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Anno XXIIINUMERO

SETTEMBREDICEMBRE 2015

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Editore, Direzione e Redazione: Fondazione “Giuseppe Toniolo”Via Seminario 8 - 37129 Verona - Tel. 045/9276221 - Fax 045/9276220e-mail: [email protected]

Direttore Responsabile: Alfonso Balsamo

Edizione polacca: Instytut Wydawniczy “Pax” - ul. Wybrzeze Kosciuszkowskie21A - 00-390 Warszawa, Polonia Tel./fax: (0048-22) 625-77-95, 625-13-78,625-33-98 - e-mail: [email protected]

Registrazione: Autorizzazione del Tribunale di Verona n.973 del 28/02/1991GrafiSer srl | Industrie grafiche | www.grafiser.eu

Stampa: GRAFISER srl - C.da Camatrone Z. A. "L. Grassi", 94018 Troina (EN) Iscrizione: Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, SUD2/CT

DirettoreClaudio Gentili

VicedirettoreMario Toso

Segreteria di redazioneDavide Vincentini

Caporedattore edizione polaccaZbigniew Borowik

Presidente Fondazione G.TonioloAdriano Vincenzi

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RedazioneN. Ancona / V. Antonelli / A. Balsamo / O. Bazzichi / P. Borkowski / Z.Borowik / A. Campati / C. Carrara / L. Carazzolo / P. Ceroccho / F.Cucculelli / R. Cursi / E. Dal Degan / F. De Meo / C. Di Francecso / B. DiGiacomo Russo / E. Faccioli / M. Gentile / C. Girelli / T. Massaroni / F.Mazzocchio / M. Merigo / S. M. Messina / G. Notarstefano / M. Orsi / M.Placido / E. Preziosi / S. Quaglia / L. Santolini / P. Sassi / G. Sturzo / D.Vicentini / L. Viscardi / G. M. Zanoni

Comitato scientificoS. Bernal Restrepo, Pontificia Università Gregoriana, Roma / U. Bernardi, Università di Venezia / L. Bianchi, Università di Firenze / V.Buonuomo, Pontificia Università Lateranense, Roma / Centre Sévres, Parigi / G. Campanini, Università di Parma, Parma / P.Carlotti, Università Pontificia Salesiana, Roma / C. Cavalleri, “StudiCattolici”, Milano / D. Ciravegna, Università di Torino / M. R. Cirianni,Pontificia Facoltà di Scienze dell’Ed.”Auxilium”, Roma / E. Colom,Pontificia Università della S. Croce, Roma / F. Compagnoni, PontificiaUniversità S. Tommaso, Roma / W. Crivellini, Università di Torino / E.Cusa, Università Milano Bicocca / G. De Simone, Pontificia UniversitàLateranense, Roma / G. Dal Ferro, Istituto di Scienze Sociali N. Rezzara,Vicenza / M. Di Bartolo, Università Roma Tor Vergata / F. Felice, PontificiaUniversità Lateranense / L. Franzese, Università di Trieste / F. Gentile,Università di Padova, Padova / P. Gheddo, Pontificio Istituto MissioniEstere, Roma / G. Goisis, Università di Venezia, Venezia / O. Ike, CIDJAP,Enugu, Nigeria / P. Jarecki, Vescovo Polonia / F. McHugh, Von HuegelInstitut, S. Edmund’s College, Cambridge, Gran Bretagna K. Wroczynski,Università Cattolica di Lublino, Polonia S. Martelli, Università di Palermo,Palermo / D. Melè, IESE – Business School, Barcellona, Spagna / J. Mejia,Archivista e Bibliotecario di S.R.C., Città del Vaticano / C. Moreda deLecea, Università di Navarra, Pamplona, Spagna / I. Musu, Università diVenezia, Venezia / A. Nicora, Presidente APSA, Vaticano, Roma / R.Pezzimenti, Libera Università Maria Ss. Assunta / A. Poppi, V. Possenti,Università di Venezia, Venezia / C. Salvo, Università di Catania / M.Schooyans, Università di Lovanio, Lovanio, Belgio / M. Spieker, Universitàdi Osnabrück, Osnabrück, Germania / S. Zamagni, Università di Bologna,Bologna / S. Zaninelli, Università Cattolica del S. Cuore, Milano.

CorrispondentiS. Gregg, Grand Rapidis, Michigan, USA / J. Jelenic, Zagabria, CroaziaT. Kim, Seul, Corea del Sud / S. Kosc, Trnava, Slovacchia / S. Cornish,Sidney, Australia / V. Pessenko, Rostov, Russia /E. Sotoniakovà, Ostrava, Repubblica Ceca / D. Valdés, Pinar del Rio,Cuba / K. G. Michel, Würzburg, Germania.

Rivista scientifica della Fondazione “Giuseppe Toniolo”, Verona

Edizione polacca a cura dell’Associazione “Civitas Christiana”, Varsavia

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Edizione on webAccedi all’edizione web sfogliabile della nostra rivista, all’indirizzo www.rivistalasocieta.com

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SPECIALEPAPA FRANCESCO, videomessaggio al V Festival DSC

EDITORIALELa realtà del V Festival DSC nelle parole di Francescodi Claudio Gentili

RICERCHEL’Enciclica di Papa Francesco sull’ambientedi S. E. Mons. Mario Toso

La sfida della realtà: autorità come principiounificatore trascendentedi Flavio Felice

STUDIDiritto Pubblico e DSC: tensioni e problemidi Massimiliano Di Bartolo

DSC e la sfida del lavorodi Mons. Fabio Longoni

Perché approfondire la Gaudium et Spesa cura di Oreste Bazzichi

Eglise et politique dans le 50 anniversairede Gaudium et Spesdi Père Stanislaw Skobel

Indicen.5-6 - settembre | dicembre 2015

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AgORàIl contributo delle imprese al mercato:l’esempio di Cattolicadi Paolo Bedoni

La riforma delle BCCdi Sergio Gatti

Sussidiarietà e mutualità: le ricette della cooperazionedi Maurizio Gardini

Radici culturali tra popolo italiano e argentinodi Rosana A. Botana

L’intensità della democrazia fra interessi e conflittidi Antonio Campati

La DSC tra Welfare State e Welfare Societydi Daniele Ciravegna

I laici nelle istituzioni imprenditorialidi Emanuele Cusa

Democrazia e bene comunedi Bruno Di Giacomo Russo

DSC e laicità nello Statodi Gianni Fusco

Le coscienze di cattolici e cittadini europeidi Salvatore Mario Mulas

IHDOSOC e l’esperienza DSCdi Anis Deiby Valencia Quejada

Il ventennale del Progetto Policorodi Domenico Santangelo

Conclusioni del V Festival DSCdi Adriano Vincenzi

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Sommarion.5-6 - settembre | dicembre 2015

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RICERCHE

L’Enciclica di Papa Francesco sull’ambientedi S. E. Mons. Mario Toso

Una chiave di lettura dell’Enciclica Laudato Sì con parti-colare riferimento al metodo di discernimento offerto daPapa Francesco.

La sfida della realtà: autorità come principio unifica-tore trascendentedi Flavio Felice

Un’analisi del tema del V Festival DSC che approfondisceil concetto di umanesimo cristiano e le nuove sfide cultu-rali nella realtà di oggi.

STUDI

Diritto Pubblico e DSC: tensioni e problemidi Massimiliano Di Bartolo

Approfondita analisi delle connessioni tra Dottrina So-ciale della Chiesa e diritto pubblico con particolare ri-guardo alla struttura dello Stato e alla sua possibileevoluzione.

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DSC e la sfida del lavorodi Mons. Fabio Longoni

Studio che parte dagli esiti del Convegno Nazionale dellaChiesa Italiana a Firenze (9-13 novembre 2015) e conte-stualizza le nuove sfide legate ai profondi mutamenti dellavoro e del mercato del lavoro.

«Laudato Sì» Il popolo e la casa che abitadi Ernesto PreziosiAnalisi sul tema del popolo e del creato nell’EnciclicaLaudato Sì di Papa Francesco. Particolare focus sul rap-porto tra ecologia, economia e sviluppo integrale.

Perché approfondire la gaudium et Spes a curadi Oreste Bazzichi

Instrumentum Laboris del seminario del V Festival DSCdedicato interamente alla Gaudium et Spes del qualesono riportati i principali contributi in questo numero.

Eglise et politique dans le 50 anniversairede gaudium et Spesdi Père Stanislaw Skobel

La chiesa e la politica nel 50esimo anniversario dellaGaudium et Spes raccontati da Padre Stanislaw Skobeldella redazione polacca de “La Società”.

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SpecialePAPA FRANCESCO

Videomessaggio al V Festival DSC

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Carissimi,un cordiale saluto  a tutti voi che partecipate al V Festival dellaDottrina Sociale della Chiesa. So che quest’anno avete sceltocome tema “La sfida della realtà”, riferendovi a quanto hoscritto nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Esisteanche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà sem-plicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare undialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dallarealtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’im-magine, del sofisma» (n. 231). Per prevenire il pericolo di viverefuori dalla realtà è necessario  aprire gli occhi e il cuore.

La nostra vita è fatta di tante cose, di un fiume di notizie, ditanti problemi: tutto ciò ci spinge a non vedere, a non accor-gerci dei problemi delle persone che ci stanno accanto. L’indif-ferenza sembra essere una medicina che ci protegge dalcoinvolgimento, diventa un modo per stare più tranquilli. Que-sta è l’indifferenza. Ma questa estraneità è un modo che di-fende l’egoismo e ci rende tristi. Lo star vicino alle persone,versare l’olio della consolazione, toccare la carne dell’altro, farsi

Verona, 26-29 novembre 2015

Videomessaggio delSanto Padre Francescoper la V edizione del Festivaldella Dottrina Socialedella Chiesa

Speciale - Videomessaggio del Santo Padre Francesco

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carico dei suoi problemi allarga il cuore, rimette in circolazionel’amore e ci fa stare bene. E’ questa concretezza e questa pros-simità la strada indicata da Gesù quando dice: “Avevo fame emi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere…”(cfr Mt 25,31- 46). Chinarsi - questa è la parola: chinarsi - sul-l’altro è il modo più diretto per allargare il cuore, accenderel’amore, ispirare il pensiero, inventare risposte concrete e ine-dite ai problemi.

La sfida della realtà chiede anche la capacità di dialogare, di co-struire ponti al posto dei muri. Questo è il tempo del dialogo, nondella difesa di rigidità contrapposte. Vi invito ad affrontare «lasfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, dimescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci,di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsiin una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, inun santo pellegrinaggio» (Evangelii gaudium, 87). Il dialogo apreal diverso e ricompone in un quadro i tanti segmenti della nostrasocietà creando le condizioni per un disegno armonico.

La sfida della realtà chiede però un cambiamento. Da tutti èpercepito il bisogno di cambiamento perché si avverte che c’èqualcosa che non va.  Il consumismo, l’idolatria del denaro, letroppe diseguaglianze e ingiustizie, l’omologazione al pensierodominante sono un peso da cui ci vogliamo liberare con il re-cupero della nostra dignità e impegnandoci nella condivisione,sapendo che la soluzione ai problemi concreti non viene daisoldi ma dalla fraternità che si fa carico dell’altro.  Il cambia-mento vero parte innanzitutto da noi stessi ed è un frutto delloSpirito Santo. Persone interiormente cambiate dallo Spiritoconducono anche a un cambiamento sociale. Il cambiamentoè richiesto poi alle nostre strutture: è preferibile essere flessi-bili per rispondere meglio ai bisogni concreti, che difendere lestrutture e rimanere ingessati. Fare un po’ di pulizia, aumen-tare la trasparenza, recuperare freschezza, genuinità e agilitàfa bene alle strutture e alle persone: troveremo nuovamente loslancio e l’entusiasmo di fare qualcosa di bello a servizio deifratelli. Ai nuovi bisogni e alle nuove povertà occorrono rispo-

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ste nuove. Vivendo la prossimità troveremo anche l’ispirazionee la forza per dare una forma concreta al cambiamento da tuttidesiderato.

Un’ultima sottolineatura: la sfida ecologica. Essa chiede di ascol-tare il grido della madre terra: il rispetto delle creature e delcreato rappresenta una grande sfida per il futuro dell’uomo.L’uomo e il creato sono indissolubilmente legati: «Oggi non pos-siamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologicodiventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giu-stizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il gridodella terra quanto il grido dei poveri» (Enc. Laudato si’, 49).

Il tema della cura della terra, cioè della casa comune è moltoampio; qualcuno può pensare che quello che possiamo fare noinon ha effetti concreti, non è sufficiente a generare un cam-biamento. Il tema riguarda certamente la politica, l’economia,le scelte strategiche sullo sviluppo, ma niente può sostituire ilnostro impegno personale. La sobrietà, il consumo consape-vole, uno stile di vita che accoglie il creato come un dono edesclude forme predatorie e di possesso esclusivo, è il modo con-creto attraverso il quale si crea una nuova sensibilità. Se sa-remo in molti a vivere così, l’intera società ne risentiràpositivamente e diventerà udibile da tutti il grido della terra eil grido dei poveri.

Carissimi, guardiamo avanti con coraggio! Le sfide della realtàsono tante, a noi il compito e la gioia di trasformarle in oppor-tunità.

Rinnovo il mio saluto cordiale a tutti i partecipanti al V Festivaldella Dottrina Sociale della Chiesa e in particolare ai molti vo-lontari che offrono gratuitamente la loro disponibilità.  Un sa-luto al Vescovo di Verona che ospita questa manifestazione, eun grazie a don Vincenzi per il servizio svolto per la diffusione,la conoscenza, la sperimentazione della dottrina sociale dellaChiesa. Grazie!

Speciale - Videomessaggio del Santo Padre Francesco

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EditorialeLa realtà del V Festival DSC

nelle parole di Francesco

di Claudio Gentili

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Il V Festival DSC di Verona è stato un grande Festival, un Festi-val in cui si è fatto sintesi delle tante energie che muovono laChiesa italiana in tempi non certo facili. “Evitate di stare fuoridalla realtà” è stato quanto ha chiesto Papa Francesco nel suomessaggio ai partecipanti del Festival riuniti nell’Auditorium.Occhi e cuori aperti, in grado di fare discernimento. Il Papa èstato chiaro nel chiedere più attenzione, meno indifferenza.Ha messo in guardia in particolare dal flusso strabordante dinotizie che creano assuefazione, spaventano, distraggono.

Ha messo in guardia contro consumismo, idolatria del denaro,omologazione al pensiero dominante. Papa Francesco ci ha ri-cordato che il cambiamento vero parte da noi ed è frutto delloSpirito Santo. E a loro volta le persone cambiate dallo Spiritoconducono a un cambiamento sociale.

I tempi chiedono di dare nuove risposte alle nuove povertà. Enon è casuale l’ultima sottolineatura del suo discorso alla sfi-da ecologica. Al grido di madre terra. L’uomo e il Creato sonoindissolubilmente legati e integrati. Per salvaguardare il

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EditorialeClaudio Gentili - La realtà del V Festival DSC nelle parole di Francesco

La realtà del V Festival DSCnelle parole di Francescodi Claudio Gentili,Direttore de La Società

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Creato è necessario non solo un approccio ecologico ma unapproccio sociale.

Per il Papa ascoltare sia il grido della terra che il grido dei po-veri. Uno stile di vita che accoglie la creazione come dono eevita approcci predatori. 

Il messaggio del pontefice si può riassumere con un solo gran-de invito: guardiamo avanti con coraggio. Niente paraocchi ovolontà ingessate. I paraocchi sono quanto di peggio i cattolicipossono avere, l’indifferenza un modo per stare tranquilli sen-za essere persone, rinunciando alla relazione, rinunciandoall’altro.

Per il pontefice che rivela la fragilità ma anche la grande forzadella Chiesa inquieta, la tranquillità che allontana dagli altri,che accentua l’egoismo, non può essere un valore. “Mai senzal’altro”, la nota opera di Michel De Certeau, di cui il Papa è pro-fondo ammiratore, sembra aver riecheggiato nelle chiese, nel-le piazze, negli spazi fieristici in cui si è svolto il Festival DSC:esperienze di fede che diventano azione proprio perché sonocammino di comunità nell’impresa, nella scuola, nella banca,in parrocchia, associazione, movimento e in tutti i luoghi incui i cattolici sono chiamati a stare e incidere senza snaturarsi,senza perdere la propria identità, senza isolarsi in una sorta diriserva indiana di perseguitati o incompresi.

L’ultimo videomessaggio di Papa Francesco al Festival, ormaiil terzo, uno per ogni anno del suo pontificato, sembra collo-carsi nel solco dei precedenti e allargare ancora di più il raggiodi incidenza di un evento che mostra come è possibile essereChiesa nel segno della DSC.

Nel discorso del 2013, al III Festival DSC, Papa Francesco am-metteva che nella pratica sia difficile realizzare pienamente iprincipi della DSC, ma anche che con la collaborazione di tutti,e con il sostegno della fede, la dottrina sociale può rappresen-tare una vera speranza di rinnovamento della società. Perché,

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EditorialeClaudio Gentili - La realtà del V Festival DSC nelle parole di Francesco

e il Papa ci tiene a sottolinearlo con un esempio concreto, laDSC contiene in sé una mistica: “Sembra toglierti immediata-mente qualcosa, sembra che applicarla ti porti fuori dal mercato.Guardando i risultati complessivi però questa mistica porta inveceun grande guadagno, perché in grado di creare sviluppo proprio inquanto nella sua visione complessiva richiede di farsi carico dei di-soccupati, delle fragilità, delle ingiustizie sociali.”. Dunque no aduna visione della DSC di stampo economicistico. Sì ad unaDSC che parta dalla questione sociale e dagli ultimi.

Nel messaggio al IV Festival il Papa ha approfondito il temadel tempo, collegandolo a quanto detto l’anno prima. Ci hapermesso di chiedersi che tempo è, oggi, per la DSC. Una do-manda teologica e non solo, di quella teologia in ginocchio dicui parla il pontefice che è contrapposta ad una teologia chiu-sa in se stessa e orgogliosa nella riproposizione di antiche cer-tezze. Come la Dottrina Sociale della Chiesa può essere invera-ta in questo nuovo modello di “teologia in ginocchio” a partiredalle periferie esistenziali?

La risposta a questa domanda non è stata definitiva, ed è unbene, ma si è collocata in un percorso lungo e non facile cheperò si è sviluppato in un’atmosfera di discernimento civile edecclesiale. In un atmosfera di festa. Il tempo non è solo esten-sione dell’animo, ma è anche relazione. Nel mondo tecnologi-co e digitalizzato lo spazio si comprime e si inscatola moltopiù facilmente del tempo. Il tempo non può contenersi, comenon può contenersi l’eternità. Eppure abbiamo il dovere di vi-verlo, il dovere di spiegarlo, il dovere di passarlo, da passato afuturo, in un presente ricco delle opere della fede.

Dal III al V Festival DSC gli inviti e gli incoraggiamenti di PapaFrancesco si sono concretizzati nella straordinaria attenzioneper i temi chiave della nostra attualità: giovani e lavoro, l’acco-glienza degli immigrati, la lotta alla povertà, la finanza islami-ca e il suo ruolo in un Occidente così confuso. Il futuro dellebanche popolari e cooperative sotto attacco da norme nonsempre favorevoli, il valore della sussidiarietà nella politica e

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nell’economia della finanza cieca, l’economia sociale france-scana per rilanciare il principio di solidarietà e una vera mu-tualità, il Jobs Act e le sue future conseguenze, la sostenibilitàambientale e l’urbanistica.

Ma c’è stato un solo filo conduttore di un evento di 4 giorni, 26incontri, 100 relatori, 500 membri dei Gruppi DSC provenientida tutta Italia: l’esperienza di fede che si fa opera, il pensierosociale cristiano che legge la realtà e aiuta ad affrontarla. Unesempio su tutti: la presenza di imprese, profit e no profit, chehanno incontrato nei workshop più di 800 giovani. È stata unapresenza che ha fatto vedere il volto della Dsc alle nuove gene-razioni che, spesso, non ne conoscono la portata innovativa.

La sfida della realtà è stato l’orizzonte di senso proposto dalFestival per aiutare i cattolici, e le persone di buona volontà,a cogliere il loro ruolo del mondo. È stato un Festival di testi-moni di realtà: lontani anni luce dall’idealismo e dal morali-smo tanto amati dai media mainstream, i partecipanti del Fe-stival si sono raccontati in piazza non per occupare spazi, nonper fare proclami, ma per mostrare tutto il coraggio e la de-terminazione di una comunità ecclesiale pronta ad affrontarela sfida del tempo.

Il Festival è stato l’incontro di queste energie, sinergie, la reci-proca contaminazione di idee concrete, realizzate e realizzabi-li, che possono cambiare non solo la Chiesa, ma l’intera socie-tà italiana.

La Chiesa di oggi deve evitare l’esatto contrario di concretez-za che è l’astrattezza, la separazione che “scioglie” dalla real-tà. Progettare e realizzare è soprattutto relazione. Questo cidice il Papa. Relazione che è necessaria in un’economia dovela finanza spesso incontrollata prende il sopravvento sulla re-altà, in una politica dove l’idealismo e il moralismo stroncanosul nascere le possibili progettualità e riducono i cittadini ameri elettori (per chi ancora vota) e a passivi spettatori dellevicende pubbliche.

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La Società - n.5-6 / 2015

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Separato dalla realtà, fuori dalla relazione, è un lavoro che nonpermette alle donne di essere mamme, o a dei giovani di di-ventare adulti e guadagnarsi la loro “indipendenza”. Il FestivalDSC è proprio questo: relazione che si fa opera. Opere che in-sieme diventano relazione. È un umanesimo concreto chemette in dialogo e invita a rimboccarsi le maniche. Non pen-siero idealista che divide e crea barricate.  

Il Festival è stato, come di consueto, un articolato intreccio distorie, di presenze, di attività e di proposte che sono espres-sione della ricchezza plurale che caratterizza il nostro tessutosociale e che l’opinione pubblica spesso non conosce o disco-nosce. Una grande occasione per incontrarsi, fare festa, in sti-le popolare fare discernimento sociale e ascoltarsi. Ma soprat-tutto è stato un evento di persone che vogliono raccontareun’Italia e una Chiesa italiana diversa, aperta e ricca, inquietama non certo rassegnata.

I cattolici sono una grande risorsa, morale prima che materia-le, per l’Italia e anche per l’Europa. Ricostruire il Paese dopouna crisi economica ma soprattutto antropologica non è facile.

Ma la Dottrina Sociale della Chiesa offre riferimenti necessariper ripartire e testimoni in grado di raccontarli. Chi è venutoal Festival non ha spiegato perché si realizza il bene comunema per chi si realizza il bene comune. Non per fare semplice-mente una lezione sul come si fa ma per offrire un aiuto a chifa. Una sfida, quella della realtà, che comincerà a prendere for-ma quando si riuscirà a superare le barriere dell’io per realiz-zare i ponti del noi.

Questo è stata ed è la realtà del Festival DSC.

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EditorialeClaudio Gentili - La realtà del V Festival DSC nelle parole di Francesco

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L’Enciclica di Papa Francesco

sull’ambiente

di S. E. Mons. Mario Toso

La sfida della realtà: autorità come

principio unificatore trascendente

di Flavio Felice

Ricerche

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PremessaSono ormai passati alcuni mesi dalla promulgazione dell’enci-clica Laudato si’ (=LS) di papa Francesco sulla cura della casa co-mune,1 accolta con molti commenti positivi, pur dovendosi re-gistrare anche delle critiche. È così giunto il momento in cui,dopo averla scandagliata e approfondita con il concorso dimolteplici competenze scientifiche, occorre darle vita all’in-terno delle prassi costruttrici di un mondo più ospitale pertutti. Non può essere destinata a rimanere nelle biblioteche,ma va tradotta in progettualità, in un impegno di testimo-nianza che coinvolga tutti, singoli e comunità.

Per papa Francesco, la cura della casa comune non può essereconsiderata una moda «verde» passeggera, un impegno secon-dario nel nostro crescere in umanità come famiglia di popoli, ilcui destino è intimamente connesso con quello del pianeta. Sitratta di una questione epocale che vede annodati il destinodell’umanità a quello dell’ambiente. Il compimento delle persone in Dio implica un’ecologia integra-le, ossia la messa a tema del nostro essere e vivere, inseriti co-

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RicercheS. E. Mons. Mario Toso - L’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente

L’Enciclica di Papa Francescosull’ambientedi S. E. Mons. Mario Toso,Vescovo di Faenza-Modigliana

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me siamo in una fitta rete di relazioni e di interdipendenzecon il creato, con gli altri, con le generazioni future. Non sitratta di un plus di impegni etici, sociali, economici e culturaliestrinseci rispetto al nostro essere morale, alla pienezza uma-na in Cristo. Noi siamo segnati e intimamente strutturati dauna vocazione alla cura e alla custodia del creato. Siamo statipensati da Dio, ma anche redenti da Cristo e chiamati in Lui apartecipare alla generazione di «cieli e terra nuovi», superandogli attacchi distruttivi in atto, gestendo il creato non da padro-ni assoluti, bensì da saggi amministratori. Persone e popoliconseguono il proprio compimento umano anche mediante lacura della casa comune, collaborando a che il creato raggiungail fine per cui è stato posto in essere: essere, certamente, perl’umanità, ma soprattutto per la gloria di Dio.

Mediante la LS, papa Francesco intende offrire un metodo didiscernimento indispensabile, qualora si intenda veramenterisolvere la crisi ecologica, divenendo protagonisti di unanuova evangelizzazione dell’ecologia e di un nuovo umanesimointegrale, sociale, anch’esso ecologico, capace di integrarestoria, cultura, economia, architettura, vita quotidiana nellacittà e nelle aree rurali.

Dopo la promulgazione della LS i credenti non possono piùparlare di ritardo della Chiesa nei riguardi delle questioni am-bientali. Difficilmente si potranno trovare scuse per giustifi-care l’indifferenza e non mobilitarsi sia sul piano ecclesiale siasu quello sociale e politico secondo un’ispirazione propria. Al fi-ne di prendersi cura della casa comune i credenti posseggonomotivazioni più che umane, perché scaturiscono dalla loro fe-de. Sono chiarissime le parole di papa Francesco: «D’altra par-te, anche se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti percercare insieme cammini di liberazione, voglio mostrare findall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e inparte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersicura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fat-to di essere umani muove le persone a prendersi cura dell’am-biente del quale sono parte, “i cristiani, in particolare, avver-

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tono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri neiconfronti della natura e del Creatore sono parte della loro fe-de”. Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noicredenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scatu-riscono dalle nostre convinzioni».2

Le ragioni cristiane dell’impegno di cura della casa comuneemergono dall’esperienza di una fede che consente di costrui-re la storia con una coscienza critica, capace di individuarenuove categorie per leggere ed interpretare la crisi ecologica edi proporre soluzioni.

1. Un dialogo universale per un movimento ecologico glo-bale sulla base di un fondamentale ottimismo

La nuova enciclica concerne la questione ecologica e si inseri-sce nel magistero sociale della Chiesa. Essa, infatti, si annodaalle dichiarazioni dei precedenti pontefici, citando in partico-lare san Giovanni XIII, il beato Paolo VI, san Giovanni Paolo IIe Benedetto XVI. Si può dire che il midollo antropologico e teo-logico della LS dipenda, in gran parte, da quanto papa Bene-detto aveva già tratteggiato nella Caritas in veritate e nel Mes-saggio per la Giornata mondiale della pace del 2010. Dobbiamo,tuttavia, osservare che è la prima volta che il tema dell’ecolo-gia, nel senso di ecologia integrale, viene affrontato da un papain maniera così completa e sistematica, con un uso minimo dilinguaggio specialistico, che non deve far pensare che l’inse -gnamento sociale della Chiesa travalichi dai suoi limiti.3 No-tiamo, peraltro, che un simile approccio non è mai stato adot-tato da nessun documento ufficiale delle Nazioni Unite o di al-tre Istituzioni internazionali.

Rispetto al tema, è riconosciuto il grande insegnamento di sanFrancesco di Assisi, dal cui famosissimo Cantico delle creaturel’enciclica trae il suo incipit. La testimonianza del Poverello as-sume un particolare valore, perché ci trasmette la gioia e l’au-tenticità con cui il Santo viveva in piena armonia con Dio, congli altri, con la natura e con se stesso.

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Con Leone XIII, la questione sociale riguardava innanzituttola situazione operaia. All’epoca dei pontefici successivi, era di-venuta questione di sviluppo economico e globale dell’umanità.Oggi, si presenta come questione ecologica, a causa dei nuovieventi, un tempo impensabili, che pongono a repentaglio ildestino della terra e, con esso, quello del genere umano, a co-minciare dalla sua componente più povera. Questo implica unproblema di giustizia ecologica (degrado degli ecosistemi) e digiustizia sociale (debito ecologico tra Paesi; carenza di solida-rietà intergenerazionale; crescente dell’impoverimento dellepopolazioni più deboli).

I destinatari della lettera papale sono tutti gli uomini, credentie non credenti, perché tutti abitanti la stessa casa comune.

L’obiettivo di papa Francesco è quello di unire la famiglia uma-na nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, sullabase di un fondamentale ottimismo: «L’umanità ha ancora lacapacità di collaborare per costruire la nostra casa comune».4

Al centro dell’enciclica sta la questione sociale, che, come ac-cennato, coinvolge tanto l’ambiente quanto l’essere umano,concepiti nel cuore di Dio come interrelati, interdipendenti,uniti in un destino comune. E l’ecologia appare come questioneintegrale, anzitutto se considerata da uno sguardo religioso, chepenetra in profondità e trascende le visioni meramente econo-miche o tecniche oggi prevalenti. Come pensava san France-sco, e come ha ribadito il Patriarca Bartolomeo, tutte le crea-ture sono sorelle, data la loro comune origine. Ciò che ne dan-neggia una, nuoce contemporaneamente a tutte le altre. Ciòche le distrugge, offende Chi le ha poste in essere. Non ci sia-mo ancora resi conto che un crimine contro la natura è un cri-mine contro la nostra stessa persona, oltre ad essere un pecca-to contro Dio.5 Anche per papa Francesco, come si vedrà me-glio più avanti, la crisi ambientale ha radici etiche e spirituali,per cui egli invita a cercare soluzioni non solo nella tecnica,ma anche nell’indispensabile cambiamento del cuore dell’uo-mo, ossia sul versante dell’ecologia umana. Poiché il libro della

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natura è uno e indivisibile, la salvaguardia dell’ambiente di-penderà principalmente dalla cura della vita umana, dall’edu-cazione, dalla qualità dell’ambiente sociale.

2. Il metodo del discernimento: vedere, giudicare, agire,celebrare

Come dichiara al paragrafo 15 dell’enciclica, nell’affrontare laquestione ecologica contemporanea papa Francesco segue ilmetodo proprio della Dottrina sociale della Chiesa (=DSC). È ilmetodo del vedere, giudicare, agire, a cui egli aggiunge il momen-to del celebrare, frequentemente evidenziato nella chiesa lati-noamericana. Non si tratta di un metodo di analisi, di giudizio edi trasformazione della realtà di tipo meramente fenomenolo-gico e sociologico.6 Include una dimensione antropologica e teo-logica, che tutto l’attraversa e lo risignifica. I quattro momentivengono ulteriormente articolati, ad esempio, nell’approfondi-mento della dimensione del giudicare, mettendo in evidenza il«Vangelo della creazione» (Capitolo II), la radice della crisi eco-logica (Capitolo III), e i diversi elementi di un’ecologia integrale(Capitolo IV). E, così, nei capitoli intermedi dell’enciclica, sonoenucleati i principi di riflessione e i criteri di giudizio indispensa-bili ad ogni discernimento e applicabili alla questione ecologica.

In particolare, è ritenuto indispensabile un attento discernimen-to sui modelli di crescita che oggi guidano lo sviluppo economico,ma che si rivelano incapaci di garantire il rispetto per l’ambien-te. Alla loro base spesso si nasconde un’errata concezione dellalibertà umana, che disconosce i propri limiti e dissocia, insensa-tamente, l’etica sociale ed ambientale dall’etica della vita.

Ecco lo schema, tratto dall’Indice, che nella Laudato si’ papaFrancesco segue per le sue riflessioni:

a) presentazione di vari aspetti dell’attuale crisi ecologicaalla luce dei migliori risultati dell’odierna ricerca scienti-fica, al fine di offrire una base concreta per un percorsoetico e spirituale (Capitolo primo);

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b) elenco di alcune argomentazioni di origine giudaico-cri-stiana, che danno maggior coerenza all’impegno perl’ambiente (Capitolo secondo);

c) individuazione delle cause profonde della crisi ecologica(Capitolo terzo);

d) proposta di un’ecologia integrale, considerata nelle suediverse dimensioni a partire da un nuovo umanesimo e,quindi, da un’antropologia globale, sociale, relazionale,aperta alla Trascendenza (Capitolo quarto);

e) conseguente enucleazione di alcune linee di orientamentoe di azione (Capitolo quinto);

f) prospettazione di un’opportuna opera educativa e di unaspiritualità ecologica (Capitolo sesto).

Merita particolare attenzione il quarto momento del celebrare,solitamente poco valorizzato nel vivere l’annuncio e la testi-monianza della Dottrina sociale della Chiesa. Soprattutto ilCapitolo sesto, dedicato all’educazione e alla spiritualità ecolo-gica, potrà aiutare la pastorale sociale ad articolarsi efficace-mente nelle sue dimensioni liturgico-sacramentali, teologico-trinitarie ed escatologiche.

3. Continuità e discontinuità con il precedente magisterosociale

La Laudato si’ presenta aspetti, a un tempo, di continuità e didiscontinuità rispetto al precedente magistero. Essa aggiornal’insegnamento dei pontefici, senza creare delle cesure. Ciòappare più evidente se la si confronta con la Caritas in veritate,la grande enciclica sociale di Benedetto XVI. Il pontefice tede-sco inseriva la questione ecologica entro il contesto di un am-pio e articolato discorso sullo sviluppo, non escluso quello agri-colo, in connessione con il tema del rispetto per la vita. Il suoapproccio era prettamente teologico e, per conseguenza, sug-geriva un’ermeneutica ad impronta realista del rapporto trapersona, famiglia umana ed ambiente, dato che la natura nonè affatto una realtà creata o inventata dalla mente umana. Lanatura è un dato trovato, è un pre-dato: «Essa ci precede e ci è

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donata da Dio come ambiente di vita. Ci parla del Creatore (cfRm 1, 20) e del suo amore per l’umanità. È destinata ad essere“ricapitolata” in Cristo alla fine dei tempi (cf Ef 1, 9-10; Col 1,19-20). Anch’essa, quindi, è una “vocazione”, appella alla suacoltivazione e al suo rispetto. La natura è a nostra disposizio-ne non come “un mucchio di rifiuti sparsi a caso”, bensì comeun dono del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti in-trinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosiper “custodirla e coltivarla” (Gn 2,15). Ma bisogna anche sot-tolineare che è contrario al vero sviluppo considerare la naturapiù importante della stessa persona umana. Questa posizioneinduce ad atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo:dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico,non può derivare la salvezza per l’uomo. Peraltro, bisogna an-che rifiutare la posizione contraria, che mira alla sua completatecnicizzazione, perché l’ambiente naturale non è solo mate-ria di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile delCreatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità ecriteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario.Oggi, molti danni allo sviluppo provengono proprio da questeconcezioni distorte. Ridurre completamente la natura ad uninsieme di semplici dati di fatto finisce per essere fonte di vio-lenza nei confronti dell’ambiente e addirittura per motivareazioni irrispettose verso la stessa natura dell’uomo».7

Papa Francesco riprende e sviluppa il nucleo delle riflessioniteologiche ed antropologiche di Benedetto XVI. Le integra, inparticolare, con un’ampia analisi dei cambiamenti dell’umanitàe del pianeta, mettendo in evidenza come, alla velocità impostadalle azioni umane, si contrapponga la naturale lentezza del-l’evoluzione biologica. Per poter rimediare alle patologie dellanostra casa comune, occorre innanzitutto disporre di un qua-dro completo e realistico dei mutamenti in atto. La Caritas in ve-ritate, che pure aveva offerto preziose coordinate teologiche edantropologiche per affrontare problemi concreti, come quellidella gestione delle risorse energetiche,8 della protezione del cli-ma, della terra e dell’aria, ed anche dell’applicazione della tecno-scienza allo sviluppo agricolo,9 in vista della soluzione della pia-

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ga della fame, non si era fermata ad evidenziare i mutamenti cli-matici, che danno origine a migrazioni di animali, vegetali e per-sone,10 o la questione della disponibilità di acqua potabile e pu-lita, la cui domanda supera l’offerta sostenibile, e che apparesempre più esposta ai rischi della privatizzazione.11 A tutto que-sto, papa Francesco aggiunge considerazioni sulla perdita di bio-diversità, che mette a repentaglio la tenuta degli ecosistemi; suldegrado umano e sociale delle città e delle zone rurali; sull’ine-quità planetaria. Il deterioramento dell’ambiente e quello dellasocietà vanno di pari passo e colpiscono in modo speciale i piùdeboli. Basti pensare all’esaurimento delle riserve ittiche, chepenalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigiana-le e non dispongono di altre fonti alimentari.12 Così, l’inquina-mento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri, che nonhanno la possibilità di rifornirsi di acqua imbottigliata.

L’inequità, precisa il pontefice argentino, colpisce non solo gliindividui, ma interi Paesi. Vi è un «debito ecologico» soprat-tutto del Nord nei confronti del Sud del pianeta, connesso siaagli squilibri commerciali, che comportano conseguenze inambito ecologico, sia anche alla depredazione sconsideratadelle risorse naturali, compiuta storicamente da non pochiPaesi. Le esportazioni di alcune materie prime, per soddisfarei mercati del Nord industrializzato, hanno causato e continua-no a causare danni locali. Tra gli altri, possiamo citare, comeesempio, l’inquinamento da mercurio dovuto alle miniered’oro, o da diossido di zolfo per quelle di rame.13

Data l’incontestabile interdipendenza tra ecologia ambientaleed ecologia umana, non si può fare a meno di riconoscere cheun approccio ecologico realistico sarà sempre anche un ap-proccio sociale, chiamato ad integrare la giustizia ad ogni livel-lo, affinché, nei dibattiti sull’ambiente, venga ascoltato tantoil grido della terra quanto il grido dei poveri.14

Papa Francesco dedica, dunque, un capitolo ben articolato suitemi elencati, rendendo la sua riflessione teologica e filosoficapiù aderente agli aspetti inediti della questione sociale con-

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temporanea, venutasi a caratterizzare per la centralità dellacrisi ecologica. All’origine delle molteplici forme di inquina-mento; del surriscaldamento del clima, che il pontefice defini-sce «bene comune»;15 dell’esaurimento delle risorse naturali,tra le quali quella preziosissima dell’acqua; della perdita dellabiodiversità sulla terraferma e negli oceani, con gravi conse-guenze per l’equilibrio degli ecosistemi; dell’invivibilità dimolti complessi urbani, ossia del degrado dell’ambiente uma-no e dell’ingiustizia sociale, egli ravvisa l’attuale modello disviluppo materialistico e consumistico e la cultura dello scarto.16

A fronte della grave crisi ecologica e globale, che pregiudicanon solo il futuro delle specie animali e vegetali ma della stes-sa umanità, occorre reagire con decisione. Mai abbiamo mal-trattato e offeso la nostra casa comune come in questi ultimidue secoli. Il problema sorge soprattutto dal fatto che non di-sponiamo di categorie adeguate per leggere ed interpretareuna questione così complessa. Siamo, inoltre, carenti di lea-dership, che indichino strade, cercando di rispondere alle ne-cessità delle generazioni attuali includendo tutti ‒ uomini epopoli ‒, senza compromettere le generazioni a venire. Occor-re reagire, anzitutto, sul piano antropologico e culturale, su-perando l’attuale deficit religioso, politico e pedagogico. E, se-condo papa Francesco, è inoltre urgente:

a) creare un sistema normativo, che stabilisca limiti inviola-bili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che lenuove forme di potere che scaturiscono dal paradigmatecno-economico, oggi imperante, finiscano per distrug-gere non solo la politica, ma anche la libertà e la giustizia;

b) unirsi in un’azione politica internazionale più decisa, ca-pace di emanciparsi dalla sottomissione alla tecnologia ealla finanza, ai poteri economici infeudati al capitalismofinanziario, per aprire spazi ad un’economia di mercatoorientata al bene comune;

c) coltivare la speranza di poter migliorare l’ambiente; d) decidere di lasciarsi illuminare dal «Vangelo della crea-

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4. Il «Vangelo della creazione», ovvero la genesi e la crite-riologia del discernimento

Come detto poc’anzi, nei capitoli centrali papa Francesco enu-clea principi di riflessione e criteri di giudizio, in vista del neces-sario discernimento. Ai fini della costruzione di un’ecologiaintegrale, in grado di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto,è fondamentale anche l’apporto delle convinzioni di fede. Con laloro ampia prospettiva, esse integrano quelle offerte da altrisaperi, non esclusa la tecnoscienza, prodotto pur meravigliosodella creatività umana, ma da ridimensionare e ricondurre allasua giusta valenza rispetto all’attuale assolutizzazione. Losguardo della fede consente un approccio più completo allacomplessità della crisi ecologica. Ne consegue una conoscenzapiù esaustiva delle sue cause e delle terapie necessarie. Le solu-zioni non possono derivare da un unico modello interpretati-vo e trasformativo della realtà. Nessuna forma di saggezzapuò essere trascurata. Proprio per questo, papa Francesco, nelCapitolo secondo, raccoglie alcuni nuclei essenziali della sa-pienza biblica, tratti dai racconti della creazione e dalla tradi-zione giudeo-cristiana. Tali nuclei costituiscono punti impre-scindibili di riferimento per il discernimento:

a) la natura è un pre-dato: ci precede e ci è donata da Diocome ambiente di vita. Essa porta inscritta in sé una«grammatica», che l’uomo deve saper leggere senza stra-volgerla, per apprendere l’uso corretto delle risorse nelsuo compito di sviluppo della creazione;

b) tutto il creato, e così la terra, appartiene a Dio (Dt 10,14). Èstato affidato all’umanità, non in proprietà esclusiva, bensìcome realtà destinata alle generazioni di ogni tempo. Ilcreato e l’ambiente sono un prestito che ognuno di noi rice-ve e deve conservare al meglio, per poi consegnarlo agli uo-mini a venire. Infatti, nella creazione e nella terra è inscrit-ta una destinazione universale, che costituisce la «regolad’oro» da rispettare nell’uso dei beni;17 dal fatto di esserecreati ad immagine di Dio e dal mandato di dominare laTerra non si può dedurre la facoltà di asservire le creature;18

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c) ogni comunità può prendere dalla bontà della Terra ciòdi cui ha bisogno, ma ha anche il dovere di tutelarla e digarantire la continuità della sua fertilità per le genera-zioni future;

d) la libertà dell’essere umano non è senza limiti o indiffe-rente nei confronti del bene, del vero e di Dio: essa è perla verità, per il dono e per Dio;

e) essendo stati creati dallo stesso Padre, noi, esseri del-l’universo, siamo uniti da legami invisibili e formiamouna sorta di famiglia universale, una comune-unione. Èper questo che la desertificazione del suolo, ad esempio,colpisce come una malattia ciascun uomo;

f) il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezzadi Dio, già raggiunta da Cristo risorto, fulcro del compi-mento universale. Noi non costituiamo lo scopo finaledelle altre creature. Ognuna di esse ha un valore proprionel loro esodo verso Dio;

g) all’interno dell’universo materiale, la persona rappresen-ta una novità qualitativa, un soggetto che non può maiessere ridotto ad «oggetto», perché titolare di una dignitàsuperiore rispetto a tutte le altre creature terrene;

h) non può essere autentico un sentimento di intima unio-ne, di fraternità con gli altri esseri della natura, se nellostesso tempo non c’è tenerezza e preoccupazione per gliesseri umani. È evidente l’incoerenza di chi lotta controil traffico degli animali a rischio di estinzione, ma rima-ne del tutto indifferente davanti alle migrazioni, allatratta delle persone, alla vita dei più deboli ed indifesi.Ciò mette a rischio il senso della lotta per la conserva-zione dell’ambiente.19

Merita che ci si fermi qui per alcune considerazioni. La prima:i contenuti di fede, così come li espone il pontefice, oltre adaiutare a leggere in maniera corretta i testi biblici,20 e ad offri-re uno sguardo più ampio sulla realtà, rispetto a quello dellatecnoscienza, propongono una precisa ermeneutica del rap-porto tra Dio, il creato e la persona. Aiutano a leggerlo e ad in-terpretarlo, movendo dall’esperienza del «ricevere», dell’acco-

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gliere, del condividere, in un approccio non aprioristico oidealista. Indicano come fondamentale ciò che papa France-sco, nella Evangelii Gaudium (=EG), chiama criterio di realtà.21

La realtà è sempre superiore alle idee, ai concetti, alle costru-zioni teoriche, ai nominalismi. La prospettiva teologica delleconvinzioni di fede, in concreto, aiuta a risvegliare una cono-scenza di tipo «realista», che non dà adito a divagazioni astrat-te, bensì immette in un’esperienza gnoseologica aperta al fon-damento, la quale va oltre la semplice fenomenologia e si apreal metafisico e all’etico. Senza un’ermeneutica che consente diaccedere alla dimensione metafisica della realtà non si dispo-ne di quella sintesi culturale che è imprescindibile per forgiareil concetto di un’ecologia integrale di cui si parlerà più avanti.

La seconda considerazione si collega alla prima. L’approccio alcreato, con un metodo conoscitivo di tipo realista, consente dicogliere l’emergenza dell’originalità dell’uomo sulla natura. Èsu questa trascendenza che si costruisce l’etica ecologica. Ilmancato riconoscimento dell’eccedenza dell’uomo – come av-viene, ad esempio, nelle teorie che lo disperdono nella comu-nità biotica – inficia ogni discorso morale. Se si perdessero iparametri antropologici del rapporto con l’ambiente, assor-bendo l’uomo in un tutto vitalistico, sarebbe impossibile par-lare di etica ecologica e, per conseguenza, di etica ambientale.D’altra parte, la preminenza dell’uomo sulla natura non impli-ca assolutamente il misconoscimento della dimensione crea-turale di questa, e quindi non può giustificare atteggiamentipredatori di dominio dispotico. La natura è espressione di undisegno d’amore e di verità. Reca in sé ordinamenti che nonsono invenzioni dell’uomo, ma costituiscono un ordine mora-le già abbozzato dall’azione creatrice di Dio e che, proprio perquesto, non possono essere arbitrariamente scavalcati. Eccoperché si è sollecitati a superate un’etica utilitaristica, cheignora i legittimi bisogni dell’umanità, gli equilibri intrinsecial creato stesso, nonché i limiti delle risorse disponibili.

Quanto sin qui detto, inoltre, mette in risalto il fatto che, conla Laudato si’, viene messo a punto un tipo di discernimento,

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che i credenti devono valorizzare in modo particolare. Essivengono di fatto sollecitati ad accettare prospettive omogeneecon l’esperienza della loro fede. Papa Francesco evidenzia i ca-pisaldi di una cultura ambientale loro specifica, con la quale icredenti entrano nel dialogo universale, apportando un con-tributo originale. La fede non li rende meno idonei al confron-to ‒ come alcuni sembrano ritenere ‒, ma li costituisce porta-tori di visioni e di motivazioni, che supportano ed integranoquelle addotte da una ragione retta. In tal modo, papa France-sco, che non colloca in apertura dell’enciclica, come era previ-sto in una prima bozza, un forte nucleo teologico e spiritualedal quale far discendere, quasi deduttivamente, le diverse ar-gomentazioni, rilancia vigorosamente l’impegno dei cristiani,ricordando loro che possiedono motivazioni importanti percontrastare la crisi ecologica. Essi hanno tutto ciò che serveper elaborare quella cultura e quella progettualità, indispensa-bili al mondo intellettuale e alla politica per individuare nuo-ve strade.

5. La radice umana della crisi: un’antropologia deviata eun uso indiscriminato della tecnoscienza

In vista di una conoscenza esaustiva delle cause della crisi eco-logica e, quindi, dei possibili rimedi, nel terzo Capitolo dellasua enciclica, intitolato La radice umana della crisi,22 papa Fran-cesco segnala come fattore determinante non tanto la crescitademografica – così come sottolineano i neomalthusiani, chevorrebbero risolvere il problema ecologico riducendo drastica-mente la popolazione, mantenendo inalterato un sistema tec-no-economico al servizio di uno sviluppo materialistico e con-sumistico ‒ bensì l’antropocentrismo moderno e il connesso pa-radigma tecnocratico.23 All’origine della crisi ecologica, si avreb-be dunque un causa umana, in particolare, un antropocentrismodeviato, che assolutizza la ragione tecnica e il vantaggio deisingoli, al punto da far ritenere l’uomo, e la tecnica che neesprime il genio, creatori dell’essere e del senso delle cose. Daqui, l’ideologia tecnocratica che esalta l’autosufficienza dellatecnica.

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La tecnoscienza, che è il complesso delle conoscenze scientifi-che applicate alla tecnologia, è un prodotto meraviglioso dellacreatività umana, che può rimediare ad innumerevoli mali, ed èun elemento importante del progresso, in quanto consente didominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, diaumentare il numero di coloro che hanno accesso ad un’alimen-tazione sufficiente, di tutelare l’ambiente, di curare le malattie,di migliorare la qualità dei prodotti, dei servizi, cioè delle condi-zioni di vita. E tuttavia, quando sia utilizzata male, può dar luogoa tragedie immani. Non possiamo ignorare che l’energia nuclea-re, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostrostesso DNA e altre potenzialità che abbiamo acquisito mettononelle nostre mani un tremendo potere. Basti pensare alle bom-be atomiche del XX secolo.24 Occorre prendere coscienza dellapositività della tecnica in sé, ma anche della sua possibile ambi-guità. Nata dal genio umano quale strumento a servizio dellapersona, essa può essere fraintesa come espressione di una li-bertà assoluta, quella libertà che prescinde dai limiti e dagli or-dinamenti che le cose portano in sé.25 Dà origine, così, a quel pa-radigma tecnocratico che è oramai globalizzato, dietro al qualesi cela un’ideologia di dominio e di potenza illimitati. Parimenti,presuppone una disponibilità infinita dei beni del pianeta, non-ché l’idea della possibilità di una crescita senza limiti.26

Il paradigma tecnocratico tende per natura ad esercitare lapropria egemonia sull’economia e sulla politica. In tal manie-ra, l’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzionedel profitto, senza curarsi delle ricadute negative sulle perso-ne e sull’ambiente. La finanza, sempre più schiava della logicatecnocratica, soffoca l’economia reale e asservisce i Parlamen-ti, dettando gli Ordini del giorno. Nel frattempo, si assiste aduna sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico, senzache ci si preoccupi di mettere a punto istituzioni economichee programmi sociali, che consentano ai più poveri di accederea beni sufficienti per una vita dignitosa.

La tecnica e i mercati, da soli, non sono in grado di garantiresviluppo integrale e inclusione sociale di tutti e, quindi, di ri-

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solvere i problemi della fame e della miseria. Per rallentarel’avanzata del paradigma tecnocratico con le sue devastazionie le sue ingiustizie, occorre far leva su una cultura e un’eticaecologiche, commisurate al senso delle cose, ai loro fini. Oc-corre prestare attenzione alla realtà, “auscultarla”, e conside-rare l’essere umano non tanto come signore dell’universo, to-talmente autonomo rispetto ad esso, bensì come un ammini-stratore che sa riconoscerne e rispettarne gli ordinamenti in-trinseci.

In altri termini, non si raggiungerà mai una nuova relazione conil creato, un’autentica ecologia, se non ci sarà un uomo nuovo,una nuova antropologia.27 Ciò non significa abbracciare unbiocentrismo, che annienta la preminenza dell’essere umano,e neppure un antropocentrismo individualistico e asociale,che enfatizza l’arbitrio utilitaristico. Si sarebbe vittime di unrelativismo pratico, la cui logica spinge ad ignorare l’altro, asfruttarlo, a trattarlo come un oggetto. Per il relativismo pra-tico, non esisterebbero né verità oggettive né principi stabili,al di fuori di quelli che portano alla soddisfazione delle aspira-zioni personali e delle necessità immediate. E, allora, perchéporre limiti al ricorso all’aborto, alla tratta degli esseri umani,alla criminalità organizzata, al narcotraffico, al commercio didiamanti insanguinati?28

Occorre reagire decisamente alla logica utilitarististica, insitasia nel paradigma tecnocratico che nel relativismo pratico. Ènecessario cambiare le relazioni con l’ambiente, con le perso-ne e con Dio. In ultima analisi, urge ripristinare un umanesimotrascendente, pregiudiziale per le applicazioni del progressotecnologico sia nel mondo del lavoro che in quello vegetale edanimale.

Solo sulla base di un tale umanesimo sarà possibile riabilitareil lavoro che, nell’odierno contesto socio-culturale dominatodal capitalismo finanziario speculativo, è spesso consideratoattività funzionale soltanto al profitto o anche una variabiledipendente dai mercati monetari e finanziari.

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In vista di un’ecologia integrale, che non escluda l’essere uma-no, va recuperato un nuovo umanesimo del lavoro, concependo-lo come attività di custodia e di coltivazione del creato nonchéstrumento indispensabile per farne emergere tutte le poten-zialità positive. Non si tratta solo del lavoro manuale o dellaterra, bensì di qualsiasi attività che implichi qualche trasfor-mazione dell’esistente, dall’elaborazione di uno studio socialefino al progetto di uno sviluppo tecnologico. Nell’attuale climacapitalistico-finanziario, che tende a sottovalutare il lavoromanuale ed artigianale, considerandolo sempre più funziona-le ai mercati finanziari e monetari, occorre recuperare la visio-ne del lavoro come bene e, quindi, come diritto fondamentaledell’uomo. E questo esige che si continui a perseguire, qualepriorità, l’obiettivo dell’accesso al lavoro per tutti.29

«Non si deve cercare – ecco un’affermazione di papa Francescocarica di conseguenze per l’organizzazione odierna del mondodel lavoro – di sostituire sempre più il lavoro con il progressotecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sestessa».30 Se il lavoro ha il primato sul capitale, se è antidotoalla povertà e titolo di partecipazione alla gestione di una so-cietà democratica, non si può accordare preminenza al para-digma tecnocratico. E neppure pensare che il progresso tecno-logico sia soltanto in funzione della riduzione dei costi e deiposti di lavoro. Questo comporterebbe un impatto fortementenegativo sulla stessa economia, sul cosiddetto «capitale socia-le», per non parlare della vita delle famiglie. Privilegiare il pa-radigma tecnocratico significherebbe giustificare quanto staavvenendo anche nel nostro Paese, ove multinazionali e cor-date finanziarie straniere si impossessano delle miglioriaziende, per poi ristrutturarle, cambiandone le tecnologie,procedendo senza la necessaria gradualità a licenziamenti col-lettivi o alla messa in cassa integrazione, trascurando nellamaggior parte dei casi la prospettiva di riqualificazione o direinserimento dei lavoratori. Il ridimensionamento dell’occu-pazione va realizzato per gradi, non bruscamente. Va control-lato socialmente, ed integrato dalla creazione di altre oppor-tunità di lavoro. La sollecitudine per il bene comune impone il

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compito di ripensare le modalità di esercizio delle varie pro-fessioni, come anche di considerare i nuovi settori che si pos-sono dischiudere. Se, da una parte, il progresso tecnologicopuò condurre al ridimensionamento dei posti di lavoro, dal-l’altra, l’esigenza non solo di un’economia ecologica, ma anchedi un’ecologia culturale della vita quotidiana nei vari ambien-ti, conduce a nuovi sbocchi lavorativi e professionali.

Ma che fare, più concretamente, per aumentare l’occupazio-ne? Secondo papa Francesco, si tratta di realizzare o conserva-re un’economia «che favorisca la diversificazione produttiva ela creatività imprenditoriale».31 In vista di ciò, in primo luogo,bisognerebbe evitare di privilegiare le economie di scala. Que-ste, specie nel settore agricolo, finiscono per costringere i pic-coli coltivatori a vendere le loro terre o ad abbandonare le col-ture tradizionali ricche di biodiversità. «I tentativi di alcuni diessi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate,risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercatiregionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di tra-sporto è al servizio delle grandi imprese».32 In secondo luogo,le autorità dovrebbero fornire il loro appoggio ai piccoli pro-duttori, considerando che nel mondo sussiste ancora oggi unagrande varietà di sistemi alimentari agricoli di modeste pro-porzioni. Sono loro che provvedono a nutrire la maggior partedella popolazione mondiale, lavorando piccoli appezzamentiagricoli e orti, che richiedono poca acqua e producono menorifiuti, ed anche con la caccia, con la raccolta di prodotti bo-schivi, e con la nella pesca artigianale. In terzo luogo, potrà es-sere necessario porre dei limiti ai detentori di grandi risorse epotere finanziario. «La semplice proclamazione della libertàeconomica, quando però le condizioni reali impediscono chemolti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’acces-so al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonorala politica».33

Papa Francesco prende in considerazione anche un secondocampo di applicazione della tecnoscienza, quello del mondo ve-getale ed animale per fini medici o in agricoltura. La posizione

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del pontefice in questo ambito così delicato non è certamentequella di un «sì» incondizionato, come avrebbero desideratoalcuni, ma nemmeno quella di un «no» categorico, che preclu-da qualsiasi mutazione genetica. Il pontefice dichiara di volerrecepire la posizione equilibrata di san Giovanni Paolo II, ilquale, da una parte, metteva in risalto i benefici dei progressiscientifici e tecnologici e, dall’altra, ricordava che è necessarioconsiderare le conseguenze, che ogni intervento in un’areadell’ecosistema può comportare anche in altre aree. La sua po-sizione potrebbe essere così riassunta: no ad una manipolazio-ne genetica indiscriminata, sì ad una manipolazione control-lata, sperimentata e verificata, non strumentale al profitto. Aproposito degli organismi geneticamente modificati (OGM), aconferma della sua prudenza, asseriva che, se da un lato va ri-conosciuto che i cereali transgenici hanno prodotto una cre-scita economica ed hanno contribuito a risolvere alcuni pro-blemi, dall’altro va detto che non si dispone ancora di provedefinitive circa il danno che potrebbero causare.34 Non si devegeneralizzare: gli OGM possono e devono essere impiegati inmodo diverso in ambiti diversi. Ricorrere alla modificazione ge-netica in agricoltura non è lo stesso che servirsene per scopiterapeutici, e viceversa.

Proprio per questo, sia pure indirettamente, papa Francescointende offrire una criteriologia – peraltro già adombrata nellaCaritas in veritate di Benedetto XVI35 – relativamente all’im-piego della tecnologia in agricoltura. Essa ha, infatti, alcuniimportanti limiti di applicazione: a) diminuzione della biodi-versità; b) ulteriore impoverimento e scomparsa dei piccoliproduttori; c) formazione di oligopoli nella produzione di se-menti sterili e di altri prodotti necessari per la coltivazione,con la conseguente dipendenza dei contadini dalle grandi im-prese produttrici.36

Data la complessità della materia, papa Francesco sollecitaquanto segue:

a) valutazione di tutti gli aspetti etici implicati;

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b) promozione di dibattiti scientifici e sociali, responsabilied ampi, in grado di considerare tutta l’informazione di-sponibile;

c) rispetto del principio che non tutto ciò che è tecnica-mente fattibile è eticamente lecito. È preoccupante il fat-to, annota papa Francesco, che molti di coloro, che vedo-no i limiti della ricerca scientifica con riferimento all’in-tegrità dell’ambiente, non li riconoscano nei confrontidella vita umana.37

6. L’ecologia integrale: un nuovo principio morale?

Nel quarto Capitolo, in vista del discernimento, il ponteficeelabora ciò che si può definire il primo principio etico in campoecologico, ossia il principio di un’ecologia integrale. Un taleprincipio non è astratto, dedotto da un a priori. È ricavato dal-la realtà esistente, ove tutto è interconnesso: minerali, vegeta-li, animali. Come i diversi componenti del pianeta sono rela-zionati tra loro, così anche le specie viventi formano una reteche non riusciremo mai a comprendere appieno. La naturanon è una mera cornice della nostra vita. Ci include, siamoparte di essa, ne siamo compenetrati.

Ciò postula che l’indagine e il giudizio sulla crisi ecologica deb-bano essere integrali, ossia che l’analisi dei problemi ambien-tali sia inseparabile da quella dei contesti umani, siano essi fa-miliari, lavorativi, urbani, rurali, e del tipo di relazione cheogni persona ha con se stessa, poiché questo determina laqualità del rapporto con gli altri e con l’ambiente. Analoga-mente e parallelamente alle analisi integrali, vanno ricercatesoluzioni altrettanto integrali, «che considerino le interazionidei sistemi naturali tra di loro e con i sistemi sociali. Non ci so-no due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensìuna sola e complessa crisi socio-ambientale».38

Del principio di un’ecologia integrale, i predecessori di papaFrancesco, hanno descritto ora l’uno ora l’altro aspetto, oppu-re ne hanno offerto una sintesi sommaria. In concomitanza

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con la presentazione di una riflessione sistematica ed organicasulla questione ecologica, il pontefice ritiene giunto il mo-mento di una presentazione più compiuta, illustrando gli ele-menti essenziali di un’ecologia integrale, nelle sue varie dimen-sioni umane e sociali.

Secondo papa Francesco, questa integralità include, ogni di-mensione degli spazi della vita pubblica e privata: ambientale,economica, sociale, culturale sia nelle aree urbane che in quel-le rurali. Suo nucleo è non solo il bene comune, inteso come in-sieme di molteplici condizioni sociali orientate al compimentoumano, ma anche la giustizia tra le generazioni. Non si puòparlare, dunque, di ecologia integrale senza la realizzazionedel bene comune, concretizzante i doveri e i diritti di tutti, in-clusi i più poveri. Così, non è possibile perseguire un’ecologiaintegrale senza solidarietà e senza giustizia intergenerazionali,senza che siano promosse e tutelate l’etica sociale, le istituzio-ni e le leggi che favoriscono la promozione dell’uomo.

Con tutto ciò, singoli e comunità non sono coinvolti soltantosul piano della solidarietà, a cui si è accennato, bensì anche suun piano più profondo e inclusivo, che è quello imprescindibi-le della dignità, della loro capacità innata di vero e di bene, dellaloro vocazione originaria al bene comune e ad essere custodied amministratori del creato non solo per se stessi, ma pertutta la grande famiglia che abita la nostra Terra. In altre pa-role, l’opera di costruzione di un’ecologia integrale implica laradice del comportamento etico delle persone, ossia dalla leggemorale insita nella loro natura.39 In una tale ecologia, la parteche si riferisce all’uomo gode del primato. Se è vero che gli am-bienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere lavita, di sentire e di agire, è altrettanto vero che i soggetti de-terminanti nella soluzione della crisi ecologica – in quanto do-tati di una preminenza di dignità e di responsabilità – restanoultimamente le persone e i gruppi. Come mostra l’esperienza,essi sono in grado di ribaltare i limiti dell’ambiente, contra-stando gli effetti avversi dei condizionamenti, ed imparandoad orientare la propria esistenza pur nel disordine circostante

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e nella precarietà. «Per esempio, in alcuni luoghi, dove le fac-ciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono persone checurano con molta dignità l’interno delle loro abitazioni, o sisentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia della gente.Una vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde lucein un ambiente a prima vista invivibile. A volte è encomiabilel’ecologia umana che riescono a sviluppare i poveri in mezzo atante limitazioni. La sensazione di soffocamento prodottadalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densitàabitativa, viene contrastata se si sviluppano relazioni umanedi vicinanza e calore, se si creano comunità, se i limiti ambien-tali sono compensati nell’interiorità di ciascuna persona, chesi sente inserita in una rete di comunione e di appartenenza.In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e di-venta il contesto di una vita degna».40

L’amore è più forte di ogni condizionamento, dell’affollamen-to e dell’anonimato sociale. La ressa soffocante può essere tra-sformata in un’esperienza comunitaria, in cui si infrangono lepareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo. Alla lucedel primato della vita comunitaria e comunionale, la ricercadella bellezza architettonica va posta al servizio della qualitàdella vita delle persone, della loro armonia con l’ambiente, delloro incontro e del loro aiuto reciproco.41 «Come sono belle lecittà che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene dispazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il rico-noscimento dell’altro!».42

Quanto affermato circa la connessione dei problemi posti dal-la convivenza con le persone e con l’ambiente, secondo papaFrancesco, ci deve sollecitare a ricercare una nuova sintesi cul-turale, capace di armonizzare i vari saperi, le varie dimensionidell’ecologia. Ne consegue l’urgenza di un nuovo umanesimo,capace di integrare storia, cultura, economia, architettura, vi-ta quotidiana nelle città e nelle aree rurali. Solo un nuovo uma-nesimo di stampo ecologico, che informi e pervada tutte le rela-zioni, potrà concorrere a risolvere efficacemente la crisi ecolo-gica, trovando soluzioni integrali.

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A questo punto delle nostre riflessioni nasce spontanea unadomanda. Il principio dell’ecologia integrale è alternativo ri-spetto a quello del compimento umano in Dio? Considerandoquanto sin qui esposto, non sembra si possa dire di essere difronte a un principio assolutamente nuovo, indicante un’es-senza etica completamente diversa. Il principio dell’ecologiaintegrale è sostanzialmente lo stesso principio morale delcompimento umano in Dio, riletto nel contesto della presentequestione ambientale globalizzata. La sua prospettiva possie-de, come nucleo centrale e propulsore, il principio di uno svi-luppo completo. Lo assume, lo vive e lo reinterpreta, sulla ba-se delle esigenze di retinità, implicate nella complessa relazio-ne tra persona e ambiente naturale. In altre parole, papa Fran-cesco non ha creato ex nihilo un nuovo principio. Ciò che altrichiamerebbero principio di retinità o di sostenibilità, infatti,non è nient’altro che il primo principio morale del compimen-to umano in Dio, arricchito di quegli aspetti e di quei risvoltiche sono richiesti dalla considerazione sistemica delle molte-plici relazioni e interdipendenze tra uomo e creato.

7. L’«agire», ovvero alcune linee di orientamento e di azione

Dopo aver analizzato la situazione esistente ed enucleatoprincipi di riflessione e criteri di giudizio funzionali al discer-nimento sulla questione ecologica, papa Francesco offre alcu-ne linee di orientamento e di azione, per risolvere la crisi eco-logica ai fini di un’ecologia integrale. Così, propone orienta-menti pratici per vari livelli di azione, che debbono essere tutticaratterizzati dal dialogo.

7.1. Sul piano internazionale:

a) occorre fare in modo che le soluzioni siano proposte apartire da una prospettiva globale, pensando a un “solo”mondo, ad un progetto comune, muovendo dalla consape-volezza dell’interdipendenza di ogni sua componente;

b) si rende indispensabile un consenso mondiale, che porti,ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e

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diversificata; a sviluppare forme rinnovabili e poco in-quinanti di energia, incentivando nel contempo unamaggior efficienza energetica; a promuovere una gestio-ne più adeguata delle risorse forestali e marine; ad assi-curare a tutti l’accesso all’acqua potabile;43

c) si avverte la necessità dell’organizzazione di Vertici mon-diali sull’ambiente, che siano meno inconcludenti perquanto concerne: 1) la transizione dai combustibili fos-sili alle energie rinnovabili;44 2) le responsabilità di colo-ro che debbono sopportare i costi maggiori della transi-zione; 3) gli indispensabili ed adeguati meccanismi dicontrollo, di verifica periodica delle decisioni prese, non-ché di sanzione delle inadempienze.45

La strategia di compravendita di «crediti di emissione», a giu-dizio di papa Francesco, sebbene possa sembrare una soluzio-ne rapida e facile, pur presentandosi con l’apparenza di un cer-to impegno per l’ambiente, non implica un cambiamento dellostatus quo. Anzi, non di rado è un espediente che consente disostenere il super-consumo di alcuni settori e di alcuni Paesi.Così come è concepita, essa: a) può dar luogo a una nuova for-ma di speculazione; b) non è in grado di ridurre l’emissioneglobale di gas inquinanti; c) nemmeno può contribuire a cam-biare gli stili di produzione dei Paesi più ricchi.46

I Paesi meno sviluppati, che devono anzitutto sradicare la mi-seria, avendo come priorità lo sviluppo sociale della loro popo-lazione, vanno aiutati in una maniera meno interessata nel lo-ro sforzo di incrementare forme meno inquinanti di produzio-ne di energia, quale lo sfruttamento diretto dell’abbandonateenergia solare. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, mediantemeccanismi e sussidi che consentano di accedere al trasferi-mento di tecnologie, ad assistenza tecnica e a risorse finanzia-rie, con una particolare attenzione alle condizioni concrete.47

Non va assolutamente dimenticato che, con l’internazionaliz-zazione dei costi ambientali, si corre il rischio di imporre aiPaesi con minori risorse, pesanti impegni per ridurre le emis-

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sioni ai livelli stabiliti per i Paesi più industrializzati. Occorreuscire dalla menzogna e dallo status quo. Dev’essere chiaroche, se vi sono responsabilità comuni, esse sono differenziate,variando da Paese a Paese. Quelli che hanno tratto beneficioda un alto livello di industrializzazione, a costo di forti emis-sioni di gas serra, hanno maggiori responsabilità nella soluzio-ne dei problemi da loro stessi causati.

In ultima analisi, come ribadisce papa Francesco, a livello in-ternazionale urgono: a) accordi che vengano effettivamenteattuati;48 b) quadri regolatori globali, che impongano obblighi;c) accordi sui regimi di governance per tutta la gamma dei benicomuni globali; d) una governance composta da istituzioni in-ternazionali forti e più efficacemente organizzate di quelle at-tualmente in essere. Tale governance dovrà far riferimento adun’Autorità politica mondiale.49

È senza dubbio interessante notare qui che, anche in questaenciclica, a proposito dell’architettura delle istituzioni inter-nazionali, si abbia come punto di riferimento la prospettiva diun’autorità politica mondiale, già proposta da Benedetto XVI.Permane così una continuità col precedente magistero sociale,che alcuni studiosi di dottrina sociale ed anche alcuni econo-misti cattolici hanno tentato di indebolire o addirittura di ne-gare, sostenendo che il concetto di un’autorità politica mon-diale non appartiene alla Dottrina sociale della Chiesa, perchéequivarrebbe alla visione di un’autorità totalitaria e totaliz-zante, ad una specie di Leviatano. In realtà, la proposta deipontefici è sempre stata fatta in concomitanza con l’afferma-zione del principio di sussidiarietà e di un processo democra-tico di costituzione dal basso. In definitiva, il concetto di auto-rità politica mondiale corrisponde alla logica conclusione diun processo di dotazione, da parte della comunità dei popolidella terra, di istituzioni internazionali commisurate ai conte-nuti del bene comune mondiale. A tutto questo deve corri-spondere un’istituzione adeguata, pena la non realizzazionedei programmi, a motivo della carenza di orientamento, dicontrolli e di sanzioni efficaci.

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7.2. Sul piano delle politiche nazionali e locali: la decisività di unademocrazia dal basso e di una cittadinanza attiva

Le questioni relative all’ambiente e allo sviluppo economicorichiedono un’attenzione continua alle politiche nazionali e lo-cali. Rispetto alla soluzione di una crisi ecologica globale e pla-netaria, secondo papa Francesco, non si possono trascurare lefunzioni improcrastinabili di ogni Stato: pianificare, coordi-nare, vigilare, sanzionare all’interno del proprio territorio. Lasocietà ordina e custodisce il proprio divenire costituendosi inStato di diritto, e intervenendo affinché la politica incoraggi lebuone pratiche e stimoli la creatività. Non si dimentichi che ècresciuta tutta una nuova giurisprudenza sulla riduzione deglieffetti inquinanti. Si deve vigilare, affinché la politica non siaasservita alla ricerca del profitto, ad una crescita a breve, a ri-sultati immediati. Bisogna accertarsi che nell’agenda dei go-verni sia inserito un Ordine del giorno ambientale con proie-zione a lungo termine e non debitore della logica dell’occupa-zione del potere.

Non si può dimenticare che, quando l’ordine mondiale e lestesse politiche nazionali appaiano statiche ed impotenti,l’istanza locale può fare la differenza. Occorre organizzare lapressione della popolazione. La società civile, prima responsa-bile della salvaguardia dell’ambiente, deve obbligare gover-nanti e governi a sviluppare normative, procedure e controllipiù rigorosi. E così, con riferimento alla realizzazione diun’ecologia integrale, papa Francesco sollecita una democraziadal basso, partecipativa, che fa leva sulle comunità locali, sullaforza che possono esprimere le azioni condivise di un «popo-lo».50 La società civile può e deve esercitare il proprio primatosulla politica. Una società sana, matura e sovrana, impone li-miti cautelativi attinenti alle previsioni, invocando regola-menti adeguati e vigilanza sull’applicazione delle norme, lottaalla corruzione, azioni di controllo operativo sull’emergenzadi effetti non desiderati dei processi produttivi, e interventiopportuni di fronte a rischi indeterminati o potenziali. Ciòequivale, da parte della società civile, a promuovere e a vivere

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una cittadinanza attiva con riferimento all’ecologia integrale.Indipendentemente dal fatto che abbiano o meno responsabi-lità di governo, i cittadini sono chiamati a diventare protago-nisti del cambiamento di cui la terra ha bisogno.

Per quanto concerne, invece, una sana politica ecologica, papaFrancesco, sottolinea che, pur non potendosi pensare a ricetteuniformi, dati i problemi e limiti specifici di ogni Paese o re-gione, tuttavia è necessario un minimo di continuità. Non sipuò immaginare di essere efficaci relativamente ai cambia-menti climatici e alla protezione dell’ambiente, quando vi siadiscontinuità nelle politiche, dovuta all’avvicendamento con-vulso dei governi e dei responsabili pubblici. Per raggiungeregli obiettivi desiderati, in ambito nazionale e locale, il pontefi-ce sollecita a:

- promuovere forme di risparmio energetico;- favorire modalità di produzione industriale dalla massi-

ma efficienza energetica e con minor utilizzo di materieprime, togliendo dal mercato i prodotti più inquinanti opoco efficaci dal punto di vista energetico;

- programmare una buona gestione dei trasporti, e miglioritecniche di costruzione e di ristrutturazione di edifici, ri-ducendone il consumo energetico e i livelli di inquina-mento;

- modificare le abitudini nel campo dei consumi; - sviluppare un’economia di gestione dei rifiuti e del loro ri-

ciclaggio;- proteggere determinate specie vegetali, programmare

un’agricoltura diversificata e applicare la rotazione dellecolture;

- favorire il miglioramento agricolo delle regioni più pove-re, mediante investimenti nelle infrastrutture rurali,nell’organizzazione dei mercati locali o nazionali, nei si-stemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricolesostenibili;

- facilitare forme di cooperazione e di organizzazione comu-nitaria, che difendano gli interessi dei piccoli produttori epreservino gli ecosistemi locali dalla depredazione.51

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7.3. Sul piano dei processi decisionali: legalità e democraticità

Papa Francesco offre alcuni orientamenti anche per i processidecisionali relativi all’impatto ambientale delle varie iniziativeimprenditoriali e di altri progetti. Proprio la previsione delleloro ricadute negative richiede iter politici trasparenti e sottopo-sti al dialogo, liberi dalla corruzione che nasconde gli effetti ne-gativi in cambio di favori. «Uno studio di impatto ambientalenon dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progettoproduttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inse-rito fin dall’inizio e dev’essere elaborato in modo interdiscipli-nare, trasparente e indipendente da ogni pressione economicao politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni dilavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale dellepersone, sull’economia locale, sulla sicurezza. I risultati econo-mici si potranno così prevedere in modo più realistico, tenendoconto degli scenari possibili ed eventualmente anticipando lanecessità di un investimento maggiore per risolvere effetti in-desiderati che possano essere corretti».52

Nei dibattiti e nelle politiche da intraprendere, è necessario ac-quisire il consenso dei vari attori sociali coinvolti, con particolarriguardo per gli abitanti del luogo. La partecipazione richiedeche tutti siano adeguatamente informati. Quando si avverta lapossibilità di eventuali rischi per l’ambiente che interessano ilbene comune, le decisioni devono essere basate su una valuta-zione dei rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile sceltaalternativa. Ma non solo. Occorre attenersi al principio di pre-cauzione, per proteggere i più deboli, che dispongono di pochimezzi per difendersi. «Se l’informazione oggettiva porta a pre-vedere un danno grave e irreversibile, anche se non ci fosse unadimostrazione indiscutibile, qualunque progetto dovrebbe es-sere fermato o modificato».53 Questo non significa affatto op-porsi a qualsiasi innovazione tecnologica, che consenta di mi-gliorare la qualità della vita di una popolazione.

In ogni caso, la redditività non può mai essere l’unico criterioda tener presente nel calcolo costi-benefici.

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7.4. Sul piano del rapporto tra economia e politica: riforma del si-stema finanziario e una certa decrescita

Gli orientamenti, che papa Francesco intende offrire relativa-mente al rapporto tra economia, politica ed ambiente, risen-tono del contesto socio-economico da cui si cerca di sollevarsidopo la grande crisi finanziaria incominciata nel 2008. La crisie i tentativi di soluzione hanno mostrato la sovranità del diodenaro, che ha soppiantato ogni politica orientata al bene co-mune. La politica e l’economia reale sono state gradualmentesubordinate alla finanza, alla logica del profitto per il profittoe all’ideologia della tecnocrazia, incurante dei danni per l’am-biente. Da qui, la proposta del pontefice. «La politica non devesottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi aidettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi,pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludi-bile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisa-mente al servizio della vita, specialmente della vita umana»,54

e quindi della salvaguardia dell’ambiente.

Proprio in questo contesto, papa Francesco denuncia nuova-mente quel capitalismo finanziario ad alta speculazione, chenon è stato affatto riformato in radice, al contrario di quantorichiesto da molti, compreso Benedetto XVI con la sua encicli-ca Caritas in veritate.55 A causa della mancata riforma, non so-lo continua il vassallaggio della politica alla finanza, ma anchela debolezza dell’economia reale, che stenta a ripartire, e il pe-ricolo di atti predatori nei confronti dell’ambiente. Le paroledel pontefice sono paradigmatiche e programmatiche. Merita-no di essere riportate per intero, in vista di un serio impegnoriformatore, che esige ben più di piccoli ritocchi: «Il salvatag-gio ad ogni costo delle banche – scrive il pontefice –, facendopagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione dirivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominioassoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo gene-rare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. Lacrisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppareuna nuova economia più attenta ai principi etici, e per una

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nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa edella ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che ab-bia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a go-vernare il mondo. La produzione non è sempre razionale, espesso è legata a variabili economiche che attribuiscono aiprodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale.Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcu-ne merci, con un impatto ambientale non necessario, che altempo stesso danneggia molte economie regionali. La bolla fi-nanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva,ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’econo-mia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si mi-gliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamen-te, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occu-pazione, e così via».56

La riforma del sistema finanziario attuale dev’essere, allora,perseguita e proseguita con decisione e in profondità, non so-lo in vista del rilancio dell’economia, ma anche della protezio-ne ambientale. Fra l’altro, quest’ultima non può essere assicu-rata solo sulla base di un calcolo finanziario di costi e benefici.L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato nonsono in grado di difendere e di promuovere adeguatamente. Ilmercato tende a pensare che i problemi si risolvano soltantocon la crescita dei profitti delle imprese e degli individui. In re-altà, all’interno dello schema della rendita non c’è posto pertener conto dei ritmi della natura, dei suoi tempi di degrada-zione e della complessità degli ecosistemi.

In ultima analisi, in vista della realizzazione di un’ecologia in-tegrale, vanno abbandonati gli schemi culturali legati al capi-talismo finanziario e al paradigma tecnocratico, che assogget-tano la politica e l’economia stessa alla logica di una specula-zione senza limiti e ad una ragione strumentale. Bisogna ri-pensare il proprio modello di progresso e di sviluppo. La sud-ditanza ad schema materialistico e consumistico, fondato sulprincipio dell’illimitatezza delle risorse, finirà per distruggerela Terra e l’Umanità intera.

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Quale modello di sviluppo globale, allora?

Parlando di un nuovo modello di sviluppo, papa Francesco giun-ge a proporre nuove modalità di progresso sostenibile ed inte-grale, avvicinandosi al linguaggio di quegli economisti e pen-satori che, come il francese Serge Latouche, hanno anche teo-rizzato la necessità di una decrescita. Non si tratta di abbando-nare irrazionalmente l’idea di sviluppo, bensì di convincersiche rallentare un determinato ritmo di produzione e di consu-mo irresponsabile e dissipatore può dar luogo ad altre modalitàdi progresso. Non si tratta di rinunciare alla crescita, ma direalizzarla in maniera diversa. Si deve, cioè, aprire la strada aopportunità differenti, che non implichino il blocco della crea-tività umana e il suo sogno di continuo miglioramento, mapiuttosto incanalino le sue preziose energie in modo nuovo.57

«[…] Un percorso di sviluppo più creativo e meglio orientatopotrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimentotecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i pro-blemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelli-genti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di rici-clo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e co-sì via. La diversificazione produttiva offre larghissime possi-bilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentreprotegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro».58 Que-sta sarebbe una creatività capace di esaltare la dignità dell’es-sere umano, perché è più nobile usare l’intelligenza con auda-cia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibileed equo entro il quadro di una concezione più ampia della qua-lità della vita. Viceversa, sarebbe da incoscienti insistere nelcreare forme di saccheggio della natura, con l’unico scopo dioffrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata.

Di fronte ad una crescita avida e irresponsabile, come quellaodierna, si tratta, dunque, non solo di trovare nuove vie, maanche di ritornare sui propri passi prima che sia troppo tardi. Èrispetto ad uno sviluppo siffatto che papa Francesco, usandolo stesso linguaggio di Serge Latouche, giunge a parlare del-l’urgenza di accettare una «certa decrescita» in alcune parti del

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mondo, al fine di liberare risorse per una crescita sana in altreparti.59 L’aveva già suggerito Benedetto XVI, affermando che«è necessario che le società tecnologicamente avanzate sianodisposte a favorire comportamenti caratterizzati dalla sobrie-tà, diminuendo il proprio consumo di energia e migliorando lecondizioni del suo uso».60

Papa Francesco, come già detto, si esprime in termini simili aquelli di Latouche, che ha pubblicato diversi studi sulla decresci-ta felice e sull’abbondanza frugale.61 Qualcuno potrebbe pren-dere spunto da questo fatto, per accusarlo per l’ennesima voltadi marxismo. Va osservato, a questo proposito, che la propostadi Papa Francesco non si oppone al capitalismo in senso, direm-mo, totalitario, come sembra fare Latouche, ispirandosi al-l’ideologia marxista. Il pontefice distingue capitalismo da capi-talismo: c’è un capitalismo finanziario, il quale, all’insegna deldio denaro, distrugge, ma c’è anche un capitalismo o, meglio,un’economia di mercato, che costruisce opportunità e lavoroper tutti, che aiuta a ridurre la povertà, e questo, quando è benguidata e finalizzata al bene comune, e vede la compresenza diStato, mercato e società civile accanto ad un’imprenditorialitàplurivalente (impresa privata, sociale e pubblica). Mentre La-touche presenta un concetto di capitalismo univoco, ritenendoche ogni sua forma è essenzialmente guerrafondaia, non poten-do ammettere un capitalismo «buono», non è così per papaFrancesco.62 Se ci si riferisce solo al capitalismo finanziario cheassolutizza il profitto a breve termine, il pontefice potrebbe es-sere senz’altro d’accordo con l’economista e filosofo francese.Ma, sul capitalismo in genere, il suo pensiero è più articolato erimane in continuità con il precedente magistero, specie dellaCentesimus annus,63 la quale ne distingue diverse modalità, a se-conda delle culture che lo animano.

L’invito di papa Francesco ad imboccare la via di una «certa de-crescita» non significa semplicemente trasformare di meno,produrre di meno, consumare di meno, come hanno scritto al-cuni commentatori. Si tratta, piuttosto, di diminuire la tra-sformazione e la produzione in eccesso, di tipo consumistico,

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per evitare sprechi e utilizzi delle risorse, che avvengono sen-za tener conto dei limiti di queste e delle conseguenze negati-ve per il genere umano e per l’ambiente. L’economia non puòilludersi di contraddire le leggi della fisiologia, secondo la qua-le nessuna crescita può essere illimitata. La proposta di papaFrancesco è, dunque, di produrre, trasformare e consumare inmaniera da non impoverire il mondo delle risorse necessarie atutti, dando luogo ad altre modalità di sviluppo rispetto aquello consumistico e predatore.

In breve, uno sviluppo tecnologico ed economico che non lasciun mondo migliore e una qualità di vita integralmente supe-riore, per obbedire unicamente al principio della massimizza-zione del profitto, non può considerarsi progresso. Parimenti,l’aumento della produzione col taglio, ad esempio, di una fore-sta – senza calcolare i danni provocati dalla conseguente de-sertificazione, dalla diminuzione della biodiversità, dalla cre-scita dell’inquinamento e dell’effetto serra parallelamente alladiminuzione dell’ossigeno – non è né etico né giusto. Si ha uncomportamento etico, quando anche i costi economici e socia-li, derivanti dall’uso di risorse ambientali comuni, sono tra-sparenti, supportati da coloro che ne usufruiscono e non daaltre popolazioni o da generazioni future.

Un nuovo modello di sviluppo si associa ad una politica fedeleal principio della sussidiarietà, che riconosce l’autonomiadell’economia. E tuttavia, non ci può essere un’economia sen-za politica, ma neppure un’economia che detti gli Ordini delgiorno ai Parlamenti, sussistendo il rischio che una logica uti-litarista prevalga e distrugga l’ambiente. L’azione politica ha ilcompito di mantenere l’economia aperta alle esigenze del be-ne comune e dei soggetti più fragili. L’importante, dunque, èche essa non sia inquinata dalla corruzione o dalla brama dipotere, finendo per divenire schiava di un’economia centratasull’utile e su un consumismo ossessivo.Sono queste in breve le ragioni per cui la politica e l’economiadebbono trovare forme di interazione orientate al bene comu-ne, alla preservazione dell’ambiente e della cura dei più deboli.64

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7. 5. Sul piano del dialogo delle religioni con le scienze

Le scienze empiriche non sono in grado da sole di spiegare afondo la vita. Se si guarda alla realtà e all’ambiente dalla loroangolazione settoriale, verremmo privati della sensibilità este-tica, della poesia, dell’etica, della consapevolezza del senso edel fine delle cose. Una conoscenza più intima della realtà èpossibile grazie al contributo dell’esperienza religiosa, nel cuigrembo risiedono quei principi etici che danno senso alla vita eguidano la condotta delle persone, unificandole attorno ad unacomune ricerca della verità, del bene e di Dio. La fede religiosaconsente di attingere ad una sapienza profonda, che garantiscela rotta durante la navigazione. Per superare gli abusi sulla na-tura o il dominio dispotico sul creato, occorre recuperare quelcontatto con Dio, che consentirà di attingere le profondità del-le convinzioni sull’amore, sulla giustizia e sulla pace.

In vista della soluzione dei problemi dell’ambiente, il propriopatrimonio etico e spirituale potrà essere condiviso attraversoil dialogo tra le religioni di appartenenza. È altrettanto indi-spensabile il dialogo tra le diverse branche della scienza, al fi-ne di superare i settorialismi dei vari saperi, integrandoli inuna proficua sintesi culturale. Ugualmente, urge un dialogoaperto e rispettoso tra i diversi movimenti ecologisti, fra iquali spesso si registrano lotte ideologiche.

8. Educazione e spiritualità ecologica

I problemi della crisi ecologica possono essere superati, acqui-sendo la consapevolezza della nostra origine comune, di unamutua appartenenza e di un futuro inevitabilmente condivisoda tutti. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale ededucativa, implicante lunghi processi di rigenerazione.

Un ostacolo apparentemente insormontabile è rappresentatoda quell’umanesimo post-moderno, privo di strumenti critici e diun’antropologia adeguata che permetta di leggere, interpreta-re e risolvere la crisi ecologica. Esso coltiva l’autoreferenzialità

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delle persone, che si isolano nel loro io, accrescendo l’avidità erendendole indifferenti nei confronti del bene comune.

Ma non bisogna perdere la speranza e rassegnarsi. Gli esseriumani, capaci di estremo degrado, possono anche superarsi,ritornare a scegliere il bene, a rigenerarsi,65 ad ammirare il bel-lo, ad uscire dal pragmatismo utilitaristico. Non esistono si-stemi sociali e culturali che annullino completamente l’aper-tura al vero, al bene e alla bellezza. Per questo, è possibile risa-lire la china, impiantare una nuova cultura, mobilitare le co-scienze, formare movimenti di consumatori che si rifiutino diacquistare determinati prodotti, diventando così, con l’ocula-to uso del loro portafoglio, decisori del destino di certe impre-se che puntano solo al profitto e non rispettano né l’ambientené i lavoratori. Formando la responsabilità dei consumatori, siriuscirà ad incidere sulle decisioni politiche e sull’economia.66

A fronte di una situazione di tale gravità, come quella attuale,occorre cercare un nuovo inizio,67 facendo leva, grazie ad unanuova evangelizzazione, su un umanesimo sociale nuovo, solida-le, aperto alla Trascendenza, che solleciti ad autosuperarsi ead infrangere l’autoreferenzialità. In esso, l’umanità post-mo-derna troverà una nuova comprensione di sé stessa, e riusciràa riformulare quel bene comune, che oggi è frammentato inbeni sezionali e particolari.

Soltanto grazie ad un tale umanesimo, sarà possibile una gran-de opera di educazione, il conseguimento di nuove abitudini diconsumo e di stili di vita. L’educazione, oggi così necessaria,non deve limitarsi ad offrire informazioni scientifiche e a pre-venire rischi. Deve includere una critica dei «miti» della mo-dernità, basati su una ragione strumentale, su paradigmiscientisti; deve aiutare a recuperare i diversi livelli dell’equili-brio ecologico e a fare quel salto verso il mistero, che consentedi dare un fondamento profondo all’etica ecologica.68

L’obiettivo dell’educazione è quello di formare: ad una cittadi-nanza ecologica; a solide virtù che abilitino ad un impegno di-

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sinteressato e costante, radicato su motivazioni adeguate; atutta una serie di piccole azioni quotidiane, ad esempio, volte adevitare l’uso di materiale plastico e lo spreco di carta; a ridurreil consumo dell’acqua; a differenziare i rifiuti; a cucinare soloquanto ragionevolmente si potrà consumare; a spegnere le lu-ci inutili; a riciclare le cose invece di disfarsene; a trattare conrispetto gli altri esseri viventi; ed anche a piantare alberi. So-no azioni che diffondono un bene nella società e ci restituisco-no il senso della nostra dignità.69

Una solida educazione ecologica è strategica, e talora ultima chan-ce, di fronte alla frequenza dei comportamenti illegali nell’ammi-nistrazione degli Stati, nella società civile e tra i cittadini.

Le leggi possono essere state correttamente formulate edemanate, ma spesso rimangono lettera morta. Si può giungerea sperare, si domanda allora papa Bergoglio, che la legislazio-ne e le normative relative all’ambiente siano realmente effica-ci? Se non basta una legislazione chiara per la protezione del-l’ambiente, di una foresta, come avviene spesso in Brasile, oanche della salute pubblica come in Italia nella «Terra dei fuo-chi», territorio in cui sono stati compiuti sversamenti di rifiutiindustriali, tossici e nucleari, con la complicità della malavitae delle amministrazioni, di che altro c’è bisogno?

Oltre ad una legislazione riformata, resa più chiara e certa,occorre una vita buona sia nelle istituzioni sociali sia nella vi-ta dei cittadini. C’è bisogno di un nuovo ethos, permeato dafraternità universale e da solidarietà. La vita buona si struttu-ra, mediante la summenzionata educazione alle virtù, attornoalla legge morale naturale, inscritta nella coscienza di ogni uo-mo, e alla nozione di bene comune, principio centrale dell’ecolo-gia sociale.

Solo il riconoscimento del primato del bene comune aiuterà i cit-tadini e la politica a non cedere alla corruzione, agli interessiparticolaristici. Gli Stati, i cittadini e gli uomini politici sonoaperti alla protezione dell’ambiente, bene collettivo, quando

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sono contemporaneamente aperti al bene di tutti. Solo se il be-ne comune viene posto al centro dell’azione politica e delle so-cietà civili, si può superare il dramma di un agire istituzionalefocalizzato sui risultati immediati; schiavo di un’economia asua volta succube del capitalismo finanziario; ostaggio di inte-ressi elettorali (cf n. 178) o di gruppi criminali organizzati,forniti di ingenti mezzi finanziari e di collusive protezioni.

I luoghi educativi sono vari: la comunità cristiana, la scuola, lafamiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi, oltre natu-ralmente ai Seminari, alle Case religiose, alle Università. È inessi, soprattutto, che si deve puntare alla formazione della co-scienza sociale, ad un’austerità responsabile, ad una contem-plazione del mondo colma di riconoscenza, alla cura per lafragilità dei poveri e dell’ambiente.70 Quando non si è in gra-do di ammirare ed apprezzare il bello, ogni cosa si trasformaautomaticamente in un oggetto da usare o da abusare senzascrupoli.

L’educazione ecologica ha il suo fulcro in una spiritualità ecolo-gica, che trae le sue energie dalle convinzioni della nostra fede.In vista di un’ecologia integrale, la grande ricchezza della spiri-tualità cristiana può offrire un magnifico contributo:

- dando motivazioni, che derivano dall’esperienza di una vi-ta radicata in Cristo: non bastano le idee, occorre posse-dere una vera e propria passione per la cura del mondo, ri-conoscendo nelle varie creature il gesto di tenerezza diDio creatore;

- sollecitando alla conversione ecologica, che comporta il la-sciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesùnelle relazioni con il mondo che ci circonda. Si tratta dicomprendere in che modo si offende la creazione di Diocon le nostre azioni o con la nostra inettitudine;71

- facendo comprendere che non basta essere «buoni» sin-golarmente, ma che occorre rispondere ai problemi socia-li con reti comunitarie e con una conversione altrettanto co-munitaria;72

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- aiutando a riconoscere che Dio ha inscritto nel creato unordine e un dinamismo, a cui l’essere umano non ha il dirit-to di sottrarsi;73

- proponendo un modello alternativo di intendere la qualitàdella vita; incoraggiando uno stile profetico e contempla-tivo, il ritorno alla semplicità che permette di fermarci agustare le piccole cose, una sobrietà liberante;74

- aprendo, in mezzo al rumore costante, a una capacità distupore e di ascolto di tutte le parole d’amore, che Dio haseminato nel mondo per noi;75

- invogliando ad una preghiera di ringraziamento, per non di-menticare la nostra totale dipendenza da Dio per la vita;

- ricordando che, avendo Dio come Padre comune, esisteuna fraternità universale e che, oltre ad aver bisogno l’unodell’altro, abbiamo una responsabilità personale versol’altro e verso il mondo;

- insegnandoci che l’amore per la società e l’impegno per ilbene comune e per l’ambiente sono una forma eminentedi carità;76

- sospingendo le varie associazioni, che intervengono a di-fendere l’ambiente naturale ed anche quello urbano, adesempio, prendendosi cura di un luogo pubblico (un edifi-cio, una piazza, una fontana, un monumento abbandona-to, un paesaggio, una chiesa…), a costruire sul territorioun nuovo tessuto sociale, che permetta di coltivareun’identità comune e di condividere una storia che si con-serva e si trasmette;77

- aiutando ad unire lo stupore per la grandezza del creatoall’amore per il suo e nostro Creatore.

L’universo si sviluppa in Dio, che è onnipresente. Proprio perquesto, possiamo scorgere ed incontrare Dio in tutte le cose.78

Tutto quanto c’è di buono e di bello intorno a noi, si trova emi-nentemente in Lui. Solo uno sguardo mistico consentirà di co-gliere l’intimo legame esistente tra Dio e tutti gli esseri, che sonotutti segno di Dio. In essi c’è una simbologia che assume la suaforma vertice nei sacramenti della Chiesa, in cui la natura è as-sunta da Dio e trasformata in mediazione di vita soprannaturale.

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Per l’esperienza cristiana, tutte le creature trovano il loro verosenso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio, facendosiuomo in tutto simile a noi, ha incorporato nella sua personaparte dell’universo materiale, e vi ha introdotto un germe ditrasformazione definitiva. Nel Pane eucaristico, la creazione èprotesa verso la divinizzazione, verso le sante nozze, versol’unificazione con il Creatore stesso.79 La partecipazione al-l’Eucaristia consente di risanare le relazioni degli esseri umanicon Dio, con se stessi, con ogni altro tu, con il creato. Con lacelebrazione dell’Eucaristia – la nuova Alleanza –, l’improntatrinitaria disseminata nell’universo con la creazione e detur-pata dal peccato, viene ristabilita ed irrobustita.80

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Note

1 FRANCESCO, Laudato sì’, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015.Tra i commenti apparsi segnaliamo: S. MORANDINI, Laudato sì’. Un’enciclica perla terra, Cittadella Editrice, Assisi 2015; AA.VV., Curare madre terra, EMI, Bo-logna 2015; AA. VV., Cura della casa comune. Introduzione a Laudato sì’ e sfidee prospettive per la sostenibilità, a cura di J. I. Kureethadam, LAS, Roma 2015;A SPADARO, Laudato sì’. Guida alla lettura dell’enciclica di papa Francesco, in«La Civiltà cattolica», (11 luglio 2015), 3961, pp. 3-22; AA.VV., Abiterai laterra. Commento all’enciclica Laudato sì’, AVE, Roma 2015. Possono tornareutili, in vista dell’educazione ad una cittadinanza ecologica attiva e respon-sabile, raccomandata dall’enciclica, alcune pubblicazioni agili e di facile let-tura come: A. SELLA, Come cambiare il mondo con i nuovi stili di vita, a cura diDaniela Scherrer, EMI, Bologna 2013; M. BOSCHINI, Nessuno lo farà al postotuo. Piccolo ideario di resistenza quotidiana, EMI, Bologna 2013; M. BOSCHINI-E. ORZES, I rifiuti? Non esistono!, EMI, Bologna 2014.2 LS n. 64.3 Alcuni studiosi hanno criticato l’enciclica per una presunta ascientificitàmancando citazioni di studi e ricerche a proposito dei problemi climatici edambientali. In realtà, si ignora il genere letterario delle encicliche, le qualinon hanno come scopo principale di essere saggi scientifici, bensì di pro-porre un sapere sapienziale di tipo sintetico, globale, volto ad offrire prin-cipi di riflessione, criteri di giudizio, orientamenti pratici in vista dellacostruzione di una nuova società e di nuovi rapporti con l’ambiente. NellaLaudato si’, tuttavia, si fa inevitabilmente riferimento a studi scientificisebbene senza citarli. Da questo punto di vista occorre riconoscere che laLS, come anche le precedenti encicliche, mentre mutua i principali risultatiscientifici ad essa contemporanei, dipende anche dal loro grado di verifica-bilità e di scientificità che talora può non essere definitivo. Non a caso al n.188 si legge: «Ci sono discussioni relative all’ambiente, nelle quali è diffi-cile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa nonpretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica,ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità partico-lari o le ideologie non ledano il bene comune».4 LS n. 13.5 Cf LS n. 8.6 Sul discernimento sociale nel contesto latinoamericano, si legga M. TOSO,Il realismo dell’amore di Cristo. La «Caritas in veritate»: prospettive pastorali eimpegno del laicato, Studium, Roma 2010, pp. 26-31.7 Caritas in veritate (=CIV), n. 48.

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8 Cf CIV n. 49.9 Cf CIV n. 27.10 Proprio per questo, secondo alcuni commentatori della Caritas in veritate,papa Benedetto XVI avrebbe mostrato una certa afasia nei confronti dei mu-tamenti climatici e si sarebbe limitato ad offrire una serie di imperativi mo-rali, senza un’adeguata prospettazione di orientamenti pratici (cf, adesempio, M. VOGT, Silenzi eloquenti. Un commento sugli aspetti ecologici dell’en-ciclica sociale «Caritas in veritate», in «Rivista di Teologia Morale», 164 [2009],pp. 567-584). Ad ogni buon conto, il pontefice tedesco ha risposto ampia-mente alla critica con la pubblicazione del Messaggio per la Giornata mondialedella pace 2010, più volte citato da papa Francesco nella LS. 11 Cf LS n. 30. Secondo papa Francesco, l’acqua potabile e sicura non potràmai essere considerata una semplice merce, perché il suo accesso è un dirittoessenziale, fondamentale ed universale, in quanto determina la sopravvi-venza delle persone e, per questo, è condizione per l’esercizio degli altri dirittiumani (cf LS n. 30). Sul tema dell’acqua si veda PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA

GIUSTIZIA E DELLA PACE, Acqua, un elemento essenziale per la vita, Libreria Edi-trice Vaticana, Città del Vaticano 2013. 12 Sulla questione alimentare, si può leggere con frutto: PONTIFICIO CONSIGLIO

DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Terra e cibo, Libreria Editrice Vaticana, Città delVaticano 2015.13 Cf LS n. 51.14 Cf LS n. 49.15 Cf LS n.. 23.16 Cf LS n. 22.17 Cf LS n. 93.18 Cf LS n. 67.19 Cf LS n. 91.20 Cf ad es. LS n. 68.21 Cf FRANCESCO, Evangelii gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vati-cano 2014, n. 233.22 Come è stato giustamente rilevato, il tempo e le energie dedicati a discuteresu questioni tecnico-etiche di controllo delle emissioni dei gas nocivi, ossia suproblemi dove difficilmente si può giungere a conclusioni certe, non devono es-sere distolti dalla urgente riflessione sulle cause umane del degrado ambientalenon imputabili ai gas serra. È, infatti, evidente che, con l’avvio della rivoluzioneindustriale, gli uomini e i Paesi industrializzati sono divenuti sempre più i pro-tagonisti dei cambiamenti climatici. In altri termini, è sempre più constatabileche le conseguenze delle azioni umane – in primo luogo l’impiego di combustibilifossili e l’industrializzazione dell’agricoltura – stanno progressivamente dan-

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neggiando i sistemi che rendono la terra un luogo abitabile, ovvero un luogoove vivere bene e capace di autoregolazione nell’assicurare temperature nellanorma, disponibilità di acqua dolce e flussi biogeochimici (o «resilienza»). A di-fesa della resilienza del pianeta sono stati individuati nove «confini planetari»(planetary boundaries) non oltrepassabili, pena conseguenze catastrofiche perogni forma vivente. Su questo, si legga almeno l’editoriale Il governo del clima,in «», 161/3830 (15.01.2010), pp. 107-112, specie pp. 110-111.23 Papa Francesco non ignora l’impatto dell’aumento demografico sulle ri-sorse e sull’ambiente. Proprio per questo, non sottovaluta il problema.Come il suo predecessore, egli è intervenuto più volte a segnalare l’impor-tanza di una procreazione responsabile. Benedetto XVI, convinto che lacrescita demografica non è automaticamente causa di sottosviluppo, scri-veva: «Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sot-tosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare,da una parte, all’importante diminuzione della mortalità infantile e al pro-lungamento della vita media che si registrano nei Paesi economicamentesviluppati; dall’altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registraun preoccupante calo della natalità. Resta ovviamente doveroso prestare ladebita attenzione ad una procreazione responsabile, che costituisce, tral’altro, un fattivo contributo allo sviluppo umano integrale» (CIV n. 44).24 Cf LS n. 104.25 Cf CIV n. 70.26 Cf LS n. 106.27 Cf LS n. 118.28 Cf LS n. 123.29 Cf LS n. 127.30 LS n. 128.31 Cf LS n. 129.32 Ib.33 Ib.34 Cf LS n. 134.35 Cf CIV n. 27.36 Cf Ib.37 Cf LS n. 136.38 LS nn. 139.39 Cf LS n. 155.40 LS n. 148.41 Cf LS n. 150.42 LS n. 152.43 Cf LS n. 164.

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44 Sul tema dell’energia torna utile la lettura di: PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA

GIUSTIZIA E DELLA PACE, Energia, giustizia e pace, Libreria Editrice Vaticana,Città del Vaticano 2013, testo peraltro citato dalla stessa LS.45Rispetto all’importante Vertice della Terra, celebrato nel 1992 a Rio de Ja-neiro, per certi versi innovativo ma poco efficace nella statuizione di mec-canismi di controllo, di verifica e di sanzione, fortunatamente sonoesemplari e in controtendenza: la Convenzione di Basilea sui rifiuti pericolosi,con un sistema di notificazione, di livelli stabiliti e di controlli; la Conven-zione vincolante sul commercio internazionale di specie di fauna e flora selvaticaminacciate di estinzione, che prevede missioni di verifica della sua attua-zione effettiva (cf LS n. 168). Quanto all’assottigliamento dello stratodell’ozono, sembra ci si sia avviati a soluzione, ma purtroppo non si puòdire altrettanto per la cura delle diversità biologiche, per la prevenzionedella desertificazione, per l’azione preventiva riguardante i cambiamenticlimatici con la riduzione di gas serra, perché sono problemi che richie-dono onestà, coraggio e responsabilità da parte dei Paesi più potenti e piùinquinanti. La Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile,denominata Rio+20, ha emanato una Dichiarazione finale tanto ampiaquanto inefficace.46 Cf LS n. 171.47 Cf LS n. 172.48 Su questo aspetto papa Francesco è ritornato anche nel suo Discorso allasettantesima assemblea generale delle Nazioni Unite (25 settembre 2015).49 Cf LS nn. 173-175.50 Cf LS n. 179. Per conoscere il pensiero di papa Francesco sulla democra-zia e sull’importanza di un «popolo», si legga M. TOSO, Riappropriarsi dellademocrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014. Ma si vedaanche J. C. SCANNONE, Il papa del popolo, Libreria Editrice Vaticana, Città delVaticano 2015.51 Cf LS nn. 180-181.52 LS n. 183.53 LS n. 186.54 LS n. 189.55 Tra coloro che hanno chiesto la riforma del sistema monetario e finan-ziario internazionale si è mosso anche il Pontificio Consiglio della Giustiziae della Pace, con la pubblicazione di alcune riflessioni che rimangono an-cora attuali. Si veda in proposito PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E

DELLA PACE, Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionalenella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale, Libreria Edi-trice Vaticana, Città del Vaticano 2011 (terza ristampa 2013).

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56 LS n. 189.57 Cf LS n. 191.58 LS n. 192.59 Cf LS n. 193.60 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 2010, n. 9, inAAS 102 (2010), 46.61 Cf S. LATOUCHE, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2009; ID.,Mondializzazione e decrescita. L’alternativa africana, Edizioni Dedalo, Bari2009; ID., L’economia è una menzogna, Bollati Boringhieri, Torino 2014; ID.,Breve trattato sulla Decrescita serena e come sopravvivere allo sviluppo, BollatiBoringhieri, Torino 2015.62 Per una visione dell’economia secondo il magistero sociale ed anche di papaFrancesco, ci permettiamo di rimandare a M. TOSO, Per un’economia che fa vi-vere tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015.63Cf GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, Tipografia Poliglotta Vaticana,Città del Vaticano 1991, n. 42.64 Cf LS n. 198.65 Cf LS n. 205.66 Cf LS n. 206.67 Cf LS n. 207.68 Cf LS n. 210.69 Cf LS nn. 211-212.70 Cf LS n. 214.71 Cf LS n. 217.72 Cf LS n. 219.73 Cf LS n. 221.74 Cf LS n. 223.75 Cf LS n. 22576 Cf LS n. 231.77 Cf LS n. 232.78 Cf LS n. 233.79 Cf LS n. 236.80 Cf LS 239-240.

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RicercheS. E. Mons. Mario Toso - L’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente

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«Può sembrare strano, ma lo spirito del male è tal-mente insito alla struttura sociale che spesso si con-fonde con “l’ordine stabilito”, con “le tradizioni deiseniori”, con “i fatti compiuti”; in una parola; con tut-to quello che viene stabilizzato in nome dell’uomo.Da qui il bisogno continuo, sentito dai migliori, dipromuovere delle riforme» (Luigi Sturzo)

«La libertà è uno dei doni più preziosi dal cielo con-cesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terrao che stanno ricoperti dal mare non le si possono ag-guagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può av-venturare la vita, quando per lo contrario la schiavi-tù è il peggior male che possa arrivare agli uomini»(Miguel de Cervantes Saavedra)

Il discorso di Papa Francesco in occasione del V Convegno ec-clesiale della Chiesa italiana è stato bellissimo, a tratti epico,forse il più bello da quando è salito al Soglio di Pietro. “Roba

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RicercheFlavio Felice - La sfida della realtà: autorità come principio unificatore trascendente

La sfida della realtà: autorità comeprincipio unificatore trascendente

di Flavio Felice,Pontificia Università Lateranense

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forte” e decisamente musica per chi, come il sottoscritto, datempo ormai percepisce se stesso come un “romantico rotta-me” e un don Chisciotte fuori stagione.

Chiedo venia per l’irrituale confessione e per il riferimento adun personaggio che, obiettivamente, rinvia ad una lotta soli-taria e perdente in partenza, soprattutto se, come si evincedal titolo, si assume la “sfide della realtà” come parametro delnostro ragionamento: che cosa c’è di più distante dalla realtàdello spirito donchisciottesco? Tuttavia, come ci ricorda Stur-zo nel prologo al presente contributo, per il cristiano la realtàassume i connotati del problema, mai della soluzione, altri-menti come scienziati sociali, ci ammonisce Kant, saremmocondannati al giustificazionismo e a portare lo strascico delre, piuttosto che la lampada che illumina il suo cammino. Inaltre parole, “conservatoristicamente”, saremmo rassegnatialla resa quotidiana ai fatti o, al massimo, “progressistica-mente”, dovremmo affidarci al demiurgo di turno, il qualeagisce sempre in nome di una presunta verità, in forza dellaquale si sente titolato del diritto di imporla agli altri (tale pre-tesa in politica economica assume i caratteri della funzione dibenessere, di utilità e persino di “felicità”)1. Ovvero dovrem-mo affidarci al populista incantatore che, in nome di suppo-ste sempre nuove buone intenzioni e magari di uno sbandie-rato “carisma” che lo renderebbe capace di incarnare i senti-menti migliori del “popolo” e, quindi, titolare del diritto diguidarlo (governarlo), spaccia il proprio personalissimo edoligarchico interesse con il roboante e retorico bene comune2.Ecco, dunque, che persino la guerra solitaria dello strampala-to “cavaliere dalla triste figura” appare più “realistica” e addi-rittura più seria, rispettivamente, della relativistica e fatali-stica resa ai fatti dei rassegnati o della genuflessa sottomis-sione dei sudditi per vocazione, di chi – come ha descrittoEtienne de La Boétie – volontariamente si rende servo di co-loro che spacciano il proprio personale e oligarchico privile-gio per il bene comune3. Proprio da qui vorrei partire per ten-tare una riflessione sul senso dell’autorità politica e del benecomune, in un contesto civile di tipo poliarchico, dove a nes-

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suna sfera, istituzione e, tanto meno, persona andrebbe con-cesso il monopolio sulle idee, sul bene e sull’autorità4.

È mia intenzione prendere spunto dal discorso di Papa France-sco al Convegno ecclesiale di Firenze per svolgere una sinteticariflessione sul tema dell’umanesimo cristiano che incrocia lanozione di autorità nel pensiero di Luigi Sturzo. In terministurziani il “bene comune” non si risolve nella soluzione politi-ca e neppure è interpretato come monopolio della politica, in-carnato dal soggetto che lo rappresenta nella sua sinteticità: lo“Stato”5; tanto meno si esprime mediante una funzione di uti-lità, di benessere o di felicità collettiva. Il “bene comune” – ilbene di tutti e di ciascuno – è presentato, innanzitutto, come ilproblema antropologico che andrebbe risolto e il presuppostoesistenziale che dovrebbe animare l’agire civile del cristiano:«la frase “bene comune” si usa per distinguere questo dal “beneindividuale”; al secondo deve attendere ciascuno da sé, e nonmai, direttamente la comunità. Ma a guardarvi dentro. Ognibene individuale si risolve nel bene comune, e […] ogni benegenerale ridonda al bene individuale»6; in termini istituzionalisi risolve nel complesso poliarchico delle condizioni politiche,economiche e culturali che favoriscono il perseguimento delperfezionamento e della felicità di ciascuno. Ecco come la di-chiarazione conciliare Dignitatis humanae, analogamente allacostituzione pastorale Gaudium et spes, definisce la nozione di“bene comune”: «Poiché il bene comune della società – che siconcreta nell’insieme delle condizioni sociali, grazie alle qualigli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più ric-camente o con maggiore facilità – consiste soprattutto nellasalvaguardia dei diritti della persona umana e nell’adempimen-to dei rispettivi doveri, adoperarsi positivamente per il dirittoalla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppisociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: aciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro speci-fico dovere verso il bene comune»7. In pratica, ad una inesi-stente e inquietante nozione di “we rationality”8, sempre a ri-schio di essere fatta preda del soggetto collettivo pianificatoredi turno (stato, classe, nazione, razza, partito…), si intende

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proporre una nozione “reale” – Sturzo direbbe “concreta” – di“razionalità dell’io” – il principio “unificatore trascendente” diSturzo – in grado di trascendere il proprio interesse immediatoper far proprie le ragioni dell’altro; dove l’altro è – wojtyliana-mente – la chiave mediante la quale dischiudere il tesoro che ècustodito nel cuore di ciascuna persona9.

In primo luogo, parlando ai delegati del Convegno, Francescosottolinea la peculiarità, tra i tanti, dell’umanesimo cristiano,in quanto caratterizzato da una precisa prospettiva antropo-logica: l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. L’imagoDei è quella dell’“Ecce homo”, rappresentato nel Giudizio Uni-versale nella cupola della cattedrale di Firenze, dove si mostrala trasformazione del Cristo giudicato da Pilato, nel Cristo “as-siso” sul trono del giudice. Papa Francesco sottolinea comeGesù non assuma i simboli del giudizio, quanto piuttosto mo-stra quelli della passione, a imprimere, anche nella carne, ilparticolare senso della sua regalità; è l’idea stessa del potere,che si manifesta nell’immagine, già evocata dal Papa in un suorecente discorso, della “piramide rovesciata” e si ricollega al-l’omelia pronunciata in occasione della messa inaugurale delsuo pontificato: «Non dimentichiamo mai che il vero potere èil servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve en-trare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminososulla Croce»10. Qui il potere sovrano è esercitato avendo comeriferimento il volto di Cristo: Misericordiae vultus, contem-plando il mistero della Croce, cifra più elevata della nostraumanità vissuta nell’imitazione di Cristo; un’umanità ferita,persino svuotata dell’umano, che ritrova se stessa nel voltodell’Uomo sulla Croce. Ecco, dunque, qual è contenuto fonda-mentale dell’umanesimo cristiano, è Gesù stesso che continuaad interpellarci: “Voi, chi dite che io sia?”.

In che modo questo umanesimo può allora diventare forza ri-voluzionaria nella storia? Attraverso l’interiorizzazione di al-cuni sentimenti: umiltà, disinteresse, beatitudine. Sono tuttiaccomunati da un filo rosso: la “povertà di spirito”, che il cri-stiano sposa e francescanamente elegge a propria sorella, e

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che in altre parole rimandano alla condizione antropologica dicontingenza e di creaturalità, il nostro limite naturale, un ar-gine nei confronti della pretesa costruttivista di qualsiasi“perfettismo sociale”11.

Questa povertà è in primis una predisposizione morale. Ri-prendendo un tema caro a Papa Francesco, è l’abito culturaledi chi non cede alla tentazione di innalzare il denaro, la carrie-ra, il lusso ad idoli cui immolare la dignità propria e altrui. Siconcretizza nell’assunzione di responsabilità e si manifestanel fissare una soglia morale, oltre la quale non si è disposti aspingersi. È la pubblica dichiarazione di non accettare le pro-posizioni “ad ogni costo” e “a qualsiasi prezzo”.

Le tentazioni del pelagianesimo e dello gnosticismo, che ri-schiano di compromettere questo movimento di conversione,possono assumere la forma pratica del conservatorismo, delfondamentalismo, del progressismo costruttivista, ma anche diun certo intimismo soggettivista, tutto ripiegato nell’imma-nente e che giunge di fatto a negare il mistero dell’incarnazione.

Il Papa in conclusione ci invita a rendere concrete queste di-sposizioni, favorendo in qualsiasi modo l’inclusione. La pover-tà da combattere è infatti quella che crea dipendenza e suddi-tanza dagli altri e dalle istituzioni stesse, fino a mortificareogni “soggettività creativa” e ogni spirito d’iniziativa12. Di quiquella malsana attitudine alla delega che in politica, comeovunque, ha avvelenato il discorso civile nel nostro Paese. Sia-mo tutti esposti a questa perniciosa dipendenza quando nonabbiamo un lavoro, non possediamo le nostre dimore, non sia-mo nelle condizioni di garantire per noi e per i nostri cari unpresente e un futuro materialmente dignitosi. La povertà chePapa Francesco ci invita a combattere è allora il nemico morta-le della nozione più avanzata e inclusiva di sovranità popolaree l’anticamera di una sudditanza che ci allontana da Dio13.

La posizione di chi scrive è che una prospettiva civile, ovveropolitica, economica e culturale, di tipo inclusivo14, presuppon-

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ga il “Metodo della libertà”15. Con riferimento ad esso, Sturzodistingueva tra “metodo di autorità” (ovvero di “costrizione”)e “metodo di libertà”: «Intendiamo per metodo di autoritàquello che regola tutta l’attività pubblica per via di legge, cheprocura la osservanza di questa mediante la coazione e appli-candole per i trasgressori, che non lascia nulla all’iniziativaprivata, né permette che l’opinione pubblica formata dai sin-goli cittadini o dai vari corpi morali interferisca nelle attivitàdel potere pubblico»; ed ancora: «A questo si contrappone ilmetodo di libertà, il quale parte dalla convinzione che lo svi-luppo della personalità non può essere normale in un ambien-te di costrizione, ma in un ambiente libero. […] A Londra inHide Park, chiunque può parlare al pubblico di tutto: politica,religione, arte, storia. Il pubblico interviene, si formano deigruppi differenti; qua cattolici, là protestanti, là comunisti, osocialisti, o liberali, o femministi e così via. Tutti ascoltano einterloquiscono, col desiderio di conoscere e di apprendere.Nessuno disturba; nessuno protesta; nessuno si agita. La poli-zia è lì, con poche guardie, e senza armi. Convinzione di liber-tà, tradizione amata, educazione di reciproca tolleranza. Sa-rebbe ciò possibile a Madrid, a Parigi, a Roma?»16.

Sturzo riconduce l’autorità, l’unica che possa dirsi legittima inquanto si fonda sul “metodo della libertà”, alla dimensionepersonale e alla coscienza individuale, dal momento che a nes-suno spetterebbe la pretesa di possedere il “quid” dell’autoritàsu un altro uomo, ovvero: nessun uomo nascerebbe con laqualità dell’autorità su un altro uomo. Oltretutto, per Sturzo,la base del fatto sociale è la persona e non “un’astratta autori-tà pubblica”. L’autorità è un attributo che spetta a ciascunapersona, dal momento che siamo tutti figli dello stesso Padre.Certo, per ordinare e orientare al meglio la convivenza civile,gli uomini si organizzano in modo tale che il processo evoluti-vo con il quale si concretizza l’istituzionalizzazione dell’agireumano faccia sì che l’autorità di ciascuno non leda e, piutto-sto, promuova la libertà degli altri, ma così la persona non ri-nuncia all’autorità, semmai la orienta ad un fine che giudicasuperiore (trascendente) proprio per il perseguimento del be-

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ne che gli è proprio: «il bene individuale che è vero bene […]diviene per se stesso bene comune»17.

Scrive Sturzo: «C’è un’altra categoria che nega l’autorità, ed èquella dei detentori del potere quando ne abusano; essi rendo-no l’autorità esosa, irragionevole, debole; essi disintegrano lasocietà dando motivo alle resistenze e alle ribellioni»18. In al-tre parole, i detentori del potere pubblico possono rivelarsi iprimi nemici dell’autorità. In questo caso, il potere arbitrarionon esercita “l’autorità pubblica”, bensì nega quella individua-le, l’unica che abbia una concreta ragione di esistere: «In so-stanza l’unico vero agente della società è l’uomo individuo inquanto associato con altri uomini a scopi determinati»19. Ilcompito della politica è di garantire l’autorità individuale, co-struendo, per via “evolutiva-processulae”20, pubbliche istitu-zioni, e relativi istituti giuridici, che la esaltino21. L’eserciziodel potere sarà dunque pubblico, mentre l’autorità sarà talesolo e soltanto nella misura in cui sarà possibile ridurla alla co-scienza individuale. Con tali premesse, la politica può diventa-re una vera e propria opera d’arte, la più alta forma di carità22.

A questo punto sorge il problema di come armonizzare le sin-gole autorità individuali, affinché la libertà individuale non sirisolva in anarchia; anche in questo caso, il temine di riferi-mento e il soggetto ordinatore per Sturzo è la persona: «Se-condo noi è solo la coscienza individuale, cioè l’uomo raziona-le, colui che effettivamente risolve in sé ogni forma sociale, eche nella sua autonomia unifica tutti i vari elementi della so-cialità umana. Egli gerarchizza i fini delle varie forme sociali,nelle quali esplica le sue attività, essendo metafisicamente iltermine e il fine della società»23; la gerarchia dei valori è sem-pre individuale, mai politica. A questo proposito, Sturzo parladi due tendenze: una immanente ed una trascendente. La pri-ma, che è naturalmente variegata al suo interno, ha a che farecon le passioni e gli interessi che affliggono la vita quotidianadi ciascun uomo: lavorare, guadagnare, crescere i figli, realiz-zare opere; insomma, tutto ciò che ha a che fare con l’umanacontingenza: vivere, amare, soffrire, gioire.

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La seconda tendenza è la ragione che trascende le intenzioniimmediate, chiedendosi, in definitiva: perché, nonostantetutto: le angosce, le sofferenze, le miserie mie e delle personeche mi stanno accanto, continuo ad operare, a lavorare, a sa-crificarmi? Il fine trascendente è la ragione ultima che ci spin-ge a vivere e ad andare avanti quando tutti gli indicatori uma-ni ci consigliano di andare indietro; è la ragione ultima che cispinge a dire di no alla logica dettata dalle proposizioni “adogni costo” e “a qualsiasi prezzo”. Ecco, questo è il principiounificatore che, per chi crede nel Dio dei cristiani, è Gesù mor-to e risorto, è il suo Vangelo, il suo invito a vivere il misterodella Croce come cifra/misura del carattere autenticamenteumano delle istituzioni politiche, ma anche economiche e cul-tuali. L’unificazione non è data da una vaga idea di Dio, ma dalvolto misericordioso di Cristo in croce che redime il mondo edall’impegno di persone che salgono quotidianamente sullapropria croce, agendo nelle istituzioni, non rinunciando maialla ragione ultima per la quale lavorano, guadagnano, gesti-scono il potere e comandano.

In definitiva, per Sturzo, il cristiano, e a fortiori il politico cri-stiano, non rinuncia a vivere una vita piena, ma assume comeprincipio ultimo qualcosa che trascende il suo immediato in-teresse. Ecco il principio “unificatore trascendente”, che poi siriduce nella massima evangelica: “dove due o più sono unitinel mio nome io sono in mezzo a loro”.

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Note

1 «Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazionesociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usa-re tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politicadiventa allora una «religione secolare», che si illude di costruire il paradiso inquesto mondo»; Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 1 maggio 1991, n. 25.2 «L’autorità non un elemento estraneo al corpo sociale né sovrapposto adesso, né monopolio di pochi o di una persona, ma è la proiezione necessariae costante dello stesso corpo sociale che si esprime come autorità nel mo-mento ordinario, nell’attività costruttiva, nel moto unificatore»; Luigi Stur-zo, La società. Sua natura e leggi [1935], Rubbettino, Soveria Mannelli. 2005,pp. 74-753 «Vorrei solo riuscire a comprendere come mai tanti uomini, tanti villaggi ecittà, tante nazioni a volte, sopportano un tiranno che non ha alcuna forzase non quella che gli viene data, non ha potere di nuocere se non in quantoviene tollerato. Da dove ha potuto prendere tanti occhi per spiarvi se nonglieli avete prestati voi? come può avere tante mani per prendervi se non èda voi che le ha ricevute? Siate dunque decisi a non servire più e sarete libe-ri!»; Etienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria; in G. Sharp, Poli-tica dell’azione nonviolenta - Potere e Lotta, Edizioni Gruppo Abele, Torino,1985, pp. 28-29.4 «La forma politica non si confonde con l’autorità, e che l’autorità politicanon è tutta l’autorità, ma semplicemente l’autorità politica, cioè quella cheha cura dell’ordine e della difesa della società»; ivi., p. 67.5 «Purtroppo le parole: bene comune e prosperità pubblica, sono termini gene-rici da potersi attribuire come fine ad ogni società. Nessuno può negare chela famiglia tenda al bene comune familiare, la chiesa al bene comune religio-so e lo stato al bene comune politico»; ivi., p. 66.6 L. Sturzo, Politica e morale (1938) – Coscienza e politica. Note e suggerimentidi politica pratica (1953), Zanichelli, Bologna, 1972, p. 375; ed anche: «la ri-cerca del bene comune […] è fatta sempre in funzione del bene dei singoli as-sociati»; Id., Del metodo sociologico(1950) – Studi e polemiche di sociologia(1933-1958), Zanichelli, Bologna, 1970, p. 68; ed anche: «il finalismo dellasocietà […] che noi diciamo bene comune è […] è meglio precisato sottol’aspetto del diritto della persona umana»; Id., Politica e morale…., cit., p. 376. 7 Dignitatis humanae, n. 6, in Documenti. Il Concilio Vaticano II, V ed., EdizioniDevoniane, Bologna 1967.8 «la base del fatto sociale è da ricercarsi solo nell’individuo umano presonella sua concretezza e complessità e nella sua originaria irrisolvibilità […]

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in concreto si danno solo individui in società»; L. Sturzo, La società…, cit., p.5. Secondo il filosofo Dario Antiseri, il “personalismo metodologico” stur-ziano incontra l’“individualismo metodologico” della Scuola austriaca nellamisura in cui assuma che: «Ad agire sono sempre e soltanto gli individui. Ele azioni umane intenzionali danno origine, in linea generale, a esiti inin-tenzionali. E questo per ragioni logiche: 1) perché infinite sono le conse-guenze di un’azione umana al pari delle conseguenze di una teoria scientifi-ca, 2) perché, in linea di principio, infinite sono le possibili interazioni tra lediverse azioni e le loro conseguenze, cioè perché infiniti sono i possibili in-contri casuali di catene causali indipendenti; 3) perché in sistemi aperti allacreazione e alla ricezione di flussi di informazioni, vengono moltiplicate lepossibilità delle iniziative e, quindi, delle interrelazioni. Ebbene, è propriol’analisi delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionaliche gli individualisti – quelli “veri”, per dirla con Hayek – vedono il principa-le (Menger e Popper, per esempio) o addirittura esclusivo (Hayek) dellescienze sociali teoriche»; D. Antiseri, Prefazione, AA.VV., L’individualismo nel-le scienze sociali. Storia e definizioni concettuali, A cura di Enzo Grillo, Rubbet-tino, Soveria Mannelli, 2008. p. XI.9 Cfr. Karol Wojtyla, Persona e Atto, Libreria Editrice Vaticana, Città del Va-ticano 1980, pp. 62-83; ai fini di una interpretazione dell’opera filosofica diWojtyla, con particolare riferimento al tema della coscienza e dell’autoco-scienza del soggetto, cfr. Rocco Buttiglione, Il pensiero dell’uomo che divenneGiovanni Paolo II, Mondadori, Milano 1998, pp. 159-174.10 Cfr. Flavio Felice, La luce della fede e la città dell’uomo, in Dario Antiseri –Flavo Felice, La vita alla luce della fede. Riflessioni filosofiche e socio-politichesulla “Lumen fidei”, Rubbettino, 2013, pp. 51-53.11 Secondo Rosmini le critiche rivolte al perfettismo «non sono volte a nega-re la perfettibilità dell’uomo e della società. Che l’uomo sia continuamenteperfettibile fin che dimora nella presente vita, egli è un vero e prezioso, è undogma del cristianesimo»; Antonio Rosmini, Il comunismo e il socialismo, inId., Filosofia della politica, a cura di Gianfreda Marconi, Centro Internaziona-le di Studi Rosminiani, Città Nuova, Roma, 1978, Vol. IV, p. 540.12 Cfr. Daron Acemoglu – James A. Robinson, Perché le nazioni falliscono. Alleorigini di prosperità, potenza e povertà, il Saggiatore, Milano 2013.13 F. Felice, La luce della fede e la città dell’uomo…, cit., pp. 56-57.14 F. Felice, Poverty, Inclusion, Institutions. A Challenge for Latin America andthe European Union, “The EuroAtlantic Union Review”, Vol. 3 No. 1/2016,pp. 101-118.15 Circa il “metodo della libertà” nel contesto teorico del catotlicesimo libe-rale, cfr. F. Felice, Personalismo liberale e Vaticano II, in AA.Vv., Rosmini e

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RicercheFlavio Felice - La sfida della realtà: autorità come principio unificatore trascendente

Newman padri conciliari, Atti del XIV corso dei Simposi rosminiani, 28-31agosto 2013, Edizioni Rosminiane Stresa, Boca (NO), pp. 231-250.16 L. Sturzo, La società…cit., pp. 187-193.17 L. Sturzo, Del metodo sociologico…, cit., p. 66.18 L. Sturzo, La società…cit., p. 159.19 L. Sturzo, Del metodo sociologico…, cit., p. 12.20 «Non è lo stato che crea ex nihilo un ordine, poiché la politica non puòcreare l’etica; ma è lo stato che riconosce un ordine etico-sociale che gli uo-mini elaborano ed esprimono perché soggetti razionali»; L. Sturzo, La socie-tà…cit., p. 76.21 «noi riteniamo il termine « come adatto, sociologia, a indicare il fissarsidelle diverse attività in forma strutturale, come organi e messi idonei e per-manenti a raggiungere determinati fini. Perciò l’istituzionr può essere con-siderata non solo come una risultante ma come un’oggettivazione dell’atti-vità umana e dei suoi fini»; ivi, p. 226.22 La prospettiva sturziana sulle nozioni di “bene comune” e di “autorità”sembrerebbe anticipare quella magisteriale di “via istituzionale della carità”,elaborata da Papa Benedetto XVI: «Volere il bene comune e adoperarsi per es-so è esigenza di giustizia e di carità. Impegnarsi per il bene comune è prender-si cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioniche strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente ilvivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tantopiù efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comunerispondente anche ai suoi reali bisogni. Ogni cristiano è chiamato a questacarità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenzanella pólis. È questa la via istituzionale — possiamo anche dire politica —della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che in-contra il prossimo direttamente, fuori delle mediazioni istituzionalidella pólis»; Benedetto XVI, Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 723 L. Sturzo, La società…cit., p. 159.

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Diritto Pubblico e DSC oggi:

tensioni e problemi

di Massimiliano Di Bartolo

DSC e la sfida del lavoro

di Mons. Fabio Longoni

«Laudato Sì»

Il popolo e la casa che abita

di Ernesto Preziosi

Perché approfondire la

Gaudium et Spes

a cura di Oreste Bazzichi

Eglise et politique dans le 50

anniversaire de Gaudium et Spes

di Père Stanislaw Skobel

Studi

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Il tema delle istituzioni nella sfida della realtà alla luce dellaGaudium et Spes ci riporta direttamente tra gli altri, anche al te-ma dello Stato sociale, essendo lo Stato un’istituzione pubblicae laica che nella storia dell’uomo ha sempre costituito anche unpunto di riferimento valoriale per la vita dell’uomo in generale.In particolare il fondamento teologico dello Stato sociale lotroviamo nel fatto, riconosciuto dalla stessa Costituzione pa-storale Gaudium et Spes, che ogni uomo è stato creato ad “im-magine e somiglianza di Dio” come ci viene detto dal Librodella Genesi. La Gaudium et Spes aggiunge, riferendosi all’uo-mo, «ad immagine di Dio e capace di conoscere e di amare ilsuo Creatore, e che fu costituito da lui sopra tutte le creatureterrene quale signore di esse, per governarle e servirsene agloria di Dio». In particolare poi nel capitolo II, dedicato al te-ma della “Comunità degli uomini”, ci si sofferma sul fonda-mento della pari dignità di ogni uomo, proprio in quanto uo-mo e come tale creato da Dio; una dignità, per così dire “nomi-nale”, che deve tuttavia essere concretamente realizzata pro-prio nella vita comunitaria, proprio nello stare insieme che èconnaturato all’essere uomo: infatti dalla pari dignità di tutti

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Diritto Pubblico e DottrinaSociale della Chiesa oggi:tensioni e problemi

di Massimiliano Di Bartolo,Università Roma Tor Vergata

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gli uomini deriva il fatto che gli uomini, tutti, devono poter vi-vere come fratelli, senza esclusioni, proprio in quella vocazio-ne comunitaria che è loro propria.Questa vocazione umana all’indole comunitaria, deve dunqueconcretamente essere realizzata nel principio del Bene Comu-ne, o se vogliamo, in termini più tecnici, nella Giustizia socia-le. Promuovere il bene comune e rimettere al centro dello Sta-to l’uomo nella sua integralità, sarebbe il compito precipuodello Stato in quanto tale, ovvero come istituzione laicamenteintesa a promuovere e realizzare il Bene e la felicità Umanapienamente, per quanto attiene alla sfera dei beni materialima che poi si traduce anche inevitabilmente nella possibilitàdi attingere anche ai beni più alti che realizzano la felicitàumana, ovvero la formazione individuale, la promozione dellacultura e della crescita spirituale, ed in ultima analisi, la realiz-zazione di un qualche tipo di felicità terrena, che sia la più vi-cina possibile alla perduta dimensione del Paradiso terrestre,o per dirla con Sant’Agostino, alla Città di Dio.

Tuttavia possiamo affermare che nel modo attualmente piùdiffuso di percepire lo Stato, non solo è seriamente messo indiscussione lo Stato sociale, ma probabilmente è già abbon-dantemente compromesso. Il tema da introdurre è provocato-rio, nel senso che “provoca le nostre coscienze”.Infatti viviamo in un’epoca “liquida”, in cui sono venuti menotutti i riferimenti identitari dell’uomo in quanto tale. I valoritradizionali e finanche le istituzioni sia civili che religiose,hanno perso completamente il loro ruolo di riferimento e diindirizzo nella vita delle persone, per la vita di ogni singolo in-dividuo. In un mondo nuovo, sempre più “globalizzato”, sem-pre più villaggio globale, tendono a perdersi le identità vec-chio stile, quelle non negoziabili. Esse risultano inadatte, opiuttosto appaiono come tali, cedendo il passo alle sempre piùfragili, innumerevoli e fugaci opportunità e scelte. Siamo, opossiamo essere, tutto ed il contrario di tutto; ed anzi il conti-nuo cambiamento, la continua trasformazione, è sintomo dimodernità, di progressismo: essere “al passo con i tempi”, “allamoda”, “trendy” è un dovere. Chi si ferma è perduto.

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In questo magma pseudo-evolutivo, rimane però nel fondo diogni uomo, indelebile, una domanda: chi sono io?Anche lo Stato non fa eccezione a questo destino di oblio e diappannamento identitario che sembra ineluttabile: come af-ferma uno dei più noti ed influenti pensatori attuali al mon-do, Zygmunt Bauman, nella sua ormai celebre Intervista sul-l’identità, la «Globalizzazione significa che lo Stato non ha più ilpotere o la volontà per mantenere inespugnabile il suo matrimoniocon la società... i governi dell’Europa centro-orientale hanno aper-to il patrimonio nazionale al capitale globale e hanno smantellatotutte le barriere che ostacolavano il libero flusso della finanza glo-bale». Le sempre più vistose cessioni di sovranità degli Stati afavore di organismi internazionali, spesso deresponsabilizzatipoliticamente, hanno determinato un’abdicazione anche delruolo principale che contraddistingueva, fino alla secondaparte inoltrata del secolo scorso, l’attività fondamentale delloStato: quella di organizzare, o almeno tentare di organizzare, irapporti tra cittadini e istituzioni ed i rapporti dei cittadini tradi loro, in quel “progetto” di sistema integrale ed integrato didiritti e di doveri, che ha costituito, e a nostro avviso dovrebbecontinuare a costituire, la misura ed il terreno di sviluppo diuna convivenza solidale e responsabile dei cittadini, ispirata aiprincipi della Giustizia.

Invece notiamo che lo Stato oggi si limita ad interventi fram-mentari e contingenti, senza affrontare una crisi, che primache economica è di valori, nella sua complessità. Infatti non èpossibile costruire una comunità più giusta per tutti prescin-dendo da un disegno o da un progetto organico di Stato e disocietà, che si fondi su una visione integrale dell’uomo.Riportare al centro l’uomo, prima che il capitale finanziario, èun’esigenza impellente, come lo stesso Papa Francesco più volteha tenuto a sottolineare, condannando la “cultura dello scarto”,che ricerca “l’efficienza dei sistemi” a scapito dei valori della per-sona. Ripensare un diritto pubblico ed un’azione dello Stato di-versa da quella che fino ad oggi si è delineata, è urgente. Alcuni lamentano da una parte, per venire ad analizzare più inparticolare la realtà italiana, la non piena attuazione della Co-

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stituzione repubblicana, che pure non solo prevede e sancisceun’idea di giustizia formale, ma anche e soprattutto un’idea digiustizia da realizzare concretamente, sostanziale, richieden-do alle istituzioni di attivarsi per rimuovere tutte le disegua-glianze e gli ostacoli di natura economica, sociale e politica,che impediscano di attuare un’effettiva partecipazione di tuttii cittadini alla fruizione delle risorse e delle opportunità cherendano la vita di ciascun individuo piena e soddisfacente.

Altri lamentano invece dall’altra il pieno fallimento, e non so-lo la mancata attuazione, di questa impostazione apostrofatacome “assistenzialista”, denunciandone le derive in termini dicorruzione di apparati dello Stato, e auspicando una prospet-tiva di neoliberismo radicale.Quest’ultima linea politico-dottrinale è stata peraltro corro-borata negli anni più recenti, e abbondantemente, dai feno-meni di corruzione dello Stato cosiddetto “assistenzialista” ene è stata denunciata, a volte anche strumentalmente, la deri-va ed il fallimento.

Tuttavia ad oggi questa posizione deve fare i conti con un datodi fatto allo stesso modo evidente ed incontrovertibile: il falli-mento altrettanto clamoroso della prospettiva radicale neoli-berista, dal momento che le sacche di povertà e le disegua-glianze sociali nel mondo globalizzato ed anche all’interno de-gli stessi Stati occidentali economicamente più avanzati, si èaccresciuta. La forbice ed il divario tra i pochi ricchi ed i tantis-simi poveri nel mondo è sempre in aumento inarrestabile. Ovviamente sarebbe un grave errore se si pensasse come pos-sibile soluzione solo ad una tecnica puramente economica: igoverni tecnocratici hanno abbondantemente fallito sul pianodella giustizia sociale. E questo è un dato di fatto pure altret-tanto evidente. Si tratta dunque di ripensare innanzitutto la persona ed il suoruolo “centrale” nella società moderna. E da questo punto di vista la Costituzione repubblicana è anco-ra oggi di estrema attualità. Parlando di “persona” è inevitabilefare riferimento all’attualissima “questione antropologica”, la

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quale ci riporta, a sua volta e soprattutto a noi cristiani, a doverconsiderare come indispensabile che tutti i cittadini assumanocon coraggio le proprie responsabilità e diano il loro specificocontributo alla costruzione della casa comune, alla luce del Vange-lo. E innanzitutto alla luce del comandamento dell’amore che ilCristo ha donato ai suoi discepoli con il primo e più importantedei comandamenti: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore,con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua men-te ed il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,25-37).

In realtà oggi si è sviluppata invece un’idea distorta del mes-saggio di Gesù, secondo cui la “salvezza dell’anima” risulta es-sere un fatto individualistico, che si realizzi esclusivamentenella sfera privata ed interiore di ogni singola persona; e que-sto obiettivo di “salvezza” non deve assolutamente interferirecome valore e come sentimento nella sfera pubblica, politica esociale. In epoca premoderna era assolutamente pacifico chela religione dovesse avere anche un ruolo ed un risvolto pub-blico, in una visione di umanesimo integrale. Nessuno si scan-dalizzava di questo. La scissione tra religione e tutte le altresfere dell’agire umano sono il frutto di una cultura nata inepoca moderna. Oggi a seguito della globalizzazione, anchedella cultura, ed in particolare anche di quella religiosa, pur ri-manendo forte l’impulso del senso religioso che è proprio diogni uomo, abbiamo incominciato a confondere nella sempremaggiore “liquidità del villaggio globale”, laicità e laicismo ni-chilista. Anche la laicità dello Stato non può essere intesa ni-chilisticamente come annullamento di ogni manifestazione oprofessione pubblica di fede, proprio perché ogni cultura ha lasua religione che fa parte della propria tradizione e della pro-pria storia. Cioè è parte del DNA sociale che oggi ciascuno dinoi ha in eredità, di ciò che oggi noi siamo: in una parola dellapropria identità in positivo. La laicità non è fatta per negare oannullare, ma per promuovere nel pluralismo e nel dialogo, lanostra identità, ciò che noi siamo, indipendentemente dal cre-do religioso che poi intimamente ognuno segue. Insomma ilmulticulturalismo non può fare a meno di un riconoscimentoreciproco di identità, anche culturali e religiose, in positivo: è

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questo un insegnamento fondamentale della Gaudium et Spes,oggi più che mai attuale anche alla luce dei fatti terroristici diParigi di questi giorni, e del dibattito sul fondamentalismo re-ligioso islamico della Jihad, come già anni fa ebbe modo di an-ticipare nel famoso Discorso di Ratisbona, l’allora Papa Bene-detto XVI. Ma aggiungerei che è anche un valore ed un inse-gnamento dell’altra istituzione di cui sentiamo oggi in Italiaveramente la mancanza, come già detto, e cioè dello Stato,nella sua tormentatissima configurazione della Costituzionerepubblicana.

Ma il problema grave della cultura contemporanea occidenta-le, è invece il vuoto lasciato anche dalla religione, oltre che dal-le istituzioni statali, in una società sempre più secolarizzatache ritiene di fare a meno di Dio in quanto tale, e comunqueesso venga inteso. Un vuoto dogmatico lasciato dal nichili-smo, che reca danni notevoli all’uomo in termini di impoveri-mento culturale, spirituale e di riflesso anche materiale.Come afferma Benedetto XVI nella sua Enciclica Spe Salvi, ècon Bacone che la scienza, intesa come tecnica, e cioè comeprassi, prende il sopravvento sulla creazione. Con le scopertetecniche l’uomo ha sperimentato la sempre più grande possi-bilità e capacità di trasformare la natura ed il creato a propriopiacimento. La «vittoria dell’arte sulla natura» (victoria cursusartis super naturam) determina una nuova correlazione trascienza e prassi. «Ciò viene poi applicato anche teologicamente:questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe cheil dominio sulla creazione, dato all’uomo da Dio e perso nel peccatooriginale, verrebbe così ristabilito», in modo del tutto errato esconcertante, come fa notare analizzando la questione il Papaemerito Bendetto XVI nella sua Enciclica.Dunque possiamo concludere, prendendo sempre in prestitole parole di Benedetto XVI che «questa redenzione, la restaura-zione del «paradiso» perduto, non si attende più dalla fede, ma dalcollegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fe-de, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spo-stata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ul-traterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevan-

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te per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato ilcammino dei tempi moderni e influenza pure l’attuale crisi della fe-de che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristia-na. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma.Ora si chiama: fede nel progresso. Per Bacone, infatti, è chiaro chele scoperte e le invenzioni appena avviate sono solo un inizio; chegrazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte total-mente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno del-l’uomo». (Benedetto XVI, Spe salvi).Dunque la nascita della tecnocrazia e l’idea secondo cui, con ilprogresso della tecnica, ovvero della scienza applicata in tuttii campi ed anche nelle cosiddette “scienze umane”, l’uomo puòfare a meno di Dio non solo nel diritto ma anche nella politicae nell’economia, ha fatto sì che l’uomo in quanto tale, sia statosempre più “analizzato” come semplice variabile del sistema, enon nel valore altissimo che nella creazione Dio stesso gli haconferito come “centro” del sistema, in quanto creato a “Suaimmagine e somiglianza”.Ciò ha pesato nella cultura moderna, nel diritto e anche nellapolitica e nell’economia: ha pesantemente condizionato ancheil modo di intendere lo Stato, in cui la persona umana è unadelle tante variabili, un dato statistico nel sistema, un sistemache deve risultare efficiente per creare il mondo perfetto. Sna-turando completamente anche la nostra Costituzione repub-blicana, che invece si fondava sui valori altissimi della personae della sua dignità.

Compito di queste giornate del Festival della dottrina socialedella Chiesa dovrà essere allora, a nostro avviso, anche quellodi denunciare questo processo che provocatoriamente potrem-mo sintetizzare come la “perdita del ruolo fondamentale delloStato per l’uomo”. Denunciare cioè la grave perdita di senso edella ragione stessa dell’esistenza delle istituzioni statali, e co-me ricostruirlo per un futuro più inclusivo e di Giustizia. A noicattolici il compito di cogliere, per dirla con il filosofo GiuseppeCapograssi nella sua Introduzione alla vita etica, «la pallida filo-sofia, che l’uomo comune tenta nella sua vita» perché «incapace diandare oltre la vita quotidiana dell’individuo empirico».

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

Orientamenti pastorali per gli anni ’90: Evangelizzazione e te-stimonianza della carità (38-49).

Gaudium et Spes, 24 (Parte I. Capitolo I: La dignità della personaumana; capitolo II: La comunità degli uomini).

L. BARONIO, a cura di, Legalità e solidarietà in una Europa inter-culturale, Edizioni Dehoniane, Bologna 1993.

Z. BAUMAN, Intervista sull’identità, a cura di Benedetto Vecchi,Edizioni Laterza, Bari, 2003.

Spe salvi, Lettera enciclica di Benedetto XVI

G. LA PIRA, in La Costituzione della Repubblica nei lavori prepara-tori dell’Assemblea Costituente, Camera dei Deputati – Segreta-riato generale, Roma 1976, vol. I, p. 313-324

S. AGOSTINO, De moribus ecclesiae catholicae, 1,25,46

G. CAPOGRASSI, Analisi dell’esperienza comune, in Opere, vol. II,Giuffrè, Milano, 1959.

G. CAPOGRASSI, Introduzione alla vita etica, in Opere, III, Giuffrè,Milano, 1959;

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La strada di Firenze in fedeltà alla Gaudium et spesIl tema generale ‘la sfida della realtà’ e il suo coincidere con il 50°anniversario della Gaudium et spes, oltre alla celebrazione recen-te del Convegno Nazionale della Chiesa Italiana a Firenze (9-13novembre 2015), mi inducono a coniugare queste riflessioniverso un unico orizzonte. In quanto Direttore Nazionale del-l’Ufficio CEI per i problemi sociali e il lavoro, incontro molti ve-scovi e operatori di pastorale sociale nelle diverse regioni pasto-rali; in questo contesto, si palesano le esigenze del territorio, lenecessità che le istanze concrete pongono alle nostre Chiese eche richiedono di essere coniugate con il Magistero sociale.Per comprendere il ruolo della comunità ecclesiale, prima diaffrontare la esposizione di queste richieste, è necessario ri-partire da una lettura di alcuni contenuti del paragrafo n. 76della Gaudium et spes:

“La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, innessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è lega-ta ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia delcarattere trascendente della persona umana.” (…) La Chiesa stes-

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StudiFabio Longoni - DSC e la sfida del lavoro

DSC e la sfida del lavoro

di Mons. Fabio Longoni,Direttore CEI dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e illavoro, giustizia, pace e custodia del creato

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sa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propriamissione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza neiprivilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa rinunzierà al-l’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasseche il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimo-nianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare lafede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza osta-coli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio mo-rale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò siarichiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezzadelle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che so-no conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la di-versità dei tempi e delle situazioni.”1

All’interno del paragrafo riportato appare evidentissimal’emergenza di due polarità rispetto alla azione ecclesiale: ca-pacità di rinuncia al potere, qualora questo facesse dubitaredell’integrità della missione e, dall’altra parte, assoluta fedeltàal mandato testimoniale. Si rileva facilmente la consonanza con quanto appare all’inter-no del Discorso tenuto da Papa Francesco a Firenze:

“Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere,d’immagine, di denaro, la povertà evangelica è creativa, coglie, so-stiene, ed è ricca di speranza”, per poi ribadire che “i credenti so-no cittadini”2.

Da una parte, il Pontefice reclama il dovere di rinuncia al pote-re mondano, dall’altra, invita i credenti ad essere cittadini cheoperano nelle istituzioni al servizio del bene comune.Tornando al tema della ‘realtà sfidante’ e riproponendolo se-condo un’ottica pastorale, l’interrogativo previo non può cheessere: chi, accettando le indicazioni di Papa Francesco, operasecondo i dettami della dottrina sociale all’interno delle no-stre diocesi e delle nostre comunità, non perseguendo posizio-ni di potere, ma rendendosi disponibile alla costruzione delbene comune?

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Chi è il soggetto della pastorale sociale, che pone in pratica leproposte della dottrina sociale della Chiesa?

Chi è il soggetto della pastorale sociale?

La domanda centrale che ci viene posta, anche come studiosidi dottrina sociale, non può prescindere dal chiederci ‘chi fa’pastorale sociale? I soggetti di questa azione corrispondono aivescovi? Gli orientamenti operativi fanno capo agli esperti dipastorale sociale, ad organismi rappresentativi come associa-zioni e movimenti? O, altrimenti, questo compito spetta al-l’intero Popolo di Dio, attraverso gli organismi deputati secon-do il Codice di diritto canonico, in un costante discernimento,mediante gli strumenti della fedeltà evangelica e della dottri-na sociale?Per rispondere alla sfida della realtà: i Consigli pastorali dioce-sani, i Consigli parrocchiali non sono forse il luogo privilegia-to dalla ecclesiologia conciliare di tale servizio? Se essi, adesempio, dedicassero almeno una occasione annuale di incon-tro del Consiglio pastorale (parrocchiale o diocesano) a unproblema del territorio, a una situazione legata alla realtàquotidiana della propria diocesi o della propria area di resi-denza, assolverebbero a questa istanza cruciale, assumendo laresponsabilità di essere all’interno del territorio fermentoevangelico secondo il mandato della dottrina sociale?La storia ci insegna che la pastorale sociale, nel contesto deldopoguerra, fu delegata dalla Chiesa alle associazioni laicali,ma oggi con sano realismo possiamo affermare che le nostreassociazioni laicali, anche le più importanti, sono attive suquesto versante? Che esse siano, ancora, un riferimento cultu-rale portante dell’impegno sociale, anche presso le istituzioni?Sono esse capaci di pensiero sociale, di discernimento sociale,di azione sociale cristianamente ispirata? E quando queste as-sociazioni assumono questo ruolo lo compiono in favore delbene comune o in quanto portatori di un interesse proprio,magari legittimo, ma ‘distratto’ dal fine malcelato di una azio-ne tesa ad acquisire potere?Papa Francesco ci dice al paragrafo 33 della Evangeli gaudium:

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“La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodocriterio pastorale del ‘si è fatto sempre così’. Invito tutti ad essereaudaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, lestrutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comuni-tà. Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comuni-taria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in merafantasia. Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gliorientamenti di questo documento, senza divieti né paure. L’im-portante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli e spe-cialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discerni-mento pastorale.”3

Da questa chiara proposta è necessario partire, per rispondereall’interrogativo iniziale. Il soggetto è e deve essere l’interoPopolo di Dio nelle sue articolazioni territoriali. L’invito è acamminare come Popolo in stretta unità con i Pastori, in vistadi un sano discernimento scevri da ogni perseguimento delpotere mondano, fosse anche in vista di fini che riteniamo ne-cessari alla missione ecclesiale: questa sollecitazione deve di-ventare dirimente per ogni azione pastorale.

Questioni aperte

Da queste premesse nascono alcune domande, che pongo allaattenzione di coloro che si dedicano allo studio e all’insegna-mento della dottrina sociale, a partire dalle loro competenzeaccademiche nei diversi campi, domande che nascono dallasfida della realtà.

- Dinanzi alla crisi della democrazia rappresentativa, altri-menti detta ‘della politica’, quale via d’uscita, può trovarela pastorale sociale?Mi sembra oggi necessario un ripensamento a partiredalla esperienza pratica delle nostre comunità, che ag-ganci a proposte concrete, ad ‘esercizi reali’, la nostraidea di politica, così come scaturisce dalla dottrina socia-le della Chiesa. Su questo versante, una pastorale socialeche spinga ad esercitare modelli di democrazia deliberati-va a partire dalle situazioni dei territori, che induca ed

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eserciti le persone a deliberazioni, attraverso discussioni,a cui seguano decisioni, e infine capacità di portare avan-ti determinati cambiamenti, come può essere sostenutada un pensiero sociale cristiano?

- Le nostre Scuole di formazione all’impegno sociale e poli-tico, la cui necessità è stata ribadita anche nel ConvegnoEcclesiale di Firenze, hanno un senso se sono scuole diuna politica attiva, in cui riveste un ruolo fondamentalela conoscenza della dottrina sociale, ma siano anche scuo-le di esercizi, una sorta di ‘formazione duale’, dove allaformulazione teorica si accompagnino esperienze coin-volgenti di ‘volontariato politico’, per rispondere – attra-verso la cittadinanza attiva – al ‘bene comune concreto’per quel territorio. In questo senso, ricordo che esistonoPaesi europei che hanno dato forma legislativa a questa‘democrazia di prossimità’. Come oggi gli studiosi dellediscipline giuridiche e politiche intendono supportarequesto orientamento, affinché si adottino anche in Italialeggi simili?

- Sul piano economico, rispetto alla crisi del welfare state,quali modelli possiamo offrire in alternativa e in concor-danza con la dottrina sociale della Chiesa? Ad esempio,dobbiamo cominciare a lavorare sulla sussidiarietà circo-lare, a farla conoscere ed apprezzare, per contrastare conmodelli alternativi, lo Stato assistenziale. Come favorirequesta alternativa sul piano della legislazione?

- Rispetto alla crisi del turbo-capitalismo anarco-finanzia-rio, possiamo appoggiare ‘in toto’ modelli particolari dieconomia, quale quello dell’economia civile o quello dellaeconomia sociale di mercato, o dobbiamo portare avantianche un’idea di democrazia economica molto più ampia,per cui, ad esempio, ribadire in linea con la dottrina socia-le della Chiesa certi articoli della Costituzione ancora so-stanzialmente inapplicati, quali l’articolo 46 che incorag-gia: “la Repubblica a riconoscere il diritto dei lavoratori acollaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, allagestione delle aziende”?

- Riguardo all’uso-abuso dei beni comuni, sappiamo come

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il tema dei commons è sempre più all’attenzione anche del-l’ultima Enciclica papale, la Laudato si’4: cosa significa pro-porre modelli di ecologia umana, di ecologia integrale ol-tre che di green economy, nel nostro Paese? Quali sono lemancanze legislative in merito e come ovviarvi?

-Cosa vuol dire, per esempio, la crisi economica, in partico-lare nei confronti della tematica della carenza di lavoroper i nostri giovani? Come integrare la nuova riforma sco-lastica per quanto riguarda la ‘formazione duale’, il contri-buto delle scuole paritarie alla educazione integrale che ladottrina sociale propone? Si necessita di una rinnovataformazione all’interno dei nostri centri pedagogici,un’educazione che integri gioco/lavoro nei nostri oratori,che sono diventati dei ‘ludoratori’, e che, al contrario, van-no resi luoghi di formazione al lavoro, alla auto-impresa.

-Alla cronica assenza di giovani laici impegnati in ambitosociale e politico, autentici conoscitori della dottrina so-ciale della Chiesa, come sostenere in pratica quanto il Pa-pa ci ha sollecitato, anche nella Laudato si’, in vista dellacreazione di vera ed effettiva competenza attiva che simetta a servizio del bene comune dei territori, esercitan-do un compito indispensabile per lo sviluppo5?

-Il Progetto Policoro, esperienza unica a livello europeo daparte della Chiesa cattolica, scommette in questo senso.Necessitiamo della creazione di leadership che coinvolga igiovani come soggetti attivi, aiutando a combattere l’ille-galità. Le nostre strutture devono diventare veri luoghiformativi di cittadinanza responsabile, affinché si possaesprimere una qualità nuova di partecipazione per poteressere poi ‘luoghi generativi’ di prospettive risolutive deiproblemi stessi.

Queste sono solo alcune delle istanze possibili: va riscontratoche uno dei limiti intrinseci, di noi studiosi di dottrina sociale,è stato ed è quello di non suscitare strade concrete di impe-gno. Forse perché non conosciamo la realtà adeguatamente?Questa costituisce per noi l’autentica ‘sfida della realtà’. Sa-premo rispondervi convenientemente?

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StudiFabio Longoni - DSC e la sfida del lavoro

Note

1 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 76. 2 FRANCESCO, Discorso durante l’Incontro con i Rappresentanti del V ConvegnoNazionale della Chiesa italiana, 10 novembre 2015. 3 ID., Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 33. 4 ID., Enc. Laudato si’, 24 maggio 2015. 5 Ad es., cf., Ibid., n. 53.

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StudiOreste Bazzichi - Perché approfondire la Gaudium et Spes

Scopo del Seminario

L’enciclica Centesimus annus, al n. 59 scrive:”La dottrina socialedella Chiesa ha un’importante dimensione interdisciplinare. Perincarnare meglio in contesti sociali, economici e politici diversi econtinuamente cangianti l’unica verità sull’uomo, tale dottrinaentra in dialogo con le varie discipline che si occupano dell’uomo”.

Riflessioni introduttive

Il Concilio Ecumenico Vaticano II, conclusosi il 7 dicembre1965 con l’approvazione dell’ultimo documento (la Costituzio-ne pastorale Chiesa e mondo Gaudium et spes), ha ridato una“carica” ai laici. Esso si può denominare anche “Concilio dei lai-ci”, perché ha indicato chiaramente il loro posto e ruolo essen-ziale nella Chiesa e si è sforzato di svegliare questo “popolo diDio“ che dormiva, dandogli la coscienza viva di essere Chiesa.

Prima del Concilio, era l’aspetto gerarchico quello che emerge-va nella Chiesa, tanto che, quando ci si riferiva alla Chiesa,

Perché approfondire lagaudium et Spes(Seminario interdisciplinare Gruppo docenti alV Festival nazionale DSC)

Instrumentum laboris

a cura di Oreste Bazzichi,Pontificia Università Seraphicum

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molti intendevano la “gerarchia”. In tale cultura, i laici si tro-vavano emarginati; non costituivano la Chiesa; erano ridotti asoggetti passivi nei quali non appariva né la dignità cristianané la libertà di figli di Dio.Il Concilio ha decisamente rifiutato queste mentalità quandoha scelto l’ordine dei capitoli nella Costituzione Dogmaticasulla Chiesa Lumen gentium. Infatti, il primo capitolo è sul “po-polo di Dio”, capitolo che non era stato previsto nello schemainiziale. In questo capitolo viene inserito il “sacerdozio comu-ne”, il quale ha la precedenza sul sacerdozio gerarchico; inoltreviene affermato che il “popolo di Dio”nel suo insieme ha ilsenso della fede e “non può sbagliarsi nel credere”; l’infallibili-tà del popolo di Dio si trova quindi espressa prima che vengaaffermata l’infallibilità dei vescovi uniti al Papa e l’infallibilitàstessa del Papa. Con questa scelta significativa il Concilio ha relegato ad un po-sto meno vistoso l’aspetto gerarchico della Chiesa, per mette-re al primo posto la realtà della comunicazione ecclesiale e del-la partecipazione di tutti alla vita della Chiesa. Questa visioneriveste un’importanza enorme per la teologia cattolica, dandoun vigoroso impulso simultaneamente al dinamismo di comu-nione e allo spirito di servizio. Anche il Codice di diritto canoni-co ha seguito accuratamente l’orientamento del Concilio. Va comunque tenuto presente che ogni affermazione dellaGaudium et spes può essere compresa in tutto il suo senso, solose collocata nel più ampio quadro della vocazione totale del-l’uomo che, creato ad immagine e somiglianza di Dio, decidedella sua sorte eterna durante il pellegrinaggio terreno. Pertanto, la Gaudium et spes è una vera e propria “arca di Noé”:in essa sono contenuti molti temi che riguardano il mondocontemporaneo. I principali sono tre:

1. Il dialogo come stile di comunicazione della Chiesa con ilmondo: la Chiesa osserva,, interroga, ascolta, e non percondannare (metodo induttivo).

2. La dignità della persona umana: “gli alti valori” dell’uo-mo, “la fraternità e la libertà” (GS, n. 39); “tutto ciò chedi vero, di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, purcosì diverse, che l’umanità si è creata” (GS, n. 42); i “va-

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lori positivi della cultura moderna, che i cristiani sonoinvitati a non misconoscere, e che in qualche modo pos-sono essere una preparazione a ricercare l’annunzio delVangelo” (GS, n. 57); in una parola, “tutto quello che divero, di buono e di bello si trova nella comunità umana”e che la Chiesa “ha come compito di promuovere ed ele-vare” (GS, n. 76). L’uomo creato ad immagine e somi-glianza di Dio, è il suo capolavoro. Questa dottrina è rie-vocata dalla Costituzione fin dal principio della primaparte, in un lungo paragrafo intitolato “L’uomo ad im-magine di Dio”(GS, n. 12). La stessa tesi sarà ripetutaancora molte volte, come un ritornello, e costituirà la ba-se di tutti i suoi sviluppi: a proposito della fraternitàumana (GS, n. 24), dell’uguaglianza fra gli uomini (n.299), del valore dell’attività umana (GS, n. 34), e della fa-miglia (GS, n. 52), nonché dei valori della cultura, del-l’intelligenza e della volontà GS, (n. 61).

3. La comunità degli uomini: la Chiesa non si confonde conil mondo, ma si pone al servizio del ben comune; con-danna le guerre, la corsa agli armamenti e la guerra co-me intervento per dirimere le conflittualità tra i popoli.

La Gaudium et spes e i laici

La Costituzione conciliare ribadisce e attualizza lo statuto deicristiani, dei fedeli laici, nella società, nella polis.

Il messaggio è forte. Nei cristiani ci deve essere la capacità diuna cittadinanza leale e, nel contempo, la consapevolezza, laresponsabilità e la testimonianza concreta nella società, an-che attraverso azioni, scelte, comportamenti che hanno un’in-cidenza politica, sociale ed economica.La Gaudium et spes al n. 38 chiama i laici a consacrarsi al servi-zio degli uomini sulla terra, al servizio dei fratelli (n.57).

Il documento conciliare (n. 76), attualizzando i tempi, ribadi-sce che i cristiani sono cittadini che appartengono alla città ealla società, impegnati nella costruzione della polis e la loro co-

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scienza cristiana deve essere l’istanza mediatrice tra fede eazione socio-politica. Vi è una funzione immediata nel parte-cipare in prima persona alla vita pubblica (amministrativa, so-ciale, politica, economica, ecc.) e una funzione mediata nel-l’umanizzazione della convivenza civile.

A 50 anni dal Concilio, la laicità dello Stato, a seguito della se-colarizzazione, richiede il riconoscimento di pretesi “diritti”, acui i fedeli laici, pur in minoranza, devono saper confrontarsi,contribuendo con coraggio all’edificazione della polis, accet-tando la logica della democrazia. Soprattutto chiede ai laici diaiutarla contro il rischi della temporalizzazione eccessiva delsuo ruolo nel mondo (nn. 70-75).

Opzione per la dignità della persona umana

Nella Gaudium et spes (nn. 14 e 15) c’è un compendio di antro-pologia biblica, fonte di ispirazione anche per la filosofia. Sitratta del valore della persona umana, si motiva la sua dignitàe superiorità sul resto del creato e si mostra la capacità tra-scendente della sua ragione e l’eccellenza della libertà: “La ve-ra libertà è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina”(GS, n. 17). La libertà dell’uomo non è negata dall’obbedienzaalla legge divina, ma soltanto mediante questa obbedienza es-sa permane nella verità ed è conforme alla dignità dell’uomo(GS, n. 17). Nel piano di Dio “l’uomo è la sola creatura sullaterra che abbia voluto per se stesso” (GS, n. 24). Pertanto lasua indole è sociale. Quindi interdipendenza tra la persona ela società. “Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni so-ciali è e deve essere la persona umana” (GS, n. 25). Da questainterdipendenza deriva il bene comune (GS, n. 26).

Opzione per la libertà

“La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelteconsapevoli e libere…del bene” (GS, n. 17). La libertà si fondasulla legge eterna scolpita nei cuori e quindi deve essere ga-rantita dallo Stato ai cittadini, alle famiglie, ai gruppi sociali.

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(Il problema della libertà religiosa viene affrontato al n. 75, nelquadro del tema dell’attività politica).

Il documento dedica all’eccellenza della libertà un solo piccoloparagrafo perché il termine libertà non ha più nella nostra epo-ca la risonanza psicologica e la forza esplosiva dei secoli XVIII eXIX. Nota, infatti, che essa è oggi molto apprezzata, e constataanche come la nozione più comune che se ne dà sia quella deifilosofi e dei giuristi: la facoltà di scegliere ciò che piace, il malecome il bene. La Gaudium et spes non pensa affatto di contesta-re il significato della libertà psicologica, perché vede in essauna condizione stessa della libertà cristiana. Infatti, quale me-rito, quale impegno ci sarebbe nel seguire Dio, se l’uomo nonfosse libero di scegliere fra il bene e il male? Essa nota tuttaviache molti confondono libertà e licenza. Il problema è sempre lostesso: l’uomo vuole affermare la sua libertà senza riferirsi aDio, come è tentato di proclamare il suo valore e la sua dignitàsenza tener conto che sono un riflesso del dono di Dio.

Dobbiamo, comunque, osservare alcune insufficienze. Peresempio: non sono state sufficientemente approfonditi i con-cetti di libertà e di liberazione dell’uomo e dell’umanità, chevengono presentati come i più alti frutti dell’attività terrena; eneppure il rapporto tra questa libertà e la libertà evangelica.Forse sarebbe stato desiderabile presentare qui esplicitamen-te la teologia della storia, evidenziando la dimensione socialee cosmica della redenzione.

Opzione per la legge naturale

La Gaudium et spes al n. 41 sostiene che alla base della vita mo-rale sta il principio di una “giusta autonomia” dell’uomo, sog-getto personale dei suoi atti. La legge morale proviene da Dioe trova sempre il lui la sua sorgente: in forza della ragione na-turale, che deriva dalla sapienza divina, essa è, al tempo stes-so, la legge propria dell’uomo. A seguito di questo, Dio conce-de all’uomo “la legittima autonomia delle realtà terrene”. Il“governare il mondo” costituisce per l’uomo un compito gran-

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de e colmo di responsabilità, che impegna la sua libertà Ciò si-gnifica che “le cose create e le stesse società hanno leggi e va-lori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e or-dinare” (GS, n. 36). La fondamentale uguaglianza di tutti gliuomini e la giustizia sociale si fondano sulla “stessa vocazionee lo stesso destino divino” (GS, n. 29). Non si può dubitare del-l’immutabilità della legge naturale perché si trova “nell’intimodella coscienza. L’uomo scopre una legge che non è lui a darsi,ma alla quale invece deve ubbidire”, e lo “chiama ad amare ilbene e a fuggire il male” (GS, n. 16).

Il documento esalta al massimo valore la coscienza, che defi-nisce “il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, lacui voce risuona nell’intimità propria” (GS, n. 16). Ma la co-scienza può perdere di dignità quando è colpevolmente erro-nea, ossia “quando l’uomo non si cura di cercare la verità e ilbene” (GS, n. 16). Dunque, il rispetto della coscienza nel suocammino verso la verità fonda i diritti della persona. Tutti gliuomini si trovano – in diversi modi e in diversi stadi – in que-sto cammino. Ma quando subentrano gli interessi materiali,influenzati dal relativismo etico, si dimenticano le certezzecirca il senso della vita umana e la sua dignità, i suoi diritti e isuoi doveri fondamentali, smarrendoci tutti nello scetticismo,nell’agnosticismo, nell’indifferentismo plurale. La Gaudium etspes indica come stella polare la prospettiva metafisica, allaquale la religione cristiana si è legata fin dalle origini, in quan-to garante della pluralità delle coscienze con la verità (n. 4).

Il diritto naturale è un ponte tra metafisica, diritto, politica e re-ligione. La Gaudium et spes, facendo riferimento a S. Tommaso(“non auctoritas facit legem, sed veritas facit legem”), ribadisceche non è la società che preordina l’uomo, ma l’essere umanoconnota umanamente la società a cui partecipa. Per questo oc-corre ammettere verità deontologiche, valide moralmente egiuridicamente, anche se non trovano corrispondenza nella re-altà empirica. Lo Stato non può che definirsi come l’istituzionemirante a consolidare e a garantire, nell’ordine della natura, ilminimo etico, in rapporto alla perfezione della legge, che è quel-

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la dell’amore. Lo Stato che mirasse a coprire tutto lo spazio el’orizzonte dell’uomo, inseguendo per lui una “perfezione”, cheè fuori della possibilità e dei suoi compiti, non potrebbe che es-sere uno Stato etico, uno Stato panteista, uno strumento per-verso che imprigionerebbe l’uomo nell’immanenza.

Opzione per il dialogo con il mondo

La Chiesa esce da una situazione di difesa e assume un atteg-giamento di dialogo aperto. Essa, come comunità umana, è fat-ta di uomini, che abitano nel mondo e che vuole santificare conla Parola di Dio. Il cristiano, pienamente uomo, non può sot-trarsi dal mondo e quindi vive in solidarietà con esso. La Chie-sa è cosi unita al mondo per volontà di Cristo. Vedere quelloche c’è in comune prima di considerare quello che divide. Il dia-logo si basa sulla corrispondenza reciproca, parola e rispostada entrambe le parti. Tale aspetto è messo più volte in risalto(GS, n.44). La reciprocità arriva fino al punto che la Chiesa puòricevere un vantaggio spirituale anche dai suoi persecutori. Es-sa non ha nessuna particolare competenza per le cose e le atti-vità terrene mondane, ma ha il compito di illuminare l’insiemedelle attività e delle situazioni umane, indirizzandole verso lasalvezza dell’uomo. Per far questo ha scelto, in una forma dipensiero accessibile a tutti, il linguaggio della legge morale na-turale, alla luce del Vangelo. Difatti, al n. 40 e al n. 43 la Gau-dium et spes sollecita il dialogo con la cultura moderna, metten-do in luce il carattere razionale - quindi universalmente com-prensibile e comunicabile – delle norme morali appartenentiall’ambito della legge morale naturale. Il pensiero filosofico è,dunque, il possibile terreno di intesa e di dialogo. Tale terrenoè oggi importante per risolvere i problemi che si pongono conurgenza all’umanità: ecologia, pace, convivenza delle razze edelle culture. “Il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispiratodal solo amore della verità…non esclude nessuno: né coloroche hanno il culto di alti valori umani, ma che ancora non neconoscono la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa”(GS, n. 10). Oggi l’umanità ha bisogno del sostegno efficace diun’etica vera e insieme planetaria (GS, n. 4).

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Opzione per la famiglia istituzione divina

E’ già un fatto significativo che tra i cinque problemi di carat-tere universale (dignità del matrimonio e della famiglia, pro-mozione della cultura, vita economica e sociale, vita della co-munità politica, pace e comunità internazionale), sentiti comeparticolarmente importanti nel dialogo tra la Chiesa e il mon-do contemporaneo, la Gaudium et spes abbia dato il primo po-sto, appunto, al problema della famiglia per fissarne il sensoesatto. L’inizio del cap. I della parte seconda della Costituzio-ne pastorale (n. 47) sintetizza, in poche parole, l’intera dottri-na. “La salvezza (il bene) della persona e della società umana ecristiana è strettamente connessa con una felice situazionedella comunità coniugale e familiare”.

Pertanto, il matrimonio va considerato come istituto naturalee come istituto soprannaturale: c’è un matrimonio patto-na-turale e c’è un matrimonio sacramento; si sposano i cristiani ei non cristiani e se è vero che il matrimonio cristiano è un sa-cramento, il matrimonio non cristiano è pure un patto natura-le a fondo religioso, istituito da Dio (e non da una convenzio-ne umana) perché iscritto nella natura umana prima di iscri-verlo nella Bibbia.

I temi affrontati: santità del matrimonio e della famiglia ( n.48);l’amore coniugale (n. 49) come vero amore e amore completo; lafecondità del matrimonio (n. 50), dove i coniugi sono coopera-tori dell’amore di Dio creatore e suoi interpreti nel trasmetterela vita umana e di crescerla e di educarla; accordo dell’amore co-niugale con il rispetto della vita umana (n. 51); l’impegno di tut-ti per il bene del matrimonio e della famiglia (n. 52).

Opzione per il pluralismo in tutti i campi

“La Chiesa…non si lega…a nessuna stirpe o nazione, a nessunparticolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica orecente. Fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo co-sciente della sua missione universale, può entrare in comunio-

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ne con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchiscetanto la Chiesa stessa quanto le varie culture” ( GS, n. 58)Tenendo conto di questo pluralismo e della propria indipen-denza di fronte a qualsiasi tipo di cultura, di regime politico,di razza e di organizzazione economica, la Gaudium et spespassa in rivista tutte quelle norme di libertà e di giustizia chedevono presiedere alla vita familiare, politica, economica e in-ternazionale. E’ una vera piccola summa di quel che dovrebbeessere una società autenticamente cristiana: non confessiona-le, non sacrale, non clericale, non unilaterale, ma realmenteconforme ai principi della dignità umana, del primato del la-voro, dei diritti naturali degli uomini e dei gruppi sociali, del-l’esigenza della partecipazione di tutti ai beni economici e aidiritti politici e educativi.

In questa realtà pluralista e autonoma la Chiesa accetta distarci, assumendo un atteggiamento di servizio e collabora-zione: cioè, cercare insieme al mondo la perfezione e la rina-scita dell’uomo. Per questo adotta il metodo del servizio, deldialogo e della collaborazione. Il principio regolatore dei rap-porti tra Chiesa e mondo non è più la civitas christiana, ma laverità evangelica sull’uomo e sul suo destino. Far nascere unnuovo umanesimo (GS, n. 55), contribuire ad elevare l’umanafamiglia (n.57), accettando di confrontarsi con l’autonomiadella cultura e delle scienze (n. 59) per superare le difficoltàtra cultura e formazione cristiana attraverso l’intelligenza del-la fede (n. 62).

Opzione per l’economia di mercato (GS, nn. 63 – 72)

“Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massi-mo rilievo e da promuovere la dignità e integrale vocazione del-la persona umana come pure il bene dell’intera società” (GS, n.63). Alla luce di tale principio il documento accetta il progressotecnico ed economico come un bene, perché crea possibilità piùfavorevoli per lo sviluppo materiale, intellettuale e religiosodell’uomo. Ma per le giuste analisi e le conclusioni pratiche laChiesa si affida al giudizio degli esperti , dato che in questo

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campo il magistero non è competente. Per questa ragione ladottrina sociale contiene sempre degli elementi relativi e,quanto più entra nella prassi, tanto più prevalgono gli elementirelativi e il carattere pastorale della dottrina sociale.

(Non è senza significato osservare – a margine dell’opzione perl’economia di mercato - come il documento parli poco dei poveri (so-lo nei nn. 3, 69, 88) facendo intravvedere – dato il periodo – uncerto ottimismo sullo sviluppo, che risulterà ancora più evidentedue anni dopo nell’enciclica di Paolo VI “Populorum progressio”).

Opzione per la democrazia

La democrazia si può considerare come il più significativo ediffuso sistema politico del nostro tempo. I tre valori cristianidella dignità della persona umana, dell’uguaglianza e della fra-ternità non sono ancora la democrazia, anche se ne costitui-scono i presupposti necessari. La Chiesa non ha mai condan-nato il regime democratico (anche se ne ha osteggiato alcuniaspetti come la sovranità popolare, origine umana del poterepolitico e della legge positiva), ma la sua accettazione è statalenta e recente. Con Pio XII si assimila il concetto e le encicli-che successive ne rafforzano il contenuto. La Gaudium et spesfa l’opzione a favore della democrazia: “E’ pienamente confor-me alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politi-che che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcunadiscriminazione, la possibilità effettiva di partecipare libera-mente e attivamente sia all’elaborazione dei fondamenti giuri-dici dell’economia politica, sia al governo della cosa pubblica,sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei dif-ferenti organismi, sia all’elezione dei governanti” (75).

Si può sintetizzare il cap. IV (GS, nn.73 – 76), dedicato alla “vi-ta della comunità politica”, dicendo che il documento spingead una riconsiderazione del ruolo dello Stato, a una relativiz-zazione del governo politico, a una contestazione di assolutez-za agli Stati sovrani, e soprattutto a una progressiva liberazio-ne della Chiesa da ogni imprigionamento mondano e da ogni

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innaturale solidarietà con il potere politico e amministrativo.La Chiesa appartiene alla storia del mondo nella misura in cuifa la storia della salvezza, che solo essa può dare.

Una attenzione particolare va posta al problema generale,cioè se il bene comune, che sarebbe la ragion d’essere e il finedella comunità politica (GS, n. 74), può essere un bene defini-to entro i suoi orizzonti temporali, o se invece investe tuttol’uomo, e quindi anche la sua dimensione spirituale, e quindieterna. Se, come dice la definizione più volte ricorrente nellaGaudium et spes, (che ripete quella delle encicliche giovanneeMater et magistra e Pacem in terris) il bene comune è il com-plesso delle condizioni che permettono agli uomini più piena-mente e speditamente di conseguire la propria “perfezione”,in esso è compresa anche la vocazione eterna dell’uomo. Mase tutto questo è vero, se la ragion d’essere dello Stato è il per-seguimento del bene comune, e se il bene comune è insepara-bile dal fine eterno degli uomini, e se lo Stato deve creare lecondizioni perché questo fine possa essere “più pieno e piùspedito” per essere raggiunto, allora è assai difficile superarel’antinomia tra questa concezione e quella dello Stato laico eaconfessionale moderno e mal si concilia con il fondamentodella libertà religiosa (dichiarazione conciliare Dignitatis hu-manae, approvata nello stesso giorno della Gaudium et spes),che parla più restrittivamente di “bene comune temporale”(n. 3). In questa direzione, quello che andrà sottoposto a revi-sione o precisazione, è il concetto di bene comune, come ra-gion d’essere e giustificazione dello Stato nell’adempimentodella integrale vocazione dell’uomo. (Su questi punti la discus-sione è aperta).

La marcia faticosa dal Sillabo di Pio IX alla Gaudium et spes èricca di opzioni e di significati e si conclude con l’enciclica Cen-tesimus annus (1991): “La Chiesa apprezza il sistema della de-mocrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini allescelte politiche e garantisce la possibilità sia di eleggere e con-trollare i propri governanti, sia di sostituirli in modo proficuo,ove ciò risulti opportuno”.

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Opzione per la pace

La meta dell’umanità intera deve essere la pace totale, la tra-sformazione delle armi in aratri, la proscrizione di ogni guerra(GS, n. 78). Per realizzare questo ideale, occorrono varie ini-ziative, tra cui: rispetto del diritto internazionale, rinunzia al-la forza delle armi, il disarmo e l’istituzione di una autorità in-ternazione (GS, n. 80).

Conclusione

La svolta operata dalla Costituzione pastorale Gaudium et spesnella dottrina sociale della Chiesa è fuori discussione ed è evi-denziata dall’influsso che, anche dopo decenni, si ravvisa nelleencicliche e nei documenti pontifici ed ecclesiastici successivi.Per esempio: la Mulieris dignitatem (1988) la cita 12 volte, laCentesimus annus (1991) 12 volte, la Fides et ratio (1988) 16volte, la Caritas in veritate (2009) 10 volte.

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Un des problèmes importants de la doctrine sociale de l’Égliseest l’attitude de l’Eglise à la politique. C’est la question de laConstitution Gaudium et spes mais aussi de Lettre encycliquede Jean XXIII Pacem in terris. La parole de L’Eglise est évidente.La Constitution Gaudium et spes est favorable pour la politiquecomme telle. Pour Gaudium et spes (deuxième partie, chapitreIV (73-75), la légitimité de la «communauté politique» tient aufait que les «individus, familles, groupements divers» (ce qu’onappelle «la communauté civile») ne sont pas en mesure d’at-teindre efficacement le «bien commun». Ils doivent doncconjuguer leurs forces dans une «communauté politique». Une«autorité publique» est nécessaire comme arbitre (face à la di-versité) et comme gestionnaire du bien commun (face à la com-plexité); mais à condition qu’elle protège les droits des per-sonnes et s’exerce «dans les limites de l’ordre moral».

Bien qu’il semble, une position claire de l’Église à cet égard,nous observons des pratiques différentes en différents en-

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StudiPère Stanislaw Skobel - Eglise et politique dans le 50 anniversaire de Gaudium et Spes

Eglise et politique dans le 50anniversaire de gaudium et Spes*

di Père Stanislaw Skobel,Università Cardinal Stefan Wyszynski di Varsavia (Polonia)

* Contributo dalla edizione polacca della rivista La Società

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droits dans le monde et en diverses Eglises locales. L’Eglise enPologne est souvent considéré comme directement impliquédans la vie politique et, par conséquent accusé par beaucoupde gens pour cette raison. Par conséquent, il semble opportunde poser la question: d’où viennent les différences dans lacompréhension des recommandations présentes dans l’ensei-gnement social catholique, pour rester justement fidele a ladoctrine sociale de l’Eglise.

Il semble que l’une des raisons importantes pour cet état dechoses est la dualité du développement de la doctrine socialede l’Église près de 100 ans. La solution finale a été présentéeseulement dans deux encycliques sociales de Jean-Paul II Sol-licitudo rei socialis et Centesimus annus. Théologiens plus liés aumilieu allemande, ils ont plutôt considéré l’enseignement so-cial de l’Eglise comme appartenant aux sciences sociales, doncaux sciences descriptives, par ex. la sociologie. Sociologie estengagé à la tâche dans la première étape en tirer bon et vraiimage de la réalité sociale à travers ses méthodes appropriées,par exemple : statistique, enquête, sondage. Cette image de lasociété actuelle est censé préparer les stratégies sociales ap-propriées, ce qui est à son tour la tâche de la politique. Cettefaçon de comprendre les tâches d’enseignement social del’Eglise vous permet de voir l’institution de l’Eglise commel’une des forces politiques dans une société donnée.

Une telle façon de voir le rôle de l’Eglise dans la vie politiquerisque de perdre les caractéristiques essentielles de la com-munauté des croyaient décrite elle-même par le fondateur duChristianisme - Jésus Christ. Une des principales caractéris-tiques de l’Eglise est son caractère universel. Donc l’Eglise parsa nature même doit rester ouvert à tous. Alors que la vie po-litique est organisée selon le principe des partis politiques.Elle se tourne naturellement vers la partialité et non la tota-lité et de l’universalité. C’est sa nature normale. Par consé-quent, lorsque l’église en aucune manière entre dans le rôled’un parti politique, il perd son caractère universel à cet égardet n’est plus ouverte à tout le monde. C’est une donc spéci-

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fique trahison de sa mission d’évangélisation aux extrémitésde la terre face à chaque être humain. Agissant en tant que po-litique est donc impossible pour l’Eglise.

Comme le souligne Gaudium et spes, «la mission propre que leChrist a confiée à son Église n’est d’ordre ni politique, ni écono-mique ou social: le but qu’il lui a assigné est d’ordre religieux. Mais,de cette mission religieuse découlent une fonction, des lumières etdes forces qui peuvent servir à constituer et à affermir la commu-nauté des hommes selon la loi divine.» (Ibidem)

La deuxième façon de comprendre la doctrine sociale del’Eglise vient plus du milieu théologique lié a la France et lalangue française. En ce sens, la doctrine sociale de l’Église estconsidérée comme les sciences normatives. L’église ne réservepas pour lui-même tout type de voix politique. Il veut se pro-noncer seulement a la façon morale tan sur des faits commedes décisions politiques. Elle voit son rôle comme un guidemoral sur les chemins complexes de l’homme vivant en so-ciété en tout temps. Dans Gaudium et Spes souligne qu’elle necherche aucun privilège pour elle-même au caractère poli-tique, et est même prête à abandonner les privilèges déjà ac-quis. Elle veut seulement servir les hommes, aussi dans le do-maine de la vie politique. Justement pour souligner encoreplus son caractère universelle. L’Église, par conséquent, neparle pas de voix politique et uniquement morale, conformé-ment à la mission qui lui est assignée par son Fondateur.

Le pape Jean-Paul II dans ses deux encycliques soiales a choisila seconde manière de comprendre la doctrine sociale del’Église. Il souligne tout d’abord que cela fait partie de la théo-logie morale, la théologie morale particulière, qui s’occupe dela dimension sociale de la vie humaine. Donc, l’Eglise en tantque telle, ne joue pas un rôle politique dans la société, ellen’est pas une des forces politiques parmi les autres. Il ne dis-pose que de veiller sur les moyens appropriés à la recherche dubien commun, comme la mère veille sur le bien-être de leursenfants. Mais dans la pratique de la vie de nombreuses églises,

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StudiPère Stanislaw Skobel - Eglise et politique dans le 50 anniversaire de Gaudium et Spes

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cette première façon de comprendre la doctrine sociale del’Église, cependant, est toujours présente malgré la décisionpapale explicite. Il devient un motif fréquent de critiques jus-tifiées de l’Eglise et de son rôle dans la société. Nous devonsprendre conscience de la grande valeur de la ConstitutionGaudium et Spes le 50e anniversaire de sa publication. Pourl’Eglise en Pologne il semble être très important dans lestemps modernes.

Ce que nous avons dit sur le rôle politique de l’Eglise en tantqu’institution, cependant, il exige un certain suppléments. Àsavoir l’engagement politique des chrétiens individuels. JeanXXIII dans son encyclique Pacem in terris, souligne fermementque la participation politique des chrétiens est d’une grandevaleur qui sont classés en tant que service à l’homme, donc ilfaut les voir dans l’ordre spirituel. Il est un engagement stric-tement nécessaire pour le bon fonctionnement de la sociétéau niveau de la justice et de la charité sociale. Par conséquent,dans la doctrine sociale on parle même d’une obligation mo-rale pour l’engagement politique et social.

Jean-Paul II l’a réaffirmé : les laïcs «ne peuvent absolument pasrenoncer à la participation à la politique, à savoir l’action multi-forme, économique, sociale, législative, administrative, culturellequi a pour but de promouvoir (…) l e bien commun » . Au-delà dusimple vote, les chrétiens sont vivement incités à s’engager enpolitique. « C’est à tous les chrétiens que nous adressons de nou-veau et de façon pressante, un appel à l’action » (lettre Octogesimaadve niens de Paul VI au cardinal Roy sur la responsabilité poli-tique des chrétiens). La politique « est une activité noble et dif-ficile. « L’Église respecte et promeut la liberté politique et la res-ponsabilité des citoyens » ( Gaudium et spes ). « Soyons clairs.Nous n’avons pas à dire pour quel candidat voter» , déclarait toutnet le cardinal Jean-Pierre Ricard, président de la Conférencedes évêques de France, à l’approche de l’élection présidentiellede 2007. «Chacun vote selon sa conscience. Mais cette consciencedoit être éclairée par une réflexion et un discernement préalables.Comme tout citoyen, un catholique devra se poser les questions

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suivantes : vu l’analyse de la situation de la France, quel est le pro-gramme politique qui correspond le mieux à la politique à promou-voir? Ce programme est-il réaliste ? Le candidat ou la candidate quile promeut semble-t-il avoir les qualités qui correspondent à cequ’on attend.»

Le texte de Gaudium et spes , dans sa brièveté, laisse donc decôté bien des aspects de la réalité politique. Du coté des «fins»du politique. La visée du «bien commun» est certes située aufondement, mais on sait que cette notion, si centrale soit-elledans l’enseignement social de l’Église, reste assez floue dansce qu’elle implique concrètement. Ce flou est souvent sur-monté par une notion comme celle de «projet de société»,dont il n’est fait ici nulle mention, pas plus que de celle d’idéo-logie. Du côté des acteurs le Concile constate la diversité desopinions, et la juge légitime, mais il ne semble pas voir quecette diversité va en général jusqu’à un véritable antagonisme.

Plus positivement, il faut noter une clarification sur la questiondu pluralisme des chrétiens: «Fréquemment, c’est leur visionchrétienne des choses qui les inclinera (les laïcs) à telle ou tellesolution, selon les circonstances. Mais d’autres fidèles, avec uneégale sincérité, pourront en juger autrement, comme il advientsouvent et à bon droit. S’il arrive que beaucoup lient facilement,même contre la volonté des intéressés, les options des uns oudes autres avec le message évangélique, on se souviendra en pa-reil cas que personne n’a le droit de revendiquer d’une manièreexclusive pour son opinion l’autorité de l’Église. Que toujours,dans un dialogue sincère, ils cherchent à s’éclairer mutuelle-ment, qu’ils gardent entre eux la charité et qu’ils aient avanttout le souci du bien commun.» (Gaudium et spes, 43,3)

La vie politique est une vaste zone qui nécessite constammentune nouvelle réflexion. Pour les chrétiens et pour toutel’Eglise c’est une tâche constante de compter sur des sourcesde la révélation pour chercher des moyens pour mettre en œu-vre cette forme de l’amour chrétien – l’amour politique.

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StudiPère Stanislaw Skobel - Eglise et politique dans le 50 anniversaire de Gaudium et Spes

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Il contributo delle impreseal mercato: l’esempio di Cattolicadi Paolo Bedoni

La riforma delle BCCdi Sergio Gatti

Sussidiarietà e mutualità:le ricette della cooperazionedi Maurizio Gardini

Radici culturali tra popolo italianoe argentinodi Rosana A. Botana

L’intensità della democraziafra interessi e conflittidi Antonio Campati

La DSC tra Welfare Statee Welfare Societydi Daniele Ciravegna

Agorà

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I laici nelle istituzioni imprenditorialidi Emanuele Cusa

Democrazia e bene comunedi Bruno Di Giacomo Russo

DSC e laicità nello Statodi Gianni Fusco

Le coscienze di cattolicie cittadini europeidi Salvatore Mario Mulas

IHDOSOC e l’esperienza DSCdi Anis Deiby Valencia Quejada

Il ventennale del Progetto Policorodi Domenico Santangelo

Conclusioni del V Festival DSCdi Adriano Vincenzi

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Quando ci misuriamo con temi come quello che caratterizza ilFestival di quest’anno la domanda che ci viene fatta è qualecontributo possono dare le imprese, in una realtà di mercatocome quella di oggi dominata dalla globalizzazione, la risposta,per un Gruppo come quello di Cattolica, è una sola: svilupparel’attività imprenditoriale in coerenza con i principi ai quali siispira, sapendo che questo non è un limite ma una motivazionedi fondo, un vero e proprio punto di forza. Il tema di que-st’anno del Festival ci ricorda che sfidando la realtà - cioè vi-vendoci dentro senza diaframmi, ideologie e pregiudizi -mettiamo in gioco noi stessi. È il piano sul quale Cattolica hascelto di misurarsi con un modello d’impresa che accetta inpieno la sfida del mercato senza minimamente rinunciare allefinalità di carattere etico e sociale per cui è nato. Il prossimoanno celebreremo il 120mo anniversario della nascita di Cat-tolica. Allora come oggi a questo impegno e a questa coerenzanon intendiamo venir meno. Con una convinzione, che ci vienedall’esperienza e dai risultati: un’impresa cooperativa può es-sere efficiente e redditiva senza rinunciare ai suoi impegni diresponsabilità sociale e ai propri riferimenti ideali.

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AgoràPaolo Bedoni - Il contributo delle imprese al mercato: l’esempio di Cattolica

Il contributo delle imprese almercato: l’esempio di Catolica

di Paolo Bedoni,Cattolica Assicurazioni

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In questi anni abbiamo sempre organizzato come Cattolica unconvegno dedicato alle tematiche della cooperazione come con-tributo ai temi di volta in volta proposti dal Festival della dot-trina sociale. Abbiamo sempre cercato di farlo però in modonon generico ma puntando a definire sempre meglio le carat-teristiche e le potenzialità del nostro modello d’impresa.

Quest’anno abbiamo deciso di andare al cuore del problemadella responsabilità sociale in questo confortati da due fatti:

- il primo fatto è il rilievo che ormai hanno assunto sul terri-torio la Fondazione e Progetto di vita. Cattolica per i giovani.Non possiamo più parlare di iniziative, per così dire, “laterali”ma di interventi strutturali organici che, mentre aiutano ilterritorio, fanno crescere l’azienda non tanto ovviamente nelbusiness ma nella consapevolezza del suo ruolo;

- il secondo fatto, conseguente al primo, è lo straordinarioriscontro che di tutto questo abbiamo avuto negli incontrisul territorio fin qui tenuti: tre a Verona città, a Legnago,a Peschiera e a Soave ai quali hanno partecipato alcune mi-gliaia di soci. Non è la prima volta che parlavamo di questeiniziative ma devo dire che quest’anno abbiamo avuto sen-sazioni e riscontri davvero nuovi ed importanti. Esse sonodavvero entrate nel vivo del tessuto sociale del nostro ter-ritorio e sono diventate parte vitale della nostra identità.

I lavori di oggi ci devono dunque aiutare a riflettere su comelo sviluppo del nostro impegno di responsabilità sociale d’im-presa sia da considerare un asse portante della crescita - intesain senso globale, non solo economico - di un Gruppo come ilnostro. Non solo esso incide sulla forza e la qualità del nostroinsediamento territoriale (tema cruciale per una cooperativa)ma ci stimola ad un approccio sempre qualificato ed eticamentesostenibile sul mercato assicurativo. È un mercato nel quale intanti (forse anche noi stessi) scoprono la centralità e la vici-nanza del cliente. Questo la dice lunga sui ritardi del settore incui operiamo e anche del fatto - come ci risulta da alcuni son-daggi che abbiamo realizzato in queste ultime settimane - che

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la percezione del ruolo delle compagnie assicurative non è pro-prio delle migliori. Mi sento proprio di dire - in sintonia con iltema del Festival di quest’anno - che abbiamo bisogno di “sfi-dare la realtà” ma dopo aver fatto un “bagno di umiltà”.

Mi sento anche di dire che noi il “bagno di umiltà” lo stiamofacendo proprio grazie alla qualità e alla incisività delle inizia-tive di cui parliamo oggi perché con essa siamo entrati e stiamoentrando nel cuore del sociale.

Ci sono in particolare due aspetti che voglio sottolineare e cheriguardano il grande riflesso positivo che queste due iniziativehanno sulla cultura aziendale del nostro Gruppo: “Progetto divita” sull’orientamento e sulla formazione e la Fondazione suuna nuova concezione del welfare. Si è messo in moto un pro-cesso di osmosi che, se portato avanti, con coerenza ci farà cre-scere tantissimo come Compagnia e come Gruppo proprionella capacità di dare risposte a bisogni sociali fondamentali.La natura della crisi di questi anni (e la difficoltà stessa aduscirne) dimostra che senza questa capacità un Gruppo assi-curativo non ha futuro.

In questo percorso che abbiamo avviato c’è la migliore delleconferme delle grandi potenzialità del modello cooperativoquando esso è davvero coerente con i principi che si è dato.Queste potenzialità non sono state pienamente espresse in unsistema economico che ha bisogno, come del pane, di svilup-parsi avendo come riferimento i bisogni reali della gente e cre-ando opportunità di lavoro per le nuove generazioni. Propriol’anno scorso, nel convegno che abbiamo fatto qui alla GranGuardia in occasione della quarta edizione del Festival abbiamopresentato, insieme a Nomisma, una ricerca sull’opzione coo-perativa per l’imprenditoria giovanile, opzione che non si è vo-luta considerare nella legge sulle startup approvata dal governoMonti. Abbiamo sottolineato come siano grandi gli spazi perle giovani cooperative lasciati liberi dall’arretramento del pub-blico in tante sfere del sociale, dalla tutela dell’ambiente allatutela del patrimonio artistico e culturale per non parlare del-

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l’enorme spazio lasciato aperto dalla crisi dello Stato sociale,una crisi destinata sicuramente ad ingigantirsi. È innegabileche casi di criminalità economica e finanziaria e di malcostumegestionale si verifichino in realtà cooperative talvolta costruitein modo strumentale. Ma non può essere certo consideratoquesto un fattore di invalidazione del modello che invece intantissimi casi dà grande prova di sé. Se dovessimo usare uncriterio di valutazione quantitativa e qualitativa avremmo unproblema seria a legittimare altre formule societarie, finanzia-rie ed imprenditoriali.

Noi di certo non abbiamo un problema a rispondere a chi con-tinua a chiederci se ha ancora un senso in un’economia di mer-cato il modello cooperativo. Noi ci misuriamo ogni giorno conil mercato e possiamo fare le cose di cui oggi parliamo soltantoper una ragione: perché siamo una cooperativa che crede finoin fondo in quello che fa.

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Ci sono pezzi di realtà da combattere. Pezzi di realtà da custo-dire e difendere. Pezzi di realtà da contribuire a costruire.

Da combattere.I pezzi di realtà da combattere sono, ad esempio, le disugua-glianze crescenti e le cause “strutturali” che le generano. Inquesto 2015 che si chiude accogliendo lo spirito giubilare dellamisericordia (anche nel senso di “avere un cuore per i miseri”)e che ricorda anche il cinquantesimo di chiusura del ConcilioVaticano II, non dimentichiamo il messaggio di Paolo VI: “tut-ta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione:servire l’uomo”1. Servire l’uomo vuol dire anche interveniresulle cause delle “ingiustizie”, non solo lenirne gli effetti nega-tivi. E allora una certa cultura, una certa politica, una certaproduzione normativa sovranazionali, europee, italiane carat-terizzate da una tendenza omologante rappresentano alcunidi quei pezzi di realtà da combattere. Unendosi a quanto scri-ve Walter Kasper: “Possiamo intendere la misericordia come ilfondamento e la fonte innovativa e motivazionale della giusti-zia sociale”2 (W. Kasper, 2015).

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AgoràSergio Gatti - La riforma delle BCC.

La riforma delle BCC

di Sergio Gatti,BCC-Federcasse

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Da difendere.Le diversità, la ricchezza delle esperienze comunitarie nei ter-ritori, le forme di coinvolgimento e di autoaiuto, sono ricchez-ze straordinarie: ecco alcuni dei pezzi di realtà da difendere.Le iniziative che vedono protagoniste le persone, le famiglie,le comunità, le imprese comunitarie contribuiscono al miglio-ramento delle condizioni di vita. E rappresentano la forma piùefficace di “resistenza” alla omologazione e alla comoda (madeleteria) delega delle responsabilità. Sono pezzi di realtà dadifendere le pressoché infinite incarnazioni della Dottrina so-ciale in tutti i campi: da quello dell’impresa (ivi compresa quel-la bancaria) a quello della produzione culturale, della preven-zione e della cura delle fragilità sociali, delle scelte concreteper salvaguardare l’ambiente Creato. L’impegno dei cristiani –da Leone XIII in poi – ha preso il significato dell’I care, del “mene faccio carico”, “mi sporco le mani”, “mi rimbocco le mani-che”, mi impegno con gli altri per migliorare la mia personalecondizione. Se lo faccio con modalità collaborativa o in formacooperativa, le mie chances crescono. Ci sono pezzi di realtà da difendere anche nel fare banca. Diterritorio e col territorio: qualcosa di straordinariamente mo-derno. Ma il mainstream (o pensiero unico: mai distratto, sem-pre interessato), soprattutto in queste settimane in cui vivia-mo la sorpresa delle banche portate per decreto a risoluzione,tende a far passare la percezione (che diventa convinzione)che la banca di territorio sia di per sé più fragile, meno solida.E quindi, tutto sommato, se ne potrebbe pure fare a meno.Sappiamo che scientificamente è dimostrato esattamente ilcontrario. Il pluralismo e la diversità di finalità imprenditoria-li (il vantaggio per i soci invce che il profitto degli azionisti), dinatura giuridica, di dimensioni, di rischiosità e di modello or-ganizzativo rafforzano la stabilità dei mercati e salvaguardanola libertà di scelta oltre che la democrazia economica. Questipezzi di realtà sono da adeguare e da difendere, purché sappia-no rigenerarsi continuamente, e adeguarsi ai tempi. Non vaforse in questa direzione anche quel faticoso esercizio del “ri-conoscere e discernere il buono che già c’è” e custodirlo, sfi-darlo, migliorarlo, potenziarlo?

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“… mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente adassumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza.E’ lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità,un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e unacreatività più generosa, un profondo amore per la propria terra,come pure il pensare quello che si lascia ai figli e ai nipoti”3.

In questo modo, papa Francesco ci addita la strada nella Lau-dato si’: non sottovalutiamo il buono che già è stato costruito.E il suo predecessore, Benedetto XVI, aveva definito forme di“amore intelligente”4 le esperienze di cooperazione di credito.

Da contribuire a costruire.Ci sono, infine, pezzi di realtà da contribuire a costruire. For-me consolidate e forme nuove di economia della condivisioneche possono convivere. Possono nutrirsi a vicenda. La sharingeconomy porta con sé uno straordinario messaggio: facciamoinsieme per risolvere problemi individuali e comuni. Le formecollaborative per rispondere a esigenze di mobilità, di allog-gio, di turismo, di acquisto e/o uso di beni e servizi, sono gestidivenuti abituali in pochissimi anni. Resi possibili da unamanciata di click e quindi trasformati - dalle tecnologie digita-li - in esperienza facile e “giocosa” (quindi seducente). Ma la sharing economy non necessariamente riduce le disugua-glianze, non modifica la traiettoria sociale di una persona, nonincide sulle cause dei divari: anzi, paradossalmente può accen-tuare le distanze, concentrando il potere su poche piattaformetecnologiche (e sui loro proprietari) che necessitano investi-menti costanti e producono utili crescenti. Ma solo per pochi.Talvolta con una certa opacità fiscale e una non sempre accetta-bile “considerazione” del lavoro delle persone (alcuni marchiglobali che costellano la nostra vita o guidano la scelta dei nostripersonali palinsesti quotidiani sono oggetto di indagini fiscali,antitrust, di verifica della regolarità delle condizioni di lavoro).

Cooperative bancarie nate da un’enciclica alla prova.In questo quadro di “sfide alla realtà”, provo a inserire un breveracconto su quella “palestra” che è il processo di riforma delle

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banche di credito cooperativo. Banche nate da un’enciclica so-ciale (questo Festival è dunque il luogo giusto per parlarne) eispirate – anche nel loro statuto ancora oggi vigente – dal ma-gistero sociale cristiano. Ebbene, la riforma della normativache regola l’attività delle 368 BCC italiane, doveva essere pro-fondamente modificata il 20 gennaio 2015 con un decreto-blitz che prevedeva una riforma sia per le banche popolari (an-nunciata da anni) sia per le BCC (assolutamente non prevista).La prima, quel 20 gennaio è passata. La seconda, siamo riusciti– argomentando – a bloccarla. E fin da quel pomeriggio di indi-menticabile tensione del 20 gennaio, abbiamo cercato di “ca-ratterizzare” il processo di riforma. Riforma certamente neces-saria, ma che non può fare a meno del coinvolgimento, del dia-logo, del confronto con i destinatari della riforma stessa. Daqui è partita la nostra “sfida alla realtà”. Dal metodo. Abbiamodetto: vogliamo anche noi cambiare alcune regole e alcune ar-chitetture organizzative delle BCC e del sistema che nei decen-ni si sono date. I tempi, le normative europee, i cambiamentidegli stili di consumo lo richiedono. Ma vogliamo farlo insie-me. Ed ecco, in poche settimane vi presenteremo una nostraproposta di “autoriforma”, organica e coerente.

Un metodo, nove caposaldi.Dibattito interno, proposte concrete, verifica della conformitàcon le sempre più omologanti norme dell’Unione Bancaria edei principi contabili internazionali, confronto serrato a livellopolitico e a livello tecnico, in contradditorio costruttivo con laBanca d’Italia e con il Ministero dell’Economia e delle Finanze.Dopo meno di cinque mesi, l’8 giugno, il Consiglio Nazionale diFedercasse approva lo schema di riforma. Sempre all’insegnadel metodo (partecipazione) e del costante riferimento ad unachiara piattaforma valoriale di riferimento che potremmo sin-tetizzare in nove caposaldi: la libertà d’impresa legata alle ca-pacità e alla responsabilità, la mutualità, la sussidiarietà, l’au-to-aiuto, la partecipazione e il protagonismo, l’unità nella cu-stodia orgogliosa e competente della biodiversità.La proposta di riforma viene validata sotto un profilo tecnico-prudenziale dall’Autorità di vigilanza nazionale e risulta con-

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forme rispetto ad almeno tre filoni normativi: il regolamentoeuropeo CRR; l’insieme delle norme italiane che fanno capo alcodice civile, alla legge sulla cooperazione, al testo unico ban-cario; i princìpi contabili internazionali.

Ne è nato un modello giuridico che si ispira ad un approccioculturale ben preciso, sintetizzato in quei nove caposaldi, chevedrà la nascita di una realtà nuova sotto molto profili: unGruppo bancario cooperativo guidato da una capogruppo(una banca che avrà forma di spa) al servizio delle proprieazioniste, le banche cooperative a mutualità prevalente. Unaforma innovativa di gruppo bancario che regolerà le relazionicon le singole BCC sulla base di “un contratto di coesione”.Ogni BCC resterà una cooperativa mutualistica, con una pro-pria licenza bancaria, un proprio Consiglio di amministrazio-ne eletto dall’assemblea dei soci. Ciascuna BCC sarà legata alGruppo tramite un sistema di “garanzie incrociate” (forma disolidarietà molto stringente che si abbina ai concetti di re-sponsabilità e di condivisione) e conserverà la propria autono-mia sulla base della propria “meritevolezza” (meno risulteràrischiosa - secondo parametri oggettivamente misurabili -maggiori saranno gli spazi di autonomia nella pianificazione enella gestione della specifica missione nel territorio, il cosid-detto risk based approach). Insomma una forma di coesione in-tegrata, del tutto originale nel mondo imprenditoriale italia-no e probabilmente anche in quello europeo.Non vado oltre con la narrazione “tecnica”.

I doni lungo il cammino.Due ultimi passaggi: due doni che papa Bergoglio ha indirizza-to a noi cooperatori e un sommario bilancio al quinto anno delFestival della Dottrina Sociale.

Il 28 febbraio e il 12 settembre di quest’anno Papa Francescoha incontrato in udienza, rispettivamente, i cooperatori diConfcooperative (quindi anche quelli del settore bancario, ov-vero delle BCC) e i cooperatori e le famiglie della BCC di Roma.Nella prima occasione ci ha regalato quella straordinaria pagi-

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na di “aritmetica cooperativa”: nelle imprese cooperative,“uno più uno fa tre”5. Nel secondo incontro ha scolpito setteraccomandazioni a chi fa cooperazione nel credito6.Questi doni ci incoraggiano e ci responsabilizzano. E ci hannoguidato. Da essi dovremo continuare a farci guidare.

Dopo cinque anni.Ritengo infine significativo collocare questa testimonianza suuna “sfida” alla realtà nella traiettoria ormai quinquennale delnostro Festival DSC. Cinque anni fa riflettevamo insieme sulcome rendere incisiva la straordinaria ricchezza dottrinale delmagistero sociale, sul come “tradurre” in modo efficace e coe-rente la sempre più moderna e sempre più apprezzata (anchedai non credenti o da non cristiani) “tavola dei valori” ispiratadai Vangeli e attualizzata dalle Encicliche di ormai numerosipapi. Alcuni piccoli fatti, segni di un cammino. Sul piano educativo, abbiamo pubblicato una sorta di manualedi aiuto alla traduzione della DSC nell’attività bancaria mu-tualistica. Autore celebre, Gigi De Palo, titolo “Amore intelli-gente”, Ecra editore.Sul piano culturale, abbiamo avviato un processo più che unprogetto per favorire la nascita di club di giovani soci nelle 368BCC italiane. Dopo cinque anni, ne sono nati in 81 BCC. L’annoscorso in migliaia si sono organizzati in una Rete nazionale,hanno scritto il proprio Piano strategico. Sta nascendo una ge-nerazione (18-35 anni) di soci cooperatori bancari consapevo-le, orgogliosa dell’eredità lasciata loro da padri e nonni, inten-zionati a studiare e impegnarsi per dedicare tempo ed energie -oltre che al proprio lavoro, impresa, famiglia, interessi - anchealla propria banca di territorio. Che se non viene custodita, bengestita e coerentemente indirizzata non può reggere agli im-patti di normative europee come detto omologanti e noncu-ranti della partecipazione e della diversità.Sul piano politico, con un crescente impegno per far conoscere larilevanza di un fare banca antico e modernissimo e con una co-stante attenzione alla produzione normativa per consegnarenon proteste e lamentele, ma proposte concrete e credibili di ap-proccio, di intervento legislativo o di emendamento. In Feder-

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casse, ci siamo organizzati con un Ufficio a Bruxelles e con unComitato tecnico di analisi e policy delle normative. L’impegno atutto campo sulla riforma imminente delle regole del Testo uni-co bancario è frutto di tale conseguenza organizzativa di unascelta strategica di maggiore presenza nei luoghi decisionali. An-che per convincere - sempre con umiltà, ma con molta grinta -chi ha responsabilità politiche a “non delegare” più a tecnocraziespesso autoreferenziali, la scrittura di norme tutt’altro che neu-tre e cariche di conseguenze sociali oltre che economiche. Infine sul piano gestionale. Qui siamo un po’ più indietro. Abbia-mo una generazione di direttori e dirigenti capaci: hanno contri-buito a portare il sistema delle BCC ad essere il terzo gruppo perpatrimonio complessivo, il primo per capitali tutti italiani. Conquote di mercato rilevanti nei settori-guida dell’economia reale.Ora occorre rigenerarci. Frequentare percorsi formativi internied esterni coordinati e “caratterizzati” nella gestione bancariacon finalità mutualistiche. Abbiamo creato le condizioni, ristrut-turando la nostra Scuola nazionale (si chiama ora AccademiaBCC e ha una missione più focalizzata). Dobbiamo ora accelera-re, anche per preparare una nuova classe dirigente all’interpreta-zione corretta ed efficace di una riforma che lascia spazi peresprimere in modo originale i propri talenti, premiare chi meri-ta, rendere un servizio migliore a milioni di soci e clienti.

Sempre cinque anni fa, lanciammo la Carta della finanza libera,forte e democratica. Gli aggettivi “libera” e “forte” evocano noncasualmente il lessico sturziano. Don Luigi fu anche fondatoredi casse rurali. Come lo fu Giuseppe Toniolo che invitava a sfi-dare la realtà anche con la forza della competenza, dello studio,dell’attenta lettura dei tempi che costantemente cambiano.In questo 2015 abbiamo cercato di non perdere l’occasione e diprovare a tradurre in una riforma organica delle regole che di-sciplinano banche frutto della DSC alcuni di quei nove capisal-di valoriali sopra richiamati. Capisaldi che invitano a lavorarecon umiltà e con la consapevolezza che si possono commette-re errori. Ma esercitandosi a non affievolire lo spirito concilia-re: “Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; inve-ce di funesti presagi, messaggi di fiducia” (Paolo VI)7.

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AgoràSergio Gatti - La riforma delle BCC.

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Note

1 Allocuzione nell’ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965.2 Kasper W., La sfida della misericordia, Edizioni Qiqajon, 2015.3 Francesco, Laudato si’, n. 179.4 “Se l’amore è intelligente, sa trovare anche i modi per operare secondo una pre-vidente e giusta convenienza, come indicano, in maniera significativa, molte espe-rienze nel campo della cooperazione di credito”, Benedetto XVI, n. 65.5 Papa Francesco e Confcooperative. Quando uno più uno fa tre, Ecra-Confcoopera-tive, 2015.6 “Primo. Continuare ad essere un motore che sviluppa la parte più debole dellecomunità locali e della società civile, pensando soprattutto ai giovani senza lavoroe puntando alla nascita di nuove imprese cooperative.- Secondo. Essere protagonisti nel proporre e realizzare nuove soluzioni di welfare,a partire dal campo della sanità.- Terzo. Preoccuparvi del rapporto tra l’economia e la giustizia sociale, mante-nendo al centro la dignità e il valore delle persone. Al centro sempre la persona,non il Dio denaro.- Quarto. Facilitare e incoraggiare la vita delle famiglie, e proporre soluzioni coo-perative e mutualistiche per la gestione dei beni comuni, che non possono diven-tare proprietà di pochi né oggetto di speculazione.- Quinto. Promuovere un uso solidale e sociale del denaro, nello stile della veracooperativa, dove non comanda il capitale sugli uomini, ma gli uomini sul capitale.- Sesto. Come frutto di tutto questo, far crescere l’economia dell’onestà. Economiadell’onestà, in questo tempo in cui l’aria della corruzione viene dappertutto. A voiè chiesto non solo di essere onesti – questo è normale – ma di diffondere e radicarel’onestà in tutto l’ambiente. Una lotta contro la corruzione.- Settimo. Infine, partecipare attivamente alla globalizzazione, perché sia globa-lizzazione della solidarietà.Ogni cooperativa è chiamata ad applicare queste linee alla propria missione speci-fica. Voi siete una cooperativa di credito, e siete la più grande Banca di Credito Coo-perativo in Italia. Può succedere che una cooperativa diventi una grande impresa;ma non è questa la sfida più importante. La sfida più importante è crescere conti-nuando ad essere una vera cooperativa, anzi, diventandolo ancora di più. E’ unavera sfida! Questo significa favorire la partecipazione attiva dei soci. Fare insiemee fare per gli altri. Naturalmente la sana e prudente gestione vale sempre e pertutti. Fare la banca è un mestiere delicato, che richiede grande rigore. Ma una bancacooperativa deve avere qualcosa in più: cercare di umanizzare l’economia, unirel’efficienza con la solidarietà” (…). Bollettino Sala Stampa Vaticana, 12 settembre2015, vatican.va (…)7 Allocuzione …, idem.

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La cooperazione è un cantiere aperto tutti i giorni: costruisceprogetti che nascono dai bisogni dei territori e delle comunitàe sperimenta innovazione per adattare i suoi lavori a quei biso-gni. Come tutti i cantieri alterna periodi di ritmo frenetico amomenti di relativa calma e gli anni della crisi hanno trasfor-mato un’attività quotidiana e regolare in un’agenda interpella-ta e sollecitata con urgenza per dare risposte compatibili con lenuove richieste provenienti dalle vulnerabilità del paese.

Ecco dunque che la cooperazione si offre quale strumento peraffiancare lo stato in un regime di autentica ed efficace sussi-diarietà, sgravandolo così da un peso che non riesce più a so-stenere e per evitare che l’emersione di un mercato speculativodiventi la soluzione. Un liberismo esasperato non sarebbe, se-condo noi, il modo giusto per affrontare l’emergenza sociale,soprattutto nella sanità e nel Welfare mentre agire su un mer-cato modulato da regole certe e passando per l’efficientamentoe il risparmio delle regioni, è una possibilità responsabile. Confcooperative ha gettato il cuore oltre l’ostacolo già da tem-po e per tutto il 2015 ha lavorato alla composizione di un pro-

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AgoràMaurizio Gardini - Sussidiarietà e mutualità: le ricette della cooperazione

Sussidiarietà e mutualità:le ricette della cooperazione

di Maurizio Gardini,Confcooperative

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getto sistemico di Welfare che vede protagonisti consorzi diassistenza primaria e consorzi e cooperative sociali di tipo A eB, cooperative di farmacie e di medici, anche attraverso le mu-tue. Questi soggetti hanno lavorato in un cantiere che ha ela-borato un progetto integrato per accrescere e valorizzarequanto già stanno facendo per il nostro Paese. E le Mutue sono protagoniste di questo percorso perché pernoi non sono un residuo del passato ma uno strumento cheriacquista modernità e centralità mettendo insieme personeche, sia contrattualmente sia volontariamente, possono offri-re e procurarsi collettivamente delle soluzioni senza lasciare almodello assicurativo il monopolio delle coperture sanitarie.Le soluzioni monopolistiche non portano sviluppo né equità:aumentano le diseguaglianze e rendono il mercato asfitticoperché impoverito degli aspetti sociali e umani del nostro sta-re insieme. Insieme – rappresentanza, lavoratori, cittadini,imprese - possiamo e dobbiamo dare seguito alle sollecitazionidel Paese reale.

La mutualità è anche creare forme nuove e maggiormentecondivise di partecipazione dei lavoratori dentro le imprese:questo favorirebbe i necessari accordi su strumenti che aiuta-no lo sviluppo delle imprese come, ad esempio, una più equadistribuzione del valore aggiunto derivante dall’aumento diproduttività.

Per me, che sono presidente di Confcooperative, è più facileparlare di partecipazione diretta dei lavoratori alla gestioneperché i soci lavoratori sono proprietari: partecipano alla pro-duttività e al trasferimento di parte del reddito per investi-menti, innovazione, progettualità, futuro.

In Italia abbiamo retribuzioni dei servizi e produttività piùbassi che in altri paesi; pensare di distribuire più risorse se es-se non vengono create sarebbe un’esasperazione dei rapporti enon molto di più. E’ solo agendo in maniera concertata e re-sponsabile, nell’impresa e nel territorio, che si determina unaumento di produttività.

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Rendiamo più leggera la contrattazione di primo livello e met-tiamo più risorse sul secondo livello.Come esperienza personale, nell’azienda che presiedo, ci sia-mo dati obiettivi molto alti e risorse importanti e i risultati, intermini di aumento di produttività, non si sono fatti attende-re a lungo.

Certo, è un grande processo di cambiamento, per le cooperati-ve come per le imprese tutte. Perché la prima richiesta oggi diuna parte delle imprese è quella di un accordo territoriale chelasci fuori il sindacato dall’impresa.

Ecco perché dobbiamo affidarci questo impegno per il futuro,perché riuscire nel tempo a costruire partecipazione e collabo-razione innovative tra imprese e lavoratori non potrà che por-tare altro sviluppo e benefici diffusi sia ai risultati aziendalisia al valore redistribuito a chi vi lavora.

Noi ci siamo, per esempio, nella sanità integrativa perché ab-biamo avviato un progetto mutualistico nazionale che, valo-rizzando le nostre esperienze territoriali e il principio coope-rativo di gestire in ottica intergenerazionale le risorse delleimprese, offre prestazioni sanitarie di qualità ai soci lavoratorie ai lavoratori e anche piani volontari di welfare aziendale.

E ci siamo anche per superare la 142, ammodernandola percombattere il fenomeno delle false cooperative che sono natenelle maglie di questa normativa e sono guidate da banditi(non cooperatori) che utilizzano fraudolentemente lo stru-mento giuridico cooperativo. Lo stiamo chiedendo con forzaal MISE - anche con una raccolta di firme per avere un disegnodi legge che trovi gli strumenti adeguati per contrastarle.

Sono contento che la Furlan sia tra le 100.000 firme, segno didisponibilità a costruire un quadro nuovo e più efficace. Oggidi controlli ve ne sono moltissimi e di svariati enti, ma il pro-blema è che alcune cooperative ricevono decine di ispezioni ealtre quasi nulla.

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AgoràMaurizio Gardini - Sussidiarietà e mutualità: le ricette della cooperazione

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Chi delinque sa come fare ad evitare controlli, utilizzando con-tratti firmati da sigle sindacali fantasma. Ecco perché è impor-tante una legge sulla rappresentanza, per evitare di dare poteredi firma a contratti siglati da rappresentanze inesistenti.

Su questo percorso che è culturale, aziendale e contrattualenoi della Cooperazione ci siamo, e ci siamo col sindacato sevorrà, perché crediamo che solo un approccio di mutualitàpossa dare frutti generosi e per tutti.

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Buon giorno a tutti, alle autorità laiche e religiose, ai rappre-sentanti del mondo accademico, sindacale, cooperativo, im-prenditoriale, ai banchieri e soprattutto a Monsignore DonAdriano Vincenzi, per avermi invitata a questo magnifico Fe-stival della Dottrina Sociale, con la proposta della Sfida dellaRealtà. Mi sento onorata di essere qui con voi a riflettere pertrovare insieme  strade nuove, per la costruzione del bene co-mune nella nostra società. Visto che adesso abbiamo una solasocietà che è la umana, che si trova in una crisi generale di va-lori. Della gravità del caso e della loro possibilità di uscirne diquesta problematica lo confermaremo alla fine di questo in-contro, se troviamo chiaramente l’ opportunita che questa crisici offre, per portare avanti la societa con umanita e rispettoalla diversità.

Per coloro che non mi conoscono, sono la Dott.ssa Rosana An-gelica Botana,  Consigliere del Comitato degli Italiani all’ Estero,COM.IT.ES della Circoscrizione Consolare Buenos Aires. Sonola Presidente del gruppo Donne in Azione (DIA). Presiedo la Com-missione Pari Opportunità con la finalità di promuovere la cul-

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AgoràRosana A. Botana - Radici culturali tra popolo italiano e argentino

Radici culturali tra popoloitaliano e argentino

di Rosana A. Botana,Comites - Argentina

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tura della non violenza anche di genere e l’ integrazione delladonna nel mondo economico, scientifico, politico e della cul-tura, chiamata la Rivoluzione Gentile. Ci occupiamo dell’infor-mazione sulla parità di opportunità che abbiamo in Italia perapplicarla nel territorio di Buenos Aires. Cercando di trovarespazi di maggiore tutela dei diritti e garanzie, per le donne e leloro famiglie. Sono un funzionario di Controllo governativodella Città di Buenos Aires, dove sono Uditore.Buenos Aires è la più grande circoscrizione Consolare fuorid’Italia, con più di 300 mila concittadini. La città in se, ha circa3.5 milioni di abitanti, una mega area metropolitana con tuttele problematiche di inquinamento, rifiuti, crisi di sostenibilitàche le grandi città d’oggi presentano e che non sono risolte.

Oggi vorrei illustrarvi brevemente sulla mia realtà, e “l’Appro-fondimento sulle radici culturali tra il popolo italiano e il po-polo argentino: forme di collaborazione e possibili sviluppi”

L’ Argentina ha una popolazione di circa 45 milioni di abitantidei quali il 40 per cento ha almeno un antenato italiano. Nellacircoscrizione di Buenos Aires siamo 300.000 concittadini ed1 milione e mezzo di discendenti di terzo e quarto grado. Soloil 5 % di Italiani è di prima generazione.

Abbiamo nella mia circoscrizione,quattro scuole italiane pari-tarie con circa 2.500 alunni. Quasi tutti italo argentini.

Una lunga storia nel mondo cooperativo che è nato con laprima ondata di immigrazione italiana nel 1870 ,e che ha ini-ziato ad operare  svolgendo attività di mutuo soccorso e di coo-perativismo, come attività principale. Questo ci ha permessodi crescere come collettività in un paese straniero, che nonaveva una organizzazione in tale senso. Il pensiero socialista,l’anarcosindacalismo ed il comunismo hanno segnato la culturapolitica del continente sudamericano. Hanno ispirato il mondodel lavoro e del mutuo soccorso, anche tramite le manifesta-zioni dell’arte, per la creazione di questi giovani paesi. Hannodato vita ad una massa critica attiva e vitale. Il movimento coo-

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perativo nacque all’ inizio del 1900. Attraversando momentidi resistenza del sistema politico dominante, che possedeva laterra, costituita da una borghesia militare soprattutto.

La Costituzione dichiarava l’uguaglianza di fronte alla legge,però nei fatti, venivano percorse altre procedure. Veniva ap-provata la legge di Residenza (1912), che permetteva allo statoargentino di espellere un cittadino straniero per attivismo po-litico o sindacale, manifestato entro il territorio argentino.Questo ha costretto i nostri connazionali a restare lontanidall’attività politica,  fino alla nascita del Peronismo (1943). Lalegge di Residenza ha permesso di uccidere nel 1919, circa millecinquecento italiani che erano attivisti politici nel movimentooperaio argentino. La tensione e la persecuzione politica pro-segue fino al 1945, quando viene eletto il primo governo giu-stizialista, con la partecipazione del voto femminile.

Da lì in poi comincia una crescita progressiva della nostra col-lettività e della sua forza e presenza politica attraverso la par-tecipazione in sindacati organizzati che furono sostenuti dalgoverno nazionale. Si può assumere che, tutta la dirigenza sin-dacale in Argentina era costituita da figli di immigranti italianinegli anni 60. In questo periodo si cominciano a creare le as-sociazioni sociali italiane in base alle regioni di provenienza,per creare uno spazio di condivisione con le famiglie. Il mondocooperativo si sviluppa in modo quasi esponenziale fino al1976 quando da inizio la dittatura militare, che mette fine aidiritti umani e politici. Le cooperative e le Piccole e Medie Im-prendittorie falliscono, sparisce la cultura della solidarietà, dellavoro, della accoglienza la quale viene sostituita dallla culturadella paura e della repressione. A livello economico si apre al-l’importazione di prodotti cinesi, che soffocano l’industria ar-gentina portandola alla sua agonia. Questo prosegue fino al1985 quando il periodo delle dittature arriva alla fine, per es-sere sustituita dalla democrazia concordata al stile Patto dellaMoncloa. In questo ambito in modo contemporaneo e parallelo,si manifesta una rinascita del mondo cooperativo, non più conitaliani ma con italo argentini che hanno poca conoscenza della

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AgoràRosana A. Botana - Radici culturali tra popolo italiano e argentino

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cultura italiana, dato che suoi genitori gli hanno trasmesso ,solo una cultura regionalista o di paese.

La democrazia porta con se una nuova dinamica, che la societàdeve imparare a gestire ,e deve agire per costruire  una nuovaopportunità di sviluppo politico e sociale. Con la sfida di doverdare nuova vita alla cultura della cooperazione, come missione,si cominciano a aprire nuovi spazi nel mondo della coopera-zione. Una barca difficile da governare, per la presenza di unacultura neo liberale impostata dalla dittatura militare che haprodotto una intera generazione con cultura frammentata edindividualista. Dopo tutto questo periodo di mancanza di de-mocrazia, s’inizia un periodo di neoliberalismo che prosegueancora fino al 2001, con la crisi dello stato argentino. Rina-scono le cooperative soprattutto in Provincia di Buenos Airese nella Città di Buenos Aires, oggi ne abbiamo circa 6.500 coo-perative, con 3.5 milioni di associati per l’intera circoscrizioneconsolare. All’nterno del paese, abbiamo in provincia di Cor-doba 1.600 cooperative con 554.000 associati. Nel resto delpaese vi sono circa 4 milioni di associati nel sistema coopera-tivo. Ma la politica assistenzialista del governo argentino haportato ha dimenticare la cultura del lavoro come modo di vita,i mestieri degli artigiani sono spariti. Questa è la situazioneche viviamo fin’ora.

Per questo vorrei invitarvi a partecipare in modo più direttonel rilancio della cultura cooperativa in Sudamerica, iniziandoda Buenos Aires. Come? Oggi vengo a proporvi di riddare allacollettività italiana all’ estero, elementi di identità, in primisall’ Argentina: La prima dimensione d’ interesse è alla risorsaumana, attraverso i nostri giovani neo laureati ,che potrebberofare un’esperienza lavorativa all’ estero, da tre a cinque anni.Tempo sufficiente per l’Italia per uscire dalla sua attuale crisi.Per l’Argentina tempo sufficiente per imparare questo modellodi cooperativismo italiano vitale e moderno, che aggiornerà lanostra classe dirigente di italoargentini. Questo incontro fraitaliani ed italoargentini sarà il motore del cambio generazio-nale necessario dentro della dirigenza politica della collettività.

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Di cui oggi abbiamo bisogno, affirmando l’ identità. Oggi ab-biamo tanti argentini di origine italiana ma senza cultura ita-liana. Pero non ne abbiamo una dirigenza giovane e dinamicafedele rappresentante dell’Italia, dobbiamo formarla. Questoè il mio secondo invito a formare la nuova dirigenza di italianiall’ estero. Che avrà come missione aiutare l’Italia nei momentidi difficoltà e l’ Argentina. Dovranno essere a loro volta forma-tori e dirigenti capaci di costruire il ponte che collega le nuovegenerazioni di italoargentini alla patria Italiana. Formare unadirigenza italoargentina con valori e principi cristiani, con unaidentità chiara di italianità uniti dietro al bene comune. Questocambio non lo possiamo fare da soli, un nuovo secolo è iniziatoe non c’è ancora nessuna politica di ricostruzione della collet-tività all’ estero. Stiamo divisi, senza forma e senza sostanza,nè valori comuni. Per affrontare questo nuovo secolo l’Italiadeve ripensarsi e ripensarci ,pensare agli italiani che sono di-spersi nel mondo, finora dimenticati. Oggi stiamo assistendoad una nuova ola di emmigrazione ed a un flusso di immigra-zione senza controllo. Un mondo in crisi umanitaria.

La seconda proposta è in parte complementare della prima,che consiste nella creazione  a Buenos Aires d’ un Gruppo dellaDSC che sia il motore di sviluppo del pensiero e dell’azioneentro la collettività unendo tutti gli attori coinvolti sia nellacultura, nell’economia, nel sociale, nella ricerca ed del mondoaccademico. Dovranno essere guidati in modo etico, verso il ri-trovo del bene comune della nostra collettività. Aiutando nellacostruzione della immagine di paese, nei paesi dove dobbiamovivere. Tendiamo ad essere assimilati perdendo la nostra iden-tità. Dobbiamo lavorare sulla nostra immagine collettiva permigliorare il nostro rapporto con l ‘esterno. Dando cosi un im-pulso senza precedenti alla storia delle relazioni fra l’Italia e lealtre Italie sparse per il mondo.

La Terza proposta che vorrei farvi questa mattina è per daresostegno ai progetti delle cooperative e delle PMI, ci serviràcreare a Buenos Aires una banca di microcredito per le nostrecooperative e le pmi che saranno gestite per e da cittadini ita-

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liani ed italoargentini. Con costi finanziari non usurari. Unabanca etica, equa, che promuova l’economia genuina ed il benecomune. Senza dimenticare le donne nel mondo del lavoro, del-l’imprenditoria e del microcredito, che dovrà dare sostegno alleimprenditrici ed alle donne capofamiglia. Questa iniziativa ci per-metterà di affrontare i cicli economici e la crisi di tipo finan-ziaria in modo più agevole. Con un sistema di credito eguale almodello economico dell’arco alpino. Con il concetto che se tiaiuto, ci aiutiamo a crescere e a migliorarci. Ma con questo aiutoti insegno a fare impresa e ti aiuto a gestire la tua piccola im-presa, con un microcredito che ti sosterra nel raggiungimentod’una vita produttiva.

Qui abbiamo uno spunto importante anche per il rilancio delMade in Italia fuori di Italia, gestito da italiani all’ estero o daitaliani, considerando che queste cooperative serviranno ancheper formare nuovi professionisti, artigiani ed imprenditori conil know how e la tecnologia italiana. Tutto questo dentro d’ unadinamica propria dei tempi del agricoltore, che non cerca risul-tati subito, seno aspetta raggiungere il processo della vita. Que-sta ripressa della dimenssione del tempo del agricoltore non èpossibile se non lavoramo insieme il braccio laico ed il braccioreligioso. Senza questa alleanza di rispetto e cura mutua, nonriusciremo a semminare e produrre il cambio culturale neces-sario per affrontare la sfida della guerra, la povertà, l’ immi-grazione, la tratta di persone che stà stringendo la vita umanain un cerchio di terrore, schiavitù e pensieri negativi. Verso unmondo di armonia, inclussione della diversità, unite nel amoree rispetto della vita.

Questi sono secondo la mia umile visione, i punti di lavoro edi loro possibili sviluppi, che possiamo attivare dall’ Italia versoil mondo e l’ Argentina. Vi ricordo che abbiamo 59 milioni diitaliani lontani dalla patria, circa 31 milioni siamo donne. Que-sto potrebbe essere una opportunità per disegnare una reteumana di valori e di coscienza collettiva in modo positivo edefficace per migliorare la nostra impronta cristiana collettivaa livello globale.  Portare avanti questo progetto permetterà

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anche all’ Italia di alzarsi, aiutandola a costruire una nuova Ita-lia fuori dall’Italia. Generando una sinergia dinamica e vitaleverso il mondo che darà linfa ad un modo di vita cristiana anchenella stessa Italia.

Spero di aver contribuito a dare una visione capace di aprirestrade verso altre realtà che ci stanno aspettando. Mi resta soloda dirvi che un paese che non da alla donna ed alla famiglia unruolo di dignità e rispetto non ha futuro ne viabilità come de-mocrazia moderna. Voglio ringraziarvi per il vostro ascoltosono certa che il prossimo anno avremo alcune sfide risoltegrazie a questo Festival. Grazie a tutti e buon proseguimentodel Festival!

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Nel discorso pronunciato in occasione del quinto Convegno ec-clesiale nazionale, tenutosi a Firenze dal 9 al 13 novembre 2015,Papa Francesco ha sottolineato come oggi «non viviamo un’epo-ca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca», che ci po-ne delle sfide nuove e talvolta persino difficili da comprendere,ma che non devono affatto essere considerate come ostacoli1.Giustamente il Pontefice ricorda come nel passaggio da un’epocaall’altra sia necessario accettare i problemi che la realtà presentacome opportunità per migliorarsi e non come impedimenti per ilraggiungimento dei propri obiettivi. Tali problemi, proprio per-ché figli di un cambiamento profondo, devono essere analizzaticon attenzione, ossia tentando di rintracciarne le origini allun-gando lo sguardo il più indietro possibile, per evitare di caderenell’errore di offrirne interpretazioni o soluzioni parziali.

I cambiamenti d’epoca e la democrazia odierna

A cinquant’anni dalla promulgazione della costituzione pasto-rale Gaudium et Spes (che per molti versi offrì interessanti in-terpretazioni per comprendere i cambiamenti di quel periodo,

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AgoràAntonio Campati - L’intensità della democrazia fra interessi e conflitti

L’intensità della democraziafra interessi e conflitti

di Antonio Campati,Università Cattolica del Sacro Cuore

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non solo interni al mondo ecclesiastico), è senz’altro illumi-nante l’osservazione di Papa Francesco appena ricordata; in-fatti possiamo trovare un riscontro dell’importanza del cam-biamento d’epoca che viviamo prendendo in esame il sistemademocratico. Guardando alle trasformazioni che la democrazia sta subendonegli ultimi decenni diviene sempre più chiaro come tale siste-ma politico risulti intrinsecamente connesso a dinamiche noncomprensibili con immediatezza proprio perché immerse den-tro un sistema di relazioni complesso. In primo luogo perchéin molti percepiscono un disagio della democrazia, ossia un di-sagio provocato dalla democrazia, dalle sue istituzioni politi-che dalla sua realtà sociale2. E poi anche perché dentro i siste-mi democratici, permane un evidente deficit di politica, chenon solo rappresenta la sempre maggiore divaricazione fra leclassi governanti e i cittadini, ma indica un ben più grave at-teggiamento di disinteresse per tutte le questioni che riguar-dano la collettività. Siamo sempre più vicini, in sostanza, a unmodello di democrazia a bassa intensità, così come lo tratteggiòil cardinale Bergoglio: una democrazia nella quale si assiste,per esempio, al «divorzio» fra élite e popolo, alla presenza dileadership deboli che operano avendo come orizzonte il breveperiodo e dove, in altri termini, la politica si è trasformata inuno «strumento di lotta per un potere asservito a interessi in-dividuali e settoriali; di conquista di posti e spazi più che di ge-stione di processi»3. Questo scenario sembra consolidarsi in molte realtà del mon-do. Recentemente, uno studio dedicato a comprendere l’insta-bilità della democrazia come paradigma politico si spinge a im-maginare un futuro nel quale questa si presenterà sempre piùin una dimensione «debole», che oscillerebbe proprio fra unoschema di «democrazia a bassa intensità» e un profilo di «de-mocrazia volatile»: da un lato, dunque, si assisterebbe a un tas-so di astensionismo sempre più crescente, dovuto a una plateadi elettori ridotta poiché la maggioranza dei cittadini, ricono-sciuta la loro impotenza, lascerebbe la scelta dei rappresentan-ti a un piccolo numero di interessati; dall’altro, si delineerebbeuna democrazia instabile, dove le regole restano quelle del me-

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todo elettorale, ma in una dimensione solo formale, dal mo-mento che nella sostanza la volatilità delle maggioranze impe-direbbe qualunque misura di reale cambiamento4.Quello che sembrerebbe mancare è dunque proprio un inte-resse per la politica nel suo complesso, un’attenzione perl’«amore civile e politico» come impegno per il bene comune5.Tuttavia, occorre stare attenti a non considerare gli elementi,per così dire, classici della partecipazione democratica (come,per esempio, il voto periodico per scegliere i rappresentanti) isoli indicatori possibili per misurare il grado di salute dei si-stemi democratici. Ci sono nuove forme di partecipazione e,soprattutto, di (più o meno riconosciuta) rappresentanza chenon possono essere ignorate. Perché sono proprio queste chemodificano in maniera evidente taluni caratteri della demo-crazia, che si esprimono in modalità inedite rispetto al passa-to, le quali, proprio perché differenti, possono indurre nell’er-rore di credere che siano il frutto di un tradimento dei ‘valori’originari sui quali si fonda il mito democratico. Ciò non toglie nulla alla necessità, per la democrazia, di espri-mere un carattere manifestatamente politico. Anzi, come èstato osservato, è per molti versi necessario procedere a unasua «ripoliticizzazione» grazie proprio alla politica, che la deveriempire di contenuti sociali e, allo stesso tempo, deve esserecapace di generare le condizioni per aprire spazio all’azionecollettiva6. Tale rilancio dell’iniziativa politica deve fare i con-ti, fra i molti fattori, con il processo di progressiva disinterme-diazione nei processi decisionali e deliberativi: l’attenzioneche la Dottrina sociale della Chiesa ha riservato al ruolo deicorpi intermedi e, quindi, alla «pluralità di centri decisionali edi logiche di azione»7 ci deve necessariamente indurre a riflet-tere nell’immediato futuro su questa particolare configurazio-ne funzionale del regime democratico che, per non poche sta-gioni, ha avuto un ruolo di primissimo piano nel determinareil successo, o meno, di molte politiche. Lo si dovrà fare, però,non con allusioni all’azione che i corpi intermedi hanno avutonel passato e neppure con la presunzione di saper individuarecon precisione se e come sopravvivranno nel futuro, ma conuno sguardo capace di non abbandonare la realtà per come ci è

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AgoràAntonio Campati - L’intensità della democrazia fra interessi e conflitti

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data. E, quindi, cercando di comprendere, per esempio, comeeffettivamente la rappresentanza politica e sociale sta cam-biando, anche in relazione ai contesti e ai vincoli internazio-nali ai quali il nostro paese è inevitabilmente legato. A ben ve-dere, allora, per studiare la democrazia e i suoi cambiamenti èprobabilmente più utile considerarla una forma storica di le-gittimazione del potere perché da questa prospettiva si riescea evitare di contrapporre ad ogni costo la sua versione ‘reale’ auna presunta e desiderata dimensione ‘ideale’8.

Il (dis)interesse e l’accettazione del conflitto

In un interessante passaggio della Gaudium et Spes, nel para-grafo dedicato alla collaborazione di tutti alla vita pubblica,viene ricordato che «coloro che sono o possono diventare idoneiper l’esercizio dell’arte politica, così difficile, ma insieme cosìnobile si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badareal proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscano con inte-grità e saggezza contro l’ingiustizia e l’oppressione, l’assoluti-smo e l’intolleranza d’un solo uomo e d’un solo partito politico;si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzicon l’amore e la fortezza richiesti dalla vita politica»9. Il disin-teresse per il tornaconto personale quando si agisce ‘politica-mente’ è certamente uno dei cardini basilari del concetto dibene comune, nozione che, nonostante diversi processi storici(specialmente nel Novecento) riuscirono a deformarne l’inti-ma essenza, rimane fortunatamente un riferimento essenzia-le per la riflessione sociale10. Ciò è sempre più vero nelle condizioni attuali dove i cambia-menti sono repentini e la difficoltà a cogliere e favorire un’op-zione ‘generale’ nella formulazione delle politiche pubblichenon è aggirabile con facilità. Sempre durante il suo interventoall’ultimo Convegno ecclesiale nazionale, in modo non casualePapa Francesco ha enunciato fra i sentimenti di Gesù che dan-no forma all’umanesimo cristiano proprio il disinteresse, spe-cificando che in verità «più che il disinteresse, dobbiamo cer-care la felicità di chi ci sta accanto». All’interno della riflessio-ne sul ruolo dei laici e delle istituzioni, questa indicazione se

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da un lato richiama indubbiamente il concetto di bene comu-ne, dall’altro però suggerisce una nuova sfida: qual è concreta-mente (nelle politiche comunali, nazionali, internazionali)l’interesse che i cattolici devono perseguire?Tutto l’articolato sistema della Dottrina sociale è disponibile aoffrire orientamenti essenziali, ma è altrettanto importante ilmetodo che i laici impegnati nelle istituzioni sono invitati adadottare. E, su questo punto, Papa Francesco offre un consi-glio prezioso, fortemente realista, privo di ipocrisia: semprerivolgendosi alla Chiesa italiana durante il Convegno di Firen-ze, sollecita le capacità di dialogo e di confronto nell’eserciziopubblico e specifica che «dialogare non è negoziare. Negoziareè cercare la propria “fetta” della torta comune. Non è questoche intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti». Tuttavia,la ricerca dell’interesse generale non è semplice. Infatti, prose-gue il Papa, «molte volte l’incontro si trova coinvolto nel con-flitto» perché «nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedi-bile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma ac-cettarlo». Queste parole richiamano uno di quei fondamentali principiche, prima da Cardinale e poi da Pontefice, Papa Francescosuggerisce come base per un sistema politico e sociale diame-tralmente opposto a quello della democrazia a bassa intensità:l’unità prevale sul conflitto11. Perché se è pur vero che il con-flitto deve essere accettato, allo stesso tempo bisogna evitaredi rimanere «intrappolati in esso» perché altrimenti si limita-no gli orizzonti e «la realtà resta frammentata»: quindi è ne-cessario sopportarlo, risolverlo e trasformarlo in un anello dicollegamento di un nuovo processo12.

Il governo come arte, scienza, lavoro e… mistero

In conclusione, proprio quando sembra in «crisi» o, più preci-samente, quando alcuni suoi caratteri cambiano sembianza, èfondamentale focalizzare l’attenzione sui meccanismi che sot-tendono alla democrazia, che deve essere pur sempre conside-rata uno «strumento» e non un «fine» e neppure un «mito» ca-pace di agire come surrogato della moralità o toccasana del-

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l’immoralità13. Per queste ragioni, l’accettazione del conflittocome passaggio necessario per favorire il dialogo (e il confron-to) e l’attenzione agli interessi determinati dai valori sui qualisi fonda e si orienta il proprio impegno pubblico sono fra iprincipali lineamenti di una «sana politica» democratica. Chesia capace di distinguersi per una intensità «alta» e che quindisappia mettere in moto processi governativi di lungo periodo,nella consapevolezza che i risultati dell’attuazione di specifi-che politiche non possono essere esibiti nel periodo di vita diun solo governo, ma chiedono tempi più dilatati14. Ugualmen-te, però, per quanto possano essere definiti i propositi, non bi-sogna neppure dimenticare che «governare è un’arte… che sipuò imparare. È anche una scienza… che si può studiare. È unlavoro… che esige dedizione, sforzo e tenacia. Ma è anzituttoun mistero… che non sempre può essere spiegato con la razio-nalità logica»15.

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Note

1 FRANCESCO, Discorso in occasione dell’incontro con i Rappresentanti del Conve-gno Nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 dicembre 2015, consultabilesul sito www.vatican.va.2 Si veda, per esempio, C. GALLI, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011.3 J. M. BERGOGLIO, Nosotros come ciudadanos, nosotros como pueblo. Hacia unBicentenario en justicia y solidaridad 2010-2016, Editorial Claretiana, BuenosAires 2011; trad. it. Noi come cittadini, noi come popolo, Jaca Book – LibreriaEditrice Vaticana, Milano 2013, p. 31. Per un commento a questo testo si ve-da M. TOSO, L’utopia democratica di Papa Francesco, in «La Società», n. 5/6(2013), pp. 50-65 e M. TOSO, Riappropriarsi della democrazia, Libreria Editri-ce Vaticana, Città del Vaticano 2014.4 R. SIMONE, Come la democrazia fallisce, Garzanti, Milano 2015, pp. 174-176.5 FRANCESCO, Laudato si’, nn. 228-232.6 Si veda G. PRETEROSSI, Ciò che resta della democrazia, Laterza, Roma-Bari2015, p. 15 e pp. 174-182.7 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina so-ciale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n. 356.8 Si veda, per questo approccio, la riflessione di D. PALANO, La democrazia sen-za qualità. Le «promesse non mantenute» della teoria democratica, Mimesis,Milano-Udine 2015 (prima edizione 2010).9 Gaudium et Spes. Costituzione pastorale sulla Chiesa e sul mondo contempora-neo (7 dicembre 1975), n. 75 (corsivo aggiunto).10 Per un approfondimento si veda la voce Bene comune redatta da LorenzoOrnaghi in UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, Dizionario di Dottrina so-ciale della Chiesa. Scienze sociali e Magistero, a cura del Centro di ricerche perlo studio della dottrina sociale della Chiesa, Vita e Pensiero, Milano 2004,pp. 69-76 ora riproposta in L. ORNAGHI, Nell’età della tarda democrazia. Scrittisullo Stato, le istituzioni e la politica, Vita e Pensiero 2013, pp. 271-279.11 Si veda J. M. BERGOGLIO, Noi come cittadini, noi come popolo, cit., pp. 59-69.12 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, n. 226-227.13 GIOVANNI PAOLO II, Evangelium Vitae, n. 70.14 Cfr. FRANCESCO, Laudato si’, n. 181.15 J. M. BERGOGLIO, Noi come cittadini, noi come popolo, cit., pp. 91-92.

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La realtà pone sempre nuove sfide ad ogni persona e questesfide non devono essere affrontate in modo episodico, avulsoda un ben definito quadro di riferimento di ciò che è bene e diciò che è male; di ciò che bene in via intermedia e di ciò che èbene in via finale. Se queste distinzioni non sono ben chiare,non si può agire che al buio, a tentoni nel buio, con elevataprobabilità che le azioni intraprese siano fra di loro contrad-dittorie, il che – impiegando un’espressione che oggi, forse perla sua banalità, è molto in uso – “non porta da nessuna parte”.

Nel contesto del Festival della Dottrina Sociale, questo nondovrebbe costituire un problema, ché gli obiettivi finali che laDottrina sociale della Chiesa sono bene chiari. Infatti, il Com-pendio della dottrina sociale della Chiesa definisce come cardinidell’insegnamento sociale della Chiesa quattro principi perma-nenti: si tratta dei principi della dignità della persona umana,del bene comune, della sussidiarietà e della solidarietà. Chiara-mente, solidarietà e sussidiarietà sono modalità di comporta-mento e di organizzazione strumentali rispetto alla realizza-zione degli altri due principi, che hanno la natura di obiettivo

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AgoràDaniele Ciravegna - La DSC tra Welfare State e Welfare Society

La DSC tra Welfare State eWelfare Society

di Daniele Ciravegna,Università di Torino

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– così come natura di obiettivo ha la giustizia, che Papa Bene-detto XVI indica, a fianco di solidarietà, sussidiarietà e benecomune, come principi permanenti della Dottrina sociale del-la Chiesa. La giustizia è, però, un obiettivo intermedio, seppu-re assai importante, poiché non si può avere né dignità dellapersona umana né bene comune se non c’è giustizia; appuntoper questo, la giustizia, deve avvenire nel rispetto della digni-tà della persona e svolge la funzione di motore giuridico delbene comune; quest’ultimo è il risultato sociale della giustiziapraticata.

Dignità della persona e bene comune sono i soli obiettivi fina-li, ed essi si condizionano vicendevolmente: il rispetto delladignità di ogni persona è elemento componente essenzialeper la realizzazione del bene comune, ma se il bene comune –insieme di condizioni soggettive e oggettive – non è persegui-to, non può aversi la realizzazione della dignità di tutte le per-sone.

Se questo è condiviso, non è difficile individuare le linee d’in-tervento capaci di condurre la comunità verso gli obiettivi fi-nali, transitando attraverso gli obiettivi intermedi e usandogli strumenti adeguati rispetto e agli uni e agli altri, che non èaltro che fare una corretta azione di politica economica.

Questo modo di operare dev’essere impiegato nei riguardi diqualsiasi questione, quindi anche riguardo al Welfare State,questione fra le più rilevanti e dibattute, oggi.Occorre allora ricordare che il Welfare State ha due obiettivi:fornire servizi assicurativi (a fronte dei rischi della vecchiaia edella disoccupazione, principalmente) e svolgere una politicaredistributiva in termini di beni (istruzione, sanità) e in termi-ni di redditi (pensioni e trasferimenti vari alle famiglie), di mo-do che questi risultino distribuiti in modo più equo e quelli sia-no accessibili in modo più equo di quello che spontaneamente(attraverso i mercati) avverrebbe. Non solo, ma gli interventidi Welfare State (e, più in generale, la politica sociale) puntanoanche a porre fine alla povertà e all’esclusione sociale.

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Nel suo insieme, la politica sociale si è trasformata in uno stru-mento per organizzare l’ “ordine dell’equità”, a correzione delformidabile meccanismo per organizzare l’ “ordine dell’effi-cienza egoistica” qual è l’economia di mercato capitalistica.Quindi, il Welfare State è divenuto strumento ancillare dellapolitica economica: questa si occupa dello sviluppo economico;quella dei “danni collaterali” che ne derivano, cercando di ri-durli, se non di eliminarli; per cui il Welfare State va visto comeun’innovazione che ha consentito al sistema economico di svi-lupparsi seguendo le vie di minore resistenza, con la sufficien-te elasticità e mobilità infrastrutturale, senza che ciò andassetroppo a scapito della sicurezza sociale. L’impiego di risorse neiservizi sociali ha consentito, infatti, lo sviluppo di istituzionicapaci anche di contenere il disagio derivante dalla mobilità dellavoro dai settori rallentati ai settori più dinamici, premessaper una crescita della produttività del sistema economico.

Oggi è diffusa l’opinione che il Welfare State non sia più sop-portabile. Questo potrebbe voler dire o che le nostre comunitànon sopportano più la presenza di politiche redistributive nel-la misura necessaria per contrastare le crescenti disuguaglian-ze presenti nella distribuzione dei redditi e delle ricchezze operché il Welfare State, così come realizzato, non è stato effica-ce. Cioè, a fronte d’ingenti risorse utilizzate, prelevate con laleva fiscale e parafiscale, non ha saputo attuare una significa-tiva azione di effettiva redistribuzione. A fronte di bisogni po-co standardizzabili e di fronte alle rilevanti mutazioni dei mo-delli socio-culturali, della struttura demografica – per motivinaturali e a séguito di rilevanti spostamenti della popolazionesul territorio planetario – della struttura e dei processi econo-mici – a livello locale e a livello globale – la risposta è risultataquasi sempre standard, rigida, burocratica. Ancor più grave, ilWelfare State è stato spacciato per intervento di solidarietà an-che quando aveva meri fini clientelari e destinato a finanziareun’impropria intermediazione politica.

In effetti, il Welfare State è insostituibile; non va smantellatoné svenduto al miglior offerente, così come non va confuso

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AgoràDaniele Ciravegna - La DSC tra Welfare State e Welfare Society

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con lo “Stato assistenziale” – che in realtà toglie il senso re-sponsabilità, e quindi brucia la solidarietà – né con lo “Statoclientelare”, che alimenta divisioni di gruppi e di corporazionie che genera dipendenze, gelosie, esclusioni, ingiustizie e con-flitti. Ovviamente, come qualsiasi strumento, il Welfare Statepuò abbisognare di correzioni, di adeguamenti nel modo di fi-nanziamento o nelle prestazioni fornite, richiesti anche damodificazioni intercorse o in essere nella struttura per classid’età della popolazione.

La correzione più qualificante sarebbe che esso si trasformas-se, il più possibile, in Welfare State attivo. Gli ammortizzatorisociali ridotti a mera assistenza non sono uno strumento benutilizzato poiché creano fenomeni di dipendenza e di dere-sponsabilizzazione delle persone, che concorrono a renderecronici gli stati di bisogno, determinando, da un lato, insoddi-sfazione fra i beneficiari e gli operatori e, dall’altro lato, insof-ferenza e repulsione da parte dei soggetti chiamati, con il paga-mento delle imposte e dei contributi sociali, al finanziamentodel funzionamento delle strutture pubbliche preposte e delleerogazioni prestate. Gli ammortizzatori sociali devono essereutilizzati, non solo per sostenere il reddito dei disoccupati (im-piego passivo), ma anche collegati a iniziative di orientamento,di riqualificazione obbligatoria, che permettano al disoccupa-to, al lavoratore sospeso (in Italia, al cassa integrato) sostan-zialmente sulla via di diventare disoccupato, di crearsi unanuova posizione nel mercato del lavoro. Non solo sussidi di di-soccupazione o cassa integrazione, ma anche servizi per il lavo-ro e la formazione e servizi sociali territoriali per attivare, so-stenere e reinserire le persone e i gruppi svantaggiati; tutte lepersone e i gruppi – senza distinzione di qualifica, settore pro-duttivo, dimensione d’impresa, tipologia di contratto di lavoroecc. – e non soltanto alcune categorie di lavoratori. Interventiabilitanti anziché solamente riparatori e risarcitori; interventibasati sul principio dell’empowerment, inteso come rafforza-mento delle capacità degli individui e dei gruppi di realizzare leproprie potenzialità nei vari àmbiti; interventi di welfare abili-tante e non di mero welfare assistenzialistico.

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Là ove il Welfare State consiste nell’erogazione di servizi allapersona, assai qualificante sarebbe seguire l’approccio del-l’economia di produzione di reciprocità, nel quale la personache beneficia del prodotto concorre a produrre il prodottostesso; il che, da un lato, non può che elevare la qualità delprodotto stesso e, dall’altro lato, dà luogo alla creazione di ri-levanti beni relazionali.

V’è anche un problema di carattere organizzativo. Così come siè andato formando, il Welfare State, ha generato – per lo menoin molti paesi, fra cui il nostro – un eccesso di Stato, poichéquesti ha preso a produrre direttamente, cioè a gestire in pro-prio la produzione dei servizi sociali. L’eccesso di Stato ha pro-dotto situazioni di dipendenza assistenziale, di annullamentodella responsabilità individuale, di mancanza di reciprocitànelle aspettative e nei comportamenti che intercorrono fracittadini e Stato, così come fra gli stessi soggetti di cittadinan-za, con indebolimento, o addirittura scomparsa, della solida-rietà interpersonale. Il Welfare State burocratizzato, irrigi-mentato, ha tolto spazio alle attività di volontariato, all’attivi-tà di assistenza personale fatta da persone che agiscono, nonperché obbligate a farlo, ma per amore di solidarietà gratuita.

In questo contesto, è da auspicare una ripresa di vitalità perl’acquisizione di spazi da parte di forme di welfare autorganiz-zato: associazioni orientate a provvedere al soddisfacimentodei bisogni dei propri associati, attraverso maggiore controlloe responsabilità sulla definizione dei bisogni e sui modi perfronteggiarli, così come soggetti economici operanti secondoil principio del non profit. L’attuale crisi del Welfare State, chederiva da un eccesso di procedure che ne limitano l’efficienza,senza farne aumentare l’efficacia, ha fatto prendere coscienzache il sistema di welfare dev’essere impostato in modo da rea-lizzare, non la contrapposizione, la reciproca sfiducia, fra Wel-fare State e welfare autorganizzato, bensì la complementarietàfra i due, con il primo che snellisce le sue procedure (comun-que mai totalmente eliminabili) e concorre a far crescere l’effi-cacia del sistema approfittando della presenza del welfare au-

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torganizzato, rivitalizzato dalla riduzione dell’invasività delWelfare State, e comunque all’interno di un sistema fondatosul principio della sussidiarietà; con il secondo che si organizzanella forma del modello a rete, che esalta la capacità della sin-gola istituzione di perseguire le proprie finalità all’interno diun obiettivo di bene comune.

In altre parole, lo Stato e gli altri enti pubblici devono ancherimettere a corpi sociali intermedi (associazioni, organizza-zioni produttive che perseguono fini mutualistici e solidali,varie forme di volontariato) la gestione delle attività atte arealizzare il rispetto dei diritti sociali attraverso la dimensionerelazionale della sussidiarietà orizzontale (ma anche di quellaistituzionale verticale), comportando il superamento dellaconcezione centralistica statale.

Occorre, quindi, un ridisegno dell’organizzazione strutturaledella politica di welfare. La crisi attuale discende anche, e inmodo rilevante, dal fatto che lo Stato – come soggetto di spesae di erogazione diretta dei servizi – si è attribuito còmpiti chepotevano e dovevano essere lasciati a livelli decentrati dellaPubblica Amministrazione o ai predetti corpi sociali interme-di. Questi ultimi avrebbero dovuto e potuto gestire benissimoi servizi di welfare, senza escludere l’indirizzo, il sostegno, lavigilanza, la repressione, la valutazione, in termini di efficaciae di efficienza, da parte dello Stato e delle sue articolazioniamministrative periferiche. Andando in questa direzione, sicreerebbero le condizioni per far nascere una pluralità di sog-getti offerenti i vari servizi e consentendo un’effettiva libertàdi scelta da parte dei cittadini. Il ridisegno delle politiche diwelfare non può non andare nella direzione per cui, al posto diun Welfare State che programma gli interventi, li organizza e ligestisce e procede all’erogazione della prestazioni monetarie,un Welfare State che co-programmi con il welfare autorganizza-to gli interventi; lasci a quest’ultimo l’organizzazione e la ge-stione degli stessi, ma concorra a sostenere i costi di funziona-mento del sistema di welfare e svolga l’attività di erogazionedelle prestazioni monetarie, poiché la Pubblica Amministra-

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zione è, essa sola, in grado di attivare il processo di redistribu-zione del reddito (cioè acquisizione di risorse tramite i prele-vamenti fiscali e parafiscali e trasferimento di queste al fun-zionamento e all’erogazioni delle prestazioni monetarie) di di-mensioni significative.

Còmpito primario e insostituibile dello Stato è di agire comeco-programmatore e coordinatore della vita e della creativitàdei soggetti dell’economia solidale; senza escludere il suo in-tervento diretto ogni qual volta questi ultimi non riuscisseroa rispondere da soli ai sempre cangianti bisogni di solidarietà.

In conclusione, la prospettiva del bene comune comporta chel’ente pubblico abbandoni il principio della centralità dellecompetenze istituzionali, a favore del principio della centrali-tà del cittadino in quanto persona, e quindi conferendo al si-stema politico-amministrativo una posizione di sussidiarionei confronti di quelle formazioni sociali intermedie che, apartire dalle famiglie e dalle forma associative del Terzo setto-re, contribuiscono al bene comune attraverso la creazione siadi beni di gratuità sia di beni relazionali. È questo il metodoorganizzativo in grado di far passare il sistema di welfare dalWelfare State alla Welfare Society, nel quale la società civile nonè concepita come ausiliaria dello Stato, ma lo Stato è sussidia-rio della società civile.

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1. Premessa

Insegnando diritto commerciale, il mio intervento ruoterà at-torno al mondo dell’impresa privata e interpreterà il titolo delnostro seminario interdisciplinare, intendendo per ‘istituzio-ni’ le organizzazioni imprenditoriali e per ‘laici’ gli imprendi-tori (cioè gli organizzatori dell’impresa), gli altri lavoratorinell’impresa e gli apportatori di capitale in tali organizzazioni.

2. La sfida della realtà

2.1 Secondo una recente ricerca dell’Istat1, “nel 2014 si atte-sta al 28,3% la stima delle persone a rischio di povertà oesclusione sociale residenti in Italia”. Inoltre “Il 20% piùricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,5%del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta soloil 7,7%”. Infine, “quasi la metà dei residenti nel Sud e nel-le Isole (45,6%) è a rischio di povertà o esclusione socia-le, contro il 22,1% del Centro e il 17,9% di chi vive alNord”.

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AgoràEmanuele Cusa - I laici nelle istituzioni imprenditoriali

I laici nelle istituzioniimprenditoriali

di Emanuele Cusa,Università Milano Bicocca

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2.2. Ai sensi del Codice di Autodisciplina di Borsa Italianas.p.a.2 (cioè del vademecum della buona società italianacon azioni negoziate nei mercati regolamentati) “gli am-ministratori agiscono e deliberano…, perseguendol’obiettivo prioritario della creazione di valore per gli azio-nisti in un orizzonte di medio-lungo periodo”; sicché, an-cora oggi, lo scopo principale delle società quotate (alme-no quelle in forma di s.p.a.) dovrebbe corrispondere al co-siddetto shareholder value, il quale, nella realtà, si tradur-rebbe nel cercare di massimizzare i dividendi per non de-primere, anche nel breve periodo, il valore di mercato del-le azioni quotate.Ne deriva che il capitale è dominante tra i fattori di produ-zione della ricchezza generata da queste società; ma allora,esemplificando, se si possono incrementare i dividendi ri-ducendo i lavoratori della società (magari automatizzandouna fase del processo produttivo della relativa impresa), èdovere degli amministratori agire in tal modo. Purtroppo, l’operare delle s.p.a. con azioni quotate – da mol-ti ritenute conformi con la forma ottimale di impresa inun’economia di mercato – ha, di regola, l’effetto di ampliarele diseguaglianze reddituali tra i concittadini, distribuendola ricchezza prodotta (gli utili realizzati nei vari esercizi con-tabili) in base al capitale investito dai loro azionisti.

2.3. In diversi Paesi dell’Unione europea, tra cui l’Italia, si as-siste a un arretramento del welfare pubblico e a un pro-gressivo invecchiamento della popolazione. Sicché èquanto mai urgente concepire un welfare privato, incardi-nato sulle imprese del Terzo settore (usando la terminolo-gia italiana) o dell’economia sociale (usando la terminolo-gia comunitaria); ciò eviterebbe infatti che, a fronte diuna crescente domanda di servizi di welfare, non vi siaun’offerta adeguata e accessibile all’intera popolazione.Quindi, queste imprese potrebbero esercitare attività diutilità sociale a beneficio non solo del Primo settore (gra-zie anche a specifiche regole in materia di appalti e di con-cessioni, suggerite dalla stessa Unione europea), ma an-

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che del Secondo settore (ad esempio, migliorando il welfa-re aziendale delle società lucrative e, conseguentemente,il benessere dei loro lavoratori).

2.4. Se la forma e gli obiettivi dei diversi modelli imprendito-riali (tra cui spicca quello societario, tradizionalmenteconsiderato dai legislatori come ideale per esercitare atti-vità economiche in modo continuativo) concorrono a in-crementare o a diminuire il divario tra l’incluso e l’escluso,è il momento di privilegiare, anche da parte dei pubblicipoteri, le forme di impresa privata capaci di rendere la no-stra economia più inclusiva; queste forme, infatti, posso-no diventare istituzioni di carità, prendendo in prestito leparole di Papa Benedetto XVI contenute nella lettera enci-clica Caritas in veritate 3.

3. L’insegnamento della Chiesa Cattolica

Sul dover essere dell’impresa è illuminante il pensiero dellaChiesa Cattolica esposto sia nella Costituzione pastorale Gau-dium et Spes 4 – quando non solo si chiarisce che “nelle impreseeconomiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi edautonomi, creati ad immagine di Dio” e, “perciò, prendendo inconsiderazione le funzioni di ciascuno … e salva la necessariaunità di direzione dell’impresa, va promossa … la attiva parte-cipazione di tutti alla gestione dell’impresa” (n. 68), ma anchesi esorta tutti i cristiani ad essere “convinti di poter contribui-re molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mon-do” (n. 72) – sia negli interventi di Papa Francesco, tra i qualine rammento due recentissimi.

Il primo intervento – tenuto a Roma il 31 ottobre 2015, rivol-gendosi all’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti – indirizzaai membri di tale associazione le seguenti raccomandazioni,scaturenti da una concezione dell’impresa come “bene di inte-resse comune” e volte a tratteggiare un identikit del buon im-prenditore e dirigente aziendale cattolico: “vi incoraggio a vive-re la vostra vocazione imprenditoriale nello spirito proprio del-

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la missionarietà laicale”; “questa chiamata ad essere missionaridella dimensione sociale del Vangelo nel mondo difficile e com-plesso del lavoro, dell’economia e dell’impresa, comporta an-che un’apertura e una vicinanza evangelica alle diverse situa-zioni di povertà e di fragilità”; “l’impresa e l’ufficio dirigenzialedelle aziende possono diventare luoghi di santificazione”.

Il secondo intervento – tenuto a Firenze il 10 novembre 2015,in occasione dell’incontro con i rappresentanti del 5° Conve-gno Ecclesiale Nazionale della Chiesa italiana, da ritenersi unasorta di vademecum papale rivolto ai cattolici italiani per iprossimi dieci anni – contiene la seguente esortazione, la qua-le si attaglia anche ai laici impegnati nel mondo imprendito-riale: “a tutta la Chiesa italiana raccomando…: l’inclusione so-ciale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo diDio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amiciziasociale nel vostro Paese, cercando il bene comune”.

4. Il discernimento sull’oggi

4.1. La crisi in cui viviamo da più di sette anni ci rende consa-pevoli che dobbiamo innovare anche le forme di impresa,di modo che diventino sempre più organizzazioni dove lapersona umana non sia mezzo ma fine.

Come il laico cristiano può rendere l’istituzione-impresa unluogo di inclusione?

In proposito suggerisco le seguenti quattro piste di riflessione:

• ricordiamo i nostri progenitori che, a seguito della lettera en-ciclica Rerum novarum, a partire dalla fine del diciannovesi-mo secolo non si sono limitati alla teoria, ma hanno offertorisposte concrete agli esclusi, inventando nuove attività eco-nomiche e nuove forme organizzative di impresa;

• pensiamo ai nostri ambienti di lavoro (ove passiamo la granparte del nostro tempo da svegli), non di rado caratterizzatida rapporti di sterile contrapposizione tra lavoratori e datori

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di lavoro e dalla tentazione di ingannarsi reciprocamente,immaginandoli, invece, come ambiti ove sperimentare corre-sponsabilità, co-progettazione e/o co-decisione;

• riflettiamo sulle molteplici attività economiche esercitabilinel settore dell’assistenza alle persone, tra cui spiccano quel-le socio-sanitarie, in forte crescita a causa di una popolazio-ne sempre più medicalizzata e differenziata economicamen-te e socialmente; ebbene, come offrire questi servizi assi-stenziali rispettando il metodo economico (cioè almeno co-prendo i costi coi ricavi) e contribuendo a includere chi ricevee chi offre tali servizi?

• meditiamo sull’attuale struttura gerarchica di molte impresee su una certa impostazione aziendalistica, secondo la qualeil lavoro dovrebbe rimanere servente al capitale.

4.2. C’è una forma giuridica migliore delle altre per renderel’organizzazione imprenditoriale più inclusiva?

Praticamente, si dovrebbe rispondere in modo negativo alladomanda appena posta, poiché ciò che rendono più inclusivetali organizzazioni sono principalmente le persone che le go-vernano e che vi lavorano.

Teoricamente, però, ragionando cioè sulla base delle forme le-gali, per definizione generali ed astratti, si può affermare cheil modello basilare di organizzazione imprenditoriale più in-clusivo corrisponde alla vera cooperativa; le caratteristiche diquesto modello sono state consolidate dall’Alleanza Coopera-tiva Internazionale a partire dalla fine del diciannovesimo se-colo e sono state addirittura riconosciute dalla stessa Corte diGiustizia dell’Unione europea come fondanti una legittimadifferenziazione pubblica (anche tributaria) tra società coope-rative e società lucrative.

Il convincimento esposto nel precedente capoverso è certa-mente proprio sia dello Stato italiano, quando riconosce fun-zione sociale (costituzionalmente intesa) alla sola coope -razione conforme con il paradigma tratteggiato nell’art. 45

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Cost., sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, quando hainvitato in più occasioni i propri Stati membri a utilizzare e apromuovere la vera cooperativa come strumento per realizza-re uno sviluppo sostenibile e inclusivo.

La teorica preminenza della vera cooperativa tra le forme espres-samente concepite dai legislatori per svolgere professional-mente attività economiche può forse spiegarsi per almeno leseguenti due ragioni:

• è l’unica organizzazione necessariamente democratica, aper-ta e non speculativa;

• è un modello che, di solito, favorisce sia l’occupazione, sia lacollaborazione tra persone con gli stessi bisogni economici(diventando così uno strumento efficace per implementarela sussidiarietà orizzontale nel settore economico), siaun’equa distribuzione della ricchezza prodotta dalla stessaimpresa (attenuando così le attuali tendenze alla concentra-zione della ricchezza).

5. Conclusione

Papa Francesco, sempre nel discorso fiorentino sopra indica-to, ricorda al cattolico italiano che “il modo migliore per dialo-gare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qual-cosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli,tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”[i corsivi sono di chi scrive].

Concludo allora il mio intervento con il seguente augurio, ri-volto alle donne e agli uomini di buona volontà: che le orga-nizzazioni imprenditoriali in cui ciascuno di costoro è coinvol-to a vario titolo (come organizzatore o apportatore dei fattoridi produzione) diventino il loro progetto, diventino istituzio-ni inclusive, diventino istituzioni di carità.

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Note

1 Istat, Reddito e condizioni di vita, pubblicato il 23 novembre 2015, scarica-bile da http://www.istat.it. 2 Nella sua versione del luglio 2015, scaricabile da http://www.borsaitalia-na.it.3 Sulle organizzazioni imprenditoriali come forme possibili per percorrere“la via istituzionale … della carità” (Caritas in Veritate, n. 7) indicataci da Pa-pa Benedetto XVI cfr., da ultimo, E. Cusa, Modelli imprenditoriali nella Dottri-na sociale della Chiesa, in F. Felice - G. Tainai (a cura di), Poveri e Ricchi, Late-ran University Press, Roma, 2015, pp. 39-57. 4 La Costituzione pastorale Gaudium et Spes e i documenti papali citati nelpresente scritto sono scaricabili da http://www.vatican.va.

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1.Premessa

Qualche riflessione sulla Gaudium et spes e al suo 50° anniver-sario, relativamente in particolare al rapporto tra laici e Istitu-zioni di fronte alla realtà, per un costituzionalista, comporta –fra le diverse opzioni – la necessità di occuparsi di democrazia,perché negli ultimi anni è di gran lunga il tema centrale, o me-glio il tema in cui si racchiudono i tanti e diversi problemi dellamodernità, su cui in modo multidisciplinare e a volte ancheinterdisciplinare i pensatori, i politici, i sacerdoti e gli uominiin generale si soffer mano maggiormente.

Così, dalla costituzione pastorale Sulla Chiesa nel mondo con-temporaneo Gaudium et Spes:

73. Ai nostri giorni si notano profonde trasformazioni an-che nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli; tali trasfor-mazioni sono conseguenza della evoluzione culturale, eco-nomica e sociale dei popoli. Esse esercitano una grande in-fluenza, soprattutto nel campo che riguarda i diritti e i do-veri di tutti nell’esercizio della libertà civile e nel consegui-

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AgoràBruno Di Giacomo Russo - Democrazia e bene comune

Democrazia e bene comune

di Bruno Di Giacomo Russo,Università Milano Bicocca

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mento del bene comune, come pure in ciò che si riferisce allaregolazione dei rapporti dei cittadini tra di loro e con i pub-blici poteri. (…)

La Gaudium et spes riconosce la democrazia come il più signifi-cativo e diffuso sistema politico del nostro tempo, chiedendo– però – di essa, necessariamente, un certo grado di apertura,comprendendone, e in qualche modo anticipandone, le future,e ora attuali, problematiche.

2. La crisi della democrazia delle istituzioni

In ogni parte del mondo e ora anche d’Europa, forze centripe-te spingono gli uomini ad allontanarsi dalla cura del bene co-mune. I governi tecnici e delle parti che si prendono per il tut-to (i partiti) considerano le pratiche democratiche – referen-dum, elezioni, procedure parlamentari – come un costo inutilee insostenibile.

Ancora in contrasto con l’idea di democrazia come sistema apotere distribuito fra tutti, l’oligarchia è il governo dei pochi, èun sistema che concentra il potere a svantaggio dei molti1.Nelle democrazia moderne l’oligarchia si insinua nelle sedi delpotere come un’entità prevaricatrice. Il sistema oligarchiconon si manifesta al popolo, che ne subisce le ingerenze nelleistituzioni per interessi economici. L’intento è quello di condi-zionare il sistema finanziario globale, in quanto il denaro ali-menta il potere e viceversa.

Papa Francesco afferma che per assumere il senso pieno dellademocrazia non dobbiamo trasformarci in milioni di inutilicontabili, ma dobbiamo porci come cittadini in seno a un popo-lo, e camminare verso un concetto di cittadinanza integrale.La democrazia è sotto assedio locale e globale da tempo.Quello di cui c’è bisogno è recuperare il senso del nostro esserecittadini e popolo, quali soggetti attivi, che è il cuore dell’espe-rienza democratica2.Così, dalla costituzione pastorale Sulla Chiesa nel mondo con-temporaneo Gaudium et Spes:

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73. (…) Per instaurare una vita politica veramente umananon c’è niente di meglio che coltivare il senso interiore dellagiustizia, dell’amore e del servizio al bene comune e raffor-zare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della co-munità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti dicompetenza dell’autorità pubblica. (…)

Quello che emerge diffusamente nel mondo è una ribellionead una sovrastruttura istituzionale a favore di un dibattito po-litico dai tratti assolutamente compartecipativi e collettivi,elemento originario della democrazia.

3. La democrazia poliedrica

Papa Francesco si spende a proposito di una democrazia a piùalta intensità, più sociale e partecipativa, inclusiva, richieden-do per tutti, terra, casa, lavoro, istruzione, assistenza sanita-ria, un sistema penale non meramente punitivo o asservito aipotenti di turno, assieme a politiche economiche facenti levasulla dignità e sul bene comune, a riforme dei sistemi finan-ziari, all’attuazione di una sana economia mondiale, al supera-mento di quelle teorie neoliberistiche che assolutizzano l’au-tonomia dell’economia e della finanza rispetto al bene comu-ne e alla politica3.La democrazia non è definita solo dal metodo di votazione amaggioranza; al contrario, può essere un processo di deliberacollettiva basato sul principio dell’equa e piena partecipazio-ne, in ossequio al primato del tempo sullo spazio.Della globalizzazione dell’indifferenza, senza regole e senza eti-ca, che ha in sé temi come la tutela e la promozione dei dirittiumani, la governabilità del mondo, il rapporto tra globale e lo-cale e, in prospettiva, il bene comune universale, la sfida dellademocrazia poliedrica ha in sé tutto.Papa Francesco sostiene la proposizione di una democrazia eco-nomica che è essenziale per quella politica.Il tempo è superiore allo spazio è il principio che permette di la-vorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati imme-diati. È proprio nell’era globale che l’attività socio-politica de-

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ve privilegiare i tempi dei processi, a discapito degli spazi dipotere. Divengono ora prioritarie le azioni che generano nuo-vi dinamismi e maggiori coinvolgimenti partecipativi nelle co-munità, portando, con costanza e determinazione, al rinnova-mento sociale a livello globale.

Così, dalla costituzione pastorale Sulla Chiesa nel mondo con-temporaneo Gaudium et Spes:

75. È pienamente conforme alla natura umana che si trovi-no strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano atutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilitàeffettiva di partecipare liberamente e attivamente sia allaelaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politi-ca, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determina-zione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organi-smi, sia alla elezione dei governanti. (…)

Il fine è quello di una forma di democrazia più giusta, che sappiarispondere alle gravi e profonde diseguaglianze oggi da tutti ri-scontrabili e che suonano come stridenti rispetto a quegli obiet-tivi che un sistema democratico deve, in quanto tale, perseguire.Il coraggio e la spinta del Santo Padre ci porta ad interpretare ilcambiamento dei tempi, e in particolare ci porta al tempo delleriforme4. Risulta necessario modificare le stagnazioni istituzio-nali, perché la cattiva abitudine di depauperare il tempo e di oc-cupare gli spazi politici venga sostituita dalla virtuosa ricercadi riforme che vadano nella direzione del bene comune renden-do più spediti, semplici, inclusivi, i processi democratici.È necessario sviluppare una creatività democratica, ossia elabo-rare differenti modalità decisionali per regolare questioni co-muni5, affrancandosi da un’autorità preesistente e predomi-nante, in ossequio al primato della poliedricità sull’uniformità.Una democrazia, una repubblica, una monarchia, possonotutte divenire dispotiche, o impegnarsi a distribuire in manie-ra adeguata le competenze.La democrazia pluralista non garantisce di per sé tutte le liber-tà, perché vi sono altre libertà oltre a quelle politiche. Il prin-cipio di sussidiarietà si propone come un criterio per definire,

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al di là della partecipazione politica, quali siano i modi in cui,precisandone i limiti e le condizioni, si possano esercitare le li-bertà d’azione, individuali e collettive, definendo così unanuova forma di governo.

4. La partecipazione comunitaria

Il bene comune esprime l’esigenza di una certa redistribuzionedei beni, affinché coloro che sono meno favoriti conservino laloro dignità esistenziale a dispetto della loro incapacità, tem-poranea o meno, di occuparsi di se stessi.

Così, dalla costituzione pastorale Sulla Chiesa nel mondo con-temporaneo Gaudium et Spes:

74. (…) Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che forma-no la comunità civile sono consapevoli di non essere in gra-do, da soli, di costruire una vita capace di rispondere piena-mente alle esigenze della natura umana e avvertono la ne-cessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechinoquotidianamente il contributo delle proprie capacità, alloscopo di raggiungere sempre meglio il bene comune. (…)

È evidente che la filosofia dell’azione umana e il perseguimen-to del bene comune si contraddicono. Infatti, da un lato, la li-bertà, lasciata a se stessa, genera disuguaglianze, e, dall’altrolato, l’esigenza di solidarietà impone necessariamente la re-strizione di determinate libertà, in generale attraverso formedi livellamento delle situazioni.La par tecipazione, quale forma particolare di sussidiarietà, siesprime essenzialmente in una serie di attività mediante lequali il cittadino, come singolo o in associazione con altri, di-rettamente contribuisce alla vita culturale, economica, socialee politica della comunità civile cui appartiene. La partecipazio-ne comunitaria non è soltanto una delle maggiori aspirazionidel cittadino, chiamato a esercitare libera mente e responsabil-mente il proprio ruolo civico con e per gli altri, ma anche unodei pilastri di tutti gli ordinamenti democra tici, oltre che unadelle maggiori garanzie di permanenza della democrazia.

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Note

1 “(…). L’autore principale, il soggetto storico di questo processo, è la gentee la sua cultura, non una classe, una frazione, un gruppo, un’élite. Non ab-biamo bisogno di un progetto di pochi indirizzato a pochi, o di una mino-ranza illuminata o testimoniale che si appropri di un sentimento collettivo.Si tratta di un accordo per vivere insieme, di un patto sociale e culturale”, Pa-pa Francesco, Evangelii Gaudium, 239.2 Diffusamente, J. M. BERGOGLIO, Noi come cittadini Noi come popolo, Milano,2013.3 “Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non dispone di soluzio-ni per tutte le questioni particolari. Tuttavia, insieme con le diverse forzesociali, accompagna le proposte che meglio possono rispondere alla dignitàdella persona umana e al bene comune. Nel farlo, propone sempre con chia-rezza i valori fondamentali dell’esistenza umana, per trasmettere convinzio-ni che poi possano tradursi in azioni politiche”, Papa Francesco, EvangeliiGaudium, 2414 “È tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogocome forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però sepa-rarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senzaesclusioni. (…)”, Papa Francesco, Evangelii Gaudium, 239.5 In tal senso, secondo chi scrive, si è espresso il nuovo Presidente della Re-pubblica, Sergio Mattarella: “La democrazia non è una conquista definitivama va inverata continuamente, individuando le formule più adeguate al mu-tamente dei tempi. (…) ...desidero esprimere l’auspicio che questo percorsosia portato a compimento con l’obiettivo di rendere più adeguata la nostrademocrazia. Riformare la Costituzione per rafforzare il processo democrati-co, nel “Messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Parla-mento nel giorno del giuramento”, Palazzo Montecitorio, 3 febbraio 2015.

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Premessa

Il tema che il V Festival della Dottrina Sociale della Chiesa tenu-tosi a Verona ha rappresentato il leit - motiv è stato sintetizzatonello slogan La sfida della realtà. Non potevano esserci un tema eun motivo conduttore più appropriati alla luce della contingenzain cui versa l’intera compagine mondiale, funestata e attraversa-ta da lotte e discordie foriere di lotte intestine ai singoli Stati e diconflitti tra etnie e popoli spesso ammantati di presunte riven-dicazioni e motivazioni religiose, ma anche considerando il diffi-cile ruolo a cui è in specie chiamata la Chiesa nella sua azione nelmondo contemporaneo. Su questo sfondo cinquant’anni or sono la Costituzione pastora-le del Concilio Vaticano II, la Gaudium et Spes1, avanzò prospetti-ve e orizzonti che attuali in quell’epoca, riletti e considerati nelcontesto della realtà instante mostrano aver conservato tutta laloro efficacia pur nelle mutate condizioni della scena internazio-nale. Per tal motivo ci soffermiamo sull’attualità del documentoconciliare tracciando alcune linee di continuità tra il contestostorico culturale dell’epoca e quello contemporaneo con partico-

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AgoràGianni Fusco - DSC e laicità nello Stato

DSC e laicità nello Stato

di Gianni Fusco,Lumsa

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lare riferimento alla laicità delle Istituzioni sociali e statali e allasfida che queste sembrano ingaggiare con l’Istituzione Chiesa.

Introduzione

Parlare oggi sulla laicità dello Stato non è facile a causa sia dellaconfusione e ambiguità nella comprensione del termine sia dellasua applicazione pratica. Il concetto di laicità «ha assunto molte-plici accezioni, talvolta viene impiegato per dire cose opposte oquasi, talvolta viene usato come un’arma per silenziare la Chiesaed i cattolici e per relegare la religione nel privato2. Anche la parola laico nel linguaggio dei nostri tempi ha dei signi-ficati diversi. Non di rado, nell’ambito generalmente civile, que-sto termine viene attribuito ad una persona non credente, «inopposizione a confessionale, una realtà (Stato, partito, scuola,cultura…) che si vuole libera da ogni forma di dogmatismo ideo-logico e/o religioso»3. In più, laico indica una persona «che puressendo istituzionalmente estranea, sia chiamata a far parte, co-me esperto e per lo più provvisoriamente di un organo (ammini-strativo, giudicante, deliberante)»4. Questo termine è spessousato, specialmente nella lingua polacca o tedesca, per indicareuna persona alla quale manca la competenza in qualche partico-lare disciplina. Per esempio, si usa frequentemente questaespressione «sono un vero “laico” nelle cose che riguardano ilcomputer; sono un “laico” in medicina, ecc.». Infine, laico, non dirado, è sinonimo di razionalità. Laico, persona non credente, si-gnifica uno che usa la ragione, uno che è razionale. Invece unapersona credente non userebbe la ragione, cioè sarebbe irrazio-nale e dogmatica5.Questo termine, al contrario, ha un altro significato nel linguag-gio ecclesiale. Laico nell’Enciclopedia Italiana Treccani corri-sponde a «chi non appartiene allo stato clericale; sono quindi lai-ci nella Chiesa cattolica, i fedeli che non sono né chierici né reli-giosi, ossia tutte le persone battezzate che non hanno alcun gra-do nella gerarchia ecclesiastica6»6. Infatti, il Catechismo dellaChiesa Cattolica7, citando la Costituzione del Concilio Ecumeni-co Vaticano II Lumen Gentium, afferma che «col nome di laici si in-tendono qui tutti i fedeli a esclusione dei membri dell’ordine sacro e

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dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopoessere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo diDio e nella loro misura resi partecipi della funzione sacerdotale, pro-fetica e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nelmondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano»8.Il significato del termine laico è cambiato durante la storia finoai nostri tempi. Laico proviene dalla lingua greca, dove laikós de-rivante dal sostantivo laós indicava un popolo e non solo nelsenso generico, ma anche come una massa della popolazione inopposizione ai suoi capi9. Nell’ambito cristiano e particolarmen-te nella Lettera di Clemente del III sec. la parola laico «designauna persona distinta da altre appartenenti alla medesima comu-nità, ma che hanno un ruolo superiore»10. In questo senso, «laicoè un membro di un organismo nel quale occupa l’infimo po-sto»11. Passando da Clemente di Roma a Clemente Alessandrinoe poi a Origene troviamo lo stesso significato. Il termine laikós«è usato in opposizione a sacerdote e diacono»12. Secondo Ca-nobbio il termine laico, «con questa accezione resterà perma-nentemente nel vocabolario cristiano, e anche nella lingua lati-na»13. Laicus significa «non solo chi appartiene al popolo, ma an-che chi non appartiene al clero, pur avendo responsabilità di ca-po nell’ambito civile»14. Tuttavia, nel corso della storia questotermine assume significati nuovi e, particolarmente, da quandola società civile ha voluto distaccarsi dalla tutela ecclesiastica vol-ta a sottolineare la sua autonomia. Da questo momento storicoil termine «laico non significa semplicemente ‘profano’, ‘non ec-clesiale’ ma assume la connotazione polemica di ‘autonomo’,‘anticonfessionale’»15. Non è facile indicare con esattezza il tem-po nel quale si stabilisce questo significato del termine, ma sipuò parlare, con approssimazione, dell’epoca moderna. Laico inquesto contesto polemico coincide «con non-credente, non tan-to nella connotazione atea, quanto nel senso di responsabile inprima persona della condizione umana, senza rimandi a unmondo altro da questo»16.Da tale significato del termine laico provengono due altri termi-ni, cioè laicità e laicismo. L’ambito nel quale nasce il primo ter-mine è soprattutto la Francia. Infatti, nella seconda metà delsec. XIX nasce il tentativo «dello Stato francese, e della sua ideo-

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logia che lo sosteneva, di emanciparsi dall’ingerenza della Chie-sa negli affari della vita civile»17. In questo contesto il terminelaicità è usato in opposizione al clericalismo che significa pro-prio quest’ingerenza della Chiesa nelle realtà della comunità po-litica dalla quale bisogna liberarsi. Alla laicità è molto legato l’al-tro termine laicismo. Il significato di questo termine può esseredescritto come: «La distinzione ascritta dagli storici alla ridu-zione della sfera del ‘clericalismo’. L’opposizione non sarà piùtra ‘clericalismo’ e ‘laicità’, ma tra ‘clericalismo e ‘laicismo’. Que-st’ultimo termine designa abitualmente una ideologia o un at-teggiamento teso a contrastare l’incidenza della religione nellavita civile. Indica cioè una visione globale della realtà, che nonriconosce alcun significato alla dimensione religiosa, quando sitratti di organizzazione della società. Così almeno è interpreta-to nel contesto cattolico, e in particolare nei documenti del Ma-gistero della chiesa»18.Accanto a laicismo appare il termine laicizzazione che significauna totale liberazione delle istituzioni dello Stato dall’influenzadella Chiesa, ma anche il distaccarsi di un ecclesiastico dalla suacondizione clericale19. Il Magistero della Chiesa Cattolica non ac-cetta il laicismo, ma difende e promuove la laicità intesa come di-stinzione tra religione e politica e come autonomia e indipen-denza tra Chiesa e Stato. Tuttavia, persino il termine laicismonon sempre ha la connotazione così negativa come si è detto pri-ma. Il Dizionario di politica della UTET può essere d’esempio,dove il laicismo assomiglia tanto a quella realtà che descriviamooggi con la parola laicità. Sotto la voce “Laicismo” si può leggereche «i diversi significati del laicismo concernono insieme la sto-ria delle idee e la storia delle istituzioni e si possono riassumerenelle due espressioni di “cultura laica” e di “Stato laico”»20. Ma, loStato laico, a sua volta, è inteso come «il contrario dello Statoconfessionale, cioè dello Stato che assume come propria una de-terminata religione e ne privilegia i fedeli rispetto ai non creden-ti»21. Infine, si precisa, che «lo Stato laico propriamente intesonon professa pertanto una ideologia “laicista” qualora si intendaper tale una ideologia irreligiosa o antireligiosa»22.Lo Stato laico secondo l’Enciclopedia Italiana Treccani è invece«quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religio-

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se, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad al-cuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al po-tere ecclesiastico»23. In questa linea, la laicità dello Stato demo-cratico che oggi è anche molto spesso multietnico e multireligio-so «si misura, perciò, col non negare (= laicità negativa) e col nonlimitare (= laicità neutrale) il ruolo pubblico di tutte le religioni,di tutte le Chiese e di tutti i credenti»24. In più, lo Stato laico,«non può imporre (= Stato confessionista) o impedire (= Statolaicista) né lo spazio privato né lo spazio pubblico di una religio-ne perché questa non deriva dallo Stato ma da Dio e dalle sueistituzioni storiche (= le Chiese), non violente e non contrarie al-la pace e alla custodia del creato»25. Concretamente, come abbia-mo visto analizzando i significati diversi del termine laicità, an-che lo Stato laico può essere inteso ai nostri tempi in modi moltodiversi. La laicità dello Stato molto spesso significa la quasi tota-le neutralità etica o una posizione di scetticismo o relativismosoprattutto etico.26

La laicità dello Stato nella Gaudium et spes (= GS)

La costituzione pastorale intitolata «La Chiesa nel mondo con-temporaneo», Gaudium et spes e approvata il 7 dicembre 1965,è il documento più importante pubblicato dal Concilio VaticanoII in materia di insegnamento sociale e politico della Chiesa. Do-po un breve proemio e una esposizione introduttiva sulla condi-zione dell’uomo nel mondo contemporaneo, la GS si divide indue parti fondamentali, alquanto differenti tra di loro, ed ogniparte si divide in diversi capitoli. La costituzione si chiude con laconclusione, in cui si parla dei specifici compiti dei singoli e delleChiese particolari, del dialogo fra tutti gli uomini e di un mondoda costruire e da condurre al suo fine.La prima parte è dedicata al tema «La Chiesa e la vocazione del-l’uomo» e presenta una sintesi dell’antropologia cristiana. La se-conda parte intitolata «Alcuni problemi più urgenti» prende inconsiderazione vari aspetti della vita e della società del nostrotempo. Le questioni strettamente sociali le troviamo in entram-be le parti della Costituzione.Sembra molto importante, prima di addentrarci nella compren-

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sione globale di che cosa costituisce la laicità dello Stato secondol’insegnamento della GS, sottolineare il fatto che la Costituzionesi apre ad un’ampia attenzione al mondo degli uomini in tutti isuoi aspetti laici e profani per poter comunicare con l’uomo con-temporaneo. Basta leggere i numeri 40-44 del documento conci-liare per poter notare «una prospettiva di esaltazione del mon-do, ma se si collegano queste affermazioni con altre, si ottieneun quadro teologico più completo in cui autonomia del mondo ècomunque inserita nella dipendenza dal Signore della storia»27.In particolare il terzo capitolo della prima parte del documento,intitolato «L’attività umana nell’universo» contiene un interes-sante discorso dedicato al problema della legittima autonomiadelle realtà terrene. Questo numero ci sembra di avere una gran-de importanza per intendere poi in che cosa consiste il “sano”rapporto tra la Chiesa e lo Stato. Tuttavia riconoscendo e affer-mando l’autonomia delle realtà terrene la GS espone comequest’autonomia deve essere intesa: «Se per autonomia delle real-tà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggie valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordi-nare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non solo è postu-lata dagli uomini del nostro tempo, ma anche è conforme al volere delCreatore. Infatti, è della stessa loro condizione di creature che le cosetutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggiproprie e il loro ordine; e tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, ricono-scendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte.Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera ve-ramente scientifica e secondo le norme morali non sarà mai in realecontrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fedehanno origine dal medesimo Iddio […]»28.È invece da respingere l’autonomia delle realtà terrene compre-sa in un altro modo: «Se invece con l’espressione “autonomiadelle realtà temporali” si intende che le cose create non dipen-dono da Dio, e che l’uomo può adoperarle così da non riferirle alCreatore, allora nessuno che creda in Dio non avverte quantofalse siano tale opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatoresvanisce […]»29. Inoltre nella stessa GS si rende nota la volontàe la responsabilità della Chiesa di dare l’aiuto alla società umanariconoscendo «tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo so-

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ciale odierno: soprattutto l’evoluzione verso l’unità, il processodi una sana socializzazione e consociazione civile ed economi-ca»30. La Costituzione afferma ancora che la Chiesa «non è lega-ta ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema poli-tico, economico, o sociale» e grazie a questa sua universalità«può costruire un legame strettissimo tra le diverse comunitàumane e nazioni…»31. Tutto ciò permette alla Chiesa di dareaiuto e «promuovere tutte queste istituzioni» e «niente le stapiù a cuore che di servire al bene di tutti, e di potersi liberamen-te sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fonda-mentali della persona, della famiglia, e riconosca le esigenze delbene comune»32. Il ruolo dei laici, secondo la Costituzione, con-siste nell’impegnarsi, anche se non esclusivamente, alle attivitàtemporali.33 Sono proprio loro, che avendo «responsabilità attivedentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurarel’animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamatianche ad essere testimoni di Cristo in mezzo a tutti, e cioè pure inmezzo alla società umana»34.Il quarto capitolo della seconda parte è dedicato direttamentealla vita della comunità politica. Il Concilio nota le profonde tra-sformazioni nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli, comeconseguenza della evoluzione culturale, economica e sociale. Èpossibile osservare una coscienza più viva della dignità umana,la crescente sensibilità dell’ordine politico-giuridico nei riguardidei diritti e dei doveri della persona e la più grande libertà civile.Questo è il motivo per cui gli uomini, le famiglie e i diversi grup-pi, «costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunitàpolitica»35.La GS ricorda a tutti i cittadini il dovere di partecipare attiva-mente alla vita della comunità politica e considera quest’azionepienamente conforme alla natura umana.36 Specialmente i cri-stiani devono essere coscienti della loro vocazione nella comuni-tà politica: «Essi devono essere d’esempio, sviluppando in sestessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune;così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l’autoritàe la libertà, l’iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corposociale, la opportuna unità e la proficua diversità»37. Inoltre i cri-stiani «devono ammettere la legittima molteplicità e diversità

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delle opzioni temporali e rispettare i cittadini, che, anche ingruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista»38.Illuminati dal discorso sopra sviluppato, possiamo ora megliointendere la Costituzione nel ben noto n. 76 che richiede unagiusta visione dei rapporti tra la Chiesa e la comunità politica inuna società pluralistica: «È di grande importanza, soprattutto inuna società pluralistica, che si abbia una giusta visione dei rapportitra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzio-ne tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono inproprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e leazioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loropastori»39. La GS anche se non si serve del termine laicità, con itermini indipendenza e autonomia esprime il concetto di questarealtà: «La Chiesa, che, in ragione del suo ufficio e della sua com-petenza in nessuna maniera si confonde con la comunità politicae non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e lasalvaguardia del carattere trascendente della persona umana»40.La Chiesa e la comunità politica sono indipendenti e autonomenel proprio campo, ma l’una e l’altra, devono collaborare a vicen-da a vantaggio di tutti, anche se a titolo diverso: «La comunitàpolitica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altranel proprio campo. Tutte e due, anche se a titolo diverso, sono aservizio della vocazione personale e sociale delle stesse personeumane. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tut-ti, in maniera tanto più efficace quanto meglio coltiveranno unasana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle cir-costanze di luogo e di tempo»41. Inoltre la Costituzione aggiungeche la Chiesa che «non pone la sua speranza nei privilegi offertiledall’autorità civile»42, ha sempre diritto di predicare con libertà lafede e di insegnare la sua dottrina sociale. Essa perfino ha dirittodi «dare il suo giudizio morale, anche su cose che riguardano l’or-dine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentalidella persona e dalla salvezza delle anime»43.Con questo modo di intendere il rapporto con lo Stato, laChiesa da un lato, respinge le idee moderne della totale sepa-razione, dell’anticlericalismo aggressivo, delle discriminazionidelle religioni, del laicismo, e dall’altro esclude anche le tenta-zioni di uno Stato confessionale. La Chiesa propone, invece,

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una pacifica e costruttiva collaborazione per il bene di tutti icittadini della comunità politica.Con la GS inizia il discorso ufficiale della Chiesa sulla teoria cat-tolica della laicità, anche se, come già abbiamo detto, la Costitu-zione non usa il termine. Da questo momento il corretto con-cetto di laicità diventa un argomento frequente dei documentisociali della Chiesa. Alcuni autori cercano perfino di «separarela dottrina sociale preconciliare da quella postconciliare. La pri-ma non avrebbe accettato la laicità moderna, mentre la secondasì. Punto di svolta di questo cambiamento sarebbe stata la Co-stituzione pastorale del Vaticano II Gaudium et spes»44.

Un mutata prospettiva circa il rapporto tra Chiesa e mondo

A sostenere questo cambiamento è innanzitutto l’intima inter-dipendenza tra dimensione dottrinale e pastorale la quale emer-ge in modo particolare – significativamente e giustamente – inriferimento al tema della Chiesa e alla sua presenza nel mondo.In base a criteri di successione sia teologici sia temporali, certa-mente Lumen Gentium precede e fonda Gaudium et Spes. Manon nel senso di una costruzione che si eleva sull’altra; piuttosto,come un versante del monte che sostiene l’altro, vi si appoggia,in un rimando vicendevole. La reciproca complementarità di GSe di LG dice come, per essere colto nella sua pienezza e profondi-tà, il tema della Chiesa richieda uno sguardo su due fronti, unaconsiderazione da due prospettive speculari, convergenti nelpunto focale della incarnazione del Verbo di Dio, della «umani-tà» di Dio e della «divinizzazione» dell’umano. Nell’uno e nell’al-tro caso, infatti, la Chiesa trova il suo baricentro sbilanciandosi,trova se stessa fuori di sé: riscoprendosi come mistero e opera diDio nella «Luce delle genti» che è Gesù Cristo, come si legge al-l’inizio appunto di LG; e nelle «Gioie e speranze, tristezze e ango-sce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto», come recita l’in-cipit da cui GS trae il suo appellativo. Il Concilio ha evidenziatotale necessaria duplice focalità dello sguardo sulla e della Chiesa,questo essenziale esser riferita della Chiesa «ad altro», a Dio e almondo, esprimendosi con due documenti che si guardano e siimplicano a vicenda. In generale, come ha osservato Luigi Sarto-

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ri, Lumen Gentium sta, sì, al centro del Concilio, ma nella misurain cui attinge dalla Dei Verbum e dalla Sacrosantum Concilium econvoglia verso la Ad gentes e la Gaudium et spes. Quest’ultimaesplicita come il riferimento a Dio comporti il riferimento almondo45. La modalità e la concezione di tale riferimento, losguardo sul mondo si presentano come profondamente innova-tivi rispetto alla tradizione precedente. La parola Gaudium, conla quale si apre l’ultimo documento del Concilio, chiude simboli-camente il cerchio con il “Gaudet Mater Ecclesia” con cui inizia ilDiscorso di Giovanni XXIII per l’apertura del Concilio, ribadendola doppia, inscindibile attitudine di rendimento di grazie a Dio edi solidarietà benevola, rispettosa e amichevole verso l’umanoche la Chiesa nel Concilio riconosce come sua propria e nellaquale si identifica. A distanza di un secolo dall’Enciclica di Pio IX«Quanta cura» e dal «Sillabo» degli errori del mondo moderno,ciò manifesta un capovolgimento nell’atteggiamento della Chie-sa verso il mondo. Il rapporto col mondo sta sotto il segno dellamutualità (GS 40) e reciprocità: accanto all’aiuto che la Chiesapuò dare al mondo (GS 41 -43), viene menzionato quello che es-sa può ricevere dal mondo contemporaneo, persino da chi la av-versa (GS 44). La Chiesa non si pensa estranea e opposta al mon-do, preoccupata di condannarlo, quasi essa fosse una entità a séstante, costituitasi in un «altrove», per poi entrare in rapportocol mondo. La Chiesa trova, invece, il mondo in se stessa, e com-prende se stessa come quella parte del mondo cui è giuntol’Evangelo della salvezza e che ha la missione di portare tale buo-na notizia. Prima ancora che amare il mondo, la Chiesa è nelmondo l’attestazione del fatto che Dio ama il mondo, che il mon-do appartiene al Signore, di cui la Chiesa è sposa, e che essa è in-sieme serva di Cristo e dell’umanità intera, in una tensione a unecumenismo che si fonda e confonda con l’universale fraternitàumana (R. Schutz e M. Thurian)46, nella consapevolezza che lasalvezza è per il mondo e si compie nell’avvento del Regno di Dio(GS 45). La Chiesa non è tesa a inglobare il mondo, né a difen-dersi, attaccandolo, dal mondo che non le si sottomette. GS puòdirlo sul fondamento delle tre precedenti Costituzioni, ma in ba-se ad esse deve anche dirlo. Conseguenza di tale impostazione èil principio del dialogo, ispirato a solidarietà, collaborazione,

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cooperazione (GS 1 e 3), vale a dire alla precedenza – dal puntodi vista del valore e della successione temporale - della ricerca diciò che unisce rispetto alla considerazione di quanto divide, se-condo l’impostazione di Giovanni XXIII. Un principio già pro-fondamente sviluppato da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiamsuam (1964). Il dialogo non esclude nessuno, «né coloro chehanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano lasorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguita-no in diverse maniere. Essendo Dio Padre principio e fine di tut-ti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati aquesta stessa vocazione umana e divina, senza violenza e senzainganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzio-ne del mondo nella vera pace» (GS 92). Per entrare in rispettoso,aperto e leale dialogo col mondo, la Chiesa non può che procede-re ponendo tutto alla luce dell’Evangelo, unico suo principio e ri-ferimento fondante, offrendo quindi il suo volto autentico el’unica luce che la guida. Tale è la esemplare scelta di GS che –non senza perplessità di alcuni Padri nella fase della discussione– evitò di fondare il proprio discorso sul piano di ragione e mora-le naturale, pur dialogando alla pari con tutti, in modo compren-sibile alla comune ragione umana.

Attualità della Gaudium et Spes

Verrebbe oggi da chiedersi se non ci troviamo dinanzi a un docu-mento già superato; se il respiro del documento ha la stessa am-piezza della «filantropia di Dio» (Tt 3, 4); se l’arco tematico af-frontato 50 anni or sono è non meno esteso e variegato. All’aper-tura, in cui i discepoli di Cristo riconoscono come proprie le gioiee angosce dell’umanità, corrisponde la conclusione che, nel qua-dro di un dialogo da cui nessuno è escluso, ricorda la chiamata ditutti ad essere fratelli e collaborare alla costruzione del mondonella pace. Nei novanta paragrafi che costituiscono il corpo dellaCostituzione vengono toccate tutte le dimensioni dell’umano,non in astratto, bensì cogliendole e collocandole nella peculiarecircostanza storica dell’epoca presente (GS 4-10), e in una pro-spettiva che, superando uno sguardo individualistico, le inqua-dra come vicenda comune dell’umanità (GS 26). Scorre come lin-

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fa in tutta la GS la coscienza della inseparabilità tra la vicenda co-rale umana e l’evento di salvezza. Da questo discende innanzi-tutto il superamento sia di una prospettiva individualistica del-l’etica (GS 30) sia di una concezione individualistica della salvez-za (GS 24). A tale impostazione si connettono l’attenzione alla li-bertà, fraternità e giustizia sociale (GS 17, 29 e 39); il riconosci-mento che alla edificazione della città dell’uomo debbono con-correre, dialogando, credenti e non credenti (GS 21); il richiamoalla autonomia delle realtà terrene (GS 36), che viene declinataanche come grande rispetto per la cultura, la scienza, il sapereumano, sottolineando come la Chiesa non si leghi in modo indis-solubile ed esclusivo ad alcuna cultura e intenda invece entrarein comunione con tutte (GS 58). Particolarmente intenso e aper-to è il confronto con la sfida dell’ateismo (GS 19-21), in speciecon quello moderno. Nel ribadire che la Chiesa riprova con dolo-re e fermezza l’ateismo, GS aggiunge però che essa «si sforza discoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nellamente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni su-scitate dall’ateismo e mossa da carità verso tutti gli uomini, ritie-ne che esse debbano meritare un esame più serio e più profon-do» (GS 21). Non manca l’ammissione esplicita che «nella genesidell’ateismo possono contribuire non poco i credenti»: per le loromanchevolezze e difetti, su vari piani, infatti «si deve dire piut-tosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto diDio» (GS 19); quasi un seme della confessione di responsabilità erichiesta di perdono che, per queste e altre colpe dei cristiani,Giovanni Paolo II avrebbe solennemente espressa in occasionedel Giubileo, nella Liturgia penitenziale del 12 marzo 2000. D’al-tro lato, viene riconosciuto come «tutti gli uomini, credenti enon credenti, debbano contribuire alla retta edificazione di que-sto mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: il che nonpuò avvenire senza un sincero e prudente dialogo» (GS 19). Ac-canto a questi temi di fondo, GS onora la propria finalità di en-trare in dialogo col mondo contemporaneo, in risposta alla mo-tivazione e percezione conciliare di una sbalorditiva novità delmondo moderno, attraverso una lunga parte dedicata ai proble-mi rilevati come più urgenti: matrimonio e famiglia; progressodella cultura; vita economico-sociale contemporanea; vita della

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comunità politica; promozione della pace e della comunità deipopoli (con una insistita attenzione alla condanna assoluta dellaguerra e all’azione della comunità internazionale per evitarla);costruzione della comunità e cooperazione internazionale. Pro-prio tutto questo suscitò anche in seguito perplessità analoghe aquelle che avevano accompagnato la sua elaborazione e diedeluogo, allora e successivamente, alla duplice obiezione mossa daalcuni: che si tratti, cioè, di un documento non del tutto ben riu-scito, non bello, che raccoglie, più che sintetizzare, elementi didiversa natura e portata, e, in secondo luogo, ben presto datatonei suoi contenuti. In GS si presenterebbero in modo peculiare epiù acuto i problemi riscontrabili in molti, se non tutti, i docu-menti del Concilio, dovuti agli accostamenti e compromessi tradiverse sensibilità e linee teologiche, tematiche e culturali47.A tale seria questione vennero date risposte diverse. Le osserva-zioni critiche vennero e sono in parte accolte anche da quanti –e sono la grande maggioranza – valorizzano, invece, GS, ribal-tandone però la conseguenza, e sottolineando come, tanto perGS quanto per tutto il Concilio, la recezione sia essenziale. Piùimportante ancora della edizione, la recezione deve inverare ilVaticano II «con preoccupazione sintetica: radicalizzandone ilsenso e la portata, sia a livello del metodo sia a livello del conte-nuto»48. Anche se le analisi di GS spesso anticipano con lungi-miranza sviluppi futuri – per esempio riguardo alla globalizza-zione – rispetto alla rappresentazione datane dal documento, ilmondo d’oggi si presenta indubbiamente profondamente mu-tato da molti fattori: la caduta del comunismo e la fine della di-visione in due blocchi; le conseguenze di un capitalismo semprepiù spregiudicato con esiti (la crisi attuale ne è prova) potenzial-mente devastanti; la precarizzazione del lavoro; la globalizza-zione; la stessa informatizzazione. Quello attuale è un mondoin cui lo squilibrio tra ricchi e poveri si è fortemente accentuato;in cui di fatto la guerra è stata in parte rilegittimata; in cui si dàl’inedito, massiccio fenomeno della migrazione dei popoli dellafame e della sete; in cui le società tendono a diventare multicul-turali, multietniche e multireligiose; nel quale si è fatta acuta laquestione ecologica e ambientalista della salvaguardia del crea-to; in cui sono emerse nuove forme di schiavitù, di sfruttamen-

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to e abuso anche e in particolare dei minori; un mondo dram-maticamente confrontato con il terrorismo internazionale; unmondo in cui la tecnologia offre chances allora inimmaginabili,accompagnate da non pochi rischi, sollevando nuovi problemietici relativi alla vita, alla morte, alla identità individuale (clona-zioni, progetti di trapianto del cervello). Le analisi storico-so-ciali di GS chiedono certamente di essere riattualizzate, chiedo-no di essere incarnate nella specificità delle diverse chiese locali:ma ciò significa tutt’altro che disattendere, quanto piuttosto ac-cogliere e inverare la lezione di GS49. A distanza di decenni possiamo constatare come di fatto tale do-cumento continui a nutrire la prassi di fede, a guidare la rifles-sione ecclesiale e la incessante e sempre nuova ricerca teologica.Gli aspetti di disomogeneità e di ineleganza non possono esserfatti valere come sufficienti criteri di valutazione; lo stesso S.Agostino narra (Confessioni, libro III) la sua iniziale insoddisfa-zione nell’incontro con la Scrittura: per il giovane e raffinato re-tore la prosa biblica non reggeva il confronto con l’eleganza cice-roniana. Ma poi il criterio di Agostino passò dalla ricerca del bel-lo a quella del vero. GS, coi suoi difetti formali e i segni delle cu-citure nel suo impianto, resta un documento di straordinaria epermanente efficacia e validità, come attestano anche i periodiciconvegni ad esso dedicati nelle scadenze degli anniversari. Undocumento che ha aperto la strada a profondi mutamenti nellateologia e nel sentire dei credenti e nella prassi ecclesiale. Si pen-si, nella Chiesa italiana, al programma «Evangelizzazione – Sa-cramenti – Promozione umana» e alla riscrittura dei Catechismiper gli adulti, i ragazzi, i bambini. Analogamente a come la qua-druplicità dei Vangeli attesta che l’unicità del Vangelo non signi-fica uniformità nel modo di esprimerlo e comprenderlo, si puòpoi dire che lo stesso «essere datata» di GS diventi felicementenormativa fondando la legittimità del pluralismo teologico. In-nanzitutto normativa per il profilo della teologia: molte aree ecorrenti della teologia postconciliare ne hanno infatti assorbitoa fondo la lezione; ciò è riscontrabile nel profondo accoglimento,in teologia e scienze bibliche, del paradigma della coscienza sto-rica, e ha inoltre favorito lo sviluppo delle teologie «in situazio-ne». La Parola di Dio, in Gesù, nella Bibbia si dà sempre umana-

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mente incarnata, storicizzata, inculturata: questo comporta ri-conoscere la natura provvisoria di ogni attuazione, da cui va trat-to un seme, che chiede di essere riseminato in nuovi terreni,dando luogo a nuovi frutti. Più largamente, GS ha un effetto sve-lativo dello statuto della teologia: anche le teologie che si auto-compresero o si auto-comprendono come perenni sono invecedatate, storicamente determinate. In tale modo, l’orizzonte me-todologico teologico inaugurato da GS apre virtualmente anchelo spazio a quello sguardo femminile sulla teologia, che – come difatto è ben presto accaduto nella Chiesa cattolica postconciliare– ne coglie la limitatezza derivante dal suo essere millenaria ela-borazione solo di uomini. Più esteso e profondo, anche se menopassibile di riscontri oggettivi, è il cambiamento nel sentire deicredenti. GS ha di nuovo e sotto un preciso profilo «abbattuto ilmuro di separazione tra i due» (Ef 2, 14): tra Chiesa e mondo; traverità e storia; tra religione e vita, consentendo a tutti di riunirein sé l’umanità, la fede, la cittadinanza. Un muro che per la Chie-sa italiana era anche stato quello della storica opposizione traSanta Sede e Stato. Insieme a LG, e in forza quindi della premi-nenza dell’unità del popolo di Dio sulla distinzione, al suo inter-no, delle funzioni e dei ministeri, ciò ha aperto spazio in partico-lare ai fedeli laici, uomini e donne, e liberato le loro energie, fa-cendo «nascere grandi figure di credenti testimoni». Al centrodello sguardo su tutta la realtà mondana e teologica, GS ha postole categorie della relazione e del riconoscimento: fondamentali edi estrema rilevanza e attualità nella riflessione antropologica,filosofica, morale e politica50. La recezione incompiuta e apertainvece di attardarsi sulle manchevolezze della edizione di GS, og-gi si rivolge con più urgenza e con fruttuoso sguardo critico agliaspetti carenti della sua recezione, ai punti in cui essa non è av-venuta e a quelli per cui si deve registrare una regressione. Laforte tensione escatologica dell’attesa di cieli nuovi e terra nuova(GS 39), sottesa a tutto il documento, non ha ancora permeato afondo la diffusa coscienza cristiana ed ecclesiale. Sul versantedella proiezione della Chiesa «fuori di sé», cioè in Cristo comesuo fondamento e a servizio del mondo, si possono rilevare se-gni di qualche regressione in favore di un movimento centripetoe identitario, di maggiore concentrazione su di sé, con tentazio-

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ni di ripensarsi come cittadella assediata, e insieme recinto e ba-luardo in cui rinchiudersi. Il cambiamento della società in mul-tietnica e multireligiosa ha trovato la Chiesa molto pronta a ri-spondere sul piano della solidarietà e della accoglienza, ribaditecome obbligo morale; meno all’altezza, invece, sul piano teologi-co e culturale, del pluralismo culturale ed etico, e in generale delpensiero contemporaneo. La Chiesa non è ancora riuscita adadeguare pienamente la sfida a un pensiero che includa in sé ilparadigma della relazione e della storicità. Per reazione, si regi-strano ritorni di aspirazioni a rassicuranti modelli di dottrineimmutabili. Non mancano cedimenti a idee e pratiche di sup-plenza nei confronti delle istituzioni mondane o di concorrenzanei confronti di queste. Il nodo oggi più problematico è la que-stione della laicità, del rapporto tra Chiesa e Stato, della modali-tà della presenza ecclesiale nello spazio pubblico. Lo stile di GSha al riguardo ancora molto da insegnare. «Ogni uomo e tuttal’umanità dovrebbero venire convocati per la costruzione dellachiesa, o meglio per l’evangelizzazione. Universalità del soggettochiesa; questo il punto più decisivo dell’impegno del Vaticano II.Si potrebbe qui parlare di ecumenismo in senso largo, che diven-ta poi laicalità della chiesa nella forma più radicale possibile. Quic’entrano bene le affermazioni conciliari che si riferiscono al-l’ampiezza del mistero: Cristo è più grande del cristianesimo, in-teso come fenomeno storico già realizzato, lo Spirito Santo è piùgrande di tutte le chiese messe insieme. Chiamare in causa lastoria e la cultura significa chiamare in causa ogni uomo, tutti gliuomini. Anche i non credenti (dice espressamente la GS) posso-no contribuire, anzi devono contribuire. Per lo meno l’agendadei lavori, nell’azione pastorale, la predispone l’umanità in quan-to tale»: queste parole tratte da un saggio di Luigi Sartori (a lun-go presidente dell’Associazione Teologica Italiana)51, segnanobene l’orizzonte non ancora raggiunto nella recezione di GS. Ma,in accoglienza dell’insegnamento conciliare e di GS, il cui sguar-do apre al futuro, in accoglienza dell’invito di Giovanni XXIII anon ascoltare i «profeti di sventura», neppure per quanto si rife-risce alle carenze nella recezione del Concilio, quest’ultima va in-quadrata in una prospettiva molto più estesa nella storia, e nonrinchiusa nel bilancio di pochi decenni.

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La laicità dello stato nella Dottrina sociale della Chiesa

Un documento importante che ha raccolto i più significativipronunciamenti della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è ilCompendio di Dottrina Sociale della Chiesa (CDSC), pubblica-to nell’ottobre 2004 dal Pontificio Consiglio della Giustizia edella Pace. È la raccolta dei più importanti argomenti di carat-tere sociale che presentano, in maniera sintetica, l’insegna-mento sociale della Chiesa a partire dalla Rerum Novarum del1891. Il testo del Compendio è diviso in tre parti centrali piùl’introduzione e la conclusione. Ogni parte è composta da piùcapitoli, che sono in tutto dodici.L’argomento riguardante direttamente i rapporti tra la Chiesa ela comunità politica è trattato in soli quattro numeri (424-427)nel sesto capitolo della seconda parte intitolato “Lo Stato e le co-munità religiose”. Nei numeri precedenti (421-423) il CDSC parladella libertà religiosa come diritto umano fondamentale e fa ri-ferimento all’insegnamento di alcuni documenti ufficiali dellaChiesa come la Dichiarazione Dignitatis humanae del ConcilioVaticano II stesso, il Catechismo della Chiesa cattolica, l’Esorta-zione apostolica Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II e il suoMessaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999. Il docu-mento ricorda che «il diritto alla libertà religiosa deve essere ri-conosciuto nell’ordinamento giuridico e sancito come diritto ci-vile» e la legittima delimitazione del suo esercizio nella comunitàpolitica deve essere determinata «per ogni situazione sociale conla prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune»(CDSC 422). Inoltre il Compendio afferma che «a motivo deisuoi legami storici e culturali con una Nazione, una comunità re-ligiosa può ricevere uno speciale riconoscimento da parte delloStato» (CDSC 423). Tuttavia, questo speciale privilegio non devein nessun modo «generare una discriminazione d’ordine civile osociale per altri gruppi religiosi» (ivi).Dopo il chiarimento riguardante la libertà religiosa nella co-munità politica, il CDSC si occupa direttamente dei giusti rap-porti tra la Chiesa e lo Stato. Per presentare l’insegnamentodella Chiesa in questa materia si riferisce diverse volte alla Co-stituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, al Catechi-

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smo della Chiesa Cattolica e all’Enciclica Centesimus annus diGiovanni Paolo II. È inutile cercare nel testo analizzato il termi-ne moderno laicità. Il Compendio preferisce usare altri terminiper esprimere il suo insegnamento sul rapporto tra la Chiesa ela comunità politica, cioè autonomia e indipendenza. La Chie-sa e lo Stato sono le realtà diverse di natura e perseguono fina-lità diverse: «La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendo-si ambedue con strutture organizzative visibili, sono di naturadiversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che per-seguono» (CDSC 424).Facendo, in seguito, riferimento all’insegnamento del ConcilioVaticano II, il Compendio afferma l’indipendenza e l’autonomiadella Chiesa dalla comunità politica, perché la prima cerca so-prattutto il bene spirituale dei fedeli e la seconda s’impegna di-rettamente all’attuazione del bene comune temporale dei citta-dini: «Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: “Nelproprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipen-denti e autonome l’una dall’altra” (GS 76). La Chiesa si organizzacon forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli,mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istitu-zioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune tempo-rale. L’autonomia e l’indipendenza delle due realtà si mostranochiaramente soprattutto nell’ordine dei fini» (CDSC 424).La Chiesa rispetta la giusta autonomia dell’ordine democratico,perché riconosce di non avere nessun titolo per esprimere pre-ferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituziona-le e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei pro-grammi politici, se non per le loro implicazioni religiose e mora-li52. Da un altro lato, la comunità politica deve rispettare e ga-rantire alla Chiesa la libertà religiosa e lo spazio per poter adem-piere adeguatamente i suoi impegni53.La legittima indipendenza e autonomia non deve essere intesacome una totale separazione che esclude la collaborazione tra laChiesa e la comunità politica. Al contrario, il servizio all’uomochiede una sana, pacifica e armonica collaborazione tra ambeduele istituzioni: «La Chiesa e la comunità politica, infatti, si espri-mono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma alservizio dell’uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi di-

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ritti, inerenti alla sua idoneità di cittadino e di cristiano, e uncorretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e lacomunità politica possono svolgere il loro servizio “a vantaggiodi tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe al-lacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche lecircostanze di luogo e di tempo (GS 76)”»54. In più, la Chiesa ri-vendica il diritto al riconoscimento giuridico della propria iden-tità e chiede: «libertà di espressione, di insegnamento, di evan-gelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà diorganizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta,di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri;libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di pos-sedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazioneper fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitarie caritativi» (CDSC 426)55.Il CDSC propone come giusta via per prevenire o risolvere glieventuali conflitti tra la comunità politica e la Chiesa il ricorsoall’«esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato», la quale«ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumentiidonei a garantire relazioni armoniche». Il documento aggiun-ge ancora, che «tale esperienza è un punto di riferimento es-senziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadereil campo d’azione della Chiesa, ostacolandone la libera attivitàfino a perseguitarla apertamente» (CDSC 427). Ma, questo ri-corso all’esperienza giuridica deve essere adoperato anche nelcaso contrario, cioè, quando le «organizzazioni ecclesiali nonagiscono correttamente nei confronti dello Stato»56.

La laicità dello Stato e la collaborazione dei laici per il benecomune nel pensiero di Papa Francesco

Il breve excursus fornito nelle pagine precedenti e le breviconsiderazioni sviluppate forniscono, senza ombra di dubbio,il solco nel quale Papa Francesco, specie con i suoi due più re-centi documenti, Evangelii Gaudium e Laudato si, si inseriscecon l’immediatezza che lo caratterizza e che rende il suo pen-siero efficace e di facile impatto sulle agenzie speculative e dielaborazione concettuale. I suoi costanti richiami al bene co-

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mune e alla comune responsabilità nel porre in essere le azionipiù idonee a conseguirlo rappresentano la prospettiva nellaquale comprendere e illustrare il suo pensiero. Prima di considerare l’articolazione delle diverse dimensioni delbene comune il Papa premette la giustificazione della sua esi-stenza, a fronte di quella cultura che lo reputa un relitto arcaico,oramai superato. Sul tramonto di questo caposaldo della filoso-fia politica classica ha sicuramente influito la decostruzionedella stessa filosofia a causa dell’adozione moderna del metododelle scienze empiriche quale unica via di un sapere valido. Lanozione di bene comune può essere colta se sono operativi unintelletto speculativo e una ragione pratica che possono attin-gere, sia pure imperfettamente, la verità oggettiva del beneumano. Bene comune e verità del bene umano vanno di paripasso. Quando la seconda non sia più evidente, il bene comuneperde il suo significato, diviene incomprensibile. La non attingi-bilità del vero bene umano, bene in sé, decreta la fine della stes-sa nozione di bene comune e la conseguente crisi della politica edella democrazia. Al contrario, il recupero della nozione di benecomune consente di superare tale crisi. Infatti, la politica e lademocrazia si strutturano come attività che sono poste da citta-dini che, a motivo di quel dinamismo di bontà che li caratterizzae che si dispiega in un’amicizia sociale di collaborazione, sonoconvocati a realizzare il bene comune57. Questo non è la sempli-ce somma degli interessi particolari, ma implica la loro valuta-zione e composizione fatta in base ad un’equilibrata gerarchia dibeni-valori e, in ultima analisi, ad un’esatta comprensione delladignità e dei diritti della persona.Prendendo avvio dalla Gaudium et spes, sopra considerata, edall’insegnamento sociale dei suoi predecessori il Papa ci offrela conferma che il bene comune è la realizzazione di «quelle con-dizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani,nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno epiù rapido della loro perfezione» (GS58)58. Detto altrimenti, ilbene comune della società politica è dato da un insieme di con-dizioni (etiche, giuridiche, economiche, finanziarie, istituziona-li, politiche, culturali, religiose) che consentono ai cittadini e aivari gruppi il conseguimento della loro pienezza umana. Come

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si può ben evincere il bene comune è un bene intrinsecamentecorrelativo all’uomo, al bene umano considerato nella sua glo-balità. Quest’ultimo è composto da più beni, non considerati inqualsiasi maniera, ma ordinati tra loro, sulla base di una gerar-chia che prende forma avendo come criterio di riferimento ilBene e il Vero sommi, che sono Dio. Pertanto, le condizioni so-ciali che costituiscono il bene comune debbono essere realizzatein maniera tale da favorire lo sviluppo integrale e sostenibileper tutti in Dio. Ad un primo approccio, la definizione del benecomune, offerta dalla GS e ampiamente ripresa da Papa France-sco, appare secondo una prospettiva prettamente formale. Con-sidera il bene comune come un bene esterno, concernente le re-lazioni sociali e le istituzioni, la loro organizzazione ed ordina-zione in vista della crescita umana di tutti i cittadini e i gruppisociali. Ma se si approfondisce la realtà del bene comune comeprocessualità o un insieme di pratiche costantemente funziona-li alla progressiva umanizzazione dei cittadini e dei vari gruppi,ci si imbatte in una seconda definizione del bene comune: unadefinizione più classica, «sostanziale», piuttosto dimenticata,quella che risale ad Aristotele e a Tommaso d’Aquino, ed è statafatta propria dai filosofi personalisti, come ad esempio il fran-cese Jacques Maritain59. Si tratta del bene comune inteso comevita buona della moltitudine, del popolo intero, dei cittadini edei loro rappresentanti. Si giunge inevitabilmente ad essa, per-ché la stessa definizione formale del bene comune implica unavita comunitaria virtuosa. Infatti, il bene comune si concretacome un ambiente sociale che facilita il compimento umano deicittadini e dei gruppi, qualora questi e i loro rappresentanti pra-tichino una vita comunitaria buona, ossia quando orientano co-stantemente le molteplici condizioni sociali al servizio dello svi-luppo integrale e sostenibile di tutti. Il bene comune, come beneesterno o bene formale, presuppone, dunque, la vita buona delpopolo, la condotta retta dei cittadini e dei rappresentanti, cheperaltro è possibile grazie ad una profonda comunione con Dio,ad un’intensa spiritualità e ad una costante formazione e con-versione morale60. Si è qui ad una prima articolazione delle di-mensioni del bene comune che non può essere obliata da coloroche accompagnano gli uomini politici nel loro itinerario perso-

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nale e comunitario. L’intima ed inscindibile connessione tra di-mensione formale e sostanziale del bene comune, bene di unpopolo intero, deve, allora, aiutare gli uomini politici: in primoluogo a vedere il loro impegno di costruzione del bene comunecome bisognoso di un’incessante animazione morale e spiritua-le, oltre che culturale; in secondo luogo a non considerare di-sgiunta l’etica personale dall’etica pubblica, come invece pro-pongono le etiche politiche contemporanee di impostazioneneocontrattualista e neoutilitarista, secondo le quali l’etica po-litica si strutturata come «etica di terza persona», la quale miraa creare un assetto sociale ove il cittadino, come soggetto di de-sideri o soggetto autonomo, possa fare ciò che vuole senza dan-neggiare altri, o danneggiandoli solo per un migliore risultato.In sostanza, una tale etica, prevede cittadini e rappresentantiutilitaristi; con ciò rimane, però, aperto il problema di come cit-tadini e rappresentanti, guidati da obiettivi fondamentalmenteegoistici, possano dedicarsi al bene comune in maniera disinte-ressata, prendendosi cura del bene altrui; in terzo luogo a nondimenticare che se i cittadini possono diventare migliori, graziea strutture ed istituzioni «giuste», è comunque imprescindibileed essenziale un’opera di educazione delle coscienze e di reden-zione. I retti ordinamenti vanno ricercati sempre, ma le energiemorali necessarie non sono offerte dagli Stati e non sono dispo-nibili nelle loro casse. Sotto questo punto di vista è pregiudizia-le la libertà religiosa dei singoli e delle comunità. Solo il rappor-to e il colloquio con Dio favoriscono in radice il benessere mora-le dei cittadini. Il che implica che si promuova una laicità statalepositiva61; in quarta istanza a coltivare la dimensione comuni-taria ed inclusiva del bene comune. Tutti i cittadini sono capacidi bene comune e vi debbono concorrere, ricercando più ciò cheli unisce rispetto a ciò che li divide62. Senza la collaborazione ditutti, senza una cittadinanza attiva da parte di tutti, il bene del-la polis viene depauperato e ne soffrono gli stessi che pure vicontribuiscono con sacrificio e generosità. Non ci si può accon-tentare del bene fatto singolarmente. Urge allargare il raggiod’azione per convincere, coinvolgere tutti, mettendoli in condi-zione di lavorare per la sua realizzazione. Il bene comune impli-ca l’inclusione di tutti, sia nel momento fruitivo che in quello

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produttivo. Proprio per questa ragione non è accettabile unaconcezione utilitarista del bene comune, sintetizzata dalla for-mula: «Il maggior benessere per il maggior numero di soggetti».Tale ottica implica l’esclusione di una parte della popolazione,giacché contempla soltanto la maggioranza, e non la totalità deicittadini. Il bene comune, correttamente inteso, sollecita a su-perare gli steccati, gli isolamenti, i campanilismi, i localismi, iregionalismi, l’emarginazione dei più deboli. Richiede che si vo-glia il bene di tutti, tramite l’apporto di tutti. Il desiderio del be-ne comune non può prescindere dall’impegno di emancipare gliultimi. Poggiando sul desiderio del bene dell’altro, sulla basedella comune fraternità e dell’amicizia civica, vince il disprezzodel povero, la paura del diverso, la xenofobia che la morale cat-tolica ritiene inammissibile. Il bene comune va a braccetto conla democrazia sostanziale. È in contrasto con concezioni statalidi tipo paternalistico ed assistenzialistico63. Esige la realizzazio-ne della giustizia sociale come forma di giustizia che gli appar-tiene intrinsecamente; in quinta istanza a non identificare il be-ne comune con le infrastrutture di un Paese, nemmeno con i va-lori condivisi, con i beni collettivi come l’ambiente salvaguarda-to, l’acqua potabile accessibile a tutti, la terra custodita e colti-vata64. Non consiste nella somma dei beni individuali. Il benecomune non si riduce neppure ad un insieme di condizioni so-ciali particolari e moderne, ad esempio a una nuova modalitàdi welfare rispetto al passato, ossia a un welfare societario, me-no centralizzato; a istituzioni o a regole procedurali riformate,a un’assistenza di tipo integrato tra Stato, mercato e società ci-vile; a prestazioni più razionali e sofisticate dal punto di vistadel progresso scientifico; al cambio delle leggi ingiuste. Non èsoltanto la ricerca e la realizzazione di mezzi ed istituzionisempre più adeguati, conformi agli obiettivi di umanizzazioneinsiti nello stesso bene comune, anche se, ad esempio, è sen-z’altro importante – in vista di una democrazia più partecipati-va e non solo rappresentativa –, disporre di leggi elettorali chepermettano una maggiore espressione della società civile, con-sentendo ai rappresentanti un più forte collegamento con lapopolazione. Certamente, il bene comune comprende tuttoquesto, ossia la necessaria e metodica ricerca di mezzi ed istitu-

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zioni, di nuovi assetti nei rapporti tra Stato, società civile emercato, di politiche attive del lavoro, di politiche a sostegnodella famiglia considerata come nucleo intero, di politiche disviluppo qualitativo e sostenibile per tutti65. Altrimenti, ci sifermerebbe sul piano dei concetti, delle belle teorie, di un benepolitico astratto e non concreto. Ma in tutto questo, l’azionedei singoli e dei popoli deve essere sorretta ed animata da unimpegno costante alla luce di un’immagine integrale del beneumano, da una solidarietà ed una fraternità universali, da rela-zioni interpersonali positive, che comportano libertà e respon-sabilità, sussidiarietà, atteggiamenti di collaborazione e di ser-vizio all’altro. Detto altrimenti, il bene comune non è un vivereretto campato per aria. È una vita buona concreta e storica, fa-vorita e sostanziata dal varo di nuove istituzioni e regole, dileggi giuste, di mercati liberi, stabili, trasparenti, funzionaliall’economia reale, di un welfare ripensato come sistema più vi-cino alle persone66, e tante altre cose ancora, secondo una map-pa che cambia incessantemente, relativamente al contesto incui ci si trova, in modo che la vita sociale sia orientata al com-pimento umano in Dio di tutti i cittadini. La vita buona dellamoltitudine si compie mediante un apporto corale – che si siacattolici o no, credenti o no –, con un impegno all’insegna delco-essere e del pro-essere reciproco, in termini di libertà e di re-sponsabilità, di dono e di condivisione, senza imposizioni dellapropria visione del bene agli altri. Implica la testimonianza divita, l’incontro con l’altro e il dialogo pubblico, l’osservanzadelle regole democratiche e delle leggi giuste (se le leggi sonogravemente offensive della esistenza e della dignità delle per-sone deve essere possibile l’obiezione di coscienza…)67. Il benecomune unifica e raccorda dimensioni d’essere proprie delledecisioni libere, dell’azione pratica. Esso mentre specifica lecondizioni sociali e l’agire dei cittadini e dei loro rappresentan-ti, soprattutto mette in relazione la verità al bene umano – be-ne comune e questione antropologica sono strettamente inter-dipendenti –, quale bene che si presenta e si svela progressiva-mente alla coscienza di un popolo, in determinate condizionistoriche al fine di concretizzare le istanze di giustizia, primopasso per la vera pace68.

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Conclusione

La nozione di laicità, specialmente in ambito civile e pubblico,assume oggi, come abbiamo visto, significati assai diversi espesso anche contraddittori. L’ambiguità di questo termine cicostringe a precisare, ogni volta che deve essere usato, di qua-le tipo o di quale modello di laicità si tratti. Il concetto odiernodi Stato laico, cioè secolarizzato o aconfessionale «è frutto diun processo storico complesso, caratterizzato da contrapposi-zioni e da conflitti ideologici»69. Ma, non di rado, la laicitàodierna assume la forma di un vero e proprio laicismo che ten-ta di escludere dalla vita pubblica della società politica ogni in-fluenza religiosa, perfino qualsiasi simbolo religioso e, consi-dera le religioni, un fatto assolutamente privato. La Chiesa ri-fiuta la laicità intesa come laicismo e propone nel suo insegna-mento sociale il modello di una “sana” laicità, la quale ricono-sce la religione, spesso organizzata in strutture visibili, comepresenza comunitaria. Il concetto della laicità “sana”, propo-sto dalla GS e più in generale dall’insegnamento sociale dellaChiesa, si basa sulla collaborazione pacifica e armonica tra laChiesa e lo Stato70. Tutti i documenti non si servono del ter-mine laicità, ma adoperano i termini diversi equivalenti, cioèindipendenza e autonomia. La Chiesa e lo Stato sono indipen-denti e autonomi l’una dall’altro nel proprio campo, ma desti-nati, nello stesso tempo, ad una fruttuosa collaborazione peril vantaggio di tutti i cittadini della comunità umana. In talmodo la Chiesa si realizza come solidale col mondo nel trovar-si a un tornante culturale di enorme portata. I cinquant’anniche separano dall’apertura del Concilio diventano in questaprospettiva una distanza piccolissima, segnalano che la tradi-zione Vaticana deve ancora cominciare. La sua attuazione èaperta in molte direzioni. Perché avvenga il meglio, per l’uma-nità e per la Chiesa, è necessario farsi guidare dal principio del«cercare insieme»: il principio ispiratore di Gaudium et spes71. Per mantenere viva la propria vocazione e coscienza cristiananell’impegno politico, per rendere testimonianza nel serviziodel bene comune, per non interrompere la comunione con laChiesa, sono senz’altro utili i «luoghi» che sono le parrocchie,

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le associazioni, le aggregazioni e i movimenti. Ma, talvolta,questi ambienti sono insufficienti come risposta alle necessitàche avvertono i cattolici impegnati e assorbiti nei diversi cam-pi di azione e di dibattito della vita pubblica. Sono, allora, ne-cessari altri «luoghi di incontro», ossia istituzioni e movimen-ti ad hoc che, mentre riuniscono i rappresentanti delle molte-plici realtà cattoliche o di ispirazione cristiana, dibattono nel-la franchezza e nel rispetto reciproco, i problemi più spinosi e,inoltre, elaborano – alla luce della Parola di Dio e della DSC -risposte pertinenti, nuovi progetti culturali e politici, per of-frire al proprio Paese quella qualità della vita che solo una fedetrascendente alimenta. L’accompagnamento pastorale puòavere varie specificazioni72. Prima di tutto quella personale,che si traduce nell’incontro e nel dialogo con i singoli politici.Ma non è da escludere un accompagnamento pastorale di tipocollettivo, comunitario, sempre nel rispetto dell’autonomiadelle decisioni dei christifideles laici, anche per quanto con-cerne la loro presenza pluralistica nell’arena del mondo politi-co in generale affinché il contributo della visione cristiana nondivenga insignificante, ma sia invece ricchezza per tutti, cosìche tra le vie da percorrere non siano esperite quella della dia-spora e della irrilevanza.

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Note

1 Costituzione pastorale Gaudium et spes su la Chiesa nel mondo contempo-raneo, 7.12.1965: Acta Apostolicae Sedis (AAS) 58 (1966), 1025-1120;2 G. CANOBBIO, Laici o Cristiani? Elementi storico-sistematici per una descri-zione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992, p. 13.3 Sulla laicità vedi anche M. TOSO, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoil-luminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 178-2434 G. CANOBBIO, Laici o Cristiani?, op.cit., p.135 Cfr. http://www.civitas.ithttp://www.civitas.it/2014/12/21/la-laicita-del-lo-stato/6 Cfr. http://www.treccani.it7 Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vati-cano 1992, n. 897.8 CONC. ECUM. VAT. II, Lumen gentium, n. 27.9 G. CANOBBIO, Laici o Cristiani?, op.cit., p.1410 Ibidem, p. 15.11 Ibidem, p. 15.12 Ibidem, p. 15.13 Ibidem, p. 15.14 Ibidem, p. 16.15 Ibidem, p. 20.16 Ibidem, p. 20.17 Ibidem, p. 20.18 Ibidem, p. 21. Vedi anche A. MARCHESE, Il senso della laicità, LAS, Roma206, pp. 27-29.19 Cfr. Ibidem.20 V. ZANONE, Laicismo, in N. BOBBIO, N. MATTEUCCI, G. PASQUINO, Di-zionario di politica, UTET, Torino 1983, p. 573.21 Ibidem, p. 574.22 Ibidem, p. 574.23 Cfr. http://www.treccani.it24 T. TURI, Nuova laicità e laico responsabile, Edizioni Viverein, Monopoli2012, p. 27.25 Ibidem.26 Cfr. http://www.civitas.it 27 http://www.vanthuanobservatory.org28 GS, n. 36.29 Ivi30 GS, n. 42

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31 Ivi32 Ivi33 GS, n.4334 Ivi35 Ivi36 GS, n. 75.37 Ivi38 Ivi39 G. BARAUNA (a cura di), La Chiesa nel mondo d’oggi. Studi e commenti intor-no alla costituzione pastorale «Gaudium et spes», Vallecchi, Firenze 1966; An-che E. GIAMMACCHERI (a cura di), La Chiesa nel mondo contemporaneo.Commento alla costituzione pastorale «Gaudium et spes», Queriniana, Brescia1966.40 GS, n.7641 GS, n.76. Per un commento molto ampio cfr. B. HÄRING, Dinamismo dellaChiesa in un mondo nuovo. Riflessioni sulla costituzione «La Chiesa nel mondocontemporaneo», Cittadella, Assisi 1969. 42 GS, n.76. La voce di un vescovo risuona invece in M. PELLEGRINO, I gran-di temi della «Gaudium et Spes», Ed. Esperienze, Fossano (CN) 1967.43 GS, n.76. Tra gli studi più recenti, ci permettiamo di segnalare: F. BRAN-CACCIO, Antropologia di comunione: l’attualità della «Gaudium et Spes», Rub-bettino, Soveria Mannelli (CZ), 200744 http://www.vanthuanobservatory.org45 L. SARTORI, La Chiesa nel mondo contemporaneo. Introduzione alla «Gau-dium et spes», il Messaggero, Padova 1995, pp. 27-3446 Pastore protestante, frère Roger ama molto la Chiesa cattolica, tanto daricevere numerosi attestati di stima e di affetto dai Papi. A cominciare da PioXII. Frère Roger è già da quasi dieci anni a Taizé quando viene a Roma, conMax Thurian, per incontrare papa Pacelli, nel 1949. È in questo periodo chenasce una forte amicizia spirituale anche con l’allora monsignor GiovanniBattista Montini. È lui a preparare con cura l’udienza con il Papa, che si mo-stra attento alla ricerca dell’unità cristiana nella preghiera e nel dialogo, del-la vita monastica a Taizé. Un rapporto strettissimo si stabilisce anche conGiovanni XXIII che invita frère Roger e Max Thurian a seguire i lavori delconcilio Vaticano II come Osservatori. Quell’esperienza dà un impulso anco-ra maggiore all’impegno ecumenico della Comunità. Con Paolo VI – che nel1969 autorizza l’ingresso di religiosi cattolici nella Comunità – continua unrapporto già ben saldo. Come pure con Giovanni Paolo II, che frère Roger haconosciuto durante il Concilio da arcivescovo di Cracovia, e che riceve ognianno in udienza privata in Vaticano. Visite che il Santo Padre ricambia il 5

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ottobre 1980, durante il terzo pellegrinaggio in Francia, recandosi a Taizè. Ildiscorso pronunciato da Giovanni Paolo II resta scolpito nel cuore dei pre-senti e un passaggio in particolare assume il segno di una consegna: «Comevoi, pellegrini e amici della Comunità, il Papa è di passaggio. Ma si passa aTaizé come si passa accanto ad una fonte. Il viaggiatore si ferma, si disseta econtinua il cammino».47 Su questi diversi punti di domanda si sono sviluppati molti studi tra cui ri-cordiamo: P. DONI, La costituzione pastorale «Gaudium et spes» e la maturazio-ne della riflessione sul rapporto Chiesa-mondo nel magistero successivo, Istitutodi scienze religiose A. Marvelli, Rimini 1997; V. DE CICCO – A. SCARANO,La Chiesa nel mondo contemporaneo. La ricezione della «Gaudium et spes», pre-fazione di S. CIPRIANI, Chirico, Napoli 2002; M. VERGOTTINI – G. TUR-BANTI – F. SCANZIANI – D. TETTAMANZI, 40 anni dalla «Gaudium et spes».Un’eredità da onorare, ed. In dialogo, Milano 2005.Tra gli studi più recenti, a celebrare il documento citiamo: AA.VV., La dimen-sione sociale della fede oggi. Caritas in veritate e Evangelii gaudium - Testi dellaXXVIII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e dellaPace, Città del Vaticano, LEV 2014. E ancora AA.VV., “Le giovani generazionial servizio dell’umanità”. Testi della XXIX Assemblea Plenaria del PontificioConsiglio della Giustizia e della Pace, Città del Vaticano, LEV 2015 .48 L. SARTORI, La Chiesa nel mondo contemporaneo, op.cit., p. 3149 Per una più ampia panoramica cfr.: G. TURBANTI, Un concilio per il mondomoderno. La redazione della Costituzione pastorale «Gaudium et Spes» del Vati-cano II, Il Mulino, Bologna 201050V. DE CICCO – A. SCARANO, La Chiesa nel mondo contemporaneo. La rice-zione della «Gaudium et spes», prefazione di S. CIPRIANI, Chirico, Napoli2002. Cfr. anche M. VERGOTTINI – G. TURBANTI – F. SCANZIANI – D.TETTAMANZI, 40 anni dalla «Gaudium et spes». op.cit., pp. 78 – 84.51 P.DONI – L.SARTORI – P.SCOPPOLA, La costituzione conciliare Gaudium etspes vent’anni dopo (Dialoghi dell’Agorà), Roma, Libreria Editrice Gregoriana,1988, p.59 – 6052 AA.VV, Fedeltà e rinnovamento. Il Concilio Vaticano II 40 anni dopo, a cura diB. Forte, San Paolo, Milano 2005, pp. 107ss.53 O.H. PESH, Il Concilio Vaticano II. Preistoria, svolgimento, risultati, storiapost-conciliare, (Biblioteca di teologia contemporanea, 131), Queriniana, Bre-scia 2005, pp. 446-451.54 G. DALLA TORRE (a cura di), La revisione del concordato, Città del Vaticano1985; UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI, I nuovi accordi fra Stato eChiesa, Roma 1986; AA.VV, Atti del Convegno italiano di studio sul nuovo Ac-cordo tra Italia e Santa Sede (a cura di R. COPPOLA), Milano 1987.

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55 C. CARDIA, La riforma del Concordato. Dal confessionalismo alla laicità delloStato, Torino, 1980, p. 183ss.56 Per un approfondimento del principio della sana cooperazione fra Chiesae Stato, secondo le moderne teorie canonistiche, cfr. G. DALLA TORRE, LaCittà sul monte. Contributo ad una teoria canonistica sulle relazioni fra Chiesa ecomunità politica, Roma 1996, terza edizione 2007, p. 125 ss.57 Così spiegava qualche anno prima, ma mantenendo oggi la sua attualità iltesto di M.Toso, in AA.VV., Alla ricerca del bene comune. Prospettive e implica-zioni pedagogiche per una nuova solidarietà, a cura di G. Quinzi, U. Montisci eM. Toso, LAS, Roma 2008, pp. 125 - 13258 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Centesimus annus, Libreria Editrice Vaticana, Cit-tà del Vaticano 1991, n. 47. Quindi Papa FRANCESCO: “Le rivendicazioni so-ciali, che hanno a che fare con la distribuzione delle entrate, l’inclusione sociale deipoveri e i diritti umani, non possono essere soffocate con il pretesto di costruire unconsenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice. La dignità dellapersona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni chenon vogliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è ne-cessaria una voce profetica. La pace «non si riduce ad un’assenza di guerra, fruttodell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nelperseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfettatra gli uomini» In definitiva, una pace che non sorga come frutto dello sviluppo inte-grale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e divarie forme di violenza”. (Esort. Ap. Evangelii Gaudium, nn. 218.-219)59 «Tale nozione di persona è una nozione, se così posso dire, d’indice cristia-no, che si è sviluppata e precisata grazie alla teologia» J. MARITAIN, Umane-simo integrale, op. cit. p. 66. Su questa scia anche il filosofo contemporaneoRobert Spaemann: «la storia del concetto di persona è la lunga storia di uncammino che, se richiamato alla mente ci porta per una momento nel cuoredella teologia cristiana. senza la teologia cristiana ciò che noi oggi chiamia-mo “persona” sarebbe rimasto qualcosa di non definibile e il fatto che le per-sone non sono avvenimenti semplicemente naturali non sarebbe riconosciu-to. Questo non significa che il suo impiego sia significativo soltanto a partireda determinati presupposti teologici, per quanto sia ipotizzabile che la scom-parsa della dimensione teologica alla lunga potrebbe implicare anche lascomparsa del concetto di persona» R. SPAEMANN, Persone. Sulla differenzatra “qualcosa” e “qualcuno”, a cura di L. Allodi, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 20.60 4 Cfr. J. MARITAIN, La persona e il bene comune, Morcelliana, Brescia2009, p.7961 Lo Stato laico di diritto, stante il primato della persona e della società ci-vile, non può considerarsi fonte della verità e della morale in base ad una

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propria dottrina o ideologia. Esso riceve dall’esterno, dalla società civile plu-ralista ed armonicamente convergente, l’indispensabile misura di conoscen-za e di verità circa il bene dell’uomo e dei gruppi. Non la riceve da una puraconoscenza razionale, da curare e proteggere mediante una filosofia total-mente indipendente dal contesto storico, in quanto non esiste una pura evi-denza razionale, avulsa dalla storia. La ragione metafisica e morale agiscesolo in un contesto storico, dipende da esso, ma allo stesso tempo lo supera.In breve, lo Stato trae il suo sostegno da preesistenti tradizioni culturali ereligiose e non da una ragione nuda. Lo riceve da una ragione che maturaall’interno di pratiche e di istituzioni a lei favorevoli, nella forma storica del-le fedi religiose che tengono vivo il senso etico dell’esistenza e della sua tra-scendenza. Sul tema della laicità dello Stato ci permettiamo di rinviare a M.TOSO, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS,Roma 2006, specie pp. 179-244.62 Le parole del Papa a tal riguardo sono ferme e forti: “La dignità di ogni per-sona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta lapolitica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per com-pletare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo inte-grale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio chesi parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che siparli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro,dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio cheesige un impegno per la giustizia” (EG. n.203).63 Approfondendo il tema papa Francesco scrive: “È indispensabile che i gover-nanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, chefacciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria pertutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani”.  E si diceconvinto “che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi unanuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia as-soluta tra l’economia e il bene comune sociale”. (EG. n.205)64 “I Governi non dovrebbero impegnarsi in primo luogo ad ottenere risultati im-mediati, sostenuti da settori consumistici della popolazione e concentrati su unacrescita a breve termine, ma piuttosto dovrebbero considerare programmi a lungotermine per garantire il bene comune. Essi dovrebbero promulgare leggi mirate apromuovere il rispetto ambientale, gli interessi dei piccoli produttori e la tuteladegli ecosistemi locali” (Laudato si’ n. 179). 65 “La politica non deve sottomettersi alla economia e questa non deve essere sot-tomessa al modello efficientista della tecnocrazia” …. Politica ed economia devo-no essere al servizio della vita, soprattutto di quella umana e la protezione am-bientale non deve essere assicurata solo sulla base di una analisi dei costi-benefici

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AgoràGianni Fusco - DSC e laicità nello Stato

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e valore di mercato …. Non possiamo sperare che coloro che sono ossessionati dal-la massimizzazione dei profitti si fermino a pensare agli effetti ambientali … Lacontinua crescita non è la panacea che garantisce la soluzione a tutti i problemi.Occorre essere più creativi e investire su uno sviluppo sostenibile” (Laudato si’nn. 189-194).66 Su questo tema si rinvia M. TOSO, Welfare Society. La riforma del Welfare:l’apporto dei pontefici, LAS, Roma 200367 Il bene comune della polis non è il fine ultimo dell’uomo, ma fine interme-dio. Il retto ordine sociale (finis qui) non è un fine per se stesso. È prospetta-to e raggiunto come condizione indispensabile perché si ottenga la perfezio-ne dei membri che sono esseri corporeo-spirituali (finis cui), aventi un finetrascendente. La persona non si risolve interamente nella società politica(cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae, I-II, q. 21, a.4, ad tertium).68 “La pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenzadi violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbeparimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare un’orga-nizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in modo che quel-li che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senzascosse mentre gli altri sopravvivono come possono … La dignità della personaumana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di alcuni che non vo-gliono rinunciare ai loro privilegi. Quando questi valori vengono colpiti, è neces-saria una voce profetica” (EG. n.218).69 Tra i diritti fondamentali della persona umana bisogna annoverare il diritto deilavoratori di fondare liberamente proprie associazioni, che possano veramenterappresentarli e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonchéil diritto di partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorre-re nel rischio di rappresaglie. (GS n.68) 70 L’esercizio dell’autorità politica… deve sempre svolgersi nell’ambito della leggemorale per il conseguimento del bene comune… dove i cittadini sono oppressi dauna autorità pubblica che va al di là delle sue competenze… sia lecito difendere idiritti contro gli abusi dell’autorità” (GS. n.74).71 “Non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto comples-sa come quella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perderela capacità e la libertà di vincere la logica della ragione strumentale e finisconoper soccombere a un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale.(...) La conversione ecologica che si richiede per creare un dinamismo di cambia-mento duraturo è anche una conversione comunitaria. (Laudato si’ n.219)72 Cfr. PAPA FRANCESCO, Lumen fidei, Libreria Editrice Vaticana, Città delVaticano 2013, nn. 50-55.

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Ringrazio gli organizzatori della quinta edizione del Festival leautorità ed il pubblico presente ed in particolare Mons.Adriano Vincenzi per avermi invitato, chiedendomi di portareun indirizzo di saluto in occasione di un evento così prestigiosoche, quest’anno, si caratterizza per affrontare un tema crucialecome: La sfida della realtà.

Tematica affrontata in un momento molto complicato per lenostre coscienze. Coscienze di cattolici e di cittadini europei;tematica che ci chiede, in qualche modo ci impone, di sviluppareuna seria riflessione come semplici esseri umani che credono invalori fondamentali ed in percorsi sociali virtuosi, e che decli-nano termini come libertà, pace, condivisione, rispetto. Senza ti-more, senza paura di affermarli e senza paura di difenderli!

Princìpi conquistati con estremi sacrifici dalle generazioni pas-sate ed affidatici come preziosa eredità del genere umano daproteggere e consegnare, perfettamente conservati e possibil-mente evoluti, ai nostri ragazzi. Questa è la prima missione che,come esseri umani, ci spetta; e dobbiamo esserne all’altezza.

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AgoràSalvatore Mario Mulas - Le coscienze di cattolici e cittadini europei

Le coscienze di cattolicie cittadini europei

di Salvatore Mario Mulas,Prefetto di Verona

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Siamo tutti persone accomunate dalla consapevolezza della sa-cralità della vita e dall’equilibrio cui tendere nel nostro viverequotidiano. Perché, come ha sapientemente detto il SantoPadre: «La pace non si riduce ad una semplice assenza diguerra, ma si costruisce giorno per giorno; risultato dello svi-luppo integrale di tutti».(219 EVANGELII GAUDIUM)

«La realtà è più facile descriverla che comprenderla», ci ricordaancora il Papa.

Per questo, dobbiamo accettare la sfida di analizzare la realtà,valutarla e quindi capirla; per poterla poi descrivere, in un se-condo momento. E’ questo il momento di esprimere con sag-gezza e seria riflessione le potenzialità che contraddistinguonoun Paese democraticamente evoluto come il nostro.

Seguendo i nostri principi cristiani ed i valori sociali di libertàe tutela dei diritti fondamentali; mantenendo l’equilibrio ne-cessario nel proseguire il dialogo e sviluppare varie forme di in-tegrazione ed inclusione. Ma dimostrandoci inflessibili con chidisprezza la vita, chi ne dispregia il suo profondo significato uni-versalmente riconosciuto: ragione stessa della nostra esistenza. La realtà dell’immigrazione suggestiona diversi spunti di ri-flessione; trattandosi di un fenomeno certamente complessoche ci impone analisi rigorose e valutazioni ponderate per lenumerose accezioni e declinazioni che ne derivano, rifuggendoda sintesi frettolose o slogan ad effetto!

La Prefettura, come è noto, interviene istituzionalmente in di-versi ambiti del fenomeno migratorio. Tra questi, assume unarilevanza strategica il coordinamento del Consiglio Territorialeper l’Immigrazione, la procedura di regolarizzazione di citta-dini stranieri, ma anche l’espulsione degli irregolari e il ricono-scimento della cittadinanza. Non sfugge ai più però, come direcente la Prefettura sia particolarmente attiva nella gestioneemergenziale connessa all’accoglienza dei cittadini stranieri ri-chiedenti protezione internazionale, comunemente e mediati-camente definiti profughi.

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La gestione di questo evento impegna la Prefettura già dal2011 e poi, con arrivi sempre più consistenti, in una secondafase che è iniziata a Verona nel febbraio del 2014. Ad oggi sonopresenti nel veronese quasi 1.300 profughi -e quasi il doppiosono solo transitati- a fronte dei circa 50 stranieri presenti nelcircuito ordinario dello SPRAR, saturo da tempo.

In questa complessa e complicata progettualità, la Prefettura diVerona ha voluto fortemente affrontare l’intera vicenda conla massima professionalità, impegno e sensibilità istituzionale,nella profonda convinzione che, come sostiene il Papa «…sideve prestare attenzione alla dimensione globale di un feno-meno, … senza però perdere di vista il locale.» (234)

La scelta operata della Prefettura di Verona, è quella di bilan-ciare in tutti i modi possibili l’aspetto logistico-organizzativodell’individuazione di posti e strutture, con quello della ricer-cata condivisione con il territorio locale di soluzioni, cercandodi non alterare la percezione sociale di sicurezza. Progettualitàche pone a base l’assunto che un evento così particolare, nonpuò essere determinato dalla Prefettura ma va -almeno in parte-gestito, per evitare di doverlo subire.

Pertanto, l’interlocutore naturale cui si è rivolto, e continua arivolgersi anche oggi la Prefettura, è il Sindaco: massimaespressione istituzionale di una collettività locale e profondoconoscitore del proprio territorio: della sua fragilità, come dellesue potenzialità. In grado di supportare l’azione di governo alivello territoriale o, quantomeno, orientare le scelte sociali nelproprio territorio anche selezionando le Cooperative profes-sionalmente più valide, costruendo così un sistema coeso pergestire la situazione attuale.

Senza trascurare l’aritmetica evidenza che una ripartizioneproporzionale -tra 98 comuni- di 1.300 persone, non richiede-rebbe interventi di portata eccezionale.Purtroppo, il perdurante atteggiamento di chiusura a forme dicollaborazione o condivisione, da parte dei Sindaci, ha com-

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portato inevitabilmente la necessità per la Prefettura di indi-viduare altri interlocutori.

La Prefettura di Verona non ha mai preso in considerazionel’eventualità di “parcheggiare” o “abbandonare” profughi nellestazioni o nei giardinetti. Ciò, nonostante i continui e massicciarrivi durante l’estate del 2014 e soprattutto nella prima ve -ra/estate 2015; assegnazioni territoriali che hanno messo a duraprova la tenuta, quantomeno sociale, del fenomeno nel veronese.

Assenti i Sindaci, l’impegno della Prefettura si è quindi orien-tato verso il supporto assicurato dal privato sociale e soprat-tutto dalla Caritas di Verona, che merita un plauso particolareper aver condiviso sin dal 2011 questa gestione.

La scelta della Prefettura si è orientata a soluzioni per scongiu-rare tensioni o conflitti sociali; privilegiando la scelta di strutturecon disponibilità di dimensioni medie\contenute. Situazioniche hanno in alcuni casi ricevuto anche il plauso da diversi e anchecontrapposti schieramenti politici.

Questa è stata la scelta strategica della Prefettura: almeno sinoa quando, e tutte le volte in cui, è stato possibile farlo. Cer-cando di evitare l’insorgere di conflittualità sociali e rifuggendoda qualsiasi strumentalizzazione politica o mediatica.La Prefettura ha cercato di applicare, in forma istituzionale, unaltro prezioso consiglio pastorale: «…laddove il conflitto nonpuò essere ignorato, deve essere accettato. Si deve avere il co-raggio di accettare di risolvere il conflitto, trasformandolo inun anello di collegamento di un “nuovo processo”» (226).

La Prefettura, anche per il tramite di 3 bandi pubblici di gara,andati pressoché deserti, ha avviato un percorso collocandoliin 25 realtà territoriali, ove sono state date disponibilità daiSoggetti Gestori.

Solo alcuni Sindaci hanno compreso, nel tempo, l’utilità sociale dicondividere con la Prefettura una progettualità sperimentale,

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che si concretizza nell’elaborazione di forme di avviamento la-vorativo in settori socialmente utili. Anche questo percorsopuò essere ricondotto ad altre parole del Papa, quando invitaad «…iniziare processi, più che possedere spazi, dando quindipriorità al tempo» (223).

In questo momento, la Prefettura continua nel suo percorso diapertura e formula ancora una volta l’appello al dialogo istitu-zionale con i Sindaci, per condividere una bilanciata distribu-zione sul territorio. Impegno ancora più necessario dopo iltragico 13 novembre.

Siamo disponibili a condividere scelte istituzionalmente serieed equilibrate e proposte progettuali migliorative, senza perquesto nascondere le difficoltà del fenomeno in atto.

La Prefettura è determinata ad allontanare chi non si rendameritevole di essere accolto, per violazioni di legge ma ancheperché non rispetta le regole sociali che caratterizzano il nostrovivere quotidiano e che sono il baluardo irrinunciabile della no-stra civiltà!

Da settimane è in corso una fase di redistribuzione dei profu-ghi, che nel momento estivo di massima difficoltà sono staticollocati a Costagrande, sino ad un picco di 500 persone. Nu-mero raggiunto proprio a causa della richiamata totale indi-sponibilità del territorio veronese a condividere la benchéminima forma di progettualità.

Desidero anche sottolineare che io stesso ho rifiutato in qual-che occasione la disponibilità di strutture ricettive proposte intermini equivoci, ovvero in località -come quelle turistiche deicomuni rivieraschi del Garda- evidentemente inidonee per taletipo di accoglienza.

Da ultimo, per un capillare e metodico lavoro che sta svolgendola Caritas di Verona -insieme ai miei collaboratori più stretti-sono molto contento e fiducioso nel poter anticipare che si

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stanno sperimentando in queste settimane nuovi percorsi diassistenza e supporto a piccoli gruppi di profughi, anche graziealla disponibilità di alcune parrocchie. In un percorso certa-mente non facile e tutto ancora in salita; ma in cui noi cre-diamo fortemente.

Ancora una volta, nel solco tracciato dal pensiero di Papa Fran-cesco nell’ANGELUS del 6 settembre scorso che, in prossimitàdel “Giubileo” ha chiesto non solo alle parrocchie di “…acco-gliere una “famiglia” di profughi. Rivolgendosi ai Vescovi, per-ché sostengano questo appello nelle loro Diocesi.”

Questo, a significare che momenti di riflessione del genere nonsono, e non devono, rimanere disgiunti dal complesso delle at-tività proprie di un Prefetto, potendo infatti sostenere e raffor-zare la crescita -anche culturale- delle decisioni da adottare alivello istituzionale, per la gestione della “res publica”.

Con questo spirito, nel mio ruolo di rappresentante del Governoda pochi mesi qui, ho inteso impostare il mio lavoro a Verona.Aprendo la Prefettura al territorio e alla collettività, alle Istitu-zioni e alle categorie sociali ed economiche. Per sviluppare, tuttiinsieme, un “sistema” che riconosca l’importanza, le potenzialitàe professionalità di Verona e dei veronesi, per una “crescita socialee consapevole”.

Auspicando la condivisione degli obiettivi strategici che inte-ressano la nostra provincia, formulo i più sinceri auguri di buonlavoro.

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Prima de condividere con voi, la nostra esperienza nella diffusionedella DSC, vorrei mettere in evidenza alcune idee chiave che sonoalla base delle nostre azioni.a) La DSC non è soltanto un contenuto da imparare, da stu-

diare, per conoscere di più. Essa ha un fine eminentementepratico e personale. Esige a tutti noi un impegno, un compor-tamento verso Dio, verso gli altri e con la natura stessa.

b) La DSC non è una proposta economica o politica, non è un“sistema”. Non si tratta di una proposta tecnica per risolve-re i problemi del mondo ma piuttosto di una dottrina mora-le, che nasce della concezione cristiana della natura, dell’uo-mo, e della sua vocazione alla santità.

c) La DSC non è un’utopia e nemmeno un appello al conformi-smo. Essa ci invita a creare una sana relazione fra le realtàtemporali in cui siamo immersi e il Vangelo.

d) Non è una dottrina fissa, statica, si tratta di una riflessionein continuo sviluppo, perché cerca di rispondere alle sfideche l’uomo affronta ogni giorno. Le fonti de la DSC noncambiano perché: “Cielo et Terra passeranno ma le mie pa-role no passeranno mai”.

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AgoràAnis Deiby Valencia Quejada - IHDOSOC e l’esperienza DSC

IHDOSOC e l’esperienza DSC

di Anis Deiby Valencia Quejada,IHDOSOC

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e) La DSC ha principi e valori fondamentali. I principi sono : ladignità della persona, il bene comune, la solidarietà, la par-tecipazione, la proprietà privata, la destinazione universaledei beni... Mentre i valori fondamentali sono: la verità, la li-bertà, la giustizia, la carità, la pace...

f) Inoltre la DSC offre criteri di giudizio su sistemi economici, isti-tuzioni e strutture; adoperando anche dati empirici ed offren-do degli orientamenti per l’azione. (Gaudium et spes, 67-70).

Ci sono 3 pezzi de la Bibbia che orientano le nostre attività:

• Il Dio d’Israele osserva la miseria del suo popolo, ascolta il suogrido, conosce la sua sofferenze e agisce in conseguenza: di-scende per liberarlo .. (Es 3, 7-8). Il Dio d’Israele non resta in-differente ai problemi degli uomini. Se noi non siamo capacidi coniugare questi verbi nel nostro fare quotidiano vuol direche alla nostra fede manca qualcosa, che la nostra fede man-ca di contenuto, quindi e vuota.

• Il Signore chiede a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”.(Gen4,9) Quello che è acanto di me, non è il mio nemico, è miofratello. Anche se abbiamo culture, lingue, livelli sociali diffe-renti, siamo fratelli e la sorte dell’altro deve interessarci,dobbiamo non soltanto preoccuparci, ma anche occuparci.

• Gesù Cristo ci ha lasciato un solo comandamento: amatevi gliuni agli altri. In questo riconosciamo che siamo tutti fratelli. (Gv13, 34)

Il Paese dove vivo, è pieno di contrasti:

1. Ad Haiti la geografia e molto diversa, il clima è piacevole, lespiagge sono tra le più belle dei Caraibi ma l’ambiente è qua-si distrutto perché c’è un altissimo grado di deforestazionee non c’è una buona gestione dei rifiuti. Quindi non è salu-tare.

2. La cultura e molti varia, abbonda in tutte gli ambiti: l’arti-gianato, la pittura, il folclore, la musica e la letteratura. Pur-troppo manca il giusto accompagnamento affinché tutti

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questi valori diventino una risorsa per vivere una vita di-gnitosa.

3. Esiste un piccolo gruppo di persone che hanno tutto il pote-re politico ed economico, sono coloro che hanno tutti i pri-vilegi e vivono nel lusso, ma purtroppo la maggior partedella popolazione vive nella Miseria. Haiti ha un alto tassodi disoccupazione e d’insicurezza alimentare, inoltre man-cano le infrastrutture e l’accesso alle risorse che permette-rebbero di vivere con dignità: acqua, luce ect.

4. È stato il primo Paese nero a diventare libero, grazie allapropria organizzazione 212 anni fa. Oggi, esistono 220 par-ti politici che non contribuiscono a superar la crisi politicache si vive ad Haiti.

5. Gli haitiani sono molto allegri, accoglienti e dimostranogrande coraggio, vivono affrontando tante difficoltà ognigiorno, e vivono nella disconfidanza dell’altro per pauradella delinquenza, della criminalità e dell’insicurezza.

6. Un popolo molto religioso, ma la religione a volte non è com-promessa con la trasformazione della realtà e della cultura.

In questo contesto nel 2006 un gruppo di laici accompagnati daMonsignor Pierre André Dumas, ha fondato l’Istituto haitianodella dottrina sociale cristiana IHDOSOC. I cui obiettivi sono:a) Contribuire alla formazione della coscienza e del compro-

messo sociale per ricostruire Haiti in un mondo giusto efraterno, secondo la fede viva in Gesù Cristo e la dottrinasociale cristiana.

b) Favorire il rinnovamento, il cambiamento della mentalità edel comportamento, e quello che potrebbe aiutare a crearedelle nuove strutture sociali ispirate alla parola divina.

La promozione del cambiamento non è facile ma abbiamo laferma convinzione che attraverso la Dottrina Sociale dellaChiesa, alcuni valori come la dignità della persona umana, lacomunione, la partecipazione, la solidarietà, la sussidiarietà,l’universalità dei beni ed il bene comune, saranno acquisiti edapplicati per alcune persone attraverso l’incontro di Cristonella fede, nella speranza e nella carità secondo il Vangelo.

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AgoràAnis Deiby Valencia Quejada - IHDOSOC e l’esperienza DSC

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L IHDOSOC ha messo in piede un piano di formazione che haquattro programmi

1. DIPLOMA IN DOTTRINA SOCIALE CRISTIANA3 anni di formazione per approfondire sistematicamente icontenuti della Dottrina Sociale della Chiesa in vista della suaapplicazione pratica nella vita e nella struttura politica, socia-le, religiosa ed economica.Attualmente abbiamo 2 centri di formazione a Port-au-Princee ad Anse a Veau.50 studenti al primo anno, 22 studenti al secondo anno, 5 stu-denti al terzo anno, 12 studenti che hanno finito e stanno pre-parando la loro tesi

2. EDUCAZIONE ALLA PACE3 Seminari ogni anno per offrire a la popolazione uno spaziodi riflessione per promuovere un dialogo nazionale democra-tico qui contribuisca alla ricostruzione di Haiti.  

3. EDUCAZIONE CIVICA Realizzazione di campagne di formazione per rinforzare i va-lori civici come: l’igiene ambientale, i diritti dei bambini et deigiovani, la solidarietà, la partecipazione comunitaria, il sensopatriottico e l’amore.

4. DIFFUSIONE DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLACHIESASeminari, laboratori ed altre attività per formare la coscienzasociale del popolo haitiano attraverso la diffusione sociale cri-stiana per contribuire alla formazione di una società più giu-sta, fraterna ed umana.

Le grandi sfide di Ihdosoc :• Riuscire ad integrare nell’ IHDOSOC, dei gruppi della società

civile per lavorare insieme un favore di una causa comune:un’altra Haiti.

• Coinvolgimento di imprenditori nella ricerca di soluzioni apartire dall’economia sociale e solidaria.

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Legami di reteIhdosoc non lavora da solo, cerca de entrare in contatto contutte le organizzazioni che hanno la stessa filosofia. Proprioper questo è membro della rete latinoamericana e della carai-bi per il pensiero sociale della chiesa: REDLAPSI.

I nostri bisogni:• Creare una biblioteca specializzata per aiutare agli studenti • Creare uno spazio piacevole, per facilitare lo studio, la ricerca

e la pratica della Dottrina Sociale Cristiana.• Pubblicare i documenti della Dottrina Sociale Cristiana pro-

dotti dai nostri professori.

Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile la mia parteci-pazione in questo importante evento. Questo non solo contri-buisce alla diffusione della DSC, ma permette a tutti noi di ve-dere, conoscere e condividere quello che viene fatto anche inaltri Paesi, uno scambio costruttivo che ci permette d’impara-re cose nuove, e ci da forza per continuare in questa Missione,che non è altro che aiutarci tra di noi e vivere il Vangelo nellenostre vite quotidiane.

Verona, 28 Novembre 2015

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AgoràAnis Deiby Valencia Quejada - IHDOSOC e l’esperienza DSC

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1. Una forma incarnata di speranza

«In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tem-po stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri», tra isegni tangibili di rinnovamento con cui la Chiesa italiana si è re-sa prossima al mondo giovanile e più ampiamente ai nostri ter-ritori – attraverso l’“arte dell’accompagnamento” che attua la lo-gica dell’Incarnazione – «con uno sguardo rispettoso e pieno dicompassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggia maturare nella vita cristiana»1, segnaliamo l’esperienza eccle-siale e civile del Progetto Policoro, nato all’indomani della cele-brazione a Palermo del III Convegno Ecclesiale Nazionale “IlVangelo della carità per una nuova società in Italia”2.

Nel corso degli anni questa iniziativa ha costituito una rispostaprecisa all’«interrogativo esistenziale di tanti giovani che ri-schiano di passare dalla disoccupazione dal lavoro alla disoccu-pazione della vita»3, con una finalità primariamente educativa epastorale, «attivando iniziative di formazione a una nuova cultu-ra del lavoro, promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità

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AgoràDomenico Santangelo - Il ventennale del Progetto Policoro

Il ventennale delProgetto Policoro

di Domenico Santangelo,Pontificia Università Lateranense

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giovanile e costruendo rapporti di reciprocità e sostegno tra leChiese del Nord e quelle del Sud, potendo contare sulla fattivacollaborazione di aggregazioni laicali che si ispirano all’insegna-mento sociale della Chiesa»4. Questo impegno si è concretizzatoin maniera significativa attraverso la realizzazione dei cosiddetti“gesti concreti di solidarietà”, costituiti da imprese, liberi profes-sionisti e associazioni che hanno creato e creano modalità di la-voro dignitoso: «realtà lavorative sostenute, motivate e ricono-sciute dalle Diocesi, solitamente sin dalla loro costituzione, at-traverso diverse forme di accompagnamento, formazione e so-stegno» o «che hanno incrociato il Progetto Policoro in un mo-mento successivo alla loro costituzione, condividendone le lineeispiratrici d’azione, attraverso la partecipazione a momenti for-mativi o collaborativi costanti con l’équipe diocesana»5.

In tal modo, risulta verificato che in questo percorso è all’operala responsabilità sociale di tutti: «come Chiesa, aiutiamo a noncedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo conogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavorosi sentono privati persino della dignità»6; questo risulta possibileperché «il Signore Gesù non cessa di suscitare gesti di carità nelsuo popolo in cammino! Un segno concreto di speranza è il Pro-getto Policoro, per i giovani che vogliono mettersi in gioco e crea-re possibilità lavorative per sé e per gli altri»7. È vero che l’inizia-tiva in questione non rappresenta una ricetta di natura propria-mente tecnica, ma accogliendo la ricchezza del Vangelo che salvaogni uomo, la sfida educativa e pastorale fatta propria dal Pro-getto consiste nel coniugare e declinare in feconda sintesi:• una evangelizzazione che, incontrando la vita di ogni giovane e

illuminandola dal di dentro, aiuta a vivere al modo di Gesù, se-condo la sua umanità integrale8; in tal modo si realizza la circo-larità tra vita e fede, capace di unire il Vangelo e la vita, facendosì che la vita in tutti i suoi ambiti diventi la modalità con cui vi-vere la fede cristiana, divenendo essa il primo Vangelo da acco-gliere e rendere vivo nel quotidiano. Laddove la dignità dellepersone non è riconosciuta e promossa, dove si è perso il sensoumano e cristiano del lavoro, la Buona Notizia (Vangelo) realiz-za il cambiamento, libera dall’oppressione e rimette in moto –

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anche in prospettiva economica e produttiva – la gioia e la spe-ranza9, attraverso percorsi educativi che – fondati in Cristo,«l’uomo nuovo»10 – conducono a maturazione e a pienezzal’umanità, seminando così cultura e civiltà. È questa la modali-tà privilegiata per attuare «una responsabilità di evangelizzazio-ne, attraverso il valore santificante del lavoro. Non di un lavoroqualunque! Non del lavoro che sfrutta, che schiaccia, che umi-lia, che mortifica, ma del lavoro che rende l’uomo veramente li-bero, secondo la sua nobile dignità»11.

• Una testimonianza di “gesti concreti” capaci di rispondere confiducia e realismo alle sfide e alle speranze della storia attraver-so il discernimento comunitario12, in cui ciascun membro (sin-goli, comunità, aggregazioni, movimenti, ecc.) è coinvolto e silascia coinvolgere con la sua particolare ricchezza di contributo,originando e sostenendo una profonda sinergia pastorale tra ivari soggetti ecclesiali e civili che si spingono anche nella pro-mozione di rapporti di reciprocità tra le varie diocesi e regioniecclesiastiche (anche Sud-Sud), guidati dalla dottrina socialedella Chiesa, che educa e forma le coscienze nella/alla caritàoperosa. Su questa scia, dall’altro, nasce e si sviluppa la possibi-lità di generare e accompagnare, in relazione feconda con il ter-ritorio dove si vive ed opera, dei germi concreti di attività im-prenditoriali che – facendo leva sull’inalienabilità del dirittoall’iniziativa economica – testimoniano uno stile inclusivamen-te dinamico di accoglienza e rispetto della dignità promoziona-le delle persone, dei gruppi sociali e delle istituzioni pubbliche eprivate, giungendo a promuovere una rinnovata cultura del la-voro e di impresa che alimenta secondo una prospettiva di “sus-sidiarietà circolare” (tra la sfera politico-istituzionale, quellacommerciale delle imprese, ovvero la business community equella della società civile organizzata) percorsi organici e siste-matici di sviluppo economico e sociale autenticamente civile epiù umano13.

Perché questo si realizzi è necessario che – per favorire la coesio-ne sociale e mettere in atto reali processi di giustizia sociale checostruiscano un futuro migliore – una delle modalità per affron-tare l’attuale crisi complessiva della democrazia (crisi non localee congiunturale, ma universale) è quella denominata “democra-

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zia deliberativa”, il cui obiettivo più fecondo si può individuarenel suo contributo alla crescita di reti di partecipazione tra i di-versi soggetti che animano un territorio, in grado di testimonia-re la centralità di una logica in cui la reciprocità supera e nellostesso tempo integra una nuova concezione di giustizia dove allamodalità regolativa di tipo gerarchico si sostituisca una regola-zione reticolare idonea a rispettare l’identità di ogni soggettopersonale/sociale e forma organizzativa presente14.

In questo senso, a sostenere quanto esposto, è intervenuta la pa-rola del Pontefice che, nel corso dell’udienza tenuta ai «Gruppidel “Progetto Policoro” della Conferenza Episcopale Italiana» peril ventennale dell’iniziativa ecclesiale in questione, ha invitato a:

«continuare a promuovere iniziative di coinvolgimento gio-vanile in forma comunitaria e partecipata. Spesso dietro a unprogetto di lavoro c’è tanta solitudine: a volte i nostri giovanisi trovano a dover affrontare mille difficoltà e senza alcunaiuto. Le stesse famiglie, che pure li sostengono – spesso an-che economicamente – non possono fare tanto, e molti sonocostretti a rinunciare, scoraggiati… Sostenere le nuove ener-gie spese per il lavoro; promuovere uno stile di creatività cheponga menti e braccia attorno a uno stesso tavolo; pensareinsieme, progettare insieme, ricevere insieme e dare aiuto:sono queste le forme più efficaci per esprimere la solidarietàcome dono. E qui c’entra, la Chiesa, perché è Madre di tutti!La Chiesa accomuna tutti al tavolo. Così i giovani riscopronola “vocazione” al lavoro - vocazione al lavoro, che è uno deitratti della dignità umana, non c’è la vocazione alla pigrizia,ma al lavoro -, il senso alto di un impegno che va anche oltreil suo risultato economico, per diventare edificazione delmondo, della società, della vita»15. 

2. …Per l’oggi delle nostre comunità

Nel 2016 il Progetto Policoro vede l’adesione di 136 diocesi ita-liane su 225 con una crescente espansione verso il Centro-Nord del Paese e il centro della sua proposta educativa consiste

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nella formazione di 188 giovani animatori di comunità, rispet-to ai 161 del 201416, distinti secondo un programma specificonel triennio di corso previsto, al fine di promuovere nelle dio-cesi la riflessione e l’azione concreta sui temi dell’economia edel lavoro, della responsabilità anche imprenditoriale, della so-lidarietà e della legalità nell’ottica della comunione e delloscambio dei doni, dei talenti e delle esperienze umane e profes-sionali maturate.

Tutto ciò acquista un forte impegno da parte dei credenti che –incarnando la dottrina sociale della Chiesa nella pastorale ordi-naria e seguendo il Concilio Vaticano II – vogliono vivere la lorocittadinanza attiva sia come persone che come membri dellasocietà in vista del bene comune, attualizzando la dimensionesociale dell’evangelizzazione, il cui «significato autentico e in-tegrale» va colto correttamente nella consapevolezza che:«Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nelcuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impe-gno con gli altri»17.

Per porre in luce la centralità di questi aspetti – in vista dell’im-portante anniversario del Progetto Policoro18 – in sinergia, i treUffici Nazionali della CEI coinvolti hanno creato un Gruppo dicoordinamento, individuando un percorso che ha previsto anchela stesura di un Documento che vuol essere il frutto maturo delcammino compiuto a livello territoriale in questi primi venti an-ni di vita dell’esperienza in oggetto19. A tal fine, una parte impor-tante del lavoro compiuto dal Gruppo è stata quella di dedicarcialla “voce del territorio”: è stata sollecitata perciò l’attenzione diogni soggetto membro della Segreteria Nazionale e del Coordi-namento Nazionale del Progetto, inviando alle équipe diocesanedove l’iniziativa è presente un indice di riferimento su cui soffer-marsi nella riflessione di verifica del cammino finora compiuto ein prospettiva progettuale per il futuro del percorso che ci atten-de. Del materiale così raccolto, proveniente dai report che ci sonostati inviati da 74 Diocesi su 131 e da 7 Associazioni della filierasu 11, vorremmo dar conto nella trattazione che segue20.

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3. La voce dal territorio

L’impegno unitario e condiviso di lavorare insieme per evan-gelizzare, educare, esprimere impresa e, a tal fine, la rete co-struita con le filiere, le istituzioni civili, le parrocchie, le pa-storali interessate e le associazioni è il segno tangibile che ilProgetto Policoro in questi primi venti anni di attività si è re-so visibile e presente nelle pieghe della storia e del vissuto deiterritori diocesani (Diocesi di Palermo). Quanto e come que-sto è avvenuto è un dato racchiuso all’interno delle schedeche ci sono state inviate e che certo non è possibile in questasede cercare di racchiudere esaurientemente se non in formasintetica21.

4. A livello generale

Sicuramente, come ogni realtà storica che si interroga sul suovissuto per arricchirlo e promuoverlo ulteriormente, la prospet-tiva metodologica usata, ossia, di riferirci alle “cinque vie” che laTraccia predisposta per il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Fi-renze22 ha consegnato alle nostre comunità e la doppia modalitàche abbiamo individuato nella stesura del testo, articolata nel bi-nomio ‘verifica e progetto’, ci ha permesso di constatare come ilProgetto Policoro in questo tempo di vita – se per buona partecostituisce ancora una realtà (molto) giovane e quindi da avviarepossibilmente dove non è presente, e insieme da sostenere, in-centivare, accompagnare, aiutare a maturare perché diventi real-tà stabile di riferimento nella vita delle nostre comunità cristia-ne (dove è presente) – ha comunque colmato (e questo impegnoè in itinere con più o meno difficoltà) un gap profondo esistentetra giovani, lavoro e Chiesa attraverso una presa in carico reale eorganica dei giovani da parte di tutti, pastorale diocesana e so-cietà civile in generale (Diocesi di Nicosia), presa in carico consi-stente nello scendere accanto ai giovani, nei loro contesti, affian-candoli e accompagnandoli nel difficile compito di scoprire lapropria vocazione al lavoro, sostenendoli nell’impegno di intra-prendere la strada giusta, e più in generale, nel pensare e nell’agi-re concreto.

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In che modo questo si è realizzato?

Il Progetto Policoro ha rivelato alla comunità dei credenti l’im-portanza di contribuire ad elaborare un vero e proprio capitalerelazionale (Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca), ossia laprogressiva coscientizzazione e messa in rete di forze e compe-tenze che hanno permesso e permettono di coniugare: attenzio-ne ai bisogni del territorio, creazione di “luoghi nuovi” dove con-frontarsi, informarsi, discutere, approfondire argomenti anchetecnici, ma anche sperare e sognare un lavoro, un’impresa, unafamiglia, promuovendo la realizzazione concreta di tanti proget-ti, segni di speranza, attraverso la diffusione di buone prassi e dinuovi stili di vita (MLAC).

In specificoScendendo più nel particolare, questo impegno realizzato e ulte-riormente da realizzare nel presente e nel futuro, emerge dallalettura dei percorsi compiuti a livello diocesano dalla testimo-nianza racchiusa attraverso il riferimento alle “cinque vie” predi-sposte dalla Traccia di riflessione del Convegno Ecclesiale Nazio-nale di Firenze, e alla cui luce evidenziamo i passaggi che ci sem-brano più significativi, tenendo conto del contesto nazionale incui viviamo.

Un contributo offerto da una diocesi scrive: «Non esisterebbe ilProgetto Policoro se non esistesse la strada come alfa e omegadella sua evangelizzazione», strada intesa come «cammino, in-contro, ascolto e vicinanza» (Diocesi di Iglesias), una strada sucui bisogna uscire, annunciare, educare, che dobbiamo abitare etrasfigurare.

1. Il verbo “uscire” è vissuto principalmente attraverso tre mo-dalità: a) come un ‘Ringiovanire’, ossia come necessità per lacomunità ecclesiale e civile di ripartire ‘Da e Con i giovani’,non più visti come oggetto di politiche sociali, ma intesi comesoggetto promotore di vita e rinnovamento; b) uscire, cioè, co-me sinonimo di ‘Unire’, unire le pastorali, gli uffici, le filiere, lestrategie di lavoro, per dar vita a nuove occasioni di crescita.

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In questo senso, ‘uscire’ ha significato e significa arrivare an-che a quei gruppi ecclesiali e non, che insieme al Progetto Po-licoro possono collaborare ad obiettivi comuni, creando cosìcomunione di intenti e di volontà: ne sono prova delle vere eproprie ‘alleanze territoriali’ strette in numerose diocesi con leassociazioni delle filiere e alcune aggregazioni laicali. In talmodo, ecco la terza modalità: c) uscire è divenuto un ‘Genera-re’, ossia realizzare nuovi percorsi di impresa, intessere reti erelazioni per concretizzare sogni capaci di divenire opportuni-tà di lavoro e di vita.

2. La via dell’“annunciare” nelle testimonianze delle diocesi sicontraddistingue per essere «non solo questione di linguag-gio, ma di prossimità» (Diocesi di Sorrento - Castellammare diStabia): è l’incontro infatti la lingua più facile e diretta (Dioce-si di Ugento - Santa Maria di Leuca) per testimoniare un Van-gelo che si incarna e che diventa amicizia, relazione, guida. IlProgetto Policoro si è perciò caratterizzato come annuncio di«speranza concreta» (Diocesi di Cassano all’Jonio). Un annun-cio efficace non è mai relazione a due, ma apre alla comunità:in questo percorso l’azione dell’animatore di comunità è cen-trale: a lui è chiesto di portare la Chiesa tra le fragilità e le sof-ferenze dei suoi coetanei (Diocesi di Messina - Lipari - SantaLucia del Mela). Qui entra in gioco la capacità delle équipe dio-cesane di sperimentare nuove strade perché «i giovani cono-scano il loro territorio, lo apprezzino, e lo valorizzino con le lo-ro doti» (Diocesi di Latina).

3. La via dell’“abitare” ha permesso alle comunità di riferimentodi attuare dei processi di inclusione sociale ad intra e ad extradella comunità ecclesiale: all’interno, il Progetto si è posto co-me strumento per promuovere processi di ‘narrazione comu-nitaria’, di ‘cultura dell’incontro’ e di ‘convivialità delle diffe-renze’ tra diverse realtà, come: i gesti concreti, le pastorali in-tegrate, il lavoro comune delle filiere, ecc. (Diocesi di Paler-mo). Non solo, ma anche all’esterno della stessa comunità cri-stiana, ‘abitare’ i territori – conoscendoli e valorizzandoli, vi-vendoci – ha significato partecipare attivamente e responsa-bilmente alle dinamiche della vita civile, impegnandosi a faredello spazio della convivenza un bene comune.

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4. La via dell’“educare”, fin da subito – contro una mentalità cheporta alla chiusura ed al ripiegamento in se stessi – ha costi-tuito una sfida pastorale privilegiata per diffondere una nuo-va mentalità che, nel discernimento e nella costruzione del-l’identità della persona umana (Diocesi di Tricarico), ispiran-dosi ai valori umani e cristiani della responsabilità personale,della solidarietà e della cooperazione (Confcooperative), po-tesse avviare e governare un reale processo di cambiamento(Diocesi di Teramo - Atri), formando persone libere e mature.Questo compito delicato il Progetto lo attua educando a un ra-dicale cambiamento culturale: «passare dall’imparare un lavo-ro ad imparare a lavorare, quindi alla capacità di assumere ilruolo lavorativo, all’acquisire dentro di sé compiti e mansioni,ma soprattutto relazioni, modi di essere e valori connaturati.Questo è infatti un obiettivo primario del servizio di un ani-matore» (Diocesi di Iglesias).

5. La via del “trasfigurare” incarnata dal Progetto Policoro hasvelato la faccia bella dell’umanità e si è sviluppata dando va-lore alle idee delle persone, offrendo alla collettività, agli entidelle filiere e alle pastorali interessate una ‘missione comune’su cui realizzare percorsi duraturi (Diocesi di Messina - Lipari- Santa Lucia del Mela): quale missione? Quella di essere incu-batore di passione e di stimolatore di progettualità, e questo sirealizza nel riconoscimento del valore dell’intrapresa persona-le, nel pieno rispetto della giustizia sociale (Diocesi di Iglesias)e degli altri valori della vita personale e sociale.

La sfida che, alla luce di quanto esposto in questo contributo,emerge in conclusione – e che da qui, vorremmo far ricadere suiterritori nei quali abitano le nostre Chiese diocesane e regionali– è quella di spingere in avanti rilanciando il Progetto, trasfigu-rando la realtà proiettandola nel futuro che avanza, e per farquesto è necessario «creare un sistema tra gli elementi che costi-tuiscono la comunità, affinché si possa lavorare in maniera coor-dinata, armonica, efficace, per raggiungere degli obiettivi comu-ni»; ed in più, «saper utilizzare nuove strade, soprattutto comu-nicative, affinché i giovani diventino sempre più parte attiva delProgetto Policoro» (Diocesi di Ales - Terralba).

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Note

1 FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 169. 2 Nella convinzione di «stare dentro la storia con amore» (CONFERENZA EPI-SCOPALE ITALIANA, Con il dono della carità dentro la storia, 26 maggio 1996, n.6), mons. Mario Operti, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi so-ciali e il lavoro, coinvolse il Servizio Nazionale per la pastorale giovanile e laCaritas Italiana nel primo incontro svolto a Policoro (14 dicembre 1995),che vide la partecipazione dei rappresentanti diocesani delle tre pastorali diBasilicata, Calabria e Puglia (a cui progressivamente si sono estese altre re-gioni fino a coinvolgerne attualmente in numero di 14) e di alcune Associa-zioni laicali per riflettere sulla disoccupazione giovanile nella sicura speran-za che l’Italia «non crescerà se non insieme» (CONFERENZA EPISCOPALE ITALIA-NA - CONSIGLIO PERMANENTE, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, 23 ot-tobre 1981, n. 8). Sulle modalità con cui si è sviluppata la risposta fatta pro-pria dal Progetto alla molteplicità delle sfide che ne hanno segnato l’originee il suo sviluppo nel tempo, cf., F. LONGONI – D. SANTANGELO, «Il Progetto Po-licoro delle Chiese che sono in Italia. Come rilanciare il coraggio della spe-ranza nell’attuale contesto sociale, culturale, economico e politico?», in SVI-MEZ – ASSOCIAZIONE PER LO SVILUPPO DELL’INDUSTRIA NEL MEZZOGIORNO, Rappor-to Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2015, 238-248. 3 M. OPERTI, «Facciamo il punto della situazione: la storia e il coordinamentodi un’esperienza», in Quaderni della Conferenza Episcopale Italiana 2(1998/4) 11-12. Da ultimo, papa Francesco si è chiesto: «Cosa fa un giovane,senza lavoro?», e ha proseguito: «quando non c’è lavoro a rischiare è la digni-tà… Non perdiamo di vista l’urgenza di riaffermare questa dignità! Essa èpropria di tutti e di ciascuno. Ogni lavoratore ha il diritto di vederla tutelata,e in particolare i giovani devono poter coltivare la fiducia che i loro sforzi, illoro entusiasmo, l’investimento delle loro energie e delle loro risorse non sa-ranno inutili… questi giovani sono la nostra carne, sono la carne di Cristo eper questo il nostro lavoro deve andare avanti per accompagnarli e soffrirein noi quella sofferenza nascosta, silenziosa che angoscia tanto il loro cuore»(FRANCESCO, Discorso ai gruppi del “Progetto Policoro” della Conferenza Episco-pale Italiana, 14 dicembre 2015). 4 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mez-zogiorno, 21 febbraio 2010, n. 12. 5 F. POLES, «Indagine “I gesti concreti del Progetto Policoro”», in CONFERENZA

EPISCOPALE ITALIANA, “Nella precarietà, la speranza!”. Atti del Convegno Nazio-nale (Salerno, 24-26 ottobre 2014), a cura di F. LONGONI – D. SANTANGELO, Ed.

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Palumbi, 2015, pp. 151-152. Nelle pagine riportate si indicano in più di 700i “gesti concreti” generati dall’azione di Policoro: di questi, 217 sono regi-strati nel sistema camerale e riguardano 24 province. Secondo i dati del2012, tra questi risultano 106 tra cooperative, ditte individuali, società dicapitali con oltre 990 persone impiegate al loro interno e un fatturato di25,5 milioni di euro. Per informazioni aggiornate in merito, cf., ID., I GestiConcreti del Progetto Policoro, in http://www.progettopolicoro.it/home/for-mazione_adc__tutor__segretari_/00003674_Direttori.html. 6 FRANCESCO, Discorso alla 66ª Assemblea Generale della Conferenza EpiscopaleItaliana, 19 maggio 2014, n. 3. 7 ID., Omelia alla Santa Messa durante la Visita pastorale nella Diocesi di Cassa-no all’Jonio, 21 giugno 2014. 8 « Alla scuola del Vangelo si impara ciò che è veramente necessario, perchéla nostra vita non ci sfugga dalle mani inseguendo gli idoli di un falso benes-sere. Alla scuola del Vangelo, dunque: ecco la via giusta. È vero, Gesù non hadirettamente insegnato come inventarci possibilità lavorative ma la sua pa-rola non smette mai di essere attuale, concreta, viva, capace di toccare tuttol’uomo e tutti gli uomini» (ID., Discorso ai gruppi del “Progetto Policoro”…). 9 L’icona biblica che rappresenta lo stile educativo del Progetto è quella incui gli apostoli Pietro e Giovanni offrono allo storpio la ricchezza basilareche possiedono: «Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!»(At 3,6). 10 CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 22.Da qui trae orientamento il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale della Chiesaitaliana celebrato a Firenze (9-13 novembre 2015) dal titolo: «In Gesù Cristoil nuovo umanesimo». 11 FRANCESCO, Discorso ai gruppi del “Progetto Policoro”… 12 «Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gliobiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comu-nità… L’importante è non camminare da soli, contare sempre sui fratelli especialmente sulla guida dei Vescovi, in un saggio e realistico discernimentopastorale» (ID., Evangelii gaudium, n. 33).13 Cf.: S. ZAMAGNI, L’economia del bene comune, IdeEconomia, Città NuovaEditrice, Roma 2007; L. BRUNI, L’ethos del mercato. Un’introduzione ai fonda-menti antropologici e relazionali dell’economia, Mondadori, Milano 2010. Daultimo, cf., ID., Il mercato e il dono. Gli spiriti del capitalismo, Università Bocco-ni Editore, Milano 2015. 14 Su questi aspetti, cf.: L. BOBBIO, «Dilemmi della democrazia partecipativa»,in Democrazia e diritto 44 (2006/4) 11-26; G. BOSETTI – S. MAFFETTONE

(edd.), Democrazia deliberativa: cosa è, Luiss University Press, Roma 2004; G.

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COTTURRI, «La democrazia partecipativa», in Democrazia e diritto 43(2005/1) 27-40; B. GBIKPI, «Dalla teoria della democrazia partecipativa aquella deliberativa: quali possibili continuità?», in Stato e mercato 73(2005/5) 97-130; R. LEWANSKI, «La democrazia deliberativa. Nuovi orizzontiper la politica», in Aggiornamenti sociali 58 (2007/12) 1-12. Per un esame dialcuni processi deliberativi concretamente realizzati coinvolgendo i princi-pali attori economici e sociali in un territorio specifico, cf., FONDAZIONE L.MORESSA – F. LONGONI (edd.), Una prova di democrazia in tempo di crisi, pref.del card. A. Scola, Marcianum Press, Venezia 2010. 15 FRANCESCO, Discorso ai gruppi del “Progetto Policoro”… 16 Nel corso di questi venti anni 720 giovani, ragazzi e ragazze hanno attiva-to un percorso di animazione nelle comunità di appartenenza. 17 FRANCESCO, Evangelii gaudium, nn. 176-177. 18 Da qui, la volontà di celebrare il ventennale con un Udienza papale in Va-ticano il 14 dicembre 2015 (di cui abbiamo riportato in questo contributo ildenso e approfondito intervento di papa Francesco), al fine di rendere visi-bile e promuovere con rinnovato slancio sul territorio nazionale l’iniziativain oggetto. 19 CEI – UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO - SERVIZIO NAZIO-NALE DI PASTORALE GIOVANILE - CARITAS ITALIANA, Sviluppo civile e partecipazione.Venti anni di Progetto Policoro, Edizioni GrafiSer, Troina (Enna) 2015. 20 In maniera più estesa e comprensiva, un esame più approfondito è conte-nuto nella parte II del testo citato nella nota precedente, a cui rimandiamoper completezza (cf., pp. 39-59). 21 La stessa difficoltà (per la mole del materiale, la diversità e complessitàdei contenuti) ha avuto anche il gruppo di coordinamento e di scrittura deltesto relativo al Documento che riprendiamo in questa sede evidenziandogli aspetti principali illustrati nelle schede pervenuteci.22 Cf., CEI – COMITATO PREPARATORIO DEL 5° CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE, InGesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° ConvegnoEcclesiale Nazionale, Edb, Bologna 2014, pp. 46-54.

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Il primo da ringraziare, al termine del Festival della Dottrinasociale, è Papa Francesco che ci ha inviato un bellissimo vi-deomessaggio. Ascoltandolo, ho percepito con soddisfazioneil senso di una comunione non come adeguamento a una li-nea, ma come ritrovarsi naturalmente sulla stessa linea.Papa Francesco, a Firenze, ha pregato la Chiesa italiana di la-vorare sulla Evangelii gaudium. Noi, da tre anni basiamo il fe-stival su quel testo: è prova di una comunione come sintonia,non come adeguamento, è bellissimo. Per questo motivo, lospessore del grazie che rivolgiamo al Pontefice non è un attodovuto al piacere, ma la gioia del riconoscimento che ci tro-viamo insieme.

Il secondo ringraziamento va a mons. Nunzio Galantino,perché piace. Gli incontri si possono firmare con l’inchiostro ocon la presenza: in questi giorni, e oggi, sono stati firmati conla presenza; grazie ancora.

Vorrei proporvi tre parole come sintesi di questo V Festivaldella Dottrina sociale. La prima è bellezza, perché questo

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AgoràAdriano Vincenzi - Conclusioni del V Festival DSC

Conclusioni del V Festival DSC

di Mons. Adriano Vincenzi,Fondazione Toniolo

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evento è stato molto bello, una vera esperienza spirituale.Quando dell’altro percepiamo la sua dimensione positiva, citroviamo davanti alla traduzione di una fraternità goduta, allasoddisfazione di vedersi. Il Festival è stato caratterizzato daquesta bellezza: non notare i limiti che hanno le persone, mai loro aspetti positivi, che ognuno ha dentro di sé.Il Festival dunque diventa interessante perché favorisce la co-struzione di rapporti più in profondità che ci permettono dilavorare dentro i problemi con un altro stile, toccando le mise-rie, guardando le persone. Questa è la bellezza. Se teniamoquesta linea, possiamo andare dentro tutte le situazioni,sporcarci le mani, sudare, tribolare, imprecare, ma nonperderemo mai la dimensione della bellezza.Auguro, a tutti quelli che operano nel sociale, di non abbrut-tirsi nel lavoro, ma di diventare ancora più belli. Questa sarà lagrande differenza: lavorare dentro le cose riconoscendo che ladimensione più forte è sempre quella umana. I problemi, inquesta maniera, non ci toglieranno mai la serenità.

La seconda parola è l’essenzialità, innanzitutto nel parlare:parliamo di meno e facciamo di più. Vediamo intorno a noitroppa retorica, troppi arzigogoli, troppi discorsi per cose pic-cole. Dobbiamo tornare all’essenzialità della parola, perché legrandi gioie e i grandi dolori inducono sempre al silenzio. Chigode poco, deve spiegare che ha una gioia grande. Chi non sof-fre, sente di dover sviluppare riflessioni sulle sofferenze. Chipatisce, tace. È dignitoso. È grande. Occorre questa essen-zialità, nella quale noi possiamo dare spazio ai fatti. E allorasaremo semplici: non c’è bisogno di vendere fumo o rendere lecose grandi. Di solito, chi fa le cose grandi parla poco. Chi fapoco, parla molto. Pian piano, mi auguro che andiamo versoquesta essenzialità che tocca il cuore.Sono contento di questo festival: ci sarà poi spazio per vederele rassegne stampa e quanti giornali ne hanno parlato, ma so-prattutto mi chiedo: di quanti abbiamo toccato il cuore, traquelli che sono passati? Questa è l’essenzialità. Perché altri-menti, da domani, ciascuno può andare legittimamente per ifatti propri e non ci sarà continuità. Se invece è stato toccato

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La Società - n.5-6 / 2015

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il cuore, qualsiasi cosa facciate, date continuità al messaggiodel Festival.

La terza parola è passione. Facciamo ciò che nessuno ci hacomandato di fare. Non obbediamo ad un ordine, ad una or-ganizzazione o a una struttura, ma siamo semplicemente efortemente attratti dal prenderci cura delle persone, del ter-ritorio e delle situazioni. Occorre questa passione, per non fardiventare le nostre attività una gara a chi obbedisce di più, achi si avvicina di più alla linea.Invece, noi siamo liberi: per questo ci impegniamo da mo-rire. E di conseguenza, senza che nessuno ce lo dica, diventia-mo capaci di operare grazie all’essere “dentro”. È stando den-tro, che si può rispondere ai problemi: vorrei un’azione diffusacosì. Quasi anonima, ma autentica: non può essere generatada regole. Abbiamo bisogno di esprimere questo grande attodi fiducia, gli uni degli altri, nella verità di noi stessi; in questaverità, ci appare sempre davanti l’altro, con le sue esigenze. Senoi siamo capaci di ascoltarlo, troviamo la molla per l’azio-ne, per la continuità, che è la forza di questo Festival.

Vi auguro di sentirvi davvero così: belli, essenziali e con unaforza interiore che nessuno può fermare.

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AgoràAdriano Vincenzi - Conclusioni del V Festival DSC

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Finito di stampare nel mese di Gennaio 2016

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