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La moneta della discordia

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Dieci anni fa, in 12 paesi europei le monete nazionali furono sostituite dall’euro, la moneta corrente di quasi mezzo miliardo di persone. Questo libro è un viaggio attraverso il lato nascosto dell’euro e l’intreccio tra la moneta unica e la cittadinanza europea. Da questo intreccio dipende il destino anche economico dell’Europa. Con un’intervista a Romano Prodi.

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Capitolo iCronaca di una rivoluzione annunciata

È molto comune, tra gli studiosi, l’affermazione che la vicendadella Unione europea in generale è caratterizzata da decisioni eatti che hanno innescato effetti non previsti (le famose uninten-ded consequence), cosicché molti degli sviluppi dell’Europa comeunione di popoli e stati non sono il frutto di un progetto, mapiuttosto del fatto che, per così dire, gli avvenimenti hanno pre-so la mano ai responsabili politici e ad altri attori e hanno datoforma al processo di costruzione europea. Se ciò è vero in molticasi, non lo è affatto in quello della moneta unica. Questa vi-cenda, infatti, è stata progettata e si è sviluppata secondo unpreciso disegno, i cui effetti erano non solo previsti, ma ancheattesi. Inoltre, per la intenzionalità di chi l’ha voluta e per il suocontenuto politico, di creazione di un potente strumento di uni-ficazione degli europei, non è esagerato parlare di una rivolu-zione. Si è trattato quindi di una rivoluzione, ma annunciata.Di essa è utile qui mettere in rilievo alcuni elementi distintivi.

Le premesseSi è già chiarito che questo libro è dedicato soprattutto al-

l’euro come entità fisica, fatta di monete e banconote. Tuttavia,non si devono dimenticare altri aspetti, che sono altrettantoimportanti. Uno di questi è che l’euro è parte di un processopolitico, istituzionale, economico e finanziario di cui la entitàfisica è il risultato più visibile per i cittadini. Mentre le monetee le banconote hanno materializzato l’euro solo il 1° gennaio di

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dieci anni fa, la moneta unica europea esisteva già da tempo.La vicenda è nota e inoltre è disponibile ovunque una quantitàdi informazioni più che sufficiente in merito; ma ricordare al-cuni momenti di questo processo non può fare male. La previsione della istituzione di una moneta unica è inse-

rita nel Trattato di Maastricht, quel documento approvato nel1992 e ratificato l’anno successivo da tutti i paesi membri cheha, tra l’altro, segnato il passaggio da “Comunità” a “Unione”europea e che ha istituito la cittadinanza comunitaria. Leggia-mo che cosa dice il Trattato, all’articolo 3a:

1. … l’azione degli Stati membri e della Comunità comprende… l’adozione di una politica economica che è fondata sullostretto coordinamento delle politiche economiche degli Statimembri, sul mercato interno e sulla definizione di obiettivicomuni, condotta conformemente al principio di un’econo-mia di mercato aperta e in libera concorrenza.2. Parallelamente, … questa azione comprende la fissazioneirrevocabile dei tassi di cambio che comporterà l’introduzionedi una moneta unica, l’Ecu, nonché la definizione e la con-duzione di una politica monetaria e di una politica del cambiouniche, che abbiano l’obiettivo principale di mantenere la sta-bilità dei prezzi e, fatto salvo questo obiettivo, di sostenere lepolitiche economiche generali nella Comunità conformemen-te al principio di un’economia di mercato aperta e in liberaconcorrenza.3. Queste azioni degli Stati membri e della Comunità impli-cano il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, fi-nanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilanciadei pagamenti sostenibile.1

Il Trattato di Maastricht, in altre parole, stabilisce l’adozionedi una moneta unica come parte del processo di costruzione

1 Grassetto aggiunto.

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di una unione economica e monetaria, avviata con il Trattatodi Roma del 1957. Quest’ultima consiste in generale nel fattoche stati indipendenti integrano le loro economie per ottenerebenefici di scala, come ad esempio una maggiore efficienza in-terna e una maggiore solidità rispetto a eventi esterni. Tuttavia ci sono diversi gradi in cui questa integrazione può

realizzarsi e, a partire dal 1957, l’Europa ne ha saliti diversi.Prima è stata un’area preferenziale di scambi commerciali, contariffe doganali ridotte tra i paesi; poi un’area di libero scam-bio, con la eliminazione delle tariffe doganali tra i paesi par-tecipanti; quindi è stata un’unione doganale, con le medesimetariffe nei confronti dei paesi terzi e una politica comune dicommercio estero; è stata poi un mercato comune, con le me-desime norme sui prodotti e il libero movimento di beni, ca-pitali, lavoro e servizi. Una unione economica e monetariavera e propria, invece, è fatta di un mercato unico con un’uni-ca politica monetaria. Si può affermare con qualche approssimazione che il Trat-

tato di Maastricht stabilisce il passaggio dal mercato comuneal mercato unico e che la introduzione dell’euro (nel Trattatoancora definito come Ecu2) è parte integrante del disegno dicostruzione di una vera e propria unione economica e mone-taria. Questo disegno è stato realizzato in tre tappe. Nella prima,

partita nel 1990, sono state rimosse le barriere alla integrazionefinanziaria tra i paesi, in particolare attraverso la creazione diun meccanismo di fluttuazione fissa dei cambi tra le monete.Il “mercoledì nero” del 16 settembre 1992, quando per l’attaccodegli speculatori Italia e Gran Bretagna furono costrette a usci-re da questo meccanismo, dimostrò che occorrevano più decisipassi in avanti. Nella seconda tappa, avviata nel 1994, è stato

2 Un nome successivamente modificato in euro, secondo alcuni perché aveva un signi-ficato solo in una lingua (il francese: scudo), mentre in altre era un acronimo (in in-glese: European Currency Unit), secondo altri perché in tedesco “Ein Ecu” haassonanza con “una mucca”. In ogni caso, il nome euro fu scelto perché radice delnome Europa e per questo presente in tutte le lingue ufficiali comunitarie.

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quindi creato un Istituto monetario europeo che associava lebanche centrali rendendole parzialmente indipendenti dai go-verni nazionali, sono stati fissati i criteri di convergenza, è statodefinito il Patto di stabilità tra i paesi e sono stati identificatigli undici stati che avrebbero fondato la Eurozona, o Eurolan-dia che dir si voglia: si trattava in pratica dei paesi membri del-la Unione con l’esclusione, per diverse e note ragioni, dellaGran Bretagna, della Grecia (successivamente rientrata nellaoperazione), della Svezia e della Danimarca. Nella terza tappa,avviata nel 1999, sono stati fissati in modo irrevocabile i criteridi conversione delle monete nazionali diventate unità divisio-nali della moneta unica anche se solo come moneta “scrittu-rale”, è stata istituita la Banca centrale europea insieme a unSistema europeo delle banche centrali ed è stata avviata la pia-nificazione del changeover, ossia della sostituzione delle monetenazionali con l’euro, fissata, appunto, al 1° gennaio 2002. Di questa vicenda, riportata qui in modo più che somma-

rio, ai fini della riflessione condotta in questo libro vanno sot-tolineati due punti.Il primo è che la selezione dei paesi che dovevano costituire

la Eurozona è stata condotta in base a una lettura “aggiustata”,o meglio “politica”, dei criteri di Maastricht, i quali prevede-vano che ogni paese dovesse garantire precisi target riguardantila stabilità dei prezzi, un deficit e un debito pubblico sosteni-bili, la stabilità dei tassi di interesse nel lungo periodo, la sta-bilità dei tassi di cambio e una dimostrata volontà di nonricorrere alla svalutazione della propria moneta. Gli italiani ri-cordano bene la “Eurotassa”, ufficialmente presentata comeun prestito; ma non bisogna dimenticare neanche che, perrientrare nei parametri del Patto di stabilità, ad esempio laGermania vendette i terreni che appartenevano alle ferroviestatali, rivalutò le sue riserve auree e tagliò temporaneamenteil budget della sicurezza sociale e che la Francia incorporò nelbilancio pubblico i fondi pensionistici della impresa di tele-comunicazioni France Telecom. Tutto ciò, naturalmente, si

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aggiunse agli sforzi chiesti ai cittadini ma anche alle parti so-ciali di fare ogni tipo di sacrificio per rispettare il Patto di sta-bilità – sforzi che furono compiuti e che testimoniano al di làdi ogni ragionevole dubbio il consenso popolare che quellaoperazione comunque ottenne. Il punto, tuttavia, è che di fat-to i criteri di Maastricht furono raggiunti anche con operazio-ni di “finanza creativa” che furono ritenute legittime perragioni squisitamente politiche. Il secondo punto è che, come molti critici sostennero al-

l’epoca, la Unione economica e monetaria non richiedeva pernecessità il passaggio a una moneta unica. Queste posizionifurono espresse soprattutto dai britannici, i quali avevano ot-tenuto una clausola di opting out, ossia il diritto di decidere dinon partecipare alla moneta unica pur essendo parte costitu-tiva e rilevante della Unione monetaria. Il Regno Unito, in-fatti, utilizzò quella clausola e si tenne stretta la sua sterlinaperché – come l’allora ministro del tesoro Gordon Brown sot-tolineò – l’adozione dell’euro non era stata valutata utile pergli interessi economici britannici “in modo chiaro e non am-biguo”. Questa opinione, sicuramente plausibile al di là diogni giudizio tecnico, ci porta più vicini al tema dell’altra fac-cia della moneta. La questione si può porre in questi termini:ma se la creazione di un’unica moneta non era necessaria alfine di completare la Unione economica e monetaria, qualifurono le ragioni della sua adozione?

Conseguenze voluteQuesta domanda diventa ancora più intrigante se si leggono

le dichiarazioni dell’epoca di politici e grand commis, protago-nisti della introduzione della moneta unica. Non c’è, a questoproposito, grande differenza tra i rappresentanti degli stati na-zionali e quelli delle istituzioni della Unione. Tutti ammetto-no, riconoscono o rivendicano significati della operazione chevanno ben al di là – molto al di là – di una operazione di po-litica monetaria.

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Tra i rappresentanti nazionali si possono citare RudolphEdlinger, ministro delle finanze austriaco che parla dell’eurocome dell’«alba di una nuova era della storia»; il presidentefrancese François Mitterrand, secondo il quale l’obiettivo dellaUnione europea si può sintetizzare in «una moneta, una cul-tura, uno spazio sociale, un ambiente»; il premier spagnoloFelipe Gonzalez, secondo il quale «la moneta comune è la piùgrande cessione di sovranità dalla fondazione delle Comunitàeuropee»; il cancelliere tedesco Helmut Kohl, che parla dellaintroduzione della moneta unica come del «processo più de-cisivo per questo e per il prossimo secolo».Per quanto riguarda i rappresentanti delle istituzioni comu-

nitarie, si può menzionare innanzitutto Jacques Santer, presi-dente della Commissione europea fino al 1999, che nel 1998dichiara:

L’euro è anche un potente fattore per forgiare una identità eu-ropea. I paesi che condividono una moneta comune sono pae-si pronti a unire i loro destini come parte di una comunitàintegrata. L’euro porterà i cittadini a essere più vicini insieme,e fornirà una manifestazione fisica del loro crescente avvici-namento.

Ma non vanno dimenticati Wim Duisenberg, presidentedella Banca centrale europea, secondo il quale la moneta uni-ca «è… una pietra miliare sulla via di una Europa unita» eYves De Silguy, commissario europeo agli affari economici efinanziari, per il quale «la introduzione della moneta unica èil più importante evento dalla Seconda guerra mondiale». Lostesso Romano Prodi, subentrato a Santer, in un discorso pro-nunciato due settimane dopo il changeover, dichiara:

Per milioni di cittadini europei, le banconote e le monete cheportano in tasca sono il segno tangibile del grande progettopolitico dell’Europa Unita. Dal punto di vista simbolico, esso

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supera il pur forte impatto emotivo provocato dalla soppres-sione del controllo d’identità alle frontiere intracomunitarie.L’euro diventa in questo modo un elemento chiave del lorosenso di identità europea e di un destino comune, così com’ègià segno tangibile del carattere irreversibile dell’integrazioneeuropea.

Anche i media fecero da eco per questa percezione condivi-sa. Lo European, ad esempio, scrisse che quello della monetaunica era «il progetto più audace in cui il continente si sia im-barcato nella sua lunga storia». Il New York Times, dal cantosuo, sottolineò: «La introduzione di una moneta comune eu-ropea, l’euro, quest’anno ha marcato il più grande trasferimen-to di sovranità volontario e in tempo di pace compiuto nellastoria da parte di un gruppo di stati».La enfasi mostrata in particolare dai dirigenti politici e isti-

tuzionali europei nei confronti della moneta unica ha, in mo-do esplicito o implicito, un significato politico. Per HansTietmeyer, governatore della Bundesbank, la banca centraletedesca, «una moneta europea porterà i paesi membri a trasfe-rire la loro sovranità sulle politiche finanziarie e salariali, cosìcome gli affari monetari. È una illusione pensare che gli statipossano mantenere la loro autonomia sulle politiche fiscali».Ma anche Jacques Delors, precedente presidente della Com-missione europea e uno dei principali protagonisti della pro-gettazione della Unione monetaria, afferma che questa nonpuò funzionare senza un governo europeo della economia, chedeve essere un contrappeso politico. È del resto proprio comecontrappeso politico alle tendenze tecnocratiche ed economi-cistiche della Unione che la cittadinanza europea viene istituitacon il Trattato di Maastricht e che nello stesso periodo vengo-no prodotti documenti come la Carta sociale della Ue e il Li-bro bianco su crescita, competitività e occupazione, cherappresentano una sorta di contrappeso sociale alla Unioneeconomica e monetaria.

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Tutte queste dichiarazioni, in apparenza sproporzionate ri-spetto al tema sul tappeto, hanno insomma, specialmente serilette oggi, un significato univoco: l’affermazione che la in-troduzione di una moneta unica è un passo avanti non com-mensurabile con altri nella costruzione della Unione europea. Ma c’è qualcosa di più: si tratta della piena consapevolezza

che una moneta unica è destinata a connettere gli stati e i cit-tadini come niente altro potrebbe fare. Non si tratta, quindi,soltanto di legare storie diverse in un destino comune, ma pro-prio di radicare il senso dell’essere uniti come europei nei cuoridei cittadini attraverso i loro portafogli. Nella storia del dibattito sulla cittadinanza europea è ricor-

rente l’adattamento all’Europa della citazione attribuita al no-stro Massimo D’Azeglio: abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamofare gli italiani. Si può affermare che, negli intenti dei leaderdel processo di europeizzazione, la introduzione della monetaunica non solo come astratto punto di riferimento per le po-litiche monetarie e finanziarie, ma anche come oggetto in me-tallo e carta, abbia avuto il significato di fare un decisivo passoin avanti nel “costruire gli europei”. Si può discutere – e sa-rebbe proprio il caso di farlo – sul sapore elitario e paternali-stico di questo motto, ma qui è importante che il suo richiamoindichi la consapevolezza di un valore della operazione del-l’euro che va oltre la dimensione monetaria ed economica.

Divisi nelle monete, uniti nelle banconoteUna conferma di questa intenzione si può trovare guardando

all’apparato simbolico incorporato nelle monete e nelle banco-note, frutto di un lungo processo di progettazione e dibattitotecnico e politico, che in alcuni casi ha coinvolto gli stessi citta-dini, sia in quanto individui che come organizzazioni, e sia allivello europeo che a quello nazionale. Si possono citare al ri-guardo due casi. Il primo è che fu proprio in Italia che una do-menica del febbraio 1998 il ministro Carlo Azeglio Ciampi andòin televisione nella trasmissione di massimo ascolto e lanciò un

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referendum in diretta tra i telespettatori per decidere quale do-veva essere la immagine “italiana” della moneta da un euro. Co-me sappiamo perché è nei nostri portamonete, fu l’uomo diVitruvio disegnato da Leonardo da Vinci a prevalere su altreipotesi; e questo caso può essere ricordato come il primo serioesperimento (serio perché la decisione fu quella espressa dai te-lespettatori) di teledemocrazia nel nostro paese. Il secondo casoè che il disegno delle monete fu modificato seguendo le indica-zioni delle associazioni dei ciechi, ai quali fu chiesto di “collau-dare” i prototipi di moneta tenendo conto delle esigenze deinon vedenti. L’apparato simbolico dell’euro si distingue nettamente tra

le monete e le banconote. È utile esaminare questo apparatoin modo analitico, un esercizio che peraltro chiunque può com-piere mettendo mano al suo borsellino e al suo portafoglio.Le monete hanno un lato comune e un lato riservato a im-

magini e simboli nazionali. Per quanto riguarda la faccia co-mune, nelle monete da 1, 2 e 5 centesimi viene rappresentatoun globo sul quale è disegnata l’Europa – il messaggio politicoè in questo caso che si intende evitare di costruire una “FortezzaEuropa”. Le monete da 10, 20 e 50 centesimi contengono unamappa dell’Europa con i confini di ciascuno stato membrochiaramente delimitati, in modo da rappresentare la Ue comeun insieme di nazioni ben identificate. Le monete da 1 e 2 eurodipingono una Europa senza frontiere. C’è chiaramente unagerarchia di valori ascendente dei messaggi politici espressi daqueste immagini. Il retro delle monete, invece, contiene elementi appartenenti

al patrimonio culturale di ogni stato membro. La scelta di questeimmagini è stata compiuta autonomamente dai singoli stati, an-che, come ricordato, attraverso forme di coinvolgimento dei cit-tadini. In alcuni casi gli stati hanno inserito l’immagine delproprio monarca (obbligati in ciò dalle rispettive costituzioni);in altri casi sono stati selezionati gli emblemi nazionali (ad esem-pio l’arpa celtica per l’Irlanda), immagini legate alla storia del

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paese o a caratteristiche distintive dell’ambiente naturale (comela stella alpina nel caso dell’Austria), raffigurazioni di personaggi(uomini e donne) di rilevanza storica per ragioni politiche, ar-tistiche o culturali; immagini di edifici storici come il Colosseo.Le banconote, al contrario delle monete, non contengono

simboli nazionali ma raffigurazioni comuni a tutti gli europei.Significativamente, dato che il passato che accomuna gli eu-ropei (specialmente quello del Novecento) è fatto soprattuttodi sangue, si scelse di utilizzare immagini anonime, di oggettinon esistenti, ma nello stesso tempo ispirati a tradizioni arti-stiche e architettoniche condivise. Dopo un lungo processo diselezione, si scelse di produrre immagini che si riferivano a set-te grandi stili architettonici propri della tradizione europea: lostile classico, quello romanico, quello gotico, quello del Rina-scimento, quello del Barocco e del Rococò, quello caratteriz-zato da acciaio e vetro e infine quello contemporaneo. Sisottolineò che ciascuno di questi stili non poteva essere consi-derato patrimonio specifico di un singolo paese, ma era piut-tosto una eredità comune europea. Così, nelle banconote, a parte la quantità di simboli “ufficiali”

della Ue (la bandiera, le stelle e il nome “euro” in lettere latinee greche), compaiono immagini delle tradizioni architettonichedella storia d’Europa. In particolare, sul verso delle banconotesono rappresentati porte, cancelli e finestre aperti, per rappre-sentare l’apertura dell’Europa, la trasparenza della sua politica eil passaggio a una nuova era. Sul retro, invece, sono raffiguratiponti, che simbolizzano il punto di comunicazione tra confinie culture e il superamento di antiche fratture. In pochi centimetri quadrati, insomma, viene riassunto il sen-

so comune di una lunga storia e indicata una direzione di svi-luppo futuro. I simboli servono appunto a questo e si dice chesiano stati inventati dalla specie umana anche per la loro sinte-ticità ed economicità. Le monete e le banconote dell’euro sonoin ogni caso un esempio di un apparato simbolico portatile ecompleto – come è stato detto, «avere l’Europa in tasca».

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Verso il Big BangIntrodurre una nuova moneta, soprattutto se essa sostituisce

12monete diverse e coinvolge (tanti erano al momento del chan-geover) 320 milioni di cittadini, è tutto meno che uno scherzo.Si trattava anzi, come chiarì la Banca centrale europea, del «piùgrande changeovermonetario che il mondo abbia mai visto». Leistituzioni europee e nazionali, ma anche le banche e una mi-riade di altre società (dalle poste alle autostrade ai servizi di tra-sporto pubblico) dovettero affrontare problemi logisticiimponenti: dallo stoccaggio delle vecchie monete e banconotealla custodia di quelle nuove (14 miliardi di banconote e 59 mi-liardi di monete), dall’adattamento dei bancomat alla riproget-tazione delle macchine per la distribuzione di biglietti, bevande,ecc. Tali problemi furono aggravati e resi più stringenti dalla de-cisione di adottare una strategia che all’epoca fu definita BigBang Scenario, in base alla quale la nuova moneta non sarebbestata introdotta in modo processuale, ma con un cambiamentoistantaneo. In questo quadro, si decise ad esempio che, salvo ec-cezioni, il periodo di doppia circolazione delle vecchie moneteinsieme all’euro sarebbe durato solo due mesi. Tra i protagonisti dell’epoca è ancora aperta la discussione

se sarebbe stato giusto adottare un approccio più graduale, maresta il fatto che l’euro è stato introdotto con un Big Bang. Non si trattava però soltanto di affrontare e gestire enormi

problemi logistici. L’aspetto più complicato era informare,motivare e coinvolgere i cittadini in una operazione che avreb-be cambiato profondamente le loro vite. Anche di questo c’eraconsapevolezza, benché sicuramente non pari alle dimensionidel problema. Pochi mesi prima del changeover, in un giro diconferenze di sensibilizzazione nei paesi della Eurozona, il pre-sidente della Banca centrale europea Wim Duisenberg a que-sto proposito diceva:

È cruciale che facciamo del nostro meglio per assicurare chele banconote e le monete dell’euro siano ben accolte dai citta-

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dini. Una rapida accettazione da parte della generalità del pub-blico dipenderà molto dalla nostra capacità di comunicare conil “nostro” popolo sulla “nostra” moneta. Se noi avremo suc-cesso, daremo un contributo importante a convincere gli eu-ropei che una Europa unita non è una idea astratta e remota,ma qualcosa di effettivo e dinamico. Il successo del changeoverdell’euro dipenderà largamente dalla informazione che i cit-tadini dell’area euro riceveranno sulla loro nuova moneta.Questo aiuterà loro ad affrontare il changeover. E aiuterà anchealcuni di loro ad abituarsi ai tagli [delle monete] che differi-scono da quelli a loro familiari.

In relazione a queste preoccupazioni e intenzioni fu proget-tata e messa in opera una grande campagna di comunicazioneintitolata “The euro. our Money”, per la quale la sola Bancacentrale europea stanziò 80milioni di euro. A questo proposito,i ricordi dei protagonisti dell’epoca e il lavoro di interpretazionedegli scienziati coincidono su un punto particolarmente inte-ressante. Il punto è questo: mentre la campagna e la stessa at-tività di comunicazione istituzionale dei responsabili politici eamministrativi della Unione e degli stati membri tendevano apresentare (o a “vendere”) l’euro come un oggetto (o prodotto)il cui significato era essenzialmente economico e gli effetti po-sitivi di tipo pratico, il messaggio che effettivamente fece brec-cia tra i cittadini fu al contrario un messaggio di tipo politico,legato all’idea di “entrare in Europa”, naturalmente con diverseaccentuazioni connesse alla circostanze nazionali in cui avevaluogo questa “entrata” (le virgolette sono d’obbligo, perché ineffetti nessuno dei soggetti coinvolti in quel momento stava daun’altra parte). Merita particolare menzione, in questa cornice, la campagna

“The Euro Made Easy”, progettata e realizzata dalla Commis-sione europea – per la precisione dalla Direzione generale dellapolitica dei consumatori – in partnership con i governi nazio-nali, organizzazioni di cittadini, imprese pubbliche e private,

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che si proponeva di facilitare il recepimento della moneta unicada parte dei cittadini comuni. Il punto di partenza della cam-pagna era la presa d’atto che non solo soggetti in evidenti con-dizioni di debolezza (come ad esempio i ciechi o gli anziani),ma una fetta molto più larga della popolazione (stimata fino al30% del totale) rischiava di subire processi di esclusione a causadel changeover, soprattutto per la scarsa fiducia verso i mezzi dicomunicazione ufficiali. Fu quindi progettata una campagna di“informazione di prossimità”, realizzata nei paesi della Eurozonada istituzioni e/o da organizzazioni civiche, che consisteva nellaformazione di soggetti che, per la loro contiguità fisica con, e laloro credibilità presso i cittadini (medici di famiglia, farmacisti,insegnanti, ma anche operatori degli uffici postali, parroci e ov-viamente sportellisti delle banche ecc.) potevano fornire un pac-chetto di informazioni di base sul passaggio alla moneta unica,sul modo di calcolare il valore delle merci, sui rischi che anda-vano evitati e così via. Questa attività era accompagnata da ini-ziative di incontro come feste per i bambini, mostre itineranti,incontri ospitati dagli uffici postali nei piccoli comuni, ecc. Soloin Italia, sotto la responsabilità del movimento Cittadinanzat-tiva, furono attivati circa tremila informatori di prossimità checontattarono direttamente diverse centinaia di migliaia di per-sone. Raramente una esperienza di mobilitazione civica per lamessa in opera di un provvedimento pubblico era stata realizzatanei termini e con le dimensioni che assunse il programma sullainformazione di prossimità3.

“Si adatteranno”Nessuno sapeva, in realtà, che cosa sarebbe successo effetti-

vamente. Mai una operazione di questa portata era stata ten-tata e tutti gli esiti erano possibili. Di fatto, però, essa funzionò

3 Secondo una ricerca di Eurobarometro della primavera del 2002, del programma avevasentito parlare quasi il 40% dei cittadini europei e circa il 12% di essi ne aveva diret-tamente beneficiato. In Italia dichiaravano invece di averne beneficiato il 15% dei cit-tadini, una percentuale superata solo in Olanda (Eurobarometro 57.1, 2002).

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e il changeover fu, in ultima analisi, un successo. Quello chequalche funzionario spocchioso sosteneva senza rendersi contodi ciò che diceva (“I cittadini si adatteranno”) è proprio quelloche accadde, soprattutto per merito dei cittadini stessi. I cit-tadini si sono adattati e l’euro è diventato rapidamente unarealtà. Ciò naturalmente non avvenne senza problemi, daquelli più piccoli a quelli decisamente più grandi. Un esempioaneddotico di quelli piccoli è quello – famoso all’epoca – diuna famiglia francese che andava in vacanza in Italia e che lamattina del 1° gennaio 2002 al confine di Ventimiglia cercòsenza successo di cambiare i propri euro francesi in euro ita-liani. Per quanto riguarda i problemi più grandi, non si puònon menzionare l’insieme di tentativi di approfittare dell’ine-vitabile disordine per organizzare truffe e soprattutto aumentiindebiti dei prezzi di beni e servizi. Con riferimento all’Italiala vicenda è nota ed è legata sia all’arrotondamento del valoredell’euro (1€ = 2.000 lire anziché 1.936,27, e la differenza nonè poca), sia alla equazione 1.000 lire = 1 euro, che fu applicatanon solo da molti vituperati commercianti, ma anche, adesempio, da diverse società di trasporto pubblico ai bigliettidi autobus e metro. Va anche ricordata la martellante campagna di discredito

preventivo della moneta unica promossa da diversi ambientiinternazionali e nazionali, da posizioni e con intenzionalitàdifferenti. L’epicentro di questa campagna fu la Gran Breta-gna, dove ancora oggi sono individuabili 15 siti internet dedi-cati solo alla mobilitazione contro la moneta unica, e doveall’epoca uno degli argomenti più utilizzati fu quello dello Eu-rocreep, neologismo creato per indicare la penetrazione del-l’euro in modo occulto e subliminale tra i cittadini britannici.Su questa strada si arrivò a sostenere, nei giornali popolari in-glesi, che le monete di cioccolata con l’effigie dell’euro, ven-dute anche in Gran Bretagna, erano lo strumento di unastrategia di persuasione occulta per fare dei bambini inglesidegli agit prop dell’euro contro l’amata sterlina.

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Tabella 1 – Supporto per l’euro (in %).

Anno Francia Germania Italia Spagna uk ue 15Primavera 2000 67 50 81 75 22 58Primavera 2001 67 53 83 68 25 59Primavera 2002 67 67 87 80 31 67Primavera 2003 75 70 82 75 24 66Fonte: Matthias Kaelberer, Trust in the Euro: Exploring the Governance of aSupra-National Currency, in European Societies, 9(4) 2007, pag. 630.

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Malgrado tutto questo, il supporto dei cittadini nei con-fronti dell’euro fu indiscutibile. Vediamone la evoluzione inquesta tabella, relativa a diversi anni e a diversi paesi.

Perfino nei tre paesi Ue non entrati nell’area dell’euro (Da-nimarca, Regno Unito e Svezia) nei primi mesi del 2002 piùdel 60% dei cittadini ritenevano che la introduzione della mo-neta unica fosse l’evento più importante nella storia dell’Eu-ropa e più dell’80% di essi erano convinti che l’euro sarebbediventato una moneta internazionale come il dollaro4.Anche in relazione a questo impatto positivo, nel 2008 la

Commissione europea tracciava un bilancio della Unione eco-nomica e monetaria e della moneta unica in cui i pro superavanodecisamente i contro. Tra i pro: bassa inflazione, stabilità macro-economica, integrazione economica e dei mercati, integrazionedei mercati finanziari, protezione da eventi esterni negativi, raf-forzamento delle economie dei paesi membri, creazione della se-conda moneta mondiale, istituzione di un polo di stabilità perl’Europa e l’economia mondiale, sviluppo di una solida strutturadi governance economica, creazione di 16 milioni di posti di la-voro. Tra i contro: crescita potenziale troppo bassa, persistentidifferenze tra i paesi, mancanza di una chiara strategia interna-zionale, bassa immagine pubblica. Tra le nuove sfide la Com-missione indicava la globalizzazione, l’aumento dei prezzi di ciboed energia, il rapido invecchiamento della popolazione.

4 Flash Eurobarometer, 121/2, 2006.

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Alla luce di quanto è accaduto subito dopo, si può senz’altrogiudicare un po’ avventata la tesi della Commissione. E forseanche l’affermazione del premio Nobel Robert Mundell nellostesso periodo: «L’euro è stato un assoluto successo e l’Europasta meglio ed è più forte grazie ad esso». Ciò non significa,tuttavia, che avesse ragione un altro premio Nobel, MiltonFriedman, che nel 2001 profetizzava: «L’euro è stato adottatoin realtà per scopi politici, non economici, come un passo ver-so il mito degli Stati Uniti d’Europa. Io credo che di fatto ilsuo effetto sarà esattamente l’opposto».Successo o tragedia che sia stato dal punto di vista econo-

mico, il passaggio alla moneta unica – un evento che gli stu-diosi hanno definito «un gigantesco esperimento di scienzesociali applicate» – ha avuto indiscutibilmente un esito posi-tivo. Che cosa sia diventato l’euro dopo lo €-Day, in che mo-do si sia caratterizzato come un identity marker per i cittadinieuropei e in che modo essi lo abbiano usato è l’oggetto deiprossimi capitoli.

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