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LA SOSPENSIONE CAUTELARE DAL SERVIZIO PER GLI
APPARTENENTI ALLA GUARDIA DI FINANZA
Di Nicola Monfreda 1.Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego; 2. Tipologie di sospensione adottabili
1. Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego
La sospensione cautelare, adottabile nei confronti degli appartenenti al Corpo della
Guardia di Finanza coinvolti in vicende di natura penale o disciplinare1, rappresenta una
misura precauzionale tesa all’allontanamento dal servizio del militare a carico del quale
sussistono gravi elementi di responsabilità penale e/o disciplinare. Il fine, quindi, è di
evitare che , prima dell’accertamento definitivo delle relative responsabilità, l’ulteriore
permanenza nell’organizzazione del soggetto che si trovi nelle circostanze di cui sopra
possa arrecare danni a quest’ultima. La sospensione cautelare, proprio perché
costituisce un provvedimento precauzionale, opera per definizione in una fase
antecedente all’accertamento definitivo della colpevolezza, allo scopo di impedire che
diritti ed interessi pubblici, costituzionalmente previsti e garantiti, siano posti in
pericolo nella pendenza del procedimento penale o disciplinare. La Corte
Costituzionale, nella sentenza n.206 del 1999, in relazione alla legittimità
costituzionale dell’automatismo della sospensione cautelare a carico dei dipendenti
pubblici previsto dall’art.15, comma 4-septies della L.n.55/902, ritiene che la misura in
analisi sia preposta al soddisfacimento di particolari “esigenze cautelari di natura
tutt’affatto diversa rispetto a quelle che costituiscono il fondamento delle misure
adottabili dal giudice nel corso del procedimento penale, ancorchè il contenuto della
misura possa per avventura coincidere (é il caso della misura interdittiva della
sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, disciplinata dall’art. 289
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cod. proc. pen.)” . La Suprema Corte sottolinea , a tal proposito, che mentre le misure
adottabili dall’A.G. rispondono alle esigenze del processo e della prevenzione di nuovi
reati e, quindi, sono assoggettate alle condizioni relative a tali scopi (artt.273 e 274
c.p.p.3) , la sospensione cautelare in esame risponde ad esigenze proprie della funzione
amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta
servizio. “Essa é svincolata da esigenze processuali e da finalità di prevenzione
speciale, ed é disposta con un provvedimento dell’amministrazione, sia pure, nella
specie, vincolato dalla legge (e sottoposto, com’é ovvio, a controllo giurisdizionale per
quanto riguarda la sua rispondenza ai presupposti legalmente stabiliti).
Il provvedimento precauzionale incide su diritti personali di rilievo costituzionale e , di
conseguenza , in tanto si giustifica in quanto risponde ad “effettive esigenze cautelari e
sia congruo e proporzionato rispetto a queste ultime” (sentenza n.239 del 1996 della
Corte Costituzionale). Come più volte ribadito l’esigenza cautelare è collegata alla
pendenza dell’accusa in capo al dipendente, la quale , in quanto tale, mette in pericolo
interessi connessi all’amministrazione , esposta ad un pregiudizio direttamente
derivante dalla permanenza del soggetto inquisito nell’ufficio. “Il pregiudizio possibile
concerne in particolare la "credibilità" dell’amministrazione presso il pubblico, cioé il
rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, che può rischiare di essere incrinato
dall’"ombra" gravante su di essa a causa dell’accusa da cui é colpita una persona
attraverso la quale l’istituzione stessa opera.” ( Così La sentenza n.206 del 1999 della
Corte Costituzionale; in linea la sentenza del 17 ottobre 2000 del Consiglio di Stato, 3 Art.273c.p.p. (Condizioni generali di applicabilità delle misure). 1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza . 2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione (50 ss. c.p.) o di non punibilità (45 ss., 85 ss. c.p.) ( o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena (171 c.p.) che si ritiene possa essere irrogata. Art.274. (Esigenze cautelari). 1. Le misure cautelari sono disposte: a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova (292, lett. d), 301;), fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammis sione degli addebiti ; b) quando l'imputato (60, 61) si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione (7142, 7152, lett. c); c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni .
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la quale, richiamando la sentenza 23 giugno 1995 n. 617 del Consiglio di Stato, sez.
VI, ritiene che : ” E’ noto che la funzione della sospensione precauzionale dal servizio
dell’impiegato pubblico sottoposto a procedimento disciplinare risiede nell’interesse
pubblico di evitare qualsiasi pregiudizio per la regolarità del servizio e per il prestigio
della stessa amministrazione derivante dalla permanenza in servizio dell’impiegato
stesso: è stato rilevato che in tale ottica ciò che rileva non è il mero fatto formale
dell’imputazione, quanto piuttosto quello sostanziale dell’attribuzione di un reato al
dipendente” ).
Gli interessi della collettività di rilievo costituzionale, a tutela dei quali è posto tale tipo
di provvedimento, possono essere individuati ne l principio di buon andamento
dell’amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) e nel rapporto
"politico" che lega gli utenti e i destinatari dell’attività amministrativa a coloro che,
occupando pubblici uffici, hanno il dovere di adempiere le funzioni pubbliche loro
affidate "con disciplina ed onore" (art. 544, secondo comma, della Costituzione),
ponendosi "al servizio esclusivo della Nazione" (art. 98, primo comma, della
Costituzione).5
La misura cautelare della sospensione è, di conseguenza, il frutto di un attento
bilanciamento operato dal legislatore tra la presenza e la consistenza dell’esigenza di
protezione dell’interesse pubblico e la tutela dei diritti che sono compressi dall’adozione
di tale provvedimento precauzionale; quest’ultimo è legittimo solo se volto a tutelare
interessi amministrativi ed incide solamente sui diritti del singolo inerenti direttamente
il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione (lo jus ad officium e gli jura in
4 Art.54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. 5 Nel Decreto Presidente Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato” , all’art. Art. 13.- “Comportamento in servizio”, si legge che :” L'impiegato deve prestare tutta la sua opera nel disimpegno delle mansioni che gli sono affidate curando, in conformità delle leggi, con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'Amministrazione per il pubblico bene. L'impiegato deve conformare la sua condotta al dovere di servire esclusivamente la Nazione, di osservare lealmente la Costituzione e le altre leggi e non deve svolgere attività incompatibili con l'anzidetto dovere. Nei rapporti con i superiori e con i colleghi l'impiegato deve ispirarsi al principio di un'assidua o solerte collaborazione; deve essere di guida e di esempio ai dipendenti, in modo da assicurare il più efficace rendimento del servizio. Nei rapporti con il pubblico, il comportamento dell'impiegato deve essere tale da stabilire completa fiducia e sincera collaborazione tra i cittadini e l'Amministrazione. Qualora non sussistano particolari ragioni da sottoporre al capo dell'ufficio, l'impiegato deve, di regola, trattare gli affari attribuiti alla sua competenza tempestivamente e secondo il loro ordine cronologico. Fuori dell'ufficio, l'impiegato deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni.”
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officio). In pratica, nell’adozione della sospensione cautelare, non viene in evidenza la
minore o la maggiore probabilità che il dipendente risulti colpevole del reato o della
grave infrazione disciplinare e ,quindi, non assume rilevanza il requisito della gravità
degli indizi di colpevolezza , presupposto ,invece, per l’adozione delle misure cautelare
per il giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art.273 c.p.p. Que llo che rileva è
l’esistenza del periculum in mora derivante dalla permanenza nell’ufficio
dell’impiegato accusato nonostante l’accusa e nel periodo che precede la verifica di
questa. La proporzionalità e la congruità del provvedimento precauzionale, proprio
perché non si tratta di una sanzione, deve essere misurata non in riferimento al fatto
commesso, bensì in relazione al pregiudizio derivante all’interesse pubblico
dall’esercizio delle proprie funzioni da parte del dipendente coinvolto in vicende di
natura penale o disciplinare; la misura, di conseguenza, deve essere graduata non in
base al fatto,ma in base all’esigenza cautelare di cui sopra. “Vero é, invece, che la
misura deve risultare congrua rispetto all’effettività e alla consistenza dell’esigenza
cautelare che la fonda, in rapporto alla gravità dell’accusa, al nesso di questa con le
funzioni pubbliche svolte dall’impiegato, alla natura delle funzioni medesime, nonchè al
bilanciamento con l’eventuale interesse dell’amministrazione a continuare ad avvalersi
dell’opera dell’impiegato nonostante la pendenza dell’accusa.” (Così La sentenza
n.206 del 1999 della Corte Costituzionale)
In conclusione siffatta misura si trasformerebbe in una vera e propria sanzione
anticipata, e quindi in aperto contrasto con i14 8 bisso d, prenrazione to nne
colpevolezze di cuadell’ar 3529 della Costituzie e sche pa searess dia tra deze ne
Laorisnsnziure cautelra
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essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di
quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa
provvisoriamente comprime, in ossequio al criterio di proporzionalità della misura
cautelare, riconducibile all’art. 3 della Costituzione.” In caso contrario la misura
sarebbe illegittima a causa dell’ingiustificato sacrificio comportato ai diritti del singolo.
La sentenza n.206 aveva ritenuto applicabile alla sospensione obbligatoria cautelare di
cui all’art.15, comma 4-septies della L.n.55/90, non contenente alcuna espressa
previsione circa la durata della misura contemplata, i termini massimi di cui all’art.9,
comma 2, della Legge 7 febbraio 1990, n.19 poiché “se essa dovesse intendersi nel
senso che la sospensione dura a tempo indeterminato, fino al definitivo giudicato
sull’accusa penale, le censure di illegittimità costituzionale, sotto il profilo della
violazione del criterio di proporzionalità, sarebbero fondate.”
L’art. 9, comma 2, secondo e terzo periodo, della legge 7 febbraio 1990, n. 197,
stabilisce (nel contesto della disposizione che vieta la destituzione di diritto a seguito di
condanna penale, e prevede la possibilità di infliggere la destituzione all’esito del
procedimento disciplinare, da promuovere o proseguire, e da concludere, entro termini
fissati) che "quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del
procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di
tempo comunque non superiore ad anni cinque", e "decorso tale termine la sospensione
cautelare é revocata di diritto". 8 Tale norma, a detta della Corte, costituirebbe una
sorta di clausola di garanzia , frutto del bilanciamento tra l’esigenza cautelare , che pur
potrebbe protrarsi anche oltre tale limite, e quella di non comprimere eccessivamente
l’interesse del dipendente.
7 Art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti, dispone: «9. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. «La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto. «Per i loro dipendenti le regioni provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti ai principi fondamentali espressi nel presente articolo». 8 Il nuovo limite temporale di durata massima della sospensione cautelare sostituì quindi la precedente disciplina sancita degli artt.91 e 92 del T.U. n.3/1957 che, al contrario, non sancivano alcun limite temporale.
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La sentenza n.145/2002, riprendendo tali considerazioni, dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art.4, comma 2, della legge 27 marzo 2001 n.979, nella parte in cui
dispone che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di
prescrizione del reato. Infatti in riferimento ai delitti indicati dall’art.3 della legge in
esame, il termine di prescrizione può raggiungere una durata ultradecennale tenuto
conto anche degli effetti interruttivi della sentenza di condanna ai sensi dell’art.160,
ultimo comma, del codice penale. Tale arco temporale non può che essere considerato
manifestatamente eccessivo, in quanto conseguirebbe , nel processo di bilanciamento
delle due tipologie di interessi contrapposti, un’indebita compressione dei diritti del
dipendente. “A ciò si aggiunga che il termine in tal modo individuato viene
evidentemente a coincidere – almeno astrattamente - con il compimento di una causa di
estinzione del reato, cosicché la durata massima della misura risulta in sostanza
ricollegata non tanto (o non solo) al decorso di un determinato periodo di tempo
quanto piuttosto al (simultaneo) verificarsi di un fatto tale da determinare in realtà il
venir meno, insieme al reato, di qualsiasi esigenza cautelare ad esso connessa. Con
ulteriore, intrinseca violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza della
misura cautelare.
Si consideri, da ultimo, che la norma, prevedendo – accanto alla sentenza di
proscioglimento - quale autonoma causa di cessazione di efficacia della misura
cautelare, il decorso di un periodo di tempo pari a quello della durata della
prescrizione, comporta valutazioni, precluse alla pubblica amministrazione, che solo
l’autorità giudiziaria può compiere: si pensi all’incidenza sul decorso della
prescrizione delle circostanze aggravanti e attenuanti del reato. Con la conseguenza
che la suddetta causa di cessazione di efficacia della misura cautelare viene
necessariamente a coincidere con quella rappresentata dalla sentenza di
proscioglimento.”
La Corte conclude che il secondo comma dell’art.4 deve essere letto nel senso che la
sospensione dal servizio disposta dal comma 1 perde efficacia se per il fatto è
successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non 9 Art.4 : 1. Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio. 2. La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato.
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definitiva e , in ogni caso, decorsa una durata complessivamente non superiore a cinque
anni dalla sospensione, facoltativa o obbligatoria, riferibile al medesimo procedimento
penale.
In conclusione si deve attribuire alla norma contenuta nell’art.9 ,comma 2, della legge
19/90 il carattere di vera e propria clausola di garanzia,avente portata generale e
comprensiva, salvo diversa disciplina legislativa, di ogni ipotesi di sospensione
cautelare dal servizio. Per completezza, come sarà meglio evidenziato nella trattazione
delle singole tipologie di sospensione, è fondamentale sottolineare che la perdita
automatica di efficacia di una sospensione cautelare obbligatoria per il decorso del
termine quinquennale , non preclude, sussistendo i tassativi presupposti previsti dal
legislatore, il ricorso al diverso ed autonomo istituto della sospensione facoltativa,
strumento alternativo di cautela e di garanzia delle ragioni dell’Amministrazione. A tal
proposito è rilevante quanto disposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.447
del 1995, in merito al giudizio di legittimità costituzionale dell’art.9, secondo comma,
legge n.19/90, nella parte in cui prevede per la pubblica amministrazione l'obbligo
indiscriminato di riammettere nel posto di lavoro il dipendente - già sospeso dal servizio
per essere stato sottoposto a procedimento penale e successivamente condannato,
ancorchè con sentenza non ancora passata in giudicato - alla scadenza del termine di
cinque anni dall'inizio del periodo di sospensione, promosso con ordinanza emessa il
25 febbraio 1994 dal Consiglio di Stato10. In particolare il T.A.R. del Friuli-Venezia
Giulia aveva annullato la delibera del Comune di Pozzuolo del Friuli , con la quale si
era disposto, nei confronti di un vigile urbano, il provvedimento di sospensione
cautelare facoltativa ai sensi dell’art.92 del T.U. n.3/5711, dopo che la sospensione
10 Nella proposizione della questione incidentale il C.d.S. osservava “che la previsione della revoca di diritto della sospensione cautelare dopo il decorso del termine quinquennale comporta un rigido automatismo (in favore del dipendente inquisito), che fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale della citata disposizione per irragionevolezza laddove essa pone sul medesimo piano tutti i tipi di reato senza differenziarli secondo la loro gravità. Inoltre la norma non tiene conto se vi sia stata già una pronuncia, sia pure non ancora passata in giudicato, oppure se l'imputazione si trovi ancora nella fase dell'istruttoria, ponendo sul medesimo piano tutti gli accertamenti e le valutazioni fatte in proposito da parte degli organi giudiziari. Inoltre - secondo il giudice rimettente - vi sarebbe violazione dell'art. 4 della Costituzione in quanto la norma richiamata darebbe facoltà ad un cittadino di svolgere una funzione pubblica senza che si avverino i presupposti di dignità e di capacità; ed infine la norma censurata si pone anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione perchè verrebbe inficiato il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione.” 11 Art. 92.- Sospensione cautelare facoltativa. “Il ministro può, per gravi motivi, ordinare la sospensione dell'impiegato dal servizio anche prima che sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare. La sospensione disposta prima dell'inizio del procedimento disciplinare è revocata e l'impiegato ha diritto alla riammissione in servizio ed alla corresponsione degli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, se la contestazione degli addebiti, ai sensi del secondo comma dell'art. 103, non ha luogo entro quaranta giorni
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obbligatoria, precedentemente adottata ai sensi dell’art.9112 , aveva perso efficacia per il
decorso del termine di 5 anni; la sentenza del Tribunale Amministrativo veniva
appellata innanzi al Consiglio di Stato rimettente.
La Corte Costituzionale, confermando la legittimità dell’art.9 della l.19/90, ritiene che
la perdita automatica di efficacia della sospensione cautelare ex art. 91 cit. non
comporta affatto che , sussistendo “gravi motivi” e ,quindi, inderogabili esigenze di
tutela, nonostante il non breve lasso di tempo trascorso(cinque anni), l’amministrazione
si trovi priva di strumenti idonei a scongiurare la particolare gravità e l’irrimediabile
pregiudizio che deriverebbero dalla riattivazione del rapporto di impiego.
“La sopravvenuta inefficacia di diritto della sospensione cautelare adottata ex art. 91
proprio perchè si fonda su un presupposto autonomo e diverso da quello della
sospensione c.d. facoltativa di cui all'art. 92 - non esclude, nè preclude, il ricorso a
quest'ultima come strumento alternativo di cautela e garanzia delle ragioni
dell'amministrazione. È cioè possibile che, pur decorso il termine quinquennale
suddetto, sussistano "gravi motivi" che, ancorchè non sia esaurito il procedimento
penale, giustifichino la perdurante (ma non ancora definitiva) estromissione del
dipendente dal posto di lavoro, motivi che però non possono consistere piu' nel mero
dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la
commissione dell'addebito disciplinare; ciò alla luce di una sommaria cognitio dei fatti
che, valutando allo stato ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del
dipendente, rinvenga in quest'ultima un insuperabile ostacolo alla sua riammissione in
servizio.”
La sospensione facoltativa di cui all’art.92, basandosi su di un presupposto diverso
rispetto allo strumento contemplato dall’art.91 e, quindi, fondandosi su di un
presupposto sostanziale (l’avvio del procedimento disciplinare), perde di efficacia, con
la conseguente riammissione in servizio del dipendente, se nel termine di quaranta
dalla data in cui è stato comunicato all'impiegato, nelle forme dell'art. 104, il provvedimento di sospensione. All'impiegato sospeso ai sensi del precedente e del presente articolo si applicano, le disposizioni dell'art. 82.” 12 Art. 91.- Sospensione cautelare obbligatoria. “L'impiegato sottoposto a procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal servizio con decreto del Ministro; ove sia stato emesso mandato od ordine di cattura, l'impiegato deve essere immediatamente sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio. Il capo dell'ufficio che ha notizia dell'emissione di un mandato o ordine di comparizione, o della convalida del fermo, nei confronti d'un impiegato da lui dipendente, deve riferirne immediatamente all'ufficio del personale del Ministero.”
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giorni dalla data in cui il provvedimento precauzionale stesso è stato comunicato
all'interessato non vengono in ogni caso contestati gli addebiti al medesimo.
Il Consiglio di Stato ,sez.VI, con la sentenza n.953 del 18 giugno 1998 , recependo
l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, ribadisce che l’art.9,comma 2, della
l.19/90 non esclude la possibilità, allo spirare del termine massimo di efficacia della
sospensione cautelare,di riesaminare la posizione del dipendente e, quindi , al ricorrere
dei presupposti prima analizzati, di disporre la misura della sospensione facoltativa ai
sensi dell’art.92. Il Consiglio di Stato nella medesima sentenza precisa che non deve
accogliersi l’interpretazione dell’art. 9 legge n. 19 del 1990 secondo la quale un
dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale e sospeso in via cautelare
facoltativa, successivamente allo spirare del termine massimo quinquennale, non
potrebbe essere mai più sospeso cautelarmente e sempre in via facoltativa, a seguito
dell’instaurarsi di un distinto procedimento penale, avente ad oggetto diversi ed
autonomi episodi delittuosi. In tal modo si impedirebbe all’amministrazione di adottare
le misure cautelari relative a condotte diverse poste in essere dal soggetto, comportando,
quindi, un’aperta lesione del principio di legalità e del buon funzionamento dell’azione
amministrativa. “In altri termini, si tratta di evitare che lo spirare del termine
quinquennale, in relazione ad un determinato provvedimento di sospensione cautelare
adottato in connessione con un ben individuato procedimento penale, si trasformi in
una patente di immunità per il dipendente infedele che reiteri nuove condotte criminose
originanti ulteriori procedimenti penali, senza che l’Amministrazione possa adottare un
ulteriore provvedimento di sospensione cautelare facoltativa, ferma restando,
beninteso, la durata massima quinquennale per pendenza di procedimento penale”.
2. Tipologie di sospensione adottabili
Per quanto riguarda le tipologie di provvedimenti di sospensione cautelate adottabili nei
confronti degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza coinvolti in vicende di
natura penale o disciplinare bisogna operare innanzitutto una prima importante
distinzione tra i provvedimenti di sospensione cautelare obbligatoria13 ed i
13 Tale tipo provvedimento è disciplinato dall’art.29, comma 2 della legge 10 aprile 1954 n.113 per gli Ufficiali; dall’art.20, comma 2 della legge 31 luglio 1954 n.599 per il personale appartenente ai ruoli
10
provvedimenti di sospensione cautelare facoltativa 14 . Entrambe le tipologie di
sospensione sono dirette a salvaguardare l’interesse sotteso all’esercizio imparziale,
efficiente ed efficace della funzione pubblica dell’amministrazione, dal pregiudizio che
potrebbe derivare dalla permanenza in servizio del militare sul quale “gravano ombre”
di natura penale o disciplinare ; l’elemento che differenzia le misure precauzionali di cui
sopra è incentrato sul diverso presupposto al verificarsi del quale l’amministrazione è
legittimata all’irrogazione dei provvedimenti stessi. Nel caso della sospensione
obbligatoria, l’amministrazione è tenuta ad adottare un atto vincolato nei modi e nei
contenuti, senza che possa esercitare nessun tipo di valutazione discrezionale sul caso;
tale misura precauzionale vincolata deve essere disposta automaticamente quando il
militare sia stato destinatario di una misura cautelare personale coercitiva ( arresti
domiciliari – art.284 c.p.p.; custodia cautelare in carcere - art.285 c.p.p.; custodia
cautelare in luogo di cura – art.286 c.p.p.; arresto in flagranza di reato o fermo
convalidati ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art.391 c.p.p.). In tale caso, quindi,
l’adeguatezza , la proporzionalità e la gradualità della sospensione precauzionale, in
relazione all’esigenza cautelare da soddisfare nel caso concreto, viene valutata ex ante
dal legislatore, senza che all’amministrazione residui alcuna discrezionalità circa la
tipologia ed il contenuto dell’ atto da adottare nelle more dell’accertamento definitivo
della responsabilità del dipendente. La sospensione opera ope legis proprio perché il
periculum in mora, che potrebbe derivare all’amministrazione dalla permanenza in
servizio del militare che si trovi nelle condizioni sopra enunciate, viene valutato dal
legislatore concreto, immediato e degno di tutela, alla luce del fatto che i provvedimenti
restrittivi della libertà personale possono essere adottati dall’A.G. solo ove sussistono
gravi indizi di colpevolezza (art.273 c.p.p.) e ,comunque, il giudice deve tener “ conto
della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze
cautelari da soddisfare nel caso concreto” ed “ogni misura deve essere proporzionata
all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata.”
Nel caso della sospensione facoltativa, invece, il provvedimento precauzionale si
configura come un atto discrezionale, adottabile dall’amministrazione al ricorrere dei
ispettori e sovrintendenti; dall’art.14, comma 2 della legge 3 agosto 1961 n.833 per il personale appartenente al ruolo appuntati e finanzieri. 14 Tale tipo provvedimento è disciplinato dall’art.29, comma 1 della legge 10 aprile 1954 n.113 per gli Ufficiali; dall’art.20, comma 1 della legge 31 luglio 1954 n.599 per il personale appartenente ai ruoli ispettori e sovrintendenti; dall’art.14, comma 1 della legge 3 agosto 1961 n.833 per il personale appartenente al ruolo appuntati e finanzieri.
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presupposti stabiliti dall’ordinamento, previa valutazione dell’opportunità di disporre
tale misura cautelare in relazione alla gravità del fatto ascritto al militare e alla sua
idoneità e proporzionalità rispetto all’esigenza cautelare da tutelare. Questo comporta
che , ai fini della legittimità del provvedimento, la motivazione sottesa allo stesso deve
dare congruo riscontro dell’analisi di tali elementi. I presupposti che giustificano
l’adozione di tale misura variano a seconda del grado del militare coinvolto in vicende
di natura penale o disciplinare; mentre per gli ufficiali è sufficiente che siano addebitati
fatti per i quali si possa essere sottoposto a procedimento penale o disciplinare e la
gravità degli stessi lo consigli, per i militari provenienti dal ruolo ispettori e
sovrintendenti vi deve essere l’avvio di un procedimento penale dal quale può
conseguire la perdita del grado o deve essere stato avviato un procedimento
disciplinare; per gli appartenenti al ruolo appuntati e finanzieri , invece, il presupposto
legittimante deve essere individuato solo nell’ avvio di un procedimento penale dal
quale può conseguire la perdita del grado.
Ulteriore tipologia di sospensione cautelare dal servizio è rinvenibile nella legge 27
marzo 2001 n.97, in tema di rapporto tra giudicato penale e procedimento disciplinare
ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni
pubbliche. L’art.4 della norma in esame dispone che ,nel caso di condanna anche non
definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei
delitti ( tassativamente enunciati dall'articolo 315, comma 1) previsti dagli articoli 314,
primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della
legge 9 dicembre 1941, n. 1383, i dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici
ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica sono obbligatoriamente sospesi dal
servizio. In tale ambito sono ricompresi anche gli appartenenti alle Forze Armate così
come confermato dal Consiglio di Stato, comm.spec.p.i.,5 novembre 2001 n.497.
Al verificarsi del presupposto individuato dal legislatore, l’amministrazione è obbligata
a disporre la misura precauzionale della sospensione dal servizio, provvedimento che
assume la natura di atto dovuto e vincolato, stante la preclusione in capo all’autorità
amministrativa di operare una valutazione discrezionale circa l’opportunità o meno
dell’adozione dello stesso.
15 L’art.3 prevede il trasferimento d’autorità del dipendente nel caso di rinvio a giudizio per le stesse fattispecie illecite, in relazione alle quali l’art.4 e l’art. 5 prevedono rispettivamente la sospensione obbligatoria e la destituzione a seguito di condanna non definitiva e di condanna passata in giudicato .
12
La sospensione prevista dalla disposizione in esame consegue automaticamente alla
condanna non definitiva per tali delitti e si configura , quindi, come misura cautelare
finalizzata all’allontanamento temporaneo del dipendente dal servizio. In tal caso il
legislatore opera ex ante una valutazione in merito alla necessità per gli interessi
pubblici dell’amministrazione di sospendere dal servizio l’impiegato in capo al quale si
verificano i presupposti individuati tassativamente dalla norma; in pratica il legislatore,
nei casi di cui sopra, pone in essere quell’ attività valutativa che in genere spetta
all’amministrazione, circa l’adeguatezza della misura precauzionale alle esigenze
cautelari da soddisfare nel caso concreto. La severità di tale automatismo ha sin da
subito sollevato dubbi circa la legittimità costituzionale di tale norma, in particolare in
riferimento agli artt.3, 24 e 27 della Cost.; attraverso l’ordinanza n.548 dell’11 luglio
2001 del T.A.R. dell’Emilia Romagna , infatti, si sono prospettati profili di
incostituzionalità della norma in relazione all’incompatibilità della sospensione dal
servizio, prevista dall’art.4, comma 1, con il principio della presunzione di non
colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all’art.27 co.2 della Costituzione. In
particolare il Tribunale Amministrativo fa rinvio a precedenti pronunce della Corte
Costituzionale, in merito a disposizioni normative disciplinanti forme di sospensione
automatica dal servizio. La stessa Corte, infatti, con la sentenza n.239/1996, dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art.110 del D.P.R. 28 gennaio 1988 n.43 nella parte in
cui prevedeva l’automatica sospensione dall’impiego e dall’abilitazione degli ufficiali
di riscossione dei tributi nei cui confronti fossero pendenti determinati reati. La Corte
parte dal presupposto che la misura cautelare , in quanto non collegata ad una condanna
definitiva, ma alla mera pendenza di un procedimento penale , deve essere disposta solo
in base ad effettive esigenze cautelari, nel rispetto del diritto costituzionale di
presunzione di non colpevolezza ; di conseguenza , nella pronuncia di cui sopra, si
dichiara illegittimo “quell’assoluto automatismo della misura cautelare” poiché
configgente con i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Secondo tali principi,
continua la Corte, deve “essere consentito di valutare discrezionalmente, in relazione
alla gravità del fatto e delle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto
agente, l’opportunità di applicare o meno la misura cautelare”. Il T.A.R. , inoltre, fa
espresso rinvio anche alla sentenza n.40 del 1990 della Corte Costituzionale con la
quale si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.139 n.2 della legge 16 febbraio
1913 n.89 nella parte in cui prevedeva l’inabilitazione de iure del notaio condannato per
taluni reati con sentenza non ancora passata in giudicato.
13
Il Tribunale esprime forti dubbi in merito all’ aprioristica ed acritica valutazione di
incompatibilità della permanenza in servizio del pubblico dipendente, condannato in via
non definitiva per un reato di cui all’art. 3 della legge n. 97/2001, disposta ope legis dal
legislatore, precludendo “ingiustamente” ogni possibilità per l’amministrazione di
apprezzare i particolari profili che ogni singolo caso concreto presenta. Si evidenzia che
in tal modo viene ad essere irrimediabilmente sacrificata la posizione dell’interessato,
benché non ancora definitivamente riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli.
Ponendosi sulla stessa linea del T.A.R. di Bologna, il Tribunale Amministrativo
Regionale per la Campania con tre ordinanze, sostanzialmente identiche, emesse il 13
giugno 2001, il 4 luglio 2001 e l’8 agosto 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
4, 24, 27, 35, 36 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.
4, commi 1 e 2, della legge 27 marzo 2001, n. 97. La Corte Costituzionale con la
sentenza n.145/2000 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art.4, comma 1 della L.97/2001, mentre ha accolto la questione di legittimità
dell’art.4, comma 2, nella parte in cui dispone che la sospensione perde efficacia
decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato. Nella citata
sentenza la Corte , richiamando la pronuncia n.206/99 in merito alla legittimità della
sospensione obbligatoria prevista dall’art.15, comma 4-septies, della legge 19 marzo
1990 n.55, conferma la legittimità della sospensione automatica in caso di condanna
anche non definitiva di cui all’art.4 . Benché la misura cautelare debba essere , in via
ordinaria, disposta dall’amministrazione dopo la valutazione discrezionale circa
l’opportunità di disporre o meno il provvedimento precauzionale della sospensione, si
ribadisce la possibilità per il legislatore di prevedere ipotesi circoscritte nelle quali
l’esigenza cautelare che legittima la sospensione è apprezzata in via generale ed astratta
dalla stessa legge. In pratica , in determinati casi, si considera legittimo che la
valutazione della particolare gravità della natura del reato , normalmente affidata
all’amministrazione in ragione degli artt.91 e 92 del T.U. n.3/1957, venga operata ex
ante per espressa previsione normativa. La presente legge , inoltre, prevede all’art. 5 la
destituzione di diritto come pena accessoria alla condanna penale definitiva. Infatti
all’art.19 del codice penale è stato introdotto il numero 5-bis in cui si contempla, tra le
pene accessorie per i delitti, l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro; l’art.32-
quinquies , introdotto dalle legge 97/2001, stabilisce che la condanna alla reclusione per
un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314,primo comma, 317,
318, 319, 319 ter e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego
14
nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a
prevalente partecipazione pubblica; tale sanzione accessoria viene estesa anche al reato
di “collusione in contrabbando” prevista precipuamente per i militari appartenenti al
Corpo della Guardia di Finanza dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 138316.
L’istituto in esame assume un’importanza particolare alla luce del fatto che il principio
d'automaticità della destituzione "di diritto" del pubblico dipendente , vigente in forza
dell'art.85, comma 1 lett. A del DPR n.3/1957 (T.U. degli impiegati civili dello Stato),
era stato precedentemente dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n.971 del 14/10/1988, siccome in contrasto con gli artt.3, 4 , 35 e 97 della
Costituzione.
La successiva Legge n.19 del 7 Febbraio 1990, cercando di colmare il vuoto normativo
derivante dalla declaratoria d'incostituzionalità delle norme previgenti ,
stabili,all'art.9,che il pubblico dipendente non poteva essere destituito di diritto a seguito
di condanna penale , ma la destituzione poteva avvenire solo a seguito di rituale
procedimento disciplinare. In seguito la legge 19 marzo 1990 n.55 introdusse , per i
componenti delle assemblee elettive regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali,
che si fossero resi responsabili dei reati di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti
e reati contro la pubblica amministrazione, la sospensione dell’eletto e la successiva
decadenza a seguito di condanna penale irrevocabile. Con la legge 8/1/1992 n.16 le
disposizioni di cui alla legge 55/90 furono estese anche ai funzionari resisi responsabili
di gravi delitti quali quello d’associazione mafiosa o d’associazione per delinquere;
inoltre veniva disposta la decadenza di diritto del pubblico dipendente a seguito del
giudicato penale di condanna per tali delitti di particolare rilievo.
L’art.15, comma 4 septies disponeva17, nei confronti del personale dipendente delle
amministrazioni pubbliche, l’ immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o
dall'ufficio ricoperti, al ricorrere di una delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), d),
e) ed f) del comma 1 dello stesso articolo: condizioni che si sostanziavano nell’aver
riportato condanna, anche non definitiva, per determinati delitti di criminalità
organizzata (associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al
16 Art.3 – Il militare della Guardia di Finanza che commette una violazione delle leggi finanziarie, costituente delitto, o collude con estranei per frodare la finanza, oppure si appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri ,valori o generi di cui egli, per ragione del suo ufficio o servizio, abbia l’amministrazione o la custodia o su cui esercita la sorveglianza,soggiace alle pene stabilite dagli artt.215 e 219 del codice penale militare di pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali. La cognizione dei suddetti reati appartiene ai tribunali militari. 17 Prima della novazione legislativa di cui alla legge L. 13 dicembre 1999, n. 475
15
traffico illecito di sostanze stupefacenti e altri delitti connessi a detto traffico, nonchè al
traffico di armi, favoreggiamento personale o reale in relazione a taluno dei predetti
reati (lettera a), o per determinati delitti contro la pubblica amministrazione (lettera b),
ovvero condanna confermata in appello per altri delitti commessi con abuso o
violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (lettera c), ovvero a determinate
pene per qualsiasi delitto non colposo (lettera d); nell’essere sottoposto a procedimento
penale, quando sia stato disposto il rinvio a giudizio o la presentazione o la citazione in
udienza per il giudizio per i delitti di criminalità organizzata di cui alla lettera a (lettera
e); nell’essere sottoposto, anche con provvedimento non definitivo, a misura di
prevenzione in quanto indiziato di appartenere ad una associazione di stampo mafioso
(lettera f).
Il successivo comma 4 octies ,estendendo al personale dipendente le disposizioni dei
commi 4 quinquies e 4 sexies, prevedeva la decadenza di diritto dalla data del passaggio
in giudicato della sentenza di condanna o dalla data di definitività del provvedimento di
applicazione della misura di prevenzione.
In sintesi la legge n.55/90, così come modificata dalla legge n.16 del 1992, prevedeva la
sospensione obbligatoria in connessione con il rinvio a giudizio o con la condanna non
definitiva per le fattispecie illecite individuate e la decadenza nel caso di condanna
passata in giudicato.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia con ordinanza emessa il 7 aprile
1998 n.599 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.15, comma 4 –
septies, in riferimento agli artt.3,4,24 secondo comma, 27 secondo comma,35, 36 e 97
della Costituzione. In particolare si sottolinea l’illegittimità della disposizione
impugnata nella parte in cui prevede una forma di sospensione in via automatica,
sfavorevolmente incidente sul rapporto di impiego, nei confronti di coloro che siano
sottoposti a procedimento penale o abbiano subito condanna penale, in quanto misure di
tal genere possono essere disposte solo in base ad una valutazione del caso concreto da
parte dell’amministrazione stessa; il giudice a quo, inoltre, pone l’attenzione sul fatto
che ci si trova innanzi ad una “difesa avanzata” nel momento in cui la norma
contempla la sospensione obbligatoria in base al presupposto della mera pendenza del
procedimento penale (dopo il rinvio a giudizio), fase antecedente ad un qualsiasi
giudizio di colpevolezza sul dipendente. Il rinvio a giudizio sarebbe , infatti, “un mero
atto di impulso processuale, che prescinde da un apprezzamento di merito secondo un
canone, sia pure prognostico di colpevolezza”. In pratica il Tribunale Amministrativo
16
sostiene l’incompatibilità della sospensione automatica con i principi di proporzionalità
e di non eccessività delle misure afflittive.
La Corte Costituzionale con la sentenza n.206 del 1999 dichiara non fondata la
questione e conferma la legittimità della sospensione automatica. Infatti, vista la “
specificità di siffatti rischi di inquinamento degli apparati amministrativi” e sussistente
la “ necessità di troncare anche visibilmente ogni legame che possa far apparire
l’amministrazione, agli occhi del pubblico, come non immune da tali infiltrazioni
criminali” , viene giustificata una valutazione ex ante circa l’incompatibilità con
l’interesse pubblico della permanenza nell’ufficio o nella funzione di persone sulle quali
gravi un’accusa per questo tipo di delitti, “operando per legge e in via generale
l’apprezzamento dell’esigenza cautelare, e così sottraendo la stessa amministrazione ai
rischi di condizionamenti diretti o indiretti derivanti dalla stessa presenza delle
organizzazioni criminali, che potrebbero alterarne le valutazioni.”
Per tali motivi sono ritenuti infondati i dubbi prospettati circa la rigidità di una scelta
legislativa che non distingue e non permette di distinguere caso da caso in relazione alla
natura delle mansioni svolte dall’impiegato e alla sussistenza o meno di un nesso fra la
funzione pubblica e il fatto di reato a lui contestato.
Non viene riconosciuto fondamento neanche alla questione relativa alla compatibilità di
tale disposizione con il diritto alla difesa di cui all’art.24, secondo comma, della
Costituzione, poiché la sospensione non opera propriamente di diritto, ma deve essere
comunque disposta con un provvedimento dell’amministrazione competente, ancorché
vincolato nei presupposti e nel contenuto.18 La presente pronuncia conclude
affermando la non irragionevolezza della sospensione disposta a seguito di rinvio a
giudizio, poiché quest’ultimo presuppone comunque che siano stati raccolti elementi tali
da precludere una pronuncia di insussistenza del fatto ovvero della colpevolezza o della
punibilità dell’imputato (cfr. art. 425 c.p.p.) e comporta una valutazione del giudice
vertente proprio sulla esistenza degli elementi che rendono necessario il giudizio per
accertare definitivamente il reato .
Tale forma di sospensione obbligatoria , per effetto della legge 13 dicembre 1999 n.475,
è ora applicabile solo per la sentenza definitiva, in quanto le parole «, anche non
definitiva,», contenute alle lettere a), b), c), d), e) ed f) del comma 1 dell’art.15 L.55/90
sono state sostituite dall'attuale «definitiva» dall'art. 1, comma 1, lett. a) della l.475/99.
18 Contro di esso l’interessato può far valere pienamente, in sede giurisdizionale, proprie eventuali doglianze, nonché far valere eventuali vizi derivanti dalla inesistenza dei presupposti legalmente stabiliti.
17
La Corte costituzionale, con sentenza 19-27 aprile 1993, n. 197 (G.U. 5 maggio 1993,
n. 19 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 15, comma 4-octies, nella
parte in cui, mediante rinvio al comma 4-quinquies, prevede la destituzione di diritto,
anziché lo svolgimento del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 9 della legge n.
19 del 1990; in tal modo, quindi, è stata negata la legittimità costituzionale delle norme
che prevedono l’applicazione di diritto, o automatica, di sanzioni destitutive a seguito di
determinate condanne penali definitive, senza consentire all’amministrazione una
graduazione in relazione all’apprezzamento concreto del fatto per il quale è intervenuta
la condanna 19.
La legge 25 gennaio 1982 n.17 “Norme di attuazione dell'art. 18 della Costituzione in
materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia
P2”, prevede un’ulteriore figura di misura precauzionale di sospensione facoltativa
dall’impiego. L’art.4 dispone che i dipendenti pubblici, civili e militari, per i quali
risulti, sulla base di concreti elementi, il fondato sospetto di appartenenza ad
associazioni segrete20, possono essere sospesi dal servizio, valutati il grado di
corresponsabilità nell'associazione, la posizione ricoperta dal dipendente nella propria
amministrazione nonché l'eventualità che la permanenza in servizio possa
compromettere l'accertamento delle responsabilità del dipendente stesso.
Ai dipendenti pubblici, civili e militari, che sono riconosciuti responsabili di
appartenere ad associazioni segrete, vengono applicate , tenuto conto grado di
corresponsabilità del dipendente nell'associazione segreta, nonché alla posizione del
medesimo ricoperta nell'ordinamento di appartenenza in relazione alle funzioni
esercitate, le sanzioni disciplinari previste dai rispettivi ordinamenti di appartenenza,
oltre alle pene di cui all’art.2. Quest’ultimo , infatti, stabilisce la pena della reclusione
fino a due anni e l’interdizione per un anno dai pubblici uffici per i partecipanti ad
un’associazione segreta.
La sospensione cautelare facoltativa dal servizio cessa di avere efficacia qualora, entro
il termine di centottanta giorni dal relativo provvedimento, non sia stata esercitata
l'azione penale ovvero non sia concluso il procedimento disciplinare.
Nelle norme di attuazione del codice di procedura penale sono rinvenibili due tipologie
di sospensione per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Ai sensi dell’art.16,
fermo restando le sanzioni disciplinari stabilite dai rispettivi ordinamenti, i soggetti di
19 Sulla stessa linea le sentenze n.16 del 1991 e n.363 del 1996. 20 Così come individuate ai sensi dell'art. 1.
18
cui sopra che senza giustificato motivo omettono di riferire nel termine previsto
all'autorità giudiziaria la notizia del reato, che omettono o ritardano l'esecuzione di un
ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente o
comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di
polizia giudiziaria, sono soggetti alla sanzione disciplinare della censura e, nei casi più
gravi, alla sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi.
Tale disposizione contempla, quindi, non una forma di provvedimento precauzionale,
ma una sanzione disciplinare comminabile in seguito alla promozione dell’azione
disciplinare da parte del procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto
presta servizio l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria. All’art.19, invece, viene
attribuita alla commissione , composta secondo le modalità di cui all’art.18, comma 3,
la facoltà di disporre la misura cautelare della sospensione dell’ufficiale o dell’agente
dalle funzioni di polizia giudiziaria nelle more dell’accertamento della responsabilità ai
fini dell’irrogazione dell’eventuale sanzione.
Questa forma di sospensione cautelare rappresenta un istituto del tutto autonomo
rispetto alle misure precauzionali contemplate dalle vigenti leggi sullo stato giuridico
dei militari; infatti, non solo si fa espresso riferimento ad una sospensione dalle
“funzioni” che non preclude l’esercizio di attribuzioni diverse ( ad esempio il
finanziere, sospeso ai sensi dell’art.19 , potrebbe essere demandato alle funzioni di
scrivano nell’Ufficio Comando), ma tale misura potrebbe essere accompagnata da una
sospensione cautelare facoltativa adottata dall’amministrazione competente a seguito di
una distinta ed autonoma valutazione circa la compatibilità della posizione del
dipendente con la sua permanenza in servizio, sempre ove siano sussistenti i presupposti
normativi descritti in precedenza .
Alle stesse conclusioni si giunge in merito alla sospensione dall'esercizio di un
pubblico ufficio o servizio di cui all’art.289 c.p.p. La norma dispone che nel caso in
cui si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione (314 ss. c.p.), tale
misura preventiva può essere disposta a carico del pubblico ufficiale (357 c.p.) o
dell'incaricato di un pubblico servizio (358 c.p.), anche al di fuori dei limiti di pena
previsti dall'art. 287 comma 1, sempre che , nel corso delle indagini preliminari, prima
di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un
pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le
modalità indicate agli articoli 64 e 65. Il Consiglio di Stato, III Sez., con parere 30
aprile 1991, n.610, ha ribadito che la sospensione cautelare disposta dall’Autorità
19
Giudiziaria e il provvedimento precauzionale disciplinato dalle leggi di stato, sono in
rapporto di piena autonomia in quanto rispondono a finalità diverse e l’una non preclude
l’adozione dell’altro. Come abbiamo avuto modo di sottolineare a propostito della più
volte citata sentenza n.206/1999, le esigenze cautelari , a tutela delle quali è preordinata
la misura sospensiva di cui all’at.289 c.p.p., sono relative agli scopi del processo penale
e della prevenzione di nuovi reati, e , per questo, tale misura è assoggettata alle
condizioni connesse a tali scopi, così come previsto dagli artt.273 e ss. c.p.p. La
sospensione facoltativa prevista dalle leggi di stato , invece, è volta al soddisfacimento
delle esigenze cautelari connesse alla funzione amministrativa ed al rapporto di
impiego con il dipendente; pertanto è svincolata da esigenze processuali e di
prevenzione speciale e viene disposta con un provvedimento dell’amministrazione,
senza che assume diretta importanza il requisito della gravità degli indizi di
colpevolezza21 . “Non a caso, ai fini dell’applicazione della misura della sospensione
di cui all’art.91 del D.P.R.n.3/57,rileva che la natura del reato sia particolarmente
grave , e non la gravità degli indizi da cui l’imputato sia raggiunto. Né del resto si
potrebbe pensare che l’amministrazione , chiamata ad apprezzare l’esigenza di cautela,
formuli prognosi di colpevolezza o meno, sostituendosi al giudice penale.”
Quindi nel caso in cui venga disposta dal giudice la misura di cui all’art.289 c.p.p.22,
l’amministrazione dovrà valutare autonomamente l’opportunità di adottare o meno la
misura della sospensione cautelare facoltativa .
Di diversa natura è , invece, la sospensione disciplinare 23, in quanto rientra tra le
sanzioni di stato, provvedimenti adottabili al termine del procedimento disciplinare (di
stato). Tale misura non ha funzione e natura cautelare e , quindi, non viene adottata
nella pendenza dell’accertamento definitivo di eventuali responsabilità per preservare
gli interessi dell’amministrazione , ma costituisce un provvedimento sanzionatorio
applicabile al dipendente in seguito all’instaurazione, attraverso l’inchiesta formale 24,
21 Il quale condiziona,invece, le misure cautelari demandate al giudice dal codice di rito. 22 L’interdizione ha luogo per un periodo di tempo limitato che, a mente dell’art. 308, comma 2, c.p.p., di regola, non può superare i due mesi, a meno che la misura non sia disposta per salvaguardare le fonti di prova da pericoli di dispersione o di inquinamento, nel qual caso il giudice può disporne la rinnovazione anche al di là del suddetto termine, osservati comunque i limiti di cui all’art. 308, comma 1, c.p.p.. 23 Art.30 legge 10 aprile 1954 n.113 : “La sospensione disciplinare dall'impiego è inflitta previa inchiesta formale, senza che occorra il preventivo deferimento ad un Consiglio di disciplina; la sua durata non può essere inferiore a due mesi né superiore a dodici.” 24 Art.74 legge 10 aprile 1954 n.113: “L'inchiesta formale è il complesso degli atti diretti all'accertamento di una infrazione disciplinare per la quale l'ufficiale può essere passibile di una delle sanzioni indicate all'art. 73. L'inchiesta formale comporta la contestazione degli addebiti. L'inchiesta formale viene esperita secondo le norme stabilite nel regolamento.”
20
del relativo procedimento disciplinare di stato e alla sua conclusione. Dalla lettura
dell’art.73 della legge 10 aprile 1954 n.113, si evince che le sanzioni disciplinari di
stato sono distinte tra :
a) la sospensione disciplinare dall'impiego, di cui all'art. 30;
b) la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado, prevista dall'art. 52;
c) la perdita del grado per rimozione, di cui al n. 4 dell'art. 70.25
Il procedimento disciplinare di stato viene avviato in seguito alla commissione di fatti ai
quali consegue l’avvio di un procedimento penale 26 o in seguito alla commissione di
gravi infrazioni disciplinari. Il procedimento disciplinare di stato può essere instaurato,
nei termini previsti dall’art.9 della legge 7 febbraio 1990 n.1927 (entro 180 giorni dalla
data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza penale e concluso entro
novanta giorni; l’applicabilità di tale disciplina al personale militare è stata
espressamente riconosciuta dal Consiglio di Stato,III Sez., con parere n.1092/1990,
reso in seguito a specifico quesito formulato dal Ministero della Difesa), quando il
processo penale si conclude con sentenza irrevocabile di condanna, la quale, ai sensi
dell’art.653 c.p.p., così come modificato dall’art.1 della legge 27 marzo 2001 n.97, ha
efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche
autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e
all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. A tal proposito si ritiene utile
sottolineare che l’art.2 della L.97/2001 , modificando l’art.445, primo comma, secondo
25 Il T.U. 1957/3 dispone all’art.78 “L'impiegato che viola i suoi doveri è soggetto alle seguenti sanzioni disciplinari: 1) la censura; 2) la riduzione dello stipendio; 3) la sospensione dalla qualifica; 4) la destituzione. 26 Si ricorda che l’art.117 del T.U. dispone che “Qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso.” 27 Art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19(modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti), “9. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto.”
21
periodo del c.p.p.28, definisce la natura della sentenza di patteggiamento quale sentenza
di condanna, recependo un oramai consolidato orientamento giurisprudenziale
amministrativo ( per tutte la sentenza 15 novembre 2001 n.5832 Consiglio di Stato,
Sez.V : “L’art. 444 c.p.p. è successivo all’art. 1 della legge n. 16 del 1992 richiamata
dall’appellante e, per verificare se tale ultima disposizione si riferisce anche alla
sentenza cd patteggiata, occorre procedere in via interpretativa. Per questa via,
considerando che la giurisprudenza amministrativa ha già affermato che la sentenza
cd. patteggiata è equiparabile ad una sentenza di condanna, per quanto concerne
l’accertamento delle responsabilità (oggi tale equiparazione è espressamente stabilita
dall’art. 58, comma 2, del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato
con il D.Lgs. 18.8.2000, n. 267), la Sezione ritiene che la sospensione possa essere
adottata anche a seguito di una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p.)
Se il processo si conclude con una sentenza irrevocabile di assoluzione con formula
diversa da quelle che , ai sensi e per gli affetti dell’art.653, hanno un’efficacia
vincolante nel procedimento disciplinare29, quest’ultimo deve avere inizio, con la
contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la
sentenza definitiva di proscioglimento e concludersi nei successivi novanta. In verità il
3 comma dell’art.29 della Legge 10 aprile 1954, n. 11330 per gli ufficiali , così come il
combinato disposto degli art.20, 64, 65, 72, 74 della legge 31 luglio 1954 n.599 per i
sottufficiali e l’art.14 della legge 3 agosto 1961 n.833 per gli appuntati e finanzieri, non
prevedono , in tal caso, alcun termine entro il quale procedere alla contestazione degli
addebiti. La questione è stata oggetto di giudizio di legittimità costituzionale in seguito
al ricorso presentato da un sottufficiale della Guardia di Finanza; la Corte
Costituzionale , attraverso la sentenza 11 marzo 1991 n.104, ha dichiarando
l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 20, 64, 65, 72, 74, legge
31 luglio 1954 n. 599, nella parte in cui non si prevede che nel procedimento
28 Art.445 c.p.p."Salvo quanto previsto dall'art. 653, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna” 29 In tale caso l’efficacia extrapenale della pronuncia assolutoria preclude tout court la valutazione disciplinare del fatto coperto dal giudicato. Vgs. BURATTI B.-PELLEGRINI C. , La rilevanza del processo penale nell’accertamento per responsabilità disciplinare, in Rivista della Guardia di Finanza n.3/2003, p.869 e ss. 30 Art.29,comma 3 : “ Se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiari che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti. Quando, però, da un procedimento penale comunque definito emergano fatti o circostanze che possano rendere l'ufficiale passibile di provvedimenti disciplinari di stato, l'ufficiale deve essere sottoposto a procedimento disciplinare.”
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disciplinare nei confronti di sottufficiali delle Forze Armate, promosso successivamente
a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato per motivi
diversi dalle formule "perché il fatto non sussiste" o "l'imputato non ha commesso il
fatto" (la legge n.97/2001 ha aggiunto all’art.653 c.p.p. anche la formula “non
costituisce illecito penale”), trovino applicazione i termini stabiliti negli artt. 97, terzo
comma, prima parte, 111, ultimo comma, e 120, primo comma,D.P.R. 10 gennaio 1957,
n. 3.
La pronuncia della Corte Costituzionale segue altre sentenze con le quali si era
sottolineata la necessità di garantire i diritti del militare innanzi ad un irragionevole
ritardo nell’instaurazione del procedimento disciplinare; la sentenza n.145/1976
sottolinea che l'azione disciplinare "deve essere promossa senza ritardi ingiustificati, o
peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce" ; la
sentenza n.1128/1988 ,ponendosi sulla stessa linea , stabilisce che “ la sperimentabilità
sine die del procedimento disciplinare costituisce un eccesso di tutela del prestigio
dell'istituzione procedente, cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo" . Ancora
sul punto la sentenza del 25 maggio 1990 n.264 evidenzia che tali garanzie
"costituiscono espressioni di un principio generale ricollegabile all'esigenza che i
procedimenti disciplinari abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo
ragionevole" .
La pronuncia n.104/1991 assume un’importanza fondamentale per l’intera presente
trattazione poiché , partendo dall’assunto che sia i dipendenti civili che i militari sono
degni di uguale tutela, in particolare sotto il profilo dei termini del procedimento
disciplinare che segua alla conclusione del processo penale, sancisce, in assenza di
regolamentazione specifica nella normativa di settore, l'applicabilità al personale
militare del T.U. 3/1957, “che si configura quindi come vera e propria norma di
chiusura, specie per i profili concernenti le garanzie del contraddittorio e del diritto di
difesa”31. Il Consiglio di Stato ha recepito tale orientamento con diverse pronunce :
Cons. St., sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1411, fattispecie in tema di giudizio disciplinare a
carico di appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria; Cons. St., sez. IV, 13
dicembre 1999 n. 1875, fattispecie in tema di giudizio disciplinare a carico di
appartenente all'Arma dei Carabinieri; Cons. St., sez. VI, 12 novembre 1996 n. 1553,
fattispecie in tema di giudizio disciplinare a carico di dipendente di ente pubblico non
31 Così BURATTI B.-PELLEGRINI C. , Il procedimento disciplinare di stato per il personale militare, in Rivista della Guardia di Finanza n.6/2002, p.2498
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economico; Cons. St., sez. VI, 3 marzo 1989 n. 992; la sentenza del Consiglio di
Stato, sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1411 ha ribadito che “solo in presenza di una
normativa speciale, che disciplini compiutamente il procedimento disciplinare e le sue
scansioni temporali, non troveranno applicazione le norme contenute nel menzionato
testo unico” (D.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo
statuto degli impiegati civili dello Stato). In particolare l’art.97 del T.U. dispone che
“Quando la sospensione cautelare sia stata disposta in dipendenza del procedimento
penale e questo si concluda con sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in
giudicato perché il fatto non sussiste o perché l'impiegato non lo ha commesso, la
sospensione è revocata e l'impiegato ha diritto a tutti gli assegni non percepiti, escluse
le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro
straordinario e salva deduzione dell'assegno alimentare eventualmente corrisposto.
Se il procedimento penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione
passata in giudicato per motivi diversi da quelli contemplati nel comma precedente, la
sospensione può essere mantenuta qualora nei termini previsti dal successivo comma
venga iniziato a carico dell'impiegato procedimento disciplinare.
Il procedimento disciplinare deve avere inizio, con la contestazione degli addebiti,
entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di
proscioglimento od entro 40 giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato
all'amministrazione la sentenza stessa.”; il seguente art.120 dispone che: “ Il
procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo
atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto. Il procedimento disciplinare
estinto non può essere rinnovato. L'estinzione determina, altresì, la revoca della
sospensione cautelare e dell'esclusione dagli esami e dagli scrutini con gli effetti
previsti dagli artt. 94, 95 e 97.”
Inoltre è bene ricordare che l’art.5 della legge 97/2001 ha introdotto, per le fattispecie
illecite ivi contemplate, termini diversi, statuendo che l’estinzione del rapporto di
impiego , salvo quanto previsto dall’art.32- quinquies c.p., può essere disposta a seguito
di procedimento disciplinare, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di
condanna ; il procedimento deve avere inizio entro 90 giorni dalla comunicazione della
sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare , e
deve concludersi entro 180 giorni. Il legislatore , infatti, con la l.97/2001 ha invertito i
termini di inizio e di conclusione che sono di 90 giorni e 180 giorni anziché essere ,
rispettivamente, di 180 giorni e 90 giorni.
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Il Consiglio di Stato, Commissione Speciale Pubblico Impiego n. 497/2001 del 5
novembre 2001, su parere richiesto dal Ministero della Difesa, ha, tra l'altro, precisato
quanto segue: "La Commissione osserva, in primo luogo, che l'art. 5, quarto comma
della L. 97/2001, individua espressamente i destinatari della nuova disciplina
procedimentale, con riferimento ai dipendenti indicati nel primo comma dell'art. 3,
ossia ai dipendenti condannati in via definitiva per i più gravi delitti contro la pubblica
amministrazione. In tale prospettiva, l'indicazione di un termine dimezzato (90 giorni)
rispetto a quello stabilito dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19, per l'avvio del
procedimento disciplinare, appare giustificato dal particolare allarme sociale causato,
appunto, dalla gravità dei fatti da contestare al dipendente già condannato con
sentenza penale irrevocabile, mentre il raddoppio del termine (180 giorni), per la
conclusione del procedimento disciplinare, sarebbe a sua volta giustificato dalla
presumibile complessità e delicatezza degli accertamenti da compiersi per simili
fattispecie, anche in sede disciplinare. La Commissione conclude disponendo che i
termini di cui all’art.5 della L.97/2001 si applicano esclusivamente ai procedimenti
disciplinari conseguenti a sentenza di condanna definitiva per i reati di cui all’art.3 della
stessa legge, mentre, nell’ipotesi di sentenza relativa ad altre fattispecie delittuose si
applicano i termini di cui all’art.9 dellaL.19/90.
Per completezza si evidenzia che i termini di cui sopra devono essere considerati di
natura perentoria, come si evince dalla sentenza della Corte Costituzionale 28 maggio
1997 n.197 e come stabilito , tra l’altro, nelle sentenze Cons. St., ad. Plen., 25
gennaio 2000 n. 4; Cons. St., Sez. VI, 4 settembre 1998 n. 1217; Cons. St., sez. VI,
16 ottobre 1997 n. 1498. Il superamento di tali termini comporta , quindi, la decadenza
dell’azione disciplinare. Comunque non sono mancate pronunce di segno
contrario,come ad esempio la sentenza 8 luglio 1998 n.436 del Consiglio di Stato32, la
quale afferma che “il termine di 90 giorni previsto dall'art. 9 (...) per concludere il
procedimento disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente colpito da sentenza
penale di condanna, ha carattere ordinatorio e non perentorio"33
Per quanto riguarda la sentenza patteggiata, prima dell’intervento modificativo della
L.97/2001 che ha equiparato il patteggiamento alla condanna quanto agli effetti
extrapenali della pronunc ia34, il termine di novanta giorni per la conclusione del
32 La quale annulla T.A.R. Catania,sez.III, 6 luglio 1994,n.1447. 33 Sul punto anche Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 1996, n. 71, 34 Questo ha comportato l’applicazione dei termini di cui alla legge 19/90, di natura perentoria.
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procedimento non veniva ritenuto di natura perentoria in quanto non applicabile la
L.19/90. La pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2000, n. 428,
disponeva, infatti, che "nel caso di sentenza penale di condanna patteggiata, non si
verifica quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova tipica del rito
ordinario e non può escludersi che l'Amministrazione, al fine di valutare i fatti in sede
disciplinare, debba effettuare autonomi accertamenti; pertanto, in tale ipotesi, non è
applicabile il termine di 90 giorni introdotto dall'art. 9, secondo comma, legge 7
febbraio 1990, n. 19, per il procedimento, ma la disciplina generale posta dal T.U. 10
gennaio 1957, n. 3". Lo stesso Consiglio di Stato , in una diversa sentenza (sentenza 4
settembre 1998 n.1217, che ha confermato T.A.R. Piemonte, sez.II, 9 maggio 1994
n.160), aveva però espresso un orientamento di segno opposto disponendo che “I
termini previsti dall'art. 9, secondo comma, L. 19/1990 per l'attivazione del
procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente, si applicano anche nel
caso di condanna su patteggiamento, essendo la relativa sentenza equiparata ad una
sentenza di condanna . I termini previsti (…) per l'avvio e la conclusione del
procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente hanno natura perentoria,
con la conseguenza che dal loro superamento deriva la decadenza dell'azione
disciplinare".
Non rappresenta una misura cautelare, ma costituisce una pena accessoria la
sospensione penale di cui agli artt. 31 della legge n. 113/1954, per gli ufficiali, 22 della
legge n. 599/1954, per gli ispettori ed i sovrintendenti, 14, ultimo comma, della legge n.
833/61, per gli appuntati e finanzieri. L’art. 31 della l.113/1954 dispone ,infatti, che
“Salvo i casi in cui la condanna a pena detentiva importi la sospensione dall'impiego
come pena accessoria ai sensi della legge penale militare, la condanna all'arresto per
tempo non inferiore ad un mese ha per effetto la sospensione dall'impiego durante
l'espiazione della pena.” La sospensione in oggetto , quindi, rappresenta una
conseguenza automatica della materiale espiazione della pena detentiva dell’arresto,non
inferiore ad un mese, e il relativo provvedimento di formalizzazione ha , di
conseguenza, una durata coincidente con il periodo di detenzione. Il T.A.R. Sicilia, II
Sez., con la sentenza 19 novembre 1996, n. 1504, ha chiarito che ,qualora “in sede
penale sia stato concesso al reo, in luogo della pena detentiva in carcere, il beneficio
dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354,
detta sospensione non può essere comminata automaticamente, ma solo previa congrua
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motivazione in ordine alla possibilità di utilizzare o meno il soggetto, che non versa in
stato di detenzione, per compiti di istituto.”
L’art.22 del D.M. Difesa 15 settembre 1955 prevede che, nel caso di concorso materiale
o formale di reati, si fa riferimento alla pena complessiva, con la conseguenza che si ha
il ricorso alla sospensione penale anche se la pena dell’arresto in riferimento a ciascun
reato è inferiore ad un mese. La sospensione penale 35 si applica nei confronti degli
ufficiali in servizio permanente e in congedo; ispettori e sovrintendenti in servizio
permanente e in congedo; appuntati e finanzieri in servizio permanente; mentre non
trova applicazione nei confronti di ufficiali in congedo assoluto; ispettori e
sovrintendenti in ferma volontaria o in congedo assoluto;appuntati e finanzieri in fe rma
volontaria, congedo o congedo assoluto.
Dalla lettura dell’art.31 della L.113/1954 si evince che vengono fatti salvi i casi in cui ,
in ottemperanza alla legge penale militare, la pena detentiva comporta la pena
accessoria della sospensione dall’impiego o dal grado. In caso di condanna alla
reclusione , infatti, troveranno applicazione gli artt.30 e 31 del c.p.m.p. (Regio Decreto
20 febbraio 1941, n.303).L’art.30 c.p.m.p dispone che la sospensione dall’impiego si
applica agli ufficiali e consiste nella privazione temporanea dall’impiego. La
sospensione rappresenta una pena accessoria conseguente alla condanna alla reclusione
militare36 per una durata non superiore a tre anni . La sospensione dall’impiego decorre
e termina insieme alla pena principale, e ,di conseguenza,si avrà anche per tale pena
accessoria l’estensione del beneficio della sospensione condizionale della pena
principale. L’art.31 c.p.m.p disciplina per i sottufficiali ed i graduati di truppa la
sospensione dal grado,pena corrispondente a quella prevista dall’articolo precedente.37
La condanna , per reati militari, all’ergastolo, alla reclusione comune per un periodo
uguale o superiore ai 5 anni e la dichiarazione di abitualità, professionalità e tendenza a
delinquere, comportano , ai sensi dell’art.28 c.p.m.p., la pena della degradazione. Allo
stesso modo l’art.33 , disciplinante le pene militari accessorie conseguenti alla condanna
per delitti preveduti dalla legge penale comune, prevede la degradazione nelle ipotesi di
condanna alla pena dell’ergastolo o a quella della reclusione da cui derivi l’interdizione
perpetua dai pubblici uffici. La degradazione priva per sempre il condannato della 35 Definita sospensione dall’impiego, per gli ufficiali, ispettori e sovrintendenti; sospensione dal servizio per gli appuntati e finanzieri. 36 Essa consegue anche alla reclusione ordinaria inflitta all’ufficiale per un reato comune, quando, sostituita la reclusione militare a quella ordinaria, ai sensi degli art.63 e 64, la relativa durata rimane nei limiti di cui alla norma in esame, così come disposto dall’art.33,comma 3. 37 La diversità terminologica è in riferimento alla diversa posizione giuridica dei soggetti de quibus.
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qualità di militare , comportando l’uscita del soggetto dal consorzio militare. L’art.29
disciplina l’istituto della rimozione38, sanzione accessoria comminabile , ai sensi
dell’art.33,commi 2 e 3, per condanne alla reclusione militare per una durata superiore
a tre anni39 o per reati comuni, quando la pena della reclusione militare, sostituita alla
reclusi