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1 LA SOSPENSIONE CAUTELARE DAL SERVIZIO PER GLI APPARTENENTI ALLA GUARDIA DI FINANZA Di Nicola Monfreda 1.Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego; 2. Tipologie di sospensione adottabili 1. Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego La sospensione cautelare, adottabile nei confronti degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza coinvolti in vicende di natura penale o disciplinare 1 , rappresenta una misura precauzionale tesa all’allontanamento dal servizio del militare a carico del quale sussistono gravi elementi di responsabilità penale e/o disciplinare. Il fine, quindi, è di evitare che , prima dell’accertamento definitivo delle relative responsabilità, l’ulteriore permanenza nell’organizzazione del soggetto che si trovi nelle circostanze di cui sopra possa arrecare danni a quest’ultima. La sospensione cautelare, proprio perché costituisce un provvedimento precauzionale, opera per definizione in una fase antecedente all’accertamento definitivo della colpevolezza, allo scopo di impedire che diritti ed interessi pubblici, costituzionalmente previsti e garantiti, siano posti in pericolo nella pendenza del procedimento penale o disciplinare. La Corte Costituzionale , nella sentenza n.206 del 1999, in relazione alla legittimità costituzionale dell’automatismo della sospensione cautelare a carico dei dipendenti pubblici previsto dall’art.15, comma 4- septies della L.n.55/90 2 , ritiene che la misura in analisi sia preposta al soddisfacimento di particolari “esigenze cautelari di natura tutt’affatto diversa rispetto a quelle che costituiscono il fondamento delle misure adottabili dal giudice nel corso del procedimento penale, ancorchè il contenuto della misura possa per avventura coincidere (é il caso della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, disciplinata dall’art. 289 1

LA SOSPENSIONE CAUTELARE DAL SERVIZIO PER GLI … · giustificazione (50 ss. c.p.) o di non punibilità (45 ss., 85 ss. c.p.) ( o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero

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LA SOSPENSIONE CAUTELARE DAL SERVIZIO PER GLI

APPARTENENTI ALLA GUARDIA DI FINANZA

Di Nicola Monfreda 1.Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego; 2. Tipologie di sospensione adottabili

1. Natura e finalità della sospensione cautelare dall’impiego

La sospensione cautelare, adottabile nei confronti degli appartenenti al Corpo della

Guardia di Finanza coinvolti in vicende di natura penale o disciplinare1, rappresenta una

misura precauzionale tesa all’allontanamento dal servizio del militare a carico del quale

sussistono gravi elementi di responsabilità penale e/o disciplinare. Il fine, quindi, è di

evitare che , prima dell’accertamento definitivo delle relative responsabilità, l’ulteriore

permanenza nell’organizzazione del soggetto che si trovi nelle circostanze di cui sopra

possa arrecare danni a quest’ultima. La sospensione cautelare, proprio perché

costituisce un provvedimento precauzionale, opera per definizione in una fase

antecedente all’accertamento definitivo della colpevolezza, allo scopo di impedire che

diritti ed interessi pubblici, costituzionalmente previsti e garantiti, siano posti in

pericolo nella pendenza del procedimento penale o disciplinare. La Corte

Costituzionale, nella sentenza n.206 del 1999, in relazione alla legittimità

costituzionale dell’automatismo della sospensione cautelare a carico dei dipendenti

pubblici previsto dall’art.15, comma 4-septies della L.n.55/902, ritiene che la misura in

analisi sia preposta al soddisfacimento di particolari “esigenze cautelari di natura

tutt’affatto diversa rispetto a quelle che costituiscono il fondamento delle misure

adottabili dal giudice nel corso del procedimento penale, ancorchè il contenuto della

misura possa per avventura coincidere (é il caso della misura interdittiva della

sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, disciplinata dall’art. 289

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cod. proc. pen.)” . La Suprema Corte sottolinea , a tal proposito, che mentre le misure

adottabili dall’A.G. rispondono alle esigenze del processo e della prevenzione di nuovi

reati e, quindi, sono assoggettate alle condizioni relative a tali scopi (artt.273 e 274

c.p.p.3) , la sospensione cautelare in esame risponde ad esigenze proprie della funzione

amministrativa e della pubblica amministrazione presso cui il soggetto colpito presta

servizio. “Essa é svincolata da esigenze processuali e da finalità di prevenzione

speciale, ed é disposta con un provvedimento dell’amministrazione, sia pure, nella

specie, vincolato dalla legge (e sottoposto, com’é ovvio, a controllo giurisdizionale per

quanto riguarda la sua rispondenza ai presupposti legalmente stabiliti).

Il provvedimento precauzionale incide su diritti personali di rilievo costituzionale e , di

conseguenza , in tanto si giustifica in quanto risponde ad “effettive esigenze cautelari e

sia congruo e proporzionato rispetto a queste ultime” (sentenza n.239 del 1996 della

Corte Costituzionale). Come più volte ribadito l’esigenza cautelare è collegata alla

pendenza dell’accusa in capo al dipendente, la quale , in quanto tale, mette in pericolo

interessi connessi all’amministrazione , esposta ad un pregiudizio direttamente

derivante dalla permanenza del soggetto inquisito nell’ufficio. “Il pregiudizio possibile

concerne in particolare la "credibilità" dell’amministrazione presso il pubblico, cioé il

rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, che può rischiare di essere incrinato

dall’"ombra" gravante su di essa a causa dell’accusa da cui é colpita una persona

attraverso la quale l’istituzione stessa opera.” ( Così La sentenza n.206 del 1999 della

Corte Costituzionale; in linea la sentenza del 17 ottobre 2000 del Consiglio di Stato, 3 Art.273c.p.p. (Condizioni generali di applicabilità delle misure). 1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza . 2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione (50 ss. c.p.) o di non punibilità (45 ss., 85 ss. c.p.) ( o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena (171 c.p.) che si ritiene possa essere irrogata. Art.274. (Esigenze cautelari). 1. Le misure cautelari sono disposte: a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della prova (292, lett. d), 301;), fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammis sione degli addebiti ; b) quando l'imputato (60, 61) si è dato alla fuga o sussiste concreto pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione (7142, 7152, lett. c); c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni .

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la quale, richiamando la sentenza 23 giugno 1995 n. 617 del Consiglio di Stato, sez.

VI, ritiene che : ” E’ noto che la funzione della sospensione precauzionale dal servizio

dell’impiegato pubblico sottoposto a procedimento disciplinare risiede nell’interesse

pubblico di evitare qualsiasi pregiudizio per la regolarità del servizio e per il prestigio

della stessa amministrazione derivante dalla permanenza in servizio dell’impiegato

stesso: è stato rilevato che in tale ottica ciò che rileva non è il mero fatto formale

dell’imputazione, quanto piuttosto quello sostanziale dell’attribuzione di un reato al

dipendente” ).

Gli interessi della collettività di rilievo costituzionale, a tutela dei quali è posto tale tipo

di provvedimento, possono essere individuati ne l principio di buon andamento

dell’amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) e nel rapporto

"politico" che lega gli utenti e i destinatari dell’attività amministrativa a coloro che,

occupando pubblici uffici, hanno il dovere di adempiere le funzioni pubbliche loro

affidate "con disciplina ed onore" (art. 544, secondo comma, della Costituzione),

ponendosi "al servizio esclusivo della Nazione" (art. 98, primo comma, della

Costituzione).5

La misura cautelare della sospensione è, di conseguenza, il frutto di un attento

bilanciamento operato dal legislatore tra la presenza e la consistenza dell’esigenza di

protezione dell’interesse pubblico e la tutela dei diritti che sono compressi dall’adozione

di tale provvedimento precauzionale; quest’ultimo è legittimo solo se volto a tutelare

interessi amministrativi ed incide solamente sui diritti del singolo inerenti direttamente

il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione (lo jus ad officium e gli jura in

4 Art.54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge. 5 Nel Decreto Presidente Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato” , all’art. Art. 13.- “Comportamento in servizio”, si legge che :” L'impiegato deve prestare tutta la sua opera nel disimpegno delle mansioni che gli sono affidate curando, in conformità delle leggi, con diligenza e nel miglior modo, l'interesse dell'Amministrazione per il pubblico bene. L'impiegato deve conformare la sua condotta al dovere di servire esclusivamente la Nazione, di osservare lealmente la Costituzione e le altre leggi e non deve svolgere attività incompatibili con l'anzidetto dovere. Nei rapporti con i superiori e con i colleghi l'impiegato deve ispirarsi al principio di un'assidua o solerte collaborazione; deve essere di guida e di esempio ai dipendenti, in modo da assicurare il più efficace rendimento del servizio. Nei rapporti con il pubblico, il comportamento dell'impiegato deve essere tale da stabilire completa fiducia e sincera collaborazione tra i cittadini e l'Amministrazione. Qualora non sussistano particolari ragioni da sottoporre al capo dell'ufficio, l'impiegato deve, di regola, trattare gli affari attribuiti alla sua competenza tempestivamente e secondo il loro ordine cronologico. Fuori dell'ufficio, l'impiegato deve mantenere condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni.”

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officio). In pratica, nell’adozione della sospensione cautelare, non viene in evidenza la

minore o la maggiore probabilità che il dipendente risulti colpevole del reato o della

grave infrazione disciplinare e ,quindi, non assume rilevanza il requisito della gravità

degli indizi di colpevolezza , presupposto ,invece, per l’adozione delle misure cautelare

per il giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art.273 c.p.p. Que llo che rileva è

l’esistenza del periculum in mora derivante dalla permanenza nell’ufficio

dell’impiegato accusato nonostante l’accusa e nel periodo che precede la verifica di

questa. La proporzionalità e la congruità del provvedimento precauzionale, proprio

perché non si tratta di una sanzione, deve essere misurata non in riferimento al fatto

commesso, bensì in relazione al pregiudizio derivante all’interesse pubblico

dall’esercizio delle proprie funzioni da parte del dipendente coinvolto in vicende di

natura penale o disciplinare; la misura, di conseguenza, deve essere graduata non in

base al fatto,ma in base all’esigenza cautelare di cui sopra. “Vero é, invece, che la

misura deve risultare congrua rispetto all’effettività e alla consistenza dell’esigenza

cautelare che la fonda, in rapporto alla gravità dell’accusa, al nesso di questa con le

funzioni pubbliche svolte dall’impiegato, alla natura delle funzioni medesime, nonchè al

bilanciamento con l’eventuale interesse dell’amministrazione a continuare ad avvalersi

dell’opera dell’impiegato nonostante la pendenza dell’accusa.” (Così La sentenza

n.206 del 1999 della Corte Costituzionale)

In conclusione siffatta misura si trasformerebbe in una vera e propria sanzione

anticipata, e quindi in aperto contrasto con i14 8 bisso d, prenrazione to nne

colpevolezze di cuadell’ar 3529 della Costituzie e sche pa searess dia tra deze ne

Laorisnsnziure cautelra

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essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di

quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa

provvisoriamente comprime, in ossequio al criterio di proporzionalità della misura

cautelare, riconducibile all’art. 3 della Costituzione.” In caso contrario la misura

sarebbe illegittima a causa dell’ingiustificato sacrificio comportato ai diritti del singolo.

La sentenza n.206 aveva ritenuto applicabile alla sospensione obbligatoria cautelare di

cui all’art.15, comma 4-septies della L.n.55/90, non contenente alcuna espressa

previsione circa la durata della misura contemplata, i termini massimi di cui all’art.9,

comma 2, della Legge 7 febbraio 1990, n.19 poiché “se essa dovesse intendersi nel

senso che la sospensione dura a tempo indeterminato, fino al definitivo giudicato

sull’accusa penale, le censure di illegittimità costituzionale, sotto il profilo della

violazione del criterio di proporzionalità, sarebbero fondate.”

L’art. 9, comma 2, secondo e terzo periodo, della legge 7 febbraio 1990, n. 197,

stabilisce (nel contesto della disposizione che vieta la destituzione di diritto a seguito di

condanna penale, e prevede la possibilità di infliggere la destituzione all’esito del

procedimento disciplinare, da promuovere o proseguire, e da concludere, entro termini

fissati) che "quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del

procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di

tempo comunque non superiore ad anni cinque", e "decorso tale termine la sospensione

cautelare é revocata di diritto". 8 Tale norma, a detta della Corte, costituirebbe una

sorta di clausola di garanzia , frutto del bilanciamento tra l’esigenza cautelare , che pur

potrebbe protrarsi anche oltre tale limite, e quella di non comprimere eccessivamente

l’interesse del dipendente.

7 Art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19, recante modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti, dispone: «9. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. «La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto. «Per i loro dipendenti le regioni provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti ai principi fondamentali espressi nel presente articolo». 8 Il nuovo limite temporale di durata massima della sospensione cautelare sostituì quindi la precedente disciplina sancita degli artt.91 e 92 del T.U. n.3/1957 che, al contrario, non sancivano alcun limite temporale.

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La sentenza n.145/2002, riprendendo tali considerazioni, dichiara l’illegittimità

costituzionale dell’art.4, comma 2, della legge 27 marzo 2001 n.979, nella parte in cui

dispone che la sospensione perde efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di

prescrizione del reato. Infatti in riferimento ai delitti indicati dall’art.3 della legge in

esame, il termine di prescrizione può raggiungere una durata ultradecennale tenuto

conto anche degli effetti interruttivi della sentenza di condanna ai sensi dell’art.160,

ultimo comma, del codice penale. Tale arco temporale non può che essere considerato

manifestatamente eccessivo, in quanto conseguirebbe , nel processo di bilanciamento

delle due tipologie di interessi contrapposti, un’indebita compressione dei diritti del

dipendente. “A ciò si aggiunga che il termine in tal modo individuato viene

evidentemente a coincidere – almeno astrattamente - con il compimento di una causa di

estinzione del reato, cosicché la durata massima della misura risulta in sostanza

ricollegata non tanto (o non solo) al decorso di un determinato periodo di tempo

quanto piuttosto al (simultaneo) verificarsi di un fatto tale da determinare in realtà il

venir meno, insieme al reato, di qualsiasi esigenza cautelare ad esso connessa. Con

ulteriore, intrinseca violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza della

misura cautelare.

Si consideri, da ultimo, che la norma, prevedendo – accanto alla sentenza di

proscioglimento - quale autonoma causa di cessazione di efficacia della misura

cautelare, il decorso di un periodo di tempo pari a quello della durata della

prescrizione, comporta valutazioni, precluse alla pubblica amministrazione, che solo

l’autorità giudiziaria può compiere: si pensi all’incidenza sul decorso della

prescrizione delle circostanze aggravanti e attenuanti del reato. Con la conseguenza

che la suddetta causa di cessazione di efficacia della misura cautelare viene

necessariamente a coincidere con quella rappresentata dalla sentenza di

proscioglimento.”

La Corte conclude che il secondo comma dell’art.4 deve essere letto nel senso che la

sospensione dal servizio disposta dal comma 1 perde efficacia se per il fatto è

successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non 9 Art.4 : 1. Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio. 2. La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato.

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definitiva e , in ogni caso, decorsa una durata complessivamente non superiore a cinque

anni dalla sospensione, facoltativa o obbligatoria, riferibile al medesimo procedimento

penale.

In conclusione si deve attribuire alla norma contenuta nell’art.9 ,comma 2, della legge

19/90 il carattere di vera e propria clausola di garanzia,avente portata generale e

comprensiva, salvo diversa disciplina legislativa, di ogni ipotesi di sospensione

cautelare dal servizio. Per completezza, come sarà meglio evidenziato nella trattazione

delle singole tipologie di sospensione, è fondamentale sottolineare che la perdita

automatica di efficacia di una sospensione cautelare obbligatoria per il decorso del

termine quinquennale , non preclude, sussistendo i tassativi presupposti previsti dal

legislatore, il ricorso al diverso ed autonomo istituto della sospensione facoltativa,

strumento alternativo di cautela e di garanzia delle ragioni dell’Amministrazione. A tal

proposito è rilevante quanto disposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.447

del 1995, in merito al giudizio di legittimità costituzionale dell’art.9, secondo comma,

legge n.19/90, nella parte in cui prevede per la pubblica amministrazione l'obbligo

indiscriminato di riammettere nel posto di lavoro il dipendente - già sospeso dal servizio

per essere stato sottoposto a procedimento penale e successivamente condannato,

ancorchè con sentenza non ancora passata in giudicato - alla scadenza del termine di

cinque anni dall'inizio del periodo di sospensione, promosso con ordinanza emessa il

25 febbraio 1994 dal Consiglio di Stato10. In particolare il T.A.R. del Friuli-Venezia

Giulia aveva annullato la delibera del Comune di Pozzuolo del Friuli , con la quale si

era disposto, nei confronti di un vigile urbano, il provvedimento di sospensione

cautelare facoltativa ai sensi dell’art.92 del T.U. n.3/5711, dopo che la sospensione

10 Nella proposizione della questione incidentale il C.d.S. osservava “che la previsione della revoca di diritto della sospensione cautelare dopo il decorso del termine quinquennale comporta un rigido automatismo (in favore del dipendente inquisito), che fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale della citata disposizione per irragionevolezza laddove essa pone sul medesimo piano tutti i tipi di reato senza differenziarli secondo la loro gravità. Inoltre la norma non tiene conto se vi sia stata già una pronuncia, sia pure non ancora passata in giudicato, oppure se l'imputazione si trovi ancora nella fase dell'istruttoria, ponendo sul medesimo piano tutti gli accertamenti e le valutazioni fatte in proposito da parte degli organi giudiziari. Inoltre - secondo il giudice rimettente - vi sarebbe violazione dell'art. 4 della Costituzione in quanto la norma richiamata darebbe facoltà ad un cittadino di svolgere una funzione pubblica senza che si avverino i presupposti di dignità e di capacità; ed infine la norma censurata si pone anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione perchè verrebbe inficiato il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione.” 11 Art. 92.- Sospensione cautelare facoltativa. “Il ministro può, per gravi motivi, ordinare la sospensione dell'impiegato dal servizio anche prima che sia esaurito o iniziato il procedimento disciplinare. La sospensione disposta prima dell'inizio del procedimento disciplinare è revocata e l'impiegato ha diritto alla riammissione in servizio ed alla corresponsione degli assegni non percepiti, escluse le indennità o compensi per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di carattere straordinario, se la contestazione degli addebiti, ai sensi del secondo comma dell'art. 103, non ha luogo entro quaranta giorni

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obbligatoria, precedentemente adottata ai sensi dell’art.9112 , aveva perso efficacia per il

decorso del termine di 5 anni; la sentenza del Tribunale Amministrativo veniva

appellata innanzi al Consiglio di Stato rimettente.

La Corte Costituzionale, confermando la legittimità dell’art.9 della l.19/90, ritiene che

la perdita automatica di efficacia della sospensione cautelare ex art. 91 cit. non

comporta affatto che , sussistendo “gravi motivi” e ,quindi, inderogabili esigenze di

tutela, nonostante il non breve lasso di tempo trascorso(cinque anni), l’amministrazione

si trovi priva di strumenti idonei a scongiurare la particolare gravità e l’irrimediabile

pregiudizio che deriverebbero dalla riattivazione del rapporto di impiego.

“La sopravvenuta inefficacia di diritto della sospensione cautelare adottata ex art. 91

proprio perchè si fonda su un presupposto autonomo e diverso da quello della

sospensione c.d. facoltativa di cui all'art. 92 - non esclude, nè preclude, il ricorso a

quest'ultima come strumento alternativo di cautela e garanzia delle ragioni

dell'amministrazione. È cioè possibile che, pur decorso il termine quinquennale

suddetto, sussistano "gravi motivi" che, ancorchè non sia esaurito il procedimento

penale, giustifichino la perdurante (ma non ancora definitiva) estromissione del

dipendente dal posto di lavoro, motivi che però non possono consistere piu' nel mero

dato formale dell'imputazione penale, ma possono (e debbono) riguardare la

commissione dell'addebito disciplinare; ciò alla luce di una sommaria cognitio dei fatti

che, valutando allo stato ogni aspetto soggettivo ed oggettivo della condotta del

dipendente, rinvenga in quest'ultima un insuperabile ostacolo alla sua riammissione in

servizio.”

La sospensione facoltativa di cui all’art.92, basandosi su di un presupposto diverso

rispetto allo strumento contemplato dall’art.91 e, quindi, fondandosi su di un

presupposto sostanziale (l’avvio del procedimento disciplinare), perde di efficacia, con

la conseguente riammissione in servizio del dipendente, se nel termine di quaranta

dalla data in cui è stato comunicato all'impiegato, nelle forme dell'art. 104, il provvedimento di sospensione. All'impiegato sospeso ai sensi del precedente e del presente articolo si applicano, le disposizioni dell'art. 82.” 12 Art. 91.- Sospensione cautelare obbligatoria. “L'impiegato sottoposto a procedimento penale può essere, quando la natura del reato sia particolarmente grave, sospeso dal servizio con decreto del Ministro; ove sia stato emesso mandato od ordine di cattura, l'impiegato deve essere immediatamente sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio. Il capo dell'ufficio che ha notizia dell'emissione di un mandato o ordine di comparizione, o della convalida del fermo, nei confronti d'un impiegato da lui dipendente, deve riferirne immediatamente all'ufficio del personale del Ministero.”

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giorni dalla data in cui il provvedimento precauzionale stesso è stato comunicato

all'interessato non vengono in ogni caso contestati gli addebiti al medesimo.

Il Consiglio di Stato ,sez.VI, con la sentenza n.953 del 18 giugno 1998 , recependo

l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, ribadisce che l’art.9,comma 2, della

l.19/90 non esclude la possibilità, allo spirare del termine massimo di efficacia della

sospensione cautelare,di riesaminare la posizione del dipendente e, quindi , al ricorrere

dei presupposti prima analizzati, di disporre la misura della sospensione facoltativa ai

sensi dell’art.92. Il Consiglio di Stato nella medesima sentenza precisa che non deve

accogliersi l’interpretazione dell’art. 9 legge n. 19 del 1990 secondo la quale un

dipendente pubblico sottoposto a procedimento penale e sospeso in via cautelare

facoltativa, successivamente allo spirare del termine massimo quinquennale, non

potrebbe essere mai più sospeso cautelarmente e sempre in via facoltativa, a seguito

dell’instaurarsi di un distinto procedimento penale, avente ad oggetto diversi ed

autonomi episodi delittuosi. In tal modo si impedirebbe all’amministrazione di adottare

le misure cautelari relative a condotte diverse poste in essere dal soggetto, comportando,

quindi, un’aperta lesione del principio di legalità e del buon funzionamento dell’azione

amministrativa. “In altri termini, si tratta di evitare che lo spirare del termine

quinquennale, in relazione ad un determinato provvedimento di sospensione cautelare

adottato in connessione con un ben individuato procedimento penale, si trasformi in

una patente di immunità per il dipendente infedele che reiteri nuove condotte criminose

originanti ulteriori procedimenti penali, senza che l’Amministrazione possa adottare un

ulteriore provvedimento di sospensione cautelare facoltativa, ferma restando,

beninteso, la durata massima quinquennale per pendenza di procedimento penale”.

2. Tipologie di sospensione adottabili

Per quanto riguarda le tipologie di provvedimenti di sospensione cautelate adottabili nei

confronti degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza coinvolti in vicende di

natura penale o disciplinare bisogna operare innanzitutto una prima importante

distinzione tra i provvedimenti di sospensione cautelare obbligatoria13 ed i

13 Tale tipo provvedimento è disciplinato dall’art.29, comma 2 della legge 10 aprile 1954 n.113 per gli Ufficiali; dall’art.20, comma 2 della legge 31 luglio 1954 n.599 per il personale appartenente ai ruoli

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provvedimenti di sospensione cautelare facoltativa 14 . Entrambe le tipologie di

sospensione sono dirette a salvaguardare l’interesse sotteso all’esercizio imparziale,

efficiente ed efficace della funzione pubblica dell’amministrazione, dal pregiudizio che

potrebbe derivare dalla permanenza in servizio del militare sul quale “gravano ombre”

di natura penale o disciplinare ; l’elemento che differenzia le misure precauzionali di cui

sopra è incentrato sul diverso presupposto al verificarsi del quale l’amministrazione è

legittimata all’irrogazione dei provvedimenti stessi. Nel caso della sospensione

obbligatoria, l’amministrazione è tenuta ad adottare un atto vincolato nei modi e nei

contenuti, senza che possa esercitare nessun tipo di valutazione discrezionale sul caso;

tale misura precauzionale vincolata deve essere disposta automaticamente quando il

militare sia stato destinatario di una misura cautelare personale coercitiva ( arresti

domiciliari – art.284 c.p.p.; custodia cautelare in carcere - art.285 c.p.p.; custodia

cautelare in luogo di cura – art.286 c.p.p.; arresto in flagranza di reato o fermo

convalidati ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art.391 c.p.p.). In tale caso, quindi,

l’adeguatezza , la proporzionalità e la gradualità della sospensione precauzionale, in

relazione all’esigenza cautelare da soddisfare nel caso concreto, viene valutata ex ante

dal legislatore, senza che all’amministrazione residui alcuna discrezionalità circa la

tipologia ed il contenuto dell’ atto da adottare nelle more dell’accertamento definitivo

della responsabilità del dipendente. La sospensione opera ope legis proprio perché il

periculum in mora, che potrebbe derivare all’amministrazione dalla permanenza in

servizio del militare che si trovi nelle condizioni sopra enunciate, viene valutato dal

legislatore concreto, immediato e degno di tutela, alla luce del fatto che i provvedimenti

restrittivi della libertà personale possono essere adottati dall’A.G. solo ove sussistono

gravi indizi di colpevolezza (art.273 c.p.p.) e ,comunque, il giudice deve tener “ conto

della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze

cautelari da soddisfare nel caso concreto” ed “ogni misura deve essere proporzionata

all'entità del fatto e alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata.”

Nel caso della sospensione facoltativa, invece, il provvedimento precauzionale si

configura come un atto discrezionale, adottabile dall’amministrazione al ricorrere dei

ispettori e sovrintendenti; dall’art.14, comma 2 della legge 3 agosto 1961 n.833 per il personale appartenente al ruolo appuntati e finanzieri. 14 Tale tipo provvedimento è disciplinato dall’art.29, comma 1 della legge 10 aprile 1954 n.113 per gli Ufficiali; dall’art.20, comma 1 della legge 31 luglio 1954 n.599 per il personale appartenente ai ruoli ispettori e sovrintendenti; dall’art.14, comma 1 della legge 3 agosto 1961 n.833 per il personale appartenente al ruolo appuntati e finanzieri.

11

presupposti stabiliti dall’ordinamento, previa valutazione dell’opportunità di disporre

tale misura cautelare in relazione alla gravità del fatto ascritto al militare e alla sua

idoneità e proporzionalità rispetto all’esigenza cautelare da tutelare. Questo comporta

che , ai fini della legittimità del provvedimento, la motivazione sottesa allo stesso deve

dare congruo riscontro dell’analisi di tali elementi. I presupposti che giustificano

l’adozione di tale misura variano a seconda del grado del militare coinvolto in vicende

di natura penale o disciplinare; mentre per gli ufficiali è sufficiente che siano addebitati

fatti per i quali si possa essere sottoposto a procedimento penale o disciplinare e la

gravità degli stessi lo consigli, per i militari provenienti dal ruolo ispettori e

sovrintendenti vi deve essere l’avvio di un procedimento penale dal quale può

conseguire la perdita del grado o deve essere stato avviato un procedimento

disciplinare; per gli appartenenti al ruolo appuntati e finanzieri , invece, il presupposto

legittimante deve essere individuato solo nell’ avvio di un procedimento penale dal

quale può conseguire la perdita del grado.

Ulteriore tipologia di sospensione cautelare dal servizio è rinvenibile nella legge 27

marzo 2001 n.97, in tema di rapporto tra giudicato penale e procedimento disciplinare

ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni

pubbliche. L’art.4 della norma in esame dispone che ,nel caso di condanna anche non

definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei

delitti ( tassativamente enunciati dall'articolo 315, comma 1) previsti dagli articoli 314,

primo comma, 317, 318, 319, 319-ter e 320 del codice penale e dall'articolo 3 della

legge 9 dicembre 1941, n. 1383, i dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici

ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica sono obbligatoriamente sospesi dal

servizio. In tale ambito sono ricompresi anche gli appartenenti alle Forze Armate così

come confermato dal Consiglio di Stato, comm.spec.p.i.,5 novembre 2001 n.497.

Al verificarsi del presupposto individuato dal legislatore, l’amministrazione è obbligata

a disporre la misura precauzionale della sospensione dal servizio, provvedimento che

assume la natura di atto dovuto e vincolato, stante la preclusione in capo all’autorità

amministrativa di operare una valutazione discrezionale circa l’opportunità o meno

dell’adozione dello stesso.

15 L’art.3 prevede il trasferimento d’autorità del dipendente nel caso di rinvio a giudizio per le stesse fattispecie illecite, in relazione alle quali l’art.4 e l’art. 5 prevedono rispettivamente la sospensione obbligatoria e la destituzione a seguito di condanna non definitiva e di condanna passata in giudicato .

12

La sospensione prevista dalla disposizione in esame consegue automaticamente alla

condanna non definitiva per tali delitti e si configura , quindi, come misura cautelare

finalizzata all’allontanamento temporaneo del dipendente dal servizio. In tal caso il

legislatore opera ex ante una valutazione in merito alla necessità per gli interessi

pubblici dell’amministrazione di sospendere dal servizio l’impiegato in capo al quale si

verificano i presupposti individuati tassativamente dalla norma; in pratica il legislatore,

nei casi di cui sopra, pone in essere quell’ attività valutativa che in genere spetta

all’amministrazione, circa l’adeguatezza della misura precauzionale alle esigenze

cautelari da soddisfare nel caso concreto. La severità di tale automatismo ha sin da

subito sollevato dubbi circa la legittimità costituzionale di tale norma, in particolare in

riferimento agli artt.3, 24 e 27 della Cost.; attraverso l’ordinanza n.548 dell’11 luglio

2001 del T.A.R. dell’Emilia Romagna , infatti, si sono prospettati profili di

incostituzionalità della norma in relazione all’incompatibilità della sospensione dal

servizio, prevista dall’art.4, comma 1, con il principio della presunzione di non

colpevolezza fino alla condanna definitiva, di cui all’art.27 co.2 della Costituzione. In

particolare il Tribunale Amministrativo fa rinvio a precedenti pronunce della Corte

Costituzionale, in merito a disposizioni normative disciplinanti forme di sospensione

automatica dal servizio. La stessa Corte, infatti, con la sentenza n.239/1996, dichiara

l’illegittimità costituzionale dell’art.110 del D.P.R. 28 gennaio 1988 n.43 nella parte in

cui prevedeva l’automatica sospensione dall’impiego e dall’abilitazione degli ufficiali

di riscossione dei tributi nei cui confronti fossero pendenti determinati reati. La Corte

parte dal presupposto che la misura cautelare , in quanto non collegata ad una condanna

definitiva, ma alla mera pendenza di un procedimento penale , deve essere disposta solo

in base ad effettive esigenze cautelari, nel rispetto del diritto costituzionale di

presunzione di non colpevolezza ; di conseguenza , nella pronuncia di cui sopra, si

dichiara illegittimo “quell’assoluto automatismo della misura cautelare” poiché

configgente con i principi di ragionevolezza e proporzionalità. Secondo tali principi,

continua la Corte, deve “essere consentito di valutare discrezionalmente, in relazione

alla gravità del fatto e delle sue circostanze nonché alla personalità del soggetto

agente, l’opportunità di applicare o meno la misura cautelare”. Il T.A.R. , inoltre, fa

espresso rinvio anche alla sentenza n.40 del 1990 della Corte Costituzionale con la

quale si dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.139 n.2 della legge 16 febbraio

1913 n.89 nella parte in cui prevedeva l’inabilitazione de iure del notaio condannato per

taluni reati con sentenza non ancora passata in giudicato.

13

Il Tribunale esprime forti dubbi in merito all’ aprioristica ed acritica valutazione di

incompatibilità della permanenza in servizio del pubblico dipendente, condannato in via

non definitiva per un reato di cui all’art. 3 della legge n. 97/2001, disposta ope legis dal

legislatore, precludendo “ingiustamente” ogni possibilità per l’amministrazione di

apprezzare i particolari profili che ogni singolo caso concreto presenta. Si evidenzia che

in tal modo viene ad essere irrimediabilmente sacrificata la posizione dell’interessato,

benché non ancora definitivamente riconosciuto colpevole dei reati ascrittigli.

Ponendosi sulla stessa linea del T.A.R. di Bologna, il Tribunale Amministrativo

Regionale per la Campania con tre ordinanze, sostanzialmente identiche, emesse il 13

giugno 2001, il 4 luglio 2001 e l’8 agosto 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,

4, 24, 27, 35, 36 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.

4, commi 1 e 2, della legge 27 marzo 2001, n. 97. La Corte Costituzionale con la

sentenza n.145/2000 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale

dell’art.4, comma 1 della L.97/2001, mentre ha accolto la questione di legittimità

dell’art.4, comma 2, nella parte in cui dispone che la sospensione perde efficacia

decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato. Nella citata

sentenza la Corte , richiamando la pronuncia n.206/99 in merito alla legittimità della

sospensione obbligatoria prevista dall’art.15, comma 4-septies, della legge 19 marzo

1990 n.55, conferma la legittimità della sospensione automatica in caso di condanna

anche non definitiva di cui all’art.4 . Benché la misura cautelare debba essere , in via

ordinaria, disposta dall’amministrazione dopo la valutazione discrezionale circa

l’opportunità di disporre o meno il provvedimento precauzionale della sospensione, si

ribadisce la possibilità per il legislatore di prevedere ipotesi circoscritte nelle quali

l’esigenza cautelare che legittima la sospensione è apprezzata in via generale ed astratta

dalla stessa legge. In pratica , in determinati casi, si considera legittimo che la

valutazione della particolare gravità della natura del reato , normalmente affidata

all’amministrazione in ragione degli artt.91 e 92 del T.U. n.3/1957, venga operata ex

ante per espressa previsione normativa. La presente legge , inoltre, prevede all’art. 5 la

destituzione di diritto come pena accessoria alla condanna penale definitiva. Infatti

all’art.19 del codice penale è stato introdotto il numero 5-bis in cui si contempla, tra le

pene accessorie per i delitti, l’estinzione del rapporto di impiego o di lavoro; l’art.32-

quinquies , introdotto dalle legge 97/2001, stabilisce che la condanna alla reclusione per

un tempo non inferiore a tre anni per i delitti di cui agli articoli 314,primo comma, 317,

318, 319, 319 ter e 320 importa altresì l’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego

14

nei confronti del dipendente di amministrazioni od enti pubblici ovvero di enti a

prevalente partecipazione pubblica; tale sanzione accessoria viene estesa anche al reato

di “collusione in contrabbando” prevista precipuamente per i militari appartenenti al

Corpo della Guardia di Finanza dall'articolo 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 138316.

L’istituto in esame assume un’importanza particolare alla luce del fatto che il principio

d'automaticità della destituzione "di diritto" del pubblico dipendente , vigente in forza

dell'art.85, comma 1 lett. A del DPR n.3/1957 (T.U. degli impiegati civili dello Stato),

era stato precedentemente dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale con la

sentenza n.971 del 14/10/1988, siccome in contrasto con gli artt.3, 4 , 35 e 97 della

Costituzione.

La successiva Legge n.19 del 7 Febbraio 1990, cercando di colmare il vuoto normativo

derivante dalla declaratoria d'incostituzionalità delle norme previgenti ,

stabili,all'art.9,che il pubblico dipendente non poteva essere destituito di diritto a seguito

di condanna penale , ma la destituzione poteva avvenire solo a seguito di rituale

procedimento disciplinare. In seguito la legge 19 marzo 1990 n.55 introdusse , per i

componenti delle assemblee elettive regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali,

che si fossero resi responsabili dei reati di associazione mafiosa, traffico di stupefacenti

e reati contro la pubblica amministrazione, la sospensione dell’eletto e la successiva

decadenza a seguito di condanna penale irrevocabile. Con la legge 8/1/1992 n.16 le

disposizioni di cui alla legge 55/90 furono estese anche ai funzionari resisi responsabili

di gravi delitti quali quello d’associazione mafiosa o d’associazione per delinquere;

inoltre veniva disposta la decadenza di diritto del pubblico dipendente a seguito del

giudicato penale di condanna per tali delitti di particolare rilievo.

L’art.15, comma 4 septies disponeva17, nei confronti del personale dipendente delle

amministrazioni pubbliche, l’ immediata sospensione dell'interessato dalla funzione o

dall'ufficio ricoperti, al ricorrere di una delle condizioni di cui alle lettere a), b), c), d),

e) ed f) del comma 1 dello stesso articolo: condizioni che si sostanziavano nell’aver

riportato condanna, anche non definitiva, per determinati delitti di criminalità

organizzata (associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione finalizzata al

16 Art.3 – Il militare della Guardia di Finanza che commette una violazione delle leggi finanziarie, costituente delitto, o collude con estranei per frodare la finanza, oppure si appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri ,valori o generi di cui egli, per ragione del suo ufficio o servizio, abbia l’amministrazione o la custodia o su cui esercita la sorveglianza,soggiace alle pene stabilite dagli artt.215 e 219 del codice penale militare di pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali. La cognizione dei suddetti reati appartiene ai tribunali militari. 17 Prima della novazione legislativa di cui alla legge L. 13 dicembre 1999, n. 475

15

traffico illecito di sostanze stupefacenti e altri delitti connessi a detto traffico, nonchè al

traffico di armi, favoreggiamento personale o reale in relazione a taluno dei predetti

reati (lettera a), o per determinati delitti contro la pubblica amministrazione (lettera b),

ovvero condanna confermata in appello per altri delitti commessi con abuso o

violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (lettera c), ovvero a determinate

pene per qualsiasi delitto non colposo (lettera d); nell’essere sottoposto a procedimento

penale, quando sia stato disposto il rinvio a giudizio o la presentazione o la citazione in

udienza per il giudizio per i delitti di criminalità organizzata di cui alla lettera a (lettera

e); nell’essere sottoposto, anche con provvedimento non definitivo, a misura di

prevenzione in quanto indiziato di appartenere ad una associazione di stampo mafioso

(lettera f).

Il successivo comma 4 octies ,estendendo al personale dipendente le disposizioni dei

commi 4 quinquies e 4 sexies, prevedeva la decadenza di diritto dalla data del passaggio

in giudicato della sentenza di condanna o dalla data di definitività del provvedimento di

applicazione della misura di prevenzione.

In sintesi la legge n.55/90, così come modificata dalla legge n.16 del 1992, prevedeva la

sospensione obbligatoria in connessione con il rinvio a giudizio o con la condanna non

definitiva per le fattispecie illecite individuate e la decadenza nel caso di condanna

passata in giudicato.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia con ordinanza emessa il 7 aprile

1998 n.599 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.15, comma 4 –

septies, in riferimento agli artt.3,4,24 secondo comma, 27 secondo comma,35, 36 e 97

della Costituzione. In particolare si sottolinea l’illegittimità della disposizione

impugnata nella parte in cui prevede una forma di sospensione in via automatica,

sfavorevolmente incidente sul rapporto di impiego, nei confronti di coloro che siano

sottoposti a procedimento penale o abbiano subito condanna penale, in quanto misure di

tal genere possono essere disposte solo in base ad una valutazione del caso concreto da

parte dell’amministrazione stessa; il giudice a quo, inoltre, pone l’attenzione sul fatto

che ci si trova innanzi ad una “difesa avanzata” nel momento in cui la norma

contempla la sospensione obbligatoria in base al presupposto della mera pendenza del

procedimento penale (dopo il rinvio a giudizio), fase antecedente ad un qualsiasi

giudizio di colpevolezza sul dipendente. Il rinvio a giudizio sarebbe , infatti, “un mero

atto di impulso processuale, che prescinde da un apprezzamento di merito secondo un

canone, sia pure prognostico di colpevolezza”. In pratica il Tribunale Amministrativo

16

sostiene l’incompatibilità della sospensione automatica con i principi di proporzionalità

e di non eccessività delle misure afflittive.

La Corte Costituzionale con la sentenza n.206 del 1999 dichiara non fondata la

questione e conferma la legittimità della sospensione automatica. Infatti, vista la “

specificità di siffatti rischi di inquinamento degli apparati amministrativi” e sussistente

la “ necessità di troncare anche visibilmente ogni legame che possa far apparire

l’amministrazione, agli occhi del pubblico, come non immune da tali infiltrazioni

criminali” , viene giustificata una valutazione ex ante circa l’incompatibilità con

l’interesse pubblico della permanenza nell’ufficio o nella funzione di persone sulle quali

gravi un’accusa per questo tipo di delitti, “operando per legge e in via generale

l’apprezzamento dell’esigenza cautelare, e così sottraendo la stessa amministrazione ai

rischi di condizionamenti diretti o indiretti derivanti dalla stessa presenza delle

organizzazioni criminali, che potrebbero alterarne le valutazioni.”

Per tali motivi sono ritenuti infondati i dubbi prospettati circa la rigidità di una scelta

legislativa che non distingue e non permette di distinguere caso da caso in relazione alla

natura delle mansioni svolte dall’impiegato e alla sussistenza o meno di un nesso fra la

funzione pubblica e il fatto di reato a lui contestato.

Non viene riconosciuto fondamento neanche alla questione relativa alla compatibilità di

tale disposizione con il diritto alla difesa di cui all’art.24, secondo comma, della

Costituzione, poiché la sospensione non opera propriamente di diritto, ma deve essere

comunque disposta con un provvedimento dell’amministrazione competente, ancorché

vincolato nei presupposti e nel contenuto.18 La presente pronuncia conclude

affermando la non irragionevolezza della sospensione disposta a seguito di rinvio a

giudizio, poiché quest’ultimo presuppone comunque che siano stati raccolti elementi tali

da precludere una pronuncia di insussistenza del fatto ovvero della colpevolezza o della

punibilità dell’imputato (cfr. art. 425 c.p.p.) e comporta una valutazione del giudice

vertente proprio sulla esistenza degli elementi che rendono necessario il giudizio per

accertare definitivamente il reato .

Tale forma di sospensione obbligatoria , per effetto della legge 13 dicembre 1999 n.475,

è ora applicabile solo per la sentenza definitiva, in quanto le parole «, anche non

definitiva,», contenute alle lettere a), b), c), d), e) ed f) del comma 1 dell’art.15 L.55/90

sono state sostituite dall'attuale «definitiva» dall'art. 1, comma 1, lett. a) della l.475/99.

18 Contro di esso l’interessato può far valere pienamente, in sede giurisdizionale, proprie eventuali doglianze, nonché far valere eventuali vizi derivanti dalla inesistenza dei presupposti legalmente stabiliti.

17

La Corte costituzionale, con sentenza 19-27 aprile 1993, n. 197 (G.U. 5 maggio 1993,

n. 19 - Serie speciale), ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 15, comma 4-octies, nella

parte in cui, mediante rinvio al comma 4-quinquies, prevede la destituzione di diritto,

anziché lo svolgimento del procedimento disciplinare ai sensi dell'art. 9 della legge n.

19 del 1990; in tal modo, quindi, è stata negata la legittimità costituzionale delle norme

che prevedono l’applicazione di diritto, o automatica, di sanzioni destitutive a seguito di

determinate condanne penali definitive, senza consentire all’amministrazione una

graduazione in relazione all’apprezzamento concreto del fatto per il quale è intervenuta

la condanna 19.

La legge 25 gennaio 1982 n.17 “Norme di attuazione dell'art. 18 della Costituzione in

materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia

P2”, prevede un’ulteriore figura di misura precauzionale di sospensione facoltativa

dall’impiego. L’art.4 dispone che i dipendenti pubblici, civili e militari, per i quali

risulti, sulla base di concreti elementi, il fondato sospetto di appartenenza ad

associazioni segrete20, possono essere sospesi dal servizio, valutati il grado di

corresponsabilità nell'associazione, la posizione ricoperta dal dipendente nella propria

amministrazione nonché l'eventualità che la permanenza in servizio possa

compromettere l'accertamento delle responsabilità del dipendente stesso.

Ai dipendenti pubblici, civili e militari, che sono riconosciuti responsabili di

appartenere ad associazioni segrete, vengono applicate , tenuto conto grado di

corresponsabilità del dipendente nell'associazione segreta, nonché alla posizione del

medesimo ricoperta nell'ordinamento di appartenenza in relazione alle funzioni

esercitate, le sanzioni disciplinari previste dai rispettivi ordinamenti di appartenenza,

oltre alle pene di cui all’art.2. Quest’ultimo , infatti, stabilisce la pena della reclusione

fino a due anni e l’interdizione per un anno dai pubblici uffici per i partecipanti ad

un’associazione segreta.

La sospensione cautelare facoltativa dal servizio cessa di avere efficacia qualora, entro

il termine di centottanta giorni dal relativo provvedimento, non sia stata esercitata

l'azione penale ovvero non sia concluso il procedimento disciplinare.

Nelle norme di attuazione del codice di procedura penale sono rinvenibili due tipologie

di sospensione per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Ai sensi dell’art.16,

fermo restando le sanzioni disciplinari stabilite dai rispettivi ordinamenti, i soggetti di

19 Sulla stessa linea le sentenze n.16 del 1991 e n.363 del 1996. 20 Così come individuate ai sensi dell'art. 1.

18

cui sopra che senza giustificato motivo omettono di riferire nel termine previsto

all'autorità giudiziaria la notizia del reato, che omettono o ritardano l'esecuzione di un

ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente o

comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di

polizia giudiziaria, sono soggetti alla sanzione disciplinare della censura e, nei casi più

gravi, alla sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi.

Tale disposizione contempla, quindi, non una forma di provvedimento precauzionale,

ma una sanzione disciplinare comminabile in seguito alla promozione dell’azione

disciplinare da parte del procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto

presta servizio l’ufficiale o l’agente di polizia giudiziaria. All’art.19, invece, viene

attribuita alla commissione , composta secondo le modalità di cui all’art.18, comma 3,

la facoltà di disporre la misura cautelare della sospensione dell’ufficiale o dell’agente

dalle funzioni di polizia giudiziaria nelle more dell’accertamento della responsabilità ai

fini dell’irrogazione dell’eventuale sanzione.

Questa forma di sospensione cautelare rappresenta un istituto del tutto autonomo

rispetto alle misure precauzionali contemplate dalle vigenti leggi sullo stato giuridico

dei militari; infatti, non solo si fa espresso riferimento ad una sospensione dalle

“funzioni” che non preclude l’esercizio di attribuzioni diverse ( ad esempio il

finanziere, sospeso ai sensi dell’art.19 , potrebbe essere demandato alle funzioni di

scrivano nell’Ufficio Comando), ma tale misura potrebbe essere accompagnata da una

sospensione cautelare facoltativa adottata dall’amministrazione competente a seguito di

una distinta ed autonoma valutazione circa la compatibilità della posizione del

dipendente con la sua permanenza in servizio, sempre ove siano sussistenti i presupposti

normativi descritti in precedenza .

Alle stesse conclusioni si giunge in merito alla sospensione dall'esercizio di un

pubblico ufficio o servizio di cui all’art.289 c.p.p. La norma dispone che nel caso in

cui si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione (314 ss. c.p.), tale

misura preventiva può essere disposta a carico del pubblico ufficiale (357 c.p.) o

dell'incaricato di un pubblico servizio (358 c.p.), anche al di fuori dei limiti di pena

previsti dall'art. 287 comma 1, sempre che , nel corso delle indagini preliminari, prima

di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall'esercizio di un

pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all'interrogatorio dell'indagato, con le

modalità indicate agli articoli 64 e 65. Il Consiglio di Stato, III Sez., con parere 30

aprile 1991, n.610, ha ribadito che la sospensione cautelare disposta dall’Autorità

19

Giudiziaria e il provvedimento precauzionale disciplinato dalle leggi di stato, sono in

rapporto di piena autonomia in quanto rispondono a finalità diverse e l’una non preclude

l’adozione dell’altro. Come abbiamo avuto modo di sottolineare a propostito della più

volte citata sentenza n.206/1999, le esigenze cautelari , a tutela delle quali è preordinata

la misura sospensiva di cui all’at.289 c.p.p., sono relative agli scopi del processo penale

e della prevenzione di nuovi reati, e , per questo, tale misura è assoggettata alle

condizioni connesse a tali scopi, così come previsto dagli artt.273 e ss. c.p.p. La

sospensione facoltativa prevista dalle leggi di stato , invece, è volta al soddisfacimento

delle esigenze cautelari connesse alla funzione amministrativa ed al rapporto di

impiego con il dipendente; pertanto è svincolata da esigenze processuali e di

prevenzione speciale e viene disposta con un provvedimento dell’amministrazione,

senza che assume diretta importanza il requisito della gravità degli indizi di

colpevolezza21 . “Non a caso, ai fini dell’applicazione della misura della sospensione

di cui all’art.91 del D.P.R.n.3/57,rileva che la natura del reato sia particolarmente

grave , e non la gravità degli indizi da cui l’imputato sia raggiunto. Né del resto si

potrebbe pensare che l’amministrazione , chiamata ad apprezzare l’esigenza di cautela,

formuli prognosi di colpevolezza o meno, sostituendosi al giudice penale.”

Quindi nel caso in cui venga disposta dal giudice la misura di cui all’art.289 c.p.p.22,

l’amministrazione dovrà valutare autonomamente l’opportunità di adottare o meno la

misura della sospensione cautelare facoltativa .

Di diversa natura è , invece, la sospensione disciplinare 23, in quanto rientra tra le

sanzioni di stato, provvedimenti adottabili al termine del procedimento disciplinare (di

stato). Tale misura non ha funzione e natura cautelare e , quindi, non viene adottata

nella pendenza dell’accertamento definitivo di eventuali responsabilità per preservare

gli interessi dell’amministrazione , ma costituisce un provvedimento sanzionatorio

applicabile al dipendente in seguito all’instaurazione, attraverso l’inchiesta formale 24,

21 Il quale condiziona,invece, le misure cautelari demandate al giudice dal codice di rito. 22 L’interdizione ha luogo per un periodo di tempo limitato che, a mente dell’art. 308, comma 2, c.p.p., di regola, non può superare i due mesi, a meno che la misura non sia disposta per salvaguardare le fonti di prova da pericoli di dispersione o di inquinamento, nel qual caso il giudice può disporne la rinnovazione anche al di là del suddetto termine, osservati comunque i limiti di cui all’art. 308, comma 1, c.p.p.. 23 Art.30 legge 10 aprile 1954 n.113 : “La sospensione disciplinare dall'impiego è inflitta previa inchiesta formale, senza che occorra il preventivo deferimento ad un Consiglio di disciplina; la sua durata non può essere inferiore a due mesi né superiore a dodici.” 24 Art.74 legge 10 aprile 1954 n.113: “L'inchiesta formale è il complesso degli atti diretti all'accertamento di una infrazione disciplinare per la quale l'ufficiale può essere passibile di una delle sanzioni indicate all'art. 73. L'inchiesta formale comporta la contestazione degli addebiti. L'inchiesta formale viene esperita secondo le norme stabilite nel regolamento.”

20

del relativo procedimento disciplinare di stato e alla sua conclusione. Dalla lettura

dell’art.73 della legge 10 aprile 1954 n.113, si evince che le sanzioni disciplinari di

stato sono distinte tra :

a) la sospensione disciplinare dall'impiego, di cui all'art. 30;

b) la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado, prevista dall'art. 52;

c) la perdita del grado per rimozione, di cui al n. 4 dell'art. 70.25

Il procedimento disciplinare di stato viene avviato in seguito alla commissione di fatti ai

quali consegue l’avvio di un procedimento penale 26 o in seguito alla commissione di

gravi infrazioni disciplinari. Il procedimento disciplinare di stato può essere instaurato,

nei termini previsti dall’art.9 della legge 7 febbraio 1990 n.1927 (entro 180 giorni dalla

data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza penale e concluso entro

novanta giorni; l’applicabilità di tale disciplina al personale militare è stata

espressamente riconosciuta dal Consiglio di Stato,III Sez., con parere n.1092/1990,

reso in seguito a specifico quesito formulato dal Ministero della Difesa), quando il

processo penale si conclude con sentenza irrevocabile di condanna, la quale, ai sensi

dell’art.653 c.p.p., così come modificato dall’art.1 della legge 27 marzo 2001 n.97, ha

efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche

autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e

all’affermazione che l’imputato lo ha commesso. A tal proposito si ritiene utile

sottolineare che l’art.2 della L.97/2001 , modificando l’art.445, primo comma, secondo

25 Il T.U. 1957/3 dispone all’art.78 “L'impiegato che viola i suoi doveri è soggetto alle seguenti sanzioni disciplinari: 1) la censura; 2) la riduzione dello stipendio; 3) la sospensione dalla qualifica; 4) la destituzione. 26 Si ricorda che l’art.117 del T.U. dispone che “Qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso.” 27 Art. 9 della L. 7 febbraio 1990, n. 19(modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti), “9. Il pubblico dipendente non può essere destituito di diritto a seguito di condanna penale. È abrogata ogni contraria disposizione di legge. La destituzione può sempre essere inflitta all'esito del procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi novanta giorni. Quando vi sia stata sospensione cautelare dal servizio a causa del procedimento penale, la stessa conserva efficacia, se non revocata, per un periodo di tempo comunque non superiore ad anni cinque. Decorso tale termine la sospensione cautelare è revocata di diritto.”

21

periodo del c.p.p.28, definisce la natura della sentenza di patteggiamento quale sentenza

di condanna, recependo un oramai consolidato orientamento giurisprudenziale

amministrativo ( per tutte la sentenza 15 novembre 2001 n.5832 Consiglio di Stato,

Sez.V : “L’art. 444 c.p.p. è successivo all’art. 1 della legge n. 16 del 1992 richiamata

dall’appellante e, per verificare se tale ultima disposizione si riferisce anche alla

sentenza cd patteggiata, occorre procedere in via interpretativa. Per questa via,

considerando che la giurisprudenza amministrativa ha già affermato che la sentenza

cd. patteggiata è equiparabile ad una sentenza di condanna, per quanto concerne

l’accertamento delle responsabilità (oggi tale equiparazione è espressamente stabilita

dall’art. 58, comma 2, del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato

con il D.Lgs. 18.8.2000, n. 267), la Sezione ritiene che la sospensione possa essere

adottata anche a seguito di una sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p.)

Se il processo si conclude con una sentenza irrevocabile di assoluzione con formula

diversa da quelle che , ai sensi e per gli affetti dell’art.653, hanno un’efficacia

vincolante nel procedimento disciplinare29, quest’ultimo deve avere inizio, con la

contestazione degli addebiti, entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la

sentenza definitiva di proscioglimento e concludersi nei successivi novanta. In verità il

3 comma dell’art.29 della Legge 10 aprile 1954, n. 11330 per gli ufficiali , così come il

combinato disposto degli art.20, 64, 65, 72, 74 della legge 31 luglio 1954 n.599 per i

sottufficiali e l’art.14 della legge 3 agosto 1961 n.833 per gli appuntati e finanzieri, non

prevedono , in tal caso, alcun termine entro il quale procedere alla contestazione degli

addebiti. La questione è stata oggetto di giudizio di legittimità costituzionale in seguito

al ricorso presentato da un sottufficiale della Guardia di Finanza; la Corte

Costituzionale , attraverso la sentenza 11 marzo 1991 n.104, ha dichiarando

l'illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 20, 64, 65, 72, 74, legge

31 luglio 1954 n. 599, nella parte in cui non si prevede che nel procedimento

28 Art.445 c.p.p."Salvo quanto previsto dall'art. 653, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, la sentenza non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi. Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna” 29 In tale caso l’efficacia extrapenale della pronuncia assolutoria preclude tout court la valutazione disciplinare del fatto coperto dal giudicato. Vgs. BURATTI B.-PELLEGRINI C. , La rilevanza del processo penale nell’accertamento per responsabilità disciplinare, in Rivista della Guardia di Finanza n.3/2003, p.869 e ss. 30 Art.29,comma 3 : “ Se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiari che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti. Quando, però, da un procedimento penale comunque definito emergano fatti o circostanze che possano rendere l'ufficiale passibile di provvedimenti disciplinari di stato, l'ufficiale deve essere sottoposto a procedimento disciplinare.”

22

disciplinare nei confronti di sottufficiali delle Forze Armate, promosso successivamente

a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione passata in giudicato per motivi

diversi dalle formule "perché il fatto non sussiste" o "l'imputato non ha commesso il

fatto" (la legge n.97/2001 ha aggiunto all’art.653 c.p.p. anche la formula “non

costituisce illecito penale”), trovino applicazione i termini stabiliti negli artt. 97, terzo

comma, prima parte, 111, ultimo comma, e 120, primo comma,D.P.R. 10 gennaio 1957,

n. 3.

La pronuncia della Corte Costituzionale segue altre sentenze con le quali si era

sottolineata la necessità di garantire i diritti del militare innanzi ad un irragionevole

ritardo nell’instaurazione del procedimento disciplinare; la sentenza n.145/1976

sottolinea che l'azione disciplinare "deve essere promossa senza ritardi ingiustificati, o

peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce" ; la

sentenza n.1128/1988 ,ponendosi sulla stessa linea , stabilisce che “ la sperimentabilità

sine die del procedimento disciplinare costituisce un eccesso di tutela del prestigio

dell'istituzione procedente, cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo" . Ancora

sul punto la sentenza del 25 maggio 1990 n.264 evidenzia che tali garanzie

"costituiscono espressioni di un principio generale ricollegabile all'esigenza che i

procedimenti disciplinari abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo

ragionevole" .

La pronuncia n.104/1991 assume un’importanza fondamentale per l’intera presente

trattazione poiché , partendo dall’assunto che sia i dipendenti civili che i militari sono

degni di uguale tutela, in particolare sotto il profilo dei termini del procedimento

disciplinare che segua alla conclusione del processo penale, sancisce, in assenza di

regolamentazione specifica nella normativa di settore, l'applicabilità al personale

militare del T.U. 3/1957, “che si configura quindi come vera e propria norma di

chiusura, specie per i profili concernenti le garanzie del contraddittorio e del diritto di

difesa”31. Il Consiglio di Stato ha recepito tale orientamento con diverse pronunce :

Cons. St., sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1411, fattispecie in tema di giudizio disciplinare a

carico di appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria; Cons. St., sez. IV, 13

dicembre 1999 n. 1875, fattispecie in tema di giudizio disciplinare a carico di

appartenente all'Arma dei Carabinieri; Cons. St., sez. VI, 12 novembre 1996 n. 1553,

fattispecie in tema di giudizio disciplinare a carico di dipendente di ente pubblico non

31 Così BURATTI B.-PELLEGRINI C. , Il procedimento disciplinare di stato per il personale militare, in Rivista della Guardia di Finanza n.6/2002, p.2498

23

economico; Cons. St., sez. VI, 3 marzo 1989 n. 992; la sentenza del Consiglio di

Stato, sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1411 ha ribadito che “solo in presenza di una

normativa speciale, che disciplini compiutamente il procedimento disciplinare e le sue

scansioni temporali, non troveranno applicazione le norme contenute nel menzionato

testo unico” (D.P.R. 10 gennaio 1957 n.3, Testo unico delle disposizioni concernenti lo

statuto degli impiegati civili dello Stato). In particolare l’art.97 del T.U. dispone che

“Quando la sospensione cautelare sia stata disposta in dipendenza del procedimento

penale e questo si concluda con sentenza di proscioglimento o di assoluzione passata in

giudicato perché il fatto non sussiste o perché l'impiegato non lo ha commesso, la

sospensione è revocata e l'impiegato ha diritto a tutti gli assegni non percepiti, escluse

le indennità per servizi e funzioni di carattere speciale o per prestazioni di lavoro

straordinario e salva deduzione dell'assegno alimentare eventualmente corrisposto.

Se il procedimento penale si conclude con sentenza di proscioglimento o di assoluzione

passata in giudicato per motivi diversi da quelli contemplati nel comma precedente, la

sospensione può essere mantenuta qualora nei termini previsti dal successivo comma

venga iniziato a carico dell'impiegato procedimento disciplinare.

Il procedimento disciplinare deve avere inizio, con la contestazione degli addebiti,

entro 180 giorni dalla data in cui è divenuta irrevocabile la sentenza definitiva di

proscioglimento od entro 40 giorni dalla data in cui l'impiegato abbia notificato

all'amministrazione la sentenza stessa.”; il seguente art.120 dispone che: “ Il

procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo

atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto. Il procedimento disciplinare

estinto non può essere rinnovato. L'estinzione determina, altresì, la revoca della

sospensione cautelare e dell'esclusione dagli esami e dagli scrutini con gli effetti

previsti dagli artt. 94, 95 e 97.”

Inoltre è bene ricordare che l’art.5 della legge 97/2001 ha introdotto, per le fattispecie

illecite ivi contemplate, termini diversi, statuendo che l’estinzione del rapporto di

impiego , salvo quanto previsto dall’art.32- quinquies c.p., può essere disposta a seguito

di procedimento disciplinare, nel caso sia pronunciata sentenza penale irrevocabile di

condanna ; il procedimento deve avere inizio entro 90 giorni dalla comunicazione della

sentenza all’amministrazione o all’ente competente per il procedimento disciplinare , e

deve concludersi entro 180 giorni. Il legislatore , infatti, con la l.97/2001 ha invertito i

termini di inizio e di conclusione che sono di 90 giorni e 180 giorni anziché essere ,

rispettivamente, di 180 giorni e 90 giorni.

24

Il Consiglio di Stato, Commissione Speciale Pubblico Impiego n. 497/2001 del 5

novembre 2001, su parere richiesto dal Ministero della Difesa, ha, tra l'altro, precisato

quanto segue: "La Commissione osserva, in primo luogo, che l'art. 5, quarto comma

della L. 97/2001, individua espressamente i destinatari della nuova disciplina

procedimentale, con riferimento ai dipendenti indicati nel primo comma dell'art. 3,

ossia ai dipendenti condannati in via definitiva per i più gravi delitti contro la pubblica

amministrazione. In tale prospettiva, l'indicazione di un termine dimezzato (90 giorni)

rispetto a quello stabilito dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19, per l'avvio del

procedimento disciplinare, appare giustificato dal particolare allarme sociale causato,

appunto, dalla gravità dei fatti da contestare al dipendente già condannato con

sentenza penale irrevocabile, mentre il raddoppio del termine (180 giorni), per la

conclusione del procedimento disciplinare, sarebbe a sua volta giustificato dalla

presumibile complessità e delicatezza degli accertamenti da compiersi per simili

fattispecie, anche in sede disciplinare. La Commissione conclude disponendo che i

termini di cui all’art.5 della L.97/2001 si applicano esclusivamente ai procedimenti

disciplinari conseguenti a sentenza di condanna definitiva per i reati di cui all’art.3 della

stessa legge, mentre, nell’ipotesi di sentenza relativa ad altre fattispecie delittuose si

applicano i termini di cui all’art.9 dellaL.19/90.

Per completezza si evidenzia che i termini di cui sopra devono essere considerati di

natura perentoria, come si evince dalla sentenza della Corte Costituzionale 28 maggio

1997 n.197 e come stabilito , tra l’altro, nelle sentenze Cons. St., ad. Plen., 25

gennaio 2000 n. 4; Cons. St., Sez. VI, 4 settembre 1998 n. 1217; Cons. St., sez. VI,

16 ottobre 1997 n. 1498. Il superamento di tali termini comporta , quindi, la decadenza

dell’azione disciplinare. Comunque non sono mancate pronunce di segno

contrario,come ad esempio la sentenza 8 luglio 1998 n.436 del Consiglio di Stato32, la

quale afferma che “il termine di 90 giorni previsto dall'art. 9 (...) per concludere il

procedimento disciplinare nei confronti di un pubblico dipendente colpito da sentenza

penale di condanna, ha carattere ordinatorio e non perentorio"33

Per quanto riguarda la sentenza patteggiata, prima dell’intervento modificativo della

L.97/2001 che ha equiparato il patteggiamento alla condanna quanto agli effetti

extrapenali della pronunc ia34, il termine di novanta giorni per la conclusione del

32 La quale annulla T.A.R. Catania,sez.III, 6 luglio 1994,n.1447. 33 Sul punto anche Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 1996, n. 71, 34 Questo ha comportato l’applicazione dei termini di cui alla legge 19/90, di natura perentoria.

25

procedimento non veniva ritenuto di natura perentoria in quanto non applicabile la

L.19/90. La pronuncia del Consiglio di Stato, sez. IV, 28 gennaio 2000, n. 428,

disponeva, infatti, che "nel caso di sentenza penale di condanna patteggiata, non si

verifica quella compiutezza nella raccolta degli elementi di prova tipica del rito

ordinario e non può escludersi che l'Amministrazione, al fine di valutare i fatti in sede

disciplinare, debba effettuare autonomi accertamenti; pertanto, in tale ipotesi, non è

applicabile il termine di 90 giorni introdotto dall'art. 9, secondo comma, legge 7

febbraio 1990, n. 19, per il procedimento, ma la disciplina generale posta dal T.U. 10

gennaio 1957, n. 3". Lo stesso Consiglio di Stato , in una diversa sentenza (sentenza 4

settembre 1998 n.1217, che ha confermato T.A.R. Piemonte, sez.II, 9 maggio 1994

n.160), aveva però espresso un orientamento di segno opposto disponendo che “I

termini previsti dall'art. 9, secondo comma, L. 19/1990 per l'attivazione del

procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente, si applicano anche nel

caso di condanna su patteggiamento, essendo la relativa sentenza equiparata ad una

sentenza di condanna . I termini previsti (…) per l'avvio e la conclusione del

procedimento disciplinare a carico del pubblico dipendente hanno natura perentoria,

con la conseguenza che dal loro superamento deriva la decadenza dell'azione

disciplinare".

Non rappresenta una misura cautelare, ma costituisce una pena accessoria la

sospensione penale di cui agli artt. 31 della legge n. 113/1954, per gli ufficiali, 22 della

legge n. 599/1954, per gli ispettori ed i sovrintendenti, 14, ultimo comma, della legge n.

833/61, per gli appuntati e finanzieri. L’art. 31 della l.113/1954 dispone ,infatti, che

“Salvo i casi in cui la condanna a pena detentiva importi la sospensione dall'impiego

come pena accessoria ai sensi della legge penale militare, la condanna all'arresto per

tempo non inferiore ad un mese ha per effetto la sospensione dall'impiego durante

l'espiazione della pena.” La sospensione in oggetto , quindi, rappresenta una

conseguenza automatica della materiale espiazione della pena detentiva dell’arresto,non

inferiore ad un mese, e il relativo provvedimento di formalizzazione ha , di

conseguenza, una durata coincidente con il periodo di detenzione. Il T.A.R. Sicilia, II

Sez., con la sentenza 19 novembre 1996, n. 1504, ha chiarito che ,qualora “in sede

penale sia stato concesso al reo, in luogo della pena detentiva in carcere, il beneficio

dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 legge 26 luglio 1975, n. 354,

detta sospensione non può essere comminata automaticamente, ma solo previa congrua

26

motivazione in ordine alla possibilità di utilizzare o meno il soggetto, che non versa in

stato di detenzione, per compiti di istituto.”

L’art.22 del D.M. Difesa 15 settembre 1955 prevede che, nel caso di concorso materiale

o formale di reati, si fa riferimento alla pena complessiva, con la conseguenza che si ha

il ricorso alla sospensione penale anche se la pena dell’arresto in riferimento a ciascun

reato è inferiore ad un mese. La sospensione penale 35 si applica nei confronti degli

ufficiali in servizio permanente e in congedo; ispettori e sovrintendenti in servizio

permanente e in congedo; appuntati e finanzieri in servizio permanente; mentre non

trova applicazione nei confronti di ufficiali in congedo assoluto; ispettori e

sovrintendenti in ferma volontaria o in congedo assoluto;appuntati e finanzieri in fe rma

volontaria, congedo o congedo assoluto.

Dalla lettura dell’art.31 della L.113/1954 si evince che vengono fatti salvi i casi in cui ,

in ottemperanza alla legge penale militare, la pena detentiva comporta la pena

accessoria della sospensione dall’impiego o dal grado. In caso di condanna alla

reclusione , infatti, troveranno applicazione gli artt.30 e 31 del c.p.m.p. (Regio Decreto

20 febbraio 1941, n.303).L’art.30 c.p.m.p dispone che la sospensione dall’impiego si

applica agli ufficiali e consiste nella privazione temporanea dall’impiego. La

sospensione rappresenta una pena accessoria conseguente alla condanna alla reclusione

militare36 per una durata non superiore a tre anni . La sospensione dall’impiego decorre

e termina insieme alla pena principale, e ,di conseguenza,si avrà anche per tale pena

accessoria l’estensione del beneficio della sospensione condizionale della pena

principale. L’art.31 c.p.m.p disciplina per i sottufficiali ed i graduati di truppa la

sospensione dal grado,pena corrispondente a quella prevista dall’articolo precedente.37

La condanna , per reati militari, all’ergastolo, alla reclusione comune per un periodo

uguale o superiore ai 5 anni e la dichiarazione di abitualità, professionalità e tendenza a

delinquere, comportano , ai sensi dell’art.28 c.p.m.p., la pena della degradazione. Allo

stesso modo l’art.33 , disciplinante le pene militari accessorie conseguenti alla condanna

per delitti preveduti dalla legge penale comune, prevede la degradazione nelle ipotesi di

condanna alla pena dell’ergastolo o a quella della reclusione da cui derivi l’interdizione

perpetua dai pubblici uffici. La degradazione priva per sempre il condannato della 35 Definita sospensione dall’impiego, per gli ufficiali, ispettori e sovrintendenti; sospensione dal servizio per gli appuntati e finanzieri. 36 Essa consegue anche alla reclusione ordinaria inflitta all’ufficiale per un reato comune, quando, sostituita la reclusione militare a quella ordinaria, ai sensi degli art.63 e 64, la relativa durata rimane nei limiti di cui alla norma in esame, così come disposto dall’art.33,comma 3. 37 La diversità terminologica è in riferimento alla diversa posizione giuridica dei soggetti de quibus.

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qualità di militare , comportando l’uscita del soggetto dal consorzio militare. L’art.29

disciplina l’istituto della rimozione38, sanzione accessoria comminabile , ai sensi

dell’art.33,commi 2 e 3, per condanne alla reclusione militare per una durata superiore

a tre anni39 o per reati comuni, quando la pena della reclusione militare, sostituita alla

reclusi