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Libera Università popolare Reggio Emilia Anno Accademico 2013-2014, I semestre Corso di Scienza della Politica SOCIETÀ CIVILE E MOVIMENTI SOCIALI NELLE SOCIETÀ POSTDEMOCRATICHE in collaborazione con International Gramsci Society Italia Sala G. Di Vittorio, Camera del Lavoro, Via Roma, 53 - Reggio Emilia, 2-12-2013 ore 17,30-19,30 SOCIETÀ CIVILE ED EGEMONIA IN GRAMSCI Interviene: Guido Liguori, Presidente International Gramsci Society Italia La società civile nella interpretazione gramsciana e oggi Guido Liguori Ringrazio in primo luogo la Libera Università Popolare, e in particolar modo Guido Giarelli e Lorenzo Capitani, per questo invito, che rinverdisce anche una antica collaborazione della Igs Italia con Reggio Emilia e fa tornare alla mente un bel convegno del dicembre 1997 su ‟Scuola, intellettuali e identità nazionale nel pensiero di Gramsci‟ che si tenne qui a Reggio. Igs Italia, lʼassociazione di cui sono presidente (potete vedere il sito www.igsitalia.org ), sta per International Gramsci Society ed è un libero network non istituzionale di studiosi di Gramsci di tutto il mondo: la nostra è ovviamente solo la sezione italiana di questo network. Il tema che mi è stato chiesto di trattare oggi è molto controverso e direi anche delicato. Controverso perché sul concetto di società civile vi è nella storia delle interpretazioni gramsciane un passaggio complesso, dovuto al fatto che un grande studioso come Norberto Bobbio attirò per primo (nel convegno internazionale di Cagliari del 1967) lʼattenzione sul tema della società civile in Gramsci, dicendo molte cose interessanti, ma anche confondendo non poco le carte e finendo per dare una lettura di Gramsci che la critica successiva, quella più agguerrita, più legata a ciò che Gramsci ha davvero scritto in unʼopera molto complessa come i Quaderni del

La società civile nella interpretazione gramsciana e oggi · in collaborazione con International Gramsci Society Italia ... la società civile è il vero «teatro della ... nel senso

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Libera Università popolare Reggio Emilia

Anno Accademico 2013-2014, I semestre – Corso di Scienza della Politica

SOCIETÀ CIVILE E MOVIMENTI SOCIALI NELLE SOCIETÀ POSTDEMOCRATICHE

in collaborazione con International Gramsci Society Italia

Sala G. Di Vittorio, Camera del Lavoro, Via Roma, 53 - Reggio Emilia, 2-12-2013 ore 17,30-19,30

SOCIETÀ CIVILE ED EGEMONIA IN GRAMSCI

Interviene: Guido Liguori, Presidente International Gramsci Society Italia

La società civile nella interpretazione

gramsciana e oggi

Guido Liguori

Ringrazio in primo luogo la Libera Università Popolare, e in particolar modo Guido

Giarelli e Lorenzo Capitani, per questo invito, che rinverdisce anche una antica

collaborazione della Igs Italia con Reggio Emilia e fa tornare alla mente un bel

convegno del dicembre 1997 su ‟Scuola, intellettuali e identità nazionale nel pensiero

di Gramsci‟ che si tenne qui a Reggio. Igs Italia, lʼassociazione di cui sono presidente

(potete vedere il sito www.igsitalia.org), sta per International Gramsci Society ed è

un libero network non istituzionale di studiosi di Gramsci di tutto il mondo: la nostra

è ovviamente solo la sezione italiana di questo network.

Il tema che mi è stato chiesto di trattare oggi è molto controverso e direi anche

delicato.

Controverso perché sul concetto di società civile vi è – nella storia delle

interpretazioni gramsciane – un passaggio complesso, dovuto al fatto che un grande

studioso come Norberto Bobbio attirò per primo (nel convegno internazionale di

Cagliari del 1967) lʼattenzione sul tema della società civile in Gramsci, dicendo molte

cose interessanti, ma anche confondendo non poco le carte e finendo per dare una

lettura di Gramsci che la critica successiva, quella più agguerrita, più legata a ciò che

Gramsci ha davvero scritto in unʼopera molto complessa come i Quaderni del

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carcere, avrebbe del tutto falsificato, per dirla con Popper, o – se si preferisce usare

un linguaggio scolastico – avrebbe “bocciato” del tutto.

Delicato perché è importante vedere da una parte cosa veramente ha scritto

Gramsci in merito, ma poi avere anche la capacità – se lo si ritiene mecessario e utile,

ovviamente – di vedere se e come la realtà che è di fronte a noi oggi sia la stessa sulla

quale rifletteva Gramsci negli anni Trenta. Avendo dunque con Gramsci lo stesso

rapporto aperto e non dogmatico, di sviluppo creativo, di traduzione, per usare un suo

termine, che egli ha avuto con Marx.

Io vorrei dunque qui oggi

1) ricordare brevemente lʼinterpretazione di Bobbio,

2) vedere cosa effettivamente dice Gramsci in tema di società civile nei

Quaderni del carcere;

3) abbozzare una riflessione per capire se la realtà che abbiamo di fronte oggi sia

la stessa che aveva di fronte Gramsci.

È chiaro che le tre questioni si intersecano, si intrecciano. Cercherò comunque di

mettere a fuoco questi aspetti.

Quella di Norberto Bobbio1 è stata a lungo l’interpretazione di Gramsci che più

ha influenzato, dopo Togliatti, la ricezione dell’autore dei Quaderni del carcere.

In seguito soprattutto alla lettura avanzata da Bobbio a metà degli anni ‘60,

infatti, Gramsci è diventato per molti addirittura il teorico della società civile.

Nella sua relazione cagliaritana del 1967 Bobbio sottolineava i motivi di

autonomia di Gramsci rispetto alla tradizione marxista: sia per Marx che per Gramsci

1 N. Bobbio, Gramsci e la concezione della società civile, in P. Rossi (a cura di), Gramsci e la cultura contemporanea, Roma, Editori Riuniti - Istituto Gramsci, 1969, vol. I (da qui le citazioni che seguono). Bobbio ripubblicherà questo scritto nel 1976, in un volumetto presso l’editore Feltrinelli (nella collana «Opuscoli marxisti a cura di Pier Aldo Rovatti»), e poi in nella raccolta del 1990, presso lo stesso editore, dei suoi Saggi su Gramsci (Milano, Feltrinelli, 1990). Mi sia consentito il rinvio, per una trattazione storico-teorica più approfondita del rapporto di Bobbio con Gramsci, a due miei libri: Sentieri gramsciani, Carocci 2004, e Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti e polemiche 1922-2012, Editori Riuniti university press 2012.

3

– egli affermava – la società civile è il vero «teatro della storia» (la celebre

espressione dell’Ideologia tedesca)2.

Ma per il primo essa fa parte del momento strutturale e per il secondo di quello

sovrastrutturale; per Marx il «teatro della storia» era la struttura, l’economia, per

Gramsci la sovrastruttura, la cultura, il mondo delle idee.

Bobbio segnala non a torto la differenza tra i concetti di «società civile» in

Gramsci e in Marx: mentre Marx identifica la «società civile» con la base materiale,

con l’infrastruttura economica, «la società civile di Gramsci non appartiene al

momento della struttura, ma a quello della superstruttura»3.

Tuttavia, a partire da qui, Bobbio perveniva a una conclusione errata: mentre in

Marx la società civile (la base economica) era il fattore primario della realtà storico-

sociale, Bobbio suppone che la trasformazione effettuata da Gramsci sposti dalla

«struttura» alla «sovrastruttura» (e precisamente alla società civile) questa centralità.

Egli scrive: «In Marx, questo momento attivo e positivo è strutturale, in Gramsci è

superstrutturale»4. Gramsci era dunque per Bobbio soprattutto il teorico delle

sovrastrutture, nel senso che il momento etico-politico aveva nel suo sistema teorico

un posto fondante inedito rispetto a Marx e al marxismo. In tal modo Gramsci era di

fatto assimilato alla tradizione liberale. Il momento delle sovrastrutture, delle idee,

era il motore primo della storia.

Per costruire la sua tesi, però, Bobbio doveva assumere e dare per scontata una

lettura meccanica del rapporto struttura-sovrastruttura, dove la determinazione di uno

dei due termini diveniva determinazione forte e immediata dell’altro livello di realtà:

«teatro di ogni storia», appunto. La struttura, o la sovrastruttura, cioè, a seconda di

quale dei due termini era considerato più importante (in Marx o in Gramsci),

sembrava determinare completamente l’altro. Questa è però la posizione del

marxismo che Gramsci definisce «volgare», e che egli respinge. Sembravano cioè

non esservi più momenti insieme di unità e di autonomia, e azione reciproca, fra i

2 K. Marx, F. Engels, Lʼ ideologia tedesca [1946], Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 26. 3 N. Bobbio, Gramsci e la concezione della società civile, cit., p. 85. 4 Ivi, p. 86.

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diversi livelli di realtà, propri di ogni concezione dialettica, quale è la concezione di

Gramsci.

È indubbio che vi sia in Gramsci una forte rivalutazione della soggettività, della

politica, del momento del consenso (e per lui la «società civile» è – come vedremo –

il luogo in cui si crea il consenso). Ma questa rivalutazione delle sovrastrutture tipica

di Gramsci avveniva in un senso diverso da quello registrato da Bobbio: il tentativo

presente nei Quaderni di costruire una teoria delle sovrastrutture era pur sempre a

partire da Marx. Gramsci scrive ad esempio, nel Q 8: «il contenuto dell’egemonia

politica [...] deve essere di ordine economico» (Q 8, 185, 1053). Per Gramsci, e cito

sempre da Q 8: «la struttura e le superstrutture formano un “blocco storico”, cioè

l’insieme complesso e discorde delle soprastrutture sono il riflesso dell’insieme dei

rapporti sociali di produzione» (Q 8, 182, 1051).

Fissare correttamente questo punto è essenziale per valutare la posizione di

Gramsci rispetto al marxismo, così come il suo concetto di società civile: Gramsci

non nega le scoperte essenziali di Marx, ma le arricchisce, le amplia e le completa,

alla luce delle novità sociali e politiche proprie della realtà che ha di fronte.

In altre parole, si tratta di prendere le distanze da una lettura meccanica e

meccanicistica del rapporto struttura-sovrastruttura, lettura che invece Bobbio fa sua.

Si tratta di prendere le distanze – lo ripeto – da una concezione in cui la

determinazione di uno dei due termini (struttura o sovrastruttura) diverrebbe

determinazione forte e immediata dell’altro livello di realtà: «teatro di ogni storia».

Vi sono in Marx alcuni passaggi che indubbiamente inducono a questa

interpretazione deterministica, ma Gramsci ne privilegia altri e nei Quaderni dà

addirittura una lettura antideterministica di uno di questi testi di Marx, la Prefazione

del ʼ59, ovvero la Prefazione al Per la critica dellʼeconomia politica, scritta da Marx

nel 1859.

Il problema è che il pensiero di Gramsci è profondamente dialettico, quello di

Bobbio è di tipo dicotomico.

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Nei Quaderni del carcere, il concetto fondamentale di Gramsci non è la società

civile ma il «blocco storico». Il che vuol dire, in primo luogo, che la distinzione tra

Stato e società civile è di natura metodica e non organica. Sono molte le citazioni

possibili dai Quaderni, i passi in cui Gramsci torna sulla unità reale di Stato e società.

Una almeno va ricordata. È tratta da Q 4:

si specula […] sulla distinzione tra società politica e società civile e si

afferma che l’attività economica è propria della società civile e la società

politica non deve intervenire nella sua regolamentazione. Ma in realtà

questa distinzione è puramente metodica, non organica e nella concreta vita

storica società politica e società civile sono una stessa cosa. D’altronde

anche il liberismo deve essere introdotto per legge, per intervento cioè del

potere politico (Q 4, 38, 460).

Viene dunque meno in Gramsci la separazione rigida fra economia, politica e società.

Stato e società civile non sono realtà autonome, l’ideologia liberale che le dipinge

come tali è esplicitamente negata.

Ripeto: la distinzione rigida tra le sfere della realtà sociale per il marxismo

dialettico di gramsci è più apparente che reale. È da questa convinzione che nasce il

concetto, centrale nei Quaderni, di «Stato allargato» (o Stato integrale).

Cosa vuol dire Stato integrale o allargato?

Gramsci ha una concezione dialettica della realtà storico-sociale, nel cui quadro

Stato e società civile sono intesi in un nesso di unità-distinzione, per cui concepire

l’uno senza l’altro vuol dire negarsi la possibilità di leggere correttamente la realtà –

e pure i Quaderni del carcere.

Che senso ha l’assunzione di questa categoria di «Stato allargato»? Essa indica

due fatti:

- da un lato, accoglie il nesso dialettico (unità-distinzione) di Stato e società

civile, senza «sottostimare» alcuno dei due termini;

- dall’altro, indica contestualmente che tale unità avviene sotto l’egemonia dello

Stato.

Cioè che, fermo restando che non esiste una fagocitazione concettuale dell’un

termine da parte dell’altro, esiste però – nella realtà del Novecento su cui Gramsci

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riflette e che la sua teoria riflette – un protagonismo dello Stato che egli coglie, come

altri pensatori politici, marxisti e non marxisti.

L’«allargamento» del concetto di Stato avviene nei Quaderni in due direzioni:

a) la comprensione del nuovo rapporto tra politica ed economia, che Gramsci

individua come uno dei tratti peculiari del Novecento, riflettendo sul

«corporativismo» fascista, sulle esperienze dell’Unione Sovietica, sulla situazione

che ha fatto seguito al «crollo di Wall Street»: facce diverse di una stessa medaglia

che aveva iniziato a evidenziarsi almeno a partire dalla prima guerra mondiale.

Da notare che queste tematiche erano presenti nei dibattiti teorici della Terza

Internazionale come dell’austromarxismo già all’inizio degli anni Venti, quando

Gramsci ebbe a soggiornare prima a Mosca e poi a Vienna.

Rapporto nuovo politica-economia, ma non tale – per Gramsci – da inficiare la

tesi marxiana e marxista della determinazione «in ultima istanza» dell’economico;

L’«allargamento» del concetto di Stato avviene poi in una seconda direzione:

b) la comprensione del nuovo rapporto tra «società politica» e «società civile»

(intesa in senso propriamente gramsciano, come «luogo del consenso»), cui Gramsci

perviene mettendo a punto la sua teoria dell’egemonia.

È un rapporto, questo tra società politica e società civile, che inizia a mutare –

per Gramsci – già nell’Ottocento, per affermarsi pienamente nel secolo successivo.

Per il primo allargamento, cito un breve passaggio dal Q 10:

È certo che lo Stato ut sic non produce la situazione economica ma è

l’espressione della situazione economica, tuttavia si può parlare dello

Stato come agente economico in quanto appunto lo Stato è sinonimo

di tale situazione (Q 10 II, 41. VI, 1310).

Lo Stato, dunque, è «espressione della situazione economica».

Bisogna anche sottolineare come per Gramsci lo Stato incida profondamente

nella composizione di classe della società, ad esempio facendo diminuire o meno il

peso dei ceti parassitari con la sua politica finanziaria (Q 1, 135, 125).

Ma gli esempi potrebbero ovviamente moltiplicarsi, nel momento in cui lo Stato

entra direttamente nella «organizzazione produttiva». Qui vi è quasi una produzione

della società da parte dello Stato (elargitore di reddito, direttamente e indirettamente,

7

per quote crescenti di popolazione, non necessariamente parassitarie, come invece a

Gramsci sembrava, all’altezza dell’Italia fascista degli anni trenta). Ciò rappresenta la

maggiore novità del rapporto Stato-società nel Novecento, prima che arrivasse la

rivoluzione neoliberista di Thatcher e Reagan.

Veniamo alla seconda direzione in cui si realizza l’«allargamento del concetto di

Stato» proposto da Gramsci, quella per cui Gramsci è giustamente famoso. Cito qui

una lettera alla cognata Tania del 7 settembre 1931 (in realtà diretta a Piero Sraffa e a

Palmiro Togliatti: ma non abbiamo tempo di dilungarci nei rapporti complessi tra

tutti questi personaggi). Abbiamo in questa lettera una fotografia di rara efficacia di

questa scoperta teorica gramsciana. Cito:

Lo studio che ho fatto sugli intellettuali è molto vasto […] Questo studio

porta anche a certe determinazioni del concetto di Stato che di solito è

inteso come Società politica (o dittatura, o apparato coercitivo per

conformare la massa popolare secondo il tipo di produzione e l’economia

di un momento dato) e non come un equilibrio della Società politica con la

Società civile (o egemonia di un gruppo sociale sull’intiera società

nazionale esercitata attraverso le organizzazioni così dette private, come la

chiesa, i sindacati, le scuole ecc.) e appunto nella società civile

specialmente operano gli intellettuali5.

Studiando dunque storia e ruolo degli intellettuali, ed enucleando così la propria

teoria dell’egemonia, Gramsci è giunto a un nuovo concetto di Stato.

L'attenzione di Gramsci si appunta soprattutto, in questo ambito, sugli «apparati

egemonici», apparati che si aggiungono agli «apparati coercitivi», tipici dello Stato

strictu sensu, dello Stato ottocentesco, su cui si era appuntata l'attenzione di Marx e

anche di Lenin. Di qui discende l'importanza decisiva che Gramsci assegna agli

intellettuali, con un nesso intellettuali-Stato che vive anche di suggestioni hegeliane.

La «Società civile» è intesa come insieme di «organizzazioni così dette private».

Tornano sempre nei Quaderni alcune espressioni («organismi volgarmente detti

“privati”», «organismi così detti privati», l’uso delle virgolette nell’espressione «così

dette» che precede «private»... son tutti sono segnali e indicatori della massima

5 A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura di Antonio A. Santucci, Palermo, Sellerio, 1996, pp. 458-9.

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importanza: essi ci dicono che per Gramsci tali apparati egemonici, apparentemente

«privati», fanno in realtà parte a pieno titolo dello Stato.

Ecco perché parliamo di «Stato allargato».

È importante sottolineare anche un altro aspetto: se gli organismi della società

civile gramscianamente intesa fossero «privati» tout court, si aprirebbe la strada a una

lettura «culturalista», «idealista», «liberale», alla Bobbio, di Gramsci, tendente a

enfatizzare l’importanza del «dialogo», ad esempio, o dell’habermassiano «agire

comunicativo», visti come slegati dai rapporti di forza: una visione ingenua della

democrazia e dell’egemonia.

Il fatto invece che tali organismi preposti alla formazione del consenso siano

incardinati dialetticamente nello Stato permette di dire che Gramsci sta proponendo

una lettura forte della morfologia del potere nella società contemporanea.

Un potere egemonico, in cui – ancora una volta, dialetticamente – nessuno dei

due aspetti (forza e consenso, direzione e dominio) può essere cassato. Un potere

egemonico il cui soggetto è la classe, un insieme di classi o gruppi sociali (come dice

Gramsci complicando il concetto di classe, ma non abolendolo) ma una classe o

insieme di classi subalterne che – per essere davvero egemoni – devono, per

Gramsci, «farsi Stato».

Se la nuova visione gramsciana viene dallʼosservazione del mondo a lui

contemporaneo, non si può sottolineare come il primo accenno di interpretazione

peculiarmente gramsciana di questa visione della società civile e del suo nesso

dialettico con lo Stato sia in rapporto esplicito con la Filosofia del diritto di Hegel.

La nota 47 del Quaderno 1, intitolata Hegel e l’associazionismo, pare essere il

primo luogo dei Quaderni in cui fa capolino una concezione dello Stato

comprendente anche gli «organismi» della società civile.

Essa recita:

La dottrina di Hegel sui partiti e le associazioni come trama «privata»

dello Stato. […] Governo col consenso dei governati, ma col consenso

organizzato, non generico e vago quale si afferma nell’istante delle

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elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche «educa» questo

consenso con le associazioni politiche e sindacali, che però sono

organismi privati, lasciati all’iniziativa privata della classe dirigente

(Q 1, 47, 56).

Per Gramsci però «società civile» non è né la «struttura» intesa come la intende

Marx, né l'hegeliano «sistema dei bisogni», quanto piuttosto l’insieme delle

associazioni sindacali, politiche, culturali, generalmente dette «private» per

cdistinguerle dalla sfera «pubblica» dello Stato.

Gramsci – a partire da una lettura di Hegel che non è esente da forzature, a mio

avviso – sostiene fin dal Quaderno 1 che partiti, associazioni (e poi dirà scuole,

giornali, ecc., persino la toponomastica) costituiscono i momenti tramite i quali si

costruisce il consenso, si educa il consenso al sistema sociale dato.

Lo Stato è il soggetto dell’iniziativa politico-culturale pur agendo per mezzo sia

di canali esplicitamente pubblici, sia di canali apparentemente privati.

La capacità interpretativa di questo schema appare tanto più evidente oggi,

quando lo sviluppo dei mass media e la loro incidenza politico-culturale appare così

largamente riconosciuta: ai vecchi «apparati egemonici» come la scuola o la stampa

si sono infatti aggiunte – fondamentali nella creazione del senso comune (concetto

gramsciano fondamentale) – le televisioni, i mass media, terreno sul quale spesso la

distinzione netta di «pubblico» o «privato», di «politico» o di «economico», incontra

molte difficoltà.

(Abbozzo appena un tema di riflessione, sotto forma di domanda: in questo

quadro come si situa la rete, Internet: pubblica o privata? Apparato del consenso o

luogo di controegemonia?)

È il Quaderno 6 quello in cui si trovano alcune delle definizioni di «Stato

allargato» più pregnanti.

Il Quaderno 6 è datato 1930-1932. Vediamo alcuni brani su Stato e società

civile:

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Q 6, 87, 762-3:

l’iniziativa giacobina dell’istituzione del culto dell’«Ente supremo»,

che appare pertanto come un tentativo di creare identità tra Stato e

società civile, di unificare dittatorialmente gli elementi costitutivi

dello Stato in senso organico e più largo (Stato propriamente detto e

società civile)6.

Q 6, 88, 763-4:

nella nozione generale di Stato entrano elementi che sono da riportare

alla nozione di società civile (nel senso, si potrebbe dire, che Stato =

società politica + società civile, cioè egemonia corazzata di

coercizione).

Q 6, 136, 800:

organizzazioni e partiti «in senso largo e non formale» costituiscono

l’apparato egemonico di un gruppo sociale sul resto della popolazione

(o società civile), base dello Stato inteso strettamente come apparato

governativo-coercitivo.

Q 6, 137, 801:

Concetto di Stato […] per Stato deve intendersi oltre all’apparato

governativo anche l’apparato «privato» di egemonia o società civile.

Q 6, 155, 810-1:

Nella politica l’errore avviene per una inesatta comprensione di ciò

che è lo Stato (nel significato integrale: dittatura + egemonia).

A questo punto dei Quaderni, dunque, Gramsci è pervenuto al concetto di «Stato

allargato» che descrive nella lettera a Tania del settembre 1931: società politica +

società civile, apparati governativo-coercitivi + apparati egemonici.

Vorrei qui richiamare l’attenzione sul termine «apparato egemonico», che

compare in Q 6, 136, 800, espressione che mi sembra di fondamentale importanza

perché rimanda alla materialità dei processi egemonici: non si tratta solo di «battaglia

delle idee», ma di veri e propri apparati preposti alla creazione del consenso.

6 Qui si parla di «identità tra Stato e società civile», e la società civile è senza dubbio da intendersi «in senso gramsciano».

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Al tempo stesso, va rimarcata la distanza di questa concezione gramsciana da

quella di Althusser degli AIS («Apparati ideologici di Stato»), probabilmente derivata

dai Quaderni, anche se in modo distorto: lo «Stato integrale» di Gramsci è

attraversato dalla lotta di classe, i processi non sono mai univoci, esso costituisce

anche il terreno dello scontro di classe. Scrive Gramsci (Q 8, 227, 1084): «C’è lotta

tra due egemonie, sempre».

Siamo distanti, dunque, da una teoria struttural-funzionalista: sia lo Stato che la

società civile sono attraversati dalla lotta di classe, la dialettica è reale, aperta, l’esito

non predeterminato. Lo Stato è insieme strumento (di una classe), ma anche luogo (di

lotta per l’egemonia) e processo (di unificazione delle classi dirigenti).

È possibile mettere in essere momenti di «contro-egemonia», è possibile per una

classe «già prima di andare al potere essere “dirigente” (e deve esserlo): quando è al

potere diventa dominante ma continua ad essere anche “dirigente”» (Q 1, 44, 41).

Come ha sottolineato Joseph Buttigieg7, dunque, la storia della società civile per

Gramsci è storia del dominio di alcuni gruppi sociali su altri, essendo la trama

dell’egemonia fatta sempre anche di subordinazione, corruzione, esclusione dal

potere, è storia di lotta di classe.

Gramsci non è il teiorico della società civile e ancor meno della autonomia della

società civile.

È importante sottolineare e ripetere che se vi è un momento di innovazione

teorica in Gramsci rispetto a Marx è soprattutto perché nel marxismo di Gramsci

irrompono le novità registrate nel rapporto tra economia e politica nel Novecento,

l’allargamento dell’intervento statale nella sfera della produzione, l’opera di

organizzazione e razionalizzazione con cui il politico si rapporta alla società e anche

la produce. Bolscevismo, fascismo, keynesismo, welfare state sono tutti esempi – sia

pure con le ovvie differenze – di questo nuovo rapporto tra economia e politica che

7 J.A. Buttigieg, Sulla categoria gramsciana di «subalterni», in G. Baratta, G. Liguori (a cura di), Gramsci da un secolo all’altro, Roma, Editori Riuniti, 1999.

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si afferma a partire dalla prima guerra mondiale e che costituisce rispetto al

capitalismo di Marx una novità enorme. Non solo l’economia viene – dalla fine

dell’Ottocento e poi sempre più nel corso del Novecento – sempre più invasa dalla

politica. Come ha scritto il politologo e sociologo brasiliano Marco Aurelio Nogueira,

«il politico dilaga, occupa molti spazi. La “politicizzazione del sociale” è seguita

dalla “socializzazione della politica”»8. Gramsci, in campo marxista, è fra coloro che

meglio colgono teoricamente e politicamente questo fenomeno.

Gramsci ha ridefinito il concetto di Stato, ma ha anche allargato il concetto di

politica. Se si separa società e Stato, politica ed economia, società e politica, in

qualsiasi direzione si voglia procedere, si è fuori del solco del suo pensiero.

La società civile è dunque in Gramsci un momento dello «Stato allargato», uno

spazio nel quale si determinano relazioni di potere, sebbene si tratti di uno spazio

dotato di autonomia relativa rispetto alla «società politica», vale a dire allo «Stato-

coercizione». Gramsci, pertanto, non accetta una posizione dualistica e manichea che

contrappone la «società civile» allo «Stato» (concepito come qualcosa di

intrinsecamente cattivo): la società civile non è omogenea, ma è uno dei principali

teatri della lotta tra le classi in cui si manifestano intense contraddizioni sociali. E la

società civile è un momento della superstruttura politico-ideologica, condizionata «in

ultima istanza» (come scriveva Engels) dalla base materiale della società e, in quanto

tale, non è in nessun modo una sfera situata – come si è sostenuto negli ultimi anni –

«oltre il mercato e oltre lo Stato».

Per Gramsci, non tutto ciò che fa parte della società civile è «buono» (in essa

non prevale la «legge della giungla»?) e non tutto ciò che viene dallo Stato è

«cattivo» (esso può esprimere istanze universali che si originano nella lotta delle

classi subalterne, può servire da diga contro lo strapotere dei «poteri forti», può

essere strumento atto a redistribuire risorse secondo criteri di giustizia).

Soltanto un’analisi storico-concreta dei rapporti di forza presenti in ogni

momento può definire, dall’angolo visuale delle classi subalterne, a cui Gramsci non

8 M. A. Nogueira, Gramsci e la nuova politica, in Critica marxista, 1997, n. 5-6.

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cessò mai di fare riferimento, la funzione e le potenzialità positive o negative tanto

della società civile come dello Stato.

Negli anni recenti ricordiamo che il neoliberismo trionfante aveva preso in mano

la bandiera della società civile contro la società politica, per liberare lʼiniziativa

economica privata dallʼimpaccio dei freni che a essa poneva il potere pubblico; per

far vivere la “legge della giungla”, la legge del più forte. Del più forte

economicamente, ma anche culturalmente e politicamente.

Per reagire a questo clima, credo che non sia oggi inutile polemizzare contro chi

fa oggi del concetto di “società civile” il centro del pensiero gramsciano, e il centro di

un possibile pensiero della sinistra nuova di cui avvertiamo il bisogno.

E soprattutto contro chi fa della società civile un concetto, un luogo sociale in sé

positivo, da contrapporre alla politica, ai partiti e allo Stato, in sé negativi.

Tutte le sfere della realtà storico-sociale sono attraversate dalla lotta tra soggetti

che, sia pure con molte complicazioni, introdotte in parte dallo stesso Gramsci,

possono ancora essere definiti classi sociali. O gruppi sociali, se vogliamo

evidenziare sia lʼelemento della complicazione sociale sia il fatto che sono

determinanti in una definizione marxista delle classi sociali elementi di tipo

sovrastrutturale.

Vi sono state ovviamente negli ultimi decenni molte novità. Vi è stata –

soprattutto in Europa e negli Stati Uniti – la cosiddetta «crisi fiscale dello Stato», cioè

la crisi del welfare, dello Stato sociale, per una mancanza di risorse – dovuta in realtà

al fatto che i «rapporti di forza» non permettevano alle classi subalterne di imporre

alle classi «egemoni» e «dominanti» una maggiore e migliore distribuzione del

reddito e delle risorse. È una crisi che viviamo tuttora.

Inoltre la mondializzazione ha portato a parlare in anni non lontani, con molta

esagerazione, di superamento del ruolo dello Stato. Il neoliberismo ha parlato

addirittura di superamento della politica. Vi è stato chi immaginava un mondo diviso

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non più in Stati, o in confederazioni di Stati, ma in aziende multinazionali: invece di

un passaporto – dicevano costoro – avremo solo la tessera della grande azienda

multinazionale per cui lavoreremo..

Di contro a questo attacco teorico, ma anche politico, allo Stato, la «società

civile» diveniva il nuovo «grido di battaglia» di molti protagonisti, anche diversi tra

loro, del dibattito culturale e politico. Essi tutti reclamavano una cosa: la fine dello

Stato, o almeno un forte passo indietro dello Stato.

Ma in nome di che cosa? A favore di che cosa?

In alcuni casi a favore del mercato, per quel che riguarda i teorici più

apertamente neoliberisti.

In altri casi, in favore dell’individuo. Avanzava il mito della “società degli

individui”, che non sarebbero più soggetti a determinazioni sociali univoche e

durature.

In altri casi ancora l’esaltazione della società civile avviene in nome di

associazioni prepolitiche o prestatuali.

La mia convinzione, allora, era che in realtà, in molti casi, lo Stato continuasse

invece addirittura a produrre la società.

Facciamo un esempio: le Ong vivono spesso proprio grazie al sostegno di fondi

pubblici. Sono non governative perché indipendenti dai governi? Ma da dove

prendono fondi? Anche se sono fondi di organismi internazionali, tali organismi

(Onu, Fao…) non hanno in pratica la funzione di mediazione rispetto agli Stati,

poiché i loro fondi sono fondi che vengono dai singoli Stati, e così via? Le Ong,

come tantissimi altri settori della società (gli insegnanti universitari, ad esempio, visto

che siamo in una università) dipendono dalla spesa pubblica. Sono in realtà il

prodotto, sia pure mediato, di soggetti politici statuali o sovrastatuali. Persino le

banche statunitensi che dominano Wall Street non si sarebbero salvate senza l’aiuto

di Obama: esse sono società civile, ovvero soggetti privati, perché continuano a fare

interessi dei loro azionisti, ma soggetto pubblico perché senza i soldi dello Stato non

si sarebbero salvate. Solo i «rapporti di forza» tra capitalisti e subalterni che

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determinano il salvataggio delle banche con soldi pubblici e poi il loro ritorno a

produrre utile per gli azionisti.

Sono solo rapporti di forza: chiaramente favorevoli alle classi dominanti,

almeno in questo esempio.

In ogni caso, il «ritorno alla società civile» è stata dagli anni 90, ed è ancora, la

parola d’ordine del neoliberismo: basta con lo Stato – in primo luogo con lo Stato

sociale, ovviamente –, lasciate fare alla società. Basta con la politica, basta con i

politici di professione, lasciate fare ai rappresentanti della società civile.

Sottolineo solo per inciso che in Italia questo tema è particolarmente scottante,

perché venti anni fa la “discesa in campo” di Berlusconi avvenne proprio all’insegna

del grido di battaglia: basta politici, arriva la società civile. Ovviamente la riduzione

dello Stato sociale, della spesa pubblica, era ai primi posti del suo programma.

Naturalmente vi erano, e vi sono, due versioni di questo «ritorno alla società

civile», o «ritorno della società civile», entrambe incentrate sulla critica del politico

ed entrambe rafforzate dal leit-motiv della globalizzazione.

Una versione di destra, che mette al centro del proprio universo gli «spiriti

animali del capitalismo», ed è chiaramente la versione neoliberista.

E una versione di sinistra, che vuole garantire i diritti e allargare la cittadinanza,

ma che – proprio nel momento in cui pone come centrali tali categorie – sposa una

visione propriamente liberale.

Nel senso che un tale orizzonte teorico ha comunque alla sua base, cioè si fonda,

su una concezione antropologica del soggetto che è una concezione inevitabilmente

liberale: l’individuo come prius, come ciò che viene prima del suo essere in società,

e per questo è portatore di diritti.

Mentre Marx (sulla scorta di Hegel), e il marxismo, e Gramsci, hanno un’altra

concezione dell’individuo, fondamentalmente relazionale, in cui l’individuo non va

negato ma considerato nel suo fondamentale e insopprimibile essere-in-relazione con

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gli altri, e dunque parte di precisi contesti socio-culturali: i «gruppi sociali» di cui

ognuno fa parte.

Come è noto, trasformismo è unʼaltra categoria gramsciana che indica le

trasformazioni opportunistiche che le élite politiche fanno per conservare il potere, è

uno degli aspetti dellʼoggi, che ancora continua oggi. Insieme al trasformismo, si

afferma un modo di fare politica sempre più corrotto, moralmente riprovevole.

La corruzione prende il posto degli ideali politici e della rappresentanza degli

interessi sociali.Tutto ciò allontana la gente dalla politica. Ma è un errore: in questo

modo si butta via il bambino con l’acqua sporca. Si rinuncia non solo alla cattiva

politica, ma anche alla politica tout court.

Si dimentica che una società politica corrotta è sempre espressione di una

società civile anche essa dominata dagli egoismi, dalla mancanza di solidarietà, dalla

lotta di tutti contro tutti. I soggetti in campo, che si affrontano, non sono la società

civile versus lo Stato, ma soggetti e gruppi sociali che si combattono.

Quando tale combattimento prende l’aspetto della lotta della società civile

contro la società politica, è perché le forze del cambiamento non sono abbastanza

forti da proporre un progetto politico complessivo. Ma se esse cresceranno e vorranno

davvero conquistare l’egemonia, non potranno che lanciare un progetto politico e

culturale rivolto a tutta la società. Dunque, dovranno portare la lotta dentro lo Stato,

dentro le istituzioni statali, sia politiche che del consenso.