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QUADERNO DI RICERCA 8 La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management Ricerca finanziata nell’ambito del Progetto “GRIN – Green & Innovation Management” Fondirigenti Avviso 1/2011 - Piano Formativo FDIR3135

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QUADERNO DI RICERCA

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La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management

Ricerca finanziata nell’ambito del Progetto

“GRIN – Green & Innovation Management”

Fondirigenti Avviso 1/2011 - Piano Formativo FDIR3135

La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management

Ricerca finanziata nell’ambito del Progetto“GRIN – Green & Innovation Management”

Fondirigenti Avviso 1/2011 - Piano Formativo FDIR3135

Ricerca a cura di Luigi Serio e Luca Quaratino

Hanno collaborato alla redazione dei casi Caterina Carroli e Antonio Nastri

Si ringraziano le aziende che hanno aderito all’iniziativa e che hanno reso possibile laricerca:AMISCOFORMEVETISAGROIVMOCMI-OTGTELBIOSVIVISOL

Data Pubblicazione: Gennaio 2012

Un progetto promosso da:

– ASSOLOMBARDA– CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA– ALDAI-FEDERMANAGER

3Fondazione ISTUD

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Indice

INDICE

Prefazione pag. 5

PARTE PRIMA

Premessa pag. 11

Lo stato dell’arte sulle medie imprese: questioni aperte e ipotesi di lavoro pag. 13

Il disegno della ricerca pag. 22

Analisi degli studi di caso pag. 24

L’impresa media e la stabilità del “genus” pag. 33

Imprenditorialità e management: ragionare senza soluzioni di continuità pag. 41

Bibliografia di riferimento pag. 42

PARTE SECONDA

Caso di studio AMISCO pag. 43

Caso di studio FORMEVET pag. 57

Caso di studio ISAGRO pag. 65

Caso di studio IVM pag. 81

Caso di studio OCMI-OTG pag. 95

Caso di studio TELBIOS pag. 113

Caso di studio VIVISOL pag. 126

Allegato – Check list per interviste in azienda pag. 138

5Fondazione ISTUD

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

PREFAZIONEMarella Caramazza

I giorni in cui scriviamo sono densi di storia.

Una crisi economica senza precedenti non accenna a finire e il nostro Paese haappena visto le dimissioni del primo Ministro. Un bocconiano d’eccellenza, MarioMonti, ha appena formato un governo tecnico con il mandato di risollevare l’eco-nomia e far ripartire la crescita. Tra i grandi temi nell’agenda del nuovo governo visono lo sviluppo dell’impresa, dell’innovazione e dell’occupazione.

Tra le differenze che molti osservatori indicano fra il nostro Paese e la Grecia, laSpagna, l’Irlanda, il Portogallo, che come noi stanno attraversando pesantissimerecessioni, assume un ruolo di primo piano il tessuto industriale italiano, fatto damigliaia di imprese medie e piccole, che continuano a produrre e vendere, nonostante le innegabili difficoltà, e che continuano a competere sui mercati inter-nazionali.

Sono imprese che non si fermano, che continuano a lottare per guadagnare quote dimercato, per innovare i propri processi e prodotti, per cercare e sperimentare solu-zioni competitive nuove. In ultima analisi, per crescere.

Sembra dunque che non vi sia momento più appropriato per dare alle stampe unvolume che pone lo sguardo sulle medie imprese italiane e vi scruta dentro, inda-gandone e descrivendone i processi di decisione, i meccanismi di gestione, i siste-mi di coordinamento e controllo. In una parola, il modello manageriale.

Un’indagine svolta da Assolombarda su 60 imprese associate1 dimostra che negliultimi due anni vi è stata una febbrile attività volta a superare la crisi principalmenteattraverso la ricerca di nuove opzioni strategiche, la focalizzazione del business e lacrescita. Diversificazione, riduzione dell’indebitamento, patrimonializzazione, cre-scita tramite acquisizioni sono le principali ricette di queste imprese, appartenenti a

1 “Imprese oltre la crisi – I percorsi strategici delle imprese milanesi”, Osservatorio Assolombarda Bocconi, Milano 2011

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

6 Fondazione ISTUD

settori diversi, per resistere alla crisi. Possiamo dire che il tessuto economico nazio-nale non è inerme e, nonostante la crisi, continua a vendere, a internazionalizzarsie a espandersi.

Ma la domanda è: come lo stanno facendo? Se molti sono i dati sul comportamentostrategico delle imprese e sul loro impatto sul sistema macroeconomico, scarsa e avolte stereotipata è la conoscenza di come queste aziende gestiscano i loro proces-si interni, di come risolvano problemi fondamentali di integrazione interna, di comesi pongano di fronte alle grandi sfide di oggi: la distinzione competitiva, l’interna-zionalizzazione, l’innovazione, la crescita dimensionale, la generazione di motiva-zione e collaborazione.

Il Quaderno di Quaratino e Serio indaga sul funzionamento interno e punta a veri-ficare l’esistenza di un modello specifico di gestione delle imprese italiane di mediedimensioni, che si distingua sia dai modelli tipici della grande impresa multinazio-nale, sia da quelli connaturati con la piccola impresa poco più che artigianale.

Sappiamo che le scuole di management hanno diffuso nelle loro aule casi e model-li di management mutuati dalle grandi imprese multinazionali, coerenti con unapproccio di stampo anglosassone, ma sappiamo anche che oramai ci si è piena-mente resi conto che tali modelli non sono replicabili nella maggior parte delleimprese di casa nostra.

All’ISTUD da anni tentiamo una strada diversa.

Abbiamo lanciato, ormai diversi anni fa, un programma di studio e ricerca con l’o-biettivo di enucleare i casi emblematici e gli elementi distintivi di un modello dimanagement “adatto” alle medie imprese italiane e che dalle stesse imprese italianeviene quotidianamente generato e sperimentato.

Lo stiamo facendo attraverso lo studio della realtà, anche con il coinvolgimento dei socidella Fondazione ISTUD2. Essi stessi, in gran parte rappresentanti eccellenti di questo

2 Amiat, Assicurazioni Generali, Assolombarda, Barilla G. e R. F.lli, Chiesi Farmaceutici, CO-VER R&K Holding, Elea, Elica,Experientia, Ferrero Industrial Services Geie, Finaf, FontanaArte, Intesa Sanpaolo, Sea Società Esercizi Aeroportuali, TelecomItalia, Vincenzo Zucchi.

comparto dell’economia italiana, si sono prestati a mettersi in discussione e a incontrar-si in quattro momenti all’anno, in cui scambiano esperienze sui temi cruciali per lo svi-luppo: l’internazionalizzazione, l’innovazione, la sostenibilità, il benessere nelle orga-nizzazioni.

Lo stiamo facendo avendo al nostro fianco, tra gli altri, un partner di eccezione, ilCentro Ricerche e Studi di Mediobanca, la cui analisi annua dei bilanci delle impre-se italiane rappresenta un punto di riferimento irrinunciabile per tutti gli analistieconomici del Paese.

A Mediobanca si deve il termine “Quarto Capitalismo”, che oramai è entrato nel gergoper indicare un tipo di impresa né grande né piccola, altamente competitiva. Insieme aMediobanca l’ISTUD ha lanciato tre anni fa una iniziativa, che si ripete a novembre diogni anno a Stresa, in cui le imprese del quarto capitalismo, vincitrici del PremioMediobanca, si aprono al confronto con un gruppo di altri imprenditori e studiosi percondividere e accrescere la conoscenza comune.

Il metodo è l’osservazione della pratica, la raccolta di casi reali in cui la praticanasce non tanto dall’applicazione di modelli teorici noti, quanto dalla ricercacostante di una formula unica, dall’intuizione, dal coraggio e dalla determinazionedell’imprenditore e delle persone di cui si circonda. Questo Quaderno raccogliealcuni di questi casi. Casi che mostrano uno spaccato di mondo misconosciuto in cuitensioni e apparenti contraddizioni si tengono insieme dando vita a soluzioni origi-nali e sostenibili, che vanno conosciute da vicino per essere comprese.

È di estremo interesse leggere i casi così come escono dal racconto degli stessi pro-tagonisti, e le analisi che ne fanno gli autori, mettendone bene in evidenza i punti diforza e le aree di debolezza.

Colpisce in particolar modo la capacità di queste imprese di conciliare istanze con-trapposte, e di liberarsi da quegli stereotipi che escludono la possibilità di concilia-re dicotomie classiche come globale-locale, famiglia-management, accentramento-decentramento, specializzazione-visione d’insieme.

Queste imprese dimostrano di saper conciliare gli opposti. Ciò sorprende soprattut-to se si assumono le categorie tipiche della teoria classica dell’impresa: la separa-

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

zione tra proprietà e management, la specializzazione, la separazione tra impresa econtesto, la coerenza organizzativa, la pretesa di universalità ed esportabilità delmodello.

In queste imprese molti di questi principi vengono smentiti, come viene evidenzia-to nel Quaderno.

Ad esempio, è interessante notare la capacità di superare uno dei più comuni ste-reotipi secondo cui quando è fortemente presente la famiglia, il management pro-fessionale o non esiste o non ha vita facile. Osservando i casi descritti si riconosceinvece una tendenza progressiva alla managerializzazione e alla capacità dell’im-prenditore di affidarsi a manager esterni per la gestione di processi cruciali. Siamolontani da una netta separazione tra la proprietà e il management, ma si osservainvece una buona capacità di dialogo e fiducia reciproca.

Questo potrebbe aprire un dibattito sulla formazione del management per le medieimprese, che oltre a possedere ampie e comprovate competenze tecniche e gestio-nali, di certo non inferiori a quelle richieste nelle grandi imprese, deve imparare ainteragire quotidianamente con “il padrone” e a rinunciare a una parte della sua spe-cializzazione per assumere una visione più ampia e integrata del business comples-sivo e della sua gestione.

Quanto si osserva nelle imprese studiate si sposa molto con quelli che sono statidefiniti i caratteri tipici di una visione europea del pensiero organizzativo3, che siarticola attorno a quattro temi generali: la specializzazione, il rapporto con il con-testo, la natura della conoscenza, il bisogno di universalità.

Le imprese italiane studiate sembrano non essere assillate dalla ricerca della specializza-zione delle strutture e delle competenze, come invece è postulato dai più diffusi modellidi formazione e consulenza aziendale. L’ambiguità organizzativa che deriva da questaimpostazione è ben tollerata e il processo di gestione è condotto impiegando diverse com-petenze, attingendo a diverse fonti di conoscenza, con uno sguardo rivolto più al risulta-to di insieme che al particolare. Tutto ciò non contraddice la costante tensione all’eccel-

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3 Bacharach S.B., Gagliardi P., Mundell B., Il pensiero organizzativo europeo, Guerini e Associati, Milano 1995.

lenza tecnica che spesso è il principale elemento di distinzione competitiva delle impre-se indagate.

Il rapporto con il contesto esterno è oggetto di grande attenzione. Anche qui peròqueste imprese assumono una cifra particolare. Il contesto esterno, infatti, non vienevisto solo come l’ambiente a cui adattare i propri prodotti e le proprie scelte com-petitive, impostazione tipica dei modelli classici ambiente-strategia-struttura, ma èvisto piuttosto come il sistema politico, istituzionale, socio-culturale, particolar-mente connesso con il territorio in cui l’impresa ha le radici e con cui interagisceper costruire un sistema di legittimazione reciproca duraturo nel tempo.

I modelli gestionali adottati non rispondono necessariamente ai dettami di una teo-ria scientifica istituzionalizzata. Gli imprenditori basano la propria conoscenza nontanto sull’analisi delle connessioni causali tra variabili rigorosamente misurate,quanto su un insieme di elementi di conoscenza esplicita e tacita, di condizioni, diintuizioni, di opportunità, di eventi casuali che sfuggono a inquadramenti specifici.La decisione è spesso il risultato di un processo di condivisione e negoziazione traattori organizzativi a vario livello coinvolti, che tuttavia vedono l’imprenditorecome il decisore ultimo.

Di conseguenza, ogni modello che ne deriva è unico e irriproducibile e qualunque ricer-ca di universalità è vana. Ne discende che ogni intervento a sostegno della crescita di que-ste imprese non può prescindere da una profonda comprensione delle sue specificità e deisuoi elementi di unicità. Questa è una delle ragioni alla base della nota difficoltà dellegrandi società di consulenza di operare proficuamente in questo tipo di imprese.

Due ci sembrano, in particolare, le aree deboli che possono ridurre le potenzialità dicrescita di queste imprese:

1) la difficoltà ad accedere al mercato del lavoro ad alta qualificazione, a parlare dise stesse, a rendersi visibili e attrattive verso interlocutori giovani, che sembranonon accorgersi del potenziale di apprendimento e sviluppo esistente nelle medieimprese e che dimostrano disinteresse verso questo segmento del mercato dellavoro, come si evince dalle ricerche condotte dall’ISTUD sugli orientamenti e leaspettative dei giovani laureati verso il mondo del lavoro;

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Prefazione

2) la difficoltà ad aggregarsi e riconoscersi in un tipo ideale di impresa, e l’incapa-cità di rinunciare al proprio individualismo e di assumere in modo deliberato eprogrammatico il ruolo di generatore di valore economico e sociale per un insie-me più ampio di soggetti economici e non, e in generale per l'economia del Paesenel suo complesso.

Si tratta di due questioni cruciali per la crescita del nostro Paese, che meritano ulte-riore approfondimento e che richiedono un’alleanza ampia che, a livello di sistema,faccia convergere energie, risorse e progetti. L’auspicio è che esse compaiano tra iprimi punti dell’agenda del governo appena insediato.

Stresa, 18 novembre 2011

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PARTE PRIMALuca Quaratino, Luigi Serio

PREMESSA

Il dibattito sulla crescita delle piccole imprese non è nuovo nella letteratura manageriale.Fin dagli anni ‘60, con il consolidarsi delle prime forme organizzative diffuse sulle pic-cole imprese, il dibattito sulla crescita delle imprese si è polarizzato su due estremi:

• il primo collega la sopravvivenza dell’impresa a un inevitabile processo di crescita,immaginando la piccola dimensione come una tappa intermedia per diventare grande;

• il secondo considera la crescita come un processo di tipo qualitativo focalizzato sul-l’evoluzione dei rapporti fra imprese e loro ambiente di riferimento, in cui la crescitadimensionale è una delle opzioni, ma non l’unica.

Cercando di fuggire dalla retorica della crescita dimensionale, la riflessione propostaintende analizzare le caratteristiche delle imprese che sono in grado di mantenere la lorocompetitività nel tempo, a prescindere dalla dimensione, e di analizzare le opzioni stra-tegiche che ne favoriscono la tenuta nel tempo.

Una delle caratteristiche tipiche delle imprese piccole, ma soprattutto medie, sembraessere, infatti, la capacità di tenere in equilibrio fattori che in altri tipi di imprese, qualiad esempio la grande impresa manageriale, appaiono inconciliabili. Le “tensioni” costi-tuiscono un tratto caratterizzante della natura e del comportamento di imprese che, nonvolendo rimanere piccole, e al contrario rifiutandosi di omologarsi a un modello diimpresa “ideale” di maggiori dimensioni, riescono a dare vita a un “ibrido” organizzati-vo che trova la sua specificità nella composizione di forze che potrebbero essere altri-menti contrapposte4.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

4 In generale stiamo parlando di aziende che danno vita ad un “ibrido” organizzativo che trova la sua forza nella gestione e nellacomposizione dell’equilibrio fra queste tensioni. Tale “ibrido” è caratterizzato da:– forte cultura imprenditoriale ma anche riconosciuta identità specifica di imprese; – presenza e caratterizzazione familiare ma anche solido management professionale;– macchina organizzativa efficiente ma anche laboratorio per l’innovazione;– ancoraggio al territorio in cui è nata l’impresa ma anche proiezione sui mercati internazionali;– modelli di crescita ibridi che consentono dimensioni e strutture contenute senza limitarne lo sviluppo.Boldizzoni D., Serio L., Il Giunco e la Quercia, in Quaderni di Management, Giugno 2010.

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Parte Prima

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Nella realtà, quindi, la crescita aziendale è sempre meno vissuta come ampliamento“concentrico” del nucleo originario, quale processo basato su investimenti reiterati inrisorse materiali e umane, per essere invece esplicitata attraverso sentieri di aggiusta-mento qualitativi e/o di crescita per linee esterne. In altri termini, ciò significa che la cre-scita e il successo di numerose imprese sono strettamente imputabili alla capacità di for-mulare e attuare strategie (creazione di organizzazioni reticolari, rapporti di collabora-zione con altre imprese, network) che consentono di liberare le potenzialità di sviluppodell’impresa, senza l’attivazione di un parallelo processo di espansione incrementale.Questa tipologia di imprese “proattive” che si muove e privilegia percorsi di crescita nonlineari, instaura legami più o meno forti con imprese terze, dà vita ad aggregazioni inter-medie che sfumano oltre i confini della singola azienda e costituisce nella realtà italianauna tipologia residuale e ancora poco conosciuta.

Il crescente interesse5 nell’osservazione di questa tipologia di impresa è auspicabile peralmeno due ragioni:

• Il primo, per il modello di management: rappresentano, infatti, un modello manageria-le originale italiano, che qualifica e connota il tessuto delle piccole imprese italiane.Focalizzarsi su questo segmento significa, in altre parole, dare concretezza al tema delmodello di management originario “made in Italy” e ragionare in maniera puntuale suquali siano le corrette competenze da presidiare in contesti di piccole e medie imprese.

• Il secondo, per il sistema di imprese che rappresentano: osservare il loro comporta-mento significa osservare il comportamento di tante altre piccole imprese che ruota-no intorno ad esse. Il modello di sviluppo è generalmente la rete baricentrica e talvol-ta anche orizzontale, in cui le imprese medie sono lo snodo del sistema di relazione diuna catena del valore molto allargata che interessa numerose altre aziende. La com-petitività dei territori, da questo punto di vista, non può prescindere dal rafforzamen-to di queste imprese, anche e soprattutto per il ruolo guida che hanno rispetto al lorocontesto territoriale di riferimento.

5 Serio L., Il IV Capitalismo: modelli di sviluppo aziendali e strategie, documento a uso interno Fondazione ISTUD-Mediobanca.

Sulla base di queste considerazioni la Fondazione ISTUD, partendo dalla conoscenza econsapevolezza acquisita in anni di osservazione di questo segmento6, ha promosso unaricerca, all’interno del Piano Fondirigenti, volta a ricostruire le principali chiavi di lettu-ra e opzioni di management che emergono in relazione alla crescita della media impresa,con l’obiettivo principale di estendere la comprensione dei meccanismi di funzionamen-to e degli snodi che ne permettano una crescita sostenibile nel tempo. La collocazionedella ricerca all’interno del Piano Fondirigenti amplifica, inoltre, l’enfasi sui bisogni for-mativi che le dinamiche rilevate suggeriranno nel futuro.

Lo stato dell’arte sulle medie imprese: questioni aperte e ipotesi di lavoro

La media impresa può essere ritenuta tale sia su base quantitativa sia qualitativa. Da unpunto di vista quantitativo, l’Unione Europea assimila la media impresa alla piccola (siparla sempre, infatti, di “piccole e medie imprese”) e la considera tale fino a un massi-mo di 250 dipendenti e un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro; ulteriore criteriodi definizione è la condizione di non essere posseduta per più del 25 per cento da unaazienda più grande.

Mediobanca, invece, nel suo censimento sul IV capitalismo, che ha il vantaggio di seg-mentare e di distinguere in maniera netta l’oggetto media impresa, considera tali le socie-tà di capitale la cui forza lavoro è compresa tra i 50 e i 499 dipendenti e il cui fatturatonon sia inferiore a 13 né superiore a 290 milioni di euro.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

6 Da alcuni anni Mediobanca ha avviato un’osservazione sulle principali performance delle aziende del IV Capitalismo, che sitraduce annualmente con l’assegnazione del Premio Mediobanca alle imprese che hanno avuto i tassi di crescita e di svilup-po più interessanti secondo una serie di parametri selezionati dalla banca e dal suo comitato scientifico. In generale il pro-cesso e le modalità della crescita, insieme con le potenzialità di ulteriore sviluppo, rappresentano i principali criteri di sele-zione. All’interno del ventaglio di iniziative collegato al Premio, a partire dal 2009, Fondazione ISTUD e Mediobanca organizzanoannualmente un seminario a Stresa sul tema del IV Capitalismo con l’obiettivo di:– presentare e discutere i casi delle aziende che hanno ricevuto il premio Mediobanca a un parterre di imprese, imprenditorie istituzioni che operano con lo stesso target di riferimento, al fine di riflettere e confrontarsi sulle principali questioni emer-genti nella gestione della crescita e della competitività delle imprese del IV capitalismo;

– individuare alcune caratteristiche tipiche di gestione manageriale da parte delle imprese che ne distinguono il funzionamentorispetto alle aziende di medio grandi dimensioni e ne giustificano l’appartenenza a un possibile “genus” stabile.

In occasione del seminario di Stresa, alle stesse aziende che hanno vinto il premio Mediobanca, la Fondazione assegna il pre-mio “Fondazione ISTUD”, che consiste nella possibilità di usufruire di un ventaglio di iniziative formative proposte dallascuola. Anche in questo caso, l’obiettivo è quello di favorire l’accesso alla formazione manageriale per queste aziende, con-sapevoli della crucialità e della funzionalità della formazione manageriale nei processi di crescita.

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

La Fondazione ISTUD integra il processo di definizione del campo di analisi apportan-do una descrizione più qualitativa. Una delle caratteristiche tipiche delle imprese ricon-ducibili a questa tipologia sembra essere, infatti, la capacità di tenere in equilibrio fat-tori che in altri tipi di imprese, quali ad esempio la grande impresa, appaiono inconci-liabili.

Il sistema delle ipotesi che ha indirizzato il progetto di ricerca, presentato nel presenteQuaderno, ruota intorno alla verifica della consistenza di alcune priorità manageriali checontraddistinguono il modo di essere e di operare delle Aziende medie.

Nella sostanza, si tratta di comprendere se il governo delle tensioni accennate in pre-messa suggeriscono un modello di gestione e di management specifico, oppure se siamoin presenza di forme ridotte e adattate di modelli di management tradizionalmente svi-luppati e adottati nella grande impresa e trasferiti in maniera più o meno acritica su tar-get di natura ridotta.

La nostra ipotesi di partenza, sostenuta da numerose riflessioni svolte negli anni, è che leimprese medie appartengano a un genus stabile, cioè a una configurazione di impresa concaratteri propri che non imitano, “in piccolo”, quelli della grande impresa né tantomenone rappresentano lo stadio prematuro.

Le evidenze emerse durante differenti occasioni di osservazione hanno favorito la sceltadi quattro aree di indagine sulle quali è interessante notare la modalità di gestione delleimprese. In linea con l’obiettivo conoscitivo della ricerca, le quattro aree di indagine ven-gono studiate in relazione ai processi di crescita.

Le aree di indagine sono:• la governance; • la gestione delle Risorse Umane;• l’internazionalizzazione;• l’innovazione.

Quale è in generale la relazione fra questi parametri e i processi di crescita?Per quanto riguarda la governance, una prima osservazione dei comportamenti delle

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imprese medie indica il fatto che la crescita è concomitante con l’apertura dell’aziendaad apporti esterni, sia in fase di assetto istituzionale sia in fase di management profes-sionale. Capire il ruolo, la funzione e la tipologia delle professionalità che accompagna-no questo processo sembra una condizione importante nelle imprese in crescita. Perquanto riguarda la gestione delle Risorse Umane, l’interesse deriva dal fatto che la cre-scita ha una immediata correlazione con l’aumento degli organici, e la gestione dellerisorse diventa il passaggio cruciale per creare valore senza, tuttavia, appesantire inmaniera significativa il processo decisionale e la distribuzione delle responsabilità.

Internazionalizzazione e innovazione sono le leve tradizionali della crescita delle impre-se di piccole e medie dimensioni: apertura a mercati esteri e capacità di avere un prodot-to/processo sempre in linea con le aspettative dei clienti e dei mercati sono le chiavi delsuccesso delle imprese e sono i driver generali della crescita. Anche in questo caso, laloro comprensione facilita l’individuazione della formula del successo e l’originalitàdella soluzione strategico-organizzativa.

Il tema della Governance

Le imprese medie hanno generalmente un tratto manifesto “familiare” o in ogni casoimprenditoriale: è presente e attivo in modo evidente un imprenditore di riferimento espesso una famiglia imprenditoriale di riferimento. Tuttavia sono presenti “amministra-tori” indipendenti che rappresentano figure di cerniera e di congiunzione fra la famigliae il mercato.

Il collegamento fra organizzazione, “governance” e “tassi di crescita” emerge in manie-ra evidente. La logica è chiara: separare laddove possibile le logiche di funzionamentodella famiglia da quella dell’azienda, valorizzare i tratti distintivi della dimensione fami-liare, quali le dimensioni dell’appartenenza e del risparmio, ma nello stesso tempo lascia-re autonomia e neutralizzare il peso della famiglia nelle decisioni che concernono i pro-cessi di crescita.

Evidenze raccolte in bibliografia e da ricerche precedenti indicano che in aziende ogget-to di analisi, esponenti familiari e management professionale interagiscono a diversilivelli, generando un meccanismo virtuoso in cui il gruppo imprenditoriale misto agisceunitariamente secondo valori e stili di management condivisi. È questo che le distingue

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

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da un lato da quelle piccole, tutte costruite intorno alla famiglia e ai suoi membri, e dal-l’altro dalle grandi multinazionali, dove i meccanismi di relazione e di appartenenza sonospersonalizzati e basati esclusivamente su ruolo, carriere, sviluppo e competenza.Coerentemente con questa impostazione, i sistemi di governance sono basati sull’intera-zione tra le diverse componenti.

La prima area di indagine è orientata quindi a capire:• la diffusione del fenomeno di una governance aperta e la sua presenza in correla-zione ad alcuni indicatori, quali fatturato, tipologia di mercati, posizionamentosulla filiera;

• la sua funzionalità in termini di rappresentanza e attività specifiche correlate;• la qualità e l’intensità delle relazioni che generano una “governance” aperta e i suoiimpatti sulla crescita dell’impresa.

Le Risorse Umane

Un tratto comune sembrerebbe caratterizzare anche la gestione delle Risorse Umane,lasciando emergere una certa “peculiarità” delle aziende medie7, che si traduce in unafilosofia di gestione delle persone originale, realmente orientata alla creazione di valore.I tratti distintivi di questa filosofia possono essere così riassunti:

• in primo luogo, la costruzione, fin dall’ingresso in azienda, di un rapporto direttoe personale con tutti i lavoratori che, nel caso in cui la famiglia sia attiva in azien-da, garantisce alle persone la gratificazione tipica di una relazione immediata conla proprietà. Il tema dell’ingresso nell’azienda “famiglia” è un aspetto molto cura-to generalmente dalle aziende; i percorsi formativi sono molto strutturati all’in-gresso e la compatibilità “sociale” è oggetto di grande attenzione. È necessariomonitorare e comprendere se questo tratto persiste anche in caso di inserimenti dimanagement professionale con esperienza lavorativa. Le aziende negli ultimi annihanno inserito ai più diversi livelli persone che non avevano un vissuto di relazio-ne con l’azienda fin dall’origine;

7 Quaratino L. “Lo Human Resource Management nelle imprese del settore delle macchine utensili: i risultati di una ricerca”in Boldizzoni D., Serio L., La Gestione delle Risorse Umane nelle PMI, Laterza 2011.

• in secondo luogo, la tendenza a una gestione molto personalizzata delle risor-se umane, conseguenza immediata di un rapporto diretto e personale. Da que-sto punto di vista, almeno dalle descrizioni che emergono dalle parole dei pro-tagonisti e dai casi oggetto di indagine, la considerazione della “persona” alcentro della creazione del valore si manifesta in una gestione ad hoc, che vedela costruzione su “misura” di alcune azioni che possono funzionare da collan-te organizzativo. In questo rappresentano una grande anticipazione, ad esem-pio, rispetto ai comportamenti delle grandi aziende, che stanno scoprendo solodi recente il potenziale innovativo di una gestione personalizzata e di conse-guenza compiono un passo indietro rispetto a politiche universalistiche e digestione dei grandi numeri che hanno creato disaffezione e scollamento rispet-to alle priorità aziendali;

• in terzo luogo, la tendenza alla fidelizzazione delle risorse sia sul fronte manage-riale, anche se non sempre troppo citato, sia su quello tecnico. La piattaforma discambio, di patto fra individuo e organizzazione, è molto chiara: lavoro dal conte-nuto interessante e stimolante, un ambiente di lavoro sano e nel limite del possibi-le piacevole, un contesto di business che si muove sul fronte dell’innovazione e chepermette senza troppi filtri a chiunque, anche a chi ricopre posizioni operative, diavere interlocuzioni di alto livello, anche e soprattutto su scala internazionale. Incambio, una fidelizzazione nel tempo e un commitment molto forte rispetto allepriorità aziendali e alla salvaguardia dell’equilibrio famiglia – impresa;

• in quarto luogo, un luogo aperto e disponibile ad un aggiornamento continuo. Leimprese medie hanno numeri limitati nella formazione sulle tematiche del mana-gement, ma hanno una formazione continua, istituzionale e personalizzata, moltosviluppata sulla dimensione tecnica, con il tentativo di far convergere gli interessiindividuali con gli obiettivi organizzativi;

• in quinto luogo, uno stile di gestione orientato molto alla responsabilizzazione dellepersone a tutti i livelli.

Da questo punto di vista agiscono positivamente due dimensioni:

• la prima è che gli organici sono molto essenziali e in quanto tali non ci sono ridon-danze su cui diluire il processo di responsabilità operativa;

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

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Parte Prima

• la seconda è che la famiglia depura ogni aspettativa di “potere” gestionale da partedei dipendenti, in quanto ne esclude nella sostanza ogni accesso nel tempo e vei-cola tutti gli sforzi e tutte le attività su una dimensione esclusivamente tecnica.

La fotografia che emerge da questa prospettiva è che, contrariamente alle considerazionigenerali sul tema, nelle imprese di medie dimensioni la gestione delle Risorse Umane èevoluta e si sostanzia in una combinazione interessante fra leve hard e soft che consen-tono una certa fluidità dell’organizzazione e una non ingessatura dei processi.

Le modalità di organizzazione e lavoro sono riconducibili alla definizione cappellodi lean organisation, cui le aziende si riferiscono spesso. La sensazione, comunque,è che con il termine lean non si faccia riferimento a processi diretti o specifici eancora meno a pratiche identificate rispetto a questi processi (la cultura lean, difatto, è costruita su alcune tecniche manageriali precise), ma piuttosto ai requisiti diessenzialità e flessibilità che contraddistinguono ogni pratica aziendale.

In questo quadro, le Risorse Umane rappresentano la seconda area di indagine dellepratiche manageriali in questa ricerca, con l’intento di confermare se:

• le evidenze emerse ricorrono con frequenza in campioni più significativi di imprese;

• i tassi di crescita alterano questo equilibrio e quindi se si tratti di fattori criti-ci da monitorare;

• la progressiva multiculturalità degli organici farà emergere altri tratti oppure se ilcontesto sociale di riferimento attenua differenze di cultura e provenienza.

L’Internazionalizzazione

Un terzo tratto che accomuna le imprese oggetto iniziale del nostro campione è una dif-fusa presenza nei mercati esteri. Per tutte, più del 70% del fatturato è sviluppato nei mer-cati esteri. Altre ricerche correlate di Mediobanca confermano la diffusione e la ricor-renza di questo dato sulle imprese medio piccole, con una incidenza ancora più alta perle imprese di piccolissime dimensioni. In generale, dunque, è molto forte la correlazionefra crescita e internazionalizzazione.

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È una internazionalizzazione radicata, in una prospettiva di lungo periodo, il cui model-lo prevalente è quello del controllo diretto del canale distributivo nel mercato estero. Unmodello organizzativamente oneroso, che tuttavia è assolutamente in linea con le moda-lità di gestione e di organizzazione prevalenti in queste imprese. Eventuali forme diver-se non sono figlie di una strategia deliberata, piuttosto condizionate dai vincoli normati-vi previsti nelle aree di presenza. Il modello è interamente basato sul trading, con il cen-tro in Italia, dove sono gestite tutte le prevalenti attività di sourcing e tutte le funzioniprincipali della catena del valore, e una periferia che distribuisce prodotti e servizi. È evi-dente che lo scambio non è completamente univoco, nel senso che anche dalla periferiacommerciale possono giungere impulsi e sollecitazioni utili alla definizione strategica,ma sono occasionali e contingenti.

I nuovi mercati imporranno presenze differenti rispetto a quelle che abbiamo visto nelleimprese medie, soprattutto nei settori dei beni intermedi, e la complessità riguarderà pro-cessi più integrati di localizzazione produttiva e il sourcing internazionale.

La prospettiva in gioco, da questo punto di vista, sarà osservare il progressivo passaggioda una dimensione puramente internazionale, in cui il ruolo delle unità estere è adattaree sfruttare le competenze della casa madre italiana con un certo rigore nel seguire le stra-tegie dettate, a una dimensione transnazionale, in cui ogni “satellite” distribuito nei mer-cati globali apporti e scambi contributi differenziati in base alle caratteristiche e allepotenzialità del territorio in cui opera, sia in termini commerciali ma soprattutto in ter-mini di relazione, scambio e creazione di valore8.

In altre parole, bisognerà comprendere se il sistema di relazioni che ha sostenuto leimprese nei processi di sviluppo con baricentro in Italia si riprodurrà, in forma diversama con eguale intensità ed efficacia, nei nuovi contesti dove le aziende saranno chiama-te a competere. Strumenti operativi, competenze tecniche e competenze managerialipotranno essere integrate nella gestione delle nuove priorità.

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Parte Prima

8 Per riferimenti specifici all’impianto teorico, confronta tra gli altri: Bartlett C., Ghoshal S., Transnazionale: modello orga-nizzativo emergente in “Management Globale” (edizione italiana a cura di Alessandro Sinatra) ETAS, 2001; Ghoshal S., Unabuona teoria manageriale (edizione italiana a cura di Luigi Serio), ILSOLE24ORE, 2009.

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

Da questo punto di vista, la terza area di indagine è quella di osservare il processo diinternazionalizzazione delle imprese e le eventuali evoluzioni in termini di forme, moda-lità, sistemi di relazione e impatto nei processi di costruzione del valore; e di osservare,inoltre, l’evoluzione del set di competenze manageriali critiche per governare l’evoluzio-ne del processo di internazionalizzazione.

L’Innovazione

Una quarta area di indagine riflette i processi di innovazione e il loro impatto sui fattoridi crescita.

È stato più volte sottolineato il fatto che l’innovazione costituisce senza dubbio unodei fattori critici di successo per le imprese Medie, che caratterizza in modo distin-tivo il loro posizionamento strategico. Attraverso di essa, infatti, è possibile esseresempre all’avanguardia dal punto di vista non solo tecnologico, ma anche della piùampia capacità di offrire soluzioni complesse e integrate in linea con l’evolversidelle esigenze del mercato. La riflessione non è solo cruciale da un punto di vistamanageriale e per le ripercussioni che genera sul processo di creazione del valore,ma anche e soprattutto perché non è mai stato molto chiaro come queste aziendesiano capaci di restare competitive pur avendo quote modeste di fatturato impiega-to in innovazione (quote rilevanti nel particolare della singola azienda, ma modestese lette in una prospettiva generale).

L’innovazione prevalente è di due tipologie:

• l’innovazione di processo, che riguarda i modelli di organizzazione interna adotta-ti e mira ad aumentare l’efficienza e l’efficacia dei flussi lavorativi, ad esempio intermini di lead time. Si tratta di un tipo di innovazione la cui responsabilità non èsolamente concentrata nel mondo tecnico, ma è piuttosto diffusa a tutti i livelli. Sitratta comunque e soprattutto di un processo interno all’azienda;

• l’innovazione di prodotto, che si caratterizza innanzitutto per essere basata su unalogica di tipo incrementale: essa si fonda infatti principalmente sulla ricerca di pic-coli miglioramenti continui e su nuove combinazioni di mercato, tecnologia e fun-zione d’uso.

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Nel complesso, l’innovazione in questa tipologia di aziende può essere definita come unprocesso interattivo e multi-attore, nel senso che essa è basata sul dialogo e lo scambiocontinui e “a due vie” tra una pluralità di soggetti interni ed esterni all’impresa9. Restatuttavia una sostanziale asimmetria fra l’impresa media, che governa il processo di inno-vazione, e le altre imprese della filiera; l’impresa guida è nella sostanza l’attore princi-pale del processo di innovazione, di cui governa il sistema sociale di interazione con glialtri membri della filiera ed è anche il principale beneficiario degli output prodotti.

Volendo provare a sintetizzare queste riflessioni relative ai processi di innovazione, collocan-dole nell’ambito del più generale dibattito della letteratura internazionale su questo argomen-to, sorge una domanda: ci si trova di fronte ad un modello di close o di open innovation10?

La logica di innovazione close si basa sull’idea di mantenere il vantaggio competitivo attra-verso l’enfasi sulle barriere all’entrata, sia di natura organizzativa, attraverso l’importanzadella funzione Ricerca e Sviluppo, sia di natura finanziaria, attraverso gli investimenti in taliattività e la tutela della proprietà intellettuale. Il quadro in sintesi descritto ruota intorno aitemi del controllo, della prospettiva “gerarchica” dello sviluppo e si declina in caratteristichedi dimensione, strategia di influenza e valorizzazione del capitale umano interno.

Il modello open consiste invece in un sistema in cui cooperazione e legami fra attoridiversi generano input innovativi utili per il mercato. In altre parole, il concetto di inno-vazione aperta indica il fatto che network di organizzazioni, pubbliche e private, agisco-no insieme per innovare; la creazione di valore non è il risultato esclusivo di una trasfor-mazione interna di input in output – come indica il tradizionale modello di innovazione –piuttosto la combinazione intelligente ed efficace di risorse interne e esterne.

L’ipotesi ampiamente sostenuta dalle ricerche effettuate ad oggi è che si tratti un model-lo “socchiuso”11. Da un lato, infatti, continua a prevalere un forte baricentro interno delle

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Parte Prima

9 Quaratino L. “Lo Human Resource Management nelle imprese del settore delle macchine utensili: i risultati di una ricerca”in Boldizzoni D., Serio L., La Gestione delle Risorse Umane nelle PMI, Laterza 2011.La condivisione e lo scambio sono alla base della creazione del capitale intellettuale e si alimentano dal capitale sociale ter-ritoriale in cui l’azienda opera (Ghoshal, op. cit.)

10 Quaratino L., Serio L., L’innovazione aperta in Sviluppo e Organizzazione, Settembre 2009.11 Quaratino L. “Lo Human Resource Management nelle imprese del settore delle macchine utensili: i risultati di una ricerca”

in Boldizzoni D., Serio L., La Gestione delle Risorse Umane nelle PMI, Laterza 2011.

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Parte Prima

attività di innovazione, concentrate strategicamente nell’ufficio tecnico e di ricerca e svi-luppo; dall’altro, i rapporti di interazione strutturati con clienti, fornitori e partner indu-striali e, soprattutto in prospettiva, la crescita dei rapporti di collaborazione conl’Università e i centri esterni di ricerca e innovazione tecnologica anche a livello interna-zionale, sembrerebbero condurre le aziende verso modelli meno timidi di open innova-tion, in linea con le principali esperienze e pratiche di successo presenti nei contesti inter-nazionali.

Anche in questo caso, sarà interessante osservare se lo spostamento della filiera in altricontesti per esigenze produttive riprodurrà i contesti favorevoli all’innovazione, o se leaziende dovranno introdurre modelli di organizzazione dell’innovazione diversi e dalprofilo meno proprietario.

La quarta area di indagine da monitorare, da questo punto di vista, è rappresentata dalprocesso di creazione di innovazione e dall’intensità e qualità degli scambi, sia con lafiliera di riferimento verticale sia con quella strategica orizzontale.

Il disegno della ricerca

Al fine di verificare le ipotesi di ricerca descritte, è stata progettata e realizzata un’indagi-ne sul campo presso un gruppo di aziende Medie. L’opzione di fondo è stata per una meto-dologia di tipo qualitativo basata sull’idea di studiare in profondità un numero ristretto dicasi (Yin, 1994)12. Tale scelta privilegia la ricostruzione dettagliata dei fenomeni indagaticercando di comprenderne le causa (“il perché”) e i processi attraverso cui si manifestano(“il come”), piuttosto che la misurazione della loro frequenza (“il cosa” e “il quanto”).

In primo luogo, ciò appare coerente con il particolare “oggetto” di studio della ricer-ca, vale a dire realtà aziendali caratterizzate spesso da un elevato grado di informali-tà ed eterogeneità. Si tratta di due fattori che pongono in termini metodologici il pro-blema di quale potrebbe essere la reale efficacia di un’indagine estensiva, tramite que-stionario, in un ambito così sfumato e diversificato, quindi difficile da circoscriverecon precisione.

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12 Yin, Robert K. Case Study Research Design and Methods, 1994.

In secondo luogo, la scelta di un approccio qualitativo appare particolarmente indicataper esplorare a fondo un fenomeno relativamente nuovo e sul quale le teorie di riferi-mento disponibili sono ancora molto limitate (Eisenhardt, 1989)13.

In particolare, è stato realizzato uno studio di caso multiplo, presso sette imprese. Nontrattandosi di un’indagine campionaria, la selezione dei casi non ha risposto a criteri dirappresentatività statistica dell’universo di appartenenza. Sono invece stati privilegiatialcuni criteri di tipo qualitativo, coerenti con gli obiettivi generali della ricerca.

La scelta del campione ha tenuto conto di un vincolo e di alcune opzioni metodologiche.In primo luogo, il vincolo è caratterizzato dal fatto che tutte le aziende orbitassero nelleprovincie di Milano e di Monza Brianza, spiegato dal fatto che il progetto da cui la ricer-ca è stata alimentata, aveva una caratterizzazione territoriale in queste aree14. In secondoluogo, sono state scelte aziende a forte caratterizzazione familiare e in cui la dinamicaproduttiva/manifatturiera fosse di una qualche rilevanza. Il campione è stato inoltre inte-grato con aziende che avessero mostrato negli ultimi anni propensioni alla crescita signi-ficative e che avessero avuto genesi afferenti alle nuove forme di imprenditorialità, daspin off industriali o da leverage finanziari.

La raccolta dei dati sul campo si è basata sull’utilizzo della tecnica dell’intervista in pro-fondità. Le interviste, della durata indicativa di circa un paio di ore, sono state condottecon i titolari/amministratori delle imprese sulla base di una check-list dettagliata, costrui-ta dal gruppo di ricerca a partire dalle ipotesi descritte in precedenza (cfr. allegato 1).

Durante l’intervista sono state esplorate quattro aree specifiche:

• i modelli di governance;• le politiche e i sistemi di gestione e sviluppo delle risorse umane;• i processi e le modalità di internazionalizzazione;• le logiche e i processi di innovazione.

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Parte Prima

13 Eisenhardt, Kathleen M. Building Theories From Case Study Research, Academy of Management. The Academy ofManagement Review; Oct 1989; 14, 4.

14 Piano Formativo “GRIN – Green & Innovation Management” FDIR3135 Fondirigenti Avviso 1/2011

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Parte Prima

Ove possibile, sono anche stati raccolti documenti utili a completare il quadro informativorelativo all’azienda studiata (brochure, documenti organizzativi e strategici, informative suiprodotti, ecc.). Le interviste sono state realizzate sempre presso le aziende e questo ha con-sentito un utile momento di contatto diretto dei ricercatori con la realtà specifica analizzata.

In generale, l’accoglienza presso le imprese è stata molto buona come pure la disponibi-lità a raccontare nel dettaglio la propria esperienza professionale e la propria azienda.

I casi sono riportati in forma completa nella seconda parte del Quaderno.

Analisi degli studi di caso

In questa sezione sono riportate le principali evidenze emerse dallo studio di caso multi-plo. Il processo di analisi ha previsto una “lettura trasversale” dei casi attraverso le quat-tro lenti fondamentali di lettura che caratterizzano il modello proposto in questa ricerca:la governance, la gestione delle risorse umane, l’internazionalizzazione e l’innovazione.

L’obiettivo è stato quello di verificare se esistessero delle ricorrenze tra le diverse azien-de studiate e se queste ricorrenze fossero ascrivibili all’idea di impresa Media descrittanella prima parte di questo rapporto.

È importante premettere che le aziende studiate presentavano alcune differenze significati-ve in termini quantitativi (ad esempio, la dimensione dell’organico) e qualitativi (ad esem-pio la quotazione o meno in borsa), riconducibili al fatto di collocarsi in fasi diverse del pro-prio processo di sviluppo. Da questo punto di vista, i dati emersi più che scattare una foto-grafia istantanea di una situazione, raccontano un film in movimento, mostrando anche unprocesso evolutivo che sembrerebbe caratterizzare il “genere” di imprese analizzato.

Qui di seguito, è presentato in sintesi il risultato di tale processo di analisi e interpreta-zione dei dati raccolti sul campo.

La governance

Per quanto riguarda le logiche e gli assetti delle strutture di governance, la parola d’ordi-

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ne sembra essere quella della ricerca della separazione tra proprietà e gestione, anche seciò avviene con gradi anche molto differenti nei diversi casi.

Alcune ricorrenze emergono nelle aziende quotate in borsa, che sono tenute a dotarsi dideterminate strutture, sistemi e strumenti di governo per ragioni di tipo normativo.Tuttavia, al di là delle previsioni di legge, il movimento deciso nella direzione indicata èstato determinato anche da ragioni di tipo sostanziale, vale a dire la necessità di gestireun livello di complessità di business e organizzativa molto elevato.

Pertanto, a fronte di un notevole aumento della complessità da gestire, la famiglia fonda-trice dell’azienda ha deciso di rimanere in una situazione di controllo della proprietà –attraverso un pacchetto di maggioranza – facendosi però affiancare da un managementesterno per la gestione. Il contributo atteso da parte di questi manager, in prevalenza pro-venienti da esperienze significative all’interno di grandi gruppi multinazionali, è di unainiezione robusta di “professionalità manageriale” che assicuri all’impresa la forza neces-saria per muoversi in un contesto di business sempre più dinamico, complesso e globale.

In realtà, tra proprietà e gestione rimane un raccordo piuttosto forte che si gioca su dimen-sioni sia di tipo formale sia informale. In primo luogo, i membri della famiglia rimango-no generalmente nelle posizioni di Presidente, Vicepresidente e Amministratore Delegato.In secondo luogo, il fattore critico di raccordo tra i due mondi diventa il business plan/bud-get che dovrebbe appunto conciliare i diversi interessi in gioco: da un lato, la possibilitàper la famiglia di dare gli indirizzi strategici di fondo e dall’altro lato l’esigenza del mana-gement di muoversi in piena autonomia una volta definite le linee guida. In questo modo,la proprietà ritorna in gioco solamente a fronte di scostamenti imprevisti e rilevanti rispet-to alle previsioni. In terzo luogo, sembra svolgere un ruolo importante anche la sintoniaesistente, su un piano informale, tra proprietà e manager rispetto alla filosofia di fondodell’azienda: ad esempio, l’attenzione estrema alla relazione con i clienti anche a costo disacrificare qualche punto percentuale di efficienza. Si potrebbe dire che la presenza di unafamiglia fondatrice e portatrice di determinati valori finisca per contaminare anche unorgano tecnico – come il management – che potrebbe teoricamente prescindere da dimen-sioni di tipo valoriale una volta ricevuto un mandato di business.

Nelle realtà non quotate, o comunque di minori dimensioni, i confini tra proprietà emanagement – che abbiamo visto essere comunque abbastanza fluidi – tendono inevita-bilmente a confondersi ulteriormente.

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Parte Prima

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

Questo, in quanto la famiglia proprietaria tende a entrare maggiormente nelle vicen-de gestionali, sia perché interessata a ribadire il proprio imprinting svolgendo unruolo per così dire di “consulente interno” a beneficio del management professio-nale sia perché, talvolta, risucchiata anche su decisioni più operative attraverso unprocesso di escalation verso l’alto. In tali casi, se è evidente il vantaggio di avereuna proprietà presente che prende decisioni e chiarisce le posizioni dell’aziendarispetto a determinate problematiche, è altrettanto vero che, potenzialmente, si aprela delicata questione di come continuare a garantire l’autonomia e la legittimazioneinterna del management.

Nei casi in cui la famiglia proprietaria è addirittura presente nei ruoli gestionali piùimportanti, il problema cambia ancora, diventando quello di garantire una sufficienteapertura del sistema aziendale verso l’esterno, al fine di sostenere nel medio termine lacapacità competitiva dell’impresa. Le strade adottate in questi casi per evitare il rischiodi autoreferenzialità da parte dell’azienda sono diverse.

La via più semplice e immediata è costituita dal far fare un’esperienza esterna all’iniziodel proprio percorso professionale ai familiari di nuova generazione che si apprestano aentrare in azienda. Appare tuttavia decisivo il fatto che si tratti di esperienze consistenti,non solo in termini di durata temporale ma anche di livello delle responsabilità ricoper-te, affinché vi sia poi una effettiva capacità di introdurre nell’organizzazione e nei suoiorgani di governo elementi sostanziali di novità. Al contempo è un processo critico, dalmomento che il rientro di un familiare “maturo” – e quindi con una sua visione autono-ma del business e dell’organizzazione – richiede notevoli sforzi di adattamento e inte-grazione da entrambe le parti.

Altre possibilità interessanti sono legate all’adozione di un advisory board che attraver-so presenze esterne qualificate sia in grado di offrire alla famiglia un tavolo di confron-to periodico sulle questioni strategiche e sugli indirizzi di fondo dell’impresa, oltre cheun’occasione per allargare l’analisi dei problemi, spersonalizzandoli, almeno parzial-mente, dal carico emotivo che la sovrapposizione tra famiglia e gestione inevitabilmentedetermina.

Va sottolineato, comunque, che in queste tipologie di imprese è stata evidenziata quasisempre l’importanza decisiva, per proseguire la crescita, di un processo progressivo ecostante di managerializzazione.

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La gestione delle Risorse Umane

Anche sul versante della gestione e dello sviluppo delle risorse umane il quadro com-plessivo emerso è piuttosto differenziato, dal momento che mentre nelle realtà più gran-di e articolate esistono una funzione e dei sistemi formali dedicati, in quelle più piccolee con una presenza diretta della famiglia il grado di istituzionalizzazione della funzioneè molto più ridotto, limitandosi alle dimensioni amministrative, contrattualistiche e direlazioni industriali.

Tuttavia, a fronte di un grado di formalizzazione e strutturazione eterogeneo, si registra-no alcuni elementi forti di continuità. In tutte le realtà incontrate, infatti, la gestione dellerisorse umane appare innanzitutto legata non tanto all’adozione di sistemi formali digestione quanto alla presenza diffusa di una dimensione valoriale molto forte. Come seesistesse un nucleo centrale di princípi di fondo che stanno nel DNA della proprietà/fami-glia e che diventano il riferimento imprescindibile per orientare le politiche di gestionedelle persone. Appare allora comprensibile l’attenzione con cui la proprietà tende a veri-ficare di volta in volta la vicinanza a questo nucleo fondamentale di valori da parte deimanager selezionati all’esterno. Questi ultimi infatti, tra le prime cose, devono dimostra-re di essere rispondenti ad un certo profilo, non solo tecnico, ma anche e soprattutto valo-riale, che avranno la responsabilità di trasmettere, diffondere e confermare a tutta la strut-tura organizzativa da loro gestita.

Questo processo di cooptazione e successivo cascading di un set di valori attorno ai qualisono imperniate le politiche e lo stile di gestione delle risorse umane appare cruciale dalmomento che, soprattutto in assenza di una funzione molto strutturata, diventa essenzia-le il ruolo del management di linea nella gestione e sviluppo del capitale umano.

Volendo provare a enucleare i cardini del modello di gestione delle persone rilevato,emergono i seguenti aspetti:

• tendenza a una gestione attenta al singolo e alle sue esigenze, che nei diversi casipuò tradursi in attenzione all’equilibrio tra vita e lavoro (ad esempio attraversoorari flessibili), in percorsi di miglioramento professionale personalizzati, ecc.;

• attenzione estrema alla fidelizzazione delle risorse, prevedendo un ampio spettro disoluzioni che favoriscano la permanenza in azienda (il bassissimo turnover che

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Parte Prima

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Parte Prima

caratterizza generalmente le imprese incontrate rappresenta un indicatore importa-te in questo senso);

• lo sviluppo fin dall’ingresso di un rapporto diretto e quanto più possibile persona-le con le risorse, che vede da questo punto di vista impegnati in prima persona siail management sia la proprietà, che spesso si spende in prima persona in momentidi incontro, comunicazione e condivisione con il personale anche di livello opera-tivo (proprio per rinforzare l’unità di visione e lo spirito di appartenenza);

• offerta di un ambiente di lavoro che garantisce un incremento costante della pro-pria professionalità, sia tramite iniziative formali di addestramento e formazionesia, soprattutto, attraverso l’elevata qualità dell’esperienza professionale (tipologiadi interazioni, interesse delle problematiche gestite, ecc.);

• orientamento alla responsabilizzazione individuale, fattore che consente quasi sem-pre di vedere l’impatto del proprio impegno e lavoro sui risultati dell’azienda e cheal contempo non permette di “nascondersi” e cercare di sopravvivere nelle pieghedell’organizzazione;

• offerta di un contesto organizzativo fortemente orientato all’etica nella gestione delbusiness, del rapporto con i propri clienti e quindi con i dipendenti.

In questo quadro complessivo si registrano due questioni critiche specifiche legate allagestione delle persone.

In primo luogo, la necessità di gestire un problema abbastanza diffuso di “skill shortage”sul versante delle competenze tecniche. Soprattutto dai mondi della meccanica vienesegnalata una perdita di professionalità complessiva del mercato del lavoro in relazionead alcuni mestieri in via di estinzione. Ma anche chi opera in altri settori segnala la dif-ficoltà di recuperare determinate competenze tecniche, che rappresentano la vera e pro-pria linfa vitale dell’azienda. I correttivi oggi utilizzati fanno riferimento all’intensifica-zione delle relazioni con il sistema dell’istruzione e della formazione – istituti tecnicisuperiori, università e politecnici – con i quali vengono realizzati stage formativi, breviinternship e progetti di collaborazione.

Naturalmente la dimensione e la visibilità dell’azienda hanno in questa dinamica un

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ruolo decisivo: mentre le aziende più grandi riescono comunque a risultare abbastanzaattrattive e ad attivare partnership efficaci con il sistema educativo – addirittura per laattivazione di dottorati congiunti con le università –, per le aziende più piccole rimaneuna forte difficoltà ad attrarre personale, soprattutto giovane, e a sostenere collaborazio-ni ai livelli più alti del sistema educativo. Inoltre, per le aziende meno visibili sul merca-to, i problemi di attrazione e trattenimento delle risorse giovani si verificano spesso anchesui profili di tipo gestionale. Difficoltà che in alcuni casi sta portando gli imprenditori avalutare, come unica strada per la crescita futura dell’impresa, lo sviluppo per linee ester-ne (tramite acquisizioni) non potendo consolidarsi dall’interno attraverso l’inserimento digiovani professionalità provenienti dal mercato del lavoro.

È senza dubbio questa una questione delicata e di portata più ampia rispetto ai temi stu-diati in questa ricerca: è probabilmente il sistema-paese nel suo complesso che dovrebbecon tutte le sue forze e intelligenze riflettere su come valorizzare il mercato del lavorodelle piccole e medie imprese, ricco di opportunità che tuttavia soprattutto i giovani sem-brano non vedere15.

La seconda questione critica è invece collegata ai processi di internazionalizzazione e alletensioni che essi generano a livello di gestione delle persone non appena si supera lo sta-dio iniziale di semplice “esportazione” per passare a formule più articolate come le joint-venture, le aperture dirette di filiali e stabilimenti all’estero. I problemi che si pon-gono sono da un lato la gestione delle differenze culturali – che con paesi come la Cina,ad esempio, possono essere molto marcate e rendere più complessa la costruzione di rela-zioni di fiducia – e dall’altro la diffusione dei valori di fondo dell’impresa oltre i confi-ni territoriali tradizionali. Le esperienze raccolte indicano che sono presenti attualmenteforti investimenti su questi fronti, sia nella direzione di ospitare manager/tecnici stranie-ri in Italia o mandare i propri nelle sedi estere sia in quella di assumere persone con pre-cedenti esperienze in contesti multiculturali affinché si facciano vettori, all’interno del-l’organizzazione, di un nuovo modo di vedere e di pensare.

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15 Conferme in tal senso vengono dai risultati più recenti (2011) dell’Osservatorio “Giovani e mondo del lavoro” dellaFondazione ISTUD che evidenziano la preferenza dei giovani per le grandi imprese multinazionali e la scarsa considerazionedelle PMI come possibile datore di lavoro.

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L’internazionalizzazione

Con riferimento ai processi di internazionalizzazione, le imprese analizzate presentano inmodo marcato alcuni tratti distintivi comuni.

In primo luogo, da un punto di vista squisitamente quantitativo, i fatturati realizzati conl’estero superano mediamente il 50%, per attestarsi in diversi casi al di sopra del 70%. I mercati raggiunti sono in prima battuta l’Europa, sia occidentale sia orientale, e a segui-re l’America e l’Asia. Per diverse aziende sono i mercati emergenti del BRIC (Brasile,Russia, India, Cina) a rappresentare, in prospettiva futura soprattutto, il principale sboc-co per i propri prodotti e servizi.

In secondo luogo, va osservato che in termini più strettamente qualitativi, molte delleimprese incontrate manifestano una vera e propria vocazione internazionale, ossia unapropensione, per così dire inscritta nel proprio codice genetico, a concepire l’arena glo-bale come il proprio mercato di riferimento. In altre parole, per queste aziende l’interna-zionalizzazione è una condizione fisiologica sviluppata fin dall’inizio della propria esi-stenza, una sorta di attitudine mentale diffusa capillarmente al proprio interno; e questole rende maggiormente competitive oggi, in un’epoca di globalizzazione spinta.

È interessante rilevare che anche il lessico riflette quanto descritto: in più di un caso, leimprese incontrate si sono spontaneamente autodefinite come “multinazionali tascabili”,o “small global player”, a voler sottolineare la capacità di operare in un contesto forte-mente internazionalizzato, ma mantenendo le proprie prerogative vincenti di rapidità,flessibilità e capacità di adattamento che le distinguono nettamente dalle multinazionalipropriamente dette.

Per quanto concerne le modalità di ingresso e di presenza nei mercati esteri, le formeadottate sono piuttosto diversificate. Si va da una presenza più cauta tramite agenti e di -stributori che presidiano il versante commerciale, alla costituzione di partnership socie-tarie per la distribuzione dei prodotti/servizi, fino alla creazione di aziende delocalizzateper la produzione diretta all’estero.

Le imprese più sofisticate su questo versante finiscono spesso per integrare tra di loromodalità diverse di ingresso e penetrazione nei nuovi mercati, a seconda delle specificheopportunità da cogliere:

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• ingresso diretto, mediante l’apertura di nuove sedi operative, siti produttivi o rap-presentanze commerciali;

• acquisizioni mirate, finalizzate a “portare in casa” competenze, know-how e porta-fogli clienti di altre aziende;

• ricerca di business partner con cui costituire joint-venture e accordi di collabora-zione a vari livelli.

Un tema abbastanza cruciale – e rispetto al quale le soluzioni adottate sono ancora unavolta piuttosto differenziate – è quello delle modalità di presidio del canale. Si va da logi-che duramente proprietarie che garantiscono elevati livelli di controllo ma fanno lievita-re i costi di struttura e di gestione, a forme più leggere in cui il controllo rimane a montesulle fasi di sviluppo e realizzazione del prodotto, mentre il canale è presidiato più debol-mente (tramite agenti, ad esempio). Le scelte dipendono evidentemente dal modo in cuile diverse aziende ricercano il vantaggio competitivo: spesso, ad esempio, il controlloritorna molto forte sulle attività di assistenza tecnica che in alcuni settori sono assoluta-mente strategiche.

In sintesi, il dato più evidente che sembra caratterizzare queste imprese, pur nella loroparziale diversità, è il possesso di una “mentalità globale” diffusa: le opportunità di farebusiness, di sviluppare l’azienda e di crescere vengono ricercate a trecentosessanta gradi,dovunque si presentino nell’arena globale. Si evidenzia un misto di fiuto, intuito, capa-cità di cogliere le opportunità, ma anche di grande velocità di execution che porta leaziende incontrate a offrire i propri prodotti e servizi in qualunque territorio e mercatonel mondo in cui possano rivelarsi utili.

L’innovazione

La capacità di innovazione costituisce indubbiamente uno dei fattori chiave di vantaggiocompetitivo delle aziende studiate che, nella maggioranza dei casi, hanno saputo muo-versi da “pionieri” in un dato ambito produttivo, tecnologico o di mercato preservandonel tempo questo vantaggio attraverso investimenti cospicui e mirati.

Tali investimenti sono andati generalmente nella direzione di strutturare consistenti uffi-

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ci interni dedicati alla ricerca e sviluppo, i cui organici sono piuttosto robusti in relazio-ne alla popolazione aziendale complessiva e alle cui attività sono attribuiti ogni annobudget di diversi milioni di euro.

Anche sul versante dell’innovazione, tuttavia, non è solo una questione quantitativa, dalmomento che le imprese incontrate si caratterizzano per un orientamento complessivoall’innovazione, fatto di abitudine a interagire e a confrontarsi con la filiera di fornitura,di predisposizione all’ascolto continuo dei propri clienti e di attenzione alle novità piùinteressanti provenienti dalla ricerca di base.

In genere, il tipo di innovazione che caratterizza le imprese che hanno partecipato allaricerca è di tipo incrementale, vale a dire basata su una logica di perfezionamento conti-nuo delle tecnologie esistenti o di allargamento degli ambiti di utilizzo di determinateapplicazioni. Questo è spiegabile sulla base del fatto che oggi, sempre più, per poterearrivare a innovazioni di tipo “breakthrough” occorre una capacità di investimento ini-ziale che solamente le grandissime multinazionali possono permettersi. In presenza di unritorno sull’investimento incerto nel quanto e nel quando, risulta generalmente tropporischioso intraprendere questa strada.

Infine, è interessante osservare che le logiche e i processi dell’innovazione di molte delleaziende incontrate sembrano attualmente muoversi lungo alcune traiettorie comuni.

Da un lato, si assiste allo spostamento dall’innovazione di prodotto a quella di processo.In realtà non si tratta di una sostituzione ma di una integrazione: se prima contava soprat-tutto il presidio della tecnologia, sulla quale era indispensabile ma anche sufficiente avereun primato costante, oggi sempre più appare premiante la capacità di innovare i propriprocessi per migliorare la triangolazione costi, tempi e qualità del prodotto/servizio afavore del cliente, sia nel “business to business” sia nel “business to consumer”. È infat-ti grazie alla combinazione “integrata” di innovazione di prodotto e di processo chediventa possibile essere difficilmente imitabili dai propri concorrenti.

Dall’altro, si registra un progressivo allentamento delle logiche “proprietarie” nei con-fronti dell’innovazione, basate su un controllo diretto di risorse e processi (quella cheviene definita come close innovation). Si tratta infatti di un approccio che, pur rimanen-do dominante, sempre più spesso deve fare i conti con la necessità stringente di condivi-dere i costi e i rischi dell’innovazione con altri soggetti. Pur non arrivando a un modello

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di vera e propria open innovation, diverse aziende stanno quantomeno andando nelladirezione di un modello “socchiuso” che si apre parzialmente ad apporti, contributi, com-petenze e risorse esterne all’azienda. Anche in questo caso l’intensità di tali processi diapertura, come pure il ventaglio di soluzioni adottate dalla singola impresa, sono piutto-sto diversificati:

• collaborazioni su piccola scala a livello di filiera, coinvolgendo la rete di fornituranei processi di innovazione;

• partnership con centri di ricerca internazionali finalizzati all’acquisizione di cono-scenze e know-how esperti dall’esterno;

• alleanze strategiche con altri operatori del settore finalizzati a condividere i costi ei rischi degli investimenti in innovazione, mantenendo tuttavia l’autonomia a livel-lo di distribuzione commerciale.

L’impresa media e la stabilità del “genus”

Pur in presenza di un campione abbastanza limitato numericamente e dal profilo nonsempre congruente, così come indicato nella descrizione della metodologia, le evidenzeche emergono dai casi e dalla loro lettura incrociata restituiscono un quadro assoluta-mente fluido, caratterizzato dall’emergere di alcuni tratti ricorrenti. In questo senso èpossibile ricostruire un filo conduttore comune che, partendo dalle ipotesi elaborate inpremessa, sintetizza alcune possibili chiavi di lettura e strategie di intervento relativa-mente alle imprese medie, non sempre in continuità con la letteratura prevalente sultema16.

L’espressione IV Capitalismo nasce per individuare e classificare un genus di impresadalla forte matrice manifatturiera.

Oggetto di attenzione del IV Capitalismo è l’impresa media, la cui forma e natura è ilrisultato di un processo di crescita e di consolidamento che, in un determinato momento

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

16 Per una rassegna sul tema, si rimanda al paragrafo “Lo stato dell’arte sulle medie imprese: questioni aperte e ipotesi di lavo-ro” e alla “Bibliografia di riferimento” presente nel Quaderno.

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

(in genere dentro il range individuato da Mediobanca) raggiunge una sua stabilità in equi-librio fra una dimensione minima imposta dal settore e l’ampiezza della complessità gover-nabile dal management. Questa opzione di crescita determina il posizionamento in unasorta di “terra di mezzo” tra la grande impresa e la piccola impresa, dove tensioni organiz-zative diverse trovano una sintesi e una mediazione di grande originalità e interesse17.

Sempre a questa categoria, per fatturato e numero di addetti, vengono associate impreseche hanno caratteristiche diverse. Sono imprese che nascono nei laboratori di ricerca,attraverso un incrocio interessante tra finanza e imprenditorialità: sono spin off di altreimprese che dall’impresa gemmante traggono e mantengono parti significative di gestio-ne e di managerialità. La loro è una crescita spesso molto rapida in termini di fatturato,hanno forme di divisione del lavoro flessibili che impattano sul numero dei dipendenti,introducono nella loro prospettiva una sorta di temporaneità programmata, nel senso chehanno un task o un’opportunità per cui nascono e si trasformano in altro una volta rag-giunto l’obiettivo. Questa categoria è poco rappresentata in questa ricerca, avendo fattouna scelta metodologica diversa. Tuttavia iniziano a essere presenti, in letteratura e nellepratiche, prime analisi conoscitive sul fenomeno ed è prevedibile una crescita consisten-te nei prossimi anni18.

L’impresa familiare è più stabile, cresce più lentamente e si sofferma “nella terra dimezzo”, mentre l’impresa la cui origine non è strettamente familiare sosta meno nella terradi mezzo e ha una crescita rapida, ma anche varie evoluzioni del genus nel tempo; per que-sta seconda fattispecie, la stabilità del genus sembrerebbe una opzione marginale.

La prima ipotesi di ricerca, quindi, sulla stabilità del genus di impresa, sembrerebbe fardipendere questa dimensione dall’origine, familiare o non familiare, dell’impresa19.

L’osservazione diretta, invece, delle pratiche, e più precisamente dei processi manageria-li relativi agli item individuati (governance, gestione delle risorse umane, internaziona-

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17 Per una rassegna sul tema, si rimanda al paragrafo “Lo stato dell’arte sulle medie imprese: questioni aperte e ipotesi di lavo-ro” e alla “Bibliografia di riferimento” presente nel Quaderno.

18 Il Premio Mediobanca degli ultimi due anni, ad esempio, ha visto premiare aziende che hanno caratteristiche di questa natu-ra, quali Federlegno Arredo, DiaSorin, Screen Service Broadcasting Technologies.

19 Indicazioni in tal senso erano già presenti nella pubblicazione di Daniele Boldizzoni su “Impresa Familiare” ILSOLE24ORE,1988.

lizzazione e innovazione), indica alcune evidenze e, in prospettiva, alcune traiettorie disviluppo interessanti sia sotto il profilo gestionale sia, almeno dal nostro punto di vista,sotto l’aspetto del bisogno formativo.

Contrariamente al “sentito comune” che vede le imprese “italiane” arroccate in una sortadi “fortino” familiare – in difesa dal management professionale, dai fondi di investimen-to e dalle banche – il meccanismo di Governance, intendendo con questa parola le logi-che del processo decisionale, appare se non aperto, ampiamente socchiuso. Nei casioggetto del nostro campione, l’apertura della Governance è una dimensione presente.Questa avviene generalmente per necessità (per esempio per la dimensione cogente dellaquotazione di borsa), più raramente avviene per scelta autonoma.

Le imprese che hanno raggiunto dimensioni e ampiezza di attività in linea con il target“ideale” di impresa media, vedono una presenza ampia e variegata di professionisti esterni nei luoghi deputati alla condivisione e presa di decisione, e una presenza di mana-gement professionale in ruoli esecutivi.

Il loro ruolo, ricostruito dai casi, sembrerebbe essere:

• Supporto all’imprenditore nella comprensione dell’evoluzione del settore e delbusiness di riferimento. Complessità del business e fattori critici di successoimpongono un presidio qualificato e professionale che generalmente è impossibilegarantire solamente dall’interno. Competenze complementari sono affidate dal-l’imprenditore a “esperti” conosciuti in contesti associativi, accademici e nell’am-bito della propria filiera di riferimento.

• Stanza di compensazione rispetto all’influenza di eventuali “logiche” familiari chepotrebbero influenzare le scelte del business. Nel consiglio di amministrazione,prevalentemente a matrice familiare, la presenza di saggi “esterni” stempera l’ec-cessivo personalismo e riporta spesso la discussione nell’alveo della razionalità delbusiness.

• Garanzia e presidio di filiere grandi e piccole con imprese di maggiori dimensioni.Le imprese medie si trovano spesso in filiere globali dove la garanzia e la reputa-zione è anche data dalla presenza di manager con esperienze in grandi imprese, chele inseriscono e fanno da garanti rispetto a player globali più grandi.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

• Esempio di possibile convivenza fra famiglia e management esterno. La presenzadi manager esterni in ruoli decisionali è generalmente garanzia di apertura e mec-canismo di attrazione per altri manager esterni, che diffidano delle imprese fami-liari, in quanto potenzialmente “plafonate” nei processi di crescita in ruoli mana-geriali dai membri della famiglia.

• Elemento possibile di continuità, in caso di “trauma” nella governance familiare. Leaziende a forte tratto familiare soffrono il passaggio generazionale qualora non pianifi-cato. I manager esterni sono generalmente degli ottimi traghettatori da un membro fami-liare a un altro, soprattutto in caso di evento traumatico nel passaggio del testimone.

Non è un’operazione semplice, gli innesti nelle aziende familiari sono molto visibili edi conseguenza più problematici rispetto al contesto della grande impresa; tuttavia leimprese che hanno avviato processi di apertura in tal senso sembrano avere strategie piùchiare e prospettive di crescita più promettenti. È un tratto comune, abbastanza presen-te e che sembrerebbe impattare in maniera significativa sulle performance aziendali.

Coerentemente con quanto evidenziato una iniziativa di grande utilità potrebbe essere laindividuazione, selezione e formazione, in forma seminariale e di coaching, di professio-nisti adatti per il ruolo di consigliere indipendente da fornire al sistema delle piccole emedie imprese italiane. Di questa categoria potrebbero far parte manager di grandi epiccole imprese, ricercatori provenienti dal mondo dell’Accademia e delle pratiche eimprenditori interessati a processi di mutualità con altri imprenditori.

La seconda dimensione presa in considerazione dalla ricerca riguarda la Gestione delleRisorse Umane.

Da questo punto di vista, e per certi versi in maniera ancora più sorprendente, le impre-se medie rappresentano una palestra e un luogo di valorizzazione delle pratiche di gestio-ne delle persone di grande interesse, da osservare e capitalizzare a beneficio di tutto ilsistema delle imprese. Queste pratiche sono spesso informali e non istituzionalizzate – lapresenza della funzione formalizzata dipende generalmente dalla dimensione delleimprese – e comunque rendono queste imprese dei veri e propri “great place to work”.

Il tratto più critico, rispetto al ciclo complessivo di gestione delle risorse umane, riguar-da soprattutto la fase di inserimento per le funzioni manageriali, ancora una volta ripor-

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tando la sfera di criticità alla relazione imprenditore – impresa, proprietà – gestione. Lefunzioni tecniche, invece, ai diversi livelli di specializzazione, hanno loro canali privile-giati, generalmente cooptanti, e le formule di inserimento afferiscono ai processi tipici diaffiliazione propri della famiglia professionale. L’imprenditore difficilmente entra inscelte così specifiche e preferisce lasciare ai suoi professional il compito di formare lasquadra più idonea per il raggiungimento del compito.

Sulle figure di management la questione è diversa.

Prima di tutto perché sono figure che si inseriscono nella tensione, mai sopita e irrisolta,fra impresa e famiglia e dove quindi i potenziali fattori di disturbo sono numerosi.

In secondo luogo perché se è vero che il mercato al momento sembrerebbe ricco di pro-fessionalità utili per le aziende (esiste molto management professionale fuoriuscito dallaristrutturazione delle grandi aziende), tuttavia esso risulta difficilmente visibile per gliimprenditori e, al contempo, le imprese sono, per così dire, invisibili per i manager.

È evidente che i fabbisogni manageriali delle imprese medie, seppur interessanti in ter-mini qualitativi, sono modesti in termini quantitativi e probabilmente non giustificanoazioni specifiche a livello di politiche di sistema; tuttavia un’azione più generale diemployer branding ai diversi livelli, e cioè fasce giovani e management professionale,potrebbe essere di grande utilità per il sistema delle imprese e per il mondo del lavoro ingenerale. Employer branding che, in maniera trasparente, qualifichi il lavoro nelle orga-nizzazioni, ne circoscriva il potenziale numerico ma ne restituisca la natura professiona-lizzante e qualificante che emerge dalle numerose ricerche su questo tema.

Connessa strettamente dunque, alla prima questione, emerge la seconda traiettoria, cheè quella di dare visibilità alle imprese medie, ai loro modi di creare valore nel businessattraverso le risorse umane, al fine di generare meccanismi virtuosi di incrocio doman-da/offerta sul fronte dell’introduzione di management, junior e senior.

La terza dimensione analizzata riguarda l’internazionalizzazione, questione che imponeuna riflessione, prima di tutto di carattere strategico, con ovvie implicazioni anche sul ter-reno delle pratiche operative.La propensione internazionale delle imprese medie è generalmente molto spinta. Leimprese si definiscono “small global player”, accentuando, nella sostanza, la grande

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

apertura verso i mercati esteri. Questo meccanismo è ovviamente indotto generalmentedal tipo di prodotto, e dalla necessità di servire la nicchia, ovunque essa sia presente.Nella sostanza, la creazione di valore e di vantaggio competitivo è basata su una felicecombinazione di tre fattori principali:

• la focalizzazione spinta nel proprio segmento di settore di riferimento;

• l’ampiezza del livello di prodotto/servizio proposto;

• una presenza “stabile” nelle aree a maggiore crescita (BRIC).

Le determinanti del vantaggio competitivo sono:

• Il prodotto. Il posizionamento dell’impresa Italia è stato generalmente quello di unabuona qualità a un prezzo medio – medio alto, oggi diremmo “good enough”, masoprattutto l’estrema flessibilità e personalizzazione del prodotto/servizio;

• La gestione centro – periferia. Nella sostanza, la centralità del processo decisionale, pro-gettuale e in larga parte produttivo è rimasta in Italia, mentre la periferia, cioè i mercati,sono stati serviti attraverso soluzioni organizzative diverse e comunque in forma diretta;

• I mercati. Il grande riferimento è stata l’Europa, la Germania in primis, e i paesi“occidentali”, intendendo con questo soprattutto gli Stati Uniti e in parte ilGiappone. I nuovi mercati, le aree Brics, sono stati serviti con la formula centro –periferia e quindi con enfasi e capacità di penetrazione profondamente ridotti secollegati alle potenzialità dei mercati di nuova industrializzazione.

Oggi la sfida sono ovviamente i nuovi mercati, non soltanto da un punto di vista com-merciale, ma anche e soprattutto perché le loro richieste risultano occasione per rifletteresul modello di business e sul modo per creare valore. La logica, in scala imprese medie,cioè con ampiezza e intensità da calibrare, è quella di considerare i nuovi mercati non sol-tanto come aree di vendita, già di per sé fattore di grande complessità, ma anche e soprat-tutto come aree di sourcing, cioè luoghi da cui trarre nuove fonti di ispirazione e idee perla revisione della gamma prodotto. In termini “teorici”, ciò significa favorire il pas-saggio da imprese “multinazionali tascabili” a imprese “transnazionali tascabili”20;

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20 Su questa dimensione, ad esempio, concorrenti storici come i Tedeschi o concorrenti emergenti come i Coreani, soprattuttonel settore della meccanica, hanno elaborato loro soluzioni che stanno cambiando le coordinate e le tradizioni consuete diposizionamento sul mercato.

significa cioè passare da una logica in cui le unità estere sono luoghi di diffusione edi sfruttamento delle opportunità locali a luoghi che contribuiscono in quota pari-tetica alle attività integrate e alla creazione di valore e di vantaggio competitivo(Ghoshal, 2009).

Questo spostamento, quindi, non riguarda soltanto gli aspetti commerciali, cosa di per ségià non di poco conto, ma riguarda anche tutti i meccanismi di funzionamento adottati adoggi.

In primo luogo, la logica centro-periferia che perde il suo valore tradizionale e si spo-sta in una logica di tanti centri e tante periferie, il cui governo e la cui valorizzazioneimpongono complessità organizzative diverse e più profonde, collegate al tema dellereti di impresa e a una gestione simmetrica dei nodi della rete. In secondo luogo, lapresenza nei nuovi mercati che riguarda tutte le attività principali della catena delvalore e non soltanto alcune, come il modello di specializzazione flessibile aveva con-sentito in passato. In terzo luogo, il portafoglio prodotti, che dovrà tenere conto di usi,abitudini, culture e processi produttivi molto diversi e soprattutto non omogenei fra unmercato e l’altro.

Capacità di comprendere e valorizzare in chiave strategica le logiche dei nuovi mercati,capacità progettuale e organizzativa scambiata con nuovi centri e nuove periferie, impor-ranno un cambiamento di visione e di apertura e comporteranno mutamenti nelle carat-teristiche primarie di creazione del valore molto più significativi e profondi rispetto allelogiche classiche di cross cultural management.

In questo quadro un ruolo fondamentale verrà giocato dai processi di rete e di aggrega-zione, per rendere sostenibile l’attuazione di queste misure coerentemente con le dimen-sioni delle imprese, generalmente medie o medio-piccole. La soluzione in chiave strate-gica è logica, in chiave culturale sconta la naturale ritrosia imprenditoriale a condividereopzioni di business con altri pari.

Da questo punto di vista, la terza traiettoria indica la progettazione e l’implementazionedi meccanismi di “accoglienza” delle imprese italiane nei nuovi mercati, in cui logichee soluzioni di sbocco sul mercato si integrano con logiche di presenza anche progettualenelle aree di riferimento. Dal presidio del mercato al presidio della competenza nei nuovi

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Parte Prima

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mercati, dai consorzi export alle piattaforme di collegamento e di presenza, in cui i pro-cessi formativi diventano luoghi di conoscenza, di scambio e di integrazione di ruoli eculture differenti.

Una quarta riflessione, infine, strettamente collegata alla questione “internazionalizza-zione”, riguarda il tema dell’innovazione. Le evidenze emerse dalla lettura trasver-sale dei casi indicano un lento ma progressivo intensificarsi della logica di condivi-sione nello sviluppo di innovazione tecnologica. Anche in questo caso registriamo laformalizzazione di pratiche ampiamente diffuse nelle aziende medie. La sfida, infatti, non è soltanto quella di aumentare le risorse destinate in R&S, ma anche diriuscire a capitalizzare gli spunti e le risorse che si attivano nella filiera, con forni-tori e clienti. Anche in questo caso le imprese medie sono state per anni luoghi – tal-volta inconsapevoli – di pratiche di innovazione “aperta”, tanto in voga oggi e appli-cata nei contesti delle grandi imprese.

La filiera tuttavia è stata fortemente localizzata e le logiche di centro - periferia, vali-de per l’analisi sui processi di internazionalizzazione, trovano altrettanta validitàanche per il tema dell’innovazione. Quali saranno le nuove filiere con fornitori eclienti in cui si attivano meccanismi di creazione di capitale sociale, e quindi di inno-vazione, attraverso la condivisione e lo scambio? Sapranno le imprese medie, in unprogressivo spostamento da “multinazionali” a “transnazionali”, ricostruire i conte-sti di innovazione che hanno generato valore negli anni in Italia? Il contesto socialeattivato nei distretti potrà trovare una sua qualche forma nelle filiere globali?

Il tema, è comprensibile, non ha una valenza solo macro e non è solo una considerazioneda “sistema paese”; esso invece riguarda anche la sfera del micro e i meccanismi di inno-vazione, quindi di vantaggio competitivo che ha reso vincenti le imprese nel passato.

Da questo punto di vista, dunque, la quarta traiettoria è collegata alla capacità diricreare contesti di innovazione e di apprendimento nelle filiere globali, attivandomeccanismi di confronto e di scambio che permettano alle imprese di mantenere illoro valore differenziante e la loro unicità nei mercati di riferimento. Un meccanismodi open innovation collegato allo spostamento di forma organizzativa e più in gene-rale di profilo che le nuove aree, in parte inconsapevolmente, stanno imponendo allenostre imprese.

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Imprenditorialità e management: ragionare senza soluzioni di continuità

Gran parte del dibattito sulla crescita dell’impresa e sul management ha preso atto del-l’esistenza di un processo evolutivo nello sviluppo delle imprese, con necessità diverse intermini di imprenditorialità e management professionale in ciascuna fase. L’analisi dellabibliografia e buona parte delle prassi operative sono fortemente influenzate da questaprospettiva e in parte non riescono a sottrarsi alla “camicia di forza” evoluzionistica, ipo-tizzando fasi diverse e ricette diverse a seconda dello stadio di discontinuità, sia esso dicrescita che di crisi. Il collegamento, crisi, competitività e dimensione di impresa è unasequenza “logica” dalla quale si fatica sempre a uscire e il risultato è l’emergere di unmodello unico, superiore di impresa – la grande impresa manageriale – tra le righe pre-sente nei casi oggetti di studio, in ogni caso unico benchmark da cui eventualmente dif-ferenziarsi.

Le evidenze empiriche raccolte confermano la necessità di andare oltre questa categoriadi lettura. Nei casi oggetto di analisi convivono situazioni di imprenditorialità e situazio-ni di management, senza soluzione di continuità ed è molto difficile distinguerne fasi epriorità. A noi sembra che, nel dilemma fra imprenditorialità e management (attribuendoal primo logiche di “creatività” e di “sentimento” e al secondo di “razionalità” e “pro-cessualità”), emerga sempre con forza un modello ibrido che, cercando di valorizzare ipunti di forza di ciascuna prospettiva, si muove in un’azione di “aggiustamento conti-nuo”, in cui emergono due categorie di analisi principali: la focalizzazione e l’ordine dauna parte, e l’apertura e l’acquisizione di competenze chiave dall’altra. La questionevera, oggi, sembrerebbe quella di comprendere se questo modello, proiettato da unadimensione locale in cui si è plasmato e ha preso la sua identità a una dimensione glo-bale, riesca a innescare nuovamente un meccanismo generativo in grado di creare valoreduraturo e sostenibile nel tempo.

Qualora ciò non riesca, la deriva manageriale, nella sua visione più integrale, sem-brerebbe l’unica a garantire la competitività dell’impresa nei contesti internazionali,mentre una visione più imprenditiva sembrerebbe essere idonea a una gestione circo-scritta e maggiormente artigianale del business. Il dilemma, in altri termini “la distin-zione fatale” fra imprenditorialità e management che influenza fortemente le visionisui modelli di business, sembrerebbe destinato comunque a risolversi in tempi abba-stanza brevi, a causa dell’accelerarsi dei mutamenti sociali ed economici nei contesti-di riferimento.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Prima

Bibliografia di riferimento

Le principali società italiane, pubblicazione annuale a cura di Mediobanca

Boldizzoni D., Serio L., Innovazione e Crescita nella piccola impresa, IlSole24ORE, 2003

Boldizzoni D., Serio L., Management delle piccole imprese, IlSole24ORE, 2006

Boldizzoni D., Serio L., Il giunco e la quercia Quaderni di Management, Giugno 2010

Boldizzoni D., Serio L., La gestione delle Risorse Umane nelle pmi, Laterza, 2010

Bartlett C., Ghoshal S., Transnazionale: modello organizzativo emergente in“Management Globale” (edizione italiana a cura di Alessandro Sinatra) ETAS, 2001

Ghoshal S., Una buona teoria manageriale (edizione italiana a cura di Luigi Serio),IlSole24ORE, 2009

Quaratino L., Serio L., L’innovazione aperta in Sviluppo e Organizzazione, Settembre 2009

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* a cura di Luca Quaratino

Parte Seconda - Caso di studio AMISCO

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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PARTE SECONDA

CASO DI STUDIO AMISCO*

L’azienda

Varcando la soglia di ingresso dell’AMISCO si è subito colpiti da due elementi: da un lato,il clima accogliente tipico dell’impresa familiare e dall’altro alcuni apparecchi radio e tele-visivi degli anni ‘40 e ‘50, dei veri e propri oggetti di antiquariato. E proprio a questi ogget-ti sono legate le origini della azienda. Nel 1936, infatti, l’ingegnere Alessandro Novellonefonda la Novaradio, specializzata nella fabbricazione di radio rice-trasmittenti e, dai primianni ‘50, nella produzione di televisori. Nel frattempo, il reparto dei componenti all'internodella produzione è cresciuto di importanza e, nel 1958, diventa una società indipendente conil nome di Amies (Applicazioni Meccaniche Industriali Elettriche Speciali), specializzata neicomponenti elettromeccanici per la telefonia e i calcolatori. L’azienda ottiene subito un note-vole successo e vanta tra i suoi principali clienti diversi stabilimenti della IBM.

Verso la metà degli anni ‘70, si verificano importanti cambiamenti sia a livello di busi-ness che di famiglia. Nel settore dei calcolatori sta avvenendo il passaggio dalla elettro-meccanica all’elettronica e questo spinge l’azienda a cambiare la tipologia dei propri pro-dotti, indirizzandosi verso le bobine incapsulate per elettrovalvole, prevalentementedestinate al campo di applicazione dell’automazione pneumatica. L’azienda prende ilnome attuale di AMISCO Avvolgimenti Elettrici e la produzione viene insediata aCinisello Balsamo. Queste importanti operazioni vengono governate ancora dal fondato-re a cui, in quegli anni, si sono affiancati in rapida successione tre dei quattro figli:Cesare, Donata e Alessandra. Negli anni successivi la crescita dell’azienda continuacostante e risulta necessario trasferire la maggior parte degli impianti in un nuovo spazioproduttivo, più ampio, raddoppiando così la superficie dedicata alla produzione. La cre-scita dell’impresa è anche qualitativa, come testimoniano l’adozione di un nuovo logo el’ottenimento nel 1992, tra i primi in Italia, della certificazione di Qualità ISO:9001.

Alla fine degli anni ‘90 viene acquisita una nuova sede a Paderno Dugnano dove vienetrasferita l’attività che nel frattempo si è ulteriormente allargata estendendosi a solenoi-di, elettromagneti e valvole. Viene anche ampliato lo spazio produttivo con due nuovicapannoni per un totale di 8000 mq.

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Lo sviluppo dell’impresa continua negli anni 2000 attraverso due importanti operazioni.In primo luogo, l’acquisizione della società Sali Abele s.r.l. di Castelleone, in provinciadi Crema, specializzata nella produzione di bobine: dotata di impianti produttivi tradi-zionali è dedicata a prodotti di medio volume. In secondo luogo, l’apertura della sedeproduttiva cinese di Shenzhen, che dal 2006 inizia a produrre autonomamente le bobinedestinate al mercato locale e del Far East.

Superato un anno 2009 difficile a causa della crisi globale, l’azienda lancia un pianotriennale per far fronte alle nuove sfide imposte dai mercati internazionali; piano che,anche grazie ai notevoli sforzi di contenimento dei costi e di ricerca della massima effi-cienza, ha cominciato già a dare i suoi primi frutti positivi come segnalano i risultati del2010. Inoltre, a garanzia di continuità dell’impegno della famiglia, con l'ingresso di altrifigli dei titolari, prosegue il processo di transizione alla terza generazione della famigliaNovellone.

Oggi il Gruppo AMISCO è composto da tre società:

• AMISCO SpA: sede centrale, cuore delle attività di Ricerca e Sviluppo, dotatadello stabilimento di produzione primario con linee produttive automatizzate per iprodotti più rappresentativi, fattura intorno ai 33 milioni di euro, con circa 135 per-sone;

• AMISCO ACSC Ltd.: stabilimento di produzione in Cina che, con una sessantinadi persone, contribuisce con circa 4 milioni di fatturato;

• SALI ABELE srl: stabilimento con linee tradizionali e prodotti di medio volume,ha un fatturato che si aggira sui 3,5 milioni impiegando una quarantina di persone.

I prodotti di AMISCO sono impiegati in una ampia gamma di settori: oltre alla già cita-ta pneumatica, anche nell’oleodinamica, fluidodinamica, elettrotecnico, riscaldamento,refrigerazione e automotive.

A partire da una filosofia incentrata sull’aggiornamento costante delle proprie capacitàtecnologiche (progettuali e produttive) e sul miglioramento continuo della flessibilità edella qualità del livello di servizio, in una logica di partnership con i propri clienti, l’of-

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ferta commerciale di AMISCO si articola in due grandi filoni. A ciascuno di essi corri-spondono tipologie di prodotti e di clientela tendenzialmente differenti: da un lato, lalogica “custom”, fatta su specifiche richieste del cliente, che è in questo caso tipicamen-te una grande azienda multinazionale (come, ad esempio, Bosch, Parker, Danfoss,Honeywell); dall’altro, quella “a catalogo”, indirizzata ad aziende anche più piccole. Nelprimo caso le attrezzature sono di proprietà del cliente e il prodotto viene sviluppato sumisura a partire dalle sue specifiche esigenze, mentre nel secondo caso le attrezzaturesono di AMISCO e il prodotto può essere impiegato su una più ampia gamma di appli-cazioni.

Questi due filoni hanno tradizionalmente un peso differente in termini di volumi, dalmomento che il “custom” pesa per il 70% della produzione e il “catalogo” per il restan-te 30%. Come detto, i clienti del custom sono grandi e chiedono soluzioni specifichedestinate a produzione di grande serie; il costo delle attrezzature viene ammortizzato sumilioni di pezzi.Però, come osserva Donata Novellone, tra questi grandi clienti della linea custom negliultimi anni si stanno verificando alcune evoluzioni significative.

Da un lato, si è determinata una forte concentrazione della domanda che ha inevitabiliriflessi a livello di potere contrattuale: “Alcune multinazionali, come Bosch e Parker,hanno incorporato via via molte aziende medio-piccole loro concorrenti: per conse-guenza le trattative commerciali, essendo gestite in modo centralizzato dall’UfficioAcquisti della casa madre, sono diventate più difficili e penalizzanti per noi, dato l’e-norme potere contrattuale della controparte”.

Dall’altro lato, uno spostamento lento ma costante verso logiche a catalogo, fondamen-talmente motivate dalla ricerca esasperata del risparmio di costo: “La tendenza recentedei nostri clienti è di privilegiare i prodotti a catalogo, magari opportunamente perso-nalizzati, che non richiedono l’investimento nelle attrezzature. Talvolta non è possibileindividuare il prodotto adatto tra quelli a catalogo. In questo caso, se il cliente è impor-tante e il prodotto innovativo, qualche volta il costo delle attrezzature lo prendiamo anostro carico”.

Per quanto riguarda le dinamiche concorrenziali, AMISCO ha storicamente un principa-le concorrente in Italia, una società che ha sempre rappresentato una sorta di alter ego.Ultimamente il confronto diretto con questo competitor è meno avvertito, probabilmente

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perché le due aziende hanno finito per scegliere ambiti e mercati almeno in parte diver-si: “Loro sono sicuramente meglio posizionati sul mercato nazionale, mentre noi ci rivol-giamo quasi esclusivamente ai mercati esteri”.

Attualmente quello che viene percepito come il vero e pressoché unico concorrente è unaazienda tedesca, che offre sul mercato, a livello internazionale, gli stessi prodotti di AMISCO. I tedeschi di recente hanno aperto una fabbrica in Europa dell’Est ribaltandocompletamente il vantaggio di costo: “Hanno sempre avuto i prezzi più alti dei nostri mada quando hanno insediato la produzione in Bulgaria, sono diventati più competitivi, purcontinuando a garantire un ottimo livello qualitativo. Questa opzione della delocalizza-zione “vicina” costituisce un aspetto strategico sul quale stiamo riflettendo e su cui ciproponiamo di agire”.

Quanto detto a proposito di concorrenza non significa che ci siano pochi operatori sulmercato: “A dire il vero, aziende piccole e medie che producono avvolgimenti elettrici esolenoidi ce ne sono tante in tutto il mondo. Poche di loro, però, sono società struttura-te, dotate di uno staff tecnico e qualitativo in grado di soddisfare le esigenze di clientiimportanti grazie al marchio, l’immagine e l’affidabilità”.

Le dinamiche esistenti con questi concorrenti ‘low cost’, che sono sorti soprattutto inCina, sono ben spiegate da Donata Novellone: “In Cina abbiamo concorrenti già da diecianni a questa parte. Molti di loro hanno una particolarità: vendono le nostre bobine,riproducendo il nostro marchio e addirittura utilizzando il nostro catalogo; insomma èpura falsificazione, anche del logo. Se da un lato è quasi impossibile tutelarsi da unpunto di vista giuridico, dall’altro non rappresentano un reale pericolo, rispetto ai nostrimercati e clienti di riferimento: difficilmente una azienda importante si affiderà a loro.Comunque noi offriamo una garanzia di qualità e dei servizi che loro, nonostante imiglioramenti degli ultimi anni, non possono certo garantire”.

Il differenziale competitivo non risiede solo nella qualità del singolo prodotto o del ser-vizio; “la differenza sta invece nella capacità dell’azienda di dare risposta e soddisfa-zione complessiva alle esigenze del cliente attraverso soluzioni progettuali e produttivecomplete e integrate. E nella trasparenza dei nostri processi, sui quali il cliente può effet-tuare rigorosi audit per conoscere e testare in ogni dettaglio tutte le nostre procedure eottenere una garanzia assoluta su ciò che acquista. Tutte cose che il produttore asiaticonon può offrire”.

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Parte Seconda - Caso di studio AMISCO

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L’internazionalizzazione

Come accennato, AMISCO è una azienda fortemente proiettata sui mercati internazio-nali, dal momento che vende i propri prodotti in oltre trenta Paesi in tutti i continenti.All’Italia è infatti riservato circa un quinto della produzione, mentre l’80% della pro-duzione viene esportata. Il mercato principale di riferimento rimane l’Europa, checopre il 60%, ma anche l’America (Stati Uniti e Brasile) e il Far East (India, Cina,Taiwan) stanno progressivamente crescendo in termini sia di volumi sia di baricentrostrategico:

“Ultimamente stiamo acquistando clienti nel mercato USA grazie a un nuovo agentemolto attivo, che ci inonda di richieste di offerta e di proposte. Dato che ogni nuovo pro-dotto richiede mesi per la progettazione, le campionature e le verifiche con il cliente, illancio in contemporanea di diversi modelli rappresenta per noi un grosso impegno in ter-mini di risorse. Ma rappresenta anche un’ottima opportunità di acquisire nuove quote dimercato”.

La presenza internazionale è garantita in forme diverse: con un vero e proprio stabili-mento produttivo al servizio dell’area geografica, nel caso della Cina, o attraverso unarete di agenti/distributori per gli altri mercati principali quali gli USA, la Gran Bretagna,la Germania e l’India. AMISCO è un marchio molto noto agli operatori del settore e que-sto implica che, in linea di massima, la rete commerciale sia impegnata più in una attivi-tà di selezione e gestione efficace delle richieste dei clienti che non in una attività di “pro-mozione”: “Va detto che noi siamo già affermati sul mercato quindi non abbiamo ungrandissimo bisogno di farci conoscere. I clienti, in ambito internazionale, che voglionosviluppare un prodotto sofisticato con precise caratteristiche si rivolgono automatica-mente a noi o ai concorrenti tedeschi”.

Questa vocazione internazionale è per certi versi inscritta nei cromosomi dell’azienda eha da sempre visto coinvolti direttamente i componenti della famiglia:

“Fin dall’inizio ci siamo rivolti ai mercati esteri e nel tempo il peso dell’export è aumen-tato. Siamo stati facilitati dalla conoscenza delle lingue e dall’attitudine a viaggiare.Stiamo parlando degli anni ’70, periodo in cui in aziende di piccole dimensioni come lanostra non si azzardavano a mettere il naso fuori dai confini nazionali. Mio padre e miofratello, in quegli anni, hanno girato tutta Europa internazionalizzando l’azienda”.

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Questa disponibilità a spostarsi la si ritrova anche a livello di personale operativo: per itecnici dell’azienda viaggiare è ritenuto “normale” nell’ambito della propria attività.

Come osservano le titolari, “sembra che tutti si sentano parte integrante del successo del-l’azienda e se reputano che sia necessario visitare clienti e fornitori all’estero, non sitirano indietro, anche se, oggettivamente, queste continue trasferte possono risultare, avolte, molto pesanti”.

Una delle maggiori operazioni di AMISCO sul versante del processo di internazionaliz-zazione è stata senza dubbio l’apertura dello stabilimento produttivo in Cina nel 2006. Èinteressante la riflessione che le due titolari fanno di questa mossa strategica, di frontealla domanda se si fosse trattato di una reazione alla delocalizzazione in Bulgaria dei con-correnti tedeschi o meno:

“In quel momento non sapevamo ancora del nuovo polo low-cost del nostro concorren-te. Diciamo che all’epoca nel nostro settore si imponeva una scelta: delocalizzare in unpaese low-cost, Far East o Europa dell’Est. Noi abbiamo deciso per la Cina, in Europadell’Est pensiamo di andarci nel prossimo futuro. Sono in realtà due concetti diversi, dicui abbiamo preso piena consapevolezza anche grazie all’esperienza. Fin dall’inizio,abbiamo pensato di aprire in Cina per servire il mercato locale, non per produrre a bassocosto bobine da importare e vendere ai nostri clienti europei. Anche perché, nel frattem-po, tutti i nostri più importanti clienti europei hanno a loro volta aperto delle filiali inCina, perciò in tal modo possiamo continuare a servirli in loco. Cina su Cina”.

“Ultimamente tutti si sono accorti che l’opzione Cina presenta anche degli svantaggi.Pur continuando ad essere molto vantaggioso, il costo del lavoro cinese sta crescendocon progressione geometrica. Inoltre, il tempo di trasporto via mare è molto lungo, nonmeno di 6/8 settimane: incompatibile con le richieste dei clienti che operano in just-in-time. Il trasporto per via aerea è costoso e vanifica il risparmio del costo della manod’opera.Così molti si sono resi conto che conviene importare dalla Cina solo facendo delle gros-se campagne e tenendo molta merce a stock, mentre in una logica di rapidità e flessibi-lità - o comunque volendo rimanere entro le due o tre settimane di lead-time – non fun-ziona, non è praticabile. Allora quello che serve per soddisfare questo tipo di richiesteè avere un fornitore “low cost” vicino all’utilizzatore finale: di qui la necessità per noidi delocalizzare anche in Est Europa”.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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Il processo di avvio e gestione della fabbrica cinese, che oggi conta una sessantina di per-sone, si è avvalso del supporto di uno studio legale di Hong Kong specializzato nell’as-sistere le aziende nei processi di internazionalizzazione.

Individuata la location, si è cominciato a reclutare gli operai e nel frattempo è stato invia-to un primo nucleo di macchinari essenziali direttamente dall’Italia; altre macchine sonostate invece acquistate in Cina, ma testate in Italia per programmarle e omologarle, primadi rimandarle nello stabilimento cinese. Contestualmente vi è stato anche un fitto scam-bio a livello di tecnici italiani che si recavano in Cina a formare il personale sui processiproduttivi, e tecnici cinesi che venivano ospitati in Italia per toccare con mano le logichee i sistemi di lavoro di AMISCO.

Per quanto riguarda il personale cinese, nel complesso vi è grande soddisfazione da unpunto di vista della professionalità tecnica, mentre lo scoglio più arduo continua a esse-re rappresentato dalle differenze culturali: “premesso che noi abbiamo trovato dei bra-vissimi operai e degli ottimi tecnici (c’è abbondanza di professionalità in Cina), restanocomunque delle differenze profonde di mentalità, non sempre facili da gestire”.

La Governance

L’azienda è al 100% di proprietà della famiglia Novellone. Dopo i primi tempi in cui sioccupava di tutto il fondatore, verso la metà degli anni ’70, come già accennato, l’in-gresso della seconda generazione determina una presenza diffusa e stabile dei compo-nenti della famiglia nelle posizioni manageriali chiave dell’azienda, come raccontaDonata Novellone: “Siamo quattro fratelli di cui tre coinvolti nel management aziendale,mentre una sorella è solamente proprietaria della sua quota, ma non partecipa allagestione. I primi a entrare siamo stati mio fratello Cesare, per la parte tecnica e com-merciale, e io per la produzione e l’amministrazione. Poco dopo è entrata ancheAlessandra per occuparsi delle risorse umane e di tutta la parte promozionale: una voltapubblicità sulle riviste di settore, oggi soprattutto fiere. Noi tre rappresentiamo la secon-da generazione”.

Più recentemente è stata la volta della terza generazione a fare ingresso in azienda.Sempre Donata Novellone: “Si tratta dei miei figli Filippo ed Eugenia e del figlio di miofratello, Riccardo. Filippo lavora in azienda da otto anni ormai, Eugenia da due e

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Riccardo solo dall’inizio di quest’anno. Filippo è ingegnere ed è responsabile dellaQualità; Eugenia è laureata in Economia e Commercio ed è stata avviata in areaAmministrazione e Controllo di Gestione, anche se al momento sta facendo esperienza inProduzione; Riccardo, laureato in Filosofia, è stato inserito agli Acquisti, affiancato daun ottimo tutor”.

Il processo di ingresso dei familiari in azienda è stato regolato formalmente attraverso lasottoscrizione dei “patti di famiglia”: ogni nipote doveva, al termine della scuola, espri-mere la volontà di entrare in azienda o meno e quindi intraprendere un percorso di studicoerente con le esigenze aziendali. Era inoltre previsto, al termine degli studi universita-ri e prima dell’ingresso in azienda, un impiego di uno o due anni in una ditta esterna, cosìda maturare una esperienza che permettesse al ragazzo di allargare le sue vedute e la suamentalità al di là dei confini aziendali e familiari.

Per quanto riguarda lo sviluppo di figure manageriali non appartenenti alla famiglia,AMISCO si è mossa negli anni su due versanti complementari: la crescita di risorse inter-ne dotate di potenzialità e la ricerca di elementi professionalmente validi sul mercato dellavoro.

Nel primo caso si è attuato, con l’aiuto di una società di consulenza, un lungo percorsodi formazione e sviluppo su alcune persone potenzialmente predisposte ad assumere unruolo manageriale: “Abbiamo dato la possibilità ai nostri collaboratori più validi diaccedere ad una serie di corsi, appositamente studiati per ampliare la loro professiona-lità e colmare eventuali lacune; e contemporaneamente abbiamo promosso attività digruppo, sempre organizzate da un esperto, per aumentare la capacità di lavorare in teame la fiducia reciproca”.

Si è trattato di un esperimento riuscito, che ha favorito una buona crescita professionalee un forte impatto motivazionale, e che ha permesso di creare un gruppo dirigente coeso,fidelizzato e coinvolto nella gestione.

Nel secondo caso, l’azienda ricerca figure specifiche, già formate, dall’esterno:“L’azione di sviluppo dall’interno è stata integrata con l’ingresso di persone dotatedelle professionalità necessarie e portatrici di esperienze maturate in altre aziende”.E da questo punto di vista l’azienda ha varie volte vissuto sulla propria pelle le clas-siche difficoltà di integrare nel management di un’impresa familiare persone prove-

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nienti da fuori, soprattutto nei casi in cui il background professionale sia quello dellegrandi multinazionali.

Nonostante le difficoltà, le intervistate riconoscono tuttavia che il valore aggiunto chepuò derivare dall’apporto di figure manageriali provenienti da fuori è potenzialmentemolto elevato: esse possono, da un lato, riversare in azienda esperienze fatte altrove e,dall’altro, aiutare il processo di apertura mentale e confronto con l’esterno.

Nel complesso quindi l’apporto che può venire da fuori è ritenuto rilevante proprio perevitare il rischio di diventare eccessivamente autoreferenziali. Una ulteriore modalità concui AMISCO tende a vaccinarsi contro tale rischio consiste nel partecipare spesso ad atti-vità formative esterne.

Nei confronti dei manager, lo stretto intreccio tra famiglia e gestione ha conseguenzepositive e negative: se appare evidente che lavorare a stretto contatto con la proprietà puòessere un fattore gratificante per l’immediatezza dei rapporti, la disponibilità delle infor-mazioni e la partecipazione ai processi decisionali, è anche vero che ad alcuni può darela sensazione di non disporre sempre della necessaria autonomia: “Alcuni nostri colla-boratori apprezzano di potersi confrontare con noi ogni volta che ne sentono il bisogno,altri forse vedono in questo il rischio di una interferenza nelle loro attività…”.

L’innovazione

Parlare di innovazione in AMISCO significa distinguerne in modo netto due aspetti del-l’innovazione: quella organizzativa o di processo da una parte e quella tecnologica o diprodotto dall’altra.

La prima è sicuramente quella oggi più rilevante e che impegna maggiormente l’azienda,anche a causa della forte pressione esercitata in questa direzione dai suoi grandi clienti.

“Se per innovazione si intende innovazione organizzativa, il ruolo dei nostri clienti è fon-damentale, insistono molto su questo aspetto. Si tratta innanzitutto della logica lean, chevogliono pilotata sulla base delle loro esigenze perché si traduce in una serie di vantag-gi, sia di costo che di performances. Oggi, ad esempio, avevamo in sede un gruppo diconsulenti Bosch che ci sta aiutando a rimodellare i nostri processi produttivi per gua-

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dagnare efficienza e ridurre i tempi complessivi. Starà a noi, poi, ribaltare queste logi-che sui nostri fornitori, perché la catena di fornitura possa funzionare con un flusso teso.Gli obiettivi sono: costi ridotti, consegne più tempestive e lotti più piccoli”.

Naturalmente l’impegno dell’azienda va anche al di là delle specifiche richieste dei gran-di clienti: da anni la logica del miglioramento continuo come fonte di innovazione orga-nizzativa viene implementata attraverso una articolata attività di formazione a lungo ter-mine sui concetti della Qualità Totale e della Lean Production, che coinvolge il persona-le a tutti i livelli.

Come accennato, per sostenere questa continua innovazione organizzativa risulta rile-vante anche l’apporto dei fornitori, alcuni dei quali rivestono un ruolo assolutamentestrategico: “Per noi i fornitori sono importantissimi, non solo quelli di materie primecome materia plastica e filo di rame, ma anche e soprattutto quelli che ci fornisconosemilavorati o trattamenti particolari con attrezzature dedicate. I loro ritmi devono esse-re armonizzati con i nostri, la loro capacità produttiva deve integrarsi con la nostra,addirittura i loro periodi di apertura e chiusura devono essere compatibili con i nostri:siamo quindi legati a loro a ‘doppissimo’ filo!”.

I fornitori strategici sono territorialmente collocati nelle vicinanze dell’azienda in quan-to occorre anche un contatto diretto in cui la prossimità fisica è fondamentale. In modoanalogo, anche in Cina, dove si è voluta mantenere questa stessa logica, “una delle gran-di fatiche è stata ricostruire il parco fornitori in loco a supporto della nuova fabbrica”.

Quanto ai fattori chiave per motivare i fornitori strategici, le intervistate hanno le ideemolto chiare: il fornitore, oltre ai volumi di produzione, si aspetta supporto e formazio-ne in caso di lavorazioni particolari: “ad esempio, proprio in questi giorni, stiamoistruendo due operatrici di un nostro fornitore sulle tecniche di saldatura”; ancora, unaguida costante nell’orientarsi alle logiche lean, in particolare per quanto riguarda ilmiglioramento continuo: “Per aiutarli a non sbagliare, utilizziamo le cosiddette ‘schededifetto’: in caso di dubbia interpretazione forniamo due foto – pezzo difettoso e pezzobuono – così che possano vedere le differenze”.

Garantire questa assistenza continua comporta un grosso impegno per l’azienda: “Il lavo-ro di monitoraggio e miglioramento della qualità dei fornitori è imponente; dobbiamoper prima cosa assicurare massima chiarezza e precisione relativamente alle istruzioni

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di lavoro; poi realizzare prelievi statistici nella logica ‘zero difetti’; infine analizzaree discutere con loro mensilmente i tassi di difettosità generati da lotti respinti, recla-mi cliente, scarti di processo, tenendo costantemente sotto controllo il loro livelloqualitativo”.

Per quanto concerne invece l’innovazione di prodotto in senso stretto, l’impegno dell’a-zienda si esplica nella ricerca dei materiali più performanti: “i clienti ci lasciano liberi diproporre nuove soluzioni, e siamo noi a farci carico di studiare materiali innovativi.Stiamo attualmente dedicandoci all’analisi delle mescole per la gomma, per trovarequelle più adatte alle diverse applicazioni per guarnizioni e “ O ring”. Abbiamo anchein corso di sperimentazione nuovi materiali plastici per l’incapsulamento delle bobine.Diciamo pure che la nostra Ricerca e Sviluppo si applica soprattutto ai materiali alter-nativi”.

Anche la strada delle partnership con politecnici e centri di ricerca è stata percorsa:“Abbiamo sviluppato un progetto con il Politecnico di Milano in collaborazione con unnostro cliente, ed è stata una esperienza gratificante ma, al momento, non sono previsteulteriori attività di questo genere”.

In definitiva, le attività di ricerca e sviluppo dell’azienda riguardano anzitutto le innova-zioni di processo, e secondariamente lo studio di materiali più performanti da proporreai clienti per migliorare le prestazioni dei prodotti.

La gestione delle Risorse Umane

In modo piuttosto originale, la gestione delle Risorse Umane non è affidata ad unresponsabile funzionale, ma è piuttosto condivisa da un team allargato: “da noi nonesiste un responsabile delle risorse umane ma c’è un team che opera in una logicadi sinergia tra le diverse funzioni”. Il team è formato da Alessandra Novellone perla ricerca e selezione del personale, ivi compresi i rapporti con le società di lavorointerinale; dalla responsabile dell’amministrazione; dal responsabile di produzione,presenza indispensabile dal momento che in quella funzione si concentra il grossodell’organico; da un consulente esterno che presidia le relazioni industriali e i rap-porti con le rappresentanze sindacali (a cui si affianca, in caso di necessità, uno spe-cialista per i risvolti contrattuali e giuridici) e da Eugenia Rotondo, componente di

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terza generazione della famiglia, che attualmente partecipa in una logica di appren-dimento e formazione.

Il team risorse umane, che si riunisce con cadenza mensile, affronta tutti i temi di gestio-ne del personale in una logica a trecentosessanta gradi: “lavoriamo a partire dai dati sta-tistici – turnover, assenze, malattie, ecc. – e ragioniamo sui problemi immediati e sullestrategie da attuare”.

Ad esempio, di recente è stata focalizzata l’attenzione sul fenomeno dell’assenteismo -fenomeno che bisogna tenere sempre monitorato - a fronte del quale sono state messe incampo “alcune azioni sia di ‘rimotivazione’ (colloqui volti a capire le cause delle assen-ze per poter intervenire in modo adeguato) sia di tipo ‘premiante’, come dei colloqui conla direzione riservati al personale che non è mai assente”.

Grande attenzione, durante questi incontri, è dedicata alla rilevazione del clima azienda-le, cioè alla determinazione del livello di soddisfazione del personale, dell’attaccamentoall’azienda e del coinvolgimento dei lavoratori, tutti fattori che influenzano non solo laqualità del lavoro, ma anche la riduzione dell’assenteismo.

Una importante leva di gestione delle persone in AMISCO è rappresentata dalla forma-zione. Si tratta di un processo che negli ultimi anni è diventato continuo e che ha per-messo a ogni addetto, anche nelle fasce operative, di partecipare ad attività di aggiorna-mento e riqualificazione: “si tratta di formazione tecnica, informatica e linguistica, maanche gestionale in senso più ampio, come corsi sulla leadership o su specifiche compe-tenze funzionali (acquisti, vendite, ecc.)”. Nel complesso interventi formativi su svariatiargomenti, molto apprezzati dai dipendenti. Sicuramente la formazione costituisce unimportante supporto alle logiche del miglioramento continuo prima richiamate, cometestimonia l’esempio che segue.

Interventi formativi specifici sugli operatori di produzione accompagnano i cambiamen-ti organizzativi dei processi manifatturieri, in particolare il passaggio dalla lavorazioneper reparti con fasi separate e distinte (avvolgimento, stampaggio, collaudo) al concettodi “cella” o “isola produttiva”in cui una famiglia di prodotti viene fabbricata in team intutte le sue fasi: “Formiamo gli operai in una logica di policompetenza e di polivalenza:scambio di mansioni, attrezzamenti macchine e manutenzioni, schedulazione delle com-messe, uso del PC, sicurezza e prevenzione infortuni, nozioni di Lean production e di

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Qualità Totale: sono solo alcuni degli argomenti oggetto di insegnamento che hanno loscopo di sviluppare in loro flessibilità sulle diverse lavorazioni nonché autonomia e con-sapevolezza dell’importanza del loro ruolo”. Questa esperienza mostra una capacità diutilizzo non semplicemente tattico, bensì strategico della formazione da parte dell’azien-da.

Non esistono invece attività di valutazione formalizzate e sistematiche: “No, questo nonlo facciamo anche se i nostri consulenti ci invitano a instaurarle. Preferiamo parlaredirettamente con le persone e discutere insieme a loro la validità delle loro prestazioni ela rispondenza alle esigenze del loro ruolo e della loro funzione. Le valutazioni emergo-no da questi colloqui e risultano così condivise dal diretto interessato. D’altro cantolavoriamo sempre a stretto contatto con i nostri collaboratori e abbiamo sempre il polsodella situazione”.

Vanno poi segnalate, sul versante del miglioramento del clima aziendale, le iniziativevolte a favorire la coesione e lo spirito di team (come ad esempio, brindisi, cene, teatro,ecc.). Partendo dai momenti di incontro tra la Direzione e i responsabili di funzione, acascata i responsabili di funzione organizzano eventi analoghi con i loro collaboratori:“la logica è favorire momenti di incontro e aggregazione di ogni leader con il proprioteam. Il nostro compito, come team risorse umane, è semplicemente di supportarli negliaspetti squisitamente organizzativi”.

Come in tutte le aziende familiari, i confini formali che separano i ruoli della Direzioneda quelli dei “primi livelli” non sono sempre così rigidi: “In generale i capi intermediintercettano la maggior parte delle istanze e delle richieste dei dipendenti; ma non èinfrequente che lavoratori di lunga anzianità e consuetudine si presentino spontanea-mente negli uffici direzionali per chiedere qualcosa o solo per fare due chiacchiere: d’al-tronde l’organigramma è il più piatto possibile, i membri della direzione sono spesso pre-senti nei reparti di produzione e la confidenza è un fatto naturale.”

Infine, va osservato che nel complesso il personale, in particolare quello operaio, ha unafidelizzazione altissima nei confronti dell’azienda. Questo avviene sicuramente perchéAMISCO è attenta al benessere del personale e nel corso degli anni ha maturato tutta unaserie di integrazioni positive al contratto nazionale che fanno sì che la situazione deidipendenti sia migliore che in altre aziende: “non solo premi produzione, ma altri bene-fici più ampi, come ad esempio visite mediche pagate, ferie, riduzione di orario, inden-

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nità varie. E poi non dimentichiamo che tutte le scadenze sono rispettate, e le posizioniretributive sempre ineccepibili. Abbiamo anche stampato due manualetti che riassumo-no tutte le informazioni utili sia per le norme di sicurezza e prevenzione infortuni, sia perle regole e i comportamenti in azienda. Da qui traspare il nostro approccio alle persone:tutto è spiegato nei dettagli e questo aiuta le persone a orientarsi fin dal loro ingresso inazienda, sentendosi da subito parte integrante dell’organizzazione”.

Come osservano in conclusione le intervistate: “In AMISCO vogliamo che le personesiano valorizzate, che la loro dignità sia salvaguardata e che tutti siano trattati conrispetto e considerazione. A quanto pare la gente si trova bene e ci rimane fedele neglianni ”.

Parte Seconda - Caso di studio AMISCO

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* a cura di Antonio Nastri

Parte Seconda - Caso di studio FORMEVET

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CASO DI STUDIO FORMEVET*

L’azienda

FORMEVET è un’azienda milanese operante nel settore veterinario mediante la realiz-zazione di prodotti per l’igiene e la salute degli animali da compagnia, degli animali dacortile e per l’igiene degli ambienti (insetticidi, rodenticidi e disinfettanti).

La storia dell’azienda è “giovane” e “antica” al tempo stesso: giovane perché FORMEVETnasce ufficialmente a cavallo tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004; antica, perché le sueorigini sono fortemente legate alla storia della Formenti, azienda farmaceutica lombarda.

“Formenti era un marchio storico della tradizione dell’industria farmaceutica lombarda– afferma il Direttore Generale dell’azienda, Alberto Milani – che però alla fine deglianni Novanta fu acquisito dal gruppo tedesco Grünenthal”.

La proprietà tedesca non si dimostrò interessata al business della veterinaria. Per questaragione, quando il processo di integrazione di Formenti all’interno del gruppoGrünenthal fu completato con la nascita del marchio “Grünenthal Italia”, la famigliaFormenti decise di riacquisire il ramo d’azienda dedicato alla veterinaria creando l’a-zienda indipendente FORMEVET S.r.l. La nascita della nuova realtà aziendale è stataagevolata dalle relazioni con il Gruppo Grünenthal: dal Gruppo all’inizio FORMEVETacquistava servizi centrali che le hanno consentito di strutturare le proprie attività e pro-cessi pur rimanendo piccola in termini dimensionali; poi l’azienda ha iniziato a struttu-rarsi in maniera indipendente.

Dal punto di vista del percorso evolutivo, è possibile suddividere la storia – seppur recen-te – dell’azienda in tre distinte fasi:

• c’è stata la fase iniziale di start-up (2003-2006), caratterizzata dall’ingresso sulmercato del nuovo brand;

• successivamente, è subentrata la fase di razionalizzazione (2006-2008), durante laquale l’azienda, resasi totalmente autonoma, ha ridefinito la propria offerta, razio-

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nalizzando la propria rete distributiva, le politiche commerciali e l’organizzazioneinterna. I criteri adottati per la razionalizzazione si sono basati, da un lato, sull’a-nalisi dei principali punti di forza su cui l’azienda poteva fare affidamento in rela-zione alle sue diverse linee di prodotto e, dall’altro lato, sullo studio dei canali dis-tributivi e di vendita all’interno dei quali FORMEVET risultava più presente. Lascelta, al termine di questa analisi, è ricaduta sui prodotti per la salute degli animalida compagnia e per l’igiene ambientale, distribuiti su tutto il territorio nazionaletramite i canali specializzati (grossisti veterinari, pet shop, rivendite agrarie e vete-rinari);

• è cominciata poi la fase di sviluppo (a partire dal 2008), in cui l’azienda haintensificato i propri investimenti nella Ricerca & Sviluppo, lanciando nel2010 molte nuove referenze nei segmenti di mercato propri del core businessaziendale.

Dal punto di vista organizzativo, FORMEVET si struttura con un organico di quattordi-ci dipendenti distribuiti in cinque differenti funzioni:

• Vendite;• Regolatorio R&D;• Amministrazione e controllo/Amministrazione vendite;• Supply Chain Management;• Marketing.

La scelta di rimanere “snelli” e di crescere secondo linee di sviluppo interne, rappresen-ta quasi un’anomalia all’interno di un settore in cui si sta registrando negli ultimi anniuna tendenza delle aziende a cercare la crescita dimensionale, anche mediante il ricorsoalle fusioni e alle acquisizioni.

Manca la funzione “produzione”. Quest’ultima, infatti, è affidata interamente a fornitoriesterni. Si tratta di una soluzione che, da un lato, consente a FORMEVET di rimanereagile ma, dall’altro lato, comporta problemi di ordine gestionale:

“Questo è il motivo per cui abbiamo creato la funzione Supply Chain Management, per-ché ci avvaliamo di ben undici fornitori per la realizzazione di ottantasette prodottidiversi, che sono distribuiti mediante molteplici canali”.

Parte Seconda - Caso di studio FORMEVET

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Le attività di vendita sono affidate a una rete di agenti e sub-agenti – in tutto ventinovepersone – affiancati da otto Informatori Medico Scientifici, che fanno riferimento a treArea Manager ed a un Key Account Manager che presidia il canale delle catene distri-butive.

Il mercato in cui l’azienda opera, come già accennato, è quello della salute degli anima-li da compagnia e da cortile e dell’igiene ambientale. Si tratta di un mercato estrema-mente complesso, perché presenta vincoli e regole molto simili a quelle del mercato far-maceutico per uso umano, ma con volumi di business assai più contenuti:

“Prendiamo ad esempio il processo di sviluppo e registrazione di un nuovo farmaco peruso veterinario. I tempi per la ricerca, le attività di sperimentazione e le procedure diregistrazione sono del tutto equiparabili a quelli richiesti per i farmaci destinati all’usoumano”.

È un mercato, quindi, “simile” per alcune logiche a quello farmaceutico, ma molto piùpiccolo che, spesso, si trova a dover competere proprio con quello farmaceutico:

“In ambito veterinario esistono ormai prodotti per quasi tutte le patologie. Eppure, spes-so gli animali domestici come cani e gatti vengono curati con farmaci concepiti per l’usoumano. C’è, dunque, un problema di consapevolezza, perché i proprietari degli animalispesso ignorano l’esistenza di prodotti specifici per cani e gatti – ma i veterinari dovreb-bero conoscere questi prodotti – e c’è un problema di cultura nell’utilizzo dei prodotti,perché non si considera che un farmaco pensato appositamente per un cane o un gattopotrebbe essere più efficace rispetto a un farmaco pensato per gli uomini e “adattato” aun utilizzo che non dovrebbe essere il suo”.

Inoltre, rispetto al settore farmaceutico, quello veterinario presenta complessità maggio-ri dal punto di vista distributivo:

“Non ci sono solo le farmacie. Alcuni prodotti veterinari possono essere distribuiti anchepresso le catene della GDO, i pet shop, i garden center o le rivendite agrarie, finanche inegozi di ferramenta. Si tratta di canali diversi che funzionano con dinamiche differentie sono in continua evoluzione. Per questa ragione, chi opera in questo mercato deveavere processi chiari e sistemi funzionali, anche perché il rischio di incorrere in sanzio-ni è particolarmente elevato”.

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In un mercato con queste caratteristiche (elevata complessità normativa e procedurale evolumi di business contenuti, almeno se paragonati a quelli del settore farmaceutico), laprincipale leva competitiva sembra essere soprattutto la ricerca dell’efficienza, per cuimolti operatori del settore sembrano maggiormente attenti alla ricerca dell’ottimizzazio-ne dei processi interni piuttosto che a rilanciare le attività di Ricerca & Sviluppo:

“È una tendenza per alcuni versi comprensibile, anche se noi cerchiamo di comportarciin maniera differente. I tempi richiesti per lo sviluppo e la registrazione di una nuovamolecola si stanno allungando, sono necessari circa otto anni, e anche i costi aumenta-no progressivamente, con punte quantificabili in molteplici decine di milioni di euro.Questo comporta un progressivo differimento dei ritorni sugli investimenti in Ricerca &Sviluppo e ha come conseguenza la tendenza ad una ‘genericizzazione’ del mercato. Conquesto termine si intende dire che spesso le aziende preferiscono orientarsi sullo svilup-po di una molecola già nota, magari cercando nuovi campi di utilizzo, piuttosto che inve-stire sullo sviluppo di nuove molecole”.

Il mercato è oggi composto da tre principali categorie di operatori:

• grandi gruppi multinazionali, che detengono le maggiori quote di mercato;• imprese nazionali strutturate, tra le quali figura anche FORMEVET;• piccoli operatori. Si tratta spesso di aziende con un’offerta limitata che hanno mag-

giori difficoltà a sopravvivere sul mercato (“spesso hanno vita breve”) a causa dellenormative con cui devono confrontarsi.

All’interno di questo contesto competitivo, la quota di mercato detenuta da FORMEVETè di circa l’1%, ma nel caso di alcune tipologie di prodotti, come gli antiparassitari, talequota raggiunge il 4%. FORMEVET, inoltre, è leader di mercato nel campo degli anti-dolorifici. Si tratta di una leadership che deriva anche dalla grande tradizione ereditata daFormenti nel campo della analgesia.

La Governance

La proprietà dell’azienda è della famiglia Formenti. Gli azionisti sono tre fratelli checompongono la terza generazione della famiglia, ma stanno già crescendo anche i rap-presentanti della quarta.

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I membri della famiglia compongono il Consiglio di Amministrazione e hanno un ruolodeterminante nel definire gli orientamenti strategici dell’azienda:

“I nostri azionisti hanno un orientamento di lungo periodo e questo favorisce l’indivi-duazione di piani strategici strutturati e lungimiranti. È una caratteristica che non sem-pre è facile riscontrare nelle imprese familiari, in cui prevale spesso una maggiore atten-zione agli obiettivi di breve periodo”.

È, infatti, una precisa volontà della proprietà quella di intensificare le attività di Ricerca& Sviluppo finalizzate allo sviluppo di prodotti innovativi, in un momento in cui la ten-denza di molti competitor è quella di contenere tali investimenti.

A dimostrazione di questo orientamento, nel biennio 2009/2010 l’azienda ha lanciatonumerosi nuovi prodotti.

Il confronto tra il management e gli azionisti non riguarda solo gli aspetti maggiormen-te legati alla definizione degli orientamenti strategici e delle linee guida dell’azienda, maanche le questioni più operative. Ciò è possibile grazie al fatto che i rappresentanti dellafamiglia sono costantemente presenti in azienda. Tale possibilità favorisce un migliorallineamento dell’azione e la comunione d’intenti tra la proprietà e il management:

“È da precisare, però, che anche il confronto sulle questioni operative avviene in manie-ra strutturata e non casuale. Voglio dire che tutto avviene sempre nella chiarezza e nelrispetto della divisione dei compiti e delle responsabilità tra l’Amministratore Delegatoe il Direttore Generale”.

La gestione delle Risorse Umane

L’obiettivo di rimanere “agili”, ma di essere al contempo “strutturati come le grandi impre-se”, passa anche attraverso le scelte inerenti la gestione e lo sviluppo delle Risorse Umane:

“Stiamo cercando di fare le cose allo stesso modo in cui vengono fatte nelle multinazio-nali. Considerando le nostre dimensioni, non possiamo permetterci una vera funzioneHR, ma siamo comunque convinti che le Risorse Umane rappresentino una chiave fon-damentale per il nostro successo”.

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In termini di gestione delle Risorse Umane, FORMEVET sta affrontando una fase diriflessione in cui si sta cercando di ridefinire alcune priorità. Infatti, dopo i primi anni, incui l’attenzione maggiore è stata inevitabilmente dedicata alla strutturazione dei proces-si primari, ora sembra giunto il momento per ridefinire in maniera più accurata anche iprocessi più “soft”, tra cui quelli legati alla gestione e allo sviluppo delle persone.

Un esempio di questo cambiamento è rappresentato dalle politiche formative:

“Stiamo affrontando un vero e proprio switching della formazione. In passato abbiamorealizzato prevalentemente formazione tecnica; oggi ci stiamo spostando anche versoaltri temi, come la formazione manageriale e comportamentale”.

Questo ampliamento delle aree di intervento della formazione è stato favorito anche dallacollaborazione con alcuni enti che l’azienda ha individuato come partner formativi e checollaborano all’analisi dei fabbisogni e alla definizione degli interventi da realizzare:

“La collaborazione e il rapporto di fiducia con questi partner ci ha consentito anchedi avvicinarci in maniera più consapevole alle opportunità offerte dai fondi interpro-fessionali. Inoltre, il supporto di questi partner è fondamentale anche per la gestionedegli aspetti più burocratici e procedurali necessari per l’accesso e la fruizione di talifondi”.

FORMEVET, come già descritto, ha un organico di quattordici persone. Le piccoledimensioni, che sono da considerare come un punto di forza dell’azienda, produconocondizionamenti sulle politiche di sviluppo:

“In un’azienda di 14 persone non è possibile crescere in senso verticale. Il temadella crescita professionale si può affrontare meglio dal punto di vista delle compe-tenze, aiutando le persone a migliorarsi. È per questo motivo che abbiamo intensi-ficato le attività formative ed è per lo stesso motivo che stiamo per lanciare un pro-getto finalizzato all’analisi e alla valutazione dei potenziali. L’obiettivo è quello direalizzare percorsi di sviluppo personalizzati che supportino le esigenze di crescitadegli individui”.

Il ricorso alle agenzie di Head Hunting è anche una soluzione efficace per verificare ilposizionamento dell’azienda nel mercato del lavoro:

Parte Seconda - Caso di studio FORMEVET

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio FORMEVET

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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“Gli head hunter ci restituiscono sempre i feedback dei candidati contattati e questifeedback sono sempre positivi, a prescindere dal fatto che il contatto si concretizzi inun’assunzione. C’è anche da dire che solitamente chi accetta di venire a lavorare inFORMEVET, soprattutto se proviene da una multinazionale, lo fa anche per una scel-ta precisa, perché è attratto dalla possibilità di lavorare in un contesto organizzativopiù agile e fortemente orientato alla efficienza operativa, più che al rispetto della buro-crazia interna”.

L’internazionalizzazione

Ad oggi, il tema dell’internazionalizzazione non sembra rappresentare una priorità perFORMEVET. Le attenzioni sembrano concentrate esclusivamente sul mercato interno:

“In passato avevamo realizzato dei tentativi di internazionalizzazione, intesi soprattuttocome distribuzione anche all’estero dei nostri prodotti, poi abbiamo strategicamentedeciso di abbandonare queste iniziative e di dedicarci solo al mercato nazionale, alme-no per il momento”.

Se dal punto di vista dello sviluppo del mercato non ci sono tentativi di apertura all’e-stero in vista, sono da segnalare alcune iniziative di collaborazione internazionale sul ver-sante della Ricerca & Sviluppo.

Il riferimento è alla collaborazione con aziende multinazionali in attività di sviluppo dibrevetti di proprietà di FORMEVET o di co-sviluppo di nuovi brevetti:

“C’è da dire che per un’azienda come la nostra è anche un motivo di orgoglio con-statare che i nostri brevetti rappresentino un elemento di interesse anche per grandimultinazionali”.

L’innovazione

Nel contesto di business in cui opera FORMEVET, il tema dell’innovazione è interpre-tato soprattutto come “innovazione di prodotto”, e per questo motivo la Ricerca &Sviluppo rappresenta un processo chiave.

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Tuttavia, come accennato in precedenza, a causa dei costi elevati, dei tempi lunghi e deivincoli normativi e procedurali che regolano lo sviluppo dei nuovi prodotti, la Ricerca &Sviluppo costituisce un’attività “critica” per tanti operatori del settore e risulta spessosacrificata.

Per questa ragione, il trend prevalente all’interno del settore vede concentrare le attivitàdi R&D più sullo sviluppo dell’esistente – mediante la ricerca di nuovi campi di appli-cazione e funzioni d’uso di molecole e prodotti già noti – che non sullo sviluppo di nuovemolecole. All’interno di questo scenario, FORMEVET può essere indicata come un’ec-cezione:

“Il mercato spinge sempre di più verso la ricerca dell’efficienza a scapito della Ricerca& Sviluppo. La nostra azienda, invece, è costantemente impegnata nelle attività di R&De le nuove referenze lanciate sul mercato negli ultimi anni ne sono una prova”.

È da osservare anche che l’attenzione dedicata alle attività di Ricerca & Sviluppo inFORMEVET è strettamente legata a una specifica volontà della proprietà, che ha indivi-duato in tali attività una delle principali fonti di vantaggio competitivo dell’azienda:

“Se non avessimo alle spalle una proprietà così convinta dell’utilità degli investimenti inR&D, probabilmente non potremmo operare allo stesso modo di come abbiamo fatto finoad oggi”.

Parte Seconda - Caso di studio FORMEVET

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

* a cura di Caterina Carroli

Parte Seconda - Caso di studio ISAGRO

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CASO DI STUDIO ISAGRO*

L’azienda

ISAGRO è la società capofila di un gruppo che, in poco più di quindici anni, è diventa-to un operatore a livello mondiale nel settore degli agrofarmaci. La sua missione è quella di offrire all’agricoltore strumenti innovativi, di origine chimi-ca e biologica, per la salute delle colture, nel rispetto dell’ambiente, dell’utilizzatore e delconsumatore di prodotti agricoli.

Essa nasce nel 1992 acquisendo da EniChem Agricoltura il ramo agrofarmaci (insettici-di, erbicidi, fungicidi). Nel 1993 è oggetto di unmanagement buy-out da parte di un grup-po di undici manager, tra i quali Giorgio Basile, attuale presidente del Gruppo.

Nel 1994 ISAGRO diventa una società per azioni e conferisce, per renderla economica-mente sostenibile e aumentarne l'efficacia, l'attività di ricerca e sviluppo a una nuovasocietà, Isagro Ricerca S.r.l., di cui sono soci la giapponese ArystaLifeScienceCorporation (19%), la sua partecipata americana Arvesta Corporation (5%) e laPhyteurop S.A. (15%). Fin dalla nascita, ISAGRO è presente nella ricerca, nello svilup-po, nella produzione e nella commercializzazione di prodotti per la protezione delle col-ture agricole (ovvero gli agrofarmaci), caratteristica che ancora rappresenta il trattodistintivo dell’azienda nei mercati in cui opera.

Non a caso la sua mission è quella di essere, sebbene “ piccola”, una società basata suR&S, globale e integrata che aumenta il patrimonio registrativo dei prodotti di proprietàaprendo un nuovo ciclo di sviluppo. Attualmente, è l’unica società italiana che investedirettamente nell’innovazione e nello sviluppo di nuove molecole, elemento distintivoche le consente di avere successo in un settore altamente concentrato ove i primi sei ope-ratori (Syngenta, Bayer, Basf, DowAgro, Monsanto, DuPont) detengono il 70% circa delmercato (dato riferito al 2009).

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Un’altra caratteristica del settore è la necessità di estrarre valore su scala globale: peradeguarsi a questa evoluzione del mercato ISAGRO dà inizio a un percorso di forte cre-scita, realizzato attraverso alleanze strategiche e acquisizioni, che le hanno consentito didiventare una realtà operante sui mercati di tutto il mondo. Il 2001 è l’anno del “salto diqualità” realizzato grazie all’acquisizione del ramo d'azienda agrochimico di Caffaro.L'acquisizione rappresenta un'importante opportunità di crescita per il Gruppo, in ragio-ne di diversi fattori:

• acquisizione di nuove competenze;• ingresso nel business dei fungicidi a base di rame (con lo stabilimento di Adria);• rafforzamento nella formulazione e nel confezionamento di agrofarmaci (con lo

stabilimento di Aprilia);• integrazione della rete di distribuzione di Caffaro in Isagro Italia;• acquisizione di una rete di distribuzione in Spagna;• acquisto di Siapa S.r.l., società che gestisce l'attività italiana di distribuzione dei

prodotti del Gruppo ai Consorzi Agrari;• ingresso nel business dei prodotti per Casa e Giardino.

Nello stesso anno, ISAGRO, tramite la neo costituita IsagroAsia, acquisisceAgrochemicals PVT Ltd, il ramo d'azienda agrochimico di RPG LifeScience, societàquotata sul mercato di Mumbai in India e specializzata nella sintesi, formulazione e con-fezionamento di agrofarmaci. L'acquisizione garantisce a ISAGRO una maggiore capa-cità produttiva di sintesi chimica, alcuni insetticidi piretroidi e l'ingresso nel mercatoindiano della distribuzione.

Nel 2002 ISAGRO costituisce una joint-venture con Sumitomo Chemical Company Ltd,il più grande gruppo chimico giapponese, attraverso la cessione del 50% di Isagro Italiache, nel frattempo, aveva acquisito l'intera partecipazione di Siapa.

Questa serie di acquisizioni culmina nel 2003 con la quotazione sul Mercato telematicoazionario di Borsa Italiana nel segmento STAR.

Per giocare al meglio la partita di piccolo operatore globale capace di inventare nuovemolecole e di commercializzarle nel mondo, ISAGRO ha consolidato negli ultimi anni lapropria presenza all’estero o attraverso distribuzione diretta dei propri prodotti o attra-verso contratti di commercializzazione.

Parte Seconda - Caso di studio ISAGRO

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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Il modello di business pre-2001 era caratterizzato da una focalizzazione sulla ricer-ca innovativa e lo sviluppo di molecole di proprietà, con registrazioni di proprietà diterzi, una produzione esternalizzata, un marketing a supporto di distributori terzi euna distribuzione affidata a terzi (con l’eccezione dell’Italia). Il modello di businessche si configura nel 2010 è invece quello di un’azienda caratterizzata da integrazio-ne produttiva con registrazioni per la maggior parte di proprietà, un marketing svi-luppato direttamente nei principali mercati e una distribuzione in alcuni mercati stra-tegici.

I prodotti agrofarmaceutici di proprietà, già commercializzati, possono essere classifica-ti in 4 categorie:

• fungicidi;• erbicidi;• insetticidi;• prodotti biologici.

Caratteristica che accomuna i prodotti realizzati da ISAGRO è la ricerca di un bassoimpatto ambientale per la promozione di una agricoltura sostenibile.

L’attività produttiva viene svolta in 5 siti, 4 localizzati in Italia e 1 in India. La distribu-zione dei propri prodotti avviene direttamente in Colombia, India, Spagna, e Stati Uniti,mentre negli altri Paesi ISAGRO si avvale di partner locali che si occupano della com-mercializzazione dei prodotti.

Al 2010, i dipendenti di ISAGRO sono 780 circa, di cui 430 in Italia e il resto distribui-to tra Isagro Asia (250 dipendenti), Barpen (45 dipendenti), Isagro Spagna, IsagroBrasile, Isagro USA (queste ultime tra i 5 e i 12 dipendenti). Le quote del 50% di IsagroItalia srl e Sipcam Isagro Brasil SA. sono state cedute nei primi mesi del 2011.

Il fatturato consolidato nel 2010 è stato pari a 133,8 milioni di euro (il fatturato non pro-formato e pertanto comprendente le cessioni di asset/società avvenute nei primi mesi del2011 è stato pari a 205 milioni di euro), realizzato su scala mondiale in oltre 80 paesi,con un Ebitda di 18,9 milioni di euro (24,8 milioni l’Ebitda non-proformato). In ricercae innovazione è stato investito l'11% circa delle vendite di prodotti proprietari. Il 2010 èstato un anno di ridimensionamento a livello di fatturato, in conseguenza della crisi da unlato e della cessione di asset dall’altro lato.

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Il 2011 è stato in particolare l’anno di ri-focalizzazione di ISAGRO sul suo core businesse sul suo ruolo di small global player, fondato sulla capacità di fare ricerca, di sviluppa-re prodotti innovativi e di commercializzarli su scala globale. L’azienda ha pertanto deci-so la cessione delle partecipazioni nella distribuzione in Italia e in Brasile: in particola-re, la quota del 50% di Sipcam Isagro Brasil è stata venduta alla multinazionale indianaUPL, mentre il 50% che ISAGRO deteneva in Isagro Italia è stato ceduto a SumitomoChemical, che era entrata nella società nel 2002 e ora ne detiene l’intero capitale. Inentrambi i casi, assieme agli accordi per la cessione sono state firmate intese per la distribuzione di prodotti ISAGRO nei prossimi anni, che quindi continuerà a vendere ipropri prodotti sia in Italia sia in Brasile. Cambia quindi il modello distributivo, chediventa controllato da ISAGRO (e non più direttamente gestito) e non implicante note-voli risorse finanziarie per i prodotti di terzi.

I piani di sviluppo a medio termine prevedono una inversione di tendenza, grazie al ritor-no atteso dai prodotti lanciati ora sul mercato. Le stime prevedono che il fatturato 2011potrà essere di poco inferiore ai 150 milioni, arrivando progressivamente a superare i 230milioni nel 2014, con un Margine Operativo Lordo in crescita dagli 11 milioni attesi nel2011 ai 29 stimati nel 2014 (passando così dall’8 al 13% delle vendite di marginalità ope-rativa lorda).

La Governance

Nonostante la quota di mercato di ISAGRO sia lo 0,6% – contro il 14% di player globa-li come Basf e DuPont – la complessità gestionale è quella tipica di una multinazionale,ove le leve di comando da attivare per la gestione sono numerose. La famiglia proprieta-ria è presente in ISAGRO dal punto di vista del controllo societario attraverso una seriedi passaggi che originano da Piemme Srl, controllata dalla famiglia al 50,1%, fino adarrivare a ISAGRO Spa, come illustrato dalla Figura 1.

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Figura 1 – Struttura di controllo ISAGRO S.p.A.

Fonte: Bilancio Ambientale 2009

A livello organizzativo, la famiglia proprietaria è affiancata nella gestione da una solidastruttura di management professionale che ha maturato significative esperienze in azien-de multinazionali e che ha portato la propria professionalità all’interno del Gruppo.L’apporto di management esterno è stato dettato dalla necessità di presidiare la crescen-te complessità gestionale di un’azienda che in una quindicina di anni ha ramificato lapropria presenza a livello globale.

La famiglia proprietaria è presente a livello gestionale con il Dr. Giorgio Basile,Presidente e CEO e con il fratello Dr. Maurizio Basile, Vicepresidente con funzioni vica-rie del Presidente e CEO. Da un secondo Vicepresidente dipendono la DirezioneCorporate Amministrazione e Bilancio e la Direzione Acquisti. Riportano al Presidentele funzioni di staff Investor Relation, Internal Auditing, Comunicazione e ControlloStrategie di Business e Investimenti. Le funzioni di linea sono rappresentate dalla

PIEMME S.r.l.

MANISA S.r.l.

HOLDISA S.r.l.

ISAGRO S.p.A.

Managerse altriprivati

21,33%

ArystaCropScience

Corp.

4,00%

Parfin S.r.l.

5,00%

0,46%

54,70%

50,01%

Mercato

44,84%

PhyteuropS.A.

5,50%

SipcamS.p.A.

10,00%

UBIBanca

28,66%

75,50%

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Direzione Risorse Umane e Affari legali, la Direzione Finanza e Controllo e la DirezioneProduzione e Supply Chain, a cui si aggiunge la delega a un consigliere per la Qualità,Ambiente e Sicurezza, da cui dipende l’omonima Direzione. Al Chief Operating Officerrispondono infine la Direzione Ricerca e Sviluppo, la Direzione Sviluppo Business e iDirettori Commerciali. La Figura 2 illustra graficamente la struttura organizzativa diISAGRO.

Figura 2 – Organigramma di ISAGRO S.p.A.

Fonte: materiale interno aziendale

Presidente e C.E.O.

Vice Presidente* Vice Presidente

Direttore CorporateAmministrazione e Bilancio Acquisti

Investori Relator

Internal Auditing

Direttore CorporateFinanza e Controllo

Direttore CorporateRisorse Umane e

Affari Generali

Consigliere DelegatoQ.S.A.

Qualità,Sicurezza e Ambiente

Direttore CorporateSviluppo BusinessDirettori Commerciali

Chief Operating Officer

Direttore CorporateProduzione e Supply Chain

Controllo Strategie di Businesse Investimenti

Direttore CorporateRicerca e Sviluppo

Comunicazione Corporate eServizi Generali

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Il sistema di governo societario di ISAGRO, conformemente a quanto previsto dalla nor-mativa Consob per le società quotate in Borsa e in linea con i principi contenuti nelCodice di Autodisciplina, si compone dell’Assemblea dei Soci, di un Organo diGestione – il Consiglio di Amministrazione – e di un Organo di Controllo esterno alConsiglio di Amministrazione, il Collegio Sindacale. I principali strumenti di governosocietario di cui la Società si è dotata sono:

• statuto sociale; • regolamento dell’Assemblea dei Soci di ISAGRO S.p.A.; • codice di InternalDealing; • regolamento interno per la gestione e il trattamento delle informazioni riservate e

per la comunicazione all’esterno di documenti e informazioni; • procedura per la gestione delle operazioni con parti correlate.

Nel 2006 l’azienda si è dotata di un Codice Etico, al momento applicato in ISAGROS.p.A., ma che verrà presto esteso a tutte le società del Gruppo. Esso definisce i princi-pi di condotta negli affari, gli impegni deontologici richiesti ad amministratori, dipen-denti e collaboratori nonché le regole di condotta della Società verso l’insieme degli sta-keholder evidenziati. Il Codice Etico è parte integrante del Modello di Organizzazione,Gestione e Controllo ex D.Lgs. 231/01, che ha l'obiettivo di presentare l'insieme di pre-scrizioni e strumenti operativi per garantire la conformità delle attività di ISAGRO aiprincipi stabiliti dal Decreto 231/01.

L’approccio seguito dall’azienda nell’elaborazione e implementazione di questi strumen-ti di governo dell’azienda è stato quello di adempiere ai dettati normativi, cogliendo alcontempo l’occasione per migliorare il proprio sistema di controllo.

L’attuale struttura di governance è nata nel 2005 da una duplice necessità: da un lato laquotazione in Borsa avvenuta nel 2003, dall’altro il perseguimento di una strategia dicompletamento della propria presenza nel settore attraverso un presidio di commercia-lizzazione. Si è manifestata, quindi, la necessità di dotarsi di una struttura di governo ade-guata al salto dimensionale della società, che in quegli anni era cresciuta fino a raggiun-gere 250 milioni di euro di fatturato.

Nonostante l’attuale ridimensionamento, tale modello di governance va senza dubbiovalorizzato e consolidato quale requisito essenziale per poter dare avvio a ulteriori pro-getti di sviluppo. La struttura viene ritenuta dal management adeguata, ferma restando

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tuttavia la necessità di alcune limature per bilanciarla in alcuni settori specifici. La ten-sione tra una struttura di governance articolata per meglio gestire la complessità e la rigo-rosa necessità di perseguire l’efficienza senza appesantire troppo la struttura è sempre pre-sente e mai completamente risolta. La criticità maggiore in questo senso è rappresentatadalla ricerca, che richiede ingenti investimenti, monetari e non, e che rappresenta il corebusiness di ISAGRO. Per avere un’idea di come si cerca di tenere sotto controllo il crite-rio dell’efficienza basti pensare che con 15 milioni di euro investiti annualmente in ricer-ca, ISAGRO è riuscita a lanciare tre prodotti pronti per il mercato in dieci anni, a fronte diun costo medio di circa 23 milioni di euro per mettere sul mercato un prodotto nuovo.

La gestione delle Risorse Umane

La gestione delle Risorse Umane risulta una variabile critica per un’azienda come ISAGRO, che fa della capacità di innovazione il proprio posizionamento distintivo sulmercato. Il settore specifico in cui opera richiede che il mix delle Risorse Umane siamaggiormente bilanciato sulle competenze tecnico-specialistiche più che su quelle prettamente manageriali. Le aree di competenza tecnica richiesta dall’azienda riguarda-no l’agronomia, la chimica e l’ingegneria chimica.

Questo comporta dei vincoli in fase di selezione delle persone, che, per le professionali-tà e le posizioni specifiche, vanno preferibilmente selezionate tra coloro i quali possonovantare un’esperienza nel settore di riferimento. La modalità più efficace per ricoprireuna posizione non presente internamente è quella di rivolgersi alle società di HeadHunting; riconvertire professionalità da altri settori per coprire posizioni specialisticherisulta invece una modalità troppo onerosa e talvolta inefficace. Un altro vincolo impor-tante e in grado di condizionare la selezione delle persone è rappresentato dalla cono-scenza delle lingue, skill necessaria anche a livelli bassi per l’internazionalizzazione dif-fusa dell’azienda.

Tali vincoli sono ancora più pesanti per quanto riguarda i ricercatori. Per assicurarsi un ade-guato bacino cui attingere la propria linfa vitale, ISAGRO, ha messo in atto una serie di azio-ni coordinate che vanno dai rapporti costanti con i centri di ricerca universitari, alla parteci-pazione alle iniziative promosse da Federchimica di Assolombarda, fino alla implementa-zione di contratti – anche con l’attivazione congiunta di dottorati/PhD – con le Università perportare avanti prove di ricerca e stringere un rapporto di relazione privilegiato con ricercato-

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ri potenzialmente interessati a entrare in azienda. In generale, l’insieme di questi vincolifanno sì che il bacino di reclutamento delle risorse umane risulti piuttosto ristretto, portandocome naturale conseguenza una forte enfasi sulla crescita interna delle persone.

Il processo di selezione viene gestito attraverso comitati di selezione interni, composti divolta in volta a seconda delle competenze richieste e formati, oltre che dalle funzioni diret-tamente implicate, che detengono l’“ultima parola” sulla selezione, anche da altre funzio-ni che possono esprimere una loro valutazione sul candidato, in merito ad aspetti tecnicio caratteriali/relazionali. Ogni rappresentante del comitato intervista il candidato, preferi-bilmente separatamente, per poi condividere con gli altri una short list che per le profes-sionalità di rilievo o maggiormente critiche viene presentata al Presidente. L’inserimentodel personale con questa modalità di condivisione, seppure più oneroso, contribuisce, aparere dell’intervistato, a ridurre i margini di errore e testimonia nella pratica una oculatapolitica di inserimenti che, nei limiti del possibile, deve evitare le ridondanze.

Il settore degli agrofarmaci presenta delle caratteristiche peculiari che incidono anchesulla gestione delle Risorse Umane una volta inserite in azienda. Il business è infatticaratterizzato da un’alta flessibilità stagionale: il picco di vendita si registra nel periodotra gennaio e maggio, periodo di campagna in Italia, per poi calare tra giugno e settem-bre e riprendersi infine tra ottobre e dicembre, in coincidenza con gli approvvigionamentie le vendite effettuati dai distributori di agrofarmaci e dei trattamenti attuati dagli agri-coltori, utilizzatori finali del prodotto. Per affrontare al meglio questa potenziale critici-tà sono state contrattate, all’interno del contratto nazionale dei chimici, delle forme diflessibilità nell’orario settimanale a seconda dei picchi di produzione e vendita.

Per le attività produttive e per quelle connesse, nel periodo di picco i lavoratori hanno unorario settimanale che arriva sino a 48 ore, mentre nel periodo tra giugno e settembre l’orario settimanale può scendere sino a 24-32 ore. Questa soluzione consente all’aziendadi evitare un eccessivo ricorso alle ore di straordinario nei periodi di picco e, di contro, allacassa integrazione nei periodi di flessione della produzione. Il risultato è la tipica situazio-ne win-win: l’azienda riesce a gestire i cicli produttivi senza perdite di natura economica ei lavoratori possono beneficiare di un maggiore bilanciamento tra vita privata e vita lavo-rativa durante il periodo estivo, tipicamente quello più critico per la gestione familiare.

Il contratto dei chimici prevede inoltre altri benefici sul fronte del welfare aziendale, apartire dal fondo integrativo Fonchim, cui contribuiscono sia l’azienda sia i lavoratori, al

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Cral aziendale, a convenzioni per gli acquisti e coperture assicurative integrative a cari-co dell’azienda. ISAGRO partecipa attivamente alla definizione di questi aspetti contrat-tuali con il sindacato, in un clima di trasparenza e fiducia, e sta attualmente valutando,congiuntamente ad altre aziende, l’estensione dell’attuale struttura di welfare aziendaleche consenta di andare incontro alle esigenze dei dipendenti fornendo loro un supportonello svolgimento delle incombenze domestiche (il cosiddetto “maggiordomo aziendale”). In ISAGRO è inoltre in vigore la flessibilità dell’orario in entrata e in uscita, con la possibilità di flessibilità maggiori di quelle standard previste per alcune professionalità spe-cifiche o per esigenze personali. Tipicamente, per le mamme, in alcuni casi si sono trovatesoluzioni per le quali è consentita una flessibilità in entrata fino alle 10.30 e una uscita anti-cipata riducendo la pausa pranzo; oppure i commerciali che hanno contatti con l’estero dalBrasile all’India e sono legati ai fusi orari. Il tema della conciliazione vita-lavoro è moltosentito in ISAGRO, che prevede anche la possibilità del telelavoro – a parità di stipendio econ la presenza in azienda un giorno alla settimana – e che non ostacola il part-time.

“ISAGRO è molto attenta alle persone e al ruolo sociale dei dipendenti. L’obiettivo che cisiamo dati di sviluppare il welfare aziendale è fondamentale per migliorare il benessere dellapersona. L’azienda ne ha un ritorno in termini di miglioramento dell’ambiente di lavoro, diretention e di aumento dell’attrattività di un’azienda come ISAGRO che non può competerecon i concorrenti sul piano economico, ma utilizza come leva il benessere delle persone”.

Questa politica così attenta alle esigenze delle persone si riflette in tassi di turnover moltobassi rispetto alla media del settore: il 5-6% in Italia, il 18% in India, dove altre aziendeconoscono anche tassi del 30%.

La vicinanza alle persone che lavorano in azienda è la cifra anche dell’approccio adot-tato dalla proprietà, che promuove diversi incontri istituzionali ai vari livelli azienda-li. Per il livello dirigenziale, tendenzialmente ogni anno-anno e mezzo si tiene la con-vention dei dirigenti, che riunisce i 60 dirigenti di ISAGRO a livello globale per dis-cutere con la proprietà. Accanto a queste riunioni formalizzate possono verificarsimomenti sporadici, organizzati all’occorrenza e focalizzati su argomenti specifici.

“All’opening meeting che si tiene a inizio anno e agli incontri pre-natalizi partecipanotutti i lavoratori, e quando dico tutti intendo dire che si fermano anche le fabbriche. Talimomenti di incontro tra la Direzione e i collaboratori avvengono non solo in Italia, main tutti i Paesi in cui siamo presenti”.

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Nella relazione tra la proprietà, la struttura manageriale e il resto dei collaboratori nonemergono fratture, ma grande coesione e uniformità di orientamento.

“In ISAGRO non ci sono ‘parrocchie’: il management espresso dall’azionariato di controlloche gestisce la società fa sì che ci sia uniformità di orientamento verso la Direzione e non cisia nessuna frantumazione delle risorse che operano all’interno dell’azienda. E’ chiaro chenella vita aziendale possono esistere in determinati momenti persone più in rilievo rispetto adaltre, ma senza che questo crei un centro di potere e in ogni caso con valorizzazione delle risor-se in termini di competenza, professionalità e autorevolezza”.

Gli ambiti di azione tra la proprietà e il management appaiono ben definiti e i confini dellerispettive responsabilità non sono assolutamente messi in discussione: “quando c’è da decide-re l’entità degli investimenti, è il top management che lo fa per competenza decisionale speci-fica, il tutto però parte dalle proposte d’investimento che giungono dai responsabili dei diver-si settori a cui è affidata l’attuazione.”

Riuscire a mantenere una coesione di intenti nella compagine aziendale – e soprattutto in quel-la manageriale – in un’azienda così fortemente internazionalizzata è questione non semplice eche richiede una oculata gestione. La crescita per linee esterne che l’azienda ha conosciuto inquesti anni è stata gestita cercando di ‘esportare’ la cultura industriale di ISAGRO, preservan-do allo stesso tempo la cultura e le professionalità specifiche locali.

“In India ad esempio non abbiamo imposto la nostra gestione, ma abbiamo lavorato forte-mente sull’integrazione, con delle precise indicazioni di policy gestionale su alcune questioniper noi fondamentali, come il divieto di assumere minori al di sotto dei 18 anni, per quantoconsentito dalla normativa locale. Il manager indiano non viene lasciato solo, ma viene sup-portato in CdA da figure della capogruppo ed è in continuo contatto con i manager e le variefunzioni della capogruppo nella cui struttura è tra l’altro inserito con precise responsabilità.In Colombia, al momento dell’acquisizione della realtà locale e con il fine di accelerare e con-solidare l’integrazione, abbiamo affidato la gestione della nuova società a un nostro dirigentespagnolo, con il gruppo da lungo tempo come responsabile della realtà spagnola, che l’ha gui-data per il primo anno e mezzo”.

Per facilitare i processi di integrazione culturale, la proprietà ha perseguito la strategia diinserire nella struttura direzionale sempre più persone con esperienza internazionale o desi-derose di farla, come ad esempio nel caso della persona intervistata, Aldo Urru, Direttore

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Corporate Risorse Umane e Affari Generali di ISAGRO. La sua esperienza professio-nale matura nell’ambito delle Risorse Umane e in particolare nel contesto aziendaleSnia, ove, partendo dalla responsabilità delle Risorse Umane di stabilimento arriva aricoprire il ruolo di Direttore del Personale di tutto il Gruppo, ruolo che ricopre finoal 2005, anno in cui decide di cambiare e di iniziare una nuova avventura professio-nale in ISAGRO.

“Ho deciso di entrare in ISAGRO per la volontà di fare un’esperienza in una realtàmedio-grande internazionale, che aveva un progetto di crescita in un settore moltocompetitivo, e questo nonostante in quel periodo avessi molte altre offerte da parte diprimarie industrie. Per iniziare questa avventura in ISAGRO ho anche rifiutato l’in-carico di Direttore Generale di una importante realtà aziendale”.

Il processo di integrazione culturale appare allo stato attuale interiorizzato e vissutocome una ricchezza e una opportunità.

“La cultura manageriale di ISAGRO, che è terreno del management, e nel caso speci-fico della proprietà/azionariato di riferimento che lo esprime, va al di là dei singolitratti culturali e tuttavia ognuno, a seconda della sua provenienza geografica, è por-tatore di innovazione che può essere integrata nella cultura aziendale”.

L’internazionalizzazione

Il 70% del fatturato dell’azienda è determinato dalle esportazioni: tale orientamentointernazionale è da sempre presente nel DNA di ISAGRO in quanto costola di gruppimultinazionali, ma ha avuto un impulso notevole negli ultimi dieci anni in concomitanzacon le politiche di acquisizioni e alleanze intraprese dall’azienda:

• Fin dal 1994 Isagro Ricerca nasce grazie ad alleanze con la giapponese Arysta LifeScience Corporation (19%), la sua partecipata americana Arvesta Corporation (5%) e laPhyteurop S.A. (15%);

• Nel 2002 ISAGRO costituisce una joint-venture con Sumitomo Chemical CompanyLtd, il più grande gruppo chimico giapponese per la distribuzione in Italia;

• Nel 2006 a livello distributivo ISAGRO stringe un’alleanza con Sipcam per la distri-buzione in diversi paesi in Sud America (Brasile, Colombia, Argentina);

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• Nel 2011 ISAGRO stringe un’alleanza strategica con ChemturaAgroSolutions™,divisione del gruppo americano Chemtura, per operare insieme nel campo della ricer-ca innovativa e lo sviluppo di alcuni prodotti.

Oggi ISAGRO è presente in oltre 80 Paesi, nella maggior parte dei casi attraverso distri-butori nazionali, con alcune eccezioni rappresentate dai mercati strategici quali gli StatiUniti, l’India, la Spagna e la Colombia, che hanno un’organizzazione in loco che si occu-pa anche della distribuzione. La strategia che guida la distribuzione di ISAGRO a livelloglobale è quella di assicurarsi una presenza, tramite reti controllate, nei mercati di inte-resse strategico per i prodotti di proprietà, nel rispetto tuttavia della condizione di nonimpegnare rilevanti risorse finanziarie per la distribuzione di prodotti terzi, utilizzati soli-tamente a servizio delle vendite di prodotti di proprietà.

In alcuni Paesi ISAGRO ha posto un presidio di marketing e di tutela per le proprie registra-zioni attraverso le affiliate Isagro Brasile, Isagro Shanghai, Isagro Hellas, Isagro Australia ela filiale di Cuba. La struttura societaria a livello globale è rappresentata dalla Figura 3.

Figura 3 – Struttura societaria di ISAGRO S.p.A.

Fonte: materiale interno aziendale

IsagroRicerca

ISEM

50% 100% 100%* 100% 100% 100%

IsagroAsia

IsagroUSA

IsagroEspaña

BarpenInternational

50%ChemturaAgroSolutions

Arterra

22%**

IsagroBrasil

100%

IsagroHellas

100%

IsagroShangai

100%Filiale

di Cuba

ISAGRO

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I mercati più importanti per l’azienda, che sono l’Italia, gli Stati Uniti, l’Europa e ilBrasile restano importanti mercati di riferimento. Il business di ISAGRO in Europa e nel-l’area del Mediterraneo è stato individuato dal nuovo piano strategico come un mercatoda consolidare nei prossimi anni. A partire dal 2012 è prevista una progressiva crescita inAmerica, sia negli Stati Uniti che in Brasile, e in misura minore in Asia: non solo in India,dove già opera con successo Isagro Asia e che ha visto tassi di crescita importanti negliultimi anni, ma anche in Cina, dove ISAGRO ha una presenza locale. I driver della cre-scita per il futuro saranno globali, “ovunque le nostre molecole proprietarie possonoessere utili”.

L’innovazione

Come abbiamo più volte sottolineato ISAGRO è una società piccola, ma una delle pocheche si occupa della ricerca e dello sviluppo di nuove molecole, attività che nel mercatodegli agrofarmaci portano avanti solo i grandi gruppi multinazionali, a causa degli ingen-ti investimenti richiesti per lo sviluppo di nuove molecole proprietarie. Altre società con-correnti di ISAGRO e più simili a lei per dimensione possono occuparsi solo dello svi-luppo oppure non sono presenti né nella ricerca né nello sviluppo. Per ISAGRO l’inno-vazione rappresenta il carattere distintivo principale e un importante elemento di raffor-zamento della strategia di crescita internazionale.

Il processo di innovazione e alcune attività di sviluppo vengono gestite da Isagro Ricercaa Novara, che conta un centinaio di dipendenti. Ogni anno vengono investiti nella ricer-ca 15 milioni di euro circa, con il risultato che negli ultimi quattro anni ISAGRO ha otte-nuto più di cento nuove registrazioni. Gli sforzi di ricerca si sono concentrati negli ulti-mi anni su due direzioni principali: da un lato lo sviluppo di nuove molecole, dall’altro ilprolungamento della vita commerciale dei prodotti già in commercio, come ilTetraconazolo e i prodotti rameici. Tale impegno è mantenuto anche nel nuovo businessplan, che indica l’ottenimento di circa cento nuove registrazioni da qui al 2014.

Nel corso del 2011, tra le operazioni attuate con l’obiettivo di rifocalizzare l’attività sulcore business, ovvero la ricerca innovativa, ISAGRO ha scelto di stringere un’alleanzastrategica con ChemturaAgroSolutions™, divisione del gruppo americano Chemtura,che si caratterizza per la sua cultura ed esperienza nello sviluppo e commercializzazionedi agrofarmaci di proprietà, presentando una rilevante complementarietà e conseguente

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potenzialità di sinergie con ISAGRO. L’alleanza strategica prevede la condivisione deicosti legati alla ricerca innovativa, finalizzata alla scoperta di nuovi principi attivi, cheverrà svolta dalle strutture del gruppo ISAGRO. ISAGRO e Chemtura hanno inoltrecostituito una joint-venture paritetica, denominata ISEM S.r.l., che si occuperà delle atti-vità di sviluppo di nuove molecole, ivi inclusa la preparazione del dossier necessario perottenere le autorizzazioni alla vendita. Al termine del processo registrativo, ISEM forni-rà i prodotti a distributori locali, tra i quali ISAGRO e ChemturaAgroSolutions, che lidistribuiranno tramite le proprie reti commerciali.

Il driver per la valutazione della fattibilità di sviluppo da parte di ISEM delle nuove mole-cole identificate da Isagro Ricerca è rappresentato dal ritorno economico.

“Vengono svolte analisi approfondite per valutare la fattibilità dello sviluppo delle nuovemolecole e il ritorno economico rappresenta il driver principale di questa valutazione:questo è normale, se consideriamo che per portare un prodotto sul mercato significainvestire dai 30 ai 40 milioni di euro per una molecola”.

L’ingente mole di investimenti necessari all’alimentazione della ricerca innovativa nelsettore degli agrofarmaci impatta anche sulla tipologia di innovazione perseguita daIsagro Ricerca, che è prevalentemente di tipo incrementale.

“Gran parte dell’innovazione che portiamo avanti in ISAGRO è incrementale perchéabbiamo un tipo di innovazione che cerca il più possibile di minimizzare i rischi, Questosignifica che lavoriamo su famiglie chimiche già note, identifichiamo i gap a livello bre-vettuale e puntiamo su prodotti che siano commercializzabili con buoni ritorni economi-ci. L’innovazione breakthrough è prerogativa delle multinazionali più grandi”.

ISAGRO si avvale sistematicamente e in maniera strutturata della collaborazione concentri di ricerca universitari in Italia e Spagna, ma anche Stati Uniti, per quanto lì la col-laborazione sia di natura “più opportunistica” perché le Università rappresentano unanello fondamentale della catena che porta alla commercializzazione del prodotto attra-verso l’“endorsment tecnico-agronomico”. Attualmente è in sviluppo una collaborazionecon centri universitari localizzati in Gran Bretagna. La collaborazione con le Universitàè cruciale da due punti di vista: da un lato per stringere rapporti con i ricercatori in un’ot-tica di selezione e futuro recruiting, dall’altro lato per avere accesso a fonti di innova-zione esterna.

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L’innovazione dall’esterno è un modello presente in ISAGRO, per quanto, dal punto divista numerico, rappresenti una parte residuale dell’innovazione poi portata sul mercato.

“Il 90% dell’innovazione è di origine interna. Fino a oggi abbiamo avuto più successocon la close innovation, però abbiamo anche esempi di innovazione che sono venuti daterzi e che stiamo sviluppando. Entrambe le fonti possono essere forme per accedereall’innovazione”.

Per poter avere accesso all’innovazione esterna e sfruttarne al massimo le potenzialità,elemento cruciale è rappresentato dall’“avere un centro di ricerca interna che possa valu-tare la fattibilità dell’innovazione”.

Parte Seconda - Caso di studio ISAGRO

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

* a cura di Luigi Serio

Parte Seconda - Caso di studio IVM

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CASO DI STUDIO IVM*

IncipitOsservando le evoluzioni e le nuove forme di azienda dalla visuale di una Business school,si è fortemente attratti dai nuovi modelli di business, che si traducono oggi prevalentemen-te in una azienda de-materializzata, molto concentrata su ricerca e sviluppo e su filiere disubfornitura estese su scala globale, con modelli manageriali “originali”, in parte ancoranon studiati fino in fondo, attribuibili a una categoria dai contorni sfumati, quali quellidelle aziende “brain intensive”. Queste aziende si sviluppano in luoghi molto diversi daquelli che hanno fatto la storia e l’industria dell’Europa, si direbbe che sono “native glo-bali” e si muovono in maniera opportunistica scambiando risorse e creando valore in atti-vità e su mercati diversi. Strutture il più possibile leggere, strategie di breve periodo e rap-porto intenso con la finanza ne completano il quadro e le caratteristiche distintive.

Ricostruire il caso IVM, da questo punto di vista, riporta il ricercatore su categorie per cosìdire consolidate, dove il valore è ben radicato su processi visibili e noti e dove i modelli di svi-luppo e le categorie tradizionali ritornano con frequenza e rassicurante puntualità. L’incontrocon Adriano Teso, Presidente di IVM holding, avviene a Milano, la fabbrica ovviamente ènella area metropolitano milanese, ma gli uffici sono nel cuore di Milano. Le categorie su cuiricostruiamo le chiavi di lettura hanno valore di per sé: il prodotto è materiale, la produzio-ne localizzata. Non sono tutte “rose e fiori”, la concorrenza fuori è durissima, i mercati finan-ziari fortemente instabili, ma esiste ancora l’impresa e le regole che la sostengono, che sem-brano “universali”, almeno per quanto riguarda le imprese italiane, a prescindere dal setto-re e dal contesto, sempre più globale, di riferimento. Certo, la scommessa è chiara a tutti, inprimo luogo all’imprenditore, e poi ai ricercatori e ai policy makers e cioè: le nuove regoledella competizione internazionale lasceranno ancora spazio a modelli di management con-solidati, a tipologie di imprese in equilibrio fra proprietà familiare e gestione, a tassi di cre-scita equilibrati e sostenibili nel tempo; esiste ancora la possibilità che l’impresa “media”competa sul mercato, scelga i mercati su cui operare e opti delle scelte strategiche in cui valo-ri, territorio e persone sono al centro di una alchimia strategica di successo?

L’IVM sembrerebbe dire che lo spazio esiste e in quanto tale lo studio di modelli di mana-gement così strutturati è uno studio di prospettiva.

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L’azienda

IVM è una Holding con partecipazioni in industrie di vernici, resine ed elastomeri.Nelle vernici per legno il Gruppo IVM é fra i principali produttori mondiali e il piùgrande in Italia. L’azienda controlla e gestisce direttamente alcune fra le più impor-tanti imprese del settore in Europa, con marchi storici come Milesi, Ilva e CromaLacke e commercializza i suoi prodotti in tutto il mondo attraverso distributori spe-cializzati. Attualmente il Gruppo è presente in oltre 70 Paesi. La tabella seguentericostruisce i dati principali dell’IVM, in termini di settore merceologico, fattura-to, addetti e addetti impiegati in Ricerca & Sviluppo, nonché il capitale netto con-solidato.

Principali dati indicativi sulla dimensione del Gruppo (fonte sito IVM)

Tipo di attività Holding industriale operante principal-mente nel settore delle vernici, resine,elastomeri

Fatturato annuale del Gruppo € 370.000.000 di cui 220.000.000 delle Controllate e150.000.000 delle Collegate

Tonnellate annuali di vendita 120.000 tonnellatedi cui 90.000 nelle Controllate e 30.000nelle Collegate

Collaboratori 1.350 di cui 950 nelle Controllate e 400nelle Collegate

Ricercatori scientifici e addetti allaR&D

200 di cui 150 nelle Controllate e 50 nelleCollegate

Capitale Netto Consolidato Attualizz.

€ 160.000.000

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Si riporta, di seguito, l’elenco dei prodotti del Gruppo:

• Tinte

• Prodotti Nitrocellulosici

• Prodotti Poliuretanici

• Prodotti Poliesteri paraffinati e fondi poliesteri a lucido diretto

• Prodotti UV

• Prodotti acqua per interno

• Prodotti di finitura ureica

• Poliallilico

• Prodotti Acrilici effetto legno non verniciato

• Prodotti esenti da solventi aromatici

• Prodotti a ridotto sviluppo di ozono (Ozocare)

• Prodotti nanotecnologici

• Prodotti ignifughi

• Prodotti per esterno acqua e solvente

• Prodotti vernicianti per settori diversi

• Prodotti vernicianti per arredo navale

• Prodotti specifici per vetro

• Prodotti per parquet

• Prodotti precatalizzati di fondo e finitura

• Prodotti complementari

• Resine liquide

• Elastomeri e adesivi poliuretanici

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Le aziende controllate sono:

IVM CHEMICALS srl - Milano (I)Vernici, Elastomeri poliuretanici, Resine

IVM CHEMICALS Sp.zo.o. - Varsavia (PL)Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS GmbH - Herrenberg (D)Vernici e coloranti per legno

INDUSTRIAS QUIMICAS IVM sa - Valencia (ES) Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS srl - Divisione Milesi - Milano (I) Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS srl - International Wood Coatings Division - Parona (I) Vernici e coloranti per legno

INDUSTRIAS QUIMICAS IVM sa - División Milesi - Valencia (E) Vernici e coloranti per legno

MILESI VERNIS sa - Parigi (F)Vernici e coloranti per legno

MILESI HELLAS ltd - Atene (GR)Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS Sp.zo.o. - Varsavia (PL)Vernici e coloranti per legno

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IVM CHEMICALS srl - Divisione ILVA - Milano (I)Vernici, Elastomeri poliuretanici, Resine

IVM CHEMICALS srl - International Wood Coatings Division - Parona (I) Vernici e coloranti per legno

INDUSTRIAS QUIMICAS IVM sa - División ILVA - Valencia (E) Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS Sp.zo.o. - Varsavia (PL)Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS GmbH - CROMA LACKE - Herrenberg (D)Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS srl - International Wood Coatings Division - Parona (I) Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS Sp.zo.o. - Varsavia (PL)Vernici e coloranti per legno

IVM CHEMICALS srl - Divisione Intercoating - Parona (I)Resine, vernici e coloranti per legno

GRANDISUPERFICI

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Le aziende partecipate sono:

BOERO BARTOLOMEO Spa - Genova (I)

Vernici per edilizia:

BOERO

ATTIVA

ROVER

BOERO GRANDI SUPERFICI

Vernici per settore yachting:

ATTIVAMARINE

YACHTPAINT

VENEZIANI NAUTICA - YACHT SYSTEMS srl - Trieste (I)Vernici per settore yachting

BOERO COLORI FRANCE - Pegomas (F) Vernici per settore yachting

BOAT Spa - Genova (I) Vernici per settore navale

ADLER srl - Castel San Pietro Terme - Bo - (I)Coloranti e vernici speciali per legno

ACQUILA IND.E COM.DE VERNIZES LTDA - Narezzi Indaiatuba -Sp (BR)Vernici, tinte, diluenti, colle

VERNITAL SA - Atene (GR)Vernici

ADLER

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Le origini aziendali risalgono al 1950. IVM viene fondata nel 1970 dai cognati AdrianoTeso e Massimo Milesi, con l’obiettivo di sviluppare attività nel settore chimico e razio-nalizzare la partecipazione azionaria. Il processo di creazione e consolidamento dell’azienda avviene in una prima fase per linee interne; vengono fondate e sviluppateMilesi Vernis in Francia, Industrias Quimicas IVM in Spagna e Milesi Hellas in Grecia.In un secondo tempo il processo di crescita si completa attraverso un’attività di acquisi-zione e di crescita per linee esterne. Viene acquistata Ilva Polimeri, azienda con un mar-chio prestigioso nel mondo delle vernici e degli elastomeri poliuretanici, e la tedescaCroma Lacke, una delle più antiche Aziende europee specializzate in vernici per legno.

Nel 1989 entra nel Gruppo Federica Teso, dal 2002 Vice Presidente e ConsigliereDelegato, e la famiglia crede nelle sue capacità. Nel 2001 viene realizzato, su un’areadi oltre 15 ettari in provincia di Pavia, a Parona, il più moderno, grande e produttivostabilimento di vernici per legno al mondo. Qui le produzioni avvengono con proces-si certificati e offrono garanzie di qualità e di costanza, oltre che costi difficilmenteeguagliabili.

Parona è un passaggio importante nel consolidamento della strategia della IVM.

“Per tutte le aziende del comparto chimico è ormai indispensabile compiere una sceltadi fondo: delocalizzare gran parte della produzione oppure continuare a scommettere inItalia. In controtendenza con gran parte del panorama industriale italiano, il nostrogruppo ha scelto la seconda opzione, puntando con forza su un incremento della compe-titività inevitabile del sistema Italia, incremento possibile solo razionalizzando gli inve-stimenti in ricerca nei settori chiave, centralizzati in un unico sito produttivo”.

Questo ha permesso a IVM di diventare oggi uno fra i più importanti Gruppi europei emondiali del settore. Per le dimensioni e il livello tecnologico raggiunti, il numero dipubblicazioni sul Gruppo IVM è particolarmente importante: non vi è attività nella ver-niciatura del legno o di settori sviluppati dal Gruppo ove non ci siano lusinghieri edautorevoli riferimenti alle sue Aziende, citate oltre che come imprese eccellenti, cono-sciute per l'alta qualità e le performance dei loro prodotti, anche fra le imprese in cui silavora meglio.

L’IVM rappresenta la “classica” azienda performante nel made in Italy. I fattori di van-taggio competitivo ruotano intorno a una caratteristica chiave, la specializzazione.

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L’IVM si occupa prevalentemente di un settore, il mercato delle vernici per il legno,con una specializzazione molto forte e una gamma molto estesa (vedi elenco gammaprodotti indicato in precedenza).

Il focus principale è l’alta produttività e le economie di scala, quindi nella sostanza unagrande capacità di competere sul prezzo. Questa dimensione è stata fortemente rafforza-ta dalla centralizzazione della produzione in uno stabilimento unico, quello di Parona perforzare sulle economie di scala. Solo nel biennio 2009-2010 sono stati programmati, perquesto progetto, investimenti per circa 30 mio di €.

Il sito di Bareggio, che ha ospitato dai primissimi anni ’60 la sede di Milesi, fra le treprincipali imprese Europee specializzate nella produzione di vernici per legno (insiemea Ilva Polimeri e Intercoating) è stato recentemente ristrutturato. Accanto ai reparti pro-duttivi si trovano oggi il Laboratorio di R&D e il Laboratorio dedicato alla RicercaInnovativa del Gruppo IVM. Nel 2011 è prevista infine la chiusura definitiva dello sta-bilimento di Senago, sede storica di Ilva Polimeri, ad esclusione dei reparti dedicati aglielastomeri.

Un secondo aspetto, fortemente collegato al tema della produttività, è quello dell’inno-vazione e ricerca e sviluppo. Un terzo aspetto, il controllo del canale e il post sales.

Così Adriano Teso ricostruisce le caratteristiche del mercato di riferimento dell’IVM e ilposizionamento dell’azienda:

“Il legno oggi è uno dei materiali più usati nel settore dell’edilizia e dell’arreda-mento.

Le soluzioni per la sua verniciatura sono molteplici: laccato, trasparente, lucido,opaco, naturale, con tutti gli effetti possibili che un designer possa immaginare. Ilnostro Gruppo vanta una profonda esperienza proprio nel settore delle vernici perlegno, con uno dei più grandi laboratori mondiali di R&D, che è da sempre il nostropiù importante ‘motore’ per consentirci di occupare da molti anni una delle primeposizioni fra i produttori mondiali del settore. Alla qualità del risultato finale voglia-mo sempre aggiungere un altro importante valore: quello della maggiore sicurezzapossibile per l’operatore e per l’utilizzatore finale, formulando le vernici in modotale che l’impatto ambientale sia pari a zero o il minore possibile. Focalizziamo sem-

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pre di più l’attenzione della nostra Ricerca sullo sviluppo di migliori prodotti a zerosolvente, zero emissione e all’acqua garantendo sempre una verniciatura di elevataqualità e un perfetto risultato estetico finale.

Siamo arrivati anche a produrre vernici ‘funzionali’ antibatteriche, vernici cioè che,grazie alla presenza nella loro formula di nanoparticelle, sono in grado di rendere isupporti con esse trattati non attaccabili ed abbattitori di agenti patogeni.

É facile immaginare quanto il loro impiego sia raccomandabile per arredamenti dicamerette per bambini, di strutture sanitarie e in genere di ambienti che necessi-tano di una efficace protezione sanitaria. Siamo quindi in grado di offrire unacompleta gamma di prodotti, cicli, finiture, servizi ai professionisti del settore, conuna grande attenzione ai costi sempre competitivi, mantenendo così la maggiorquota di vendite sul mercato italiano e fra le maggiori negli oltre 70 Paesi doveoperiamo”.

Interessanti anche le caratteristiche delle vendite.

La vendita di IVM è una vendita professionale, quindi la capacità di dare assistenza alcliente risulta uno dei fattori di scelta di acquisto decisivi. Il mercato di riferimento perIVM al momento è così strutturato: 40% Italia, 30% Europa, 30% mondo con una pre-valenza forte del mercato americano.

Ricostruendo il mercato delle vernici per legno dai fattori di vantaggio competitivodell’IVM, esso appare un mercato stabilizzato.

Negli anni si è assistito a processi di concentrazione significativi, attraverso unapolitica di acquisizione progressiva da parte delle tre principali aziende del settore;IVM ad esempio è il risultato di questa strategia. Oggi la creazione di valore ruotaattorno alla capacità di conciliare costi, volumi e qualità del prodotto e del postsales.

Interessante notare come il mercato sembrerebbe diviso in almeno due parti, che hannolivelli di contiguità minimi al momento: il mercato tradizionale, che comprende l’Europae l’America, dove compete la IVM, e il mercato delle nuove aree, a cui i produttori occi-dentali sembrano poco interessati.

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La Governance

I due soci originari, Adriano Teso e Massimo Milesi sono rispettivamente il Presidente eVicepresidente, Federica Teso è il Vicepresidente Operativo e Consigliere Delegato eGiorgio Zena è consigliere con delega all’Amministrazione, Finanza e Controllo.

Un meccanismo simile viene utilizzato per le controllate, con un consiglio di ammini-strazione più snello, composto da tre membri: un CEO, un Consigliere Delegato perl’Amministrazione-Finanza-Controllo ed un terzo Consigliere rappresentante dellaHolding. È molto chiaro, e ribadito in tutte le occasioni, il modello di gestione preferitodell’azienda: una stretta separazione fra proprietà e gestione.

La proprietà occupa il ruolo di coordinamento e pianificazione generale, come indicato,presente sia nella holding sia nelle società del gruppo; la gestione è affidata al manage-ment professionale.

“La solida proprietà familiare, che ha da sempre escluso un management di tipo fami-liare, ha consentito la formazione di un management esperto, autonomo e stabile, che hapotuto pianificare e realizzare strategie di medio-lungo termine operando in modo armo-nico e senza discontinuità.”

Il sistema di regolazione e di funzionamento fra proprietà e gestione avviene in manieraben formalizzata.

Viene concordato un business plan con una prospettiva di medio termine, generalmentenon meno di tre anni, che prevede l’obiettivo finale, ma soprattutto i livelli di step inter-medi, in termini di azioni, risultati e ampiezza di livelli di scostamento.

Una volta definiti gli obiettivi, il management ha un’autonomia completa, la proprietàcontrolla l’andamento attraverso un sistema di reportistica online e interviene con ilmanagement qualora ci siano scostamenti significativi rispetto a quanto concordato. Larelazione che si instaura è molto professionale e ogni possibile disturbo amplificabiledalla dimensione familiare è neutralizzata dallo strumento del business plan che indica latraiettoria e la prospettiva concordata. Da questo punto di vista, nella logica e nella con-vinzione della proprietà IVM, la dimensione manageriale protegge e rende professiona-le il sistema di relazioni che regola le attività in azienda.

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È interessante, inoltre, il ruolo della proprietà che si muove in una logica di consulenteinterno, fornendo tutti gli strumenti di management ritenuti utili per un sempre più flui-do funzionamento dell’azienda. La proprietà si occupa anche di “reclutare” eventualemanagement di primo livello nelle società collegate.

La gestione delle Risorse Umane

Sul tema della gestione delle Risorse Umane, la IVM si muove fra estremi diversi, rap-presentando o volendo rappresentare da una parte un modello molto “professionale” digestione delle Risorse, dove nella dimensione professionalizzante si inserisce una logicapoco paternalistica e molto meritocratica; dall’altra la logica familiare, seppur circoscrit-ta alla sfera della proprietà, esiste e condiziona soprattutto la fluidità del processo deci-sionale. La descrizione degli elementi caratterizzanti inquadra in maniera più puntuale lapolitica in cui si muove la IVM.

Per quanto riguarda il management di primo e secondo livello, esiste una relazione in par-tenza molto forte con la famiglia che provvede, dopo un filtro gestito da selezionatori ohead hunter, alla individuazione della risorsa giusta. La dimensione familiare, anche se insenso allargato, influenza le caratteristiche di scelta. IVM si ritiene un’azienda molto etica,trasparente, improntata a una visione molto professionale del lavoro. Generalmente, questesono le caratterizzazioni ricercate che ovviamente rallentano le ricerche executive.

Sugli altri ruoli, si privilegia il sistema cooptante e viene affidato alle linee l’onere di tra-sferire in scala i valori sopra indicati. Il rapporto fra proprietà e management, pur con le condizioni indicate nel sistema di governance, è diretto e senza filtri specifici.

La dimensione personalizzata in fase di assunzione lascia tuttavia lo spazio a una gestio-ne, se possibile, universalistica delle risorse umane. Strumenti e pratiche diffuse in con-testi diversi vengono adottati e adattati in maniera tale da rendere il processo più fluidoe meno “familiare” possibile, attribuendo a ruoli e processi soprattutto la funzione diregolazione delle attività. Il tutto in maniera intelligente e non rigida, tuttavia avendochiara la relazione “professionale” e non paternalistica fra individuo e azienda.

Il turnover delle risorse è molto basso. Le persone hanno avuto una crescita molto inter-na oppure mediamente nei ruoli apicali sono in azienda da 10 – 15 anni.

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Questo dato si presta a una duplice interpretazione, secondo la proprietà di IVM. Da unlato è una chiara manifestazione di “good place to work” in termini di qualità del lavoro,relazione e livello medio di retribuzione; dall’altra un basso turnover è anche un fattoreche rende il contesto poco aperto a processi di innovazione diversi: si sviluppa una cul-tura aziendale molto proprietaria e inevitabilmente chiusa e ogni processo di “importa-zione” di pratiche dall’esterno risulta molto faticoso e non sempre possibile.

Un ultimo dato riguarda il processo di responsabilizzazione diffuso a livelloorganizzativo.Questa è una delle aree “critiche” indicate dalla proprietà. Il management di primo livel-lo in IVM entra con un sistema di deleghe molto formalizzato e ampio nei suoi vari pro-cessi. A valle del processo di definizione del business plan, teoricamente il flusso deci-sionale è definito e situato a livello del management di primo livello,

“ma a volte vi è un effetto di risalita alla proprietà, anche sulle decisioni più operative”.

La separazione fra proprietà e gestione, espressa e esplicitata in ogni forma, sia nella mis-sione sia nelle deleghe, da qualche parte perde la sua teorica e progettata fluidità. La pre-senza della famiglia, seppur in ruoli esclusivi di rappresentanza della proprietà, attenua eneutralizza il processo decisionale dei manager che restano soprattutto a livello operati-vo. In questo senso, lo sforzo di separazione è forse troppo artificioso e probabilmenteuna naturale integrazione fra management familiare e management professionale rende-rebbe il processo decisionale più fluido e più coerente rispetto alle dimensioni “reali” del-l’impresa.

Un ultimo dato riguarda infine l’employer branding, tema molto sensibile nelle impresemedie. Quali sono i fattori che rendono attrattivo un ruolo manageriale in una impresacome l’IVM?

Secondo la proprietà, ci sono almeno tre fattori che rendono il luogo attrattivo:

• una proprietà stabile con cui si comunica e si condivide una visione;• la possibilità di partecipare alla realizzazione del proprio futuro;• un luogo a forte intensità etica, con una tensione molto forte alla trasparenza.

Con molta coerenza e altrettanta persistenza, queste attività vengono perseguite su tutta

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la filiera formativa, partendo dalle attività integrative con gli istituti chimici, passando aun utilizzo responsabile degli stage formativi, per giungere ai progetti congiunti con ilsistema universitario e della Ricerca.

L’internazionalizzazione

IVM sviluppa oltre il 60 per cento del suo fatturato nei mercati internazionali. Per buonaparte questo fatturato è sviluppato in Europa, con una forte incidenza dell’ex Est Europae Stati Uniti.

Il modello è abbastanza consolidato. La produzione, soprattutto per massimizzare le eco-nomie di scala e mantenere la competitività sui costi, è centralizzata in Italia. Il prodottosi controlla dall’Italia, il mercato si gestisce attraverso una distribuzione proprietaria neivari paesi con controllo diretto del canale di vendita. Questo spiega il numero delle filia-li all’estero.

Anche le filiali hanno, laddove possibile, alcune caratteristiche standard. La presenza ènei mercati di riferimento Francia, Spagna, Germania e Polonia; ogni filiale serve anchele aree prossime, sia in termini geografici sia culturali; l’azienda nelle filiali ha general-mente personale locale, logica strutturazione per seguire il mercato di vendita e post ven-dita; tuttavia la proprietà tende a consolidare processi e pratiche di gestione simili in tuttele filiali estere.

È un modello consolidato, idoneo per servire i mercati prossimi e coerente con le strate-gie attuali e future dell’azienda, con una serie di cautele:

• La prima riguarda la tensione sui prezzi e la necessità di ridurre l’intensità di risorsededicate. Da questo punto di vista, al momento, le efficienze ipotizzate dalla centra-lizzazione della produzione dovrebbero generare economie di scala tali da compensa-re la capillarità delle filiali commerciali, il cui modello organizzativo è particolar-mente oneroso. Soluzione possibile nei mercati prossimi, meno compatibile con inuovi mercati dell’area BRIC.

• La seconda questione riguarda la presenza sui nuovi mercati. Le opzioni su modalitàdi presenza dirette, richieste dall’ampiezza e dalla complessità nei nuovi mercati, al

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Parte Seconda - Caso di studio IVM

momento sembrano non riguardare la IVM che intende crescere e consolidarsi neimercati dove è presente, attraverso il recupero di quote di mercato dai concorrentidiretti. “Non siamo pronti ad affrontare avventure nei nuovi mercati, non siamo pre-parati per fare questo”.

Sullo sfondo rimane la scelta di mantenere un profilo, per così dire multinazionale, seppur tascabile, con un centro, l’Italia, motore del processo e una periferia in cui si valo-rizzano al massimo le potenzialità locali. Evoluzioni di sistemi di sourcing internaziona-le (in termini di approvvigionamento di risorse, produzione e sviluppo del know how)sono al momento distanti dalle scelte dell’IVM e in larga parte estranee alle logiche com-petitive del settore di riferimento.

L’innovazione

Anche il processo di innovazione è coerente con una prospettiva molto “proprietaria” checontraddistingue il modo di essere e di organizzarsi della IVM. L’azienda impegna circail 20 per cento del personale in attività di ricerca e sviluppo e la logica è quella di man-tenere un primato molto forte dal punto di vista tecnologico. Ovviamente una ricercamolto finalizzata, che parte fin dall’inizio da una richiesta specifica da parte del clienteed è costruita per dare una risposta specifica. In una logica stellare, IVM attiva collabo-razioni tattiche sulla base di esigenze specifiche. Sfruttando il knowledge sviluppato dafornitori specifici, riviste scientifiche e scouting diffuso di innovazione, la IVM è ingrado di conoscere lo stato dell’innovazione sulle sue attività e poter valorizzare la ricer-ca di base esistente a livello internazionale. Non è un modello di open innovation, nelsenso che la R&D interna è considerato uno degli asset fondamentali di creazione divalore e di vantaggio competitivo; si tratta tuttavia di una sorta di innovazione socchiusa,nel senso che da una visione molto centralizzata del governo del processo, si attivanosistemi di relazione soprattutto sulla filiera per captare tensioni all’innovazione e richie-ste nuove da parte del cliente.

“L’obiettivo fondamentale per i nostri manager è continuare a focalizzarsi nel settoredelle vernici per legno, impegnandosi nella costante ricerca di prodotti tecnologicamen-te avanzati che garantiscano standard qualitativi e performance sia estetiche che tecni-che sempre più elevate, e contemporaneamente la massima protezione della salute del-l’uomo e dell’ambiente”.

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CASO DI STUDIO OCMI-OTG GROUP *

L’azienda

La storia del Gruppo OCMI-OTG affonda le sue radici nella prima parte del secolo scorso.A cavallo delle due guerre Alfredo Gusti entra come operaio all’interno del noto gruppoIsotta-Fraschini che aveva tra le sue principali attività la produzione di motori destinati pre-valentemente al settore militare e infrastrutturale, vale a dire ferrovia e marina. Alla finedella seconda guerra mondiale, alcuni dipendenti hanno la possibilità di riacquistare partedell’azienda nell’ambito del processo che portò alla chiusura della Isotta-Fraschini per deci-sione del Fondo per il Finanziamento dell'Industria Meccanica, suo principale creditore. È inquella occasione che Alfredo Gusti acquista il reparto che all’epoca si occupava della pro-duzione di trasmissioni, divenendo fornitore di particolari delle trasmissioni dei treni e dellenavi e sviluppando una serie di macchine utensili per quella tipologia di produzione.

Successivamente, i figli del fondatore decisero di diversificare l’attività aziendaleavviando la produzione di massa degli ingranaggi diventando il principale fornitore diFiat e di altre grandi realtà del settore automotive. L’azienda cresce rapidamente e arrivaad avere oltre 200 dipendenti in una realtà produttiva che utilizzava logiche di produzio-ne di massa. Tra la metà e la fine anni ‘80, inizia la crisi del Gruppo Fiat che inevitabil-mente si riflette anche sul suo indotto generando notevoli tensioni finanziarie tra i forni-tori. Viene allora presa la storica decisione di uscire dal quel business dalle prospettivepiuttosto limitate vendendo tutta la parte ingranaggi a un altro fornitore del Gruppo Fiat.

A quel punto la famiglia Gusti decide di investire in modo focalizzato su due settori stra-tegici in cui l’attività aziendale originaria era stata diversificata nel corso degli anni.

Da un lato, la progettazione e costruzione dei riduttori e moltiplicatori speciali su com-messa. Come spiega Tommaso Gusti, attuale Direttore Finanziario e Amministrativo delgruppo, “si tratta in parole semplici di ‘grandi scatole di cambio’ dove si applica unmotore a una certa velocità e si ottiene una uscita a velocità diversa; noi siamo specia-lizzati nel fornire applicazioni adatte per le elevate potenze”. Attraverso la ragione socia-le OTG - Organi Trasmissione Gusti - si comincia a lavorare per i grandi operatori del

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* a cura di Luca Quaratino

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settore oil & gas che producono impianti con turbine e compressori di grande potenza:ad esempio General Electric, Nuovo Pignone, oltre alle principali società di ingegneriamondiali.

Dall’altro lato, facendo leva su una esperienza cominciata nell’immediato dopoguerra,viene compiutamente sviluppato il business della progettazione e fabbricazione di mac-chine per la lavorazione del tubo di vetro per la produzione di fiale e flaconi, destinati alsettore farmaceutico e cosmetico. La spinta allo sviluppo di questo settore era venutaverso la fine degli anni ’50 da un cliente: “Ci chiese di riprodurre per lui una macchinacon determinate caratteristiche, e così cominciammo a lavorare su questo tipo di tecno-logia che funziona sempre sulla base di un sistema di ingranaggi, solo che la macchinagira in verticale: su di essa viene inserito il tubo di vetro, che è la materia prima del-l’industria della soffieria. Il tubo viene preso tra due pinze che girano, riscaldato trami-te un bruciatore e lavorato con utensili che danno la forma alla fiala e al flacone”. Perpresidiare questo settore, nel 1978 nasce la ragione sociale OCMI (Officina CostruzioneMacchine e Impianti).

Il protagonista di questo processo di diversificazione strategica è Michele Gusti, uno deidue attuali Amministratori del Gruppo. Diversificazione che sembra testimoniare unapropensione naturale a cogliere tempestivamente le opportunità di mercato, avendo lacapacità di coniugare il ripensamento del business e dell’azienda con il presidio dellecompetenze tecnologiche originarie.

Negli anni successivi, è il settore della lavorazione del vetro a essere ulteriormente svi-luppato. Infatti, oltre alla linea di prodotto del vetro farmaceutico, Michele Gusti con ilsupporto di un team interno di ricerca definisce una seconda linea di macchinari desti-nato alla lavorazione del vetro “da goccia” e in particolare una macchina automatica perlavorare la coppa e il gambo dei calici. L’innovazione tecnologica consiste nel fatto chediventa possibile ‘saldare’ e ‘tirare’ la coppa e il gambo del calice di vetro con una solamacchina. In questo modo di fatto viene definita la linea automatica di produzione del-l’intero calice che prima veniva prodotto con macchinari separati e semi-automatici eattraverso processi più articolati e lunghi (ad esempio, la soffiatura a mano). Nel giro dipochi anni, pertanto, la OCMI si specializza nella produzione di macchine sia per il far-maceutico che per la lavorazione del vetro “da goccia”.

Un ulteriore passaggio, nell’ambito del settore della lavorazione del vetro, avviene nella

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seconda metà degli anni ’90. Il leader di mercato sia della materia prima – tubo di vetro –che della produzione del contenitore è una società tedesca, Schott Rohrglass, un grossogruppo multinazionale, da anni leader mondiale nella ricerca e sviluppo sul vetro. I tede-schi avevano all’epoca anche una piccola azienda in Francia, leader di mercato per la pro-duzione delle linee post-formatura, la Moderne Mecanique, a Chelles vicino Parigi.All’inizio degli anni ‘90 il gruppo Schott va incontro a una grossa ristrutturazione e deci-de di attuare una netta focalizzazione sulle attività “core”, che prevedeva tra le altre cosela dismissione della società francese. Nel 1998 la OCMI acquista Moderne Mecaniquediventando così leader di mercato per la produzione degli impianti destinati all’industriadella soffieria, grazie al fatto di avere una gamma ampia e completa di macchine in gradodi coprire l’intero processo produttivo.

Il 2005 è un anno importante per l’azienda per due ragioni: la prima di carattere societa-rio, la seconda di carattere familiare. Entrambe con significativi risvolti sulla gestioneaziendale.

In primo luogo, viene presa la decisione di riunire le due società - OTG e OCMI - sia percomodità logistica sia per realizzare alcune sinergie a livello amministrativo, di magaz-zino e di uffici commerciali. Così nasce il Gruppo OCMI-OTG Spa che fattura, in Italia,intorno ai 12 milioni di euro impiegando circa 46 persone; mentre in Francia, con unatrentina di persone, il fatturato si aggira sui 6 milioni di euro.

In secondo luogo, entra in azienda Tommaso Gusti, figlio di Michele, assumendo la posi-zione di Direttore Finanziario e Amministrativo. Si tratta di un punto di svolta importan-te nella storia dell’azienda e della famiglia, in quanto la scelta di Tommaso Gusti, giàdurante il completamento degli studi universitari, era stata per una carriera professionaleal di fuori dell’azienda di famiglia.

Dopo una internship di sei mesi negli Stati Uniti in una grossa impresa manifatturiera(Rubbermaid), una volta laureato viene assunto da Goldman Sachs a Londra per occu-parsi di Merger & Acquisition per banche e assicurazioni. Successivamente diventa teso-riere nel Gruppo Fiat con sede di lavoro a Parigi, avendo la responsabilità del finanzia-mento dei fabbisogni di cassa a breve estesa a tutte le società del gruppo. Qualche annodopo entra in Pioneer Investments per gestire gli investimenti nei mercati emergenti; e dilì, tramite migrazione interna, diventa il trader responsabile di tutta la cassa di Unicredit‘multi-asset’ e ‘multi-strategy’. Nel 2005 chiede al Gruppo di avere maggiori responsa-

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bilità manageriali, che non trovano soddisfazione anche in ragione di un’età ritenuta trop-po giovane per i criteri aziendali.

“In quel periodo mio padre mi ha chiamato dicendomi che, se stavo cercando una oppor-tunità di sviluppo manageriale, qui in azienda c’erano progetti di forte crescita del busi-ness e che una figura come la mia gli avrebbe fatto molto comodo. Ricordo di aver fattotre considerazioni: in primo luogo, mi interessava la sfida, dopo quattro anni e mezzo inIrlanda mi ero un po’ seduto; in secondo luogo, volevo fortemente fare una esperienzamanageriale, gestire delle persone e non solo i soldi: dove lavoravo si era creata unasituazione in cui di fatto gestivo delle persone senza però essere investito della respon-sabilità formale…diciamo più per fiducia reciproca che per mandato formale dell’orga-nizzazione…e questo determina il fatto che qualunque scelta strategica avessi volutofare, questa sarebbe stata fortemente limitata dall’alto; infine, volevo tornare in Italia, ocomunque cambiare paese”.

Riflettendo sulla propria esperienza, complessa e sfidante, di rientro nella azienda difamiglia dopo una significativa carriera professionale in grandi realtà multinazionali,Tommaso Gusti mette in luce aspetti cruciali del rapporto tra imprenditorialità, familybusiness e management professionale.

Innanzitutto emerge un tema di profonda diversità degli strumenti del mestiere.

“Se non fossi rientrato qui, sarei certamente rimasto in banca. Io penso che chi decide dipartire a lavorare in un’azienda di famiglia deve cominciare dall’inizio e rimanere lì, perun motivo molto semplice: non è possibile in alcun modo rivendersi un’esperienza digrossa multinazionale in una piccola-media impresa. Le logiche sono troppo distanti, glistrumenti che si utilizzano lavorando con migliaia di persone sono troppo diversi daquelli che si utilizzano lavorando con quaranta, le leve strategiche tipiche della grandeazienda qui non ci sono. E’ un altro mestiere, è diverso del tutto il ‘tool-box’”.

Subito dopo la riflessione si sposta sulle dinamiche sociali interne all’organizzazione esui sistemi di aspettative tra le persone.

“In realtà, sono differenti anche i meccanismi tra le persone e i sistemi di aspettative.Non reputo credibile che, attraverso le competenze sviluppate in una grande aziendamanageriale, ci si possa legittimare nella piccola impresa, dove invece è essenziale che

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la persona si affermi a livello personale con le persone con cui lavora, e questo è possi-bile soltanto da giovani e cominciando dal basso. Se si viene paracadutati da fuori nonè possibile o è comunque molto difficile. Chi lavora in una piccola impresa manifattu-riera non ha idea delle logiche del mercato finanziario, non apprezza le conoscenze e lecompetenze tipiche di chi ha lavorato nella grande impresa, non le vede utili. In impresecome questa l’attesa delle persone è di essere aiutate dal management, da una personadella proprietà, in termini molto concreti. Per me questa è una grande sfida, mi piacetantissimo cercare di superare questa situazione; e non è per nulla facile”.

Il fatto che l’esperienza di rientro si sia rivelata di successo, sembra dipendere dalla com-binazione di un insieme di fattori: la forte proiezione internazionale dell’azienda, le esi-genze di sviluppo dell’impresa e il background professionale individuale.

“Detto questo, io ho una grande fortuna legata al fatto che la nostra piccola azienda èuna “multinazionale tascabile” e io mi occupo soprattutto della gestione delle societàestere e dei nuovi investimenti, cercando di individuare quelle opportunità che ci con-sentano di crescere. Questo mi dà solidità e legittimazione all’interno, oltre a esserecoerente con il mio background”.

Verrebbe da aggiungere – anche se l’intervistato non lo dichiara esplicitamente – che ilsuo è anche molto probabilmente un contributo forte in termini di apertura mentale,attenzione alle dinamiche e alle opportunità esterne; un antidoto indispensabile oggi perevitare pericolosi processi di chiusura in se stessi che possono minacciare la competiti-vità dell’impresa nel medio termine.

Per quanto riguarda le dinamiche concorrenziali, l’azienda opera in una “nicchia globa-le”, confrontandosi quindi con pochi, selezionati e stabili concorrenti. Si tratta essenzial-mente di aziende simili se non più piccole per dimensione. Le principali sono due: unain Italia e una in Spagna. Il concorrente spagnolo è di fatto attivo solamente nell’ambitodelle macchine per produrre fiale; mentre quello italiano è attivo anche in quelle per i fla-coni. Tuttavia il concorrente italiano fa linee di produzione più complicate, molto spintedal punto di vista tecnologico, adottando una filosofia di produzione differente. Questocomporta che le due aziende di fatto si rivolgano a clienti diversi, tranne nel caso di ungrosso cliente su cui si scontrano e competono. Quantomeno in termini di volumi, l’op-zione produttiva di OCMI-OTG sembra essere vincente, dal momento che in linea dimassima il 90% dei clienti sposa la sua tecnologia, mentre il 10% quella del concorren-

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te. Il motivo di questa suddivisione del mercato è piuttosto semplice da spiegare: “si trat-ta di un settore in cui la manualità conta ancora tantissimo e quindi i tecnici – delleaziende clienti – sono innamorati delle macchine che sanno utilizzare e l’azienda forni-trice deve inevitabilmente tenerne conto; anche alla luce del fatto che oggi l’offerta ditecnici sul mercato del lavoro è scarsa e quindi la loro influenza sui processi decisiona-li aziendali è piuttosto elevata”.

In prospettiva futura, la sfida potrebbe venire dalla Cina, già oggi presente sulle grossemacchine automatiche, che di fatto sono delle presse e hanno un funzionamento più sem-plice.

“Sulle nostre macchine, che sono tecnologicamente sofisticate, i cinesi non ci sono anco-ra; ma è una questione di tempo, 5-6 anni e arrivano. Il problema è che è difficile difen-dersi facendo innovazione costante sul prodotto, anche perché le innovazioni possibiliprima o poi finiranno e a quel punto sarà competizione sul prezzo. Però sono convintoche prima che riescano ad arrivare al nostro livello i loro salari si saranno adeguati ainostri. Già oggi c’è una forte difficoltà perché non sono in grado di gestire l’inflazionesui salari. Proprio in queste settimane, c’è stato uno sciopero di una fabbrica giappone-se in Cina: è sicuramente un segnale”.

In questi ultimi cinque anni l’azienda ha continuato a crescere beneficiando del fatto chei suoi principali settori di sbocco – farmaceutico ed energia – si sono rivelati “aciclici”rispetto alla crisi e hanno continuato a tirare. Nel 2010, il fatturato si è assestato sui 15-16 milioni di euro in Italia e sui 7-8 in Francia. A queste vanno aggiunte le attivitàavviate negli ultimi dieci anni in Egitto e in India, raccontate più avanti nella sezionededicata ai processi di internazionalizzazione.

La Governance

Per quanto concerne il sistema di governance, la proprietà è al 100% della famiglia Gusti,che copre anche tutta la prima linea di management (restano fuori solamente le posizio-ni di Amministratore di Moderne Mecanique e di OCMI India) attraverso due rami fami-liari: Michele Gusti, che funge da Amministratore Delegato e ha responsabilità anche nelsettore commerciale, e Dario Gusti, che è consigliere delegato e ha responsabilità di tipotecnico. All’interno dell’azienda lavorano anche Tommaso Gusti, con la responsabilità

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dell’area finanziaria e Andrea Gusti (fratello di Michele), che si occupa della divisioneingranaggi/moltiplicatori, OTG. Al momento sono quindi compresenti in azienda duegenerazioni, mentre non è ancora possibile dire quale sarà la volontà della prossima: datala giovanissima età non si sa, ad oggi, se saranno interessati o meno a proseguire l’attivi-tà di famiglia.

Stabilire se questo assetto di governo rappresenti un bene o un male, un freno o una spin-ta alla crescita dell’azienda dipende molto - secondo l’opinione dell’intervistato - dallapropensione della famiglia a voler investire in una managerializzazione costante, nonnecessariamente accelerata, (“non è un problema di pendenza della curva quanto di lon-gevità della curva!”) dell’impresa.

“Secondo me avere dei manager professionisti all’interno dell’azienda aiuta in parte laspersonalizzazione di alcune decisioni critiche: è molto difficile tenere fuori il caricoemotivo quando si lavora all’interno della famiglia; più in generale, nel tempo diventamano a mano più difficile prendere certe decisioni all’interno di un gruppo esclusiva-mente familiare. Paradossalmente, penso ci sia qualcosa da imparare dalle grandi azien-de: il modello duale che stanno implementando le grandi banche potrebbe essere imple-mentato con successo nelle aziende familiari. Intendo dire che sarebbe molto importan-te all’interno di una realtà piccola come la nostra che si venissero a sviluppare quei mec-canismi di gestione basati sull’utilizzo di “advisory board”, oggi troppo spesso ritenutiuna semplice perdita di tempo”.

Questo potrebbe tradursi in termini concreti in appuntamenti, in seno al consiglio diamministrazione, in cui si ritrovino la famiglia e gli advisor esterni con la cadenza di unao due volte l’anno per discutere gli indirizzi strategici, ma anche più semplicementegestionali. Questo permetterebbe l’inserimento di variabili esterne a livello di processodecisionale e aprirebbe anche un po’ le vedute “delle quattro persone che sono quotidia-namente coinvolte in queste problematiche, con il rischio di essere troppo agganciati almicro e forse poco al macro”.

In sintesi, si tratterebbe di assicurare una minore emotività delle dinamiche decisionali e,al contempo, di offrire una prospettiva di analisi delle problematiche più ampia e allar-gata. È questo un punto molto rilevante per l’azienda non solo in termini strategici, maanche più semplicemente di gestione. Lo testimoniano le logiche di sviluppo futuro versocui si sta orientando in modo piuttosto deciso la famiglia: un processo di crescita per

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acquisizioni dove la maggiore dimensione dovrebbe dettare l’esigenza di una costante ecrescente managerialità. La constatazione della famiglia Gusti infatti è che attualmente èmolto difficile, se non impossibile, instaurare dei processi di cambiamento dall’interno,in quanto il sistema tende a resistere.

La resistenza al cambiamento sembra emergere come uno dei principali problemi nelgovernare un sistema organizzativo “familiare” dai confini piuttosto stretti e in cui l’an-zianità aziendale è piuttosto elevata. La situazione è esemplificata con efficacia dall’in-tervistato.

“Le faccio un esempio specifico. Noi oggi abbiamo un sistema gestionale che poco siadatta alle nostre esigenze perché, come la maggior parte di quelli disponibili sul mer-cato, è disegnato per lavorare per processi e non per commessa. Quindi la contabiliz-zazione analitica del valore aggiunto durante il processo di produzione per commessadiventa molto più difficile: questo per noi è un grosso problema. Da tre anni a questaparte abbiamo avviato un progetto per rivedere il nostro sistema gestionale sul qualetra l’altro raccoglievamo un sacco di lamentele dai nostri stessi dipendenti. Beh, lapaura di cambiare questo sistema da parte loro che ci sono abituati è tale che hannotrovato un modo per bloccare il progetto e continuare a fare le cose alla vecchia manie-ra (per me è una spina nel fianco, in quanto era uno dei grossi progetti che l’aziendaaveva per il proprio futuro). La logica era quella di integrare le tre aziende, avere unmagazzino unico, sviluppare sinergie e questo necessitava di una architettura informa-tica specifica. Invece si è finito per adottare una soluzione “patchwork” pur di evitareil cambiamento. Tenga conto che qui la anzianità media è oltre i 30 anni: cambiare èdifficile!”.

L’idea è che allora solo attraverso un apporto manageriale esterno via acquisizione diven-ti possibile introdurre elementi di novità.

Va parallelamente osservato che la famiglia rappresenta anche un grosso acceleratore delfunzionamento organizzativo, incidendo positivamente sulla motivazione. Il contattodiretto con la proprietà e il fatto che i componenti della famiglia Gusti lavorino in mezzoalle persone, aiutano a costruire un rapporto di fedeltà e un commitment importanti, unrapporto che si sviluppa su base personale con la maggior parte dei dipendenti. Da que-sto punto di vista la variabile cruciale, accanto alla presenza della famiglia, sembra esse-re quella dimensionale:

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“La mia esperienza mi dice che anche una grande azienda ha la capacità di instillare coni giusti sistemi valori comuni nei giovani; non credo che il livello di fedeltà lì sia neces-sariamente minore. Io penso che come dipendenti di una azienda siamo tutti improntati– se in quella azienda lavoriamo bene, condividiamo il sistema di valori, abbiamo lerisposte giuste – ad essere fedeli al sistema. Certo, è vero che è decisamente più faciletraghettare questi valori condivisi con numeri più piccoli, in cui hai la leva del rapportopersonale, rispetto alle grandi realtà, dove la logica a cascata finisce per diluire la rela-zione tra le persone, e con il Vertice in particolare, attraverso molti passaggi e persone”.

Questa situazione determina un chiaro vantaggio, consistente nel fatto che è più facileche un dipendente accetti di fare quello che l’intervistato chiama “l’extra mile” – andarevia un weekend perché c’è da vedere un cliente – piuttosto che in una grande realtà, dovemagari le persone lo fanno ma subito dopo passano all’incasso per l’anno successivo:“qui dentro non tutto ha un prezzo, mentre là fuori sì”.

Va infine osservato che l’intreccio tra famiglia (dimensione affettiva) e azienda (dimen-sione razionale) si manifesta con una ulteriore sfaccettatura, ancora una volta per diffe-renza rispetto alla grande impresa. Nelle piccole aziende familiari, spesso sottodimen-sionate, sembra esserci un maggiore focus sull’operatività e in parallelo una minorequantità di energie e tempo quotidianamente spesi in gestire questioni e dinamiche “poli-tiche”. Tuttavia le poche volte che tali questioni emergono hanno subito un impatto for-tissimo, proprio per l’intreccio citato tra famiglia e azienda:

“Però qui quando ci sono delle situazioni politiche sono dirompenti. Volendo schematizzare, danoi ci sono pochissime, ma gigantesche issue politiche; in una grande azienda sono day by day.Qui sono dirompenti perché arrivano in un attimo al top dell’azienda, hanno un impatto imme-diato sulle capacità di funzionare dell’impresa….È anche il bello, la parte affascinante dalpunto di vista manageriale, del problem solving. L’altro aspetto è che si tratta sempre di situa-zioni con un forte risvolto umano: non hanno a che fare strettamente e solamente con il lavo-ro; pur avendo un impatto sul lavoro hanno sempre un background di tipo umano”.

La gestione delle Risorse Umane

In OCMI-OTG la gestione delle Risorse Umane si basa su alcuni princípi cardine moltochiari: coinvolgimento della famiglia in prima persona in termine di responsabilità di

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gestione; privilegio di un rapporto diretto con ogni singola risorsa senza particolari inve-stimenti in sistemi formalizzati, in una logica di forte fidelizzazione; offerta di un pac-chetto retributivo complessivo, monetariamente in linea con il mercato, ma di fatto moltoricco dal punto di vista della qualità e della velocità della crescita professionale.

In azienda non esiste la figura del responsabile delle Risorse Umane: “non abbiamo unresponsabile risorse umane e penso che non ce ne sia bisogno almeno fino a più omeno 150 addetti”. Da un lato, alcune attività specialistiche imprescindibili sono difatto esternalizzate: le paghe sono affidate a un ufficio esterno, mentre per quanto con-cerne gli aspetti di gestione normativa e sindacale l’azienda si appoggiaall’Associazione Industriali di riferimento, vale a dire Assolombarda. Dall’altro, lagestione dei dipendenti, delle loro esigenze e richieste nella quotidianità della vitalavorativa sono cose di cui si occupa direttamente la famiglia Gusti: “quando dico cheè inutile il responsabile delle risorse umane è perché questo task nella mia giornatavale un’ora di tempo e si concretizza per il 70% nella risoluzione di problemi sulcampo a contatto con le persone”.

Questa situazione è ulteriormente favorita dal fatto che in azienda la linea di comando ècortissima e, come detto in precedenza, quasi del tutto nelle mani della famiglia che arri-va fino al secondo livello di management: al di là dei quattro familiari, le responsabilitàgestionali si estendono solamente al Direttore Vendite e al Responsabile dell’UfficioTecnico, oltre ai due capi stabilimento di Francia e India: “la linea è cortissima, il rap-porto è diretto. Tenga inoltre conto che noi siamo una famiglia anche con i nostri dipen-denti: abbiamo un forte obiettivo di fidelizzazione e mantenimento del turnover a zero,dato che il turnover non ce lo possiamo proprio permettere; se dopo anni di investimen-to una persona se ne va, per me è un salasso”. Ecco una ulteriore ragione per l’impegnodiretto della famiglia nella gestione delle persone. Dal punto di vista dell’intervistato, per“fare famiglia” i punti cardine sono molto chiari: il rispetto delle persone e l’apprezza-mento dei sacrifici che fanno.

Un altro elemento caratteristico della gestione del personale è legato al fatto di non pun-tare su sistemi formalizzati quanto su un approccio “personalizzato e globale” al dipen-dente: “gli incentivi sono in realtà di tutti i tipi, non solamente monetari, anche di carat-tere lavorativo: dare loro responsabilità crescenti e far capire che si pensa alla loro car-riera, intesa non tanto (o non solo) come titolo sul biglietto da visita, quanto in terminidi contenuto del lavoro che svolgono; ancora, il dare alle persone una crescente auto-

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nomia nel tempo, elemento indispensabile per far funzionare una azienda come questache non ha inerzie, ridondanze. Tutti devono essere in grado di cavarsela”.

Attualmente il principale problema dal punto di vista delle risorse umane è costitui-to dalla enorme difficoltà di reperire professionalità adeguate in termini di compe-tenze, atteggiamento e motivazione sul mercato del lavoro. La questione ha in realtàun orizzonte più ampio legato alla perdita di professionalità che il mercato vive oggia livello di “blue collar”: “oggi rimpiazzare un operaio tecnico specializzato (torni-tore, fresatore, montatore, ecc.) è difficilissimo. Non parlo poi di posizioni chiavecome possono essere quelle di “ufficio tempi e metodi” o “capo-officina”. Anche pernoi questo rappresenta il più grosso ostacolo attuale alla crescita: attrarre risorse!La gente, soprattutto i giovani, valutano l’attrattività di un business in base allagrandezza della società e questo permette solo alle grandi multinazionali di trovarepersone”.

La criticità è molto pronunciata anche nel caso di ricerca di risorse giovani, soprattuttonel caso si cerchi di inserire dei profili professionali di tipo tecnico.

“Le faccio un esempio. Un mio montatore specializzato è una persona che dopo due o treanni che lavora con noi, stando in officina a montare macchine, inizia a essere mandatoin giro presso i clienti in tutto il mondo a fare installazioni. Questo vuol dire viaggiare,andare a vedere grandi realtà ed entrare in contatto con il management di queste grandirealtà, parlare con il Chief Operating Officer delle fabbriche, gente che ha la necessitàdi programmare le manutenzioni, che si vuole confrontare e avere consigli su nuovi det-tagli tecnici. Quindi un contenuto del lavoro molto attrattivo, soprattutto per un perito.Posso capire per i lavori più tradizionali di officina, come fresatore e tornitore, unaminore attrattività, ma per figure come quelle che le ho descritto faccio davvero fatica aspiegarmela”.

Il risultato è che a oggi nel settore tecnico l’azienda non è riuscita a far entrare nessungiovane; ne consegue che, potendo contare solo sui dipendenti storici, gli investimenti perla crescita futura diventano un grosso punto interrogativo. Emerge un quadro interessan-te: l’opzione classica di crescita delle piccole medie imprese – linee interne o linee esterne – sembra in questo caso condizionata soprattutto dallo skill shortage a livello dimercato del lavoro: “Per crescere non potremo che ricorrere a strade diverse, come leacquisizioni”.

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Sul versante della ricerca di profili di tipo gestionale/commerciale, le cose non sono certopiù semplici:

“La verità è che quando mi sento dire in 10-15 colloqui che non ci sono sufficienti posi-zioni per uno sviluppo formale di carriera, mi rendo conto che i giovani non vedono tuttoil resto che si può trovare qui. Di recente abbiamo cercato un giovane ingegnere per daresupporto al nostro commerciale e gli ho detto che se avessi avuto io la possibilità allasua età di stare seduto di fianco a chi prende le decisioni, non avrei indugiato un secon-do! Non si riesce a far capire che in una azienda di piccole dimensioni ci si muove moltopiù liberamente. Credo che tanti giovani svegli emigrino non perché fuori ci sianomigliori opportunità, ma perché non vedono quelle che ci sono qui. E’ un tema che con-divido con tanti colleghi e che dovrebbe essere affrontato a livello di sistema coinvol-gendo Associazioni e Università: occorre investire facendo capire attraverso la forma-zione e l’informazione ai giovani quali sono le realtà lavorative specifiche possibili nelnostro paese. Se non lo facciamo sarà difficile crescere non solo per noi, ma per l’inte-ro paese”.

La cosa interessante è che in questa dinamica non è la leva retributiva a essere decisiva:il livello retributivo e di benefit (PC, telefono, auto), rispetto alle grandi imprese, èsostanzialmente lo stesso.

Negli ultimi anni l’azienda ha valutato e in parte sperimentato dei collegamenti con ilmondo dell’Università e delle scuole professionali. Il primo versante appare più proble-matico, in quanto, anche quando si ha accesso ai laureati, il fatto che poi se ne vadanodalla sera alla mattina verso una grande impresa è molto probabile e non accettabile, intermini di investimento, per una realtà di piccole dimensioni.

“Per quanto riguarda l’Università siamo troppo piccoli, il costo di accesso al canale èelevatissimo anche alla luce delle pretese che i giovani universitari hanno verso il mondodel lavoro che noi, dal loro punto di vista, non possiamo assolutamente soddisfare. Cosaintendo? Per esempio, per avere accesso agli ingegneri occorre mettere in preventivo ilfatto di accettare un elevatissimo turnover che noi però non possiamo in alcun modo per-metterci, dato che per formare una persona professionalmente mi occorre da uno a dueanni, tramite affiancamento ai colleghi sul campo. Capisce che io non posso mettere laresponsabilità di un portafoglio commerciale di 2 milioni e mezzo di euro in mano a unapersona così ex novo; deve prima affiancare il commerciale, poi occuparsi di ricambi,

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interfacciarsi con il magazzino e la produzione, capire come funzionano i meccanismi diofferta, cominciare a conoscere i clienti, andare in giro almeno per un anno con com-merciali e poi, finalmente, si può provare da soli. Nel frattempo il rischio che ci lasci èmolto elevato”.

Con le scuole professionali, attraverso il supporto di Assolombarda, è oggi in corso distudio la fattibilità di un percorso di alternanza scuola-lavoro e l’impressione è che suquesto tentativo ci sia molto interesse da parte delle imprese contattate. Un altro vincolorispetto a questo tipo di iniziative è di tipo interno: “io dovrò dedicare delle risorse aseguire i giovani e quando si è già un po’ sotto staffati non è semplice trovare il tempo ela disponibilità”.

Sul fronte della formazione l’azienda è già attualmente piuttosto impegnata, anche se inprospettiva futura vorrebbe fare ancora di più. Oggi, in particolare, sono attivi percorsiformativi relativi alle lingue straniere, molto apprezzati soprattutto dai tecnici che perlavoro devono girare il mondo, e a tematiche afferenti il mondo commerciale: normativa,spedizioni doganali, ecc. I percorsi vengono messi in piedi tutte le volte che vi è unarichiesta da parte dei dipendenti, utilizzando i finanziamenti alla formazione disponibili,come ad esempio Fondimpresa. La formazione tecnica – quella indirizzata alle personedell’Ufficio Tecnico – invece non è molto richiesta perché i prodotti dell’azienda nonnecessitano di un semplice upgrade di conoscenze/nozioni quanto di un miglioramentonell’applicazione delle conoscenze basato sull’esperienza, cosa che si fa sul campo inuna logica di training on the job.

L’area dove si vorrebbe investire in chiave futura è quella della formazione di processo:cercare di migliorare tramite la formazione esterna la qualità con cui vengono fatte lecose, in particolare a livello di gestione delle informazioni. La considerazione di parten-za è che aziende come la OCMI-OTG sono di fatto dei data-miner, nel senso che muo-vono una enorme quantità di dati: “un fattore chiave di successo è allora migliorare laqualità di questo processo rendendolo più efficiente ed efficace (ad esempio, la catalo-gazione dei disegni e lo scambio di disegni con i clienti) anche attraverso soluzioni inno-vative disponibili sul mercato tipo il DRM, che potrebbero semplificare lo scambio diinformazioni riservate e la catalogazione delle stesse”. La difficoltà dell’azienda a pro-cedere in questa direzione è data dai costi delle società di consulenza che si occupano diquesti temi: sono assolutamente inaccessibili per realtà di piccole dimensioni. E questoblocca la possibilità di un salto di qualità a livello organizzativo e gestionale: “Le perso-

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio OCMI-OTG Group

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio OCMI-OTG Group

ne sarebbero ben contente di questo tipo di formazione perché semplificherebbe loro lavita; invece non possono seguire un processo lineare, in quanto trovano degli ostacoli, ehanno quindi costruito delle short cut; si rendono conto che queste sono inefficienti, maoramai non possono farne a meno. Oltretutto lungo queste scorciatoie si produce moltopiù facilmente errore che si accumula e che richiede un lavoro di pulizia (altra ineffi-cienza!) al termine del processo”.

L’internazionalizzazione

La OCMI-OTG è senza dubbio un’azienda a forte vocazione internazionale. Opera in unanicchia globale vendendo le sue macchine in tutto il mondo, ha una ampia rete di forni-tori in tutta Europa, ma soprattutto sembra caratterizzarsi per una mentalità globale: leopportunità di fare business, di sviluppare l’azienda e di crescere vanno cercate a trecen-tosessanta gradi, dovunque si presentino nell’arena globale.

Da questo ultimo punto di vista la storia dello sviluppo internazionale dell’azienda, inparticolare negli ultimi quindici anni, è significativa.

Come già raccontato in precedenza, nel 1998 con l’acquisizione della francese ModerneMecanique viene portata a termine una importante operazione finalizzata a consolidarela strategia aziendale attraverso il completamento della propria gamma di offerta.

Pochi anni dopo, nel 2002, viene realizzata una altra operazione, questa volta in NordAfrica, il cui senso strategico è ben sintetizzato dall’intervistato:

“Ci fu data l’opportunità di investire insieme a un nostro agente, che vendeva le nostremacchine della divisione farmaceutica in Egitto, in una start-up destinata proprio allaproduzione delle fiale e dei flaconi. Dal momento che era un periodo abbastanza di stan-ca per la produzione delle macchine, decidemmo di investire nel 33% di questa societàegiziana (European Ampoule Company) che fattura circa 5-6 milioni di euro, ma con otti-me marginalità. Una delle spinte forti è stato il supporto del governo egiziano che, perfavorire gli investimenti nel paese, consentiva una defiscalizzazione totale degli utili perdieci anni. La logica competitiva con cui ci siamo mossi è stata quella di elevare la qua-lità del mercato egiziano presentandoci come un nuovo concorrente in grado di produr-re a standard europei: e questo è successo, visto che dall’epoca abbiamo venduto più di

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25 impianti. Infatti, dato che la società partecipata, grazie ai nostri impianti, producevacon qualità decisamente più alta, i concorrenti hanno dovuto adeguarsi acquistando inostri stessi impianti per tenere il medesimo livello di qualità”.

Nel caso della esperienza di partecipazione nella società egiziana, dunque, si evidenziauna notevole propensione del management a cogliere le opportunità strategiche: contestoistituzionale favorevole (facilitazioni offerte dal governo locale), possibilità di compen-sare il momentaneo rallentamento sui mercati tradizionali, costruzione del fabbisognoper i propri prodotti in un nuovo mercato.

Infine, proprio nell’anno del rientro di Tommaso Gusti in azienda, il 2005, è stata avvia-ta una start-up in India che si occupa sempre di produzione di macchine per contenitorifarmaceutici (in particolare i flaconi). L’operazione è avvenuta tramite l’acquisizione delpiù grosso produttore locale di questa tipologia di macchine, il cui proprietario è diven-tato il CEO della nuova azienda. La produzione è di fatto stata avviata nel 2007-2008, lasocietà in soli tre anni è arrivata a break-even e quest’anno per la prima volta ha fatto pro-fitto. La nuova società indiana è dedicata a produrre e vendere macchine per le linee diproduzione di flaconi solo per alcuni mercati specifici: India e Sud-est asiatico.

In questo caso, l’idea è di posizionarsi con un prodotto medio su mercati che possonopermettersi livelli di qualità minori rispetto agli standard occidentali, garantendosicomunque una presenza che consente di fare volumi oggi e di essere già presenti e affer-mati sul mercato un domani, quando magari il livello di prodotto/servizio richiesto daiclienti finirà per elevarsi. Naturalmente, uno dei temi chiave diventa la gestione dei diver-si brand, sfruttando la propria esperienza nel settore ma evitando il rischio di pericolosesovrapposizioni: “In questi mercati andiamo su aziende clienti che non hanno, a livellodi prodotto finito, margini tali da potersi permettere un impianto di qualità “europea”;per non lasciare smarcato quel mercato abbiamo creato questa sussidiaria che però hail mandato specifico di non inquinare/cannibalizzare la fascia alta dei prodotti ad altomargine”.

Dunque, la vocazione internazionale di OCMI-OTG è di tipo sia qualitativo che quanti-tativo. In questo ultimo senso, lo spostamento sull’estero e sui mercati emergenti in par-ticolare è evidente. L’azienda esporta oltre il 90% dei propri prodotti, avendo come mer-cato di riferimento il mondo, con un peso molto forte delle economie emergenti: Brasile,Sud America, Russia e Cina.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio OCMI-OTG Group

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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“I mercati emergenti rappresentano un forte traino, anche a causa delle dinamiche specifi-che che caratterizzano il ciclo di sviluppo di un prodotto farmaceutico: le prime produzio-ni vengono fatte tramite soluzioni iniettabili, quindi tutti i mercati in via di sviluppo comin-ciano ad avere prima i medicinali in forma iniettabile o bevibile; di conseguenza la fiala eil flacone saranno per loro il principale packaging farmaceutico almeno per i prossimi 10-15 anni. In realtà un po’ in tutti i mercati, inoltre, si stanno sempre di più apprezzando leproprietà del vetro neutro, soprattutto per i medicinali ad altissimo margine, come ad esem-pio gli antitumorali. Questo determina il fatto che stanno nascendo molte nuove realtà peril packaging farmaceutico in giro per il mondo, tutti nostri potenziali clienti”.

La presenza sui mercati esteri è garantita sia tramite la struttura commerciale interna(Direttore Vendite e suo assistente, con il supporto del back office commerciale) sia attra-verso la rete di agenti (in particolare per Sud America, Cina, Russia). Il tutto con una pre-senza e un coinvolgimento importanti della famiglia nelle sue figure di vertice, impe-gnate sia nell’esplorazione dei mercati sia nella gestione diretta dei clienti. In tutto il pro-cesso di gestione della relazione con i clienti è fondamentale il ruolo dei tecnici chevanno a installare e fare assistenza tecnica sulle macchine: “l’after-sales service rappre-senta per noi il più grande strumento commerciale, nel senso che essere presenti sulcliente, andare nella sua azienda, risolvergli il problema è fondamentale. D’altronde perloro un fermo macchina è un danno enorme, limitandolo gli diamo servizio e valore”.

In prospettiva futura, l’azienda sembra non volersi fermare nella propria espansioneinternazionale, in particolare con riferimento alla Cina. Tuttavia il vincolo attuale mag-giore agli investimenti in questa direzione è rappresentato ancora una volta dalla diffi-coltà di reperimento delle risorse umane adeguate:

“In questo scenario in movimento stiamo valutando la possibilità di cogliere qualche oppor-tunità in loco, ad esempio tramite una joint-venture o una acquisizione. Il vero problema, perfare questo tipo di operazioni, è che ti serve una risorsa che garantisca un presidio direttoin loco. E torna allora il solito problema: l’ideale sarebbe avere un giovane con un po’ diesperienza che abbia voglia di investire qualche anno a stare lì; ma queste figure non si tro-vano o ti chiedono delle cifre senza senso, che non giustificano l’investimento. Quindi perora ci arrangiamo per conto nostro: andando noi molto spesso e cercando di garantire unapresenza abbastanza costante. La verità è che, nel nostro settore della meccanica, è impos-sibile far partire una fabbrica vera con l’obiettivo di migliorare la qualità della produzionelocalmente in India e in Cina, senza risorse che arrivino da qui. I locali non hanno la men-

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talità, non vedono i dettagli. Ci vuole qualcuno di qui che viva lì fisso, non tornando a casaogni mese, per un paio di anni, il tempo di strutturare processi e logiche di lavoro”.

L’innovazione

Per OCMI-OTG la capacità di innovazione rappresenta senza dubbio una delle chiavi checonsente di consolidare il proprio vantaggio competitivo sul mercato. Si tratta di un pro-cesso di innovazione con due caratteristiche di fondo: è di tipo incrementale, nel sensoche si basa su piccoli miglioramenti continui sui prodotti realizzati, studiando sul campoi problemi che si generano nell’utilizzo concreto delle macchine; è client-driven, in quan-to nasce giorno per giorno nell’interazione stretta con i clienti ascoltando e lavorando suiloro feedback e sulle loro richieste.

“La nostra innovazione è guidata da un processo di feedback da parte dei clienti, nelsenso che si ragiona insieme sui due aspetti principali su cui si può intervenire permigliorare la loro produzione: il cost saving e l’innovazione di processo. Dunque si lavo-ra sulle idee che vengono fuori da questo processo di interazione con il cliente, attraver-so il commerciale, il tecnico, ma anche tramite me direttamente: io passo più di centogiorni l’anno in giro per il mondo. Devo farmi vedere dai clienti, guardarli in faccia,farmi dire cosa va e cosa non va: ‘Ti piacerebbe avere una soluzione di questo tipo? Sefacessimo questo prodotto ti interesserebbe, quali impatti avresti sui costi?’. Ecco, que-sto è cruciale: studiare molto bene quali sono i loro costi di produzione, il loro processoproduttivo. Occorre esserne esperti quanto lo sono loro e mettersi in una logica di sup-portarli al massimo. Questa è la nostra innovazione, noi non sviluppiamo un nuovo pro-dotto avendo l’Ufficio Tecnico che sta lì a pensarci; d’altronde mi chiedo quante azien-de sotto i 100 milioni di euro se lo possono permettere e con che giustificazione posso-no ribaltare questi costi di R&D sul prodotto finale”.

Dunque l’Ufficio Tecnico della OCMI-OTG si muove a fronte di una nuova esigenza orichiesta da parte del cliente e a quel punto si attiva per risolvere il problema, discutendocon il cliente, disegnando la macchina in modo personalizzato e accompagnando poi tuttele fasi della produzione a garanzia del risultato finale. Da questo punto di vista, risulta-no dei fattori di successo la catena organizzativa corta e la forte integrazione orizzontaletra i reparti che ne consegue: “c’è interazione totale e molto rapida: l’UT è di fatto pre-sente sia in fase progettuale che di assemblaggio, la logica è concurrent”.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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I fornitori invece non partecipano al processo di innovazione, pur rappresentando comun-que un elemento fondamentale per l’azienda che è molto attenta a mantenere con lorobuoni rapporti: “in particolare nel settore moltiplicatori dove abbiamo delle certificazio-ni molto stringenti, non le semplici ISO, che ci vengono richieste dalle società di inge-gneria nostre clienti”.

Un’area ad oggi non pienamente esplorata e sfruttata è quella dei rapporti con Politecnicie Università, per ragioni che l’intervistato spiega con chiarezza: “Ci abbiamo pensato suun tema molto specifico ma poi non se ne è fatto nulla. La questione è che è sempre unproblema di investimenti. Facciamo un esempio banale: mettiamo che io volessi entrarenel mercato dei compressori e decidessi di mettermi a progettarli, chiedendo aiuto alPolitecnico perché mi alleni la risorsa che poi assumerò io. Quanto tempo ci vuole per-ché ciò avvenga? I tempi non sono accettabili per la nostra capacità di investimento. Pernoi ha più senso investire nella acquisizione di una singola piccola azienda, cosa chespero di fare in futuro entro 5-6 anni”.

Qualche piccolo tentativo è invece stato fatto sul perfezionamento di tecnologie e mac-chinari già esistenti e non invece su innovazioni “radicali”. Emerge l’idea che questotipo di relazioni richiedano una base di fiducia personale importante e comunque nonpossano assumere il carattere di un piano sistematico di investimenti, ma quello inve-ce di azioni mirate a cogliere singole opportunità: “Abbiamo un’esperienza specificacon uno studio di ingegneria che lavora per un nostro cliente con cui abbiamo svilup-pato un progetto congiunto su un componente specifico. Lo progettano e realizzano enoi gli paghiamo delle royalties sulle vendite. Un’altra esperienza è legata a un nostrosocio in una società produttrice di forni da fusione, da cui ci siamo fatti realizzare unforno particolare e se va bene, oltre all’acquisto, gli pagheremo una piccola royalty.C’è un tema di fiducia, di fare queste cose con persone fidate che conosci da una vitae che poi non se ne vanno a vendere prodotti per conto loro. Sono cose che non puoifare con tutti”.

Parallelamente emerge che, essendo l’innovazione una fonte cruciale di vantaggio com-petitivo, essa deve costantemente essere protetta da un lato attraverso la fidelizzazionedei dipendenti, dall’altro presidiando con attenzione scrupolosa le attività di assistenzatecnica presso i clienti: “La nostra logica è di autonomizzare il cliente solo su cose mini-me, per il resto fanno tutto i nostri tecnici. Non esiste di lasciare spazio su questo: smon-tano la macchina e poi sono guai…”.

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CASO DI STUDIO TELBIOS*

L’azienda

TELBIOS è una delle prime società italiane a essersi occupata di telemedicina, avendo ini-ziato le sue attività nel 1996 con il supporto alle missioni italiane di carattere umanitario. Oggiè una delle aziende di punta in un settore all’avanguardia, che unisce medicina, tecnologia etelecomunicazioni, con soluzioni dedicate alle strutture sanitarie e all’assistenza medicadomiciliare e la cui mission è quella di contribuire a migliorare la qualità dell’assistenza medi-ca, avvicinando tra di loro medici e malati, per una sanità migliore e più efficiente.

TELBIOS ebbe origine da un Consorzio che fu costituito nel 1996 dalla Fondazione SanRaffaele del Monte Tabor e da Alenia Spazio del Gruppo Finmeccanica, sulla scia di progettilegati al Ministero della Difesa. Erano gli anni del conflitto nei Balcani e si era manifestata lanecessità di dare un supporto medico alle strutture italiane impegnate sui luoghi interessatidalle operazioni militari. Sulla base di un’opportunità legata a un finanziamento dell’AgenziaSpaziale Europea, fu costituito un consorzio con le capacità medicali dell’Ospedale San Raffaele e le capacità satellitari di Alenia Spazio per la trasmissione dei dati.

“All’epoca non esisteva l’ADSL e la trasmissione dei dati avveniva esclusivamente viasatellite, cosa che succede ancora oggi, del resto, in situazioni disagiate. Le esigenze del-l’epoca consistevano principalmente nel fare delle video-conferenze e nel poter trasmet-tere dati tipo le immagini radiologiche”.

Il consorzio sviluppò una piattaforma per le video-conferenze che consisteva nella pos-sibilità, per i medici presenti sul campo nelle basi militari, di avere una seconda opinio-ne da medici specialisti del San Raffaele o dell’Ospedale Militare Celio di Roma. A pocoa poco si sviluppò la tecnologia e le risorse sia a livello di persone e competenze interne,sia a livello di asset (un centro trasmissione e un centro ricezione dati).

Nel 2001, dopo che ai Balcani si affiancarono un paio di altri progetti, il San Raffaele e Alenia deci-sero di capitalizzare quanto appreso fino a quel momento nella forma del consorzio per costituireuna società per azioni e poter esportare il modello di business anche in campo commerciale.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

* a cura di Caterina Carroli

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Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

In quella prima fase l’idea era di creare dei network di competenza e di eccellenza colle-gati a tanti differenti poli che avessero necessità di una second opinion in fase iniziale odi un follow-up a seguito dell’ospedalizzazione, risparmiando costi diretti a livello disistema sanitario e indiretti legati allo spostamento dei pazienti e dei loro familiari.

”Il modello di business iniziale era quello di avvicinare l’eccellenza a zone meno com-petenti o avvantaggiate secondo la logica hub and spoke”.

Nel 2001 viene costituita la Società per azioni ed entra nel capitale, oltre a San Raffaelee Alenia Spazio, la società di consulenza strategica Value Partners con una quota del 7%.

Nel 2003 entra nel capitale Telecom Italia in concomitanza con una evoluzione nel business plan che porta al passaggio dalla logica hub and spoke a nuovi modelli, compresa l’idea di poter sviluppare la telemedicina e la teleassistenza affiancando almercato più prettamente sanitario anche un mercato socio-assistenziale.

In coerenza con l’evoluzione del modello di business, nel 2004 viene creato un CentroServizi evoluto che prende in carico le chiamate della teleassistenza e svolge, come daprotocollo, una serie di operazioni che vanno dal fornire “compagnia” alla persona finoal caso estremo di chiamare l’ambulanza. Gli operatori del Centro Servizi non sono clas-sici operatori di call center, ma hanno attenzione e formazione alla gestione di pazienticritici e di situazioni di emergenza.

In quegli anni TELBIOS ha cominciato a sviluppare un centro servizi che fosse in grado

Il servizio di teleassistenza di TELBIOS

La teleassistenza è un servizio per il controllo e il supporto da remoto di anziani che vivono soli,disabili, persone affette da patologie (quali Alzheimer, Parkinson, ecc.) e più in generale tutti queisoggetti che possono necessitare di un servizio di assistenza da remoto.

In caso di necessità l’assistito preme il pulsante predisposto sul terminale di teleassistenza e un ope-ratore del Centro Servizi, attivo tutti i giorni 24 ore su 24, attiva gli aiuti, utilizzando l’elenco dinumeri telefonici che ha a disposizione, concordati direttamente con il cliente in fase di attivazionedel servizio, oppure contatta i servizi di pubblica emergenza. Durante queste operazioni, continua arimanere in contatto con il cliente e controlla l'evolversi della situazione.

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di rispondere non solo alle chiamate della teleassistenza, ma anche alle chiamate dellatelemedicina, anche detta telemonitoraggio.

Il Centro Servizi si caratterizza per poter ricevere bio segnali da apparati presenti sul ter-ritorio. Uno dei mercati dell’azienda diventa anche quello degli utenti cui vengono offer-ti strumenti per rilevare valori quali ad esempio la misurazione del ritmo cardiaco, lapressione, l’elettrocardiogramma, la glicemia, ecc. che, combinati gli uni con gli altri,consentono di seguire l’evolversi di una patologia. Tali strumenti vengono proposti diret-tamente al paziente (ad esempio follow-up post-operatori) o, molto più spesso, all’inter-no di progetti sviluppati con ASL, cliniche od ospedali.

Il Centro Servizi sviluppato a partire dal 2004 si è quindi evoluto nel tempo con duediverse sfaccettature:1) Socio-assistenziale (teleassistenza): gli strumenti del centro servizi in questo ambito

si sono evoluti nel tempo. Vanno dal contatto telefonico al contatto visivo in alcunesituazioni evolute. Il contatto telefonico è prevalentemente inbound, ma in alcuni casi

La telemedicina

Secondo la definizione messa a punto dalla Commissione Europea nel 1990 la telemedicina è “l'in-tegrazione, monitoraggio e gestione dei pazienti, nonché l'educazione dei pazienti e del personale,usando sistemi che consentano un pronto accesso alla consulenza di esperti ed alle informazioni delpaziente, indipendentemente da dove il paziente o le informazioni risiedano (AIM 1990)”.

La telemedicina comprende un vasto campo di applicazioni e a usufruirne possono essere: aree mediche (cardiologia, pneumologia, nefrologia, ostetricia, neurologia, oncologia, radio-

logia, diabetologia, ecc.); strutture sanitarie (ad es. guardia medica, pronto soccorso, ambulanza, ambulatorio, casa di

cura); organizzazioni (stabilimenti produttivi, centri sportivi, navi, scuole, istituti di pena); singoli pazienti.

Ferma restando la centralità del paziente e del suo stato di salute, la telemedicina implica i seguen-ti elementi:

erogazione di una prestazione sanitaria; presenza e coinvolgimento di operatori sanitari, a cui, a titolo diverso, viene demandata la

gestione delle prestazioni; uso delle moderne tecnologie di comunicazione in grado di garantire la trasmissione di infor-

mazioni corrette, sicure e quindi di qualità.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

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è previsto anche un servizio outbound, che può caratterizzarsi come “tele-compa-gnia”. Le competenze richieste agli operatori che svolgono questo ruolo sono, più chedi carattere medico, di gestione dell’emergenza e di gestione della persona fragile.L’acquirente-tipo di questo servizio è rappresentato solitamente dai Comuni (cheoffrono gratuitamente, o a tariffa convenzionata, il servizio ai propri cittadini).

2) Medicale (telemedicina): operano su questo versante operatori tecnici in grado diacquisire i bio-segnali e che sono quindi in possesso di competenze più prettamentemedicali rispetto agli operatori del team socio-assistenziale. Essi devono essere ingrado, ad esempio, di interpretare di primo acchito un elettrocardiogramma o altrireferti. Il Centro Servizi è inoltre caratterizzato dalla presenza di personale medicopresente 24 ore su 24 (solitamente si tratta di medici specializzandi o specializzati incardiologia, la branca che al momento è più seguita dalla telemedicina).

Il Centro Servizi è caratterizzato da un’importante componente tecnologica, molto avan-zata, con caratteristiche tali da evitare situazioni di interruzione del servizio (back up,recovery dati, ecc), perché “non possiamo permetterci che, se cade la luce da qualcheparte, noi non operiamo. Anzi, è proprio in quelle situazioni che ci chiamano”. Esso inol-tre opera grazie a personale qualificato, formato e costantemente aggiornato sulla gestio-ne dei soggetti fragili e delle emergenze.

Il piano industriale triennale redatto nel 2004 prevedeva un forte potenziamento del mer-cato business to business e lo sviluppo del mercato consumer. In quegli anni TELBIOSè cresciuta molto grazie al forte lavoro fatto sui mercati del B2B. I principali mercati disbocco per l’offerta TELBIOS sono rappresentati da:

• Regioni;• ASL;• Ospedali pubblici e privati;• Cliniche, Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA);• Farmacie e medici;• Centri benessere (terme);• Palestre evolute.

In questi mercati l’azienda ha sviluppato in quegli anni un’offerta commerciale incentra-ta su due soluzioni prevalenti:

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1) Tele-radiologia: TELBIOS ha sviluppato una soluzione che consente di distribuire leimmagini radiografiche in maniera sistematica. Tale soluzione consente al medico diaccedere in maniera immediata, organizzata e completa all’immagine radiografica inqualsiasi luogo si trovi.

2) Tele-monitoraggio: monitoraggio dei bio-segnali del paziente che può essere fatto indiversi luoghi (casa del paziente, studio del medico, farmacia, ambulatorio o ancheambulanza). In una prima fase questa soluzione era incentrata sulla tele-cardiologia,poi si è evoluta con l’acquisizione di un numero sempre maggiore di bio-segnali. TEL-BIOS ha sviluppato in particolare, in questi ultimi anni, quello che oggi rappresentauno dei suoi prodotti di punta: la piattaforma “InSalute”, che è la componente diaggregazione di tutti i bio-segnali. TELBIOS non produce direttamente i device medi-cali, il suo business è la realizzazione della piattaforma che acquisisce i bio-segnali, liintegra e li trasferisce, anche visivamente, al centro servizi, al paziente e al medicocoinvolto nel processo.

Oggi come oggi uno degli ostacoli più forti alla diffusione di queste soluzioni è che leprestazioni erogate non vengono rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale, nonostanteil prezzo sia tendenzialmente concorrenziale con il ticket.

“Oggi noi siamo forse l’unico operatore che sta cercando di produrre queste soluzioni alivello industriale, anche se il livello industriale, in questo campo, rimane sempre comun-que estremamente limitato. Per ora rimane vero il fatto che attualmente il costo dei devi-ce medicali ha un impatto eccessivo sul prezzo finale. La riduzione del costo sarà possi-bile nel medio periodo, grazie all’ingresso di produttori alternativi oltre alla diffusionepiù ampia delle soluzioni di telemonitoraggio”.

L’ingresso di Telecom Italia nella compagine azionaria era anche legato alla diffusionedelle soluzioni TELBIOS verso il mercato del consumatore finale, con veicolo e canalecommerciale Telecom.

“Lo sviluppo del mercato consumer con il canale commerciale Telecom sfortunatamentenon è mai avvenuto. Proprio in quegli anni Telecom ha iniziato ad avere vari cambia-menti a livello di struttura societaria e di Proprietà, che hanno portato a una sua ri-foca-lizzazione sul core business più che allo sviluppo di nuovi mercati complementari, in cuiloro credevano, ma che avrebbero richiesto forti investimenti da parte di Telecom sulfronte della comunicazione del servizio agli utenti”.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

I maggiori ostacoli che a tutt’oggi permangono alla penetrazione nel mercato consumersono rappresentati da un lato dalla necessità di programmare ingenti investimenti in azio-ni comunicative per far arrivare l’informazione ai singoli e dall’altro dall’alto costo diquesta soluzione per il consumatore, data l’attuale scarsa diffusione (e quindi la man-canza di economie di scala).

Un’altra importante area di business è rappresentata dal mercato della Difesa. I legamicon il Ministero della Difesa risalgono al 1996, ovvero alla nascita del Consorzio. OggiTELBIOS è il partner civile del Ministero della Difesa per ciò che riguarda la telemedi-cina con il progetto “Athena TMD”, che ha consentito di sviluppare una serie di soluzio-ni quali: un centro servizi focalizzato sulla second opinion e quindi sulla video-confe-renza; dei container blindati (denominati shelter) con stazioni di telemedicina al lorointerno che vengono posizionati sui camion e che possono essere dislocati ovunque sianecessario nelle zone di guerra ove l’esercito italiano è presente. L’ultima fase del pro-getto sviluppato con il Ministero riguarda la dislocazione sulle navi della Marina Militaredi soluzioni di telemedicina. Grazie a queste soluzioni è stato possibile trattare tempesti-vamente casi di emergenza “salvando in alcuni casi delle vite” e sono stati evitati diver-se centinaia di trasferimenti di militari in elicottero.

“Se si considera che il costo di ogni trasferimento (in gergo tecnico Medevac) è di circa35.000/40.000 euro, è possibile immaginare i risparmi che possono derivare al Ministerodalla diffusione di queste soluzioni”.

Altri settori della Pubblica Amministrazione su cui TELBIOS ha lavorato sono le carce-ri. In particolare, attraverso uno screening di base immediato è possibile anche preveni-re molti problemi che possono insorgere a causa della diffusione di patologie. Grazie aquesti interventi è migliorata sensibilmente la prevenzione di eventuali insorgenze e sonodiminuiti i trasferimenti dei reclusi all’ospedale.

Negli ultimi anni TELBIOS ha attraversato un periodo di crisi causato da motivi contin-genti, ma anche da scelte strategiche non lungimiranti.

“TELBIOS è una società che ha sempre perso, ma sempre rispettando i piani industrialitipici di una start-up, che prevedevano un periodo iniziale di perdite. Negli ultimi dueanni, però, a causa della recessione e di scelte strategiche non idonee, le perdite sonostate significative”.

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La recessione che ha colpito tutti i settori in questi ultimi anni è stata particolarmenteacuta per chi opera con il mondo sanitario e in particolare con le ASL, che hanno bloc-cato ogni tipo di investimento.

“Abbiamo patito tutti la crisi, anche i nostri Committenti. Lo scenario di questi ultimianni è stato o di Regioni commissariate con un blocco sostanziale dei processi di acqui-sto o comunque di tagli radicali alla spesa sanitaria e quindi agli investimenti.Attualmente, anche se stiamo cercando di cambiare modello di business, le nostre solu-zioni sono in conto capitale più che a spesa corrente: questo significa che il Committentedeve investire nell’acquisto della piattaforma, nei device medicali e via dicendo, con unimpatto nell’immediato più importante che quello determinato dal noleggio della solu-zione, ad esempio. Per ovviare a questi problemi stiamo cercando di spostarci verso ilmodello a spesa corrente che, se anche comporta maggiori costi per noi nel breve, pro-duce vantaggi indubbi ragionando in una logica di lungo periodo”.

Il periodo di crisi attraversato da TELBIOS è culminato con una ristrutturazione orga-nizzativa avvenuta nel 2010, che ha portato alla chiusura della sede di Roma.

Nel 2011 i Soci, compresi quelli uscenti, hanno coperto tutte le perdite ri-equilibrandopatrimonialmente e finanziariamente l’azienda e dando una nuova e brillante prospettivaper il futuro della Società.

La Governance

Dal 2009-2010 c’è stato un profondo ripensamento della società, tanto che sono uscitidall’azionariato due soci importanti che avevano maturato delle visioni differenti rispet-to a quali fossero la mission e il core business di TELBIOS.

“Telecom Italia aveva l’idea che la telemedicina potesse essere un veicolo per supporta-re il proprio core business e lo stesso Telespazio per quanto concerne la diffusione delcanale satellitare. Tra l’altro si trattava di visioni non sempre compatibili le une con lealtre. A ciò si aggiunge una ri-focalizzazione di queste aziende sul proprio core business.Inoltre, soci così importanti non sempre vanno d’accordo, prevale la logica del voler pre-dominare gli uni sugli altri. Infine, sono mondi molto burocratici che rendono difficolto-so il processo decisionale di un’azienda come TELBIOS che opera in un mercato estre-

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

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mamente dinamico che premia la capacità di rispondere velocemente alle richieste delmercato”.

Hanno mantenuto l’interesse nell’azienda l’Ospedale San Raffaele, tanto che TELBIOSfa parte delle attività core che verranno mantenute nella nuova configurazione che si stadelineando, e l’Ing. Giorgio Rossi Cairo, che fin dall’inizio ha creduto nell’evoluzionedel business della telemedicina.

“Ormai non è più questione del ‘se’ la telemedicina verrà, ma del ‘quando’ verrà.Quando cioè ci sarà quella diffusione tale per cui potrà essere remunerativa per i sog-getti coinvolti. Oggi si inizia a intravvedere questo momento, anche se con un modellomolto diverso dalla logica hub and spoke che si immaginava agli inizi. Certamente ilconcetto centro-periferia rimane centrale nella logica della telemedicina, perché ad essaci si rivolge per entrare in contatto con i migliori o perché non ci si vuole spostare, quel-lo che cambia sono le modalità realizzative”.

Nel 2011 è entrata nell’azionariato AB Medica, una realtà importante in Italia, anche sepoco conosciuta. E’ il distributore esclusivo del robot Da Vinci, uno strumento che con-sente al medico di realizzare le operazioni chirurgiche con una precisione che l’essereumano non può raggiungere. AB Medica ha una delle reti commerciali interne più svi-luppate nel mondo della sanità italiana, con oltre 80 venditori diretti che ogni giorno sirecano negli ospedali per comprenderne le esigenze e proporre i servizi adeguati a que-ste esigenze. AB Medica, avendo percepito attraverso la sua rete commerciale l’esigenzadel mercato di andare verso una evoluzione non solo del prodotto ma anche del serviziodella telemedicina, ha deciso di investire in TELBIOS.

Sempre nel 2011 è entrato nel capitale, con una piccola quota di azionariato, il Dr. Botti,CEO dell’azienda.

“Il Dr. Botti è stato prima Direttore Generale della Sanità in Lombardia, poi DirettoreGenerale del San Raffaele e attualmente, oltre che CEO di TELBIOS, è il consulente cheinsieme a Enrico Bondi si sta occupando del piano di ristrutturazione del San Raffaele.Il suo ingresso nel capitale è stato molto significativo per una ri-focalizzazione delmodello di business di TELBIOS sulla componente clinico-sanitaria”.

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La gestione delle Risorse Umane

Il processo di strutturazione dal punto di vista organizzativo e manageriale trova compi-mento nel 2004. Prima il modello organizzativo prescelto si basava sul riconoscimento diuna fee al San Raffaele per le principali funzioni di staff.

Lo stesso Rodolfo Basilico, Direttore Amministrazione e Risorse Umane di TELBIOS,entra in relazione con l’azienda nel 2003 non direttamente ma attraverso il San Raffaele.

“A quell’epoca TELBIOS era in evoluzione e tutte le funzioni di staff venivano mutuatedal San Raffaele dietro riconoscimento di una fee, poi a partire dall’anno successivosono entrato stabilmente in organico”.

TELBIOS ha conosciuto negli anni una evoluzione importante delle risorse umane chel’ha portata ad avere un organico di 80-100 persone, che si è poi assestato, a causa delledifficoltà contingenti e strutturali di cui abbiamo parlato, sulla quarantina attuale.

Nel 2010, in particolare, vi è stata una riorganizzazione che ha portato alla chiusura dellasede di Roma, che occupava una ventina di persone, alcune delle quali si sono dimessevolontariamente, mentre 13 sono state messe in cassa integrazione.

“La chiusura della sede di Roma è stata una scelta molto difficile e dolorosa che abbia-mo dovuto compiere lo scorso anno. Tale scelta è stata dettata da motivi organizzativi,perché per una azienda piccola come la nostra la suddivisione dei compiti con Romaera poco funzionale, ma anche da ragioni strategiche: abbiamo valutato necessario ri-focalizzarci sul territorio lombardo, che in questo momento è il più vivo per il nostromercato”.

È possibile tracciare un’evoluzione nella gestione delle risorse umane parallela all’evol-versi del modello di business.

“Negli anni è cambiato radicalmente il nostro approccio alla gestione delle risorseumane, perché oggi come oggi rispetto al passato il nostro focus è sulla componente sani-taria. Nascevamo con un forte imprinting sanitario quando eravamo Consorzio, poi l’in-gresso di Telecom Italia e i legami con Alenia-Telespazio fecero sì che ci si spostassemolto sulla componente tecnologica, con una deriva strategico-organizzativa secondo

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Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

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Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

cui la sanità era diventata funzionale alla tecnologia. Questa deriva ci ha fatto perderequalche colpo sul mercato…Oggi invece siamo tornati alle origini e l’ingresso del Dr.Botti è stato determinante per questo”.

Il riflesso a livello organizzativo di questa ri-focalizzazione sulla componente sanitaria èstata l’introduzione di una Direzione Sanitaria, che svolge una funzione di primo pianonella costruzione dell’offerta. Il suo principale compito è quello di ascoltare le esigenzeprovenienti dal mondo sanitario per trasformarle poi in soluzioni.

“Solo a questo punto entra in gioco la tecnologia, che in questo modello è funzionale arispondere a una esigenza sanitaria. C’è stato un periodo in cui si partiva dal prodottoe si cercava poi di capire se potesse servire nel mondo della sanità. Non riteniamo chequell’approccio fosse giusto e vincente”.

La Direzione Commerciale è suddivisa in due divisioni: una si occupa della PubblicaAmministrazione (il Ministero della Difesa, la Protezione Civile, le carceri, ecc.) e lavo-ra secondo una logica di progetto, con soluzioni altamente customizzate sulle esigenzespecifiche del Committente.

L’altra divisione commerciale si occupa invece dell’offerta business to business al mondosanitario e lavora con soluzioni più standardizzate, “anche se nella sanità lo standard nonesiste”, che vengono proposte al cliente e poi eventualmente in un secondo momentoadattate alle sue specifiche esigenze.

La Direzione Operations si occupa di tutto ciò che riguarda la consegna dei progetti: ildisegno operativo, l’installazione e il collaudo.

C’è poi il Centro Servizi, preposto all’erogazione del servizio, sempre attivo 24 ore su 24.Dal punto di vista gestionale è una “macchina un po’ a parte”, con la necessità di un fortepresidio organizzativo sulla formazione e l’aggiornamento delle persone che apparten-gono al Centro e sulla componente tecnologica.

Vi è una Funzione Ricerca e Sviluppo e Strategia, i cui compiti principali sono l’ascoltodelle esigenze del mercato sanitario, in collaborazione con la Direzione Sanitaria, e lacapacità di captare su altri mercati come è possibile rispondere a determinate esigenzenel mondo clinico. In questo momento la Ricerca e Sviluppo non è dedicata allo svilup-

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po del prodotto, ma alla ricerca sul mercato dei prodotti più adeguati alle esigenze azien-dali.

Vi è una parte a cavallo tra la Ricerca e Sviluppo e le Operation che si occupa di proget-ti finanziati, a partire dalla ricerca dei bandi di gara fino alla proposta di progetti, che poiservono anche per costruire l’offerta e sviluppare soluzioni per TELBIOS.

Da ultimo vi è la Direzione Amministrazione e Risorse Umane, che si occupa di tutto ciòche riguarda l’amministrazione, il controllo di gestione, la finanza, il legale e la gestio-ne del personale da tutti i punti di vista.

Il tema della formazione è strategico per una realtà come TELBIOS: la necessità di com-petere su un mercato difficile, in continuo cambiamento, richiede competenze altamentespecializzate in una vasta gamma di aree, da quelle di gestione progetto, a quelle rela-zionali. Il processo formativo, dalla pianificazione alla valutazione, è stato proceduraliz-zato grazie alla certificazione ISO 9001, che TELBIOS ha ottenuto nel 2003.Il funzionamento del Centro Servizi, in particolare, si basa sulla professionalità deglioperatori e richiede un continuo aggiornamento delle loro competenze.

“Sicuramente il Centro Servizi per noi è molto delicato perché non si tratta di sempli-ci operatori. Per i soggetti con cui interagiscono e per le informazioni e i dati che trat-tano, hanno la necessità di percorsi formativi molto particolari. Quindi il CentroServizi ha un’attenzione agli aspetti gestionali e formativi molto differente da un nor-male call center”.

Un forte presidio formativo si trova anche per le risorse che riguardano il delivery, quin-di la parte operation parallela al centro servizi. Il modello organizzativo prescelto si basasull’outsourcing per le installazioni e invece su una parte interna altamente specializza-ta, grazie a percorsi formativi specifici, nella gestione dei progetti.

È prevista poi una formazione specifica per le prime linee, o comunque per le personeche devono gestire i progetti di carattere sanitario. Si tratta di un percorso di formazionecontinua su aspetti di carattere medico-clinico, che prevede una forte interazione sia conla Direzione Sanitaria, sia con altri soggetti del mondo clinico che spiegano gli approccicorretti al cliente o gli aspetti tecnologici. Per questo target, composto da personale com-merciale e personale tecnico, viene privilegiata la formazione sul campo.

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Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

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Parte Seconda - Caso di studio TELBIOS

Per quanto concerne la valutazione delle performance, TELBIOS utilizza uno strumentodi performance appraisal che ha molteplici scopi, di cui uno è l’erogazione di una incen-tivazione variabile che tendenzialmente viene data, per quanto in percentuali diverse, atutti i dipendenti, anche ai ruoli di staff, per far comprendere il significato del coinvolgi-mento delle persone nella gestione aziendale. Il secondo scopo è anche quello di com-prendere quali siano le carenze e i punti di forza dal punto di vista comportamentale eorganizzativo per sviluppare insieme alle persone coinvolte percorsi formativi, interni oesterni, che possano far crescere professionalmente la persona.

“Il Performance Appraisal è un elemento importante di confronto della persona con sestessa, con il proprio responsabile e con il responsabile delle risorse umane per vederequali possono essere i punti critici da sviluppare nel corso dell’anno”.

Ad esso si affianca una analisi parallela svolta dal responsabile della risorsa sulle esi-genze contingenti o strutturali dell’azienda, come ad esempio il project management perle persone delle Operation e i corsi di ascolto dei soggetti fragili per gli operatori delCentro Servizi.

Lo stile di gestione delle risorse che prevale in azienda è diretto, non burocratico, “conuna quarantina di dipendenti l’esigenza arriva abbastanza in fretta a chi deve arrivare”.

La vita dell’azienda è caratterizzata da bassissimi tassi di turnover del personale. Sia ilmanagement, sia il resto del personale è in TELBIOS “da sempre”.

“Quasi tutte le persone sono ancora qui da quando sono entrate. È praticamente impos-sibile trovare operatori di un call center con una così alta fedeltà aziendale, ancor di piùnel settore socio-assistenziale. Le condizioni economiche che offriamo sono leggermen-te migliori rispetto ad altre realtà, ma d’altro canto un turnover così basso è estrema-mente vantaggioso per un’azienda come la nostra che investe molto dal punto di vistaeconomico nella formazione dei propri operatori”.

Il piano di sviluppo di TELBIOS prevede un significativo incremento delle risorseumane. Uno degli aspetti delle prospettive di crescita dell’azienda è legata alla presa incarico del paziente cronico, che rappresenta una significativa e promettente evoluzionedel mercato. La maggioranza degli attuali sistemi sanitari hanno compreso che uno deipunti critici del sistema è la gestione del paziente cronico, perché è il più costoso e il più

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difficile da gestire in virtù della costanza della sua condizione. D’altro canto vi sono evi-denze che una corretta gestione del paziente cronico può portare a significativi risparmidal punto di vista economico e a miglioramenti dal punto di vista della vita della perso-na. La gestione della cronicità si concretizza nel seguire dei percorsi che in gergo ven-gono chiamati PDTA (percorsi diagnostici, terapeutici, assistenziali), nella compliancefarmacologica, nella formazione ed educazione del paziente, nel telemonitoraggio checonsente di monitorare con costanza determinati parametri vitali. Il mondo della sanitàin Lombardia ha iniziato a muoversi secondo questa nuova prospettiva di assistenza aipazienti cronici tanto che ha creato il CReG, ovvero un rimborso da parte del sistemadella spesa legata alla cronicità.

Nei piani di sviluppo di TELBIOS la gestione della cronicità avrà un ruolo importante ecomporterà degli incrementi di risorse sia per quanto riguarda le persone (operatori,medici, infermieri), sia per quanto riguarda risorse di carattere amministrativo per la veri-fica del rispetto di parametri di performance nell’erogazione della prestazione e di rispar-mio. Tale piano prevede anche investimenti significativi in tecnologia, sia per apparati,device, piattaforme di telemonitoraggio, sia per l’infrastruttura in senso lato, ovvero lacapacità di poter rispondere non più a qualche centinaio di utenti come oggi, ma amigliaia di utenti.

Per traghettare l’azienda verso queste prospettive di crescita, che la porteranno verosi-milmente a diventare un primario attore del mercato sanitario, si immagina una gover-nance stabile con la porta sempre aperta all’ingresso di nuovi soci che credono nell’evo-luzione di questo business.

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Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

CASO DI STUDIO VIVISOL*

L’azienda

Anche se relativamente “giovane” (l’azienda è nata nel 1980), VIVISOL affonda le sueradici nel 1927 quando, grazie all’intuizione di alcuni imprenditori monzesi tra cui lefamiglie Annoni e Fumagalli (attuali azionisti di maggioranza del gruppo), nasce SOL,azienda chimica specializzata nella produzione e fornitura di gas tecnici a uso industriale.

Il business di SOL in quegli anni consisteva nella produzione e commercializzazione diossigeno e acetilene per taglio e saldatura ai cantieri navali di Livorno ed Ancona.Tuttavia, lo scoppio del secondo conflitto mondiale rischiò di compromettere dopo pochianni il futuro dell’azienda. Gli impianti furono interamente distrutti e la ricostruzione,come si evince dal sito Web del gruppo SOL, si rivelò “pesante e difficile”.

Alla fine del conflitto, tuttavia, il bisogno di far ripartire l’industria e l’esigenza di rico-struzione del Paese presentarono opportunità per il business dell’azienda: il fabbisogno diossigeno da parte dell’industria metalmeccanica crebbe progressivamente e, anticipandotale bisogno, le famiglie Annoni e Fumagalli, giunte nel frattempo alla seconda generazio-ne di imprenditori, investirono nella realizzazione di nuovi impianti, di dimensioni sempremaggiori, finalizzati a rifornire di ossigeno le Acciaierie di Piombino, collegate agliimpianti tramite gasdotto. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta: l’Italia attraversava il perio-do del boom economico e anche SOL si trovò a vivere un periodo di progressiva crescita.

Lo sviluppo del business di quegli anni segnò le sue tappe principali nella costruzione didue nuovi stabilimenti (a Pisa, nel 1964, per Saint Gobain e a Cuneo, nel 1972, perVernante Pennitalia) e fu accompagnato anche dall’innovazione tecnologica, finalizzataa migliorare i processi produttivi e a garantire la competitività dell’azienda nel tempo.

Così, quando l’utilizzo di gas tecnici in forma esclusivamente gassosa cominciò a diven-tare obsoleto ed economicamente poco sostenibile (soprattutto per grandi consumi, anchea causa del limitato raggio di distribuzione del prodotto), nacquero i primi impianti perl’utilizzo dell’ossigeno, azoto e argon anche in forma liquida criogenica (a bassissima

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* a cura di Antonio Nastri

temperatura), che potevano essere distribuiti economicamente a clienti distanti fino aoltre 400 chilometri dal sito di produzione.

Nuovi impianti furono realizzati a Piombino e a Cuneo e, nel 1980, anche a Salerno. Inquesto modo, SOL consolidava la sua presenza anche nel Sud del Paese. Si trattava, tut-tavia, ancora di un mercato nazionale. Il processo di internazionalizzazione cominciò conl’approssimarsi dell’unificazione europea e vide l’azienda particolarmente attiva neldecennio 1987-1997, con l’apertura di nuovi impianti nei paesi di area UE (Olanda,Belgio, Germania, Francia).

Gli anni Ottanta, inoltre, prospettarono per SOL nuove opportunità grazie anche alla pos-sibilità di sviluppo delle competenze legate alla distribuzione di gas destinati agli ospe-dali, e all’avvio del servizio di ossigenoterapia a domicilio destinato ai malati affetti daInsufficienza Respiratoria Cronica:

“L’ossigenoterapia era già nota da diversi anni come pratica sanitaria – riferisce GuidoMatucci, Direttore Centrale VIVISOL Europa – Negli anni ottanta era, tuttavia, una pra-tica utilizzata prevalentemente in ambito ospedaliero. Negli ultimi anni, però, era emer-so un nuovo concetto di ossigenoterapia. Si scoprirono i grandi benefici delle terapie dilungo periodo e l’opportunità di svolgere tali terapie a casa propria. Questo nuovo concetto rivoluzionava, da un lato, l’approccio terapeutico, che non si basava più sullasomministrazione di ossigeno per poche ore al giorno, ma prevedeva bassi dosaggi per 16-18 ore al giorno e, dall’altro lato, modificava radicalmente il setting della terapia”.

L’ossigenoterapia domiciliare, nei primi anni, prevedeva la distribuzione delle bomboledi ossigeno da parte delle farmacie. I familiari dei pazienti, presentando la richiesta delmedico di medicina generale in farmacia, provvedevano al ritiro e al trasporto a casa dellabombola e alla successiva restituzione/sostituzione del vuoto:

“Era un sistema decisamente scomodo per le famiglie. Le bombole erano pesanti eingombranti. C’era la possibilità per noi di cominciare ad occuparci anche di ossigeno-terapia, modificando il processo di distribuzione, consegnando direttamente le bombolea casa dei pazienti e provvedendo poi al successivo ritiro. Si trattava di una modalitànuova per l’Italia, ma che invece era già presente in altre realtà estere”.

L’ingresso del gruppo SOL in questo nuovo ambito di attività, però, necessitava di esse-

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Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

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Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

re programmato e preparato nel tempo. Infatti, se da un lato il gruppo poteva fare affida-mento su una base solida di competenze tecniche sviluppate in circa 50 anni di esperien-za nella produzione di gas tecnici, dall’altro lato era necessario sviluppare competenzespecifiche e competenze di processo legate alle attività di homecare.

“Avevamo le competenze, le tecnologie e le capacità e abbiamo deciso di entrare in que-sto settore. Per questa ragione, mi trasferii per un breve periodo negli Stati Uniti, perosservare da vicino un’azienda che già operava in questo settore. Nel corso di quelperiodo ho avuto la possibilità di studiare produzione, manutenzione delle apparecchia-ture, il servizio di ossigenoterapia domiciliare destinato a malati cronici affetto daBPCO, Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva. Al termine di quel periodo sono rientra-to in Italia con un accordo di partnership che prevedeva l’utilizzo esclusivo in Italia delleapparecchiature di quell’azienda da parte nostra. Poteva così partire l’avventura diVIVISOL”.

L’azienda nacque nel 1980. Le prime commesse riguardarono la fornitura di ossigeno aipazienti in assistenza domiciliare della provincia di Grosseto. Gli anni iniziali, tuttavia,non si rivelarono facili e numerosi furono gli ostacoli e le resistenze che l’azienda dovet-te affrontare a causa soprattutto dell’incertezza normativa che regolava i servizi di forni-tura di ossigeno a scopo terapeutico al domicilio dei malati:

“Nei primi anni di attività ho ricevuto qualche avviso di garanzia in cui, quando opera-vamo in nome e per conto delle USL, ci veniva contestata l’accusa di esercizio abusivodella professione di farmacista. Tutto si è sempre risolto per il meglio, ma la questionechiave in quegli anni era chiarire se la fornitura di ossigeno terapeutico per le cure domi-ciliari dovesse essere considerata una prerogativa esclusiva delle farmacie o se aziendecome la nostra e come altre che stavano nascendo in quel periodo potessero operare inquel settore”.

Nonostante tali difficoltà iniziali, le attività di VIVISOL sono progressivamente cresciu-te negli anni e oggi l’azienda serve oltre 60.000 pazienti in Italia (150.000 in Europa) eregistra un fatturato in costante crescita che, nel 2010, ha raggiunto i 200 milioni di Euro:

“All’inizio della nostra storia rappresentavamo una componente marginale del businessdi tutto il Gruppo SOL. Oggi realizziamo una percentuale decisamente rilevante all’in-terno del fatturato di tutto il Gruppo”.

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L’organico attuale dell’azienda è di oltre 400 persone (dato relativo all’Italia) suddivisein operai, tecnici, commerciali, infermieri e biologi. VIVISOL si propone come uno deiprincipali operatori europei nel campo dell’assistenza domiciliare, integrando all’ossige-noterapia anche altre attività di homecare, ad esempio la ventilazione meccanica, la dia-gnostica e cura della sindrome delle apnee del sonno (OSAS), la nutrizione artificiale, latelemedicina:

“In Italia abbiamo 6-7 concorrenti principali. La posizione di VIVISOL nel rank Italiaoscilla tra il primo e il secondo posto in termini di fatturato/quota di mercato. Le posi-zioni sono soggette a fluttuazioni anche perché si tratta di un ambito di attività non anco-ra maturo e il potenziale di sviluppo è ancora elevato. Comunque, al di là dei risultati dibusiness, la nostra strategia si basa soprattutto sulla qualità del rapporto con i pazientiche cerchiamo di instaurare. Direi che è proprio la cura dei rapporti l’elemento princi-pale che ci garantisce un vantaggio nei confronti dei competitor”.

L’azienda ha la sua sede centrale a Monza, cui afferiscono 40 centri operativi distribuititra Italia, Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Grecia, Gran Bretagna e Austria. I servizisono forniti attraverso una rete capillare di centri territoriali, costantemente collegati conil centro direzionale e a diretto contatto con i pazienti, gli ospedali, le ASL, e/o gli altrienti di acquisto e le farmacie.

La crescita, nel corso di questi 21 anni, è avvenuta per tappe che hanno scandito il pro-gressivo ampliamento dell’offerta di prodotti e servizi di VIVISOL e l’apertura dell’a-zienda nei confronti dei mercati esteri:

“Tutta la nostra storia può essere suddivisa in quattro fasi principali. C’è stata la faseiniziale, durata fino al 1988, in cui avevamo un unico imperativo: ‘ossigeno, ossige-no e ancora ossigeno’. Eravamo un’azienda monoprodotto che cresceva rapidamente.Poi, è seguito un periodo di parziali difficoltà, legate anche a un decreto del Ministrodella Sanità che imponeva la riduzione (-57%) del prezzo di vendita dell’ossigeno. Hafatto seguito la fase in cui abbiamo cominciato ad ampliare la nostra gamma di ser-vizi e soluzioni per l’homecare, offrendo anche servizi a pazienti che necessitavano diventilatori meccanici e servizi/prodotti/dispositivi per la nutrizione artificiale. Infine,c’è la quarta fase, quella che abbiamo vissuto nel corso degli ultimi anni, che ci havisto crescere sui mercati internazionali, dove oggi realizziamo circa la metà delnostro fatturato”.

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Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

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La Governance

Dal luglio 1998 il Gruppo SOL è quotato alla Borsa Valori di Milano, mediante la collo-cazione sul mercato del 25% del capitale di SOL SPA, pari a 22.700.000 azioni. La col-locazione azionaria ha consentito il finanziamento di ulteriori piani di espansione e cre-scita internazionale del Gruppo.

Le due famiglie fondatrici, Annoni e Fumagalli, sono rimaste proprietarie del pacchettodi maggioranza del Gruppo e hanno dei rappresentanti all’interno del Consiglio diAmministrazione. Alle famiglie spettano i ruoli di Amministratore Delegato, Presidentee Vicepresidente. Vi sono poi componenti del CdA esterni alla famiglia, che rappresen-tano gli interessi dei piccoli azionisti.

La crescita negli anni del gruppo non ha fatto perdere a SOL la connotazione di aziendafamiliare, anche se il management è composto esclusivamente da professionisti esternialle famiglie azioniste:

“Forse, rispetto ad altre aziende familiari, l’assenza di rappresentanti della famiglia nelmanagement rappresenta una sorta di rarità. Da noi la realtà familiare dell’Azienda edel Gruppo è percepibile soprattutto dalla tipologia e dalla frequenza dei contatti con iProprietari. C’è un rapporto molto stretto, basato soprattutto sulla fiducia reciproca, coni membri delle famiglie Annoni e Fumagalli. Il management, però, gode di ampia auto-nomia nell’esercizio delle proprie funzioni e nella gestione del business”.

Con questo sistema di corporate governance, la valutazione degli obiettivi e dei risultatie la definizione del budget rappresentano i principali strumenti regolatori della relazionetra management e azionisti:

“Siamo valutati in base agli obiettivi che riusciamo a raggiungere e ai risultati che otte-niamo. Bisogna, però, evitare il rischio di fraintendimenti: il focus sugli obiettivi per noinon significa tentare di massimizzare a tutti i costi i risultati economici. Forse, comeazienda riusciremmo a ottenere risultati migliori rispetto a quelli attuali – che già sonoottimi – se modificassimo alcuni aspetti caratteristici della nostra gestione. Ma nonvogliamo farlo, perché questo significherebbe perdere di vista la centralità della relazio-ne con i pazienti in favore del ‘business’. Al contrario, ci teniamo che i pazienti conti-nuino ad essere sempre visti come delle persone fragili e bisognose di aiuto, non come

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dei numeri o degli istogrammi. Nell’operare questo tipo di scelta siamo agevolati, da unlato, dal fatto che il mercato è ancora in evoluzione e questo ci consente di continuare apreservare la centralità dei pazienti, pur perseguendo obiettivi di efficienza dei processi.Dall’altro lato, siamo agevolati anche dal fatto che gli azionisti condividono da semprequesta nostra filosofia”.

Non dover ricercare la massima efficienza a tutti i costi non significa però perdere divista l’importanza di una corretta gestione, basata su un’accurata programmazione delleattività, dei costi e degli investimenti da concordare con il Board:

“La parola chiave è ‘budget’. Deve essere accurato e mirato: il management provvede adefinire il budget annuale e a proporlo al Board che lo valuta e lo approva. L’accuratezzadel budget è il metro della nostra capacità di pianificare ed evitare gli sprechi”.

La gestione delle Risorse Umane

In termini di gestione delle Risorse Umane, VIVISOL sta attualmente affrontando unafase di transizione, caratterizzata da un consistente ricambio generazionale. Dopo 21anni di storia dell’azienda, infatti, la generazione dei “pionieri”, ovvero coloro chehanno vissuto l’epopea dell’azienda dalle sue origini (alcuni dei quali erano all’inter-no del gruppo SOL già prima della nascita di VIVISOL), sta progressivamentelasciando il passo a una nuova generazione che ha il compito di raccoglierne e conso-lidarne l’eredità:

“La nostra azienda offre numerosissime opportunità, basta saperle cogliere. Per questomotivo siamo alla costante ricerca di giovani talenti che abbiano voglia di mettersi ingioco, di accettare le sfide che noi e il mondo saremo in grado di proporre loro e di sfrut-tare anche le possibilità offerte dalla mobilità tra le diverse società del Gruppo, cheattualmente è particolarmente intensa. Inoltre, siamo in grado di offrire prospettive dicarriera internazionale”.

Il ricambio generazionale in corso, tuttavia, rappresenta una criticità da gestire, sia acausa del potenziale rischio legato alla perdita del patrimonio di conoscenze e compe-tenze possedute dai senior, sia per il possibile distacco da alcuni dei valori che hanno con-tribuito a costruire l’identità dell’azienda negli anni:

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Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

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“I nostri pionieri sono persone cresciute assieme all’interno dell’azienda. Nel corsodegli anni, hanno avuto formazione a 360°. Al di là del ruolo e della mansione, tuttihanno avuto esperienze di contatto diretto con i pazienti e questo tipo di esperienza, nelnostro ambiente, rappresenta una risorsa preziosa. I nuovi arrivati, invece, hanno unaformazione di tipo più specialistico. Molti di loro non hanno mai visto da vicino il pazien-te, non sono mai stati a casa sua”.

Alla luce di tali considerazioni, risulta evidente come la priorità principale delle politichedi gestione e sviluppo del personale sia quella di sensibilizzare le persone nei confronti deivalori aziendali. Tre di essi, in particolare, appaiono distintivi della cultura di VIVISOL.

Il primo è l’etica del business. “Si tratta di un valore fortemente voluto da parte di tutti ilivelli della gerarchia aziendale, di cui siamo particolarmente orgogliosi”. Tale valore,ribadito anche dal codice etico pubblicato sul sito Web dell’azienda, è identificato conalcuni comportamenti specifici:

“Correttezza e lealtà nei comportamenti, circolazione delle informazioni, disponibilitàall’ascolto, capacità di avvertire che i problemi dei nostri interlocutori sono i nostri pro-blemi, consapevolezza che il processo economico debba continuamente essere coordina-to con un sistema di valori”.

Il secondo valore è la consapevolezza del ruolo che l’azienda occupa all’interno dellafiliera che la vede coinvolta. VIVISOL è un HCSP (Home Care Service Provider), ovve-ro un fornitore di prodotti che opera al servizio del paziente sulla base di decisioni chevengono prese dal medico:

“È un ruolo che richiede umiltà. Dobbiamo pensare al nostro ruolo come a quello di unosherpa che accompagna lo scalatore lungo tutta l’arrampicata. Lo sherpa fa lo stesso per-corso dello scalatore. Sopporta uno sforzo maggiore perché porta in spalla viveri e attrez-zature ma, alla fine, quando è il momento degli onori, si fa da parte per lasciare spazio alloscalatore. Noi dobbiamo interpretare il nostro ruolo come se fossimo gli sherpa della sani-tà: il medico prescrive e noi portiamo i materiali a casa del paziente. Ecco perché, ad uncerto punto della nostra storia, abbiamo definito noi stessi come “gli Sherpa della Salute”.

Il terzo valore è la centralità del paziente, ribadita anche dal motto “Migliorare la quali-tà della vita” alla base della mission aziendale:

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“Considerare il paziente al centro di tutto significa principalmente curarne la rela-zione. Noi lavoriamo per lui. Alcuni nostri commerciali, ed io stesso, ricordanoancora i nomi dei pazienti incontrati anni fa. Magari anche con commozione, se cihanno lasciato. Ci sarebbero tante storie da raccontare, come quella del commer-ciale che portava in giro in auto il paziente per farlo distrarre un po’, in modo chenon fosse sempre chiuso dentro casa, ma anche per fargli continuare la terapia fuoridalle mura anguste di casa sua. Per mantenere il paziente al centro bisogna non solocurare la relazione diretta, ma anche sfruttare tutte le occasioni utili per compren-derne meglio i bisogni e le esigenze. Per questo motivo incito spesso i miei collabo-ratori a partecipare alle riunioni organizzate dalle Associazioni di pazienti, perchéconsentono di esplorare bisogni che non sono ancora soddisfatti. Offrono spunti permigliorare la qualità del nostro servizio. Quando posso, cerco di partecipare ancheio e devo dire che spesso sono anche occasioni gratificanti, perché può capitare chei pazienti inizino a discutere tra di loro parlando della qualità del servizio che rice-vono dai loro fornitori e finiamo sempre per apprendere come la pensano loro, e permigliorarci”.

La sensibilizzazione dei giovani nei confronti di tali valori richiede non solo l’impegnocostante da parte della Direzione del Personale, ma anche il coinvolgimento diretto ditutto il top management. I continui messaggi di sensibilizzazione, uniti all’esempio for-nito con il comportamento quotidiano, rappresentano la soluzione più efficace perché ilprincipio venga fatto proprio dalle persone. Per questo motivo, ogni occasione (convegni,riunioni, convention aziendali) può essere utile per riaffermare l’importanza della cen-tralità del Paziente o dell’ASL. Nel ribadire questo concetto, l’intervistato mostra undocumento. Si tratta del lucido conclusivo di una presentazione svolta recentemente inoccasione di un corso di formazione:

“Ti auguro di affezionarti ad un particolare paziente e di ricordarne a lungo il nome.Ti auguro di provare una stretta al cuore tutte le volte che lo incontri, ti auguro di sen-tirti impacciato tutte le volte che gli parli. Ti auguro di stare male, quando vedi la tri-stezza e l’amore nello sguardo di suo figlio, di sua moglie, dei suoi amici.Ti auguro di sentirti cretino, di non riuscire a trovare le parole.Ti auguro di tornare a casa e sentirti dentro l’impressione di avere rubato qualcosa.E di sentire che il calore di casa tua ti produce tristezza. Di non sentirti contento quan-do pensi a quanto sei fortunato...VIVISOL è forte perché forte sei tu”.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

L’internazionalizzazione

Il percorso di internazionalizzazione intrapreso da VIVISOL non può essere consideratoin maniera disgiunta da quello effettuato dal Gruppo SOL, poiché sono state proprio lestrategie di internazionalizzazione di quest’ultimo che hanno favorito l’approccio ai mer-cati internazionali da parte di VIVISOL.

Come già accennato, l’internazionalizzazione del Gruppo è cominciata negli anni Ottantae si è sviluppata contestualmente al percorso di unificazione dei mercati europei. La stra-tegia di internazionalizzazione, nella sua prima fase, ha concentrato le attenzioni soprat-tutto sull’Europa centrale e centro-orientale. SOL ha individuato nel territorio compresotra il Nord della Francia, il Benelux e la Ruhr, una delle aree più interessanti per la sua espansione.

In soli dieci anni (dal 1987 al 1997) il Gruppo ha realizzato sette nuovi stabilimenti diseconda trasformazione a Tilburg in Olanda nel 1987, a Lessines in Belgio nel 1992, aGersthofen in Germania nel 1994, a Melun e Vitrolles in Francia nel 1995, a Krefeld inGermania e a Cergy-Pontoise in Francia nel 1997.

Nel 1998 SOL ha avviato un nuovo impianto di frazionamento dell’aria, a Feluy inBelgio, che fin dalla sua entrata in produzione è stato in grado di produrre con buonacontinuità e a costi contenuti.

A Gennaio 2000, ancora, è stato avviato un impianto di seconda trasformazione aWiener-Neustadt (Vienna) in Austria, finalizzato a coprire le necessità del mercato inbombole dell’Austria, della Slovacchia (tramite apertura di nuovi punti vendita) e dellaRepubblica Ceca.

Strettamente collegate alle attività di VIVISOL, inoltre, sono da segnalare le acquisizio-ni della Ability Team GmbH di Mauern (Baviera), nel 1999, e della France OxygèneS.a.r.l. di Annoeullin, nel 2000, società operanti nel settore dell’assistenza domiciliare.

Se la prima fase del processo di internazionalizzazione del Gruppo ha avuto come terri-torio di riferimento soprattutto l’Europa Centrale e Occidentale, gli eventi storici succes-sivi al crollo del muro di Berlino hanno proposto a SOL opportunità di crescita anche neinuovi mercati dell’Europa dell’Est, come quelli dell’ex Yugoslavia:

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• nel 1992, infatti, SOL ha costituito una joint-venture con il cantiere navale croatoUljanik di Pola per la produzione di ossigeno e successivamente ha realizzato unimpianto per la produzione di acetilene;

• nel 1993 in Slovenia è stata costituita una joint-venture con la Acciaieria di Jeseniceed è stato realizzato un nuovo impianto di liquefazione di gas da frazionamento del-l’aria;

• nel 1995 SOL, nell’ambito della procedura di privatizzazione dell’industria dei gastecnici della Macedonia, ha acquisito la partecipazione di maggioranza della socie-tà Tehnogas di Skopje;

• nel 1999 SOL ha concluso con la società petrolifera croata INA una joint-venturedenominata SOL-INA, rilevando lo stabilimento di SISAK e diventando il secon-do operatore del settore in Croazia;

• infine, nel 2000 è iniziata l’espansione del gruppo in Grecia con l’acquisizioneprima della HGT S.A. di Salonicco e poi della Zeus S.A. di Atene.

Le diverse tappe che hanno segnato il percorso di crescita internazionale di SOL eviden-ziano un approccio integrato all’internazionalizzazione, ovvero un approccio in grado dicombinare assieme modalità differenti di ingresso e penetrazione nei nuovi mercati:

• l’ingresso “diretto”, mediante l’apertura di nuove sedi operative, siti produttivi orappresentanze commerciali;

• le acquisizioni, finalizzate a “portare in casa” competenze, know-how e portafogliclienti di altre aziende;

• la ricerca di business partner con cui stipulare joint-venture e accordi di collabora-zione.

Si tratta di un approccio che richiede un elevato livello di complessità da gestire e cheappare frequente soprattutto nei gruppi industriali di maggiori dimensioni:

“Il nostro percorso di internazionalizzazione ha condotto a risultati importanti. Bastaricordare che oggi la metà del fatturato di VIVISOL proviene dai mercati esteri.Bisogna però precisare che per noi il percorso di internazionalizzazione non ha rap-presentato solo una strategia di crescita, ma è stato anche una straordinaria opportu-nità di crescita culturale. Grazie al confronto con le realtà estere abbiamo acquisitouna maggiore flessibilità mentale rispetto al passato. L’internazionalizzazione ci haportato ad allargare le conoscenze, i punti di vista, le modalità di lavoro, a confron-

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

tarci con modi di pensare e di operare diversi dal nostro. E possiamo dire che la nostraitalianità non ci è mai stata di ostacolo”.

L’innovazione

Il contesto di business in cui VIVISOL opera è stato caratterizzato nel corso degli ultimianni da numerose innovazioni tecnologiche. Al contempo, l’impegno dell’azienda a porreil paziente al centro impone la ricerca costante delle tecnologie più avanzate per riuscirea portare a casa dei pazienti soluzioni sempre migliori, sempre più sicure e in grado dimigliorarne la qualità della vita.

Proprio nel campo dell’ossigenoterapia, le innovazioni introdotte da VIVISOL in Italiahanno rappresentato una svolta radicale nella somministrazione delle cure:

“Le bombole di ossigeno, all’inizio, erano grandi, ingombranti e costringevano ilpaziente a stare immobilizzato a letto per tutta la durata – anche 18 ore – della som-ministrazione. Una soluzione alternativa era rappresentata dai concentratori: appa-recchiature che non immagazzinavano l’ossigeno, ma lo filtravano dall’aria. Anchequesti macchinari, tuttavia, imponevano al paziente di restare in casa, se non addirit-tura a letto. Per questo motivo, quando abbiamo deciso di creare VIVISOL e di entra-re nel settore delle cure a casa, avevamo intravisto la possibilità di utilizzo di unanuova tecnologia, già impiegata negli Stati Uniti. Tale tecnologia si basava sull’utiliz-zo dell’ossigeno liquido, che veniva immagazzinato in speciali contenitori. Il vantag-gio offerto dall’ossigeno liquido era nel minore peso e volume di ingombro. Si poteva-no perciò utilizzare bombole di dimensioni minori, che era possibile portare a tracol-la e che consentivano al paziente di muoversi anche al di fuori del proprio domicilio,conducendo così una vita quasi normale”.

VIVISOL è stata tra le prime aziende a introdurre in Europa questo tipo di tecnologiaper l’ossigenoterapia, contribuendo in maniera significativa alla ridefinizione del con-cetto di gestione delle cure domiciliari. Dall’homecare tradizionale, che obbligava ifamiliari del paziente a prestargli assistenza continua, infatti, si è passati progressiva-mente a un homecare moderno, basato sulla fornitura a casa del paziente di tutti glistrumenti necessari per garantirgli lo stesso tipo di terapie che potrebbe ricevere inospedale.

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Parallelamente, anche l’innovazione di processo ha rappresentato una preziosa leva perlo sviluppo di VIVISOL. Se, infatti, l’ingresso nel campo dell’ossigenoterapia è dipesosoprattutto dalle competenze tecniche sviluppate da SOL nella produzione di gas tecniciper l’uso medicale, VIVISOL ha sviluppato negli anni competenze sempre più specifi-che anche nella gestione dei servizi di cure domiciliari. Questo ha consentito di affian-care all’ossigeno la fornitura anche di altri servizi di homecare.

Il primo nuovo servizio introdotto è stato la fornitura di dispositivi per la ventilazionemeccanica, ovvero dispositivi in grado di aiutare il paziente nella respirazione oppure,addirittura, a sostituire la funzione meccanica dei polmoni, nei casi in cui il sistema respi-ratorio non fosse in grado di funzionare in maniera autonoma. Successivamente, sonostate introdotte le soluzioni per la nutrizione artificiale enterale e parenterale.

Lo sviluppo di questi nuovi servizi ha consentito a VIVISOL di proporsi come interlo-cutore sempre più qualificato per la gestione integrata di una pluralità di servizi di homecare, che prevedono anche il noleggio di presìdi e ausili sanitari:

“Spesso le ASL fanno fatica a gestire la consegna e il ritiro di dispositivi e presìdi sani-tari. Si tratta, inoltre, di materiali che dopo l’utilizzo e la riconsegna necessitano sempredi sanificazione ed, eventualmente, di ricollaudo prima di essere affidati a un nuovopaziente e che, inoltre, comportano problemi di gestione del magazzino/deposito. Perquesto motivo, molte ASL indicono periodicamente gare d’appalto dedicate per i variservizi, alle quali possiamo partecipare in virtù della nostra ormai consolidata espe-rienza nell’homecare”.

L’evoluzione vissuta da VIVISOL nel corso degli anni, pertanto, evidenzia un progressi-vo spostamento delle core competencies dell’azienda, che da competenze puramente tec-nologiche e di prodotto (tradizionalmente meno difendibili nel tempo e più semplici dareplicare da parte della concorrenza) si sono trasformate in competenze di processo (più“uniche” e distintive dell’azienda). In virtù di questa evoluzione, la fornitura di ossigenoa scopi terapeutici è diventata solo una parte – seppur la più importante – di un processodi business che fa della differenziazione delle forniture uno dei suoi punti di forza.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Parte Seconda - Caso di studio VIVISOL

“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Allegato

Allegato

Check list per interviste in azienda

PARTE PRIMA: intervistato e azienda

1) Breve ricostruzione della “vicenda professionale” dell’intervistato/a, anche per inqua-drare al meglio la prospettiva da cui ci racconta i fatti.

2) L'azienda (storia, business, mercati/prodotti/servizi/clienti, struttura, cultura/stile,dipendenti, fatturato, export, ecc.).

PARTE SECONDA: le aree di indagine specifiche

3) La governance

• ricostruzione del sistema di governo dell’impresa (quotazione in borsa, proprietà,famiglia, presenza management esterno e sua provenienza) e dei suoi punti di forzae di debolezza;

• diffusione del fenomeno di una governance aperta e sua presenza in correlazionead alcuni indicatori, quali fatturato, tipologia di mercati, posizionamento sulla filie-ra;

• sua funzionalità in termini di rappresentanza e attività specifiche correlate;• qualità e intensità delle relazioni che generano una governance aperta e suoi impat-

ti sulla crescita dell’impresa.

4) La gestione delle Risorse Umane

• ricostruzione dei principi di fondo, delle politiche di gestione delle persone nonchédegli attori coinvolti (direzione RU, capi di linea, ecc.)

• verifica del modello descritto ipotizzato di gestione delle risorse umane (rapportodiretto e personale, relazione immediata con la proprietà/famiglia, gestione perso-nalizzata delle risorse; tendenza alla fidelizzazione tramite piattaforma di scambio“ricca”; orientamento alla responsabilizzazione delle persone a tutti i livelli);

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• ruolo della famiglia come depuratore delle aspettative di “potere” gestionale daparte dei dipendenti, in quanto ne esclude nella sostanza ogni accesso nel tempo eveicola tutti gli sforzi e tutte le attività su una dimensione esclusivamente tecnica.

• i processi di crescita dimensionale alterano questo equilibrio “magico”? • la progressiva multiculturalità degli organici farà emergere altri tratti rispetto a un

contesto sociale/territoriale di riferimento che attenua differenze di cultura e pro-venienza?

5) L’internazionalizzazione

• ricostruzione del processo in generale: quali mercati? Da quando? Quale peso rela-tivo rispetto al mercato domestico? Con quali forme (concessionari, agenti, sedicommerciali, siti produttivi, ecc.)?

• analisi delle fonti di vantaggio competitivo nell’arena internazionale (posiziona-mento lungo la catena del valore)

• quale set di competenze manageriali occorre per governare l’evoluzione del pro-cesso di internazionalizzazione?

6) L’innovazione

• verifica di dove si situa l’innovazione (processo o prodotto?) e di quali sono gliattori decisivi interni ed esterni all’impresa

• i processi di innovazione sono incrementali o “a salto”?• chi la alimenta e come? Come la si diffonde?• dove si collocano queste aziende nel continuum “close-open innovation”? Verificare

l’ipotesi del modello “socchiuso”.

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“La Media Impresa e la crescita: chiavi di lettura e opzioni di management”

Allegato