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LA GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI Anna Maria Passaseo

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LA GESTIONE NONVIOLENTA DEI CONFLITTI

Anna Maria Passaseo

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PROVIAMO AD ANALIZZARE UN CONFLITTO

? Si sta organizzando una manifestazione per sensibilizzare la cittadinanza al problema delle popolazioni colpite dallo Tsunami.

? Ad una riunione organizzativa non ci si riesce ad accordare sulle modalità di raccolta fondi. Alla fine prevale la decisione della coordinatrice del gruppo, che assegna a ciascuno un ruolo.

? Sandra, che nella sua esperienza di volontaria ha già partecipato a situazioni del genere, sa che nella riunione non sono stati affrontati degli aspetti importanti e che di conseguenza non sono stati assegnati dei compiti. Chi farà questo lavoro?

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? Durante la manifestazione, come prevedeva sandra, c’è bisogno di svolgere alcune cose che, in maniera autoriataria, la coordinatrice distribuisce a chi le capita intorno.

? Sandra, per evitare che volontari inesperti si confondano, svolge autonomamente la maggior parte del lavoro, con la conseguenza che alcuni compiti vengono eseguiti due volte, altri vengono eseguiti superficialmente, altri vengono tralasciati per mancanza di tempo.

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? Alla fine della serata la raccolta fondi èriuscita, la coordinatrice è contenta, ma tra il gruppo di volontari aleggia malcontento e senso di disagio a stare insieme.

? E’ evidente che c’è stato un problema di comunicazione nella fase organizzativa e altri nello svolgimento dell’attività.

? Proviamo ad analizzare cosa non ha funzionato e ad individuare modalità corrette di gestione della comunicazione e del conflitto nel gruppo.

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1. RI/CONOSCERE IL CONFLITTO PER GESTIRLO

? Per gestire un conflitto devo per prima cosa riconoscerlo, cioè devo saperlo cogliere in modo rapido e chiaro. Poi devo conoscerlo, nel senso che solo attraverso la buona comprensione delle sue cause posso agire in modo efficace.

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2. IL CONFLITTO È UNO STATO DELLA RELAZIONE

? Il conflitto è sempre legato ad una determinata relazione ed essendo la relazione qualcosa di dinamico, in continua trasformazione, un conflitto nel tempo può aumentare o diminuire d'intensità, risolversi in modo definitivo, oppure temporaneo.

? Ai nostri fini è importante distinguere due dimensioni della relazione: una interiore, con se stessi, che possiamo chiamare 'PERSONALE’, e una esteriore, con gli altri, che chiamiamo 'SOCIALE'.

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3. DISTINGUERE I PROBLEMI DAI CONFLITTI

Generalmente per conflitto s'intende “una incompatibilità (o scontro, divergenza, opposizione, ecc.) tra scopi (o interessi, valori, opinioni, bisogni, ecc.) perseguiti da attori diversi (persone, gruppi, Stati, ecc.)”. Ciò è ben espresso anche dall'etimologia della parola "conflitto": cum fligere, cioè battere contro.

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4. PROBLEMA? Per problema intendiamo tutto quello che all'interno di

una relazione o di una situazione percepiamo come scontro, incompatibilità, divergenza, contrasto, opposizione, ecc, che può essere legato a qualsiasi cosa, cioè a diversità di interessi, bisogni, opinioni, valori, ecc, senza che a tutto ciò si associ sul piano esperienziale una qualche forma di disagio.

? È evidente che i problemi sono qualcosa che affrontiamo in continuazione: piccoli o grandi che siano costituiscono la materia prima del nostro agire, tanto da arrivare a dire che “i problemi sono il sale della vita”. Questo finché ad essi non si associa il disagio, la sofferenza: allora diventano conflitti, e le cose non sono più così attraenti.

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5. DISAGIOPer disagio intendiamo quel vissuto soggettivo, rappresentato da una vasta gamma di sensazioni, sentimenti ed emozioni, che dentro noi percepiamo come più o meno spiacevole, doloroso e fonte di sofferenza. Dunque ci troviamo di fronte non più a un problema, ma a un conflitto, dove è assai più impegnativo trovare una soluzione positiva, costruttiva, vinci/vinci.

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Il conflitto è un aggregato costituito sempre da due

componenti:

il PROBLEMA e il DISAGIO.

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6. IL RAPPORTO TRA DISAGIO E PROBLEMA

Tra disagio e problema c'è una dinamica circolare:

il disagio alimenta i problemi, i problemi alimentano il disagio

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Quando sono di umore cattivo (nervoso, ansioso, depresso) tendo a percepire anche i piccoli

problemi come ostacoli opprimenti.

D'altra parte un problema, che magari si ripete nel tempo e al quale non riesco a dare una buona risposta, può mutare il mio stato di

serenità e abbassare la soglia della mia capacitàdi tolleranza, portandomi a percepire (e gestire)

quel problema in modo alterato.

Più siamo agitati, nervosi, ansiosi, irati, risentiti, stressati, insomma, più c'è disagio in noi, e più i

problemi sono vissuti male, percepiti male e gestiti male. E questo ci porta inevitabilmente, inconsapevolmente, a gestire i problemi per

gestire il disagio.

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Gestire positivamente il disagio èdunque un passaggio chiave che si

fonda su una rivoluzione logica:

gestire (positivamente) il disagio per gestire (positivamente) i

problemi.

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I PASSO: GESTIRE IL DISAGIO

La gestione positiva del disagio è il primo passaggio per la gestione positiva del

conflitto, perché non è possibile affrontare alcun problema quando di mezzo ci sono

forti sentimenti o emozioni, i quali diventano il 'vero problema'.

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COSA VUOL DIRE?

Gestire positivamente il disagio non vuol dire cercare di eliminarlo. Anzi, se lo vogliamo eliminare la situazione

peggiora. Per gestire positivamente il disagio ènecessario prendersene cura dentro noi, affiancando

ad esso qualcosa di positivo che è in noi. Ciò avviene tramite un lavoro di attento riconoscimento e profonda

accettazione del disagio stesso. In pratica si tratta di creare, primariamente attraverso l'esercizio della

consapevolezza, uno spazio interiore di sufficiente calma e fiducia che ci permetta di osservare bene sia le sensazioni

fisiche degli stati emotivi che ci abitano in certi momenti, siai pensieri che vi si associano e che si producono quasi

indipendentemente dalla nostra volontà seguendo schemi fissi e ricorrenti. Così facendo il disagio semplicemente si trasforma e il momento presente si percepisce con occhi

diversi.

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? La gestione del disagio si fonda sulla capacità di accettazione del nostro mondo interiore, del nostro vissuto:

? distinguere la persona dal suo comportamento;

? scindere i problemi dalle persone; ? c'è un 'oggetto' che va sempre e comunque

accettato: la persona, con la sua storia, la sua esperienza, il suo futuro;

? c'è un 'oggetto' che non va sempre accettato: il comportamento.

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II PASSO: Gestire i problemi? Quali sono i miei (tuoi, nostri, ecc) bisogni

in questa faccenda? ? Quali bisogni desidero salvaguardare,

proteggere, soddisfare? ? Queste domande ci permettono di avviare

il processo di trasformazione e risoluzione dei problemi che tecnicamente viene chiamato 'problem solving'.

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IL PROBLEM SOLVINGIl problem solving si svolge generalmente in sei

fasi: 1)ridefinizione del problema in termini di bisogni;2)escogitare idee di soluzione; 3)valutare pro e contro di ogni soluzione;4)scegliere la soluzione che sembra migliore;5)implementare la scelta (cioè stabilire il piano di attuazione: chi fa cosa, quando come, ecc);

6)prevedere i criteri e i tempi per la verifica dei risultati ottenuti.

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ESEMPIO DI TRASFORMAZIONE E RISOLUZIONE DEI CONFLITTI

? Anna e Bruno, soci che gestiscono un'attività di servizi

? di fronte a un problema (come arredarel'ufficio) durante la discussione si arrabbiano e litigano scambiandosi reciproche accuse

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? Anna (che ha alle spalle una formazione alla nonviolenza) durante la pausa pranzo riconosce la situazione conflittuale e comincia a lavorare in modo costruttivo sulla sua rabbia e frustrazione (gestione del disagio). Dopo un po' riesce a calmarsi, a ritrovare fiducia e a percepire sia Bruno sia la situazione sotto un'altra luce.

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? Abbiamo così che una delle parti in conflitto ha gestito efficacemente il proprio disagio e quindi ha ottenuto una trasformazione del conflitto a livello personale (ricordiamoci la distinzione fatta all'inizio tra la dimensione personale e quella sociale del conflitto), per cui rabbia e frustrazione sono state indebolite, o forse sono scomparse, e ora c'èla chiara percezione del problema concreto da risolvere (le scelte inerenti l'arredamento). Dunque Anna ora si sente pronta a incontrare Bruno. Ma Bruno come sta?

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? Bruno, che ha dovuto pure saltare il pranzo per motivi di lavoro, è invece ancora risentito: in lui ci sono irritazione, pensieri negativi sulla situazione e su Anna, e forse anche su di sé. Dunque ci troviamo di fronte a una situazione asimmetrica, come normalmente accade: una delle parti ha trasformato positivamente il disagio a livello personale, mentre l'altra no, per cui a livello sociale il conflitto persiste ed è ancora tutto da gestire.

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? E sappiamo bene che sino a quando anche solo una delle parti in conflitto non avrà efficacemente gestito il suo disagio continuerà a scaricarlo in qualche modo nella relazione con l'altro (e/o col mondo circostante), creando a tal fine pretesti e falsi problemi - falsi, ma non per questo meno dolorosi e pericolosi. A questo punto se Anna vuole affrontare il problema concreto dovràprepararsi a fare inevitabilmente i conti col disagio di Bruno: questo in pratica significa riuscire a riconoscere e accettare quel disagio, cioè accettare Bruno 'come è'. Questa implicazione della gestione positiva dei conflitti èdura da afferrare, ancor più da digerire: oltre a saper gestire bene il mio disagio, cosa già di per séimpegnativa, in qualche misura devo anche saper aiutare l'altro a gestire il suo disagio.

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? Immaginiamo che Anna riesca appunto a mostrare un sincero ascolto nella fase iniziale dell'incontro con Bruno, e magari anche a chiedere scusa per le parole dure dette in precedenza.

? Bruno comincia a distendersi e un po' alla volta riesce pure lui a recuperare quel po' di fiducia che poi lo mette in grado di gestire bene il suo disagio (e in ciò possiamo supporre che sia stato facilitato dall'atteggiamento amichevole manifestato da Anna alla ripresa del dialogo - attenzione, non stiamo parlando di un atteggiamento di controllata e superiore calma, di ostentata gentilezza, cose che generano effetti completamente diversi).Ecco allora che, secondo il nostro approccio, possiamo dire che il conflitto èstato positivamente trasformato anche nella sua dimensione sociale, per cui ora le parti si trovano in una condizione più favorevole per affrontare e risolvere insieme il problema concreto.

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? In questo nuovo stato della relazione (che potremmo chiamare di pace, visto che la pace, come il conflitto, è uno stato della relazione), i nostri eroi possono “tentare” di risolvere insieme il loro problema. A questo punto infatti potrebbero usare con profitto delle tecniche di problemsolving (sapendo però che durante il processo il disagio potrebbe nuovamente alzarsi e richiedere un'altra volta maggiore attenzione rispetto al problema). Il verbo “tentare” rimane perché non tutti i problemi possono essere risolti qui e ora come vorremmo . Anzi, solo un'intelligente e fiduciosa accettazione consente di vivere in pace, più positivi e vitali, in un presente a volte pieno di problemi e difficoltà.