dinamica più generale che considera la natura da un punto di vista statistico in cui il tempo recupera la sua direzionalità: è la termodinamica. Infatti, essa ci fa osservare che l’evoluzione del tempo va ricercata nella irreversibilità dei processi macroscopici. In parole semplici, se all’inizio avete un bicchiere di latte ed uno di caffé e li mescolate dando vita ad una tazza di cappuccino, allora è estremamente improbabile, o se preferite ci vorrà un tempo infinitamente grande, affinché il latte e il caffé siano di nuovo separati. Da un punto di vista scientifico, il cappuccino è uno stato più disordinato rispetto al latte e al caffé considerati singolarmente: quindi, è possibile misurare l’evolvere del tempo distinguendo, così, il passato dal futuro per una realtà macroscopica attraverso la misura del disordine che è presente nell’universo considerato. Oggi, da un punto di vista fisico sembra chiaro allora che il tempo sia non lineare ed inoltre che per sistemi macroscopici possa identificarsi un tempo passato, presente e futuro. Alla luce di quanto osservato, sembra possibile e significativa la critica che Kant sosteneva contro una visione dogmatica del tempo lasciandoci intendere che il tempo rappresenta la forma trascendentale per eccellenza nella costituzione dell’ ”oggettività del conoscere”. Eppure la percezione che ha l’uomo del tempo sembra qualcosa di diverso. La dimensione psicologica del giorno, tanto più lungo quanto più tormentato, parrebbe un’astrazione di fronte ai giorni che sembrano scorrere tutti uguali. Ciò che l’uomo pensa del tempo deve con ogni probabilità ascriversi ad una questione di identità personale e di processo di apprendimento relazionato agli input esterni . L’uomo si è istintivamente creato fin dall’antichità un orologio interno sulla base dei fenomeni periodici naturali; in altri termini, la nostra idea del tempo dipende quasi esclusivamente dal mondo esterno. Viceversa, per Newton “il tempo assoluto vero e matematico in se e per sua natura, senza relazione a nulla di estraneo, fluisce uniformemente e con altro nome si chiama durata. Il tempo relativo apparente e volgare è la misura sensibile ed esterna di una parte qualunque della durata uguale ed ineguale, che volgarmente si usa al posto del tempo vero: come l’ora, il giorno, il mese, l’anno”. In passato, i fisici hanno addirittura formulato una sorta di principio di indeterminazione secondo il quale c’è una relazione tra la non conservazione dell’energia ed i piccoli intervalli di tempo. In altre parole, l’Universo potrebbe essere nato dal nulla grazie ad una piccola fluttuazione del vuoto in cui non conservandosi l’energia si sarebbe potuto creare il seme di quello spazio tempo che conosciamo: chiamiamolo pure big bang. Oggi, nella cosmologia di stringa si elimina la singolarità iniziale, cioè la nascita del tempo e dello spazio interpretando il big bang e l'espansione dell'universo come la naturale continuazione di un processo precedente di contrazione; una tale visione riporta alla ciclicità o alle stagioni universali . Una critica al concetto di tempo fisico, però, arrivò ancor prima della teoria della relatività ristretta di Einstein da Bergson quando scrisse nel 1889 il “Saggio sui dati immediati della coscienza”. Egli nelle sue opere lascia intendere che il tempo è pura successione di istanti che si susseguono in modo ordinato, cioè, passato, presente e futuro; nella nostra coscienza il tempo è, invece, un fluido che conserva il passato creando il futuro. Da questo punto di vista si ha una visione positiva del fluire del tempo; infatti, esso non è un principio di dissoluzione e distribuzione, l’elemento in cui le idee e gli ideali perdono il loro valore, la vita e lo spirito, ma anzi è l’intelaiatura del nostro divenire, visto non più come la somma dei singoli momenti della nostra vita, ma il prodotto dei nuovi aspetti che essi acquistano ad ogni nuovo momento. Insomma, sembra quasi di parlare di due cose diverse: da una parte qualcosa di misurabile facilmente attraverso l’evolversi delle cose, dall’altra, invece, ogni definizione sembra essere troppo

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restrittiva. In quest’ultima affermazione c’è forse la risposta a questi nostri interrogativi; infatti, ogni qualvolta che cerchiamo di descrivere la quotidianità che ci circonda facciamo riferimento ad un tempo che esiste o come passato o come presente o futuro. Si pensi, infatti, a quello che ho scritto nelle ultime cinque righe: “evolversi”, “quotidianità”; per non contare poi l’utilizzo di espressioni atte a descrivere il trascorrere del tempo con estensioni spaziali del tipo: “nelle ultime cinque righe”. Chissà quante altre definizioni si potrebbero dare del “tempo”, forse centinaia di pagine non basterebbero a definirlo se non operativamente proprio perché la sua natura è di essere infinito. Io credo che il tempo sia la più grande sfida per l’uomo; il vero confronto con i limiti del pensare, ma soprattutto dell’essere. Esso è ciò che circoscrive le nostre azioni, che condiziona i nostri comportamenti, che ci rende finiti mettendoci a confronto con entità altrettanto finite, ma tanto grandi da sembrarci infinite e sempre diverse . Avete mai pensato al tempo come un concetto finito e semmai estremamente piccolo? Una tale interpretazione è accettabile; infatti, in fondo tutte le più grandi o piccole idee sono il frutto di un’intuizione avvenuta in un istante, in un intervallo di tempo infinitesimo e ad una serie di riflessioni successive e temporalmente delocalizzate, ma quando ormai era già tutto prestabilito e ben definito: come disegnare un quadro la cui immagine è già presente nella nostra mente con tutti i suoi dettagli, colori e sfumature. Così, il tempo che noi definiamo non sarebbe altro se non il propagarsi di un’entità istantaneamente circoscritta, ma così piccola da non poterla misurare. Proprio come il concetto di punto materiale: qualcuno ha mai pensato di misurare la sua estensione? Ovviamente no. E’ l’uomo, quindi, che per la sua natura finita, circoscrive il concetto di tempo, lo proietta in quella che lui chiama realtà; esso è; è e basta: proprio come Dio per i credenti. Se il tempo fosse proprio Dio? Perché no; nella formulazione quadridimensionale della relatività non c’è differenza tra le coordinate spaziali x, y, z, ed il tempo t: esse, infatti sono tutte insieme le componenti di un quadrivettore posizione che ci permette di individuare un evento in una determinata posizione e ad un determinato istante di tempo. Quindi, perché Dio dovrebbe avere un’estensione spaziale e non temporale o perché non entrambe? Se però si pensa al concetto di tempo come istante ed alle riflessioni umane come il manifestarsi di un’intuizione fulminea allora Dio non avrebbe motivo di essere spazialmente sarebbe solo tempo. Ci avevate mai pensato? Purtroppo anche le bellissime idee della relatività ristretta non soddisfano sufficientemente la mente umana; sicuramente tali idee ben formulate rappresentano una migliore approssimazione della realtà in cui siamo immersi. Oggi è noto a tutti che due persone che si muovono con diverse velocità relativistiche misurano tempi diversi, ma qui abbiamo già definito operativamente il tempo e ciò è lo scopo dei fisici che vogliono dare un’interpretazione della realtà, ma tali riflessioni sono qualcosa di diverso; esse cercano, infatti, di individuare e analizzare la relazione tempo - pensiero. Per avere un’idea si può analizzare quanto segue: Lo scorso Natale ci incontreremo a Roma. Un maestro delle elementari sicuramente segnerebbe in blu un tale errore, poiché vi è un conflitto tra il verbo al futuro e l’espressione che fa chiaramente riferimento al passato. Chiunque studi, invece, le teorie sulla nascita e l’evoluzione dell’Universo, starebbe attento a segnare tale affermazione come errore poiché essa, in particolari condizioni, avrebbe senso. Infatti, considerando il big crunch, cioè la contrazione dell’Universo ottenuta da un’inversione della freccia temporale seguita alla massima espansione dell’Universo, il tempo evolverebbe al contrario e quindi l’affermazione sarebbe corretta, poiché il futuro in questo caso risulterebbe precedente rispetto al passato. Ma che idea bizzarra ! Per fortuna che c’è la termodinamica altrimenti qualcuno potrebbe dire di essere andato al suo funerale il giorno prima della sua nascita.

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Emerge, quindi, che la definizione stessa di tempo è “forse” corretta nella vita quotidiana, ma non è legata al concetto primitivo di tempo: ciò che la nostra mente pensa del tempo è qualcos’altro; qualcosa di esteticamente più bello, intrinsecamente più profondo: esso è ciò che riesce a creare le più forti emozioni con le sue repentine accelerazioni. Il tempo riesce, in ogni caso e dovunque, a donarci forse la più grande certezza concessaci, forse l’unica per la quale abbia veramente senso definirlo: esso ci fa sentire vivi, alimentando continuamente e disordinatamente le nostre più forti emozioni. Riflettendo per un istante forse anche su quel disordinatamente ci sarebbe da dire qualcosa. Potrebbe quello che noi percepiamo e definiamo disordinato avere un ordine che va oltre la percezione individuale umana? Allora è proprio Dio. Ma per chi non crede in Dio cos’è il tempo? Quello che si misura con l’orologio? All’inizio di questa riflessione probabilmente avevamo un’idea chiara su cosa fosse il tempo, mentre via via che ripercorrevamo le diverse tappe storiche ci siamo accorti che forse nel tempo c’è molto di piu’ di cio’ che credevamo. Allora quando si confondono le idee forse la cosa migliore è ripartire dall’inizio e fare un passo alla volta per meglio comprendere il percorso. Per Platone il tempo è “l’immagine mobile dell’eternità” e pertanto trascende l’uomo, una traduzione visibile di un’anima che per sua natura è invisibile. Aristotele lega il tempo allo spirito umano che anima la vita, scrivendo che esso è il “numerato ed il numerabile”, cioè manifestazioni del numerante che è l’anima. Appare subito chiara la vicina tra l’ente numero e l’ente tempo. Entrambi verranno studiati fino ai nostri giorni da studiosi di tutto il mondo ottenendo sempre nuovi punti di vista. A tal punto viene da chiedersi: a che punto siamo? Diversi Millenni di storia della Matematica hanno portato ai progressi che sperimentiamo giorno per giorno dalla telefonia mobile, alle reti wireless fino alle comunicazioni satellitari, ma cosa dire dell’enigma dei numeri primi?

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3. I Numeri Primi ed il Caos Fin dai primi anni di scuola ci insegnano che i numeri possono dividersi in due categorie i numeri pari ed i numeri dispari, oppure i numeri primi, ovvero quelli divisibili per se stessi e per uno ed i numeri compositi, ovvero quei numeri che possono scriversi come il prodotto di altri. Pertanto, la sequenza dei numeri primi comincia così: 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19, 23, 29, 31, 37, 41, 43, 47, 53, etc. Nei diversi millenni abbiamo provato diverse strade per trovare un meccanismo che permettesse di comprendere se tale sequenza fosse casuale oppure no, ovvero se ci fosse un determinismo o il battito dei primi avvenisse in modo casuale. Fino al 2007 la risposta è sempre stata la stessa ovvero che quella sequenza non aveva una regola precisa. Non e’ diffcile convincersi di cio’; infatti, se guardiamo alla sequenza appena scritta e calcoliamo la differenza tra un numero primo ed il successivo otteniamo: 1, 2, 2, 4, 2, 4, 2, 4, 6, 2, 6, 4, 2, 4, 6. Piu’ si va avanti e piu’ le cose si complicano. Pertanto, col passare del tempo ci si è convinti che la sequenza fosse casuale. Per i Matematici accettare che la Matematica - Scienza esatta per eccellenza tra le Scienze Esatte - si basasse su un principio di casualità deve essere stato un brutto colpo. Milioni di teoremi dimostrati, rigore estremo nel descrivere i passaggi di una dimostrazione eppure l’aritmetica, ovvero la prima branca con cui ogni uomo comincia il suo percorso in Matematica si basa sul caos? Ci siamo così convinti della casualità della sequenza dei numeri primi e sulla non prevedibilità del numero primo successivo all’ultimo noto che alla fine - nell’era dell’informazione - per proteggere i nostri dati abbiamo basato, la maggior parte degli algoritmi di cifratura e codifica delle informazioni proprio su tale casualità. La domanda sorge spontanea: se invece di casualità si trattasse di inconsapevolezza epocale e di armoniosa e semplice complessità? Detto in altri termini, cosa accadrebbe se si scoprisse che la generazione dei numeri primi risponde ad una logica deterministica? Sarebbe la piu’ grande conquista della Matematica Contemporanea, con un impatto sulle informazioni a dir poco sconvolgente. Eppure guadando con attenzione la sequenza dei numeri primi sembra davvero casuale, come è possibile che in tanti secoli di Matematica nessuno si sia accorto che poteva esserci uno schema, un ordine superiore, una simmetria apparentemente occulta? Per rispondere a tale domanda dobbiamo affinare la nostra capacità di guardare al caos e saperlo distinguere dal complesso. Quando si parla di questi due concetti chiaramente contrari si è portati spesso a pensare del secondo come qualcosa di estremamente regolare ed armonico, che manifesta la sua bellezza attraverso la perfetta simmetria degli elementi che lo compongono: si pensi a tale proposito alla bellezza dei frattali simili a se stessi ad ogni scala ma apparentemente articolati all’estremo, frastagliati, fortemente irregolari; del primo ovvero del caos, invece, alcuni ne hanno una percezione fastidiosa, incongruente, brutta; altri riescono a scorgere ugualmente la sua bellezza: una bellezza che sembra manifestarsi in una dimensione sensoriale non accessibile a tutti. Parlare e scrivere, ad esempio, sono modi ordinati per codificare ed organizzare le nostre riflessioni, eppure non sempre quello che si dice e si scrive è chiaro per l’interlocutore. Nei secoli scorsi molti sono stati i filosofi, gli scienziati e le persone comuni che hanno dimostrato di appartenere al primo o al secondo di questi concetti, di questi modi di pensare e di essere. Parmenide, ad esempio, scriveva : “Non esiste nulla al di fuori dell’Uno, Essere immobile, Unico, Intero ed Ingenerato ”. Chiaramente si tratta di una visione ordinata della realtà e della natura nella sua interezza. Per Eraclito, invece, non era così; si pensi, infatti, a Panta Rei: tutto scorre, cioè disordine vuol dire vita. Il disordine è, quindi, l’apparire delle cose, è un’illusione dei sensi, è la molteplicità della realtà in cui siamo immersi. A tal punto viene naturale porsi alcune domande. -Possono ordine e disordine essere manifestazioni diverse di un’entità comune, di una simmetria superiore non percettibile dalle attività umane?

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-Le componenti naturali della realtà, nel contesto in cui viviamo, sono davvero sempre ordinate o disordinate, senza alcuna possibilità che il disordine possa trovare una sua collocazione ordinata in un contesto più ampio, più generale, più simmetrico ed armonico? -Realtà apparentemente disordinate e scorrelate tra loro viste nel contesto che ci sembra più naturale, più comune, più semplice, potrebbero essere, invece, elementi regolarmente ordinati in una struttura autoconsistente comune? Per rispondere a tali domande seguiamo il seguente procedimento logico e cerchiamo di trarne delle deduzioni. Supponiamo che qualcuno ci regali un puzzle senza darci la figura alla quale arriveremo solo alla fine della nostra esperienza. All’inizio sarà un disordine completo; avremo mille o più pezzi senza alcun nesso; tante forme diverse, colori diversi, sfumature diverse, ma tutti tasselli di uno stesso mosaico. Lo spirito di inventiva che è in ognuno, l’entusiasmo di trovare una risposta, la ricerca di una maggiore armonia ci porteranno a selezionare quei singoli pezzi secondo regole indipendenti tra loro: per esempio, assoceremo prima quelli con lo stesso colore, poi cercheremo di scorgere una particolare sfumatura ottenendo così tanti sottocampioni nei diversi colori; infine, cercheremo di capire se alcuni di quei pezzi messi insieme possano formare una qualche immagine che abbiamo già visto: un albero, una casa, un lago, il mare, il cielo, l’Universo. Ecco, quindi, che quelle mille componenti del puzzle cominciano a manifestarsi come entità non più autonome ed indipendenti, ma essenziali elementi di una qualche struttura più grande. Alla fine, riusciremo addirittura a trovare una particolare ed unica relazione che incastra e connette tutti quei pezzi, tutte quelle tessere di uno stesso mosaico, che si manifesterà nella bellezza di una casa su un lago sotto l’azzurro cielo che all’alba ancora lascia scorgere qualche stella dell’Universo. Stella che, come un granello di sabbia viene portato via dal vento, così, scomparirà al levarsi del Sole. Chi avrebbe mai pensato che quei mille tasselli di un qualche colore, con qualche riga qua e là potessero manifestarsi in una tale armonia. Ecco, quindi, come tanti pezzi, entità indipendenti senza alcun ordine, senza una particolare connessione, soggetti del più totale disordine hanno trovato ordine ed armonia in una simmetria superiore: quella dell’immagine appena descritta. Eppure colui che ci aveva donato il puzzle aveva già pregustato l’emozione che ne sarebbe derivata dalla continua scoperta di armonia nel costruire i singoli soggetti del quadro: opera che si sarebbe conclusa con la contemplazione e la proiezione individuale nel contesto descritto da quel sereno paesaggio. Completato tale progetto, dopo tanto lavoro, come negare, infatti, allo scopritore di poter essere egli stesso parte di ciò che era stato capace di costruire e percepire, di quel sereno disegno a lui sconosciuto all’inizio, di quel paradiso che adesso gli si manifestava nella sua interezza e maestosità? Ma questo era solo un puzzle fatto di un numero finito, anche se grande, di tessere e quindi era facile trovare in quel disordine, l’ordine iniziale. Cosa diversa è la vita; essa è fatta di infiniti tasselli; essa non è complessa è caotica, non soggetta ad alcuna legge se non a quelle dettate dalla giurisprudenza o formulate dagli scienziati nei vari settori della conoscenza al fine di spiegare un insieme di comportamenti e fenomeni in contesti particolari e circoscritti. Ma sarà davvero così e soprattutto è stato sempre così ? All’inizio l’uomo non sapeva comunicare con gli altri simili, non capiva cosa fossero le regole di una società civile, oggi, invece abbiamo codici che regolano il comportamento del singolo e della comunità in quasi ogni possibile situazione prevedibile e qualora ciò non fosse possibile ci si affida al buon senso. Ma anche a tal riguardo ci sarebbe da dire qualcosa. Esso è forse la capacità di capire se la distanza tra due automobili è venti, quaranta o sessanta metri ? Capire se il suono ovvero la nota emessa da un violino è un do o un re ? Capire se un vino è di buona o pessima qualità ? No di certo; stiamo parlando di quell’ereditarietà che ci permette di dire che secondo coscienza una cosa è giusta o sbagliata! Infatti, è proprio questo processo evolutivo che ci ha permesso di raggiungere tanti traguardi ed a volte fare meno errori di quanti se ne commettessero in passato.

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Quindi, l’uomo ha imparato, oltre che a regolare la propria vita con precisi dettati, ad essere deduttivo e quindi prevedere nuove possibilità e manifestazioni del proprio Io e dei propri comportamenti che in qualche modo disciplinerà nel prossimo futuro. La Società, dunque, ci ordina, ci sincronizza fin dalla nascita: per un neonato c’è l’ora della “poppata” e l’ora per andare a letto; in seguito, ci sarà l’ora per andare a scuola e quella per andare a lavoro; e perché no: c’è Agosto per andare in ferie. Guai se non fosse così, poiché in tal caso il caos ed il disordine rappresenterebbero lo stato di massima brutalità ed inciviltà. Va aggiunto, però, che se non ci fossero stati uomini come Sant'Agostino, Newton, Kant, Hegel, Gauss ed Einstein che pensavano diversamente dal senso comune dell’epoca, oggi, non avremmo avuto delle così belle teorie ed invenzioni. Quindi, bisogna saper distinguere tra pensare e vivere. La vita interiore di ognuno per quanto ordinata o disordinata possa apparire ai nostri occhi ha una bellezza ed armonia intrinseca; il vivere comune, invece, è una manifestazione d’insieme e pertanto soggetta a precise regole. Un diamante, infatti, non sarebbe così bello se non fosse una struttura perfettamente ordinata di atomi. Allora viene naturale chiedersi se è vero come è vero che il vivere comune è una manifestazione d’insieme soggetta a precise regole, se noi chiamiamo insieme dei numeri primi la collezione di quei numeri che godono della proprietà di essere divisibili per uno e per se stessi vorrà dire che essi rispondono a regole precise, ma se è così allora prima o poi dovremo essere in grado di considerare la sequenza dei primi non piu’ casuale, ma rispondente a precise regole. I grandi pensatori del passato hanno cercato di trovare proprio quest’ordine superiore; quelle leggi, cioè, che potessero spiegare in modo unitario il naturale evolversi delle cose: non più oggetti in se, ma elementi naturali che seguivano particolari leggi universali. A tal proposito, si pensi al concetto di limite matematico. Esso é ciò che crea le maggiori emozioni nella scienza come nella vita: non c’è niente di più stimolante che essere vicini al raggiungimento di qualcosa, quasi toccarla senza mai poterla raggiungere sapendo, ciò nonostante, di essere ciò che gli è più infinitamente vicino. In tal caso bisogna parlare di ordine o di disordine? Gli scienziati si sono inventati una grandezza chiamata entropia che misura il disordine che c’è nell’Universo; in ogni caso, essa non dà alcuna risposta riguardo alle domande che ci poniamo leggendo i classici greci secondo i quali l’Universo nasce dal caos e ritorna al caos: ” pulvis es et in pulverem reverteris”. Avevano ragione o si sbagliavano? La domanda è ancora attuale. Ciò che possiamo dire è che se l’uomo riesce ad essere puntuale agli appuntamenti, nonostante il traffico incessante ed i contrattempi che si incontrano, allora ha imparato a condursi e districarsi nel più completo disordine e ci sono buone possibilità che possa comprendere a fondo anche i concetti scientifici di caos e di disordine raggiungendo così la comprensione di una realtà più ordinata. Ma tornando al nostro puzzle, adesso, ci rendiamo conto che l’uomo primitivo non era così diverso nella sua individualità da uno di quei tasselli del mosaico ed inoltre i codici giuridici o leggi fisiche non sono così diverse dalle prime leggi che ci hanno permesso di dividere i pezzi del puzzle per colori, sfumature e soggetto fino ad arrivare a delle strutture quasi autoconsistenti come la casa, il cielo o il lago. Quindi, i diversi campi della conoscenza sono qualcosa di analogo alle scelte che abbiamo fatto per ottenere l’immagine finale. Va detto, comunque, che ciò è vero in prima approssimazione: il legame tra le due realtà, quella virtuale dell’immagine e quella in cui viviamo è davvero molto forte. Un’analisi più dettagliata ed attenta, però, ci fa capire che c’è ancora una differenza sostanziale; la prima rappresenta una visione statica che si armonizza in se, in un’immagine che non vive nel passato o nel futuro, ma che trova la sua completa esteriorizzazione in un istante preciso: quello in cui viene completato il mosaico e mai più; l’immagine della vita, invece, è un mosaico dinamico in cui al sorgere del Sole sicuramente seguirà il suo tramonto e poi ancora una nuova alba. Un’alba, questa , che potrebbe essere quella del giorno dopo per un non credente o l’ascesa in Paradiso al fianco di Dio per colui che crede.

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Così sarebbe Lui ad averci donato il mosaico della vita! Ma per chi non crede, di quale mosaico stiamo parlando e soprattutto di quale Creatore? Disordine solo disordine, l’ordine non è di questo caotico mondo in cui siamo costretti a sopportare chissà quali sacrifici ancora. Se è vero, però, che il disordine è animato dalle differenze, cosa accadrà se o quando tutto sarà in pari, quando l’entropia sarà massima, l’energia completamente degradata, i quark frammentati e lo spazio sarà uguale a se stesso in ogni suo punto? Ordine e disordine allora saranno la stessa cosa: manifestazioni diverse, contrarie e speculari della stessa entità. A tal proposito Nietzsche diceva: “ Solo quando il tragico ed il comico si incontrano si ottiene il sublime”. Così, solo quando ordine e disordine si manifestano e si mescolano tra loro si ottengono le più forti emozioni che alimentano, a volte ordinatamente, a volte disordinatamente, le nostre azioni. In questo contesto non c’è alcuna differenza tra credente e non credente, poiché entrambi saranno elementi del puzzle, senza poterne percepire la sua completezza. Infatti, nell’analisi fatta precedentemente noi eravamo protagonisti assieme a colui che ci aveva regalato il mosaico ed i singoli elementi erano oggetti per la realizzazione delle nostre scoperte, delle nostre sfide, delle nostre conquiste ed infine della nostra contemplazione nella loro armonica unità. Viceversa, nella vita siamo noi gli elementi del puzzle, i tasselli del mosaico. Ma siamo davvero convinti di ciò? Non lasciamoci ingannare dal meccanicismo di questo processo cognitivo; la differenza tra un credente ed un non credente l’abbiamo appena descritta nelle ultime righe. Essa è proprio nell’essere e nel sentirsi parte integrante per la realizzazione di un Progetto, la cui unica essenza non è la sua grandezza, la sua evoluzione, il suo manifestarsi, ma l’Esistenza stessa, il compiersi di un cammino verso ed oltre la conoscenza, la comprensione e la percezione della sconfinata realtà che ci circonda, un cammino insomma nella luce verso la sorgente: sempre la stessa realtà, dunque; sempre le stesse manifestazioni, ma sempre più comprensione e compenetrazione di ciò che ci muove a volte anche apparentemente in modo disordinato, sempre più luminosità e nitidezza. Da queste considerazioni quale insegnamento possiamo trarre relativamente ai numeri primi? Avrebbe senso considerarli come elementi di un processo dinamico? Detto in altre parole, se invece che vederli come entità singole provassimo a considerarli come delle pietre miliari di un processo dinamico, tasselli di un mosaico? In tal caso, il processo sarebbe il meccanismo di generazione dei numeri primi e si tratterebbe di analizzare se tale processo è deterministico o stocastico.

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4. Il Linguaggio ed Numeri Primi Per provare a comprendere se davvero dietro la sequenza dei numeri primi c’è solo la casualità e non una regola deterministica, visto che per diversi millenni si è tentato di dare una risposta che nascesse dalla Matematica e non si è riusciti a comprendere il puzzle in studio, bisognerebbe valutare la possibilità che ci possa essere una parte di tale puzzle che non è nella Matematica. E’ importante allora costruire una metodologia esplorativa che ci permetta di comprendere quali possano essere gli ambiti cognitivi di pertinenza. In questo percorso lasciamoci guidare da alcune affermazioni che nella storia della conoscenza hanno dato un contributo significativo e che nel nostro ragionamento saranno le pietre miliari.

1. L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto);

2. Quando le cose diventano troppo complicate, qualche volta ha senso fermarsi e chiedersi: ho posto la domanda giusta (Enrico Bombieri, Medaglia Fields 1974)?

3. Sottile è il Signore ma non malizioso (Albert Einstein, Fine Hall Princeton, Premio Nobel 1921).

Il primo punto ci invita a cambiare punto di vista; il secondo ci induce alla semplicità , ovvero nel nostro caso a considerare un linguaggio e quindi una base di numerazione piu’ semplice di quella che normalmente utilizziamo; il terzo oltre ad essere un incoraggiamento ci dice che forse il quadro da considerare è complesso ma non caotico; pertanto, potrebbe essere utile considerare operazioni e leggi di composizione diverse da quelle che normalmente utilizziamo in aritmetica. Relativamente al guardare ai numeri con nuovi occhi cosa puo’ significare? Per rispondere dobbiamo cominciare dall’inizio ovvero da come rappresentiamo i numeri e quindi dal linguaggio. La scienza inesorabilmente, ma spesso troppo lentamente opera i suoi progressi, manifesta le proprie conquiste, raggiunge i traguardi fissati. Tutto ciò avviene attraverso le sensorialità delle nostre proprietà organiche. Fin dall’antichità, l’uomo ha riconosciuto in sé alcuni sensi molto sviluppati per comunicare con gli altri esseri viventi e con l’intera natura: sono questi i sensi che chiamiamo tatto, olfatto, gusto, udito e vista. Attraverso tali sensi abbiamo imparato a comunicare. I primitivi si esprimevano con gesti e segni. La religione, la musica e la matematica ancora oggi, nonostante le loro profonde diversità, usano linguaggi che hanno una matrice comune: il simbolismo. La religione, così come i sogni nella nostra psiche, è costituita prima di tutto da immagini, visioni, gesti simbolici che solo in una seconda fase diventano parole. La musica è innanzitutto vibrazione, solo dopo prende forma in note su pentagrammi . La scienza, infine, è prima di tutto intuizione che si manifesterà poi in leggi matematiche . Ad esempio vi siete mai chiesti perche’ i numeri nella numerazione araba, ovvero quella che utilizziamo, si scrivono proprio cosi’ e non in modo diverso? La risposta è molto semplice il grafo dei primi dieci numeri è tale poiche’ è espresso in termini degli angoli tra i diversi segmenti che lo compongono. In altre parole, lo zero ha 0 angoli, l’uno 1 angolo, il due 2 angoli e così via (vedi figura). Così, nonostante l’evoluzione della specie, tutto ciò che rappresenta l’avanguardia del nostro manifestarci ha profonde radici connesse a quella primitiva essenza che si manifesta nella nostra mente in modo simbolico. Sono passati diversi millenni dalla comparsa dell’uomo sulla Terra, ma sembra ch’egli segua la strada della conoscenza come un guidatore ubriaco su un’autostrada a due corsie senza spartitraffico. Spesso, infatti, si imbatte nello spazio di altri conducenti causando l’annientamento dei propri fratelli per la sua egoistica e procurata cecità. In questi casi, allora, non c’è nulla che i

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cinque sensi possano fare: essi porteranno solo guerre, distruzioni e sconfitte per l’umano progredire. Ma c’è di peggio, poiché gli uomini, soprattutto i cosiddetti meno dotati, imparano vivendo nell’imitazione anche da adulti e non solo in giovane età; così, certi fenomeni da soggettivi diventano generalizzati alimentando negativamente la nostra esistenza, spingendoci all’odio per la nostra specie. Bisognerebbe, allora, fermarsi e dare ascolto ad un’altra sfera sensoriale che non si rivolge all’esterno bensì all’interno di noi stessi per capire a fondo cos’è che non funziona in noi, senza cercare negli altri o negli altri popoli la causa esclusiva dei nostri problemi. E’ proprio vero bisogna capirsi, ma a volte è più difficile di quanto possa pensarsi. E’, quindi, sempre un problema di linguaggio e di comunicazione, ma non sempre questa comunicazione deve avvenire con gli altri, può essere e deve essere prima di tutto con se stessi. Dalla nascita impariamo a comunicare prima piangendo e lamentandoci, perché non conosciamo altro linguaggio per manifestare il nostro disagio; poi si impara imitando gesti ed emissioni vocali. Infine, ci viene insegnato anche a scrivere; qualcuno lo farà meglio qualcun altro peggio, ma niente di più si morirà così. I più colti impareranno le lingue di altri popoli, di altre nazioni, ma non li capiranno veramente a fondo. Credo che da un punto di vista scientifico si possa dimostrare un teorema di invarianza di ciò che si scrive o descrive rispetto alle diverse lingue; come dire che traducendo da una lingua ad un’altra, tutta l’informazione che è in uno scritto sarà anche in quello tradotto. Ma perché, allora, ci sono persone che comprendono più le parole di alcuni che di altri, pur parlando la stessa lingua? Ciò avviene poiché se è vero che si può dimostrare l’invarianza di uno scritto rispetto a diverse lingue, non può dirsi lo stesso per un pensiero o un’idea. In altre parole, ciò che noi pensiamo, immaginiamo o desideriamo è solo in parte manifestato attraverso i gesti (linguaggio non verbale), le parole (linguaggio verbale) e dal modo in cui usiamo la voce (linguaggio paraverbale). C’è chi, però, ci comprende di più, poiché ha una sensibilità o sensorialità più vicina alla nostra. La domanda allora sorge naturale: ma come è possibile se tutti abbiamo tutti e cinque i sensi? La non invarianza dei pensieri nel transfert da una persona ad un’altra non è legata alla forma o alle caratteristiche del linguaggio; essa dimostra che i nostri sensi non sono solo i cinque cosiddetti, ma molti di più: che voi lo chiamiate karma , spirito o anima , il nostro modo di essere e di relazionarci agli altri è molto più ampio ed ha confini non ben definiti. Pensate ad una retta con cinque tacche ed immaginate che ognuna di esse sia uno dei sensi convenzionali; è facile capire che modellare la retta con quelle cinque tacche sarebbe troppo limitativo, rozzo, approssimativo. La nostra sfera sensoriale è, quindi, un continuo di percezioni: cinque di queste si sono sviluppate maggiormente in relazione al contesto vitale, ma non è tutto; c’è un continuo di altre sensazioni che congiungono tutti i sensi, una vera e propria sinestesia di quell’unica percezione della realtà che ci permette di emozionarci oltre che di comunicare. I linguaggi sono uno strumento per orientarci nella realtà che ci circonda, ma per comprendere a fondo la natura delle persone e delle cose c’è bisogno d’altro. Pensate ad un libro: esso descriverà una qualche vicenda, circostanza, lo svolgimento parziale o totale dei fatti; conoscendo l’autore, però, vi accorgerete che in quel libro c’era dell’altro non tanto dal punto di vista dei fatti accaduti, quanto dalle emozioni che erano tra le righe. Ogni giorno, la natura prova ad insegnare ad un uomo troppo sordo il linguaggio delle sensazioni. Qualche volta riusciamo ad imparare; abbiamo imparato a costruire la radio e poi la televisione: all’inizio a bianco e nero, cioè due tacche su una retta che era lo spettro dei colori; in seguito abbiamo inventato il televisore a colori comprendendo ed imitando la scena della vita che la natura manifestava con un continuo di colori che andava oltre la bimodalità del bianco e nero, essendo piuttosto una vivace polidromia che accompagnava il nostro condurci. Così, accade anche per la multisensorialità: non solo cinque tacche, ma molte sensazioni, emozioni, modi di percepire la vita. Potremmo, quindi, affermare che i linguaggi nascono più che altro con funzione descrittiva, cioè per rappresentare attraverso le parole o i gesti le vicende, come eventi statici e ben localizzati nel tempo. Lo stesso ragionamento vale per i numeri, ovvero si è cercato di individuare un simbolismo che apparisse immediatamente comprensibile per l’interlocutore. Ma forse quei simboli hanno poco

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a che fare con la vera essenza dei numeri che rappresentano. Infatti da soli, nonostante le diversità e complessità sintattiche o grafiche, i linguaggi non sono capaci di dare dinamicità alla realtà: sono necessari altri sensi e neppure tutti assieme i cinque convenzionali sono sufficienti qualora si volesse comprendere e penetrare l’essenza delle cose o del pensare altrui. La natura umana ci appare estremamente complessa e forse solo facendo partecipare l’intero organismo si può avere qualche speranza di comprendere il perché di tante cose, di tanti atteggiamenti, di tanti punti di vista, senza giudicarli in base ad una visione personale ed incompleta della realtà. Seguendo, quindi, l’evoluzione umana si comprende che l’uomo ha sviluppato capacità e mezzi di comunicazione sempre più articolati e complessi, spesso molto diversi, ma tutti con una forte limitazione e cioè l’utilizzo al più dei cinque sensi, mai niente di più. Nel momento in cui ha provato, però, ad insegnare a qualcuno di diverso dall’uomo ad esprimersi, ad operare, ad interagire ed imparare si è reso conto che c’è qualcosa di innato nella nostra natura. Un computer, infatti, non riesce a decidere in base a qualcosa che coinvolge ciò che chiamiamo sfera emotiva o emozioni extrasensoriali, non è in grado di valutare il rischio perché non genera l’ansia. Qualcuno potrebbe obbiettare che forse un giorno l’uomo riuscirà a raggiungere quello stadio di ascesi o di illuminazione che gli permetterà di capire a fondo la natura delle cose; ben altra cosa, però, sarà il riuscire a trasmettere agli altri quelle emozioni, sensazioni e visioni nella loro interezza. Ci vorrebbe solo la telepatia, ma per molti essa non è scienza è solo fantasia. Pensandoci, però, non è proprio così. La trasmissione degli impulsi che dal cervello arrivano agli arti o agli organi del nostro organismo sono dei segnali elettromagnetici: in altre parole, il movimento di una gamba avviene tramite la trasmissione di un segnale elettromagnetico che partendo dal cervello arriva ed eccita l’arto interessato. Grazie ad impulsi elettrici noi possiamo utilizzare apparecchiature più o meno complesse per indagini mediche quali l'elettroencefalogramma, la TAC o la risonanza magnetica. Inoltre, la televisione, la radio o la telefonia mobile utilizzano esattamente lo stesso meccanismo elettromagnetico nel trasmettere segnali e lo stesso può dirsi del computer o di internet. Ci rendiamo conto, quindi, che il cervello di tutte queste strutture o dell’uomo stesso può vedersi come una scatola nera in cui arriva un input e si produce un output. Mentre nel caso degli strumenti suddetti comprendiamo anche cosa accade all’interno della scatola nera: quindi dato lo stimolo è possibile prevedere l’eccitazione finale, nel caso dell’uomo non si riesce a fare una cosa analoga. Ciò appare chiaro poiché quegli strumenti sono stati costruiti dall’uomo stesso seguendo precise specifiche, mentre nel caso della vita possiamo dire che essa è un valore acquisito. Tutto ciò, però, non deve condizionare il nostro modo di pensare. Infatti, l’uomo si esprime attraverso una certa simbologia, poiché fin dalla nascita ha sperimentato nelle persone che lo circondavano degli output ai suoi impulsi o stimolazioni di input; si sono sviluppati, cioè, dei canali di comunicazione privilegiati. Essi, però, non sono gli unici e soprattutto non sono i soli di cui una specie evoluta debba accontentarsi. L’ostacolo principale è che il nostro habitat ci devia, ci distrae e ci violenta ora con i videogames ora con le guerre e la brama di potere e successo. Mi chiedo, però, se un uomo che opera la morte di altri individui possa definirsi evoluto o si possa parlare di progresso. Quindi, solo coloro che sanno raggiungere il giusto distacco dalla contestuale condizione umana riusciranno a raggiungere forme di comunicazione più evolute, più profonde, più intense perché più vere. Oltre alla comunicazione lo stesso ragionamento è valido per la comprensione della realtà che ci circonda. Bisogna stare attenti, però, affinché questo diventi un modo di pensare se non comune almeno diffuso, poiché altrimenti si potrebbe raggiungere sì una comunicazione più evoluta, ma si rischierebbe di non avere l’interlocutore. Fate sempre in modo che la vostra mente non venga molestata da un inutile pensare, ubriacata da false ricchezze, lacerata da finte fortune, superata da stupide e prestigianti genialità, ma soprattutto fate in modo che in tale impresa non siate soli. Si nasce analfabeti ed un tempo si moriva analfabeti. Il ventesimo secolo, però, ci ha permesso di cambiare, di percorrere la via dell’alfabetizzazione totale: diverse lingue, molti dialetti e pur rimaniamo analfabeti, incapaci di comprendere oltre le parole, oltre il linguaggio e l’apparire delle

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ingannevoli manifestazioni di una natura che quando si esprime usa un linguaggio a noi sconosciuto, un linguaggio che non comprendiamo. Volete essere dei grandi uomini, consapevoli di chi siete e di chi sono gli altri e ciò che è intorno a Voi? Imparate a fondo le dinamiche della natura, studiate ed immergetevi nelle sensazioni dei grandi pensatori del passato, acquisite con l’esercizio della mente la padronanza degli strumenti matematici o sperimentali di cui avete bisogno: dominateli. Sarete così dei veri studiosi della vita! Volete essere dei grandi ricercatori, denigrando così la figura di meri studiosi? Allora, dimenticate tutto ciò che avete imparato, lasciando che adesso sia il vostro impeto, il vostro temperamento l’artefice e non l’esecutore delle vostre opere. Ci sono delle scoperte nella vostra mente che ancora non sono state compiute che non sono state scritte perché non comprese a fondo, eppure già le sentite: lasciate che possano vederle anche gli altri, è il vostro modo di sentire il mondo, sono le vostre scoperte, sono le vostre invenzioni, è il nostro progresso. La musica, la scienza, le diverse lingue o i modi di esprimersi rappresentano solo lo strumento attraverso il quale trasportare quell’irrazionale, sublime ed impetuosa necessità di essere senza apparire oltre ogni forma di comunicazione e linguaggio. Non esistono grandi poeti o musicisti, geniali scienziati o capricciosi ed irrequieti artisti, ma solo uomini capaci di osare, non curanti di sbagliare, ma consapevoli di possedere innate capacità da ricercare nell’ego di ognuno e desiderosi di portarle in superficie dove tutti possano prendere spunto ed esempio. A volte un lampo di luce è sufficiente ad illuminare anche il buoi più esteso e profondo. C’è un solo motivo per studiare, indipendentemente da ciò su cui si indaga: accrescere il sospetto; solo i maestri del sospetto diverranno immortali in uno dei campi del pensabile. Come diceva Jung “il mondo non ha solo una faccia esteriore, ma anche una interiore, non è solo visibile fuori di noi, ma opera prepotentemente su di noi, in un presente senza tempo, dai più profondi ed apparentemente più soggettivi fondi della psiche”. Grazie al sospetto, infatti, ci si rende conto che la musica, le lingue, le formule delle scienze esatte hanno dei limiti e fanno apparire non senso tutto ciò che vi è oltre una forma di codifica che può essere melodica, armoniosa o simmetrica rispettivamente, ma comunque non esatta poiché ciò che la mente percepisce, ma non riesce ad esprimere in uno qualsiasi dei suddetti linguaggi non è non senso, ma solo futuro. Cominciamo allora dal sospetto, ovvero chiediamoci se per caso i numeri primi siano il frutto di una legge deterministica. Continuiamo dimenticando tutta o quasi la Matematica che ci hanno insegnato per riscoprirla e reinterpretarla attraverso le nostre innate capacitò intellettive. Infine, chiediamoci se la Matematica e la sequenza dei numeri primi possano essere una manifestazione diversa di un’entità unica di cui la vita e l’uomo con il suo DNA ne sono un’altra. Facendo così scoprirete che la sequenza dei numeri primi non è casuale ma risponde a leggi analoghe a quelle della genetica e dell’evoluzione della specie.

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5. Il Segreto dei Numeri Primi

1. L’inizio, il dubbio dei Numeri primi è la storia degli uomini, ma trascende gli uomini stessi. All’inizio della storia degli uomini troviamo Adamo ed Eva; all’inizio della storia dei numeri primi troviamo i primi due, il numero Due ed il numero Tre. Troppo spazio per soli due uomini, troppa solitudine per un uomo ed una donna legati da un unico ed indistinto destino: materializzare l’infinita armonia e bellezza dell’Universo. Analogamente lo spazio dei numeri primi infinitamente ampio appare senza scopo se circoscritto al solo numero Due e al Tre. E allora? Adamo ed Eva cominciarono a vagare nel Paradiso Terrestre; all’inizio appare tutto nuovo, divertente, emozionante; la vita è un’armoniosa manifestazione di continue scoperte: si appropriarono dello spazio e del tempo così come le generazioni che si sarebbero susseguite. Ma presto col passare del tempo una domanda cominciò a prendere forma nelle loro menti. E’ una domanda che ancora oggi nei momenti di sconforto o di meditazione può capitare di porci; è una domanda che ognuno di noi almeno una volta si è chiesto. Perché? Perché così simili, ma profondamente diversi? Qual è lo scopo? Perché solo noi due, un uomo e una donna, qui insieme, proprio adesso? Così all’inizio anche per i numeri primi la storia comincia in modo analogo; si comincia dall’unità, altrimenti nota come elemento neutro della moltiplicazione, ma poi comincia un viaggio infinito dei numeri: alcuni dei quali manifestano esclusiva personalità, i numeri primi per l’appunto, ovvero quei numeri che sono divisibili solo per se stessi e per l’elemento neutro, ovvero per l’unità. I primi due numeri primi sono proprio il due ed il tre, i primi due che succedono all’elemento neutro della moltiplicazione, che cosa bizzarra i primi due numeri che succedono all’elemento neutro sono proprio due numeri primi. Ad essi ne seguiranno infiniti altri, alcuni dei quali di grande personalità, ancora numeri primi, altri invece divisibili per altri numeri i cosiddetti numeri composti. Se i numeri potessero pensare alla stregua dell’uomo quali sarebbero le prime domande che si porrebbero? Cosa si chiederebbero il Due ed il Tre se avessero a disposizione uno spazio infinito, il cosiddetto spazio dei numeri, ed un tempo altrettanto infinito scadenzato dalla numerazione e dal contare? Le domande sarebbero analoghe a quelle che si posero Adamo ed Eva. Perché? Perché così simili ma profondamente diversi? Quale è il nostro scopo? Perché i primi due, noi, dopo l’elemento neutro della moltiplicazione? Fu allora un serpente di nome Sigmund che nei giorni a venire acuì in Adamo ed Eva il dubbio. Sigmund come uno psicanalista accompagnò Adamo ed Eva nella scoperta dell’impulso sessuale; essi però erano ignari delle relazioni di tale impulso con l’inconscio, con la loro essenza più profonda, con lo scopo stesso della loro esistenza.

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Più facile fu la strada dell’interpretazione del proprio ruolo per il numero Due e Tre; loro sapevano che differivano di un’unità, quella stessa unità che era l’elemento neutro della moltiplicazione ed allora il loro scopo era quello di moltiplicarsi, di accoppiarsi attraverso l’operazione di moltiplicazione. Adamo ed Eva attraverso l’accoppiamento sessuale avevano scoperto la forma più alta di unione e compenetrazione. In realtà dopo nove mesi scoprirono che l’accoppiamento sessuale non era affatto la forma più alta di accoppiamento; essa era solo l’inizio di un viaggio d’amore destinato a perdurare per l’eternità, una nuova esistenza nasceva, nuove sembianze apparivano raccogliere un po’ dell’uno ed un po’ dell’altro, un’armonia di estrema bellezza che col trascorrere del tempo sarebbe maturata risultando pronta per dare il proprio contributo alla ulteriore procreazione e continuazione della specie umana. E’ stato detto che ogni uomo è la somma delle proprie esperienze. Questa affermazione è quanto mai vera, ma inesatta : essa è, infatti, incompleta. L’affermazione corretta è: Ogni uomo è la somma delle proprie esperienze, ma la storia, l’evoluzione, il progresso e l’evoluzione dell’uomo inteso come genere umano sono il prodotto delle esperienze degli uomini. Ad i due numeri tutto apparve, invece, estremamente chiaro all’inizio. Come le due facce, di una stessa medaglia si unirono attraverso l’operazione di moltiplicazione e così venne alla luce un nuovo elemento il Sei, il frutto del prodotto del 32× . Il risultato dovette apparire ai due genitori quanto mai straordinario: non si trattava di un nuovo numero primo, ma di un numero che conteneva l’essenza dei suoi genitori; il sei, infatti, era divisibile oltre che per l’unità anche per i suoi genitori, era cioè divisibile sia per due che per tre. Ma come avrebbero scoperto successivamente gli uomini il sei celava al suo interno una ulteriore simmetria e bellezza: esso era il primo di quei numeri che gli uomini avrebbero definito numeri perfetti. Era, cioè, un numero la cui somma dei divisori coincideva con il loro prodotto

63213216 =××=++= La perfezione e l’armonia era stata raggiunta. Papà Due e Mamma Tre potevano essere contenti: il loro accoppiamento aveva generato il primo numero perfetto, un numero che aveva in sé il papà essendo divisibile per due e la mamma essendo divisibile per tre, senza dimenticare che il gioco della numerazione era cominciato con un primo passo, con la prima sfida del cominciare a contare, con la creazione di quel numero uno, elemento neutro della moltiplicazione. L’uno non poteva essere dimenticato, immaginate quale ardore nell’essere il primo elemento di un nuovo mondo: l’universo dei numeri. Ci fu tanta indecisione, timore, ma alla fine fu il primo a lanciarsi in quella numerazione che presto sarebbe diventata infinita; allora come dimenticarlo. Come per i numeri il tempo era scaturito dalla numerazione così per gli uomini era scaturito dalle evoluzioni della vita. Il piccolo neonato sarebbe cresciuto e, come frutto dell’accoppiamento tra un uomo ed una donna, avrebbe sviluppato la propria sessualità divenendo maschio o femmina, pronto per accoppiarsi a sua volta e continuare il processo di popolamento dello spazio – tempo. Anche per il sei, numero neo-nato da due a tre accade qualcosa di analogo. Infatti, la sua perfezione, la sua asessualità prima o poi sarebbe scomparsa. La domanda che sorge spontanea è: ma come si sarebbe manifestata la sessualità e soprattutto cosa è la differenziazione sessuale per i numeri? Senza neppure accorgercene, in realtà, la sessualità numerica, l’abbiamo già introdotta ed addirittura utilizzata . Infatti, per far accoppiare il Due ed il Tre attraverso la moltiplicazione

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abbiamo assegnato al due il ruolo di maschio ed al tre quello della femmina1

123 =−

. La differenza numerica fra i due numeri è

, ovvero ancora una volta l’unità. Un’unità, quindi, che oltre ad essere l’inizio è anche il seme della differenziazione sessuale. Pertanto, avremo che il primo successore dell’accoppiamento tra il Due ed il Tre per essere maschio dovrà valere quanto il risultato neutro dell’accoppiamento meno l’unità, ovvero Cinque, dato cioè da 6 – 1, mentre per essere un successore femmina dovrà essere pari a Sette, ovvero 6 + 1. E’ davvero straordinario come con questo meccanismo, ovvero con una metafora con la generazione della specie umana, siamo arrivati a generare due numeri primi il cinque ed il sette a partire da altri due numeri primi, il Due ed il Tre. E’ davvero una favola creativa il risultato a cui siamo arrivati: due numeri primi, i primi due in particolare il Due ed il Tre, se distinti per sessualità sono in grado di accoppiarsi attraverso l’operazione di moltiplicazione generando un elemento neutro, il 6, che se caratterizzato sessualmente,ovvero aggiungendo o sottraendo la differenza tra il 3 ed il 2, ovvero l’unità è in grado di fornirci come risultato i successivi numeri primi ovvero il Cinque ed il Sette. Viene naturale chiederci: e se in questo racconto ci fosse un fondo di verità? I numeri primi hanno un codice genetico? E’ possibile che i numeri primi derivino dall’accoppiamento di numeri, di numeri primi? Le generazione dei numeri primi è un processo di filiazione? Infine, a questo punto possiamo anche chiederci: la sequenza dei numeri primi è casuale come abbiamo sempre creduto o è causale cioè deterministica? Ciò poiché seppure le lettere che compongano causale e casuale siano le stesse l’inversione della terza con la quarta lettera crea due anagrammi con un significato completamento diverso, visto che casuale significa senza ordine e causale implico uno diretto ordinamento. Quante domande! Presentate poi con quanta emozione e rapidità evidenza di grande curiosità e passione. Come un viandante senza meta, saliti su un treno quasi per caso, siamo forse arrivati nella stazione di una città di cui né ignoravamo l’esistenza, ma che potrebbe riservarci meravigliose sorprese, le risposte alle domande formulate probabilmente illumineranno una nuova alba; intanto la notte si è inoltrata e tutti sentono il desiderio di recuperare le energie per cominciare una nuova esplorazione.

2. L’intuizione e le prime esplorazioni. Le prime luci dell’alba accarezzano dolcemente il risveglio di Adamo ed Eva. Il loro amore seminato ha cominciato a raccogliere i primi frutti; il primo uomo e la prima donna hanno la consapevolezza che la loro unione perdurerà nel tempo e nello spazio anche oltre la loro stessa esistenza grazie alla loro discendenza. Nuovi interrogativi, però, si sono posti all’orizzonte per loro come per la generazione dei numeri primi. Ci sono alcuni punti fermi di riferimento. Riconoscendo al Due ed al Tre il ruolo di primi due numeri primi ed assegnando loro una sessualità diversa è stato possibile farli accoppiare attraverso l’operazione di moltiplicazione; il risultato di tale accoppiamento è stata la generazione del primo numero perfetto, il numero Sei, che contiene il suo interno sia l’informazione di essere figlio del padre 2, essendo per esso divisibile, sia l’informazione di essere figlio della madre 3, essendo divisibile anche per tre; inoltre è divisibile anche per

1 Nulla vieta di invertire la sessualita’ tra i numeri, ottenendo lo stesso risultato.

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l’unità, ovvero per l’elemento neutro della moltiplicazione che lo ha originato. Tenendo conto che la distinzione sessuale tra il primo numero maschio, il due, ed il primo numero femmina, il tre, è dato dall’unità, ovvero 3 – 2 = 1, il sei nella sua maturazione sessuale potrà diventare maschio, ovvero 6 – 1 = 5, od anche femmina, ovvero 6 + 1 = 7. Il 5 ed il 7 sono, pertanto, i discendenti dell’accoppiamento tra il due ed il 3. La prima delle domande a cui dobbiamo rispondere e se i numeri primi sono soggetti ad un processo di filiazione. Detto in altre parole, è vero che i numeri primi nascono da numeri primi i cui capostipiti sono il Due e il Tre? Per rispondere a tale domanda dobbiamo verificare se l’accoppiamento moltiplicativo tra il due ed il tre possa produrre più generazioni di cui la prima è rappresentata dalla coppia ( )7,5 . Al fine di effettuare tale verifica dobbiamo considerare due ingredienti: il primo è che il risultato dell’accoppiamento è il numero 6; esso rappresenta la fusione dei due DNA dei numeri Due e Tre; il secondo ingrediente di cui abbiamo bisogno è un parametro, chiamiamolo k, che ci permette di distinguere le diverse generazioni; pertanto, per 1=k avremo la prima generazione, per 2=k la seconda e così via al variare di k avremo le diverse generazioni di successori di Adamo ed Eva, cioè di Sue e Tre. I 6k saranno i risultati dei diversi accoppiamenti tra il due ed il tre, ovvero i discendenti dall’Adamo due e dalla Eva 3 dei numeri. Per acquistare sessualità maschile i 6k dovranno perdere una unità, mentre per acquistare sessualità femminile dovranno acquisire un’unità. In tal modo per

1=k si avrà la prima generazione ( )7,5 come già visto; per 2=k si avrà la seconda generazione data da ( )13,11 , per 3=k la terza ( )19,17 . E’ davvero straordinario il risultato sembra che questo processo produca in modo naturale numeri primi. Andando, però al passo successivo si trova un risultato inatteso: per 4=k si ha la coppia ( )25,23 . Il numero 25 non è un numero primo; esso infatti è il prodotto di cinque per se stesso. Se analizziamo la sequenza dei numeri primi abbiamo

.,53,47,43,41,37,31,29,23,19,17,13,11,7,5,3,2 ecc Pertanto mentre ci si aspettava il 29 abbiamo trovato il 25. Ciò può significare due cose distinte e molto diverse: la prima è che i numeri primi seguono una legge naturale diversa da quella della filiazione degli uomini, che addirittura potrebbe essere casuale e quindi non deterministica (caos quindi ancora caos e disfatta per il nostro ragionamento); la seconda ipotesi è invece che l’insieme dei numeri generato è più ampio di quello dei numeri primi che in esso è contenuto e pertanto che per ridurlo a soli numeri primi sarà necessario considerare dei meccanismi accessori di selezione naturale (ciò vuol dire la necessità di qualche altro meccanismo di generazione accessorio ed il successo per il nostro ragionamento). Per verificare, quale delle due ipotesi è corretta bisognerà fare un passo successivo e verificare se si trova il numero 29 andando avanti; in tal caso sarà vera la seconda ipotesi, viceversa sarà verificata la prima e tutto sarà perduto poiché le leggi che governano gli uomini sono qualcosa di diverso da quelle che governano i numeri primi. Con spirito di avventura tentiamo il grande passo, verifichiamo cosa accade ai

16 −k e 16 +k quando 5=k . In tal caso si ottiene la coppia ( )31,29 . Troviamo, quindi, il 29 ed un altro primo ancora: evviva! A tal punto la nostra avventura è salva e possiamo continuare, ma per farlo dobbiamo rispondere ad una nuova domanda: il numero trovato come composito, ovvero il numero 25, è l’unico numero spurio nell’insieme che si candida ad essere l’insieme dei numeri primi o ce ne sono altri? Per rispondere a questo nuovo interrogativo è necessario andare avanti con le generazioni di discendenti dell’Adamo e dei numeri primi maschi discendenti, il numero 2 ed i 6k-1, e la Eva e le discendenti femmine, il numero 3 ed i 6k+1. Per 6=k troviamo la coppia ( )37,35 . Il 35 non è primo poiché è il prodotto di 57× . Per 7=k troviamo la coppia ( )43,41 costituita da due numeri primi. Per k=8 troviamo la coppia ( )49,47 dove ancora una volta troviamo un numero composito il 49 ottenuto dal prodotto 77× . Ancora per 9=k

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individuiamo la coppia ( )55,53 con il 55 numero composito dato dal prodotto di 115× . Da questo excursus sui numeri primi abbiamo ottenuto tutti i numeri della sequenza precedentemente scritta, ma anche alcuni numeri compositi, quali il 55,49,35,25 ; cioè abbiamo ottenuto tutti i numeri primi ma non solo numeri primi. In altre parole, a partire dai due capostipiti 2 e 3 ed attraverso il loro accoppiamento moltiplicativo si ottengono tutti i numeri primi, ma tale insieme deve considerarsi un insieme di candidati nel senso che contiene tutti i primi ma non solo essi. Il prossimo interrogativo a cui trovare risposta sarà come trasformare questo insieme di candidati primi in un insieme puro di numeri primi. Per rispondere a tale quesito cominciamo col riassumere i passi concettuali che abbiamo utilizzato fin qui: 1) Esistenza dei capostipiti ( il numero 2 ed il numero 3); 2) Accoppiamento moltiplicativo tra i due capostipiti ( 32× ); 3) Accoppiamento successivo o filiazione ( con l’utilizzo di un parametro k è possibile

distinguere le diverse generazioni, ovvero i 6k); 4) Differenziazione sessuale in 16 −k per i maschi e 16 +k per le femmine.

E’ ormai da un po’ che ci occupiamo solo di Matematica e Numeri primi; cosa sarà successo intanto ad Adamo ed Eva nel mondo degli uomini? Cosa ne dite di tornare ad occuparci di loro? Forse sarà proprio lì che potremo trovare la risposta al quesito che ci stiamo ponendo nell’universo dei numeri.

3. Il completamento dell’intuizione

Come trovare una legge che ci permetta di selezionare nel mondo dei numeri quei numeri che non sono primi ed eliminarli in modo da ottenere un insieme puro, ovvero un insieme di soli numeri primi? Ancora una volta non è nella Matematica la risposta a tale interrogativo, ma è nella Natura e nell’uomo stesso. Per comprenderlo dobbiamo ritornare allo scopo iniziale. Qual è l’obbiettivo di un uomo ed una donna che seppure simili sono così diversi? Si, sono tanto diversi come i poli di una magnete che si attraggono; si attraggono per accoppiarsi e dare origine, attraverso la filiazione, a quel puzzle della vita che è giunto fino a noi dopo tante e tante generazioni. Procediamo, come si fa in Matematica per assurdo e chiediamoci se è possibile creare attrazione tra due poli con lo stesso segno; detto in altre parole, se l’obbiettivo è la filiazione dobbiamo chiederci se sia possibile generare discendenti lasciando accoppiare due maschi o due femmine tra loro. La risposta della Natura è immediata: dall’accoppiamento di due maschi o di due femmine non può derivare alcuna filiazione, Inoltre, se accoppiamo un maschio ed una femmina che sono parenti stretti, allora il DNA tenderà ad essere più debole ed alla fine ci sarà malattia ed estinzione. Cosa dire a tal punto relativamente al mondo dei numeri? Proviamo a tradurre in regole, l’analisi condotta nel mondo degli uomini. Ciò vuol dire che l’accoppiamento tra due maschi non produce nuove generazioni; ovvero dobbiamo selezionare l’accoppiamento moltiplicativo tra un maschio, 16 −x , ed un altro maschio 16 −y e scartarlo. Detto in altre parole, abbiamo una prima regola di selezione data da

( )( )16161 −−= yxS Analogamente sarà infruttuoso anche l’accoppiamento tra una femmina, 16 +x , ed un’altra,

16 +y .

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Formalmente, avremo come seconda regola di selezione, la seguente espressione

( )( )16162 ++= yxS Infine, sarà altrettanto infruttuoso anche l’accoppiamento tra un maschio ed una femmina della stessa famiglia; formalmente

( )( )16163 +−= yxS con x ed y prossimi tra loro. Quanto appena descritto è solo frutto di un’intuizione; verifichiamo, però, se è solo fantasia o se davvero grazie alle tre regole di selezione riusciamo ad eliminare i numeri compositi dalla sequenza dei candidati alla primalità, trasformando così l’insieme dei candidati, nell’insieme dei numeri primi. Per effettuare tale verifica dobbiamo eliminare i numeri ,...55,49,35,25 , facendo variare la x e la y nelle tre regole di selezione 321 ,, SSS . Cominciamo assegnando ad x il valore 1 ed a y il valore 1; si avrà:

354925 321 === SSS scegliendo 1=x ed 2=y otteniamo

659155 321 === SSS E’ evidente, allora, che le tre regole di selezione ci hanno permesso di eliminare i numeri non primi nella sequenza da noi generata. Inoltre, ci hanno fornito anche degli altri numeri da eliminare. Andando avanti con la numerazione si potrà verificare che la regola trovata ragionando sull’uomo e sulla filiazione vale anche per i numeri primi. I numeri primi non sono il frutto del caso, la loro sequenza non è frutto del caso. Non siamo, quindi, costretti ad elencarli in una sequenza infinita ,...13,11,7,5,3,2 ma possiamo scrivere una relazione compatta che li racchiude tramite il processo di generazione descritto. Formalmente l’insieme P dei numeri primi è dato da

{ } { } BAP ∪∪∪= 32

Ovvero è l’unione (rappresentata matematicamente dal simbolo ∪ ) tra l’insieme costituito dal solo elemento due, { }2 , dall’insieme costituito dal solo elemento tre, { }3 , dall’insieme A e dall’insieme B, definiti come

( )( ){ }Ν∈∀+−≠−== yxkyxkA kk ,,1616:16 αα ( )( ) ( )( ){ }Ν∈∀++≠−−≠+== yxkyxyxkB kkk ,,1616,1616:16 βββ

L’insieme A è l’insieme dei successori maschi che non sono il frutto dell’accoppiamento tra parenti; mentre B è l’insieme dei numeri primi successori femmine che non sono ottenuti dall’unione di due maschi o due femmine. Si comprende allora come anche il mondo dei numeri primi abbia seguito le stesse regole di procreazione che ha seguito il mondo degli uomini. Pur potendo verificare le regole di generazione dei numeri primi, per miliardi e miliardi di numeri, ciò non costituisce la dimostrazione della regola. Essa, però, ancora una volta non è un lavoro per fini matematici; infatti è estremamente semplice ma richiede un cambio di prospettiva nella numerazione.

4. Guardare alla numerazione con nuovi occhi per dimostrare le leggi della primalità

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Fin dai primi anni di scuola ci hanno insegnato a numerare. Quanti modi diversi, ad uno ad uno, i soli pari, i soli dispari , di cinque in cinque, di dieci in dieci, ma mai o solo per caso di sei in sei. Per dimostrare la regola trovata per la generazione dei numeri primi è importante generare l’insieme N dei numeri interi positivi contando di sei in sei. La tabella seguente rappresenta una possibile partizione di Ν .

46 −k 36 −k 26 −k 16 −k k6 16 +k 1=k 2 3 4 5 6 7 2=k 8 9 10 11 12 13 3=k 14 15 16 17 18 19

… … … … … …

E’ facile convincersi che ad eccezione dell’unità nella precedente tabella ci sono tutti i numeri interi positivi. Per dimostrare che il ragionamento fino ad ora condotto è corretto bisogna dimostrare quanto segue: i) tutti i numeri primi sono del tipo 16 −k oppure 16 +k ii) le sole regole di selezione sono 321 ,, SSS , cioe’ esse sono necessarie e sufficienti ad eliminare tra i candidati primi tutti i numeri che non sono primi. Cominciamo col rispondere al primo dei due quesiti. La tabella precedente è una partizione di N; in essa, infatti, al variare di k ci sono tutti i numeri interi positivi divisi per famiglie:

• la famiglia dei 46 −k con 2, 8, 14,…; • la famiglia dei 36 −k con 3, 9, 15,…; • la famiglia dei 26 −k con 4, 10, 16,…; • la famiglia dei 16 −k con 5, 11, 17,…; • la famiglia dei k6 con 6, 12,18,…; • la famiglia dei 16 +k con 7, 13, 19,…

Dall’analisi di tali famiglie si comprende che la famiglia dei 46 −k , ad eccezione del 2, non può contenere numeri primi visto che contiene solo numeri pari; la famiglia dei 36 −k , ad eccezione, del tre non può contenere numeri primi visto che in essa troviamo solo multipli dispari di tre; anche le famiglie 26 −k e k6 contengono solo numeri pari. Pertanto, è risolto il primo quesito, ovvero i numeri primi possono essere solo del tipo 16 −k e 16 +k nella partizione considerata. Per rispondere al secondo quesito dobbiamo far accoppiare un elemento di ogni famiglia per un altro elemento della stessa famiglia o di altre famiglie. Il numero possibile di accoppiamento tra famiglie, è dato dal numero di combinazioni con ripetizione di 2 elementi

scelti tra 6 ovvero 212

76=

× .

In altre parole, posso accoppiare un elemento della famiglia dei 46 −k con uno della famiglia dei 46 −k , 36 −k , 26 −k , 16 −k , k6 , 16 +k . Analogamente posso

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accoppiare un elemento della famiglia dei 36 −k con uno dei 36 −k , 26 −k , 16 −k , k6 , 16 +k . Possiamo accoppiare un elemento della famiglia di 26 −k con uno della

famiglia dei 26 −k , 16 −k , k6 , 16 +k e così via. Alla fine avremo esattamente le 21 possibilità suddette. L’analogia tra la filiazione umana e la generazione dei numeri primi ci aveva condotto a considerare solo tre regole di selezione e non ventuno. Pertanto, dobbiamo dimostrare che solo i tre accoppiamenti considerati ci permettono di ricadere nelle famiglie 16 −k e 16 +k dove cioè vogliamo eliminare i non primi, ovvero i numeri compositi. Se moltiplichiamo un 46 −k per un 46 −k stiamo moltiplicando due numeri pari ed il risultato è ancora un numero pari; un numero quindi che non può appartenere alla famiglia dei 16 −k e 16 +k che sono dispari. Analogamente se moltiplichiamo un numero di quella famiglia 46 −k , ovvero un numero pari, per un 36 −k , 26 −k , 16 −k , k6 , 16 +k otterremo sempre un numero pari, poiché il prodotto di un numero pari per uno qualsiasi restituisce un numero pari. Pertanto, possiamo eliminare tutte le 6 regole di selezione che coinvolgono la famiglia dei 46 −k . Il prodotto di un numero della famiglia dei 36 −k per un numero di 36 −k , 26 −k ,

16 −k , k6 , 16 +k , restituirà un numero multiplo di 3 visto che i 36 −k sono multipli dispari di tre. Pertanto, il risultato sarà un numero o della famiglia dei 36 −k o dei k6 ovvero sarà un multiplo di tre dispari o pari rispettivamente. Quindi anche in questo caso non ricadiamo nelle famiglie dei 16 −k e dei 16 +k . Possiamo quindi eliminare le 5 regole che coinvolgono i 36 −k . Possiamo anche eliminare le quattro regole di selezione che coinvolgono i 26 −k visto che producono solo numeri pari; così come le due regole dei k6 poiché anch’esse generano solo numeri pari, in analogia con quanto precedentemente discusso in relazione alla famiglia dei 46 −k . In conclusione, resterà l’accoppiamento dei

16 −k con i 16 −k ed i 16 +k , mentre non sarà utile l’accoppiamento tra i 16 −k ed i k6 poiché la moltiplicazione per un k6 produce un pari; infine, avremo anche

l’accoppiamento di un 16 +k per 16 +k come utile regola di selezione. In conclusione, abbiamo dimostrato che le sole regole di selezione prescrivibili sono le

321 ,, SSS poiché le altre 18 possibili non permettono di ricadere nelle famiglie dei 16 −k e dei 16 +k . Con la dimostrazione anche del secondo quesito resta dimostrato il teorema della generazione dei numeri primi, secondo cui i numeri primi sono tutti e soli quelli appartenenti all’insieme A e B oltre che il numero 2 e 3. In realtà abbiamo ottenuto molto di più di una dimostrazione matematica, visto che abbiamo scoperto che il mondo degli uomini e quello dei numeri primi hanno un’unica origine, un unico DNA, un’unica legge di generazione. Ma Cosa dire circa l’unico comune divisore, cosa dire cioè dell’unità? Risponderemo a tale domanda nell’ultima sezione.

5. L’umanità e gli acceleratori numerici

Mentre sto concludendo questo scritto divulgativo, nei laboratori sotterranei del CERN di Ginevra miliardi di particelle animano alte energie. Un nuovo acceleratore di particelle, denominato LHC (Large Hadronic Collider), il più grande, al mondo mai costruito comincia a funzionare. Esso accelera le collisioni tra particelle per creare nuove particelle, particelle ancora non scoperte, facendoci tornare indietro nel tempo, per comprendere l’origine dell’Universo, il big bang. Ma cosa dire del big bang, del mondo degli uomini e di quello dei numeri? Esistono acceleratori di procreazione umana ed acceleratori numerici analoghi agli acceleratori di particelle? Anche se la domanda sembra bizzarra, ancora una volta la risposta è positiva.

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Per meglio comprenderla chiediamoci cosa accadrà ai successori di Adamo ed Eva una volta che saranno divenuti adulti. La risposta è quanto mai semplice: nell’età adulta essi si accoppieranno e si riprodurranno.

6. L’unità

Quando si parla di unità spesso si possono intendere due cose distinte ed opposte, l’uno ed il tutto, l’indistinto, l’autoreferenziato, oppure il più piccolo, l’inizio. Che cosa bizzarra l’usare la stessa parola per descrivere l’alfa e l’omega, ovvero l’inizio e la fine, ovvero il tutto. Forse però non è così bizzarro; infatti se vivessimo su una circonferenza l’inizio coinciderebbe anche con la fine. Forse non basterebbe un intero trattato per parlare dell’unità, noi qui ci limitiamo a dire che essa è l’elemento neutro della moltiplicazione o se preferite il primo motore della vita degli uomini come dei numeri, quell’elemento cioè che senza il quale non potremmo esistere, è l’anima della nostra esistenza. In tal modo il processo di popolamento dello spazio tempo accelera. Un analogo discorso potrà farsi per i numeri primi. Scopriremo allora che le due famiglie dei 16 −k e 16 +k avranno delle sottofamiglie; i

1930 −k saranno sottofamiglie di 16 −k e le famiglie di 130 +k , 1130 −k , 1730 −k , 2330 −k saranno sottofamiglie della famiglia dei 16 +k . Anche le sottofamiglie dei rk −30 , con r numero primo determinato allo step precedente,ovvero tra 5 e 31 avranno

delle sottofamiglie: saranno i sk −210 con s numero primo tra 31 e 211 e così via. Detto in altre parole si creerà una struttura ad albero in cui i rami sono dati da 632 =⋅ ,

30532 =⋅⋅ , 2107532 =⋅⋅⋅ ecc. ovvero dai prodotti di numeri primi e le foglie saranno i numeri primi stessi ovvero i numeri del tipo

ii

n

iij PkPP −=Π

=1

In altre parole, ogni numero primo ijP può scriversi come il prodotto dei numeri primi Pi consecutivi moltiplicati per un numero k e sottraendo infine un numero primo jP generato al passo precedente. Tale processo generativo è ovviamente più veloce e più selettivo di quello ottenuto con i soli 16 −k e 16 +k . Ciò è ovvio poiché andando avanti è come se avessimo più coppie fertili invece della sola coppia costituita da Adamo ed Eva. Ecco allora come si arriva rapidamente alla creazione rapida della sequenza dei numeri primi. Il processo è del tutto analogo alla creazione dell’umanità ed al popolamento dello spaziotempo. Abbiamo, così, creato un acceleratore numerico che in analogia all’acceleratore del CERN permette di creare nuovi numeri, invece di nuove particelle, grazie all’aumento del numero di accoppiamenti, ovvero di interazioni. Sembra una grande intuizione in realtà abbiamo soltanto compreso un nuovo tassello dell’armonia della Natura che ci circonda ed anima le nostre azioni. Che dire, infine dell’Uomo, qual’e’ è il suo ruolo sulla Terra? Forse adesso una risposta possiamo anche azzardarla, no? Potremo dire che il ruolo dell’uomo e quindi del genere umano è di continuare il processo di creazione di Dio? E quindo il dualismo a cui siamo abituati: uomo-donna, anima-corpo, ecc serve proprio per squilibrare le equazioni simmetriche della natura, sbilanciare le energie ed insegnarci la strada? Ad ognuno la nostra risposta.

Gerardo Iovane