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La memoria ambiguaGuerra e rivoluzione in Catalogna negli scritti degli italiani
di Luciano Casali
La presenza di italiani nella guerra civile spagnola, schierati nell’uno e nell’altro campo, ha lasciato ampie tracce memorialistiche e testimoniali, prevalentemente per quanto riguarda i combattenti antifascisti.
Nella pur ampia produzione fascista (uomini politici, giornalisti, militari) hanno prevalso l’ufficialità delle relazioni e la necessità del loro immediato utilizzo a livello propagandistico, interno ed internazionale, concedendo ben scarsi elementi ad una documentazione che possa ancora essere di qualche utilità, se non a quella di studiare ed individuare i metodi usati nel tentativo di costruire un consenso di massa al regime1. Le stesse relazioni militari sul Ctv (Beiforte, Bollati e Del Bono, Faldella) furono redatte in maniera tale che, secondo l’Ufficio stori
co dello Stato maggiore dell’esercito italiano, nessun contributo seppero dare agli studi sulla utilizzazione delle armi e sulle tecniche di combattimento usate in Spagna. Da esse si possono trarre esclusivamente “valutazioni trionfalistiche e retoriche”, oltre ad una sicurezza, del tutto illusoria, come avrebbe dimostrato la seconda guerra mondiale, sulla “invincibilità” dell’Italia e sulla invidiabile “potenza militare” da essa conseguita2.
Mancano anche testimonianze raccolte fra quei soldati che, per fede politica o spinti dai consistenti premi di arruolamento, combatterono nelle file del Ctv, tranne alcune, rarissime, eccezioni; troppo poche, comunque, per consentirci analisi e considerazioni più generali3.
Questo intervento è stato oggetto di comunicazione al Secondo convegno internazionale sulla guerra civile spagnola (1936-39). “La guerra e la rivoluzione in Catalogna”, Barcellona, 4-7 novembre 1986.1 Su queste pubblicazioni cfr. Luciano Casali, L ’opinione pubblica italiana e la guerra civile spagnola, in “Revista internacional de sociologia” (Madrid), n. 52/1984, pp. 742-746.2 Ferruccio Botti e Virgilio Ilari, Il pensiero militare italiano dal primo al secondo dopoguerra (1919-1949), Roma, Ufficio storico Stato maggiore Esercito, 1985, pp. 243-246. Cfr. anche Virgilio Ilari, L ’intervento fascista nella guerra civile spagnola, in “Patria indipendente”, n. 13-14, 1986, pp. 28-31.Gli scritti militari cui abbiamo fatto cenno sono quelli di Francesco Beiforte, La guerra civile in Spagna, Milano, Ispi, 1938-1939 (4 volumi); Ambrogio Bollati e Giulio Del Bono, La guerra di Spagna, Torino, Einaudi, 1937-1939 (due volumi); Emilio Faldella, 20 mesi di guerra di Spagna, Firenze, Le Monnier, 1939. Anche il volume del generale Mario Puddu (Carristi d ’Italia in terra di Spagna, Roma, Tipografia Nardini [1965?]) non offre alcuno spunto di riflessione tecnico-tattica. Inspiegabilmente i due volumi di Bollati e Del Bono sono stati esclusi dal catalogo generale delle edizioni Einaudi (Cinquantanni di un editore, Torino, Einaudi, 1983); del resto da esso mancano anche altre pubblicazioni del generale Bollati, per le quali confronta Gabriele Turi, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, Il Mulino, 1980, p. 259.3 Sono a nostra conoscenza solo quattro testimonianze di semplici camicie nere, tre delle quali pubblicate nel volume Gli abruzzesi e la guerra di Spagna, L’Aquila, Istituto per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza, 1984, pp.
“Italia contemporanea”, marzo 1987, n. 166
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Infine, le pubblicazioni neofasciste o nazionaliste uscite dopo la fine della seconda guerra mondiale non hanno dato alcun contributo di documentazione o di riflessione sugli avvenimenti spagnoli; l’intervento italiano contro la Seconda Repubblica ha continuato ad essere giustificato utilizzando le stesse banalità antimarxiste ed anticomuniste che avevano costituito il motivo dominante delle pubblicazioni uscite nel 1936- 1939, quando non si è giunti alla semplice denigrazione o a coprire indiscriminatamente di insulti personali i vari dirigenti politici e militari della Repubblica4.
Per quanto riguarda gli antifascisti, le vicende militari e politiche dell’Italia hanno fatto sì che solo in anni più recenti siano stati pubblicati ricordi e memorie sugli avvenimenti relativi all’antifascismo, compresa la guerra di Spagna: il clima, quasi da restaurazione, del periodo 1945-1953 sembrava mettere sotto accusa coloro che avevano coerentemente combattuto, in Italia e fuori dall’Italia, contro il fascismo.
Se si escludono libri ed opuscoli editi mentre ancora continuava la guerra di Spagna (Berneri, Rosselli, Pacciardi...), il volume di Mario Montagnana del 1947 (privo di qualsiasi utilità5), le memorie di Nitti (1953), Pesce (1955), Longo (1956) e la raccolta degli articoli scritti da Nenni nel 1937-1942
sulla Spagna (1958), solo a partire dalla seconda metà degli anni sessanta sarebbero uscite, e in quantità soddisfacente, raccolte di documenti, biografie ed autobiografie relative a quelle esperienze della lotta antifascista degli italiani.
Questo fiorire di materiale è certo da mettere in relazione con la nuova centralità che la scelta antifascista venne ad assumere in Italia dopo la sconfitta subita nel luglio 1960 dal tentativo di svolta neofascista-conservatrice. Il rinnovato impegno di massa, sociale e politico, ebbe un immediato riscontro anche nel campo della ricerca storica e della pubblicistica sul fascismo, sulla lotta di liberazione nazionale e sulle varie vicende dell’antifascismo, specialmente da parte degli studiosi e dei partiti della sinistra.
Va da sé che, proprio per il carattere di rinnovato impegno politico e per la volontà sottesa di dare diffusione di massa anche alla memorialistica dei protagonisti delle lotte antifasciste (si riteneva necessario “trasmettere” alle giovani generazioni il ricordo e l’insegnamento di quegli anni), il materiale che è stato pubblicato raramente rispetta i canoni della scientificità documentaria, molto spesso è privo di adeguate riflessioni critiche, si preferisce tacere di episodi o personaggi della propria parte sui quali sarebbe stato necessario presentare giudizi non com-
123-131. La quarta, particolarmente ampia, è quella di Siro Rosi che, il 18-19 aprile 1937, abbandonò il 1° Reggimento “Littorio” e passò a combattere nelle Brigate internazionali. Nel luglio 1937 il Rosi scrisse una relazione sulla sua esperienza fra le file fasciste, relazione che è stata pubblicata in I compagni. Scritti e testimonianze, a cura di Enzo Rava, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 329-340.4 Fra questi si vedano Umberto Guglielmotti, Primo Siena, Nino Enrico Cacciari, Arriba Esporta, Roma, Centro Editoriale Nazionale, 1961; Luigi Chiodini, Roma o Mosca. Storia della guerra civile spagnola, ivi, 1966; Tullio Ciarrapico, Spagna 1936. Morire all’Alcazar, Roma, Ciarrapico, 1976 (particolarmente triviale, soprattutto nei confronti di Manuel Azana).
Mario Montagnana, Ricordi di un operaio torinese, Milano, Fasani, 1947 (superficiali ed eccessivamente acritiche le pagine sulla Spagna). Anche altre autobiografie, uscite recentemente, riescono a non dare alcuna notizia sulla attività dell’autore, che spesso ricoprì ruoli di responsabilità politica e militare in Spagna. Cfr. Antonio Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977 e Italo Nicoletto, Anni della mia vita (1909-1945), Brescia, Micheletti, 1981. Sulla Spagna è rapido e superficiale (ben diversamente dal resto del volume, ricco di spunti e osservazioni) anche Giulio Cerreti (Con Togliatti e Thorez. Quarant’anni di lotte politiche, Milano, Feltrinelli, 1973), che pure fu segretario prima, presidente poi del Comitato internazionale per l’aiuto alla Spagna (Parigi). Ripetitivo di altri più esaurienti scritti Vittorio Vidali, Spagna ultima battaglia, Milano, Vangelista, 1975.
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pletamente positivi. L’esaltazione (quasi sempre acritica) di una unità antifascista, edulcorata e forzata nei suoi termini reali, costituisce, in genere, l’uniforme metodo con cui fu redatta gran parte di quei libri, caratterizzati comunque da un eccessivo spirito di parte e di partito, con cui l’autore “dimostrava” come le proprie scelte fossero sempre state migliori di quelle degli altri.
Tenendo conto di questi limiti, il materiale prodotto è comunque utile a farci comprendere se non ciò che gli antifascisti italiani videro degli avvenimenti di cui furono protagonisti in Spagna fra il 1936 e il 1939, per lo meno quale immagine della Spagna essi conservarono e soprattutto con quale mentalità essi affrontarono quelle vicende e quale ricordo hanno tentato di lasciarne per coloro che non ne furono protagonisti.
Per quasi tutti gli antifascisti che provenivano dalla clandestinità dell’Italia o dall’esilio della Francia e degli altri paesi democratici europei, il primo impatto con la “rivoluzione spagnola” avveniva al confine catalano.
Già a Figueras si avvertiva rincontro con un mondo nuovo, un mondo che quotidianamente era stato sognato durante i lunghi anni dell’impegno antifascista: le “vesti multiformi” dei miliziani avevano sostituito le divise delle guardie confinarie6; “cordialità e bonomia” caratterizzavano le operazioni doganali e il controllo dei documenti7. E subito dopo altri segni esteriori rendevano manifesta una realtà sociale e politica ben di
versa da quella dell’Italia, ormai da quattordici anni sotto il “tallone di ferro” del fascismo, ma anche da quella della Francia, dove pure in quello stesso 1936 il Fronte popolare aveva vinto le elezioni: bandiere rosse e rosso-nere sventolavano su tutti gli edifici, accanto a quelle giallo-rosse della Catalogna e al tricolore repubblicano8.
Per gli anarchici che, come Umberto Tommasini, erano venuti perché volevano “sentire un poco l’odor della polvere” (presumibilmente quella da sparo) dopo “tanto tempo”9, era senza dubbio un incontro emozionante. Ma lo era egualmente per gli uomini di Giustizia e Libertà che, secondo le indicazioni di Carlo Rosselli, nell’impegno politico e militare in Spagna cercavano quasi la rivincita per le sconfitte subite dalla democrazia italiana nel 1920-22 e la ripresa di una lotta, anche armata, contro il fascismo. In quella terra l’antifascismo italiano poteva affermarsi come “una grande forza” , ponendo fine alla “favola” di un popolo che non si batteva per la propria libertà e non reagiva alla dittatura10.
Appena possibile, il viaggio proseguiva, normalmente in treno, da Figueras fino a Barcellona, la città ormai mitica dove, alla rivolta militare, la popolazione aveva reagito alzando le barricate e sconfiggendo los facciosos. Era la città-simbolo della rivoluzione in atto e, a Barcellona, come scriveva Camillo Berneri, anche i tram erano stati dipinti con i colori della rivoluzione: metà neri e metà rossi11.
6 Flavio Fornasiero, Cantavamo l ’Internazionale, Milano, La Pietra, 1977, p. 62 (fine agosto 1936).7 Luigi Gallo [Luigi Longo], Impressioni di viaggio, in “Garibaldini in Ispagna”, Madrid 1937 (Milano, Feltrinelli reprint, 1966), p. 15.8 Ennio Tofoni, Il lungo cammino nella Sierra, Milano, Edizioni Lavoro, 1971, p. 11 (2 agosto 1936).9 Umberto Tommasini, L ’anarchico triestino, a cura di Claudio Venza, Milano, Antistato, 1984, p. 325.10 Carlo Rosselli, Perché andammo in Spagna, discorso tenuto ad Argenteuil il 1° febbraio 1937 (ora in Carlo Rosselli, Oggi in Spagna domani in Italia, Torino, Einaudi, 1967, p. 112; prima edizione: Parigi, Giustizia e Libertà, 1938).11 Camillo Berneri, La Rambla (aprile 1937?), edito in Camillo Berneri, Pensieri e battaglie, Parigi, Comitato Camillo Berneri, 1938, p. 271.
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Lungo il viaggio avveniva la scoperta della Catalogna che appariva come “un giardino” dove “tutto si colorava e sorrideva”: “Campi rigogliosi, prati in fiore, macchie d’alberi spessi e l’orizzonte solcato appena da colline molli di linee e di colori; la strada è segnata da case piccole e bianche dove il sole gioca sul nitore dei vetri e sulle imposte gaiamente dipinte; innumerevoli huertas offrono allo sguardo la freschezza delle terre ben coltivate nell’ordine vario degli orti e dei frutteti”12. Certamente “bella è la Catalogna”13 ma, per chi veniva da mesi ed anni di fascismo o di esilio e credeva di vedere finalmente realizzati i propri sogni e le proprie speranze, le bellezze si moltiplicavano, assumendo fattezze ed immagini folgoranti, in una atmosfera che, come ricorda Francesco Fausto Nitti, “sembrava quasi irreale”14.
E finalmente la città, Barcellona, dove tutto “funzionava regolarmente” e appariva “normalissimo”15. Una normalità che sembrava sorprendente per tutti coloro che giungevano pochi giorni o poche settimane dopo gli scontri del 20 luglio (da Luigi Lon- go, a Randolfo Pacciardi), una tranquillità che faceva sorgere ad Umberto Tommasini un atroce dubbio sulla reale efficacia della “rivoluzione” completata o ancora in atto:
“C’era troppo ordine” e ciò poteva solo significare che “non si era andati alle radici del male”16. Ma ovunque c’era un garrire di bandiere che sventolavano al sole quei colori che il fascismo in Italia aveva proibito e bandito; partiti ed organizzazioni sindacali avevano collocato le proprie sedi nei “più grandi alberghi, mostrando palesemente la conquista di un potere reale e diffuso17. Anche altri aspetti, e non certo secondari, sembravano mostrare il modello realizzato di quella auspicata società che avrebbe certamente preso il posto del fascismo, quando questo sarebbe stato sconfitto anche in Italia: “Il popolo in armi” appariva ovunque, presidio della rivoluzione vittoriosa, mentre il “vettovagliamento assicurato” e abbondante, i negozi pieni di oggetti graziosi, le strade e le case illuminate, i caffè aperti sino a tarda ora, i cinema affollati, gli aspetti folcloristici di una civiltà e di costumi di vita quasi completamente sconosciuti in Italia; tutto sembrava dimostrare “che la guerra civile non esistesse affatto” , o che era stata definitivamente vinta: “Se non fossero le automobili con tanto di Cnt e Fai — scriveva Camillo Berneri — si crederebbe di essere in villeggiatura”18.
La rivoluzione diventava quasi una festa in quella Barcellona “popolosa, ricca, ma-
12 Francesco Fausto Nitti, Il maggiore è un rosso, Torino, Einaudi, 1974, p. 9 (prima edizione: Milano, Avanti!, 1953).13 Giacomo Calandrone, La Spagna brucia. Cronache garibaldine, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 168, sub die 23 giugno [1937] (prima edizione: ivi, 1962).14 F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., p. 13 (dicembre 1936).15 Le due citazioni sono tratte da Carlo Rosselli, Catalogna, baluardo della rivoluzione, in “Giustizia e Libertà”, 6 novembre 1936 e da una lettera dello stesso alla moglie (11 agosto 1936); entrambi ora in C. Rosselli, Oggi in Spagna, cit., pp. 57, 25.16 L. Gallo [L. Longo], Impressioni di viaggio, cit., p. 17; Randolfo Pacciardi, Volontari italiani nella Spagna Repubblicana. Il Battaglione Garibaldi, Lugano, Nuove edizioni di Capolago, 1938, p. 11; U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., p. 328 (8 agosto 1936).17 L. Gallo [L. Longo], Impressioni di viaggio, cit., p. 17.18 Cfr. Redi, [Francesco] Scotti, Nino [Nannetti], Vittori, Siamo arrivati ieri..., in “Garibaldini in Ispagna”, cit., p. 26; G. Calandrone, La Spagna brucia, cit., pp. 168, 254; F. Fornasiero, Cantavamo l ’Internazionale, cit., p. 63; R. Pacciardi, Volontari italiani, cit., p. 11; lettera di Berneri alla moglie (29 luglio 1936), in C. Berneri, Pensieri e battaglie, cit., p. 231. Anche Teresa Noce (Rivoluzionaria professionale, Milano, Bompiani, 1977, p. 199; prima edizione: Milano, La Pietra, 1974) ricorda con meraviglia le possibilità alimentari di Barcellona.
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gnifica di entusiasmo e trionfante di colori”, mentre ovunque sbocciavano “belle ragazze brune” che muovevano in maniera incantevole “gli occhi dolci e fieri” e gli altoparlanti, “distribuiti quasi ad ogni angolo, lanciavano attraverso l’aria, di strada in strada, canti repubblicani e... inni della rivoluzione”19.
Forse aveva ragione Aldo Garosci. Egli non si lasciava travolgere dall’entusiasmo generale, non veniva coinvolto da quell’“atmosfera di disordine e di esaltazione” e sottolineava come i comedores popolari, nei quali si offriva da mangiare “a chiunque si presentasse, soprattutto se membro di una organizzazione politica o sindacale” , rappresentavano un “enorme spreco” per l’economia catalana e spagnola. Ma come non comprendere anche 1’“emozione” di quanti, appena giunti a Barcellona dall’Italia, dopo aver mangiato, alla richiesta di pagare, si sentivano rispondere: “Non si paga, qui”20?
“La Catalogna non sarà dura a vincere”, aveva affermato perentoriamente Benito Mussolini durante la seduta del Consiglio dei ministri del 19 novembre 1936. E aveva aggiunto: “È una terra di mercanti e i mercanti non si battono”21. Si trattava di un parere diffuso e condiviso da numerosi osservatori, esterni ed interni a quel territorio,
ma soprattutto era di molti la convinzione che i catalani fossero intenzionati a non lasciarsi coinvolgere nelle vicende della guerra civile, cullati “dalla dolce speranza di soffocare i fascismi con il sangue delle altre regioni spagnole” . Non bisognava dimenticare che si trattava di una “regione ricca, innamorata della propria ricchezza”22. Alla fine del settembre 1936, Juan Casanovas, presidente del Consiglio della Generalidad, non respingeva, per il passato, le accuse di “egoismo”, anche se garantiva che la “Cataluna autònoma” avrebbe rafforzato, nel futuro, “el vinculo cordial que la une a los demâs pueblos de Espana”. Agli inizi del 1938, tuttavia, tendenze al compromesso e intrighi per una “pace separata” sembravano essere ancora largamente diffusi. Non compieta- mente superate, le contrapposizioni fra il governo della Generalidad e il governo centrale parevano dividere profondamente le classi popolari dai ceti medio-alti che, dietro ad un esasperato nazionalismo-separatismo e ad una accesa “diffidenza” nei confronti del governo della Repubblica, sembravano nascondere ben altre mire23.
Eppure la difesa di Barcellona, di Lérida e delle altre città catalane di fronte aìYalza- miento del luglio 193624 era stata caratterizzata dal deciso intervento popolare e dalla
19 F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., pp. 13-14, 17.20 Magrini [Aldo Garosci], Rosselli in Spagna, in “Quaderni italiani” , aprile 1943, p. 27 (31 luglio 1936); U. Tom- masini, L ’anarchico triestino, cit., p. 29 (8 agosto 1936). L’opinione di Garosci è ampiamente condivisa da Gino De Sanctis (Guerra di Spagna senza miti, Roma-Milano, Unione italiana per il progresso della cultura, [1966?], p. 59): “A Barcellona mancò ogni senso di realtà e ogni saggezza. Solo l’entusiasmo non fece difetto” .21 Giuseppe Bottai, Diario 1935-1941, Milano, Rizzoli, 1982, p. 115.22 Lamberti Sorrentino, Questa Spagna. Avventure di una coscienza, [Roma], Edizioni Roma, [1939], p. 31.23 El Presidente del Consejo de la Generalidad felicita a! Batallon de Acero, in “Milicia Popular”, 29 settembre 1936; Paimiro Togliatti, Relazione del 28 gennaio 1938, in P. Togliatti, Opere, IV/1, 1935-1944, a cura di Franco Andreucci e Paolo Spriano, Roma, Editori Riuniti, 1979, pp. 293, 304-305 e passim', Carlo Rosselli, Federica Montseny, in “Giustizia e Libertà” , 15 febbraio 1937 (ora in C. Rosselli, Oggi in Spagna, cit., p. 121).24 Numerose le fonti italiane. Per tutte, cfr. per Barcellona Umberto Errante [Umberto Calosso], Le epiche giornate di Barcellona, in “Giustizia e Libertà” , 7 agosto 1936 (ora in Perché andammo in Spagna. Scritti di militanti antifascisti. 1936-1939, a cura di Adriano Dal Ponte e Lino Zocchi, Roma, Anppia, 1966, pp. 31 e sgg.); per Lérida, Leo Weiczen [Leo Valiani], Spagna: la lotta per la libertà, Bruxelles, Edizioni di coltura sociale, 1936 [ma: Parigi, 1937], pp. 19-20.
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presenza sulle barricate di “quasi tutta la popolazione, ivi compresi alcuni gruppi della borghesia”25. Nei due mesi successivi, poi, i catalani, schierati sul fronte di Aragona, avevano compiuto “atti di eroismo individuale e collettivo” indescrivibili. Trascinati da un “travolgente entusiasmo”, si erano lanciati ripetutamente in “attacchi frontali, a petto scoperto, con un fucile ogni due o tre uomini, con scarse munizioni”26.
La difesa spontanea, guidata dai dirigenti politici e sindacali, era stata seguita dalla necessità di provvedere direttamente anche alla riorganizzazione ed al funzionamento della vita collettiva di fronte ad un governo centrale che non aveva saputo dare una risposta statale immediata alla rivolta militare e che non era stato in grado di ottemperare, senza interruzioni, ai suoi tradizionali compiti istituzionali e sociali. “Nei ministeri — ha scritto Pietro Nenni — ci si sforzava di assicurare la continuità del governo, ma l’autorità era crollata. La si ritrovava, in frammenti, nelle organizzazioni politiche e sindacali... Come per germinazione spontanea sorgevano Comitati che si attribuivano una parte di autorità e di iniziativa”27. Era così accaduto che la classe operaia aveva occupato un ruolo determinante nella ricostituzione di un potere reale, in attesa che quello statale riuscisse a superare la crisi che si era determinata a seguito degli avvenimenti del luglio.
Sindacati e partiti assicuravano, quasi esclusivamente con le proprie forze, “la marcia della macchina statale”28.
Anche i compiti della difesa militare erano stati assunti direttamente dalle organizzazioni politiche e sindacali, che avevano così dato vita alle “colonne” , milizie “romantiche, pittoresche, eroiche” , nelle quali l’elemento di classe prevaleva e rendeva prioritario il conseguimento di obiettivi raggiungibili e difendibili direttamente sul posto: l’operaio in difesa della “sua” fabbrica, il contadino della “sua” terra29. In tal modo erano nate le formazioni militari volontarie, nelle quali era fortemente caratterizzato, anche esteriormente, il profondo spirito antimilitarista che teneva radici profonde soprattutto in Catalogna. L’apparenza era disordinata: una specie di banda di uomini che portavano barbe di tutte le dimensioni e vestiti dalle fogge più strane, multicolori e improvvisati (d’altra parte il caldo del luglio non obbligava ad abiti complessi; dall’agosto il mono, la tuta dell’operaio, venne assunta come “uniforme” per le “colonne”). I volontari erano armati di qualsiasi oggetto atto a colpire (fucili, revolver, pugnali e perfino tromboni, colubrine e pistole che risalivano alle guerre napoleoniche); tutti portavano al collo fazzoletti rossi, rosso-neri, giallo-rossi e in tutti “c’era una grande volontà di imparare” (Garosci) quello che nessuno di loro aveva mai studiato: il mestiere della guerra30.
~5 Paimiro Togliatti, Sulle particolarità della rivoluzione spagnola, in “Stato Operaio”, novembre 1936 (ora in P. Togliatti, Opere, cit., p. 149).-6 Francesco Scotti, La guerra di Spagna, in “Fascismo e antifascismo. 1918-1948. Lezioni e testimonianze”, Milano, Feltrinelli, 1962, p. 386.
Pietro Nenni, Il dramma del non-intervento (1942), edito in Pietro Nenni, Spagna, Milano, Sugarco, 1976, p. 24 (prima edizione: Milano, Avanti!, 1958).“8 Silvio Trentin, Impressioni sulla lotta in Catalogna, in “Giustizia e Libertà” , 23 ottobre 1936 (ora in Silvio Tren- tin, Antifascismo e rivoluzione. Scritti e discorsi 1927-1944, a cura di Giannantonio Paladin, Venezia, Marsilio, 1985, p. 327).29 Pietro Nenni, Stringiamoci attorno alla Spagna, in “La Voce degli italiani” , 5 agosto 1937 (ora in P. Nenni, Spagna, cit., p. 197); 30 anni di Spagna, a cura di Ignazio Delogu e Cesare Colombo, Roma, Anpi, 1969, p. 74.30 Per la descrizione dei miliziani: Aldo Garosci, F. De Rosa, R. Giua e C. Rosselli in Spagna, in “Dall'antifascismo alla Resistenza. Trent’anni di storia italiana. 1915-1945. Lezioni con testimonianze", Torino, Einaudi, 1961, p. 250;
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Scritti e testimonianze dedicano molto spazio alla descrizione delle caserme di Barcellona, dove uomini (e donne) venivano sottoposti ad una istruzione più che sommaria e avevano un aspetto tutt’altro che ordinato e “militaresco” . Soprattutto la caserma Pedralbes (o “Bakunin”) aveva l’apparenza di “un collegio all’ora della ricreazione” e vi dominava una confusione da capogiro, quasi da festa carnevalesca, a causa del “tumulto di gente” che andava e veniva, “senza meta apparente” . Ma, se prestiamo fede a Carlo Rosselli, anche in quel caos spuntava, un poco alla volta, un ordine nuovo nel quale l’addestramento prendeva corpo: i servizi della caserma funzionavano, funzionavano le cucine, si creava la “routine, senza trombe e ufficiali di giornata”31.
Quando i miliziani, portata a termine la “preparazione” e conseguito un minimo di inquadramento, lasciavano le caserme per il fronte, la loro sfilata avveniva tra ali plaudenti di folla lungo le ramblas. Proprio in quella sfilata che precedeva la partenza per il fronte, le “colonne” sembrava volessero rimarcare differenze fra di loro, quasi a sottolineare personalità politiche ben distinte. La “colonna Libertad” diretta a Madrid ai primi del settembre 1936, marciò con “i fucili bene allineati a bilanc-arm, col passo cadenzato, [dando] l’impressione di essere tra i soldati della Reichswehr”-, la “colonna Francisco Ascaso”, in partenza a metà ago
sto per la zona di Huesca, camminò su tre file: “i companeros ci tengono a non marciare al passo, fanno uno sforzo per non marciare al passo; e non vogliono essere confusi coi militari”32.
Il passaggio di questi gruppi volontari, caratterizzati per molti mesi da un aspetto “zingaresco e gitano”, anche per la presenza di interi nuclei familiari33, veniva festeggiato anche lungo l’intero percorso e accolto da manifestazioni di entusiasmo e di solidarietà. In realtà, le descrizioni che ci sono state lasciate danno agli episodi un sapore un poco oleografico e di maniera, quasi da stampe dell’Ottocento romantico italiano o francese; ma, probabilmente, ricostruiscono nella sostanza il clima effettivo che investiva la maggioranza della popolazione, anche agricola.
Il 2 agosto 1936 partiva per il fronte di Saragozza un gruppo di automezzi sui quali viaggiavano anche gli italiani Nino Nannetti ed “Enrique Belmonte” (Ennio Tofoni) che, scrivendo dopo 35 anni, così ricorda l’attraversamento della Catalogna: “Il passaggio [dei volontari] era salutato dai contadini, che stringevano il pugno in atto di solidarietà e molti sospendevano il lavoro dei campi, sotto un sole cocente, si portavano sul bordò della strada a frotte, con le loro donne e bambini. Las campesinas si toglievano i loro foulards per salutare e manifestare con gesti più vivaci la loro simpatia. La popola-
Luigi Longo, Le Brigate Internazionali, ivi, p. 240; Carlo Rosselli, Giornale d'un miliziano, 12 agosto 1936, edito in C. Rosselli, Oggi in Spagna, cit., p. 28. “Fare la guerra è un mestiere”: U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., p. 332.31 C. Rosselli, Giornale d ’un miliziano, cit., pp. 27-29. Cfr. anche U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., p. 329. Completamente diversa l’atmosfera in cui si formarono, ad Albacete, le Brigate internazionali (cfr. Luigi Longo, Le Brigate Internazionali in Spagna, Roma, Editori Riuniti, 1956, pp. 36-57) e quella che caratterizzò l’organizzazione del 5° Reggimento, per il quale cfr. Vittorio Vidali (Carlos J. Contreras), Il 5° Reggimento, Milano, La Pietra, 1973, pp. 13-25.32 F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., p. 14; Ugo Muccini, Il diario, La Spezia, Istituto storico della Resistenza, 1973, p. 24; C. Rosselli, Giornate d ’un miliziano, cit., p. 29. Per la Ascaso cfr. anche U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., pp. 333-334.33 E. Tofoni, Il lungo cammino, cit., p. 12; ma anche F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., pp. 10-13, 16- 20.
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zione dei paesi gettava fiori alla carovana in transito”34.
Una coreografia avvincente che stempera il sapore retorico nella testimonianza di Carlo Rosselli scritta a pochi giorni di distanza dagli avvenimenti. Il treno, che conduceva la “colonna Ascaso” al fronte, fu fermato, all’una di notte del 19 agosto, alla stazione di Tarrasa dall’intera popolazione, accorsa, come ormai faceva regolarmente da almeno due settimane, per festeggiare i volontari, “portando frutta, pane, vino”35.
L’entusiasmo e la partecipazione popolare non sembravano scemare neppure con il passare dei mesi e con le necessità di un impegno, anche militare, che non coinvolgeva più soltanto i volontari: con la primavera1937 gli “sfaccendati” cessavano di poter fare le loro tranquille “passeggiate sulla Ram- bla”. Sul finire dello stesso 1937 i “garibaldini” italiani ricevevano una accoglienza entusiastica nelle fabbriche addette alla produzione di guerra in Barcellona e nel gennaio1938 la folla immensa accorsa al cimitero di Montjuich per deporre fiori sulle tombe di Guido Picelli, Mario Angeloni e Libero Bat- tistelli faceva esclamare a Bruno Morabito che la pretesa “indifferenza dei catalani” era del tutto falsa36.
Particolarmente importante la testimonianza di Francesco Fausto Nitti.Nel luglio 1937 la città di Binefar era stata ridotta alla povertà a causa delle vicende
belliche e dalla necessità di rifornire l’esercito repubblicano. Nell’intera zona, prima “ricca e opulenta” , era ormai quasi completamente scomparso il bestiame, i granai erano vuoti, mancavano anche i generi di prima necessità; “molte famiglie vivevano nelle più grandi ristrettezze” . Disordine, mancanza di direttive, l’estrema rarefazione dei trasporti aggravavano ulteriormente una situazione già drammatica (e caratteristica non soltanto di Binefar). “Eppure — conclude Nitti — l’animo della popolazione era fraterno” con i combattenti della 153a Brìgada Mixta allora di stanza nella località37. Anche a Barcellona, comunque, scarseggiavano le derrate alimentari e fioriva il mercato nero: non poteva essere sufficiente l’economia dell’interscambio, sostenuta dagli anarchici, a rifornire oltre un milione di consumatori38.
Nonostante le continue dimostrazioni di solidarietà e di collaborazione, protrattesi fino agli ultimi giorni della guerra civile (si veda la commovente manifestazione organizzata a Barcellona il 28 ottobre 1938 per la partenza delle Brigate Internazionali)39, la maggioranza degli italiani che fu presente in Spagna (in particolare i comunisti) ha espresso un contradditorio giudizio sulla Catalogna. Giuliano Pajetta dichiara apertamente una esplicita preferenza per Madrid, ammettendo che per Barcellona non si aveva molta simpatia, anche se la sua popolazione riusciva a farsi voler bene ed a farsi apprez-
34 E. Tofoni, Il lungo cammino, cit., p. 11.35 C. Rosselli, Giornale d'un miliziano, cit., p. 33 e lettera alla moglie (31 agosto 1936) edita in C. Rosselli, Oggi in Spagna, cit., p. 46.36 Celeste Negarville, La Catalogna sul piede di guerra, in “Il Grido del popolo”, 14 marzo 1937 (ora in Perché andammo in Spagna, cit., pp. 140-141); G. Calandrane, La Spagna brucia, cit., pp. 254, 269-270.37 F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., p. 99. Le dure condizioni causate in molti villaggi dal continuo transito di forze armate sono ricordate anche da Umberto Marzocchi (Le comunità libertarie in Catalogna, in Storia dell’antifascismo italiano. IL Testimonianze, a cura di Luigi Arbizzani e Alberto Caltabiano, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 153).38 Alessandro Vaia, Da galeotto a generale, Milano, Teti, 1977, p. 140: Umberto Marzocchi, La guerra civile spagnuo- ia, Ferrara, Consiglio federativo della Resistenza, 1962, pp. 57-58 (“I contadini portavano sacchi di patate a Barcellona per comprare un paio di scarpe... e quello che è soprattutto meraviglioso è che nessuno abusò mai di nulla”).39 G. Calandrane, La Spagna brucia, cit., pp. 345-346.
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zare40. Generalmente la Catalogna viene descritta come “il punto più debole” per le sorti della guerra: Vittorio Vidali (“Carlos Contreras”) insiste particolarmente sul malcontento contadino e su “vere e proprie rivolte, soffocate brutalmente”; Giovanni Pesce riconosce un concreto impegno catalano nella guerra solo a partire dalla primavera del 1938, di fronte al reale pericolo dell’invasione fascista; Aristodemo Maniera notava a Barcellona “qualcosa di anormale” non ben definito, ma che aveva comunque il suo elemento di maggiore evidenza nel fatto che la Catalogna “non dimostrava di partecipare con tutte... le sue energie al buon esito della guerra”41.
Siamo di fronte a testimonianze scritte molti decenni dopo la conclusione della guerra, ma che non si discostano sostanzialmente da quelle (specialmente dei dirigenti socialisti e comunisti) che furono redatte contemporaneamente agli avvenimenti, come gli articoli di Pietro Nenni o le relazioni inviate all’Internazionale comunista da Paimiro Togliatti (rese note nel 1979). Da tutto ciò sembra potersi dedurre che l’entusiasmo e la partecipazione della popolazione non erano affiancati da una scelta repubblicana egualmente convinta da parte della borghesia nazionalista catalana (e non solo in conseguenza delle espropriazioni anarchiche fatte nel corso dei primi mesi); la società catalana affrontò dunque la guerra divisa, con intenti non chiaramente espressi, ma soprattutto non univoci. L’entusiasmo, anche generale, delle prime settimane, quando la guerra si combatteva soprattutto attorno a
Madrid e il fronte di Aragona si manteneva immobile e relativamente tranquillo, era rapidamente scomparso nelle categorie sociali medio-alte e in una parte dei lavoratori agricoli, quando l’attacco nazional-fascista al- l’Aragona e alla Catalogna aveva portato in prima linea quel fronte.
Forse le testimonianze dei comunisti e socialisti tendono ad amplificare determinati fenomeni e ad esagerare gli aspetti della situazione catalana esasperandone e generalizzandone alcuni momenti estremi; ma in ciò stesso esprimono certamente lo spirito con cui quegli stessi italiani vivevano ed interpretavano le vicende catalane. Secondo molte testimonianze, fino alla vigilia dell’invasione nazional-fascista, gran parte dell’industria catalana persisteva nel “produrre oggetti di consumo, piuttosto che armi” e si costruivano “radiatori elettrici, macchine da scrivere, frigoriferi” , anziché munizioni e proiettili; si continuava, addirittura, una intensa e sistematica esportazione verso la Francia di “prodotti agricoli e carne, mentre la popolazione sopportava gravissime restrizioni”42. D’altra parte, circolava, nella borghesia nazionalista, “l’idea bizzarra che, in una rovina generale della Spagna repubblicana e indipendente, potesse salvarsi una Catalogna indipendente”43.
Furono i bombardamenti a far crollare il fronte interno e lo spirito di resistenza anche della popolazione più attiva nella guerra e più convinta della necessità di combattere fino in fondo. I “segni di stanchezza delle masse” erano numerosi ed evidenti, secondo Togliatti, già dall’ottobre 1938; ma la situa-
40 Giuliano Pajetta, Ricordi di Spagna. Diario 1937-1939, Roma, Editori Riuniti, 1977, p. 105.41 A. Vaia, Da galeotto a generale, cit., p. 127; Vittorio Vidali, La caduta della Repubblica, Milano, Vangelista, 1979, p. 45; Giovanni Pesce, Un garibaldino in Spagna, [Roma], Cultura sociale, 1955, p. 203; Aristodemo Maniera, Nelle trincee dell’antifascismo, Urbino, Argalia, 1970, pp. 121-22 (autunno 1938).42 A. Maniera, Nelle trincee dell’antifascismo, cit., p. 123; G. Calandrone, La Spagna brucia, cit., pp. 249-250.43 G. Pajetta, Ricordi di Spagna, cit., p. 94. “Si era formata nei catalani l’illusione... che Franco non avrebbe mai attaccato il loro paese”, Pietro Nenni, Opopolo d ’Europa, aiuta aiutai, in “11 Nuovo Avanti” , 9 aprile 1938 (ora in P. Nenni, Spagna, cit., p. 333).
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zione era praticamente insostenibile già nel marzo precedente, quando Giovanni Pesce scriveva di avere “i nervi rotti dalla stanchezza” per la continua necessità di “correre nei rifugi” (17 marzo). E ancora: “Ogni sera all’imbrunire gran parte della popolazione [di Barcellona], coi materassi e le suppellettili, si avvia lentamente verso le basse colline intorno alla città e la mattina, all’alba, ritorna nelle proprie case, se non sono state colpite dalle bombe” (18 marzo 1938)44.
In questo caso, anche la testimonianza del ministro degli Esteri dell’Italia fascista, Galeazzo Ciano, conferma gli effetti “realisticamente terrorizzanti” di quei bombarda- menti che egli cinicamente rimpiangeva di non potere fare personalmente neppure quando qualche squadriglia partiva diretta- mente da Monte Celio per colpire le coste catalane45.
Dopo la rottura di Belchite, per nove mesi, contando ormai solo su se stessa, la Catalogna aveva comunque “lavorato tenacemente” e si era difesa con accanimento contro la ormai imponente preponderanza di mezzi dei nazionalisti spagnoli e dei fascisti italiani. E quando questi erano entrati in Barcellona i nervi degli abitanti della città erano ormai “spezzati dalle privazioni, dall’indigenza, dai continui bombardamenti”46.
La caduta della capitale catalana offre, nelle testimonianze degli antifascisti italiani, episodi degni di un esodo biblico: “Presa da un panico indicibile, la popolazione non era più capace di alcuna disciplina collettiva... Al corteo miserevole dei fuggiaschi di Bar
cellona e di Badalona s’univa quasi tutta la popolazione catalana, anche quella che non aveva niente da temere e che prendeva la via verso la frontiera” . “Abbandonati lungo la strada vi sono pacchi, ceste, valigie, indumenti, coperte, zaini, pignatte, masserizie varie, automobili senza benzina... Gruppi di civili esausti, con i piedi insanguinati, chiedono aiuto. Questo popolo abbandona tutti i suoi poveri beni, stanco e affamato, i vestiti a brandelli”47.
A queste testimonianze è certamente necessario affiancarne una fascista che egualmente descrive, in termini del tutto opposti, l’ingresso dei “legionari” italiani a Barcellona: “La popolazione celebrava in quel momento una delle più grandi feste della sua storia. Una prepotente dimostrazione di gioia e di gratitudine illuminava tutti i volti. Era la festa della famiglia, della patria, della giustizia. Era la sconfitta della diabolica ideologia marxista, bolscevica ed anarcoide, negatrice, sovvertitrice, pervertitrice. Era la liberazione da un giogo pesante che aveva fatto piegare i ginocchi sotto lo staffile della persecuzione, era il ritorno alla personalità degli individui, ai sentimenti più cari, alle più spontanee tradizioni della morale e del costume”48.
Si tratta di una pagina significativa, non solo per il ruolo che il suo autore, Licio Gel- li, avrebbe giocato, quarant’anni più tardi, nelle vicende politiche ed economiche italiane ed internazionali. Anche se ci troviamo di fronte ad un resoconto retorico, che racchiude in sé tutti gli stereotipi della propa-
44 Paimiro Togliatti, Relazione de121 maggio 1939, edita in P. Togliatti, Opere, cit., p. 361; G. Pesce, Un garibaldino in Spagna, cit., pp. 203-204. Sui bombardamenti del 17-18 marzo, effettuati da aerei italiani e tedeschi provenienti da Palma di Maiorca cfr. anche P. Nenni, O popolo d ’Europa, cit., pp. 229-230.4' Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980, pp. 95, 81 (8 febbraio, 1 gennaio 1938).46 Pietro Nenni, Le ore tragiche e dolorose della Catalogna, in “Il Nuovo Avanti”, 4 febbraio 1939 (ora in P. Nenni, Spagna, cit., p. 258).47 Ivi, p. 259; G. Pesce, Un garibaldino in Spagna, cit., p. 245.48 Licio Celli, “Fuoco!...’’. Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna, Pistoia, Tipografia commerciale, 1940, p. 223.
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ganda nazional-fascista, esso si presta comunque ad alcune considerazioni: forse non soltanto la “Quinta colonna” gioì per la fine della Repubblica a Barcellona. Quella fine, infatti, per quanto amara e dolorosa, significava anche la fine della guerra...
Alla memorialistica degli italiani combattenti in Spagna si può senz’altro applicare il giudizio che Giorgio Rovida ha dato in riferimento a gran parte degli studi sulle vicende della guerra civile49. Ci troviamo di fronte, infatti, a testi profondamente polemici e redatti da protagonisti ben poco disposti ad accettare o affrontare qualsiasi “revisione di giudizi” su quegli avvenimenti; una memorialistica che, sebbene redatta in molti casi trenta o quarant’anni dopo i fatti raccontati, conserva intatta tutta la passione politica di quei giorni50. Da un lato gli anarchici che, male interpretando e capovolgendo le riflessioni dell’ultimo Berneri, ripropongono la contrapposizione fra gahar la guerra e hacer la revolución; dall’altro i socialisti e i comunisti che vedono solo nella gestione libertaria dell’economia e della politica catalane le radici profonde della sconfitta anche militare in quella regione e forse nell’intera Spagna, senza accogliere le accuse di settarismo che già Togliatti rivolgeva al Psuc, e le sue sollecitazioni a considerare come determinante la collaborazione con gli anarchici51.
A parte si possono giudicare le posizioni del leader “giellista” Carlo Rosselli, ripetuta- mente ribadite negli anni successivi da Aldo Garosci, preoccupato di creare uno “spazio italiano” (di qualificazione cioè dell’antifascismo italiano) aH’interno della guerra spagnola52.
Un effettivo contributo alla comprensione degli avvenimenti del 1936-1939 può quindi derivare maggiormente dalla rilettura degli scritti di Berneri, Rosselli e Togliatti (in parte anche di Nenni), che non dalla consultazione della memorialistica edita negli anni successivi a quelli della guerra civile. La lettura, critica, di “Guerra di classe”, “Le Volontaire de la liberté”, “Il Garibaldino”, del “Bollettino di informazione del Poum” e di “La Rivoluzione spagnola” offre ancora elementi e spunti per la ricostruzione del dibattito politico-militare e degli scontri politici, mentre troppo spesso (fatte alcune eccezioni) la memorialistica offre un quadro fisso, inamovibile ed estremamente semplificato nel definire e nell’individuare amici, nemici ed avversari. Se negli anarchici e nei poumi- sti (quasi sempre senza differenziarli tra di loro) vengono individuati dalla maggioranza dei comunisti e dei socialisti italiani coloro che non permisero di utilizzare fino in fondo “l’enorme potenziale di energie umane e produttive” della Catalogna (e della Aragona)53, in nessun caso nelle varie testimonian-
49 Giorgio Rovida, Pubblicazioni recenti sulla guerra civile spagnola, in Istituto Giangiacomo Feltrinelli, “Annali”, IV/1961, pp. 705-707. La tendenza a ricostruire quegli avvenimenti “riproducendo immagini fisse” è ribadita dallo stesso Rovida in Studi biografici e bibliografici sulla guerra di Spagna, in “Italia contemporanea”, n. 121/1975, p. 81. Cfr. anche Mario Vinciguerra, Prefazione, in G. De Sanctis, Guerra di Spagna, cit., p. 6.50 Di parere opposto è Aldo Garosci (Gli intellettuali e la guerra di Spagna, Torino, Einaudi, 1959, p. 417): “Poche sono le opere nelle quali si riflettano le passioni di quei giorni” .51 Cfr. le Relazioni dell’8 luglio 1937, 30 agosto 1937 e 21 maggio 1939 edite in P. Togliatti, Opere, cit., pp. 256, 268, 363.52 Cfr. Magrini [A. Garosci], Rosselli in Spagna, cit.; A. Garosci, La vita di Carlo Rosselli, Roma-Firenze-Milano, Edizioni U, 1946; A. Garosci, F. De Rosa, cit.; A. Garosci, Introduzione (1967), in C. Rosselli, Oggi in Spagna, cit., pp. V-XXXIII e A. Garosci, Gli intellettuali, cit., pp. 417 sgg.53 A. Vaia, Da galeotto a generale, cit., p. 127 (ma le citazioni potrebbero moltiplicarsi). Simili le valutazioni che pubblicava nel maggio 1937 Manuel Azaria in La velada de Benecarló (ora in Obras complétas, Messico, 1967, voi. Ili, pp. 424-425).
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ze troviamo elementi concreti per ricostruire, sia pure in maniera schematica, il quadro sociale della regione, le modificazioni dei rapporti di produzione, le opinioni di operai e lavoratori della terra (braccianti, mezzadri, piccoli proprietari) sulle socializzazioni e sulla gestione della nuova politica economica. Non ci sono che di scarsa utilità affermazioni perentorie sulla “incapacità assoluta” degli anarchici a “risolvere i gravi problemi economici, politici e militari”, o generiche dichiarazioni sul “notevole malcontento” determinatosi in conseguenza della “collettivizzazione forzata delle piccole e medie industrie”54. Troppo spesso la realtà appare rappresentata con eccessi e forzature difficilmente accettabili, come se le collettivizzazioni non fossero altro che “pretesti e arbitrii” volutamente imposti per spingere i contadini “contro le istituzioni repubblicane”55. Può essere comprensibile ed accettabile che la collettivizzazione forzata diminuisse l’entusiasmo dei contadini poveri e deludesse quei braccianti che speravano nella riforma agraria per ottenere una piccola proprietà, ma va anche ricordato che in Catalogna era più diffusa che altrove la piccola proprietà coltivatrice56.
Sono egualmente generiche le testimonianze degli anarchici italiani i quali individuano nelle “comunità libertarie” della Catalogna il “capolavoro della rivoluzione” e la prima
pratica attuazione di forme di “socialismo nella libertà”, caratterizzato dalla “proprietà comune degli strumenti di produzione e lavoro” e dalla “proprietà individuale del frutto del lavoro di ciascuno” . In tal modo “ognuno produceva ed ognuno consumava la parte che gli veniva razionata”57. Uno schema ripetuto (e noto) sul piano teorico, ma che non ci viene effettivamente spiegato nella realizzazione pratica e negli effetti reali che ebbe: come funzionavano i mercati o, più semplicemente, come avvenivano i contatti commerciali fra città e campagna, come venivano garantiti i rifornimenti dei grandi agglomerati urbani, come si superava la ristretta area del villaggio e della fabbrica per impedire sperequazioni aH’interno della zona incau- tada, favoritismi in rapporto alle maggiori possibilità produttive “naturali” o determinate dalle richieste del mercato (interno o internazionale) legato alla produzione58.
Troppo spesso da gran parte di questa pubblicistica antifascista esce un ritratto della Catalogna convergente (se non coincidente di fatto) con quello che normalmente troviamo tracciato negli scritti della propaganda e dei testimoni fascisti. Come ha affermato Gianfranco Petrillo, quel paese viene dipinto come un luogo in cui, sotto l’etichetta della “rivoluzione” (che per molti diveniva semplicemente sinonimo di disordine e confusione)
54 V. Vidali, La caduta della Repubblica, cit., p. 44; A. Maniera, Nelle trincee dell’antifascismo, cit., p. 123. Sia pure per altre zone della Spagna, cfr. Antonio Rosado, Tierray libertad. Memorias de un campesino anarcosindicalista andaluz, Barcellona, Critica, 1979 e José Luis Gutiérrez Molina, Colectividades libertarias en Castilla, Madrid, Campo Abietto, 1977. Sulla Catalogna è di particolare importanza lo studio di Gabriele Ranzato, Le collettivizzazioni anarchiche in Catalogna durante la guerra civile spagnola 1936-1939, in “Quaderni storici”, n. 19/1972, pp. 317-338.55 L. Longo, Le Brigate Internazionali in Spagna, cit., p. 164.56 30 anni di Spagna, cit., pp. 75-76; P. Togliatti, Relazione d e l21 maggio 1939, cit., p. 363; Ercoli [P. Togliatti], Note sul carattere del fascismo spagnolo, in “La Correspondance Internationale”, 20 giugno 1935 (ora in P. Togliatti, Opere, III/2, 1929-1935, a cura di Ernesto Ragionieri, Roma, Editori Riuniti, 1973, p. 709); R. Pacciardi, Volontari italiani, cit., p. 16.57 U. Marzocchi, La guerra civile, cit., pp. 30-31, 58; U. Marzocchi, Le comunità libertarie in Catalogna, cit., pp. 151-153.58 P. Togliatti, Corso sugli avversari (1935), in P. Togliatti, Opere, III/2, cit., p. 670; Magrini [A. Garosci], Rosselli in Spagna, cit., pp. 61-62. “Ogni collettività portava avanti una politica autonoma, spesso contrastante con quella delle altre collettività”, F. Fornasiero, Cantavamo l’Internazionale, cit., p. 68.
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poteva accadere di tutto. Gran parte dei vincoli di legalità erano caduti o erano stati vistosamente allentati e qualunque avventura poteva accadere a nord del fiume Ebro59.
Non mancano, naturalmente, come abbiamo accennato, tracce di una maggiore dialettica interna all’antifascismo italiano e catalano. Contro coloro che Pietro Nenni definiva “dilettanti della rivoluzione” , capaci solo di abolire la moneta nei villaggi lasciando decadere la produzione necessaria alla difesa e di “improvvisare una ricca legislazione rivoluzionaria..., lasciando agli altri la preoccupazione e la cura della guerra”60, si scagliava nel novembre 1936 anche Carlo Rosselli, quando scriveva che tutto doveva subordinarsi alla guerra, se necessario “anche lo sviluppo della rivoluzione”. Né diverso atteggiamento aveva sollecitato Durruti sin dal settembre e Camillo Berneri, in uno dei suoi ultimi scritti, aveva affermato che “il dilemma guerra o rivoluzione non aveva più senso” . Il vero dilemma era ormai uno solo: “O la vittoria su Franco mediante la guerra rivoluzionaria, o la sconfitta”61.
D’altra parte ancora molto ci sfugge del ruolo giocato, all’interno del dibattito politico spagnolo e catalano, dalla presenza, consistente e qualificata, di numerosissimi diri
genti del movimento operaio europeo ed internazionale. Essi determinarono, senza dubbio, una “accelerazione” del dibattito politico e portarono un contributo ampio, di riflessioni e di esperienze, allo sviluppo del pensiero politico spagnolo. Ma fino a qual punto essi si inserirono o si sovrapposero o si contrapposero addirittura alle problematiche locali (teoriche e pratiche)?
Aldo Garosci sostiene che furono soprattutto gli anarchici “stranieri” (cioè i non spagnoli) che si contrapposero alle indicazioni di collaborazione governativa e militare condivise unanimemente dai responsabili della Cnt e furono ancora gli “stranieri” che sostennero in maniera intransigente la necessità di restare comunque fedeli alla “Idea”62. Lo stesso Berneri, “disgustato dall’atmosfera di isterismo” che prevaleva fra gli anarchici (italiani?), si era impegnato personalmente “a moderare... i disfattisti” , mentre sosteneva la necessità di “controllare gli incontrollabili”, di “creare una seria industria di guerra”, di “realizzare una effettiva unità di comando che permettesse di passare all’offensiva sul fronte aragonese”63.
Anche per i comunisti (molto frammentarie sono le notizie relative ai socialisti) i rapporti fra spagnoli e “stranieri” non erano sempre tranquilli. Secondo quanto ha scritto Paimiro Togliatti, i “consiglieri” inviati dal
59 Gianfranco Petrillo, Volontari antifascisti lombardi per la libertà in Spagna, in “K1B45. Lombardi e ticinesi per la libertà in Spagna”, Milano, Vangelista, 1976, p. 28.60 P. Nenni, Strìngiamoci attorno alla Spagna, cit. e Della guerra e delia rivoluzione in Spagna, in “Il Nuovo Avanti”, 20 febbraio 1937 (ora in P. Nenni, Spagna, cit., pp. 198-199, 166).61 C. Rosselli, Catalogna, baluardo della rivoluzione, cit., p. 57; Durruti exige material de guerra de la retaguardia, in “Milicia Popular”, 10 settembre 1936; Camillo Berneri, Lettera alla compagna Federica Montseny (14 aprile 1937), in C. Berneri, Pensieri e battaglie, cit., pp. 294-295. Cfr. anche F. Fornasiero, Cantavamo l ’Internazionale, cit., pp. 68, 72.62 Magrini [A. Garosci], Rosselli in Spagna, cit., pp. 61, 89-90. Cfr. anche S. Trentin, Impressioni sulla lotta in Catalogna, cit., p. 329. Identiche considerazioni in Umberto Marzocchi, Ricordando Camillo Berneri e gli avvenimenti della rivoluzione spagnola del 1936-37, in “Memoria antologica, saggi critici e appunti biografici in ricordo di Camillo Berneri nel cinquantesimo della morte”, Pistoia, Archivio Famiglia Berneri, 1986, p. 49.63 Lettere alla moglie del [26] dicembre 1936, febbraio-marzo 1937 e Lettera alla compagna Federica Montseny, cit. (C. Berneri, Pensieri e battaglie, cit., pp. 247, 263, 287, 289, 292). Diversa è la lettura che degli stessi scritti è fatta da Francisco Madrid Santos, Camillo Berneri, un anarchico italiano (1897-1937). Rivoluzione e controrivoluzione in Europa (1917-1937), Pistoia, Archivio Famiglia Berneri, 1985, pp. 337 sgg.
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Komintern rischiavano di spingere il Pce e il Psuc “su una strada sbagliata... con la fabbricazione di teorie improvvisate ed errate... ritenendo che i compagni spagnoli non valessero nulla”64. E, sempre da Togliatti, vengono alcuni spunti interessanti per approfondire una analisi della società e della vita politica catalane. Pur essendo stato da tempo attento e interessato al problema delle “minoranze nazionali oppresse della Catalogna”65, egli era particolarmente preoccupato per l’eccessivo peso che le scelte separatiste andavano assumendo all’interno della Generalidad e per l’ambiguo comportamento del Psuc, nel quale troppo spesso era prevalsa “una tacita solidarietà” con “i peggiori catalanisti” . Nello stesso tempo i comunisti della Catalogna, pur conservando un atteggiamento settario ed intransigente nei confronti degli anarchici, ne avallavano e difendevano le scelte di fondo, soprattutto la legislazione agraria e quella sui “collettivi industriali”, ponendosi di fatto su posizioni profondamente divergenti da quelle del Pce66.
Da tutto ciò non potevano derivare che “disordine e spreco”, oltre che rotture con la piccola borghesia e i contadini antifascisti. In ultima analisi era un prevalere della “suscettibilità nazionale” catalana sulle questioni più generali della difesa dall’aggressione fascista67.
Tranne Francesco Fausto Nitti, che trascorse interamente in Catalogna (e sul fronte di
Aragona) tutti i mesi della guerra civile, solo Camillo Berneri, Carlo Rosselli e Umberto Tommasini (escluso un breve periodo di prigionia passato a Valenza) descrivono nelle loro pagine una esperienza esclusivamente catalana. Gli altri italiani incontrarono la Catalogna al loro arrivo in Spagna e vi tornarono quando su quel fronte furono trasferiti i volontari delle Brigate Internazionali e molte delle speranze del 1936 stavano cadendo. Anche l’abbondanza alimentare, che aveva sorpreso e meravigliato gli antifascisti diciotto mesi prima, nel gennaio-febbraio 1938 era scomparsa. Alle mense, ormai, si mangiavano sempre gli stessi cibi: minestra di ceci o di lenticchie e stoccafisso o baccalà in umido, “omaggio dei lavoratori norvegesi”68.
La maggioranza delle pagine dei volontari italiani sono perciò dedicate alla loro presenza in altre regioni della Spagna, ma sono soprattutto riservate alla descrizione dei combattimenti cui essi presero parte sui vari fronti perché, occorre non dimenticarlo, il volontariato internazionale fu un elemento centrale proprio nell’organizzazione della guerra e nell’addestramento tecnico-militare. Fu, del resto, un contributo di grande importanza, anche perché molti volontari italiani (e degli altri paesi europei) erano portatori di quella esperienza compiuta sui campi di battaglia della prima guerra mondiale che, per loro fortuna, gli spagnoli non avevano combattuto69. Furono forse pro-
64 Paimiro Togliatti, Relazione del 15 settembre 1937, edita in P. Togliatti, Opere, IV/1, cit., p. 274 (cfr. anche la Relazione del30 agosto 1937, cit., pp; 271-272).65 M. Ercoli [P. Togliatti), La vittoria del fronte popolare e lo sviluppo della rivoluzione in Spagna, in “Bolsevik”, 15 marzo 1936, ora in P. Togliatti, Opere, IV/1, cit., p. 98.66 Relazione del 28 gennaio 1938, cit. e Relazione del31 maggio 1939, cit., pp. 304-306, 363.67 Alcune osservazioni generali in Giuliano Pajetta, Lezioni politiche della guerra di Spagna, in “Critica marxista”, a. IX (1971), n. 3, pp. 101-121; cfr. anche G. Ranzato, Le collettivizzazioni anarchiche in Catalogna, cit. Su tutto il problema ci sembrano particolarmente valide e acute le conclusioni di Aurora Bosch Sànchez, Ugetistas y liberta- rios. Guerra civil y revolución en el Pais Valenciano. 1936-1939, Valencia, Diputación provincial, 1983.68 G. Calandrone, La Spagna brucia, cit., p. 265.69 Non concordiamo però con Aldo Garosci che ritiene la presenza dei volontari determinante per “impedire che la Spagna fosse travolta in poche settimane” (Aldo Garosci, La guerra di Spagna nella lotta per la libertà europea, in Fortunato Nevicati. 1895-1936, Reggio Emilia, Amministrazione provinciale [1966], p. 61).
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prio gli italiani a scavare in Aragona le prime trincee, applicando quelle tecniche che avevano appreso sul Carso e sul Piave70.
La maggioranza degli italiani fu quindi composta da combattenti e di tale esperienza ha dato conto nelle proprie testimonianze, lasciando così un ricordo della Spagna legato prevalentemente all’eroismo militare dei suoi abitanti; in questi racconti di guerra, hanno una collocazione centrale la difesa di Madrid e la vittoria di Guadalajara.
Un caso limite vengono ad essere Barcellona e la Catalogna, le cui vicende sembrano quasi attraversare tre momenti ben distinti: la esaltante risposta popolare contro la rivolta del luglio 1936 e la creazione delle “colonne” inviate in Aragona e fermare l’avanzata nemica; un lungo periodo “buio”, durante il quale la lotta contro la sedizione fascista sembrò passare in secondo piano di fronte alla volontà di costruire il “comuniSmo libertario”; infine, dall’estate del 1937, la progressiva mobilitazione popolare (sia pur minata da remore e mai ritenuta unanime e sentita profondamente come a Madrid).
Abbiamo già sottolineato come questa visione schematica delle vicende catalane semplifichi notevolmente la ricostruzione della realtà, ma tale, comunque, è l’immagine che la tradizione antifascista ha trasmesso e radicato in Italia. Una immagine in cui Barcellona (rarissime sono le notizie sugli altri centri della Catalogna) costituì l’elemento principale che condizionò le possibilità di resistenza dell’intera Spagna.
Va da sé che in questo quadro (e nella diffusissima confusione fra anarchici e Poum,
cui del resto ha dato un notevole contributo anche Omaggio alla Catalogna di Orwell, splendida opera letteraria, ben poco adatta a chiarire i fatti del maggio 1937), chi ne fa soprattutto le spese sono la Cnt e la Fai. Le pagine che Pietro Nenni ha dedicato all’argomento sono forse fra le più dure (e le meno obiettive): “La rivoluzione è minata dall’individualismo... d’origine anarcoide — scriveva il 13 settembre 1936 —. Il problema degli anarchici si fa serio... È per il canale della Cnt che si fa propaganda disfattista, contro il governo, contro il comando, contro l’esercito... Se perdura, uccide la rivoluzione”71. E ancora, commentando i fatti di Barcellona: “Nel maggio si è tentato di pugnalare alla schiena la rivoluzione e la guerra... Coloro che hanno la responsabilità morale e politica dei moti controrivoluzionari della Catalogna, di questa vittoria fascista, non hanno il diritto di farsi accusatori di chicchessia, né possono contestare alla Spagna repubblicana il diritto di difendersi contro la provocazione”72.
Egualmente dure le considerazioni di Giacomo Calandrone che, però, non nomina affatto gli anarchici, ma si scaglia esclusiva- mente contro il Poum, definendolo “una costante minaccia alle istituzioni repubblicane” e incitando a “farla finita con gli agenti della controrivoluzione, del fascismo, della relazione nella Catalogna”73.
Molto più articolato il giudizio di Paimiro Togliatti, che riteneva “irresponsabili” e “indisciplinati” gli anarchici e usava una inconsueta violenza verbale contro i pouministi, una “setta di controrivoluzionari e di banditi”, più o meno direttamente alleati con i fa-
70 F. Scotti, La guerra di Spagna, cit., p. 385; U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., p. 337; R. Pacciardi, Volontari italiani, cit., p. 23; G. Calandrone, La Spagna brucia, cit., p. 274.71 Pietro Nenni, Il dramma dell’Estremadura, in “Almanacco socialista 1938” (ora in P. Nenni, Spagna, cit., p. 123).72 P. Nenni, Stringiamoci attorno alla Spagna, cit., p. 199.73 G. Calandrone, La Spagna brucia, cit., pp. 145-149, 250.
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scisti74. Non che Togliatti risparmiasse critiche e pesanti giudizi nei confronti degli anarchici catalani. Nel 1934 li aveva indicati quali responsabili della fallita azione rivoluzionaria delle Asturie e della Catalogna e nell’agosto 1937 li accusava di diffondere stampe clandestine contro il governo Ne- grin. Era tuttavia convinto — e lo abbiamo già rilevato — della necessità di un loro “recupero” per averli alleati, anche soltanto per il fatto che erano egemoni aH’interno della classe operaia catalana75.
Tuttavia la maggior parte dei testimoni non affronta direttamente il problema politico degli anarchici, limitandosi a porgere lunghe considerazioni sulla loro mancanza di spirito combattivo al fronte di Huesca: lì la guerra ristagnava grazie ad un accordo — tacito o pattuito — fra anarchici e franchisti e ciò aveva permesso a questi ultimi di concentrare le proprie truppe contro Madrid e Bilbao76.
Quando Nitti, nel marzo 1937, giunse a Sesa (Huesca) per assumere il comando di una “colonna” di seicento uomini, trovò
una situazione del tutto particolare: “Ho visto dei bravi ragazzi seminudi e sudati che si addossavano ai parapetti come non fossero in trincea. C’è chi mangia, chi gioca alle carte, chi suona l’armonica e quello a cui nessuno pensa è proprio a fare la guerra”77.
Verrebbe proprio la tentazione di accettare come reali le conclusioni di Gino De Sanctis: “Caos e impotenza; le caratteristche degli anarchici”78, se non ci rendessimo conto che ci troviamo di fronte ad informazioni “caotiche” e superficiali da un lato (comunisti, socialisti e “giellisti”), entusiastiche e incomplete dall’altro (anarchici).
Alle vaghe considerazioni di Umberto Marzocchi sulle “comunità libertarie” della Catalogna, possiamo affiancare l’espressione, davvero un po’ troppo sintetica, con cui Umberto Tommasini indica i motivi che avevano portato a insanabili contrasti politici a Barcellona: “El confido iera questo: i comunisti, anche i socialisti... i voleva dare le fabriche de novo ai propietari; le fabriche e le tere”79.
74 M. Ercoli [P. Togliatti], La lotta del popolo spagnuolo contro i ribelli fascisti, in “Bolsevìk”, 1 ottobre 1936 (ora in P. Togliatti, Opere, IV/1, cit., p. 125).5 La guerra civile in Spagna e i compiti del proletariato internazionale, in “La Correspondance internationale” , 10
novembre 1934 (ora in P. Togliatti, Opere, 1II/2, cit., pp. 493-494) e P. Togliatti, Relazione del 30 agosto 1937, cit., pp. 260-263.76 A. Maniera, Nelle trincee dell’antifascismo, cit., p. 117; V. Vidali, La caduta della Repubblica, cit., p. 45.7' F.F. Nitti, Il maggiore è un rosso, cit., pp. 15, 37.78 G. De Sanctis, Guerra dì Spagna, cit., p. 59.79 U. Tommasini, L ’anarchico triestino, cit., p. 376.Vogliamo, infine, segnalare alcune pubblicazioni che abbiamo utilizzato, senza avere avuto l’occasione di citarle in maniera specifica: La guerra di Spagna, Paris, Psi, 1937; Un ano de las Brigadas Internacionales, Madrid, Ugt, 1937 [Berlin, Literaturvertrieb Reprint, 1976]; Carlo Bacca, Andavamo in Spagna a difendere la libertà del mondo (1939), in I compagni, cit., pp. 321-326; Pourquoi l ’Italie fa it la guerre à l ’Espagne. L ’intervention italienne expliquée par les Italiens, Paris, Comité Franco-Espagnol, 1939; B. Sereni, Ricordi della guerra di Spagna, Barga, Il Giornale di Barga, 1972; Paolo Fiori, Bruno Lugli garibaldino di Spagna, Pesaro, Documenti del Comune, 1977; Giaele Franchini Angeloni, Nel ricordo di Mario, Bologna, La Squilla, 1978; Leo Valiani, Antifascisti italiani nella guerra di Spagna: ricordo di Mario Angeloni, Cesena, Amministrazione Comunale, 1979; Luigi Longo, La nostra parte. Scritti scelti 1921-1980, a cura di Renzo Martinelli, Roma, Editori Riuniti, 1984; Peppino Zangrando, Spagna grande amore, Belluno, Istituto storico della Resistenza, 1986; Marco Puppini, In Spagna per la libertà, Udine, Istituto per la storia del movimento di liberazione, 1986. Interessanti spunti sono nella relazione che Anna Morelli ha presentato al convegno su “La guerre civile d’Espagne, histoire et culture” , organizzato il 23-25 ottobre 1986 dall’Université Libre di Bruxelles (Les Italiens de Belgique face à la guerre d ’Espagne). Si vedano pure le memorie di Gildo Gasperoni, Itinerario politico. A San Marino e in Europa in difesa della democrazia, San Marino, Aiep, 1983 e i due volumi dell’Epistolario inedito di Camillo Berneri (Pistoia, Archivio Famiglia Berneri, 1980-1984).
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Non è questa la sede per giungere a delle conclusioni; appare del resto subito evidente la carenza di informazioni più complesse sulla Spagna in generale e sulla Catalogna in particolare. Non mancano (si pensi alle Relazioni di Togliatti e ad alcune considerazioni di Berneri) spunti che, se approfonditi e maggiormente documentati, potrebbero costituire momenti particolarmente importanti per comprendere la realtà sociale nella quale si combattè la guerra civile spagnola. Ma, al di là dell’epica resistenza militare (per comprendere la quale non può comunque bastarci l’affermazione che “si combatteva per la libertà e contro il fascismo”), sono particolarmente significative, nelle testimonianze italiane, quelle pagine (ma a volte sono soltanto poche righe!) nelle quali viene descritto l’arrivo in Spagna dei volontari. Fu, per tutti, un impatto improvviso con un
mondo nuovo e sono immagini di speranza e di solidarietà che riescono a riproporre l’utopia con la quale si andò a combattere contro quel fascismo, certi di contribuire a sconfiggere anche gli altri fascismi già al potere.
Anche le immagini della Catalogna che ci vengono mostrate, troppo spesso confuse e retoriche, sempre imprecise, hanno valore soprattutto all’interno di una lettura del mondo che privilegi categorie quali l’antifascismo e una rigida lettura classista. Sono, in qualche modo, fotografie scattate in bianco e nero, a forti contrasti e costituiscono un ultimo esempio di una visione manichea del mondo. Il nemico era (o sembrava essere) ben definito e ben individuato e si aveva la certezza di batterlo, prima o poi, definitivamente.
Luciano Casali
PROPOSTE E RICERCHEa. X (1987), fascicolo 18
primo semestre
Protoindustria e agricoltura: bachi da seta, salnitro, paste alimentari, cappelli. C ontributi di: Raoul Paciaroni, A ll’origine della trattura della seta: colture del gelso e commercio della foglia a Sanseverino, secoli XIV-XVII; G ianni Volpe, Colombaie, colombina e polvere da sparo-, G abriele M etelli, Per una storia della produzione meccanica delle paste alim entari nel Seicento; Scuola Media S tatale “ G. Leopard i” di Sahara, Cappelli e cappellai in un piccolo centro marchigiano] V iviana Bonazzoli, Un seminario sulla pluriattività nelle campagne italiane tra Otto e Novecento; Roberto S chiatta rella, La piccola impresa nelle Marche degli anni Settanta. V iviana Bonazzoli, Mutamenti nella proprietà fondiaria nelle quattro province marchigiane, 1956-1971; Augusta Palombari- ni, Dal bando al priorato: l'avventurosa carriera di Francesco de Vico nella Macerata del '600; Sandra Cappelletti, Un fiume marchigiano tra medioevo ed età moderna: il basso Esino.
Direzione: Sergio Anseimi, Corrado Leonardi, Renzo Paci, Franco Pedrotti, Sergio Pretelli, Ercole Sori. Direttore responsabile Michele Anseimi. Segretaria di redazione Ada Antonietti. Sede redazionale: Museo di storia della mezzadria, piazzale delie Grazie, 60019, Senigallia (AN). “Proposte e ricerche” esce a cura dell’ Istituto di Storia economica e Sociologia della Università di Ancona, del Dipartimento di Botanica ed Ecologia dell'Università di Camerino, dell'Istituto di Storia medioevale e moderna dell'Università di Macerata, dell'Istituto di Scienze economiche deli’Università di Urbino. Ogni fascicolo (200 pp. circa) costa L. 8.000; arretrato L. 10.000 (ma non tutti numeri sono disponibili).