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VITA E OPERE DI DANTE ALIGHIERIVITA E OPERE DI DANTE ALIGHIERIVITA E OPERE DI DANTE ALIGHIERIVITA E OPERE DI DANTE ALIGHIERI

La vita di Dante Alighieri è strettamente legata agli avvenimenti della vita politica fiorentina. Alla sua nascita, Firenze era in procinto di diventare la città più potente dell’Italia centrale. A partire dal 1250, un governo comunale composto da borghesi e artigiani aveva messo fine alla supremazia della nobiltà e due anni più tardi vennero coniati i primi fiorini d’oro che sarebbero diventati i “dollari” dell’Europa mercantile. Il conflitto tra guelfi, fedeli all’autorità temporale dei papi, e ghibellini, difensori del primato politico degli imperatori, divenne sempre più una guerra tra nobili e borghesi simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali. Alla nascita di Dante, dopo la cacciata dei guelfi, la città era ormai da più di cinque anni nelle mani dei ghibellini. Nel 1266, Firenze ritornò nelle mani dei guelfi e i ghibellini vennero espulsi a loro volta. A questo punto, il partito dei guelfi, si divise in due fazioni: bianchi e neri.

Dante Alighieri nacque il 29 maggio 1265 a Firenze da una famiglia della piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vide per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari) della quale si innamorò subito e perdutamente. Quando morì sua madre Gabriella, la «madre bella», Dante aveva circa dieci anni. A 17, nel 1283, quando anche suo padre Alighiero di Bellincione, commerciante, morì a sua volta, Dante divenne il capofamiglia.

Il giovane Alighieri seguì gli insegnamenti filosofici e teologici delle scuole francescana (Santa Croce) e domenicana (Santa Maria Novella). In questo periodo strinse amicizie e iniziò una corrispondenza con i giovani poeti che si facevano chiamare «stilnovisti». Nelle Rime si trova l'insieme dell'opera poetica di Dante, dagli anni della gioventù fiorentina, lungo in corso della sua carriera letteraria, che non risultano inseriti in alcun'altra opera. È nell’ambito di questo insieme che possiamo trovare le tracce del distacco consapevole che è seguito alla prima stesura del Inferno e del Purgatorio, che avrebbe condotto Dante verso false concezioni filosofiche, tentazioni della carne e piaceri volgari.

A 20 anni sposa Gemma Di Manetto Donati, appartenente a un ramo secondario di una grande famiglia nobile, dalla quale avrà quattro figli, Jacopo, Pietro, Giovanni e Antonia.

Due anni dopo la morte di Beatrice, nel 1292, comincia a scrivere la Vita Nuova. Dante si consacra così molto presto completamente alla poesia studiando filosofia e teologia, in particolare Aristotele e San Tommaso.

Nelle Rime petrose (1296 circa), forse dedicate ad una madonne Petra, bella e insensibile, si nota come l'originalità di Dante Alighieri si concreti nella corrispondenza tra materia e rappresentazione. Alla violenza della passione e alla crudeltà dell'amata corrisponde uno stile realistico, pieno di rimandi brutali.

Rimarrà affascinato dalla lotta politica caratteristica di quel periodo e costruirà tutta la sua opera attorno alla figura dell’Imperatore, mito di un’impossibile unità. Nel 1293, tuttavia, in seguito a un decreto che escludeva i nobili dalla vita politica fiorentina, il giovane Dante dovette attenersi alla cura dei suoi interessi intellettuali.

Nel 1295 infine, un'ordinanza decretò che i nobili riottenessero i diritti civici, purché appartenessero a una corporazione. Dante si iscrisse a quella dei medici e dei farmacisti, che era la stessa dei bibliotecari, con la menzione di «poeta». Quando la lotta tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri si fece più aspra, Dante si schierò col partito dei Bianchi che cercavano di difendere l’indipendenza della città opponendosi alle tendenze egemoniche di Bonifacio VIII Caetani, che fu Papa dal dicembre 1294 al 1303.

Nel 1300, Dante venne eletto tra i sei «Priori» — custodi del potere esecutivo, i più alti magistrati del governo che componeva la Signoria — che, per attenuare la faziosità della lotta politica, presero la difficile decisione di fare arrestare i più scalmanati tra i leader dei due schieramenti. Ma nel 1301, proprio mentre a Firenze arrivava Charles de Valois e il partito dei Neri, sostenuto dal papato, prendeva il sopravvento, Dante fu chiamato a Roma alla corte di Bonifacio VIII. Quando iniziarono i processi politici, accusato di corruzione, fu sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. Poiché non si

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abbassò, al pari dei suoi amici, a presentarsi davanti ai giudici, Dante fu condannato alla confisca dei beni e «al boia» se si fosse fatto trovare sul territorio del Comune di Firenze. Fu così costretto a lasciare Firenze con la coscienza di essere stato beffato da Bonifacio VIII, che l’aveva trattenuto a Roma mentre i Neri prendevano il potere a Firenze e che fu sempre suo feroce avversario, guadagnandosi un posto di rilievo nei gironi dell’Inferno della Divina Commedia.

A partire dal 1304, inizia per Dante il lungo esilio, nel corso del quale viene sempre accolto con favore: Verona, Lucca, forse anche Parigi… Dalla morte di Beatrice agli anni dell’esilio, si è dedicato allo studio della filosofia (per lui l’insieme delle scienze profane) e ha composto liriche d’amore dove lo stile della lode così come il ricordo di Beatrice sono assenti. Il centro del discorso non è più Beatrice ma «la donna gentile», descrizione allegorica della filosofia, che traccia l’itinerario interiore di Dante verso la saggezza. Redige il Convivio (1304-1307), il trattato incompiuto composto in lingua volgare che diventa una summa enciclopedica di sapere pratico. Quest’opera, è una sintesi di saggi, destinati a coloro che, a causa della loro formazione o della condizione sociale, non hanno direttamente accesso al sapere. Vagherà per città e Corti secondo le opportunità che gli si offriranno e non cesserà di approfondire la sua cultura attraverso le differenti esperienze che vive.

Nel 1306 intraprende la redazione della Divina Commedia alla quale lavorerà per tutta la vita. Quando inizia «a far parte per se stesso», rinunciando ai tentativi di rientrare con la forza a Firenze con i suoi amici, prende coscienza della propria solitudine e si stacca dalla realtà contemporanea che ritiene dominata da vizio, ingiustizia, corruzione e ineguaglianza. Nel 1308, in latino, compone un trattato sulla lingua e lo stile: il De vulgari eloquentia, nel quale passa in revisione i differenti dialetti della lingua italiana e proclama di non aver trovato «l’odorante pantera dei bestiari» del Medioevo che cercava, ivi compresi il fiorentino e le sue imperfezioni. Pensa di aver captato «l’insaziabile belva in quel volgare che in ogni città esala il suo odore e in nessuna trova la sua tana». Fonda la teoria di una lingua volgare che chiama «illustre», che non può essere uno dei dialetti locali italiani ma una lingua frutto del lavoro di pulizia portato avanti collettivamente dagli scrittori italiani. È il primo manifesto per la creazione di una lingua letteraria nazionale italiana.

Nel 1310, con l’arrivo in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore romano, Dante spera nella restaurazione del potere imperiale, il che gli permetterebbe di rientrare a Firenze, ma Enrico muore. Dante compone allora La Monarchia, scritto in latino, dove dichiara che la monarchia universale è essenziale alla felicità terrestre degli uomini e che il potere imperiale non deve essere sottomesso alla Chiesa. Dibatte anche sui rapporti tra Papato e Impero: al Papa il potere spirituale, all’Imperatore quello temporale. Verso il 1315, gli venne offerto di ritornare a Firenze ma a condizioni che il suo orgoglio ritenne troppo umilianti. Rifiutò con delle parole che rimangono una testimonianza della sua dignità umana: «Non è questa, padre mio, la via del mio ritorno in patria, ma se prima da voi e poi da altri non se ne trovi un'altra che non deroghi all’onore e alla dignità di Dante, l’accetterò a passi non lenti e se per nessuna siffatta s’entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai. Né certo mancherà il pane».

Nel 1319, fu invitato a Ravenna da Guido Novello da Polenta, Signore della città che, due anni più tardi, lo inviò a Venezia come ambasciatore. Rientrando da questa ambasciata, Dante venne colpito da un attacco di malaria e morì a Ravenna a 56 anni nella notte tra il 23 e 24 settembre 1321, dove si trova la sua tomba.

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LA STRUTTURA DELL'OLTRETOMBALA STRUTTURA DELL'OLTRETOMBALA STRUTTURA DELL'OLTRETOMBALA STRUTTURA DELL'OLTRETOMBA

Dante, per realizzare il suo progetto di triplice viaggio nei regni dell'oltretomba, ha bisogno di inserire la narrazione in una precisa ed accreditata concezione dell'intero universo ( cosmologia ). Egli si rifà alla cosmologia tolemaica. Tolomeo è un astronomo ellenistico vissuto nel II secolo dopo Cristo. La sua teoria è detta geocentrica o aristotelico-tolemaica. In base ad essA-La Terra è immobile al centro dell'universo. - Alla base del mondo naturale c'è la presenza di 4 elementi: terra, acqua, aria e fuoco . - L'uomo abita l'emisfero boreale (delle terre emerse ) che va dal Gange allo stretto di Gibilterra. - L'altro emisfero ( australe ), detto delle acque , vede sorgere al centro la montagna del Purgatorio ed è completamente disabitatoTale cosmologia sarà messa in discussione solo da Copernico agli inizi del 1500 e poi da Galilei nel 1600 fino all'affermazione definitiva dell'eliocentrismo. Il sistema solare non è l'unico dei mondi dell'universo. Esistono molti di altri aggregati di corpi celesti e la vita dell'uomo nel cosmo non è l'unica forma di vita possibile. Tale concezione dell'universo si coniugò con una visione cristiana dell'oltretomba accreditata. - Lucifero , capo degli angeli ribelli a Dio, fu precipitato nel punto più lontano dal luogo dove ha sede il Bene supremo ( L'Empireo dove risiede Dio creatore dei cieli ). Lucifero cadde dunque sulla terra , sede del peccato. La Terra inorridita si ritrasse di fronte a lui e così si formò la voragine infernale, proprio nel cuore dell'emisfero delle terre emerse. - Nell'emisfero delle acque sorse , in perfetta corrispondenza della voragine infernale, la montagna del Purgatorio, sede della purificazione dal peccato. Sulla sua sommità è situato il Paradiso terrestre. - Attorno alla Terra immobile c'è l'elemento aria , quindi la sfera di fuoco ed infine i nove cieli ( sfere translucide in cui ruotano con velocità crescente, allontanandosi dalla Terra, i corpi celesti : Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Stelle fisse e primo mobile ). Nella zona più esterna c'è l'Empireo sede dei beati e di Dio.

L’INFERNO:L’INFERNO:L’INFERNO:L’INFERNO:

L'Inferno è il regno delle umane passioni, raffigurate nelle più esasperanti manifestazioni. Ogni peccatore porta con sé il marchio delle passioni alle quali si è abbandonato ed è punito eternamente con una pena che risponde alla legge del contrappasso, una pena opposta alla disposizione peccaminosa a cui ci si è abbandonati .

L'Inferno esiste da sempre e resterà operante eternamente , come regno della giustizia divina.Chi è in esso rinchiuso non può nutrire alcuna speranza di salvezza , in quanto gli sarà preclusa per sempre la luce della Grazia di Dio. La punizione è eterna, incontrovertibile ed essa sarà applicata anche al corpo del dannato dopo il giorno del Giudizio universale , quando ogni uomo riavrà la sua persona per godere in eterno la beatitudine di Dio o per scontare i peccati non redenti. Dante avrà come guida nel mondo del peccato Virgilio , simbolo dell'umana ragione.

L'inferno costituito da nove cerchi che vanno via via restringendosi, alcuni dei quali sono suddivisi in bolge o fosse e in zone. La porta dell'inferno immette nell'antinferno, il luogo dove sono collocati gli ignavi, non ritenuti degni, per la loro sostanziale vigliaccheria o incapacità di prendere posizione, di stare nell'inferno vero e proprio. Quest'ultimo è delimitato dal fiume Acheronte, dove il demonio Caronte ha il compito di traghettare le anime dei morti. Successivamente troviamo il primo cerchio che coincide col Limbo, il luogo dove si trovano i bambini non battezzati, e coloro che, essendo vissuti prima di Cristo, non hanno potuto abbracciare la fede cristiana. Dal secondo cerchio in poi cominciano ad essere puniti i peccatori veri e propri secondo una classificazione generale, elaborata sulla scorta dell'etica di Aristotele, in base al tipo di peccato: - peccati d'incontinenza (quelli puniti dal secondo al quinto cerchio: lussuria, gola, avarizia e prodigalità, ira e accidia); - di violenza (puniti nel settimo cerchio, suddiviso in tre gironi: dei violenti contro il prossimo e le sue cose, dei violenti contro se stessi, dei violenti contro Dio e le sue cose); - di fraudolenza (comprende l'ottavo cerchio, ove sono puniti coloro che hanno usato la frode contro chi non si fida, suddiviso in dieci bolge: quelle dei ruffiani e seduttori, adulatori, simoníaci, indovini, barattierí, ipocrit i, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di

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discordia, falsari; il nono cerchio, ove sono puniti i traditori di coloro che hanno usato la frode contro chi si fida, ed è suddiviso in quattro zone: Caina [traditori dei parenti], Antenora [della patria], Tolomea [degli ospiti], Giudecca [dei benefattori]).

Resta a parte il sesto cerchio, ove sono collocati gli eretici. Sono presenti anche altri due fiumi, lo Stige, che forma una palude tra il quinto e sesto cerchio, sotto le mura della città di Dite, e il Flegetonte, nel primo girone del settimo cerchio, ove sono immersi gli omicidi. Da ricordare anche la palude ghiacciata di Cocito che occupa il nono cerchio. Lucifero, in forma di immenso mostro con tre teste, dalle ali di pipistrello, è collocato al fondo dell'inferno, che coincide col centro della terra. Muove costantemente le ali per mantenere ghiacciata la palude e strazia nelle tre bocche Bruto, Cassio (traditori e uccisori di Cesare) e Giuda (traditore di Cristo).

IL PURGATORIO:IL PURGATORIO:IL PURGATORIO:IL PURGATORIO:

Il secondo regno è collocato al centro dell'emisfero delle acque, agli antipodi di Gerusalemme, in forma di isola, sulla quale si eleva la montagna del Purgatorio ai cui piedi si trova una spiaggia. Il monte della purificazione, emergendo dalle acque e salendo altissimo verso il cielo, porta con sé il principio della transitorietà. Collocato tra la pena eterna ( inferno ) e la felicità della contemplazione divina ( paradiso ), l'anima che si purifica conserva del mondo il ricordo del peccato, ma possiede anche l'aspirazione intensa alla vista di Dio ed alla sua grazia. Solo la sofferenza che si consuma sulle balze della montagna la renderà degna di salire al cospetto di Dio ad assaporare l'eterna beatitudine. Quindi troviamo l'ansiosa attesa della pena purificatrice nell'antipurgatorio e su per le balze dell'espiazione la gioia che accompagna le anime che sanno di dover giungere fino a Dio. Allegoricamente la cantica rimanda alla riconquista della libertà morale < perduta con il peccato >, attraverso il dolore dell'espiazione.

Le anime dei morti in grazia di Dio, prima di giungere sul monte, vengono radunate ad Ostia alla foce del Tevere da un angelo nocchiero, che le conduce alla spiaggetta dell’antipuragtorio dopo averle imbarcate su di un'imbarcazione veloce e leggerissima sulle acque. Il regno della purificazione può essere suddiviso in tre parti: antipurgatorio, purgatorio vero e proprio, paradiso terrestre. L'atmosfera terrestre avvolge la parte inferiore fino alla porta del purgatorio; da qui, fino alla sommità, le perturbazioni atmosferiche sono assenti.

L'antipurgatorio è costituito dalla spiaggia dell'isola (dove stanno temporaneamente gli scomunicati che rientrarono in seno alla Chiesa solo al termine della loro vita e dove ha la sua dimora anche Catone, guardiano di tutto il monte); da un primo balzo o ripiano (dove stanno i morti di morte naturale che si pentirono in fin di vita ); da un secondo balzo (dove sono i morti di morte violenta che si pentirono solo in fin di vita). In quest'ultimo ripiano c'è anche la Valletta dei Principi , che rivolsero il pensiero a Dio in prossimità della morte in quanto distratti dalle cure terrene.

Il purgatorio è composto da sette balze o cornici o ripiani concentrici e non a spirale. Nella prima sono ospitati i superbi, nella seconda gli invidiosi, nella terza gli iracondi, nella quarta gli accidiosi, nella quinta gli avari e i prodighi, nella sesta i golosi, nella settima i lussuriosi. Si segue cioè lo schema dei peccati capitali ma rovesciato rispetto all'inferno, per quanto riguarda i peccati puniti nelle ultime cinque balze.

Il paradiso terrestre, la sede naturale destinata al genere umano, è costituito da una «divina foresta e spessa e viva» dove l'anima si pur ifica definitivamente immergendosi in due fiumi, il Lete e l’Eunoè, prima di salire in paradiso. Dante sarà qui affiancato dalla sua nuova guida, Beatrice, dal momento che Virgilio non potrà più accompagnare il poeta nel regno della grazia divina, in quanto egli è pagano. Beatrice avrà cura della salute spirituale del poeta e poi - nel paradiso - dovrà istruirlo in quei problemi teologici che trascendono le capacità intellettive della ragione.

La divisione dei peccati è in questo regno ricondotta ad un principio di bene, l'amore che può essere o naturale, cioè innato, o d'animo, val e a dire soggetto alla ragione. Il primo è sempre senza errore. Il

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secondo può errare o per «malo obbietto», quando tende al male, o per «bono obbietto», quando tende al sommo bene con «poco di vigore» o con «troppo di vigore». Esso non può essere fonte di peccato se tende a Dio con la giusta misura; se si volge al male dà luogo ai peccati di superbia, invidia, ira; se a Dio con poco vigore all'accidia; se ai beni terreni con troppo vigore, ai peccati di avarizia, gola, lussuria

IL PARADISO:IL PARADISO:IL PARADISO:IL PARADISO:

Il paradiso vero e proprio è costituito da nove cieli concentrici. compresi a loro volta dall'Empireo o cielo di pura luce, sede permanente di Dio e dei beati che sono collocati in una candida rosa. cioè in un immenso anfiteatro da cui contemplano Dio e in ciò consiste la loro beatitudine. Gli eletti si presentano a Dante nei rispettivi cieli di appartenenza solo eccezionalmente e in relazione alla virtù esercitata sulla terra, virtù che è corrispondente all'influsso di quel cielo sulle azioni degli uomini. Ad esempio il pianeta Marte predispone alla combattività, quindi nel cielo omonimo (il quinto ) si incontreranno gli spiriti militanti per la fede. Questo criterio di assegnazione richiama un po' il contrappasso degli altri due regni. I cieli sono mossi dalla volontà divina attraverso le gerarchie angeliche, ciascuna delle quali presiede ad un cielo medesimo. La velocità del movimento di rotazione è direttamente proporzionale alla vicinanza al Creatore. Da quanto detto deriva il seguente schema:

1° Cielo della Luna Spiriti inadempienti ai voti Angeli

2°Cielo di Mercurio Spiriti amanti Principati

3°Cielo di Venere Spiriti sapienti Podestà

4°Cielo del Sole Spiriti militanti per la fede Virtù

5°Cielo di Marte Spiriti giusti Dominazioni

6' Cielo di Giove Spiriti contemplanti Troni

7°Cielo di Saturno Spiriti operanti il bene per la gloria terrena

Arcangeli

8°Cielo delle Stelle Fisse Spiriti trionfanti Cherubini

9°Primo Mobile Gerarchie angeliche Serafini

10°Empireo La candida rosa con Dio, gli angeli, i beati

La terza cantica è l'esaltazione della divina potenza del creato che si esprime con una luce ed un suono purissimi e pervasivi, capaci di richiamare la perfetta armonia di tutto l'universo.. I beati tranne poche eccezioni, non compaiono con le loro sembianze corporee ma sotto forma di pura luce, mentre il paesaggio del paradiso appare privo di ogni riferimento ad elementi terrestri

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SSSSTRUTTURA DELL’INFERNOTRUTTURA DELL’INFERNOTRUTTURA DELL’INFERNOTRUTTURA DELL’INFERNO

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LA SELVA OSCURALA SELVA OSCURALA SELVA OSCURALA SELVA OSCURA

1 Nel mezzo1 del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita. 4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 7 Tant'è amara che poco è più morte2; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. 13 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto, là dove terminava quella valle che m'avea di paura il cor compunto, 16 guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de' raggi del pianeta3

che mena dritto altrui per ogne calle. 19 Allor fu la paura un poco queta che nel lago4 del cor m'era durata la notte ch'i' passai con tanta pieta5. 22 E come quei6 che con lena affannata uscito fuor del pelago a la riva si volge a l'acqua perigliosa e guata, 25 così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. (Canto I vv.1-27) ________________________________________________________________________________

1. Nel mezzo : che la metà della vita cada nel " trentacinquesimo anno " Il viaggio oltremondano comincia, pertanto, nel 1300, la sera del venerdì santo (cfr. Inf. II, 1 e XII, 112).

2. che poco è più morte: Dante si riferisce alla " seconda morte ",quella dello spirito; soltanto la dannazione; infatti, è poco più amara della selva che; quale simbolo della vita peccaminosa, ne costituisce una dolorosa anticipazione.

3. pianeta : il sole ere considerato un pianeta e il più adeguato simbolo della luce di Dio. 4. lago del cor: è la cavità del cuore nella quale si raccoglie ilsangue. 5. pieta: ansia angosciosa. 6. E come quei: e come il naufrago che, con respiro ("lena" )affannoso raggiunta la riva, si volge al mare (" pelago ") in tempesta e osserva ( "

guata " ) le acque, ancora incredulo di essere in salvo.

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LA PORTA DELL’INFERNOLA PORTA DELL’INFERNOLA PORTA DELL’INFERNOLA PORTA DELL’INFERNO

1 "Per me1 si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. 4 Giustizia mosse il mio alto fattore2: fecemi la divina podestate, la somma sapienza e 'l primo amore. 7 Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne3, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". 10 Queste parole di colore oscuro4

vid'io scritte al sommo d'una porta; per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro». 13 Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto5; ogne viltà convien che qui sia morta. 16 Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto6

che tu vedrai le genti dolorose c'hanno perduto il ben7 de l'intelletto». 19 E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose8.

(Canto III, vv. 1-21) __________________________________________________________________

1. Per me: la porta dell'Inferno, con la sua cupa e tragica iscrizione, ci appare improvvisamente, come Improvvisamente apparve a Dante. 2. alto fattore: è Dio, che creò l'Infermo, mosso da sensi di imperscrutabile giustizia; potenza (" potestate "), sapienza e amore sono gli

attributi teologici della Trinità e riferibili facilmente al Padre, al Figlio, allo pirito Santo. 3. se non etterne: prima dell'Inferno furono create soltanto cose eterne: angeli, cieli, materia pura ed elementare. L'Inferno, infatti,fu creato

soltanto dopo la ribellione degli angeli. 4. colore oscuro: forse non si tratta di una notazione cromatica,ma, più probabilmente, il poeta si riferisce al senso minaccioso,che le parole

esprimono, confermato dalla dolorosa gravezza che provocano nell'animo (" il senso lor m'è duro "). 5. sospetto: è necessario abbandonare ogni esitazione dovuta alla paura. 6. t'ho detto: cfr. Inf. I, 114, segg. 7. il ben dell'intelletto: il bene di vedere Dio; che é il sommo per l'umano intelletto. 8. segrete cose: la realtà dell'Inferno, che è lontana, separata (cfr.lat. secretum) della conoscenza degli esseri umani.

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GLI IGNAVIGLI IGNAVIGLI IGNAVIGLI IGNAVI

1 Quivi sospiri, pianti e alti guai1

risonavan per l'aere sanza stelle2

per ch'io al cominciar ne lagrimai. 4 Diverse3 lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man4 con elle 7 facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura sanza tempo tinta5, come la rena6 quando turbo spira. 10 E io ch'avea d'error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo? e che gent'è che par nel duol sì vinta7?». 13 Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l'anime triste di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo8. 16 Mischiate sono a quel cattivo coro9

de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro10. 19 Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch'alcuna gloria11 i rei avrebber d'elli». 22 E io: «Maestro, che è tanto greve12

a lor, che lamentar li fa sì forte?». Rispuose: «Dicerolti13 molto breve. 25Questi non hanno speranza di morte14

e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son15 d'ogne altra sorte. 28 Fama di loro il mondo esser non lassa16; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam17 di lor, ma guarda e passa». 31 E io, che riguardai, vidi una 'nsegna che girando correva tanto ratta, che d'ogne posa mi parea indegna18; 34 e dietro le venìa sì lunga tratta19

di gente, ch'i' non averei creduto che morte tanta n'avesse disfatta20.

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37 Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui21

che fece per viltade il gran rifiuto. 40 Incontanente22 intesi e certo fui che questa era la setta d'i cattivi23, a Dio spiacenti e a' nemici sui. 43 Questi sciaurati24, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch'eran ivi. 46 Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a' lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto25. (Canto III, vv 22-69)

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1. . guai; guaiti, urla bestiali. 2. . aere sanza stelle: senza stelle è, naturalmente, la profonda tenebra infernale. 3. . Diverse: strane. In questo incomprensibile e confuso linguaggio, " c'è tutto l'Inferno che manda il suo primo grido " (De Sanctis) 4. 27. suon di man con elle: un percuotere dello mani misto ad esse voci. 5. 29. sanza tempo tinta: etera (" senza tempo ") e color delle tenebre (" tinta"). 6. 30. come la rena: "Questa immagine visiva par diffondere una strana foschia di tumulto nell'oscuro aere dell'Inferno " (Rossi). 7. 33. nel duol sì vinta?: cosi abbattuta e travolta nel dolore? 8. 36. sanza 'nfamia e sanza lodo: senza particolare colpa (" infamia ")e senza alcun merito ("lodo") vissero gli ignavi che qui scontano la

loro grave viltà 9. 37. coro: schiera. Sono gli angeli che rimasero neutrali (" per sé fuoro") quando Lucifero si ribellò a Dio. 10. 39. fuoro : furono 11. 42. ch'alcuna gloria: poiché questi potrebbero reclamare qualche merito ("alcuna gloria") rispetto ad essi, in quanto ebbero almeno il

coraggio di peccare. 12. 43. che è tanto greve: quale pena grava tanto su di loro. 13. 45. Dicerolti : te lo dirò. 14. 46. di morte: di una fine che ponga termine al loro dolore. 15. 48. che 'nvidiosi son: l'eterna tenebra di cui sono avvolti, fa sì che essi riferirebbero qualsiasi altra, sia pur dolorosa, condizione. 16. 49. non lassa: non lascia, non permette che duri. 17. 51 non ragioniam: verso divenuto proverbiale, come molti altri di questo canto. Lo sdegno del poeta contro gli ignavi è tale che non si

sofferma con alcuno di questi dannati 18. 54: indegna: incapace d'ogni riposo. (cfr. lat. indignus nel senso passivo). 19. 55. tratta: schiera, ma quasi trascinata a forza: 20. 57. disfatta: s'intende distrutta, ma con un sottile riferimento al numero impressionante di " dannati ". 21. 9 colui: dopo aver riconosciuto anime che sdegna perfino di nominare, il poeta fa un anonimo accenno a Celestino V (Pietro di Angelerio,

eremita col nome di Pier da Morrone), pontefice che, nello stesso anno in cui fu eletto (1294), rinunciò, dichiarandosi incapace, e dando m o a Bonifacio VIII di succedergli sul trono. E sembra che Bonifacio facesse pressione sui debole predecessore per indurlo al " gran rifiuto".

22. Incontanente: immediatamente 23. 62. cattivi: i vili sono quasi prigioniera (lat. capitivus) della loro miseria morale; e spiacciono a Dio, per non aver operato bene, per non

aver osato il male. 24. 64. sciaurati: sciagurati: i1 cui spirito non nacque mai a vera vita. 25. 69. ricolto : raccolto.

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CARONTECARONTECARONTECARONTE

1 Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio1, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave2! 4 Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. 7 E tu che se' costì, anima viva3, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch'io non mi partiva, 10 disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia4, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti». 13 E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi5 così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 16Quinci6 fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote7. 19Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar8 colore e dibattero i denti, ratto che 'nteser le parole crude. 22 Bestemmiavano Dio e lor parenti9, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme di lor semenza e di lor nascimenti. 25 Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch'attende ciascun uom che Dio non teme10. 28 Caron dimonio, con occhi di bragia, loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia11. 31 Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, 34 similemente il mal seme d'Adamo gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni12 come augel per suo richiamo.

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37 Così sen vanno su per l'onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche13 di qua nuova schiera s'auna. 40 «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese, «quelli che muoion ne l'ira di Dio tutti convegnon qui d'ogne paese: 43 e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che14 la tema si volve in disio.

46 Quinci15 non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che 'l suo16 dir suona». 49 Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. 52 La terra lagrimosa17 diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento e caddi come l'uom cui sonno piglia.

(Canto III, vv. 82-136)

1. un vecchio: è Caronte, pilota della navicella infernale, comegià nella tradizione virgiliana (cfr. En., VI). 2. prave: malvage. 3. anima viva: Dante é vivo soprattutto perché ha ancora la possibilità di salvarsi dalla dannazione. Perciò Caronte lo esorta ad allontanarsi ("

partiti... "). 4. a piaggia: alla riva; ma seguendo altro viaggio e approdando ad altri porti. Cioè con la navicella condotta dall'Angelo nocchiero, che

trasporta le anime al Purgatorio (cfr. Purg. II, 41). 5. . vuolsi: si vuole così, là dove si può ("puote ") ciò che si vuole. Con questa formula ancora Virgilio si difenderà dalle opposizioni dei

demoni (cfr. Inf. V. 23 e, in parte, VII, 11). 6. Quinci: allora, da quel momento. 7. di fiamme rote: l'accesa luminosità degli occhi di Caronte fa quasi apparire bagliori di fiamma nel suo sguardo. 8. cangiar: mutarono colore e batte rono denti appena (. Ratto che ") udirono le crudeli parole. 9. parenti: i genitori (cfr. lat. parentes). 10. che Dio non teme: privo del timor di Dio. 11. s'adagia: cerca di accomodarsi a proprio agio nella barca 12. per cenni: rispondendo al cenno di Caronte (cfr. v. 110). 13. .anche: ancora, nuovamente, si raccoglie (" s'auná "). 14. sì che la tema: la divina giustizia sprona le anime al punto che il senso di timore si tramuta in desiderio. 15. Quindi: di qui. 16. che 'l suo dir suona: cosa significano le sue parole. 17. La terra lagrimosa: la terra del pianto eterno.

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PAOLO E FRANCESCAPAOLO E FRANCESCAPAOLO E FRANCESCAPAOLO E FRANCESCA

1 I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno1, e paion sì al vento esser leggieri». Ed elli a me: «Vedrai quando saranno 4 più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor2 che i mena, ed ei verranno». 7 Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega3!». 10 Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere, dal voler portate; 13 cotali uscir4 de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettuoso grido5

16 «O animal grazioso6 e benigno che visitando vai per l'aere perso7

CARONTE

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noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 19 se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. 22 Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace8. 25 Siede la terra dove nata fui su la marina9 dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui. 28Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende10

prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo11 ancor m'offende. 31 Amor12, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer13 sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. 34 Amor condusse noi ad una morte14: Caina15 attende chi a vita ci spense». Queste parole da lor ci fuor porte.

37 Quand'io intesi quell'anime offense16,

china' il viso e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». 40 Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso17, quanti dolci pensier, quanto disio18

menò costoro al doloroso passo!». 43 Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio19. 46 Ma dimmi: al tempo de' dolci sospiri, a che e come concedette amore che conosceste i dubbiosi disiri?». 49 E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa20 'l tuo dottore. 52 Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto21, dirò come colui che piange e dice.

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55 Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto22 come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto. 58 Per più fiate23 li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. 61 Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, 64 la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante». 67 Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; sì che di pietade io venni men così com'io morisse. E caddi come corpo morto cade. (Canto V, vv.88-142)

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1. . che 'nsieme vanno: soli tra i peccatori trascinati dalla bufera,Paolo e Francesca sono uniti per l'eternità. Francesca da Polenta,moglie di Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, uomo deformee zoppo, amò il fratello di questi, Paolo. Gianciotto vendicò il suo onore, uccidendoli entrambi.

2. . per quello amor che i mena: in nome di quell'amore che li ha perduti e che li conduce ancora uniti nella violenta bufera. 3. s'altri nol niega: se l'imperscrutabile potenza divina non lovieta. 4. .cotali uscir: similmente uscirono dalla schiera ove è Didone. 5. l'affettuoso grido: il vocativo " O anime affannate " del v. 80. 6. O animal grazioso: o creatura cortese. 7. perso: è un colore "misto di purpureo e di nero ma vince lo nero, e da lui si dinomina" (Conv) 8. ci tace: Paolo e Francesca si trovano momentaneamente al di fuori della bufera infernale (cfr. v. 45 e n.). 9. su la marina: Francesca nacque a Ravenna, città sita presso la foce ove bocca il Po con i suoi affluenti (" seguaci sui "). 10. . ratto s'apprende: fa rapida presa. E' immagine stilnovista, cara al Guinizelli e a Dante stesso 11. e'l modo: la morte violenta che non le permise di pentirsi. 12. Amor: l'amore che non consente a nessuno che sia amato di non riamare. 13. del costui piacer: della bellezza di questi. 14. ad une morte: a morire insieme. 15. Caina: è la parte del nono cerchio dell'Inferno dove sono dannati i raditori dei parenti. 16. offense: offese, cioè colpite prima dalla travolgente passione, poi dalla fatale tragedia. 17. Oh lasso: espressione di doloroso rammarico : ohimé! 113. quanto disìo: quanto desiderio condusse al tragico passaggio dalla vita alla

morte eterna 18. . tristo e pio: mi rendono (" mi fanno ") triste e pietoso, tanto da piangere ( " a lagrimar " ). 19. . i dubbiosi disiri?: l'amore, che ancor non si era rivelato. 20. e ciò sa: anche Virgilio è passato dal " tempo felice "all'infelicità "miseria "); abita, infatti, il Limbo. 21. affetto: desiderio di conoscere il primo manifestarsi ("la prima radice "). 22. Lancialotto: Lancillotto, cavaliere della Tavola Rotonda,innamorato della regina Ginevra,moglie di re Artù, è il protagonista del "Lancelot

du Lac", romanzo francese del sec. XII:In esso si legge che Ginevra fu indotta a baciare il suo cavaliere dal principe Galeotto, che fungeva da mezzano.

23. Per più fiate: più volte quella lettura ci indusse ("sospinse")a spiare i reciproci, segreti sentimenti.

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CERBEROCERBEROCERBEROCERBERO

1 Io sono al terzo cerchio, de la piova1

etterna, maladetta, fredda e greve; regola2 e qualità mai non l'è nova. 4 Grandine grossa, acqua tinta3 e neve per l'aere tenebroso si riversa; pute4 la terra che questo riceve 7 Cerbero5, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. 10 Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e 'l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra. 13 Urlar li fa la pioggia come cani; de l'un de' lati6 fanno a l'altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. 16 Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo7, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo.

PAOLO E FRANCESCA

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19 'l duca mio distese le sue spanne8, 22 prese la terra, e con piene le pugna la gittò dentro a le bramose canne. 25 Qual è quel cane ch'abbaiando agogna9, e si racqueta poi che 'l pasto morde, ché solo a divorarlo intende e pugna10, 28 cotai si fecer quelle facce lorde de lo demonio Cerbero, che 'ntrona l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde. (Canto VI, vv.7-33)

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1. piova: una pioggia dirotta, continua e gelata. 2. regola: la quantità e la qualità non variano mai. 3. acqua tinta: acqua sporca. 4. pute: maleodorante è il suolo che riceve lo scroscio (" questo "). 5 Cerbero: mitica fiera, posta a guardia dell'Ade (cfr. En., VI) e qui rappresentata da Dante come un demonio (v. 32) dalla figure deforme e strana ("diversa"), che latra come un cane. Non solo è a guardia dei dannati per colpa della gola, ma li scuoia e li squarta (" isquatra ") e, con le tre avide bocche, se ne pasce l'ampio ventre, macchiandosi la barba, nera (" atra ") come la tenebra infernale. 6. de l'un de' lati: i peccatori (" profani ") si voltano spesso difendendo così dalla pioggia il fianco non esposto. 7. vermo: essere ripugnante. 8. spanne: le mani aperte. 9. agogna: chiede cibo protendendo il muso. 10. intende e pugna: come il cane é intento a mangiare e " par combatta col cibo (Tommaseo), similmente ( "cotai ") si comportarono quelle facce unte.

CERBERO

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PIER DELLE VIGNEPIER DELLE VIGNEPIER DELLE VIGNEPIER DELLE VIGNE

1 Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un bosco che da neun sentiero era segnato. 4 Non fronda verde, ma di color fosco; non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco: 7 non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che 'n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. 10 Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, che cacciar de le Strofade i Troiani con tristo annunzio di futuro danno. 13 Ali hanno late, e colli e visi umani, piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre; fanno lamenti in su li alberi strani.

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16 E 'l buon maestro «Prima che più entre, sappi che se' nel secondo girone», mi cominciò a dire, «e sarai mentre 19 che tu verrai ne l'orribil sabbione. Però riguarda ben; sì vederai cose che torrien fede al mio sermone». 22 Io sentia d'ogne parte trarre guai, e non vedea persona che 'l facesse; per ch'io tutto smarrito m'arrestai. 25 Cred'io ch'ei credette ch'io credesse che tante voci uscisser, tra quei bronchi da gente che per noi si nascondesse. 28 Però disse 'l maestro: «Se tu tronchi qualche fraschetta d'una d'este piante, li pensier c'hai si faran tutti monchi». 31 Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e 'l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». 34 Da che fatto fu poi di sangue bruno, ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? non hai tu spirto di pietade alcuno? 37 Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb'esser la tua man più pia, se state fossimo anime di serpi». 40 Come d'un stizzo verde ch'arso sia da l'un de'capi, che da l'altro geme e cigola per vento che va via, 43 sì de la scheggia rotta usciva insieme parole e sangue; ond'io lasciai la cima cadere, e stetti come l'uom che teme. 46 «S'elli avesse potuto creder prima», rispuose 'l savio mio, «anima lesa, ciò c'ha veduto pur con la mia rima, 49 non averebbe in te la man distesa; ma la cosa incredibile mi fece indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa.

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62 Ma dilli chi tu fosti, sì che 'n vece d'alcun'ammenda tua fama rinfreschi nel mondo sù, dove tornar li lece». 65 E 'l tronco: «Sì col dolce dir m'adeschi, ch'i' non posso tacere; e voi non gravi perch'io un poco a ragionar m'inveschi. 68 Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi, 71 che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi: fede portai al glorioso offizio, tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi. 74 La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, 77 infiammò contra me li animi tutti; e li 'nfiammati infiammar sì Augusto, che ' lieti onor tornaro in tristi lutti. 80 L'animo mio, per disdegnoso gusto, credendo col morir fuggir disdegno, ingiusto fece me contra me giusto. 83 Per le nove radici d'esto legno vi giuro che già mai non ruppi fede al mio segnor, che fu d'onor sì degno. 86 E se di voi alcun nel mondo riede, conforti la memoria mia, che giace ancor del colpo che 'nvidia le diede».

canto XIII, vv. 1-78

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5. non rami schietti: non rami lisci, ma pieni di nodi e contorti ("'nvolti "). 6. tòsco: tossico, veleno. 8. quelle fiere: animali selvatici che popolano la Maremma toscana (" tra Cecina e Corneto "), ed hanno in odio i luoghi coltivati (" colti "). Il Cecina è un piccolo fiume che scorre nella regione volterrana, Corneto è una piccola città presso Civitavecchia. 10. le brutte Arpìe: figlie di Taumante e di Elettra, erano raffigurate con volto di donna e corpo di uccello. Erano rapaci, usavano insozzare con l'orrida profluvie del ventre tutto ciò che toccavano. Scacciarono dalle isole Strofadi o Striladi, Enea e i suoi compagni ( " i Troiani " ), profetizzando insopportabile fame ("futuro danno "). 13. late: ampie e aperte. 15. strani: può riferirsi agli alberi o ai lamenti; meglio agli alberi, il cui aspetto (crf. v. 4-9) era veramente insolito. 19. sabbione: è quello che forma il 3° girone. 21. che torrien fede: che renderebbero incredibili le mie parole ("sermone "), se mi limitassi a parlartene. 25. Cred'io...: io suppongo che egli credette che io ritenessi. 26. bronchi: grossi rami nodosi. 27. per noi: per causa nostra: 30. li pensier: le tue supposizioni cadranno d'un tratto. 32. pruno: grande albero spinoso. 33. Perché mi schiante?: perché mi spezzi ?

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35. scerpi : laceri. 38. pia: pietosa, caritatevole. 40. Come d'un stizzo: come da un ramo verde, che sia acceso da un capo che dall'altro trasuda (" geme ") e sibila (" cigola ") per l'aria costretta ad uscire in seguito alla dilatazione, così dal legnoschiantato uscivano insieme parole e sangue. 47. lesa: ferita e offesa. 48. con la mia rima: allude all'episodio virgiliano di Polidoro (cfr. Purg. c. XX, n. 115), figlio di Priamo, la cui voce si fa sentire, proveniente da una pianta di mirto, quando Enea ne schianta tre virgulti. 51. ovra: gesto che a me stesso è penoso. 52. 'n vece: in luogo di una riparazione (" ammenda ") per il male compiuto, rinnovi la tua memoria su nel mondo, dove gli è concesso (" lece ") ritornare. 55. m'adeschi : m'inviti. 56. voi non gravi: non vi sia sgradito. 57. m'inveschi : mi intrattenga. 58. ambo le chiavi: " l'affermativa che apriva (" diserrando ") lo cuore e la negativa che lo serrava " (Buti). Nel tronco é lo spirito di Pier delle Vigne, protonotaro e logoteta di Federico II, del quale seppe conquistare la piena fiducia; ma, caduto in disgrazia del suo signore, fu imprigionato e accecato, per cui si uccise. 60. sì soavi: con tanta delicata accortezza, che allontanai quasi tutti gli altri dalla sua intimità (" secreto "). 63. tanto ch'i ne perde': tanto che ne persi le forze. 64. La meretrice: l'invidia, capace di prostituire le coscienze, che non distolse mai gli occhi disonesti dalla reggia dell'imperatore (" Cesare ")... 68. Augusto : l'imperatore. 69. tornaro: si mutarono. 72. ingiusto fece: mi rese colpevole, in quanto suicida, contro di me che pure ero innocente delle colpe attribuitemi. 83. nove: nuove, relativamente al tempo e al modo. 86. riede : ritorna. 87. del colpo: a causa del colpo.

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ULISSEULISSEULISSEULISSE

85 Lo maggior corno de la fiamma antica cominciò a crollarsi mormorando pur come quella cui vento affatica; 88 indi la cima qua e là menando,come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: «Quando 91 mi diparti' da Circe, che sottrasse me più d'un anno là presso a Gaeta, prima che sì Enea la nomasse, 94 né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né 'l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta, 97 vincer potero dentro a me l'ardore ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto, e de li vizi umani e del valore; 100 ma misi me per l'alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. 103 L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi, e l'altre che quel mare intorno bagna. 106 Io e ' compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov'Ercule segnò li suoi riguardi, 109 acciò che l'uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l'altra già m'avea lasciata Setta. 112 "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l'occidente, a questa tanto picciola vigilia 115 d'i nostri sensi ch'è del rimanente, non vogliate negar l'esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. 118 Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza''. 121 i miei compagni fec'io sì aguti,

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con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; 124 e volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. 127 Tutte le stelle già de l'altro polo vedea la notte e 'l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo.

130 Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, 133 quando n'apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. 136 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. 139 Tre volte il fé girar con tutte l'acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com'altrui piacque, infin che 'l mar fu sovra noi richiuso». (Canto XXVI vv.85-142)

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85. Lo maggior corno: quello che " invola " Ulisse. 91. Circe: figlia del Sole, esercitava i suoi incantesimi sui malcapitati stranieri, trasformandoli in animali. Trattenne per oltre un anno Ulisse il quale, ripartito, non tornò, afferma Dante,contrariamente alla tradizione omerica, nella sua Itaca, ma volle vivere l'esperienza " del mondo sanza gente". 92. Gaeta: il monte Circello, poi chiamato Gaeta dal nome della nutrice di Enea, Caieta, che vi fu sepolta. 94. la pieta: l'amor filiale. 96. Penelopè: Penelope, la sposa di Ulisse. 99. valore: virtù (cfr. lat. virtus). 101. compagna: compagnia, ciurma. 102. diserto: abbandonato. 103. L'un lito: le coste europee e quelle d'Africa (" Morrocco "). 108. riguardi: limiti; le colonne d'Ercole, cioè Gibilterra. 110. Sibilia: Siviglia, in Spagna. 111. Setta: Ceuta, sulla costa d'Africa. 112. per cento milia: attraverso centomila pericoli. 114. vigilia: veglia dei sensi che precede il sonno della morte. 117. di retro al sol: seguendo l'apparente moto del sole da oriente ad occidente. 118. semenza : natura. 121. aguti : disposti favorevolmente. 124. nel mattino: ad oriente; perciò la nave va verso occidente. 126. dal lato mancino: lungo la costa dell'Africa. 127. Tutte le stelle: la notte mostrava già tutte le stelle del polo antartico mentre il polo artico (" 'l nostro ") non si levava al di sopra dell'orizzonte. Cioè era stato oltrepassato l'equatore. 130. Cinque volte: il lume della luna si era riacceso e spento ("casso ") cinque volte, cioè erano passati cinque mesi da quando ci eravamo posti in viaggio. 133. una montagna: è la montagna del Purgatorio.

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138. il primo canto: la prora. 140. levar: infinito narrativo come " ire " del v. seg. 141. altrui: ad altri, alla divina volontà.

ULISSE

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IL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINO

1 La bocca sollevò dal fiero pastoquel peccator, forbendola a' capellidel capo ch'elli avea di retro guasto. 4 Poi cominciò: «Tu vuo' ch'io rinovellidisperato dolor che 'l cor mi premegià pur pensando, pria ch'io ne favelli. 7 Ma se le mie parole esser dien semeche frutti infamia al traditor ch'i' rodo,parlar e lagrimar vedrai insieme. 10 Io non so chi tu se' né per che modovenuto se' qua giù; ma fiorentino mi sembri veramente quand'io t'odo.

IL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINOIL CONTE UGOLINO

La bocca sollevò dal fiero pasto a' capelli

del capo ch'elli avea di retro guasto.

rinovelli disperato dolor che 'l cor mi preme

, pria ch'io ne favelli.

seme che frutti infamia al traditor ch'i' rodo,

che modo

mi sembri veramente quand'io t'odo.

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13 Tu dei saper ch'i' fui conte Ugolino, e questi è l'arcivescovo Ruggieri: or ti dirò perché i son tal vicino. 16 Che per l'effetto de' suo' mai pensieri, fidandomi di lui, io fossi preso e poscia morto, dir non è mestieri; 19 però quel che non puoi avere inteso, cioè come la morte mia fu cruda, udirai, e saprai s'e' m'ha offeso. 22 Breve pertugio dentro da la Muda la qual per me ha 'l titol de la fame, e che conviene ancor ch'altrui si chiuda, 25 m'avea mostrato per lo suo forame più lune già, quand'io feci 'l mal sonno che del futuro mi squarciò 'l velame. 28 Questi pareva a me maestro e donno, cacciando il lupo e ' lupicini al monte per che i Pisan veder Lucca non ponno. 31 Con cagne magre, studiose e conte Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi s'avea messi dinanzi da la fronte. 34 In picciol corso mi parieno stanchi lo padre e ' figli, e con l'agute scane mi parea lor veder fender li fianchi. 37 Quando fui desto innanzi la dimane, pianger senti' fra 'l sonno i miei figliuoli ch'eran con meco, e dimandar del pane. 40 Ben se' crudel, se tu già non ti duoli pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; e se non piangi, di che pianger suoli? 43 Già eran desti, e l'ora s'appressava che 'l cibo ne solea essere addotto, e per suo sogno ciascun dubitava; 46 e io senti' chiavar l'uscio di sotto a l'orribile torre; ond'io guardai nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.

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49 Io non piangea, sì dentro impetrai: piangevan elli; e Anselmuccio mio disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?". 52 Perciò non lacrimai né rispuos'io tutto quel giorno né la notte appresso, infin che l'altro sol nel mondo uscìo. 55 Come un poco di raggio si fu messo nel doloroso carcere, e io scorsi per quattro visi il mio aspetto stesso 58 ambo le man per lo dolor mi morsi; ed ei, pensando ch'io 'l fessi per voglia di manicar, di subito levorsi 61 e disser: "Padre, assai ci fia men doglia se tu mangi di noi: tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia". 64 Queta'mi allor per non farli più tristi; lo dì e l'altro stemmo tutti muti; ahi dura terra, perché non t'apristi? 67 Poscia che fummo al quarto dì venuti, Gaddo mi si gittò disteso a' piedi, dicendo: ``Padre mio, ché non mi aiuti?''. 70 Quivi morì; e come tu mi vedi, vid'io cascar li tre ad uno ad uno tra 'l quinto dì e 'l sesto; ond'io mi diedi, 73 già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno». 76 Quand'ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese 'l teschio misero co'denti, che furo a l'osso, come d'un can, forti.

(Canto XXXIII, vv. 1-78)

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2:forbendola: nettandola (da forbire, cfr. c. XV; 69), con i capelli del capo che egli aveva guastato ( " guasto " ), mordendolo, sulla nuca (" di retro "). 4: rinovelli: rinnovi, rievochi. 6. già pur pensando: al solo pensarci, prima ancor che ne parli. 7. dien: devono essere ragione (" seme ") d'infamia. 9. parlar e lagrimar: si ricordi il c. V, 126. 13. conte Ugolino: è Ugolino della Gherardesca, conte di Donoratico. L'arcivescovo è Ruggieri degli Ubaldini, nipote del cardinale Ottaviano. 14. questi: è il cranio spolpato, il " fiero pasto ". 15. tal: simile, così fatto. 18. dir nón è mestieri: non è necessario dire che io fui preso e ucciso, fidandomi di lui, in conseguenza dei suoi malvagi pensieri.La storia, alquanto

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incerta, è uesta: il conte Ugolino apparteneva a famiglia pisana di parte ghibellina ma, accordatosi col genero Giovanni Visconti, tradì i suoi e contribuì all'instaurazione del governo guelfo in Pisa. Esiliato, riuscì a tornare nella sua città, nel 1278, sorretto dalle armi dei Guelfi; in seguito divenne capo della flotta sconfitta dai Genovesi alla Meloria nel 1284. Fatto podestà di Pisa nel tempo in cui Genova strinse alleanza con Firenze e Lucca contro la sua città, Ugolino, per incrinare, come sembra,quella alleanza, cedette alle due città toscane alcuni castelli pisani,il che gli fu imputato a tradimento (cfr. vv. 85-86). Tornato a prevalere in Pisa il partito ghibellino, dopo il 1288, Ugolino tentò un riaccostamento ai suoi antichi compagni, ma l'arcivescovo Ruggieri, acceso ghibellino, fingendo di essergli amico, dopo averlo chiamato a Pisa, gli suscitò contro l'odio popolare,sfruttando la voce del tradimento operato con la cessione dei castelli; in conseguenza di ciò, Ugolino fu arrestato e imprigionato con due figli e due nipoti finché, dopo otto mesi, nel febbraio 1289 fu lasciato morire di fame. Ugolino è punito nell'Antenora per il tradimento verso i Guelfi e l'arcivescovo per quello verso Ugolino. 21. m'ha offeso: si ricordi il c. V, 102. 22. Muda: è la torre dei Gualandi, ove Ugolino fu rinchiuso. Muda è il luogo dove si pongono gli uccelli cacciatori a mutare le penne. 23. per me: per causa mia è stata ribattezzata "torre della Fame". 24. e che conviene: e in cui sarebbe bene rinchiudere anche altri più di me colpevoli. 26. più lune: diversi mesi. 28. Questi: l'arcivescovo Ruggieri, nel sogno, mi appariva come direttore (" maestro " ) e signore ( " donno " ) della caccia. 29. al monte: il monte San Giuliano, per il cui ostacolo i Pisani non possono vedere Lucca. 31. studiose e conte: bramose e ben ammaestrate. 32. Gualandi: Sismondi e Lanfranchi tra le più influenti famiglie ghibelline. 33. dinanzi da la fronte: innanzi a sè. 35. scane: zanne. 37. innanzi la dimane: prima dell'alba; i sogni avuti in quell'ora erano considerati premonitori (cfr. c. XXVI, 7 e Purg. c. IX, 16). 38. i miei figliuoli: con Ugolino erano prigionieri i figli Gaddo e Uguiccione; e i nipoti Nino, detto il Brigata, e Anselmuccio, figli del primogenito di Ugolino, Guelfo II. 41. s'annunziava: presagiva a sè stesso 45. dubitava: temeva per un sogno analogo. Infatti avevano pianto nel sonno 46. chiavar: inchiodare (dal lat. clavus: chiodo). 49. impetrai: impietrii, divenni di pietra. 57. per: attraverso. 59. 'l fessi: lo facessi per desiderio di mangiare (" manicar "). 60. levorsi: si levarono. 74. poi che: dopo che. 75. più che 'l dolor: mentre il dolore non mi aveva ucciso, il lungo digiuno ebbe ragione delle mie forze residue. Ma l'oscuro verso non respinge una diversa chiosa esegetica: "poi, sull'angoscia, ebbe il sopravvento la fame", cioè "finii per ibarmi dei cadaveri di figli e nipoti". 76. torti: biechi.

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LUCIFEROLUCIFEROLUCIFEROLUCIFERO

1 «*Vexilla regis prodeunt inferni* verso di noi; però dinanzi mira», disse 'l maestro mio «se tu 'l discerni». 4 Come quando una grossa nebbia spira, o quando l'emisperio nostro annotta, par di lungi un molin che 'l vento gira, 7 veder mi parve un tal dificio allotta; poi per lo vento mi ristrinsi retro al duca mio; ché non lì era altra grotta. 10 Già era, e con paura il metto in metro, là dove l'ombre tutte eran coperte, e trasparien come festuca in vetro. 13 Altre sono a giacere; altre stanno erte, quella col capo e quella con le piante; altra, com'arco, il volto a' piè rinverte. 16 Quando noi fummo fatti tanto avante, ch'al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch'ebbe il bel sembiante, 19 d'innanzi mi si tolse e fé restarmi, «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco ove convien che di fortezza t'armi». 22 Com'io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo, però ch'ogne parlar sarebbe poco. 25 Io non mori' e non rimasi vivo: pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno, qual io divenni, d'uno e d'altro privo. 28 Lo 'mperador del doloroso regno da mezzo 'l petto uscìa fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, 31 che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant'esser dee quel tutto ch'a così fatta parte si confaccia. 34 S'el fu sì bel com'elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto.

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37 Oh quanto parve a me gran maraviglia quand'io vidi tre facce a la sua testa! L'una dinanzi, e quella era vermiglia; 40 l'altr'eran due, che s'aggiugnieno a questa sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla, e sé giugnieno al loco de la cresta: 43 e la destra parea tra bianca e gialla; la sinistra a vedere era tal, quali vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla. 46 Sotto ciascuna uscivan due grand'ali, quanto si convenia a tanto uccello: vele di mar non vid'io mai cotali.

49 Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: 52 quindi Cocito tutto s'aggelava. Con sei occhi piangea, e per tre menti gocciava 'l pianto e sanguinosa bava. 55 Da ogne bocca dirompea co' denti un peccatore, a guisa di maciulla, sì che tre ne facea così dolenti. 58 A quel dinanzi il mordere era nulla verso 'l graffiar, che talvolta la schiena rimanea de la pelle tutta brulla. 61 «Quell'anima là sù c'ha maggior pena», disse 'l maestro, «è Giuda Scariotto, che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena. 64 De li altri due c'hanno il capo di sotto, quel che pende dal nero ceffo è Bruto: vedi come si storce, e non fa motto!; 67 e l'altro è Cassio che par sì membruto. Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto». (Canto 34, vv.1-69)

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1. Vexilla: i vessilli del re dell'Inferno si protendono verso di noi. I vessilli sono le ali di Lucifero. 5. l'emisperio: il nostro emisfero diviene buio perché scende la notte. 6. par: appare un molino che i1 vento fa girare. 7. un tal dificio allotta: un tal edifico allora.

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9. altra grotta: altro riparo. 11. là: siamo nella Giudecca, quarta zona di Cocito; dove sono puniti i traditori dei benefattori e che prende il nome da Giuda,che tradì Cristo. I dannati sono immersi nel ghiaccio, in varie posizioni. 15. rinverte: ripiega il volto verso i piedi come arcuandosi. 18. la creatura: Lucifero, prima della ribellione era l'angelo più bello ("ch'ebbe il bel sembiante "). 20. Dite: è il nome dell'antico dio dell'Averno, che qui Dante attribuisce a Lucifero. 26. fior: un poco (cfr. c. XXV, 144). 27. d'uno e d'altro: dell'una e dell'altra cosa, della vita e della morte 28. Lo 'mperador: Lucifero. 30. e più: e più io son proporzionato a un gigante ( " io mi convegno ") di quanto i giganti lo siano alle sue braccia. 35. alzò le ciglia: levò lo sguardo superbo del ribelle; facilmente ne consegue (" ben dee ") che da lui derivi ogni male (" lutto "). 38. tre facce: costituiscono un'antitesi della Trinità 39. L'una: una sta al centro, vermiglia, e simboleggia l'Odio (antitesi dell'Amore divino) delle altre due, che s'aggiungevano (" s'aggiugnieno ") a questa, al di sopra di ciascuna spalla, e si univano (" sé giugnieno ") dove gli animali hanno la cresta, la destra, di color gialliccio (" tra bianca e gialla "), simboleggia l'Impotenza (antitesi della divina Potestà), la sinistra, di color nero simile al volto di quelli che vengono dall'Etiopia ove il Nilo scende a valle, simboleggia l'ignoranza (antitesi della Sapienza divina). 49. di vispistrello: di pipistrello era il loro atteggiamento (" modo"). 50. svolazzava: le agitava, sì che tre venti simovevano da lui 52. quindi: per conseguenza. E' così spiegata l'origine del vento avvertito da Dante 56. maciulla: arnese per " dirompere " le fibre della canapa. 58. A quel dinanzi: al peccatore, divorato dalla bocca centrale, il morso sembrava un nulla, al confronto (" verso ") dei graffi,poiché la schiena talvolta rimaneva tutta spoglia della pelle. 62. Giuda: è Giuda Iscariota, il traditore di Cristo. 65. Bruto: Giunio Bruto e Cassio Longino tradirono Cesare,considerato da Dante fondatore della monarchia universale,suprema autorità voluta da Dio non meno dell'autorità del pontefice (cfr. Mon. III, XVI). 68. la notte: sono dunque trascorse 24 ore dall'inizio del viaggio oltremondano.

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STRUTTURA DEL PURGATORIOSTRUTTURA DEL PURGATORIOSTRUTTURA DEL PURGATORIOSTRUTTURA DEL PURGATORIO

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L’ARRIVO DELL’ANGELO NOCCHIEROL’ARRIVO DELL’ANGELO NOCCHIEROL’ARRIVO DELL’ANGELO NOCCHIEROL’ARRIVO DELL’ANGELO NOCCHIERO

13 Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra 'l suol marino, 16 cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì ratto, che 'l muover suo nessun volar pareggia. 19 Dal qual com'io un poco ebbi ritratto l'occhio per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto. 22 Poi d'ogne lato ad esso m'appario un non sapeva che bianco, e di sotto a poco a poco un altro a lui uscio. 25 Lo mio maestro ancor non facea motto, mentre che i primi bianchi apparver ali; allor che ben conobbe il galeotto, 28 gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. Ecco l'angel di Dio: piega le mani; omai vedrai di sì fatti officiali . 31 Vedi che sdegna li argomenti umani, sì che remo non vuol, né altro velo che l'ali sue, tra liti sì lontani. 34 Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo, trattando l'aere con l'etterne penne, che non si mutan come mortal pelo». 37 Poi, come più e più verso noi venne l'uccel divino, più chiaro appariva: per che l'occhio da presso nol sostenne, 40 ma chinail giuso; e quei sen venne a riva con un vasello snelletto e leggero, tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva. 43 Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che faria beato pur descripto; e più di cento spirti entro sediero. 46 "*In exitu Israel de Aegypto*" cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto.

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49 Poi fece il segno lor di santa croce; ond'ei si gittar tutti in su la piaggia; ed el sen gì, come venne, veloce. 52 La turba che rimase lì, selvaggia parea del loco, rimirando intorno come colui che nove cose assaggia. (Canto II vv.13-54 ________________________________________________________________________________ 15. del mezzo: dell'aria (" mezzo " equivale a fluido) pura fino all'orizzonte (" primo giro "). 19. Lo bel pianeto: la stella Venere brillava ad oriente, velando la costellazione dei Pesci, che si trovava in congiunzione (" in sua scorta "). 23. a l'altro polo: a quello antartico, o australe. 24. fuor ch'a la prima gente: tranne che da Adamo e da Eva, che abitarono il Paradiso Terrestre,situato in cima alla montagna del Purgatorio. Nelle quattro stelle i commentatori hanno ravvisato le virtù cardinali: prudenza,giustizia, fortezza, temperanza. 26. settentrional vedovo sito: l'emisfero settentrionale è privo ( "vedovo " ) della vista di quelle stelle. 28. Com'io: come allontanai lo sguardo da quelle, volgendomi un poco verso settentrione (" l'altro polo ") là donde la costellazione dell'Orsa Maggiore (" il Carro ") era già tramontata, ecc. 32. in vista: all'aspetto. 37. Li raggi: la luce delle quattro stelle, dette " sante " perché illuminano il cammino dell'anima purgante, così come " sante " sono le Muse, invocate al v. 8, perché assistano guidate da Calliope la rinascente poesia; quelle stesse Muse che saranno, poi,più compiutamente, " sacrosante Vergini " (cfr. c. XXIX, 37). 40. cieco fiume: presumibilmente, il " ruscelletto " (cfr. Inf. c. XXXIV, 130) che scende al centro della Terra e le cui rive i poeti hanno percorso contro corrente ( " contro " ). 42. oneste piume: la dignitosa e grande barba. 47. o è mutato: o è stata sancita in cielo una nuova legge. 48. grotte: rocce (cfr. Inf. c. XXI, 110). 51. reverenti mi fé: mi indusse a piegare, per reverenza, il ginocchio (" le gambe ") e il capo (" 'l ciglio "). 53. donna: Beatrice.

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MANFREDIMANFREDIMANFREDIMANFREDI

79 Come le pecorelle escon del chiuso a una, a due, a tre, e l'altre stanno timidette atterrando l'occhio e 'l muso; 82 e ciò che fa la prima, e l'altre fanno, addossandosi a lei, s'ella s'arresta, semplici e quete, e lo 'mperché non sanno; 85 sì vid'io muovere a venir la testa di quella mandra fortunata allotta, pudica in faccia e ne l'andare onesta. 88 Come color dinanzi vider rotta la luce in terra dal mio destro canto, sì che l'ombra era da me a la grotta, 91 restaro, e trasser sé in dietro alquanto, e tutti li altri che venieno appresso, non sappiendo 'l perché, fenno altrettanto. 94 «Sanza vostra domanda io vi confesso che questo è corpo uman che voi vedete; per che 'l lume del sole in terra è fesso. 97 Non vi maravigliate, ma credete che non sanza virtù che da ciel vegna cerchi di soverchiar questa parete». 100 Così 'l maestro; e quella gente degna «Tornate», disse, «intrate innanzi dunque», coi dossi de le man faccendo insegna. 103 E un di loro incominciò: «Chiunque tu se', così andando, volgi 'l viso: pon mente se di là mi vedesti unque». 106 Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. 109 Quand'io mi fui umilmente disdetto d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; e mostrommi una piaga a sommo 'l petto. 112 Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; ond'io ti priego che, quando tu riedi,

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115 vadi a mia bella figlia, genitrice de l'onor di Cicilia e d'Aragona, e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice.

118 Poscia ch'io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, piangendo, a quei che volontier perdona. 121 Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei. 124 Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, 127 l'ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, sotto la guardia de la grave mora. 130 Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde, dov'e' le trasmutò a lume spento. 133 Per lor maladizion sì non si perde, che non possa tornar, l'etterno amore, mentre che la speranza ha fior del verde. 136 Vero è che quale in contumacia more di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, star li convien da questa ripa in fore, 139 per ognun tempo ch'elli è stato, trenta, in sua presunzion, se tal decreto più corto per buon prieghi non diventa. 142 Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m'hai visto, e anco esto divieto; ché qui per quei di là molto s'avanza». (Canto III, vv.79-145) ___________________________________________________ 82. e l'altre: anche le altre. 86. allotta: allora. 90. a la grotta: fino alla roccia (cfr. I, 48). 91. restaro : si arrestarono. 93. fenno: fecero. 96. è fesso: è rotto, spezzato. 99. soverchiar: superare questa parete del monte. 101. intrate innanzi : procedete avanti a noi: 105. unque: mai (cfr. lat. unquam).

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108. ma l'un: ma un colpo d'arma da taglio aveva spaccato uno deisopraccigli. 109. mi fui... disdetto: ebbi negato. 112. Manfredi: è il figlio naturale legittimato di Federico II,incontrato tra gli eretici (cfr. Inf. c. X, 119);regnò sulla Puglia e la Sicilia dal 1250 al 1268,anno della battaglia di Benevento, vinta da Carlo d'Angiò,chiamato in Italia dal papa Clemente IV. 113. Costanza: è la moglie di Arrigo VI e madre di Federico II (cfr. Par. c. III. 118). Perciò Manfredi è suo nipote. 115. bella figlia: è Costanza, figlia di Manfredi e moglie di Pietro III d'Aragona, il quale generò Federico, re di Sicilia (" l'onor di Cicilia... ") e Giacomo, re d'Aragona ("...e d'Aragona"). 119. punte: ferite. Mi rendei: mi abbandonai, pentito. 124. 'l pastor di Cosenza: è Bartolomeo Pignatelli, vescovo di Cosenza; fu inviato dal papa (" per Clemente ") a ricercare le ossa di Manfredi, sepolte in capo al ponte (" in co ": lat. caput), sul Calore presso Benevento, in luogo sconsacrato, come si usava per gli scomunicati, e sotto un pesante mucchio di sassi (" grave mora ") raccolti dalla pietà degli stessi nemici. 126. avesse in Dio...: avesse saputo comprendere che in Dio vi sono due aspetti, la giustizia e " la bontà infinita ". 131. di fuor dal regno: il corpo di Manfredi, morto scomunicato,non poteva riposare nel regno di Napoli " ch'era terra di Chiesa "(G. Villani) perciò fu trasportato (" trasmutò ") vicino al Garigliano (" quasi lungo 'l Verde "). 133. Per lor maladizion: in seguito alla scomunica ecclesiastica,l'amore di Dio non si perde al punto, che non possa tornare a noi finché la speranza ha un po' ( " fior " ) di verde. Cioè finché l'uomo è in vita e può pentirsi. 136. Vero è che: tuttavia, chi muore scomunicato ma pentito, deve restare fuori del Purgatorio trenta volte il tempo che durò la scomunica, quel tempo cioè in cui, non sottomettendosi alla Chiesa, durò il suo orgoglio (" presunzion "). 145. ché qui: perché nel Purgatorio molto si progredisce per le preghiere (" buon prieghi ", v. 141) dei vivi (" quei di là ").

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STRUTTURA DEL PARADISOSTRUTTURA DEL PARADISOSTRUTTURA DEL PARADISOSTRUTTURA DEL PARADISO

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PROLOGOPROLOGOPROLOGOPROLOGO

1 La gloria di colui che tutto move per l'universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. 4 Nel ciel che più de la sua luce prende fu' io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; 7 perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. 10 Veramente quant'io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto.

(Canto I, vv.1-12) ________________________________________ 1. colui che tutto move: Dio è il motore supremo dell'Universo; " penetra e risplende " in tutte le creature ma più in quelle perfette, e meno

in quelle che sono maggiormente lontane dalla perfezione. 2. 4. Nel ciel: nel cielo Empireo, che, essendo la più compiuta opera di Dio, maggiormente riceve ( " prende " ) la luce divina. 3. 7. al suo disire: a Dio, sommo bene al quale aspira il nostro intelletto (cfr. Purg. c. XXXI, 23-24). 4. 10. regno santo: il Paradiso.

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DUE CORONE DI ANIMEDUE CORONE DI ANIMEDUE CORONE DI ANIMEDUE CORONE DI ANIME

52 E Beatrice cominciò: «Ringrazia, ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo sensibil t'ha levato per sua grazia». 55 Cor di mortal non fu mai sì digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto 'l suo gradir cotanto presto, 58 come a quelle parole mi fec'io; e sì tutto 'l mio amore in lui si mise, che Beatrice eclissò ne l'oblio. 61 Non le dispiacque; ma sì se ne rise, che lo splendor de li occhi suoi ridenti mia mente unita in più cose divise. 64 Io vidi più folgór vivi e far di noi centro e di sé far corona, più dolci in voce che in vista lucenti: 67 così cinger la figlia di Latona vedem talvolta, quando l'aere è pregno, sì che ritenga il fil che fa la zona. 70 Ne la corte del cielo, ond'io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno; 73 e 'l canto di quei lumi era di quelle; chi non s'impenna sì che là sù voli, dal muto aspetti quindi le novelle. 76 Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a' fermi poli, 79 donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s'arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte.

(Canto X, vv.52-81)

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53. il Sol de li angeli: Dio, che illumina le menti angeliche. 54. sensibil: il cui splendore è percepibile dai sensi. 55. digesto: disposto.

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61. se ne rise: se ne compiacque. 63. mente unita: unicamente volta alla contemplazione di Dio. 64. vincenti: più splendenti del sole. 67. la figlia di Latona: Diana, cioè la luna. 69. il fil: il raggio, o alone, che le forma cintura (" zona "). 72. trar del regno: portare fuori del Paradiso, descriverle a parole sulla terra. 74. s'impenna: si adatta le ali, con l'aiuto della grazia. 75. dal muto: ne aspetti notizia da chi non può parlare. 76. Poi: poiché. 79. non da ballo sciolte: la cui danza non sia ancor terminata, ma che si arrestino in attesa di nuovo accordo.

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SAN FRANCESCO

55 Non era ancor molto lontan da l'orto, ch'el cominciò a far sentir la terra de la sua gran virtute alcun conforto; 58 ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra;

61 e dinanzi a la sua spirital corte *et coram patre* le si fece unito; poscia di dì in dì l'amò più forte. 64 Questa, privata del primo marito, millecent'anni e più dispetta e scura fino a costui si stette sanza invito; 67 né valse udir che la trovò sicura con Amiclate, al suon de la sua voce, colui ch'a tutto 'l mondo fé paura; 70 né valse esser costante né feroce, sì che, dove Maria rimase giuso, ella con Cristo pianse in su la croce. 73 Ma perch'io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. 76 La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; 79 tanto che 'l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. 82 Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. 85 Indi sen va quel padre e quel maestro con la sua donna e con quella famiglia che già legava l'umile capestro.

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88 Né li gravò viltà di cuor le ciglia per esser fi' di Pietro Bernardone, né per parer dispetto a maraviglia; 91 ma regalmente sua dura intenzione ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe primo sigillo a sua religione. 94 Poi che la gente poverella crebbe dietro a costui, la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe, 97 di seconda corona redimita fu per Onorio da l'Etterno Spiro la santa voglia d'esto archimandrita. 100 E poi che, per la sete del martiro, ne la presenza del Soldan superba predicò Cristo e li altri che 'l seguiro, 103 e per trovare a conversione acerba troppo la gente e per non stare indarno, redissi al frutto de l'italica erba, 106 nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo, che le sue membra due anni portarno. 109 Quando a colui ch'a tanto ben sortillo piacque di trarlo suso a la mercede ch'el meritò nel suo farsi pusillo, 112 a' frati suoi, sì com'a giuste rede, raccomandò la donna sua più cara, e comandò che l'amassero a fede; 115 e del suo grembo l'anima preclara mover si volle, tornando al suo regno, e al suo corpo non volle altra bara. (Canto XI, vv. 55-117) _______________________________________________ 55. da l'orto: dalla nascita. 58. per tal donna: per la Povertà, a cui, come alla morte,nessuno apre il cuore per amarla, incorse nell'irata riprovazione del padre, Pietro Bernardone, ricco mercante. 61. spirital corte: il tribunale spirituale, presieduto dal vescovo d'Assisi, Guido; davanti al quale fu citato dal padre come sperperatore dei beni di famiglia. 62. et coram patre: latinismo. Davanti al padre, Francesco rinunciò ad ognisostanza. 64. primo marito: Cristo. 66. sanza invito: senza che alcuno la cercasse. 69. colui: Cesare. Lucano, nella "Pharsalia", narra di un certo Amiclate,poverissimo pescatore incontrato da Cesare, che usava dormire lasciando aperta la porta della sua capanna perché non temeva di essere derubato. 70. feroce: nel senso buono di "fiera, impavida". 71. dove: anche sul Calvario, dove Maria rimase ai piedi della Croce (" giuso ") la Povertà salì con Cristo sullo strumento di tortura e pianse con lui. 75. prendi: intendi. 79. Bernardo: Bernardo di Quintavalle, assisiate, nato intorno al 1170 e morto prima del 1246. Fu, con Egidio e Silvestro, tra i primi seguaci di San Francesco e " si scalzò " come questi aveva fatto.

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87. che già legava: che già l'umile cingolo teneva uniti. Il "capestro " è la corda con la quale si legano le bestie; ma San Francesco "chiamava frate asino il suo corpo” 88. viltà di cuor: timidezza e scarsa fiducia in sè stesso, per le umili origini, per esser figlio (" fi' ") di Pietro Bernardone. V. 85.,( "sen va" ) si desume che il santo si reca a Roma per ottenere dal papa, Innocenzo III, l'approvazione della sua regola. 90. dispetto: spregevole all'aspetto. 93. primo sigillo: il riconoscimento papale all'ordine francescano e alla sua regola. 98. per Onorio: per mezzo del papa Onorio III dallo Spirito Santo, cioè da Dio stesso. E' la "Regola Bullata" del 1223, costitutiva dell'Ordine. 99 archimandrita: capo del gregge o mandria. 101. ne la presenza del Soldan: alla presenza del superbo sultano Malek-al-Kamil. 103. a conversione acerba: troppo immatura per esser convertita. 106. nel crudo sasso: sulla Verna, nel Casentino. 107. l'ultimo sigillo: Stimmate, le cinque ferite analoghe a uelle del Cristo crocefisso. 109. a colui: a Dio, che lo avviò a vita tanto benefica. 110. a la mercede: alla ricompensa. 111: nel suo farsi pusillo: nel vivere così umilmente (cfr. lat."pusillus"). 115. del suo grembo: l'ultima volontà fu di essere deposto sulla nuda terra, quando si sentì vicino a morire. Perciò al suo corpo non volle " altra bara " che la terra, su cui si fece deporre dai confratelli, nell'ottobre 1226,alla Porziuncola.

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PROFEZIA DELL’ESILIOPROFEZIA DELL’ESILIOPROFEZIA DELL’ESILIOPROFEZIA DELL’ESILIO

7 Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca segnata bene de la interna stampa; 10 non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca». 13 «O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi, 16 così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; 19 mentre ch'io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto, 22 dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch'io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; 25 per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa; ché saetta previsa vien più lenta». 28 Così diss'io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. 31 Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso l'Agnel di Dio che le peccata tolle, 34 ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: 37 «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno:

40 necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende.

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43 Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia. 46 Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene. 49 Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca. 52 La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa. 55 Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta. 58 Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. 61 E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle; 64 che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr'a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia. 67 Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso. 70 Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che 'n su la scala porta il santo uccello; 73 ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo.

(Canto XVI, vv.7-75)

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10. non perché...: i beati vedono e sanno tutto, riflesso nella mente di Dio 11. t'ausi: ti abitui. 12. l'uom: ha valore impersonale, come spesso altrove. 13. piota: pianta, che così ti elevi (" t'insusi " ), quindi capostipite. 15. non capere: non esser possibile che in un triangolo due angoli siano ottusi. E' una verità evidente. 17. il punto: Dio. 24. tetragono: capace di resistere, saldo. 27. previsa: preveduta, non improvvisa. 31. ambage: tortuose e ambigue perifrasi (cfr. lat. "ambages")quali erano le formule degli oracoli dei pagani (" la gente folle "). 35. latin: linguaggio (cfr. c. X, 120). 37. La contingenza: l'insieme delle cose contingenti, che possono accadere oppure no, che non si estende fuori del vostro mondo materiale (" vostra matera "). 40. necessità: le azioni umane non assumono carattere di necessità, per il fatto che sono presenti all'occhio di Dio; così una nave che discende la corrente di un fiume, non prende il movimento dall'occhio di chi dalla riva la guardi navigare. 43. Da indi: dall'occhio di Dio ("cospetto etterno", v. 39). 46. Ipolito: Ippolito, figlio di Teseo, respinse sdegnosamente le illecite profferte della matrigna Fedra, la quale, per vendetta,lo accusò di violenza ai suoi danni. Senza colpa, dunque. Ippolito fu scacciato dal padre, come senza colpa sarà esiliato Dante. 51. là dove Cristo: nella Curia romana. Il pontefice (" chi ciò pensa ") è Bonifacio VIII, già da Dante accusato di simonia (cfr. Inf. c. XIX, 52 e segg.). 52. seguirà... in grido: verrà attribuita per fama alla parte colpita. 54. che la dispensa: che assegna tale giusta punizione ( "vendetta "). 58. Tu proverai...: è uno dei più famosi passi del poema,messo in risalto anche dall'uso dell'"enjambenent". Da notare il probabile doppio senso da attribuire al "sa di sale" del v.58: allegoricamente, starà per "duramente guadagnato"; ma non si dimentichi che il pane veronese doveva essere realmente salato per il palato di un fiorentino, abituato al pane toscano che, come è noto, è assai carente di sale. 62. la compagnia: i compagni d'esilio, malvagi e dissennati. 66. rossa la tempia: intrisa di sangue. Forse allude alla sconfitta della Lastra (20 luglio 1304); ad ogni modo " storia di sangue ell'è senza dubbio " (Del Lungo). 67. il suo processo: il suo modo di procedere. 71. gran Lombardo: Bartolomeo della Scala, presso il quale Dante dovette soggiornare fra il 1303 e il 1304; sulla cui insegna, oltre alla scala degli Scaligeri, c'era l'aquila imperiale (" santo uccello ", cfr. c. VI, 4). 75. quel che...è più tardo: quello che, di solito, è più lento, cioè chi offre a colui che chiede. Qui, lo Scaligero.

CORI ANGELICI

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PREGHIERA ALLA VERGINEPREGHIERA ALLA VERGINEPREGHIERA ALLA VERGINEPREGHIERA ALLA VERGINE (Canto 33, vv.1-39)

1 «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, 4 tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. 7 Nel ventre tuo si raccese l'amore1, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. 10 Qui se' a noi meridiana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. 13 Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual2 vuol grazia e a te non ricorre sua disianza vuol volar sanz'ali. 16 La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre. 19 In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque3 in creatura è di bontate. 22 Or questi4, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali5 ad una ad una, 25 supplica6 a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute7. 28 E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, 31 perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità8 co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. 34 Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi.

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37 Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». ___________________________________________________________ 1. l'amore: l'amore di Dio verso l'uomo, compromesso dal peccato originale. 2. qual: chi. 3. quantunque...: ogni cosa buona. 4. questi: Dante. 5. le vite spiritali: la condizione degli spiriti, nei tre regni oltremondani. 6. supplica: supplica di ottenere tanto. 7. l'ultima salute: Dio. 8. di sua mortalità: relativa e conseguente al suo stato