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Corso di Laurea Triennale Scienze della formazione Mario Caligiuri LA DEMOCRAZIA DOVE TUTTO E’ POSSIBILE L’educazione e la comunicazione pubblica nella globalizzazione Dispensa non rivista per solo uso interno degli studenti dell’insegnamento di Pedagogia della Comunicazione Anno accademico 2005/2006

LA DEMOCRAZIA DOVE TUTTO E’ POSSIBILE - caligiuri.itcaligiuri.it/dispensacorsoscienzedellaformazione1.pdf · democrazia,7 perché produce effetti evidenti sulla società civile,

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Corso di Laurea Triennale Scienze della formazione 

Mario Caligiuri 

LA DEMOCRAZIA  

DOVE TUTTO E’ POSSIBILE L’educazione e la comunicazione  pubblica nella globalizzazione 

Dispensa non rivista  per solo uso interno 

degli studenti dell’insegnamento di Pedagogia  

della Comunicazione  

 Anno accademico 2005/2006 

Mario Caligiuri - La democrazia dove tutto è possibile Dispensa non rivista a solo uso interno Pedagogia della comunicazione – a.a. 2005/6

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Sommario

1. Premessa 2. La comunicazione pubblica elemento

costituivo della democrazia 3. L’educazione tra democrazia, comunità

marginali e meticciato 4. La democrazia nella società del rischio e

del caos 5. I costi della democrazia e della politica 6. La formazione della classe dirigente 7. Capire i media e costruire creatività 8. Una proposta operativa 9. Conclusioni

Bibliografia Sitografia

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Cassio: Quanti secoli venturi vedranno rappresentata da attori questa nostra grandiosa scena in regni

ancora non nati, e in linguaggi non ancora inventati! (W. Shakespeare, Giulio Cesare, atto III, scena I)

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1. Premessa

Le vicende del terrorismo internazionale richiedono urgentemente di coniugare sempre di più libertà e sicurezza,1 garantendo i bisogni senza però invadere fortemente l’indispensabile privacy dei cittadini. E’ proprio per questo che risulta necessario riflettere in modo nuovo su democrazia e diritti. Un possibile punto di partenza lo fornisce Karl Popper, secondo cui il tema centrale della democrazia è “come controllare chi comanda”.2 Lo strumento di cui si dispone per esercitare tale controllo è rappresentato dalla comunicazione pubblica, cioè dal flusso di informazioni che circola tra l’autorità pubblica ed i cittadini, rendendo formalmente verificabile l’esercizio del potere.3 Pertanto la comunicazione pubblica può essere considerata l’elemento costitutivo di una democrazia reale. Di fatto, in tutto il pianeta il sistema democratico presenta crepe vistose,4 esprimendo una classe dirigente di non altissimo profilo.5 C’è il rischio, non solo nei Paesi in via di 1“Conciliare libertà individuale e sicurezza collettiva è un problema endemico della società moderna”. Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000, pag. 169 2 K. Popper, Come controllare chi comanda, Ideazione, Roma 1996, pag. 24 3 M. Caligiuri, Comunicazione pubblica, formazione e democrazia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 4 Tra i tanti, R. Dahrendorf, Il conflitto sociale nella modernità, Saggio sulla politica della libertà, Laterza, Roma-Bari 1990 e più recentemente S. N. Eisenstadt, Paradossi della democrazia, Il Mulino, Bologna 2002 5 Tra chi ha affrontato il problema già negli anni Sessanta, ricordiamo Panfilo Gentile che, sebbene compiendo un’analisi della classe dirigente politica oggi per alcuni aspetti datata, ritiene, individuando temi certamente attuali, che “le oligarchie mafiose, cui tendenzialmente sboccano le moderne democrazie, sono oligarchie di piccoli borghesi disoccupati, imbevuti di clericalismo ideologico, portati all’intolleranza ed allo spirito settario”. P. Gentile, Democrazie mafiose, Ponte alle Grazie, Milano 2005, pag. 97. Gentile, facendo riferimento ai parlamentari degli anni Sessanta, rileva altresì che la classe politica viene “fornito dalla piccola borghesia disoccupata. Due terzi abbondanti sono avvocati, dottori in legge, dottori in scienze politiche, giornalisti pubblicisti, sindacalisti…Non bisogna creder che questo sia un fenomeno esclusivamente italiano. Con qualche variante, tutte le democrazie occidentali reclutano il loro personale politico dalla stessa fonte. Anche la Gran Bretagna, che in tante cose si differenzia dalle società continentali, non fa eccezione alla regola. La Camera dei Comuni è presso a poco composta come il nostro Parlamento. Si deplora che il Parlamento non attiri più i migliori. Si rileva che oramai è difficile trovare persone che sappiano condurre bene le cose dello Stato. Lord Attlee, il vecchio leader laburista, si rammaricava nel 1957 che era raro che

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sviluppo ma anche in quelli economicamente avanzati, di una democrazia senza libertà,6 ridotta sostanzialmente ad adempimenti formali. Inoltre, secondo alcuni, il processo di globalizzazione incide pesantemente sulla qualità della democrazia,7 perché produce effetti evidenti sulla società civile, incrementando oltre misura il divario tra vertice e base della piramide sociale e dando l’impressione che i pilastri della democrazia occidentale possano da un momento all’altro crollare.8 Altri studiosi hanno invece opinioni opposte e cioè assegnano alla globalizzazione una possibilità di riscatto e di sviluppo di aree geografiche e categorie sociali finora emarginate.9 Una disamina puntuale sul rapporto tra globalizzazione e democrazia, esaminando i diversi punti di vista, è stata compiuta da Michael Hardt e Antonio Negri, che finiscono con l’approdare ad un diverso punto di vista affermando che “La democrazia può venire solo dal basso. Forse la crisi attuale della democrazia, dovuta in gran parte alla sua scala globale, ci permetterà di ritornare al suo significato originario, come il governo di tutti esercitato da tutti: una democrazia senza aggettivi, senza se e senza ma”.10 Inoltre, i processi di globalizzazione comportano l’assunzione di decisioni in sedi dove il controllo democratico dei cittadini è assai limitato: ulteriore causa della minore partecipazione.11 Occorre

dei deputati si fossero fatti un nome in una qualsiasi professione. Si tratta di osservazioni banali, ma esse pongono il dito sulla piaga più profonda della società contemporanea, cioè che la direzione degli affari sia passata in mano di questa borghesia decaduta.”, idem, pagg. 87-88 6 F. Zakaria, Democrazia senza libertà, Rizzoli, Milano 2003 7 P. Hirst – G. Thompson, La globalizzazione dell’economia, Editori Riuniti, Roma 1997. In Italia chi si è occupato di questo, A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Laterza, Roma-Bari 2002 e P. Del Debbio, Global. Perché la globalizzazione ci fa bene, Mondadori, Milano 2002 8 “Improvvisamente il mondo di Tocqueville, il mondo degli autori del Federalist sembra sul punto di crollare”. R. Dahrendorf, Quadrare il cerchio. Benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 32 e segg. 9 U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma 1999, D. Healt, Democrazia e ordine globale, Asterios, Trieste 1999. Anche, P. Del Debbio, Global. Perché la globalizzazione ci fa bene, cit. 10 M. Hardt – A. Negri, Moltitudine, Rizzoli, Milano 2004, pag. 274 11 “Nella maggior parte delle nazioni democratiche, i cittadini si stanno allontanando dal processo politico. La politica tradizionale è diventata, soprattutto per i giovani, noiosa e alienante, dal momento che molti percepiscono,a ragione, che si è ridotta a una

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dunque ricercare nuove ed originali strategie per rendere il sistema democratico realmente rispondente alle esigenze di sviluppo dell’umanità, arginando gli effetti nefasti sulle libertà individuali conseguenti all’unione tra la competitività globalizzata e la disintegrazione sociale. Bisogna allora ricreare un clima di fiducia, indispensabile per un corretto funzionamento delle istituzioni democratiche.12 Tra le ipotesi possibili, c’è quella di usare la comunicazione pubblica innanzitutto all’interno di percorsi educativi di una nuova cittadinanza democratica, indispensabile strumento critico per cittadini di una nuova democrazia.13 Ma l‘uso strategico della

questione manageriale e che i diversi partiti, nella maggior parte delle nazioni, sono caduti in mano a una classe di persone a cui sono le imprese e i mercati finanziati a permettere di governare, e hanno scopi e prospettive pressoché identici. Nella maggior parte dei sistemi nazionali non c’è sfogo per la passione. La globalizzazione ha aumentato la complessità dei temi politici e, spostandone la risoluzione a livelli in cui non c’è alcun controllo democratico, ha aggravato il senso d’impotenza delle persone”. G. Monbiot, L’era del consenso, Longanesi, Milano 2004, pag. 206 12 F. Fukujama, Fiducia, Rizzoli, Milano 1996. In un’opera del 1968 Niklas Luhmann affrontò il tema con grande lucidità. “La fiducia riduce la complessità sociale andando al di là delle informazioni disponibili e generalizzando aspettative di comportamento attraverso la sostituzione delle informazioni mancanti con una sicurezza garantita internamente. Essa resta perciò dipendente da altri meccanismi di riduzione sviluppatisi parallelamente, come per esempio, quelli della legge, dell’organizzazione,e naturalmente del linguaggio, ma non può comunque essere ricondotta ad essi. Certo la fiducia non è l’unico fondamento del mondo, tuttavia non v’è dubbio che non sarebbe possibile fondare una concezione del mondo altamente complessa ma strutturata senza una società adeguatamente complessa, la quale a sua volta non potrebbe costituirsi senza fiducia”. N. Luhmann, La fiducia, Il Mulino, Bologna 2002, pagg. 145-6 13 “…il significato complessivo dell’educazione nel pensiero deweyano si lega alla costruzione di un modello di democrazia…Il decisivo motivo per una riscoperta del pensiero deweyano è la riflessione sulla democrazia che egli ha proposto per tutta la vita e che può essere applicata anche alle prospettive future politiche nel mondo del XXI secolo. La democrazia è un ideale regolativo e sperimentale per Dewey che deve rispondere a due requisiti: innanzi tutto non ci deve essere un sovrano o un’elite che domina sulla maggioranza dell’opinione pubblica e, secondo requisito, la maggioranza deve condividere valori comuni legati soprattutto alla continua e progressiva costruzione di valori secondo la teoria deweyana della continuità mezzi-fini, degli “ends in view”…La democrazia per Dewey è fondamentalmente una nuova concezione della soggettività che politicamente potrebbe identificarsi con il “nuovo individualismo”, di cui egli fu un fervente teorico fino alla fine, un individualismo sociale aperto all’alterità, ma anche attento allo sviluppo completo della personalità umana, al rinvenimento di quella dimensione della formazione della soggettività che scopre le vocazioni e le potenzialità del soggetto e chiarisce le embedded powers, le facoltà racchiuse, non espresse che l’individuo deve esprimere nella realtà sociale. Una nuova teoria della democrazia per il XXI secolo è l’idea che il magistero deweyano può offrire alla cultura contemporanea, una democrazia che definisca la formazione del cittadino come persona unica e irripetibile e

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comunicazione richiede necessariamente la consapevolezza civica che si acquisisce attraverso l’educazione formale e non formale, in quanto oggi siamo esposti ai media che per loro natura da sempre modificano i comportamenti individuali e sociali.14 L’odierna ed inedita alluvione di informazioni richiede oggi capacità di selezione e discernimento, altrimenti provoca apatia, distrazione, confusione e in conclusione allontanamento dalla vita pubblica, dominata sempre di più da minoranze politiche organizzate e da lobby economiche.15 Occorre pertanto possedere gli strumenti critici per potersi orientare in tempi dominati dall’incertezza, che i concetti di società del rischio16 e di teoria del caos17 cercano di mettere a fuoco, fornendo utili diversa dagli altri con le sue specificità ma anche con le sue tensioni universali e etiche che lo aprono al mondo e ai problemi della vita. La filosofia e la scienza devono essere guidate dall’educazione per teorizzare una democrazia dell’individuo che costruisca i legami sociali e di partecipazione, una democrazia nuova intesa come cittadinanza globale che tenta di risolvere i problemi dell’umanità…Ripensare Dewey nel XXI secolo significa ripensare una nuova filosofia della società, un’educazione progressiva e estetica dell’individuo per costruire una “nuova democrazia”, un modello di democrazia che umanizzi l’azione della tecnologia nel mondo e ipotizzi una “libertà sostenibile” dell’individuo in relazione ai condizionamenti culturali, mediatici, politici e economici, in definitiva del potere espresso e occulto delle democrazia contemporanee. Questa ipotesi filosofica rimane uno dei capisaldi del pensiero deweyano, ma soprattutto sorge dalla condivisione dei valori della partecipazione e della corresponsabilità della maggioranza dell’opinione pubblica e dei soggetti che vivono, lavorano nelle piccole comunità per democratizzare, dalla base, i valori universali della “Grande comunità”, della comunità globale”. G. Spadafora (a cura), John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, Anicia, Roma 2003, pagg. 30-32 14 J. Meyrowitch, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna 1995 15 La Commissione Trilaterale, formata da industriali, accademici ed uomini politici esperti in politica internazionale, è stata fondata il 23 giugno 1973 da David Rockefeller con l’intenzione di riorganizzare i mercato economico mondiale, secondo i principi liberisti. Nei documenti della Commissione Trilaterale si legge “Il funzionamento efficace di un sistema democratico richiede una qualche misura di apatia e non coinvolgimento da parte di individui e gruppi”. S. Huntington ed altri, Rapporto sulla governabilità delle democrazie in Triangle Paper, New York University Press, 1975. Al documento aveva lavorato Samuel Huntington, individuando il tema della “crisi della democrazia”, che in Europa troverà tra i suoi primi e più efficaci sostenitori il sociologo francese Michel Crozier, autore de La société bloquée (Seuil , Paris 1970) mai tradotto in italiano. La Trilaterale aveva ipotizzato la “strategia anaconda”, suddividendo il mondo in tre zone geoeconomiche (Usa, Europa e area di influenza giapponese), isolando l’URSS. Sulla necessità di regolamentare l’attività dei gruppi di pressione e di interesse, vedi anche M. Caligiuri (a cura), Le lobbies queste “conosciute”, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001 16 U. Beck, La società del rischio, Carocci, Roma 2000 17 La teoria del caos studia i sistemi che mostrano globalmente un comportamento imprevedibile e apparentemente casuale, anche se le loro diverse componenti ubbidiscono a leggi strettamente deterministiche. Introdotta negli anni Settanta, la teoria

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spunti interpretativi, ovviamente parziali. Pertanto il presunto razionalismo non ha risolto i problemi dell’uomo e le scienze sociali inducono a volte ad imboccare strade forse sbagliate, senza riuscire a prevedere gran parte dei fenomeni, economici sociali e storici, che poi effettivamente si verificano. Quelle sociali potrebbero a volte considerarsi scienze esatte ma appunto nell’errare. Le analisi interpretative della società pertanto si accavallano ed uno sforzo necessario va riservato alla ricerca delle soluzioni migliorative e praticabili. Pertanto, le istituzioni pubbliche dovranno farsi carico di individuare e mettere in pratica risposte che contemperino libertà individuali e sicurezza, per fare fronte ai fenomeni non nuovi, ma sempre più attuali ed invasivi, del terrorismo e della criminalità, in uno scenario che Armand Mattelart definisce universi paralleli, anti mondi.18 Nell’esercizio della democrazia è ricorrente, sotto ogni latitudine, il prevalere di rappresentanti, che nello svolgimento delle funzioni vengono inevitabilmente condizionati da interessi occulti e personali. Comportamenti facilmente riscontrabili nelle giovani democrazie dei Paesi del terzo mondo dove i rappresentanti democratici spesso si distinguono per fare prevalere i propri interessi, trasformando poi in alcuni casi le proprie nazioni in rogues states19 oppure in nazioni omicide.20 Nei Paesi a democrazia più consolidata gli interessi economici e personali sembrano endemici, inevitabili ed ineliminabili, quasi consustanziali al sistema. In altre parole: un cancro con il quale abituarsi a convivere. Infatti, sembra sempre più attuale la distinzione ottocentesca tra potere legale e potere reale, poiché

del caos è diventata una delle principali aree di ricerca della matematica attuale. Benoit Mandelbrot, Edward Lorenz e Mitchell Feigenbaum sono considerati i padri della Teoria del Caos. Comunemente e per il vasto pubblico, la nascita della teoria del caos viene fatta risalire al 29 dicembre 1979, quando il fisico Edward Lorenz presentò alla Conferenza annuale della American Association for the Advancement of Science, una relazione in cui ipotizzava come il battito delle ali di una farfalla in Brasile potesse provocare una tromba d’aria nel Texas. Nasce il cosiddetto butterfly effect, l’effetto farfalla, in base al quale una impercettibile variazione del clima poteva produrre effetti non prevedibili. Sulla teoria del caos, la letteratura è sempre più abbondante. 18 A. Mattelart, La comunicazione globale, Editori Riuniti, Roma 1998, pagg. 117-118 19 Con la dicitura Rogues states si intendono i cosiddetti Stati canaglia, che si comportano in modo contrario alle regole internazionali. 20 R. J. Rummel, Stati assassini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005

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il fenomeno più evidente non è tanto quello dell’influenza di settori estranei o non deputati alle determinazioni delle scelte pubbliche, ma la effettiva gestione del potere che da espressione democratica, e cioè trasparente e partecipata, è di fatto una gestione occulta, cioè al servizio di interessi o non completamente noti o non pienamente dichiarati, perseguendo scopi che non coincidono con quelli generali. In questo, i media, gli esperti e i sondaggi hanno un ruolo fondamentale per influenzare l’opinione pubblica.21 E’ difficile orientarsi in questa caotica miscela tra sondaggi e media che si confermano a vicenda, tanto è vero che si parla di “profezie che si autoavverano”.22 Ed in un contesto del genere, la democrazia diventa sempre di più un oggetto oscuro, cioè il contrario di ciò che dovrebbe essere. E il dilemma è proprio quello enunciato da Geminello Alvi: “La democrazia è un destino progressivo che le masse plasmano, oppure è il pretesto per un gioco che pochi amministrano per i propri fini?”23 Evitando di essere ingenui, la democrazia è un gioco di interessi, che debbono però essere visibili e non contrabbandati come interesse generale, evitando di individuare confermare un ceto politico che fornisce delle scadenti performances istituzionali e che si consolida – e si impone - quasi esclusivamente attraverso l’uso improprio delle risorse pubbliche. Allora va formata ed individuata una classe dirigente capace di una visione generale, in grado di utilizzare le nuove tecnologie che comportano il cambiamento anche mentale ed organizzativo, essendo capaci di selezionare le informazioni per assumere decisioni trasparenti, efficaci e di lungo respiro. Insomma, una democrazia si realizza in definitiva attraverso l’operato delle classi dirigenti, che devono essere educate per essere tali, ma non nella visione nobiliare, ereditaria, burocratica o tanto meno astratta e teorica, bensì

21 M. Caligiuri, Comunicazione pubblica, formazione e democrazia, cit., pagg. 281-6. Sugli esperti, a cui affidiamo i nostri comportamenti e le scelti pubbliche e private, è illuminante il testo di S. Rampton - J. Stauber, Fidati! Gli esperti siamo noi, Nuovi Mondi Media, San Lazzaro di Savena 2004 22 S. Draghi, Il sondaggio come profezia, in P. Ceri, Politica e sondaggi, Rosemberg & Sellier, Torino 1997, pagg. 184-5 23 G. Alvi, L’anima e l’economia, Mondadori, Milano 2005, pag. 7

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per essere più facilmente controllabili e sostituibili.24 Esattamente l’opposto di come oggi comunemente di solito avviene nelle democrazie più sperimentate, dove invece sono più evidenti le incongruenze, che occorre in qualche modo cominciare progressivamente a ridurre. Bisogna allora tentare di individuare le cause principali che determinano gli effetti di una democrazia che considera il cittadino sempre meno centrale ed i cui processi sono sempre più caotici ed imprevedibili. In tale ambito, il costo del sistema democratico sembra determinare una delle cause più rilevanti che peggiorano la qualità della democrazia. Infatti, per mantenere lo status collegato al ruolo elettivo, con tutti i benefits accessori, i rappresentanti delle istituzioni operano prevalentemente per conservarlo, senza affrontare invece le questioni sociali di maggiore rilevanza. Secondo le interpretazioni correnti, la politica è fortemente condizionata dall’economia,25 ma sono sempre le istituzioni pubbliche che sono predisposte, in un sistema democratico, ad assumere decisioni legittime. Da ciò discende che il primato della politica non può essere mai formalmente messo in discussione. Il tema allora va necessariamente spostato su un'altra dimensione. E cioè sulla capacità del corpo sociale di selezionare, formare ed individuare una classe dirigente che risponda ad un’etica pubblica. Se sono solo i valori economici che muovono l’uomo, questa è una battaglia persa in partenza. Ma la storia dimostra che non è così: i valori spirituali, le ideologie sono anch’esse una dimensione dell’uomo. Bisogna allora pazientemente tessere le fila per costruire sistemi educativi incentrati sui valori della persona, che siano in grado di assicurare il pensiero critico e il discernimento tra valori positivi e valori negativi, tenendo presente che viviamo in un contesto che sembra determinare quello che Gianno Vattimo ha definito il pensiero debole.26 Esistono infatti dei valori che contribuiscono alla elevazione morale, spirituale e materiale

24 A riguardo, le opinioni di K. Popper e J. Dewey espressi in numerosi scritti. 25 Tra i tanti, N. Hertz, La conquista silenziosa, Carocci, Roma 2001 26 G. Vattimo – P. A. Rovatti (a cura), Il pensiero debole, Feltrinelli, Milano 1983

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dell’uomo e valori che non lo sono. Vediamo questa pista di ricerca, appena delineata, dove ci potrebbe condurre.

2. La comunicazione pubblica elemento costituivo della democrazia

Per rendere effettiva la democrazia, dando corpo ad una nuova democrazia,27 un rimedio possibile – forse l’unico - è di puntare sull’educazione dei cittadini e delle classi dirigenti. Processo complesso, ma alla base di ogni possibile inversione di rotta, ipotizzando sistemi educativi che siano così autorevoli ed indipendenti da fare emergere valori condivisi. Pertanto, le scelte pubbliche dovrebbero avere come priorità gli investimenti nel settore dell’educazione e della formazione continua: questa ci sembra potrebbe rappresentare un tentativo per costruire nuove e più civili forme di convivenza e di sviluppo. Infatti, ci si chiede quale destino si schiuda all’umanità nei prossimi anni. I temi di preoccupazione universale, a cominciare dal terrorismo, sono molteplici così come i tentativi di definizione dei fenomeni che si stanno sviluppando. Ribadendo l’incapacità degli scienziati sociali di delineare con sufficiente esattezza le previsioni del futuro, occorre cercare di avere uno sguardo lungo28 che richieda una conoscenza del passato ma anche una non riduttiva e superficiale lettura del presente. Tentativo indispensabile è di evitare la ripetizione di slogans e interpretazioni, pure a volte documentate, che però non sembrano portare da nessuna parte. Districarsi tra la congerie di analisi non è compito semplice, ma cerchiamo di individuare, quali, a nostro avviso, potrebbero essere elementi più rilevanti e di lunga durata, provando a verificarne l’impatto sulle istituzioni democratiche. I bisogni continueranno a muovere sempre di più le azioni degli uomini: quindi la mancanza d’acqua, il sovraffollamento, le ideologie fondamentaliste, la povertà di una parte dell’umanità continuerà ad avere un impatto sempre più sconvolgente sulle società del benessere.

27 G. Spadafora (a cura), John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, cit. 28 L. Ornaghi – V. E. Parsi, Lo sguardo corto, Laterza, Roma-Bari 2001

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Queste ultime invece si dibatteranno con altri problemi: la clonazione umana, le alterazioni genetiche, i diritti civili, la violazione della privacy, la convivenza nelle grandi metropoli, le integrazioni razziali e religiose, la proliferazione nucleare, la tutela ambientale, i modelli sempre più orientati verso il successo e i valori usa e getta. Quello che si delinea è un futuro sempre più convulso, meno definibile, più incerto, ma che nello stesso tempo apre inedite ed enormi possibilità di promozione umana. La condizione indispensabile è che le persone, opportunamente formate da un sistema educativo innovativo, riusciranno a cogliere le nuove opportunità, così come tanti, in tutto il mondo, stanno già facendo. Per fare questo, c’è bisogno che le persone siano dotate di una mente ospitale,29 in grado di gestire l’imprevisto e l’impensabile, attraverso strumenti di comprensione critica e creativa della realtà. I mezzi di comunicazione sempre più interattivi ed integrati consentiranno inedite ed ampie possibilità di partecipazione democratica, di sviluppo economico e di relazioni personali. Tutto ciò con gli inevitabili rischi connessi: la circolazione delle informazioni può indurre al disinteresse pubblico, alle concentrazioni economiche e alla solitudine individuale.30 Inoltre, l’informazione è sempre più mercificata e concentrata dalle imprese private, il cui intento più che quello di comunicare (cioè fornire elementi di comprensione critica della realtà) è quello di realizzare prodotti da vendere e da consumare. In ogni caso, le istituzioni pubbliche avranno compiti sempre più difficili e necessari per regolare la convivenza sociale, per garantire il benessere e la sicurezza delle nazioni. Appunto per questo, occorre che la formazione e la selezione della classe dirigente avvenga tenendo conto anche dell’educazione permanente. La classe dirigente, infatti, deve essere espressione di cittadini che siano educati alla partecipazione democratica ed alla tolleranza, sviluppando fiducia e capitale sociale. In questo senso, diventa essenziale lo strumento della comunicazione pubblica per 29 Definizione di J. L. Borges, contenuta nella frase “Il libro diverrà, inoltre, mezzo per avvicinare i ragazzi a ciò che può apparire”diverso” e ad altre culture, per contribuire a” formare negli adulti di domani una mente ospitale”. 30 Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000

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rendere effettivamente più trasparente il potere politico che, viceversa, tende ancora ad essere più farraginoso e burocratizzato più che facilitare il controllo e la verifica dell’operato della classe dirigente da parte dei cittadini. Soprattutto quest’ultima finalità diventa importante, considerata la estrema difficoltà a regolare in modo preciso, con norme e regolamenti, una vita sociale sempre più veloce ed impetuosa, per cui le classi dirigente saranno portati inevitabilmente ad usare sempre maggiori poteri discrezionali per regolare una società sempre più complessa ed in veloce trasformazione. Va da sé che diventano strategici e necessari la formazione della classe dirigente e il controllo dei cittadini sul loro operato. In questo senso, la comunicazione pubblica diventa sempre più percepita come un elemento costitutivo della costruzione continua della democrazia e caratterizzerà sempre di più i prossimi anni. In conclusione, la società dell’informazione dominata dai media e da internet ha provocato una pluralizzazione delle fonti formative ed informative che, se non ben direzionate ed utilizzate, creano spaesamento al cittadino e allontanamento dalla partecipazione sociale. E appunto per questo la nostra società potrebbe essere anche definita ai limiti del caos, considerata l’imprevedibilità e l’incertezza di questo tempo. Tale stato di cose, nella realtà, anziché aumentare le opportunità per il cittadino, sta determinando l’orientamento condizionato del consenso e lo scollamento fra cittadinanza e governo della cosa pubblica. Diventa allora vitale che le istituzioni garantiscano, attraverso l’uso di una corretta comunicazione pubblica, una partecipazione più attiva usando anche la comunicazione pubblica come strumento strategico per la creazione e lo sviluppo di una reale coscienza critica. Sennonché questo cambiamento non è facile sia per le resistenze interne alle classi dirigenti attualmente al potere, sia perché richiede un nuovo modo di intendere la politica e una nuova formazione della classe dirigente nazionale, nell’ambito di una decisa riqualificazione dell’intero modello educativo della società. Infatti, la maggiore formazione civica, determina inevitabilmente un maggiore controllo dei cittadini sull’operato del potere e pertanto comporta minori costi della politica. Tutto

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questo si riassume in un concetto semplice ma, di fatto, dovunque pochissimo praticato: educazione alla democrazia.31 E la comunicazione pubblica deve fare un salto di qualità, passando dalla forma alla sostanza, dalla burocrazia alla vita. Si domanda retoricamente Giuliano Da Empoli: “Siamo proprio sicuri che non esista, accanto alla gerarchia diurna della conoscenza e della razionalità, una gerarchia notturna fatta di emozione e di sensibilità che convive con essa senza alcun senso di inferiorità? E se così stanno le cose, è possibile affermare che la politica debba rivolgersi solo agli individui razionali che leggono i quotidiani e guardano i telegiornali? O non bisogna, piuttosto, porsi il problema di stabilire un canale di comunicazione anche con chi dorme fino a tardi e si tiene informato con Striscia la notizia? Si può forse nutrire rispetto per chi ritiene che la vita debba adattarsi alla politica. Ma è davvero una buona ragione per coprire d’infamia chi si pone il problema di adeguare la politica alla vita?”32 Pertanto, il grande impegno già nei prossimi anni dovrà essere rivolto in questa direzione: adattare la comunicazione pubblica ai diversi modi di sentire e di comprendere la vita sociale e quindi la democrazia da parte dei singoli cittadini. Tutto questo richiede una rivoluzione copernicana all’interno della pubblica amministrazione che con l’introduzione sempre maggiore delle nuove tecnologie sta cominciando a prendere corpo. Ma la strada è inevitabile, anche se lunga ed accidentata. 3. L’educazione tra democrazia, comunità marginali e meticciato L’educazione e la comunicazione sono l’unico modo per costruire la democrazia. L’educazione è rivolta alla formazione della persona per consentire un ruolo individuale e sociale all’interno della comunità. L’educazione della persona è sia costruzione di un progetto di vita33 che ricerca di senso34 e,

31 J. Dewey, Democrazia e educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996. 32 G. da Empoli, Fuori controllo, Marsilio, Venezia 2005, pag. 123 33 V. Burza, Formazione e persona. Il problema della democrazia, Anicia, Roma 2003, pagg. 168-170 34 Idem, pagg. 170-172

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secondo Martha Nussbaum, è lo strumento che consente la creazione di persone mature che possano migliorare la democrazia. E secondo la studiosa americana possono farlo giudicando criticamente sé stessi, dimostrandosi tolleranti e solidali,35 tenendo conto della complessità degli esseri umani, opponendosi ai pregiudizi e facendo affidamento sulla ragione.36 I nuovi processi richiedono una diversa qualità della democrazia in quanto “oggi la democrazia deve fare un salto di scala – dallo stato nazionale alla dimensione globale – che viene a disancorarla dai significati e dalla pratiche della modernità. Su questa nuova scala globale la democrazia deve essere intesa e praticata in maniera differente. La democrazia non è né la forma politica del capitalismo, ne il comando delle élites burocratiche.”37 All’interno del corpo sociale, vengono individuati coloro i quali possono assumere la direzione della comunità, svolgendo compiti e ruoli nelle istituzioni. Alcuni ricoprono queste funzioni per concorso (come magistrati, professori universitari, medici ospedalieri, notai ed altri), mentre altri vengono scelti direttamente dai cittadini attraverso consultazioni democratiche. Tali meccanismi si vanno riducendo sempre di più al solo momento elettorale e incidono poco nella identificazione della classe politica che viene invece individuata dai sempre più ristretti vertici dei partiti. Inoltre, stanno emergendo opinioni tendenti a ridurre le consultazioni elettorali, con la giustificazione, peraltro vera, che costano troppo.38 Ma i costi eccessivi ed insostenibili, come vedremo successivamente, non sono quelli. Gli elettori, pertanto, non si sentono coinvolti e si rendono conto che la loro partecipazione incide marginalmente sulle scelte pubbliche e quindi sulle loro vite. Appunto per questo intervengono sempre di meno e consentono che le scelte vengano assunte dai più politicizzati e, sempre più spesso, da chi ha interessi diretti e specifici da tutelare. In tale contesto, i media, come agenti di formazione

35 M. C. Nussbaum, Coltivare l’umanità, Carocci, Roma 2003, pagg. 333-334 36 Idem, pag. 95 37 M. Hardt – A. Negri, Moltitudine, cit., pagg. 273-4 38 G. Rossini, Democrazia ed elezioni: un rapporto da migliorare” in Italianieuropei, n. 3/2005, pagg. 32-42

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del discorso pubblico, hanno evidentemente un ruolo fondamentale. La capacità di interpretazione dei media e la selezione critica delle informazioni è decisiva per ogni singola persona, che è sommersa in tempi sempre più ristretti da un numero sempre maggiore di informazioni, determinando una sempre più complessa formazione di un pensiero critico. In base ad una recente ricerca dell’OCSE, la capacità di interpretazione della lettura degli studenti italiani è tra le più basse dell’Unione Europea.39 E tutto questo non può che avere riflessi anche sulla qualità della partecipazione democratica. La formazione scolastica dovrebbe comportare due ricadute positive all’interno del contesto sociale: sviluppo economico e senso civico. In Italia, la tendenza è diversa. Infatti, c’è un caso emblematico che è quello della Calabria, dove, in base all’ultimo censimento dell’ISTAT del 2001, il 7.4% dei cittadini sono in possesso della laurea. Un numero assai elevato che pone la Calabria quale terza in Italia come numero di laureati in termini percentuali rispetto alla popolazione.40 Tale dato sull’istruzione, però incide solo marginalmente a livello economico, in quanto la Calabria è la regione fanalino di coda dello sviluppo nazionale, con la maggiore percentuale d’Europa di giovani disoccupati, la minore quota di export ed altro. Dal punto di vista sociale, non solo permane il minore senso civico, attestato già da una ricerca ancora valida di Robert D. Putnam,41 ma si registra anche la minore partecipazione elettorale,42 nonché la presenza dell’organizzazione criminale più pericolosa e pervasiva d’Italia, la ndrangheta. Ed il tutto convive con il maggior numero di

39 Si fa riferimento alla ricerca Pisa (Programme for International Student Assessment) svolta dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). E’ un’indagine internazionale che si rivolge a una popolazione di quindicenni, cioè quella fascia di età successiva alla conclusione della scuola di base e coinvolge 250 mila soggetti. L'indagine Pisa, che coinvolge trenta Paesi e che si svolge con cadenza triennale, ha come obiettivo principale la valutazione della comprensione della lettura. Sono state previste cinque scale di competenza funzionale di lettura, basandosi su tre processi: individuazione delle informazioni, interpretazione del testo, valutazione del testo. Maggiori notizie si trovano in www.funzioniobiettivo.it 40 ISTAT, Censimento 2001 in www.istat.it 41 R. D. Putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993 42 Ribadito nel referendum del 12-13 giugno 2005, con il 12.7% dei votanti

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evasione scolastica d’Italia.43 E’ quindi evidente, che il titolo di studio risponda a scelte obbligate dovute soprattutto all’assenza di alternative locali al lavoro piuttosto che ad un desiderio di acculturazione e miglioramento sociale. Una maggiore qualità dell’istruzione può essere una risposta possibile, in un contesto territoriale destinato ad essere nei prossimi anni al centro del bacino del Mediterraneo che sarà l’area di libero scambio più estesa del pianeta. Con questi processi di globalizzazione in atto, saranno richieste professionalità di alto profilo e con competenze diverse, a cominciare da quelle linguistiche. La formazione continua e l’educazione permanente, ossia la costante attività di apprendimento che la persona realizza in tutti i campi delle esperienze, attraverso l’autoformazione e gli strumenti di e-learning, sono un orizzonte col quale bisogna prendere l’abitudine. Le nuove tecnologie, determinando la fine delle distanze, possono consentire anche alle località marginali di partecipare in modo più consapevole ed incisivo nello sviluppo dei territori e delle nazioni. In tale quadro, partendo dall’analisi e dai concetti di Raffaele Laporta, si possono comportare sviluppi decisivi. Gli enti locali hanno una funzione centrale nei sistemi formativi, dando vita alla città educativa, all’interno della quale si viene idealmente a delineare un quadrilatero del quale, secondo quanto sostengono Franca Pinto Minerva e Franco Frabboni, i comuni rappresentano uno dei riferimenti insostituibili.44 In tale quadro, Laporta delinea l’autoeducazione della comunità che tende all’autonomia dei singoli soggetti.45 E’ un progetto pedagogico e democratico, in quanto “l’azione educativa per sua stessa natura è finalizzata al cambiamento di una situazione iniziale.”46 E’ un approccio antropologico e culturale per una “teoria empirica dell’educazione”, avendo ben presente che, facendo riferimento al suo ambito di analisi che, nel caso specifico, era il 43 ISTAT, Censimento 2001 in www.istat.it 44 F. Frabboni - F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari 2001, pagg. 536-545 45 P. Orefice, L’educazione delle comunità locali marginali: nota introduttiva all’approccio empirico laportiano in AA.VV., Le frontiere dell’educazione. Scritti in onore di Raffaele Laporta, La Nuova Italia, Firenze 1992, pag. 441 46 Idem, pag. 433

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Mezzogiorno, non tutte le comunità sono disposte intimamente ad essere animate e salvate.47 Infatti, l’intervento educativo non può prescindere dai caratteri profondi della “personalità di base” della comunità locale.48 Occorre allora attivare dinamiche per favorire i processi interni di cambiamento attraverso la creatività individuale e sociale e per fare questo è necessario preliminarmente creare le condizioni necessarie.49 Infatti, la creatività delle comunità marginali è “il fine del progetto pedagogico”, ma anche una “strategia di lavoro” per fare dialogare la cultura esterna con quella interna.50 Questo approccio, ci aiuta a capovolgere la logica dell’assimilazione culturale, invertendo il consolidato rapporto tra centro e periferia attraverso l‘utilizzo della rete,51 che richiede educazione per poter promuovere un rapido, efficace e duraturo cambiamento. Tali teorie, esposte in modo compiuto da Raffaele Laporta nel fondamentale saggio L’autoeducazione delle comunità,52 possono essere attualizzate in modo molto più esteso in quanto i Sud sono sempre tanti. In tale quadro, le nuove tecnologie possono costruire orizzonti più ampi per una più effettiva democrazia.53 Una possibilità di rivitalizzazione della democrazia è certamente rappresentata da quei soggetti che sono finora rimasti ai margini dello sviluppo e della cultura dominante ma che oggi, grazie anche all’utilizzo degli strumenti di comunicazione, possono immettere creativamente prodotti culturali autonomi nella cultura ufficiale. A ciò si aggiunga il contesto multietnico e multiculturale che sta segnando sempre di più i processi della globalizzazione. Tali fenomeni tendono a promuovere una sorta di integrazione, di meticciato54 che valorizzi ed integri tutti gli apporti di persone e comunità, pur mantenendo le indispensabili identità e storie. In tale contesto,

47 Idem, pagg. 439-440 48 Idem, pag. 441 49 Idem, pagg. 442-444 50 Idem, pag. 442 51 F. Cairncross, La fine delle distanze, Egea, Milano 2002 52 R. Laporta, L’autoeducazione delle comunità, La Nuova Italia, Firenze 1979 53 B. Barber, Passion for democracy, Princeton University Press, Princeton 1998, pagg. 226 e segg. 54 Con questo termine si intende l’incontro e l’incrocio tra razze diverse

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anche le istituzioni scolastiche riacquistano un ruolo centrale.55 Anche internet svolge una funzione decisiva. A proposito, sostiene Umberto Eco: “Per affrontare il grande meticciato del terzo millennio e per stimolare e ridistribuire esperienze in paesi diversi, Internet è l'unica via. Il computer e Internet sono la vera rivoluzione del secolo, che può modificare, come a suo tempo la stampa, il nostro modo di pensare e di apprendere.”56 Pertanto, “sedotti dal turbinio telematico non rimane che rassegnarsi al meticciato selvaggio, ovvero allo smarrimento dell'identità culturale.”57 Quella del meticciato è una possibilità per alcuni, un’inevitabilità per altri, un rischio per altri ancora, una minaccia per molti. Intenderei spostare l’asse, non solo nominalistico, e riportare il concetto di creolizzazione che supera e contiene quello di meticciato. Infatti, per il poeta della Martinica Edouard Glissant “la creolizzazione è imprevedibile mentre gli effetti del meticciato si possono calcolare. La creolizzazione è il meticciato con il valore aggiunto dell’imprevisto. Ecco perché il termine ‘creolizzazione’ si applica alla situazione attuale del mondo” 58, aggiungendo anche che l’ 55 “La scuola deve essere la sede in cui ci si forma alla laicità, come coscienza di non poter assolutizzare nessun credo particolare e come premessa alla “contaminazione” e al “meticciato” tra le culture, perciò deve essere libera dalle ingerenze delle centrali confessionali o ideologiche: chiese e partiti, ministero e assessorati.” M. Vigli, Laicità in http://www.cespbo.it/testi/controlessico/laicita.htm 56 F. Latrive – A. Rivoire, Come evitare che Internet divida il mondo in caste, in “La Repubblica” dell’ 8 gennaio 2000 Pagina 13. L’occhiello recita: “Eco: la cultura corre on line chi non si adegua è perduto”, mentre il sottotitolo dice: “Il computer ha cambiato la nostra vita. Ma le sue potenzialità vanno sfruttate da tutti” 57 “Una visione che conduce diritto al pessimismo materialista di Eco: l'uomo e' immerso in un caos di segni e immagini che rendono impossibili la cultura e i valori come li abbiamo conosciuti in passato. Sedotti dal turbinio telematico non rimane che rassegnarsi al meticciato selvaggio, ovvero allo smarrimento dell'identità culturale. Il romanzo si sposta infatti dall'Italia al Brasile, luogo di meticciato, di ibridazione incontrollata di culti e sette provenienti dal popolo, che contaminano e abbattono la cultura tradizionale. Eco si lancia in un elogio dei culti artificiali brasiliani, metafora del sincretismo postmoderno: "Le potenze del sincretismo sono infinite [...] e' il loro modo di opporsi alle forze dominanti". E' il modello di Luther Blissett: tribù metropolitane di subculture irrazionali che assediano la Cultura. Caos in cui gongola il Multiplo Eco”. K.M.A., Il nome multiplo di Umberto Eco, L'egemonia culturale della sinistra da Gramsci a Internet in http://www.lutherblissett.net/archive/246_it.html 58 E. Glissant riportato in L. Binni, Introduzione a Identità & Nomadismo, Silvana Editoriale, Milano 2005, pag. 14. Riportiamo integralmente il testo, particolarmente interessante: “Perché creolizzazione e non meticciato? – dalla Martinica ci insegna – La creolizzazione è imprevedibile mentre gli effetti del meticciato si possono calcolare. La

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“inatteso” è una ricorrente degli accadimenti che definiscono l’epoca contemporanea.59 Sulla complessità degli obiettivi educativi si sofferma Jerome Bruner, utilizzando tre antinomie, che più che contrapporsi si arricchiscono a vicenda, attraverso una non semplice ma necessaria ricerca di un punto di equilibrio. Le contraddizioni sono rappresentate dalla “realizzazione individuale contro la conservazione della cultura; dalla centralità del talento contro la centralità degli strumenti e dall’antinomia del particolarismo contro l’universalismo. E’ impossibile trovare la giusta misura basandosi solo su uno dei due lati di un’antinomia, e queste tre non fanno eccezione. Dobbiamo puntare alla realizzazione delle potenzialità individuali, ma abbiamo anche l’esigenza di mantenere l’integrità e la stabilità di una cultura. Dobbiamo riconoscere le enormi differenze di talenti naturali, ma dobbiamo fornire a tutti gli strumenti della cultura. Dobbiamo rispettare l’unicità delle identità e delle esperienze locali, ma non possiamo difendere la nostra coesione come popolo se il costo dell’identità locale è

creolizzazione è il meticciato con il valore aggiunto dell’imprevisto. Ecco perché credo che il termine ‘creolizzazione’ si applichi alla situazione attuale del mondo, cioè alla situazione di una ‘totalità terra’, infine realizzata, che permette che all’interno di questa totalità (in cui non c’è più alcuna autorità ‘organica’ e dove tutto è arcipelago) gli elementi culturali più lontani ed eterogenei possano, in alcune circostanze, essere messi in relazione. Con risultati imprevedibili. Credo che ciò significhi uscire dall’identità a radice unica ed entrare nella verità della creolizzazione del mondo. Credo che bisognerà avvicinarsi al pensiero della traccia, a un non-sistema di pensiero che non sarà dominatore, né sistematico, né imponente, ma che sarà forse un non-sistema di pensiero intuitivo, fragile, ambiguo che si adatterà particolarmente alla straordinaria complessità e alla straordinaria molteplicità del mondo in cui viviamo. Attraversato e sostenuto dalla traccia, il paesaggio smette di essere uno sfondo convenzionale e diventa un personaggio del dramma della Relazione. Non si tratta più di un contenitore passivo della Narrazione onnipotente, ma della dimensione mutevole e durevole di ogni cambiamento e di ogni scambio”. E’ una traccia il graffito, è una traccia il suono, è una traccia l’incontro tra il respiro e il tam tam del battito cardiaco. E’ una traccia la parola rivoltata, la rivolta del pensiero liberato, dentro e fuori di sé, de-lirando con metodo e con scienza, de-viando percorsi criminali, de-generando con abili passioni. Fuoco! Albe rosse di nuovo e guance in fiamme. Il sangue agli occhi, l’indignazione, la ribellione giusta, la rivolta sottile con ironica gioia, sapiente indifferenza, implacabile presenza. Continuando a cercare, ora e sempre l’oro del tempo e il tempio azzurro d’acqua, il sole dei morti e la nube infuocata, il battito cardiaco dei mondi e il silenzio sottile, la pietra che parla lingue oscure, la risata che annuncia sepolture e l’intreccio dei corpi, le parole che fanno l’amore con inattesi suoni, la voce che sale dalle antiche vite, l’attimo eterno della mano che sfiora l’aria”. 59 Il pensiero di E. Glissant si trova in E. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 2004

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una torre di Babele culturale”.60 La democrazia per Dewey è una ricerca che deve tendere alla progressiva ricerca di forme di vita sempre più ordinate in cui tutti, con intelligenza, possano fruire delle cose in comune. Dewey scriveva nel 1929 che “un individuo può farsi da sé la sua strada nella foresta; ma le strade maestre sono di solito di interesse pubblico; senza strade da percorrere liberamente gli uomini potrebbero essere paragonati a dei profughi su di un’isola deserta.”61 Quindi diventa fondamentale che gli individui costruiscano percorsi che consentano a tutti l’autorealizzazione personale, assicurando uguali condizioni di partenza. Dewey individuò molti anni fa il problema centrale delle democrazie del futuro, che consiste nelle nuove forme di eguaglianza che possono stabilirsi in relazione all’accesso ed al controllo dell’informazione e del sapere. In tale contesto, le strutture educative devono essere raffinate nello svolgere le proprie funzioni tenendo conto della complessità della funzione educativa. Proprio nell’uso e nell’esercizio della democrazia in una società ai limiti del caos, l’educazione svolge inevitabilmente un ruolo fondamentale, promuovendo il pensiero critico. Pertanto, il cittadino che sviluppi le proprie capacità critiche preserva la democrazia dagli attacchi del potere e stimola il potere stesso verso una maggiore trasparenza ed efficienza. Parlando dello studioso americano, riportiamo l’attenzione sulle strutture educative in un contesto dove la scuola sembra aver smarrito la sua centralità, le agenzie formative si sono moltiplicate e il potere assume forme sempre più raffinate, utilizzando anche l’informativa che anziché promuovere tende ad omologare. La comunicazione pubblica diventa allora uno strumento strategico per la comunità ed i cittadini, come Dewey, già ottanta anni fa, aveva ben individuato.62

60 J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2004, pagg. 82-83. Più estesa è la descrizione delle antinomie nelle precedenti pagg. 79-82, alle quali rimandiamo per approfondimenti 61 J. Dewey, Comunità e potere, La Nuova Italia, Firenze 1971, pag. 48 62 G. Spadafora (a cura), John Dewey. Una nuova democrazia per il XXI secolo, cit., pag. 187

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4. La democrazia nella società del rischio e del caos Dopo le premesse contenute nei paragrafi recenti,

affrontiamo il tema centrale: come l’educazione alla democrazia può consentire di orientarci in questa che abbiamo definito società del caos. Vista l’incertezza che determina i comportamenti individuali e sociali, e, se vogliamo estendere l’orizzonte, anche climatici, oggi tutto sembra possibile, difficilmente inquadrabile e quindi prevedibile. Ma questo paradossalmente comporta anche sul piano delle relazioni sociali una sorta di conservazione del potere.63 Ma una chiave interpretativa nota è la teoria della società del rischio di Ulrich Beck. Sostiene infatti il sociologo tedesco:“In contrasto con tutte le epoche precedenti, la società del rischio è caratterizzata essenzialmente da una mancanza: l’impossibilità di un’imputabilità esterna delle situazioni di pericolo. La società odierna nel fronteggiare i rischi è messa a confronto con se stessa. I rischi sono il riflesso delle azioni ed omissioni umane. L’origine dei rischi che inquietano gli uomini non sta dunque più nell’esterno, nell’estraneo, nel non-umano, ma nella capacità storicamente acquisita dall’uomo, di autocambiamento, di autocostruzione e di autoannientamento delle condizioni riproduttive di tutta la vita su questa Terra. Ciò significa che la fonte del pericolo non è più l’ignoranza ma la conoscenza”.64 Inoltre, il sociologo tedesco sostiene la tesi che i cambiamenti e le decisioni sociali non sono il frutto di scelte politiche ma è il risultato di “cambiamenti febbrili nel sistema tecnico-economico, che sottopongono l’immaginazione umana ad una prova di coraggio”.65 Dal punto di vista educativo, ciò comporta

63 “La caducità, la friabilità, l’inconsistenza e la provvisorietà dei legami e delle reti di interazione umana rafforzano e garantiscono l’invincibilità dei poteri attuali”. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002, pag. 32 64 U. Beck, La società del rischio, cit., pag. 255 65 Idem, pag. 258. Nelle pagine successive Beck, scrive: “Mentre (durante lo Stato sociale n.d.) la politica aveva assunto i potenziali di potere dello “stato interventista”, ora il potenziale della strutturazione della società si trasferisce dal sistema politico al sistema sub-politico della modernizzazione tecnico-scientifico-economicoa. Si verifica un precario capovolgimento di politica e non-politica. Il politico diventa impolitico e l’impolitico politico…Nel progetto dello stato sociale la politica era stata capace, in virtù dell’intervento politico sulle dinamiche del mercato, di sviluppare e mantenere una relativa autonomia rispetto al sistema tecnico-economico. Ora, al contrario, il sistema

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un ripensamento profondo degli attuali sistemi, poiché assistiamo a ricadute estremamente contraddittorie. Da un lato, i progressi tecnologici sono sempre più impetuosi e l’alfabetizzazione non è mai stata così diffusa in tutto il pianeta, sia nelle nazioni sviluppate che in quelle meno. Dall’altro, la qualità di base dell’istruzione è mediamente molto più bassa rispetto al passato e ciò determina due fenomeni che non si possono trascurare: la minore qualità media – per non dire senso etico – della classe dirigente e una sostanziale opacità del potere, ottenuta proprio attraverso la comunicazione. Infatti, quello che fa il potere è spesso davanti agli occhi di tutti ma è confuso in una congerie di dati che di fatto rendono non comprensibile quello che avviene. Certamente i cambiamenti rapidissimi richiedono capacità di comprensione e di adattamento, che gli attuali sistemi educativi certamente hanno in misura estremamente ridotta. A proposito, scrive Edgar Morin: “Le scienze ci hanno fatto acquisire molte certezze ma nel corso del XX secolo ci hanno anche rivelato innumerevoli campi d’incertezza. L’insegnamento dovrebbe comprendere un insegnamento delle incertezze che sono apparse nelle scienze fisiche (microfisica, termodinamica, cosmologia), nelle scienze dell’evoluzione biologica e nelle scienze storiche. Si dovrebbero insegnare i principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto, e di modificarne l’evoluzione grazie alle informazioni acquisite nel corso dell’azione. Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza. La formula del poeta greco Euripide, antica di venticinque secoli, è più attuale che mai: “L’atteso non si compie, all’inatteso un dio apre la via”. L’abbandono delle concezioni deterministe della storia umana, che credevano di poter predire il nostro futuro, l’esame dei grandi eventi del nostro secolo che furono tutti inattesi, il carattere ormai ignoto dell’avventura umana devono incitarci a predisporre la mente ad aspettarsi l’inatteso per affrontarlo. E’ necessario che tutti politico rischia di essere esautorato mentre resta viva la sua costituzione democratica. Le istituzioni politiche diventano amministratrici di uno sviluppo che non hanno pianificato né sono in grado di strutturare, ma che nondimeno devono in qualche modo giustificare”. Idem, pagg. 259-260

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coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell’incertezza del nostro tempo”.66 Il pianeta è diventato più piccolo grazie alle reti di comunicazione, reali e virtuali, e ciò, naturalmente comporta sia rischi che opportunità. Va da sé che ogni fenomeno vada inserito nel contesto, all’interno del quale i concetti della teoria del caos e della società del rischio potrebbe dare qualche utile possibilità di comprensione, piuttosto che tra le tante che vengono comunemente usate, come società dell’informazione, o civiltà dell’immagine o di società dello spettacolo.67 Infatti, la teoria del caos, spostando il piano della ricerca dalla centralità delle cose alla loro relazione, sottolinea come lo sviluppo dei fenomeni, da quelli fisici, biologici e naturali a quelli scientifici, sociali ed esistenziali, sia il risultato dell’interazione tra l’individuo e il contesto che stanno insieme e contemporaneamente cambiando. Una sintesi fu metaforicamente presentata il 29 dicembre 1979 dal fisico Edward Lorenz che nella Conferenza annuale della American Association for the Advancement of Science, presentò una relazione in cui ipotizzava come il battito delle ali di una farfalla in Brasile, a séguito di una catena di eventi, potesse provocare un uragano nel Texas. Da questa originale intuizione, prese il nome il cosiddetto butterfly effect, il suggestivo effetto farfalla. Tale teoria, detta anche della complessità, nasce come conseguenza della crisi della concezione classica razionalista, basata sul modello di scienza elaborato dai grandi fondatori del pensiero scientifico e filosofico occidentale. In tale contesto, il pensiero neocons, che indirizza attualmente la politica statunitense, offre delle indicazioni che occorre conoscere, in quanto segnano lo svolgimento degli eventi a livello planetario. Robert Kagan e William Kristol: “Il mondo dominato dall’America emerso dopo la Guerra fredda è un mondo più giusto di ogni immaginabile alternativa. Un mondo multipolare, in cui il potere sia suddiviso più equamente tra le grandi

66 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, pagg. 13-14 67 G. Debord, La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano 1997

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potenze (incluse Cina e Russia), sarebbe molto più pericoloso e molto meno congeniale alla democrazia e alle libertà individuali. Gli americani dovrebbero capire che il loro sostegno alla supremazia statunitense è il maggior contributo alla giustizia internazionale che un popolo possa fornire”.68 Il mondo è sempre più dominato dalle incertezze, che richiedono soprattutto processi educativi che consentano alle persone di potersi orientare nel mondo. A riguardo scrive Edgar Morin: “L’insegnamento dovrebbe comprendere un insegnamento delle incertezze che sono apparse nelle scienze fisiche, nelle scienze dell’evoluzione biologica e nelle scienze storiche. Principi di strategia che permettano di affrontare i rischi, l’inatteso e l’incerto. Bisogna apprendere a navigare in un oceano d’incertezze attraverso arcipelaghi di certezza. L’abbandono delle concezioni deterministiche della storia umana che credevano di poter predire il nostro futuro, l’esame dei grandi eventi del nostro secolo che furono tutti inattesi, il carattere ormai ignoto dell’avventura umana devono incitarci a predisporre la mente ad aspettarsi l’inatteso per affrontarlo. È necessario che tutti coloro che hanno il compito di insegnare si portino negli avamposti dell’incertezza del nostro tempo”.69 5. I costi della democrazia e della politica

Tra le tendenze che stanno emergendo per garantire maggiore efficienza alla democrazia, emergono soluzioni, alla prova dei fatti, discutibili: rafforzare il potere esecutivo per assicurare maggiore stabilità ai governi, personalizzazione del confronto politico per orientare con maggiore chiarezza gli elettori, decentrare il potere per consentire maggiori controlli da parte dei cittadini. Tali tendenze rischiano di ottenere l’effetto esattamente opposto rispetto ai problemi che intenderebbero risolvere, finendo col sovrapporsi, accentuando una più profonda astensione elettorale ed una propensione al voto

68 R. Kagan – W. Kristol, Il pericolo odierno, in J. Lobe – A-. Olivieri (a cura), I nuovi rivoluzionari, Feltrinelli, Milano 2003, pag. 63 69 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., pag.

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emotivo da parte degli elettori.70 Si è visto ripetutamente che il consenso popolare può essere diversamente manipolato e non può assolutamente definirsi democratico un sistema soltanto perché i rappresentanti delle istituzioni vengono individuati attraverso le elezioni.71 Infatti non sempre la democrazia contempla la libertà, in quanto nei paesi in via di sviluppo attraverso le elezioni si sono individuati rappresentanti che hanno imposto dittature; nei paesi occidentali i risultati vengono fortemente influenzati dalle lobbies, dal denaro e dai condizionamenti dei media. Prima ancora di discutere se il Parlamento sia o meno svuotato di poteri e rischi di trasformarsi di una dittatura elettiva della maggioranza,72 è ancora più importante analizzare e riflettere precedentemente sul meccanismo di individuazione dei candidati da parte delle forze politiche e delle coalizioni. La pratica concreta del sistema democratico ci pone di fronte ad una serie di effetti che, con gradualità differente, caratterizzano il sistema: partiti espressioni di ristrette oligarchie di professionisti della politica, candidati nominati e non eletti, meccanismi elettorali che non prevedono il quorum per la validità delle elezioni, difficoltà di ricambio a causa dei costi della politica,73 insufficienze ormai croniche nel processo di formazione ed educazione della classe dirigente, disinteresse sempre più marcato del corpo elettorale nei confronti della vita pubblica, interessi corporativi più

70 Sebbene in condizioni particolari dovute all’attentato di Madrid dell’11 marzo 2004, è eclatante il risultato delle elezioni politiche spagnole del 2004. A riguardo, J. J. Sánchez Aranda, Spagna, una vittoria sinistra, in “Il Domenicale”, sabato 1 maggio 2004, pagg. 1-2. “La reazione emozionale della società spagnola davanti al massacro madrileno ha raggiunto dimensioni clamorose. ..A sangue caldo si andò a votare e le urne rigurgitarono risultati sorprendenti per tutti, sia per gli spagnoli che per gli stranieri. Fino al 10 marzo nemmeno i dirigenti del PSOE potevano pensare che sarebbero tornati a governare così presto…Quel ribaltone si poteva spiegare soltanto con quanto era accaduto dopo il massacro terroristico. ..Tutti i sondaggi divulgati fino ad allora, nessuno escluso, avevano indicato che il PP era il primo partito nelle intenzioni di voto. A seconda dell’agenzia incaricata la differenza era maggiore o minore. In ogni caso, nessuno avrebbe scommesso su un trionfo socialista”. 71 F. Zakaria, Democrazia senza libertà, cit., 72 M. Bovero, Contro il governo dei peggiori. Una grammatica della democrazia, Roma-Bari, Laterza 2000. L’autore constata un Parlamento di fatto svuotato di poteri, simulacro di una democrazia forse spesso soltanto formale. 73 N. Hertz, La conquista silenziosa, Carocci, Roma 2000

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accentuati ed organizzati, scarsità delle risorse pubbliche, manipolazione dei media. Questi elementi, insieme ad altri, rischiano nella sostanza di capovolgere le democrazie nel loro contrario. Infatti, Fareed Zakaria sostiene che nel mondo si sta affermando un tipo di democrazia senza libertà, in cui la circostanza che si svolgano le elezioni di per sé non è completamente significativo. In questo modo, nei Paesi avanzati c’è il rischio che attraverso le manipolazioni dei media siano le lobbies ad orientare significativamente il consenso dei cittadini mentre nei Paesi in via di sviluppo attraverso il sistema delle elezioni possono salire al potere estremismi e fondamentalismi.74 L’insufficienza del sistema democratico richiede più che analisi teoriche, pure importanti, verifiche pratiche su quanto concretamente avviene. I costi della politica sono eccessivi ed elevati in quasi tutte le democrazie e questo potrebbe rappresentare un elemento di freno al cambiamento. Nel sistema italiano sembra essere inequivocabilmente così, per le altre realtà nazionali occorrerebbe svolgere delle indagini e delle ricerche. Cerchiamo di individuare tre aree, per identificare i costi della politica: il finanziamento pubblico, il costo delle istituzioni, quello che ruota attorno alle istituzioni. Il 18 aprile 1993 con la percentuale del 90% i cittadini hanno abolito il finanziamento pubblico ai partiti, mentre oggi a dodici anni di distanza vengono corrisposti 5 euro a voto per partito.75 Stando a recenti ricerche, sono circa 292.000 le persone che vivono in gran parte di politica, dei quali 159.000 eletti democraticamente. Sinteticamente si possono così suddividere: 630 deputati, 320 senatori, 77 europarlamentari, 1.600 assistenti parlamentari, 154 assistenti dei parlamentari europei 600 i dipendenti dei 16 partiti italiani tra collaboratori e fissi, 130.000 i dipendenti delle strutture locali dei partiti, 15.000 i consiglieri circoscrizionali, 139.902 amministratori comunali, 3.633 amministratori provinciali, 378 amministratori regionali.76 Le indennità dei deputati ammontano, tra stipendi, diarie, 74 F. Zakaria, Democrazia senza libertà, cit. 75 Il 18 aprile 1993 con la percentuale del 90% i cittadini hanno abolito il finanziamento pubblico ai partiti. 76 B. Romano, Chi vive di politica, in “Libero” del 31 agosto 2005, pag. 8

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rimborsi spese, assistenti parlamentari ed altro, a circa 18 mila euro mensili, a cui si aggiungono il trattamento di fine mandato e quello pensionistico, abbastanza elevato in quanto è commisurato allo stipendio anche per chi ha svolto una sola legislatura.77 La sola Camera dei Deputati costerà nel 2005 1.461,5 milioni di euro. I dipendenti di Camera e Senato erano 294 nel 1920, saliti a 560 nel 1950 e a 2.800 più 1.700 assistenti parlamentari nel 1998.78 In media, un dipendente del Parlamento guadagna oltre il doppio di un dipendente pubblico che svolge pari mansioni. Per quanto riguarda le liquidazioni dei dipendenti, il caso limite è rappresentato da una stenografa capo servizio che ha avuto una liquidazione di 1 miliardo e 300 milioni.79 In tutto il Parlamento Europeo, quelli italiani sono al primo posto con 144.000 € annui (12.000 € mensili), a fronte dei 7.369 € annui (615 € al mese) che percepiscono i polacchi, mentre gli spagnoli percepiscono 35.000 € annui (2.900 € al mese) ed i 63.000 € annui (5.200 € al mese) dei francesi.80 A ciò occorre aggiungere le strutture burocratiche. A cominciare dal Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica, dove, in base a dati del 1998, operano, a vario titolo, oltre 2.000 dipendenti. Un numero che, sempre confrontati nel 1998, è quattro volte superiore a quello della Casa Bianca (466), di tre volte quello dell’Eliseo (631), di quasi quattro volte della Reggia di Madrid (543), di sette volte a quello di Buckingham Palace (299). In coda, il Capo dello Stato dell’Olanda, la Regina, con 20 dipendenti ed il Presidente della Repubblica irlandese con 12. I costi sono di conseguenza. Il Quirinale, sempre con dati del 1998, è di 245 miliardi di vecchie lire, a fronte per esempio di 60 milioni di lire il bilancio della Corona del Regno di Gran Bretagna. Nel dettaglio, non è possibile, “per consuetudine costituzionale”, avere le spese sostenute dal Quirinale, mentre i costi di Buckingham Palace o della Presidenza della Repubblica

77 Vedi www.camera.it nella sezione deputati e poi trattamento economico 78 R. Costa, L’Italia degli sprechi, Mondadori, Milano 1998, pag. 242 79 Idem, pag. 243 80 Articolo senza firma, Eurodeputati: stipendi, vincono gli italiani , in “Corriere della Sera” del 9.6.2005

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Tedesca è possibile averli dietro l’invio di un semplice fax.81 Per quanto attiene le Regioni, non si hanno dati sistematici in quanto ogni regione legifera e programma da sé. C’è una premessa da fare. Secondo Antonio Meccanico, la prima delle cinque misure che “hanno rovinato l’Italia” consiste proprio nel “varo delle Regioni, sganciato da ogni raccordo effettivo con lo Stato centrale” che rappresentò “l’inizio di una moltiplicazione senza freni di burocrazie, privilegi e spesa improduttiva.”82 Una riflessione molto attenta sui costi delle regioni è stata svolta da Sabino Cassese che sostiene: “Si è cominciato, prima delle elezioni, aumentando il numero dei consiglieri regionali. Si continua ora moltiplicando assessori, commissioni consiliari, posti di “capo dell’opposizione”, altre cariche, tutti dotati di indennità, segretari, uffici, telefoni, automobili con autisti, intanto continua la conflittualità Stato-Regioni. Prima delle ultime elezioni, il numero dei consiglieri regionali è complessivamente aumentato di più 120: considerato che mediamente una Regione ha 60 consiglieri, è come se avessimo aggiunto altre due Regioni alle 20 esistenti. Ce n’era effettivo bisogno? O non c’era, piuttosto, bisogno di una riduzione del numero dei consiglieri, visto che le funzioni dei consigli sono diminuite, non aumentate? Riesce difficile dire cosa siano, oggi, le Regioni. Si sono impadronite della sanità, messa alla mercè delle fazioni locali. Hanno accresciuto le partecipazioni, mentre quelle statali venivano smantellate. Concentrano poteri sul territorio, a danno degli enti locali e della competitività del Paese. Moltiplicano posti di sottogoverno, vuoti di funzioni. Aumentano a dismisura i processi delle decisioni pubbliche. Condizionano i più minuti provvedimenti nazionali. Attraverso la conferenza Stato-Regioni. Dovevano contribuire a risolvere i problemi dello Stato. Sono, al contrario, divenute esse stesse un problema.”83 L’attuazione del federalismo sembra avere accentuato l’irresponsabilità degli amministratori regionali, con

81 R. Costa, L’Italia degli sprechi, cit., pagg. 267-274 82 Citato in R. Napoletano, Fardelli d’Italia, Sperling & Kupfer, Milano 2005, pag. 63 83 S. Cassese,Quelle Regioni moltiplicate, in “Corriere della Sera” del 19 luglio 2005,pag. 1

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un aumento esponenziale dei costi negli ultimi anni,84 oltre all’aumento del numero dei consiglieri regionali e sistemi elettorali quanto meno discutibili che eliminano le preferenze e propongono le liste bloccate, annullando ogni possibilità di scelta dell’elettore e concentrando tutto il potere nelle segreterie dei partiti.85 A ciò si aggiunga tutto ciò che ruota attorno alla politica a livello centrale, regionale, locale, con la miriade di enti e municipalizzate collegate, oltre alle forze politiche. Tutti questi comportamenti e questi costi sono previsti da leggi e quindi sono sotto gli occhi di tutti, che considerano assolutamente normali tali costi e tali comportamenti. Quando qualcuno esagera, si accende qualche polemica estiva che vista la stagione, dura poco e subito rientra. Pertanto, il problema non è il potere occulto ma il il potere evidente e nell’overdose di informazioni in cui siamo immersi tutto scorre. Il tema allora è la selezione della classe dirigente politica, che avviene attraverso partiti sempre più oligarchici, dove sempre di meno decidono per tutti. Gli elettori, di conseguenza, si dimostrano sempre più distratti,86 tenendo conto che i deputati vengono individuati a tavolino a livello centrale sulla base dei sondaggi preventivi. La creazione di una nuova classe dirigente richiede interventi strutturali, che attengano da un lato alla formazione delle élites e della leadership e dall’altro ad un’attenta valutazione dei costi della politica. A tale riguardo, una maggiore comunicazione pubblica certamente rappresenta uno strumento critico ed educazione ai media. L’ipotesi che mi

84 Il debito degli enti locali e passato dal 3% del 2000 al 5,3 % del 2004 ed è destinato ad aumentare nei prossimi anni (Dichiarazione all’Ansa del 7.7.2005 del Direttore Generale per il debito pubblico del Tesoro Maria Cannata). Tra il 1999 e il 2004 la spesa delle regioni è aumentata 6,5 % all’anno (32,5% in 5 anni), dell’ 11,5% all’anno per le Province (57,5% in 5 anni) e del 4,6 all’anno per i Comuni (23% in 5 anni). Dati riportati da Giampaolo Pansa su “L’’Espresso” del 28 luglio 2005. Il debito delle Regioni dal 1999 al 2003 è aumentato del 100% (Dichiarazione di Francesco Staderini, Presidente Corte dei Conti, audizione al Senato nel marzo 2004) 85 E’ il caso della legge elettorale della Toscana, che annulla i voti di preferenza nelle liste proporzionali e prevede lo sbarramento per le liste. Legge regionale n. 25 del 13.5.2004. 86 Per esempio, nell’elezione suppletiva per la Camera dei Deputati del 27 giugno 2005 nel collegio calabrese di Isola Capo Rizzato ha votato soltanto il 21% degli elettori, una percentuale inferiore a quella ottenuta in Italia nel referendum del 12-13 giugno precedente (pari al 25,9%). La differenza che le elezioni suppletive sono valide a tutti gli effetti , mentre non lo è il referendum.

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permetto di formulare è che una delle cause principali del declino delle istituzioni pubbliche e del minimo ricambio della classe politica dirigente del nostro Paese è rappresentato dalle indennità che sono autoassegnate, oltre che dal volume di risorse che ruota, direttamente ed indirettamente, attorno ai partiti, ai gruppi parlamentari ed alle istituzioni pubbliche gestite dagli uomini dei partiti. Condizione adesso aggravata con il federalismo che ha aumentato a dismisura tali costi anche relativamente ai consigli regionali. Tutto questo ingessa oggettivamente il sistema, impedendo il ricambio della classe dirigente in quanto, in base alla teoria della public chiose, la preoccupazione principale di un eletto è quella di rimanere dov’è, per continuare ad avere prestigio sociale e redditività economica dal ruolo ricoperto. Pertanto, chi ricopre una funzione pubblica difficilmente investe sul futuro per cambiare in meglio le cose, preferendo piuttosto agire per garantirsi una ricandidatura con alte possibilità di elezione, circostanza possibile intrattenendo buoni rapporti con i dirigenti dei propri partiti. Questione non nuova nell’Italia repubblicana, nella quale gran parte dei parlamentari veniva riconfermata non in base all’attività istituzionale svolta bensì per altro tipo di attività, che prescindeva dal servizio effettivamente reso nelle istituzioni.87 Pertanto, per mantenere i propri privilegi, si rende inevitabile riconoscerli anche agli altri. In questo modo, si moltiplicano le rendite di posizione delle corporazioni, dei gruppi di interesse, si trasmette una devastante pedagogia dei comportamenti pubblici, volutamente di fatto si trascura l’educazione alla democrazia, si pone mano in modo distratto e incerto ai temi del futuro: l’integrazione, l’educazione, le pensioni, le infrastrutture la giustizia, la sanità, i rapporti di potere tra le istituzioni dello Stato, la sicurezza, la politica estera. Si moltiplicano le funzioni, tante delle quali inutili, appunto per dare sfogo alle rivendicazioni delle corporazioni, a comunicare da quella dei politici. L’opinione pubblica è sostanzialmente poco sensibile a tali temi, da un lato perché disattenta dall’altra

87 M. Caligiuri, Partiti e società nell’Italia degli anni Sessanta, Rubbettino, Soveria Mannelli 1994, pagg. 129 e segg.

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perché, ormai rassegnata, li considera inevitabili. Tutto questo,a causa di una crisi economica che deprime le aspettative crescenti che, per la prima volta grazie all’esplosione dei mezzi di comunicazione, viene percepita in modo più chiaro. Pertanto gli sprechi evidenti della politica, a fronte non della presunta indipendenza ma di risultati oggettivamente scadenti, non è più sostenibile dal sistema, né tollerabile per moltissimo dal cittadino. Il costo della politica è certo uno dei tanti aspetti della crisi democratica, ma potrebbe essere il punto da cui partire per risolverla. Bisogna risvegliare i dormienti, stimolare i giovani ad utilizzare il senso critico, incitare, attraverso la formazione, alla curiosità intellettuale per ridare voce al senso civico e gratificare l’etica del servizio. Si potrebbe ripartire dalla concezione ellenica dell’uomo e coniugarla con l’esperienza nuova della “persona”. Ma può essere la riduzione di tali costi, con l’introduzione di un numero limitato di mandati, una soluzione possibile per migliorare l’efficienza della democrazia, o non servono invece cambiamenti strutturali? E sono questi possibili? I dubbi sono legittimi, laddove si consideri che storicamente i grandi cambiamenti in tempi brevi sono avvenuti paradossalmente quando le libertà erano praticamente sospese: si pensi alla creazione dello Stato Moderno e dello Stato Sociale, il primo creato da Napoleone, il secondo dal fascismo. Certamente la crisi è talmente urgente, che occorre verificare la praticabilità di tutte le vie possibili, anche di quelle meno politicamente corrette – se non del tutto assenti - sulle mappe dei riformatori istituzionali. Un analista attento alle vicende statunitensi, Robert David Steele aveva sostanzialmente previsto, ben prima dell’11 settembre 2001, che il sistema di sicurezza americano, basato sulle 14 agenzie di intelligence con a capo la CIA, non era affatto preparato per affrontare le nuove minacce che si andavano profilando nel pianeta dopo il crollo del muro di Berlino. La prima proposta che ha avanzato per rendere più efficiente il sistema di intelligence americano era proprio quello di ridurre drasticamente i finanziamenti: questo avrebbe inevitabilmente condotto il sistema dell’intelligence a

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riorganizzarsi su nuove basi, erodendo le rendite di posizione e quindi liberando nuove e positive energie.88 Analogamente, questo potrebbe essere assolutamente valido anche per i costi della democrazia in Italia, che in Italia sono più alti che altrove. In Gran Bretagna, il premier Tony Blair deve giustificare anche chi invita a colazione a Downing Street, perchè ovviamente può farlo solo per motivi istituzionali. Inoltre, giustamente si entra nel dettaglio di come Sua Maestà britannica impieghi l’appannaggio dello Stato. In Italia, invece, non esistono affatto controlli di questo tipo né è dato sapere come il Presidente della Repubblica utilizzi le somme stanziate per il funzionamento del Quirinale. Si sostiene, con una certa ragione, che in linea di principio, alte remunerazioni rendono teoricamente indipendente l’attività politica ed è giusto che sia così, ma i risultati dimostrano che più che indipendente il sistema si immobilizza sulle stesse persone, che tendono a mantenere i privilegi di quella che è a tutti gli effetti una vera ed organizzatissima lobby. Pertanto gli sforzi degli eletti sono quasi interamente orientati al mantenimento delle condizioni che consentono la rielezione piuttosto che al lavoro istituzionale per il quale sono preposti e cioè al funzionamento della democrazia ed al perseguimento del bene comune. I fatti inequivocabilmente dimostrano questo. E il caso italiano è rafforzato dalla circostanza che il Partito Comunista con tutti i suoi aggiornamenti di sigle attuali dal 1946 ha espresso sempre tra i più alti numeri di parlamentari e, poi dal 1970, di consiglieri regionali, li ha individuati prevalentemente tra i 88 Il programma di riforma è orientato prevalentemente ad una migliore e differente gestione interna dell’intelligence americana, mentre Steele sostiene che “proprio l’attuale livello di finanziamento costituisce una parte del problema: esso è un ostacolo al cambiamento”. Infatti, l’analista statunitense ritiene che il cambiamento della Comunità Intelligence americana si verificherà se ci saranno la riduzione dei finanziamenti per un terzo e la concessione dell’autorità ad una sola persona di disporre di tutti i fondi. Se non si farà nulla “…la Comunità Intelligence continuerà a cavarsela alla meno peggio, sprecando 30 miliardi di dollari all’anno pagati dai contribuenti e alimentando al tempo stesso l’illusione molto pericolosa che l’America abbia una capacità di intelligence nazionale adeguata alle sfide e alle opportunità del 21° secolo”. E “questa illusione molto pericolosa” si è purtroppo sperimentata l’11 settembre 2001. ”Proprio l’attuale livello di finanziamento costituisce una parte del problema: esso è un ostacolo al cambiamento” , M. Caligiuri, Introduzione, in R. D. Steele, Intelligence, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pagg… 35 e segg.

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funzionari di partito e che pertanto nell’incarico elettivo hanno la loro unica fonte di reddito. Questo sembra ed è pure storicamente dimostrato un elemento che rende strutturale questo sistema, nei decenni passati definito democrazia bloccata. Certo hanno operato anche altri evidenti motivi di ordine internazionale e nazionale, ma la sostanziale immobilità della classe politica può legittimamente anche essere interpretata come tutela di privilegi acquisiti, sia dalla maggioranza che dall’opposizione. Il consociativismo trova una spiegazione lineare: attorno ai privilegi di un ceto. Adesso che le ragioni internazionali non sussistono più, il sistema continua ad essere bloccato in quanto in ogni elezione i parlamentari uscenti sono sempre la maggioranza quelli che vengono rieletti rispetto ai nuovi entrati. Bisogna pertanto esaminare come la remunerazione economica rappresenti la motivazione principale per svolgere il lavoro politico. La differenza tra gli USA e l’Italia è che negli USA fa politica prevalentemente solo chi è già ricco, da noi, facendo politica, si diventa ricchi. Entrambi gli eccessi generalizzati sarebbero da evitare, in quanto più che i ricchi occorrerebbe individuare i migliori. Celebre la considerazione dell’economista dei democratici di sinistra Guido Rossi sullo staff del Presidente del Consiglio Massimo D’Alema.89 6. La formazione della classe dirigente

Determinata essenzialmente dal livello dell’istruzione pubblica e dai modelli di vita prevalente suggeriti dalla televisione e dalla pubblicità, la scarsa qualità culturale della classe dirigente, ed in particolare di quella politica, determina distorsioni nell’attuazione della democrazia. Pertanto è ineludibile affrontare il tema della formazione della classe dirigente, che è completamente assente nel dibattito e nelle analisi della crisi della democrazia o delle riforme istituzionali. Il tema investe sia il settore pubblico che quello privato, ma mentre in quello privato c’è la ricerca di individuare le

89 Guido Rossi, già Presidente della Consob, definì l’entourage del Presidente del Consiglio D’Alema del 1999-2000: “L’unica merchant bank del mondo dove non si parla inglese”.

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professionalità migliori,90 in quello pubblico prevale spesso la logica dell’appartenenza, della funzionalità ad interessi precostituiti (non sempre riconducibili ai partiti), delle relazioni personali (che prescindono spesso dal merito e dalle capacità), dell’età anagrafica (che diventa titolo di preferenza, mentre a volte dovrebbe rappresentare l’opposto). Pertanto, riproporre questa tendenza nel corso degli anni ed estenderla poi anche alle regioni sembra determinare che in molti luoghi decisionali si registri una diffusa incapacità allo svolgimento del ruolo. Sembra quasi di assistere all’emergere prevalente dell’incompetenza, come conseguenza dei meccanismi della società contemporanea. Questo non sembra causale, tanto che negli anni Sessanta tale tendenza venne teorizzata, tra il satirico e il documentato. Facciamo riferimento al principio di Peter, dal nome di Laurence Peter, psicologo canadese che per primo l’aveva scoperta a partire dal 1960.91 Poiché “qualunque organizzazione contiene un gran numero di persone che non sanno fare il proprio lavoro”92 e dato che “col tempo ogni posto tende a essere occupato da un individuo incompetente a svolgere le proprie funzioni”,93 il principio di Peter recita: “in una gerarchia ogni impiegato tende a salire sino al proprio livello di incompetenza”.94 In base a tale principio, “immutabile e universale”,95 con argomentazioni in gran parte profonde ed attuali si cercano di spiegare, tra l’altro, le disfunzioni del settore pubblico,96 i limiti della formazione scolastica97 e le finzioni della democrazia. In ogni caso, Peter richiama i concetti di merito e di competenza, indispensabili per orientarci nella

90 E. Michaels – H. Handfield Jones – B. Axelrod, La guerra dei talenti, Etas, Milano 2002 91 L. J. Peter – R. Hull, Il principio di Peter, Garzanti, Milano 1972, pag. 8 92 Idem, pag. 14 93 Idem, pag. 21 94 Idem, pag. 19 95 Idem, pag. 51 96 “La macchina dello stato è un gran complesso di gerarchie collegate traboccante di incompetenza”, Idem, pag. 71 97 “I certificati di oggigiorno provano solo che lo studente è stato capace di affrontare un certo numero di anni di scuola…Tutte le lauree hanno perso parte del proprio valore…Per la necessità di avere più ingegneri, scienziati, preti, insegnanti, automobili, mele, astronauti o altro e averli prima, i livelli di accettazione si abbassano e si verifica la degradazione delle gerarchie”, Idem, pagg. 170-1

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società del rischio e del caos. Se poi consideriamo gli effetti, che anche come docente registro quotidianamente, dei nuovi ordinamenti universitari,98 i risultati non sembrano al momento orientati alla formazione delle persone, che ricordano sempre meno, non hanno né una elementare capacità logica, né di collegamento, né critica, ma si limitano a riportare concetti preconfezionati in schemi, spesso suggestionati dalle immagini televisive, delle quali ripropongono i modelli di comportamento e di valori. Occorre pertanto recuperare il merito e la competenza nella gestione della cosa pubblica, ai vari livelli. Nel nostro Paese, la classe dirigente che sembra avere maggiore senso civico può essere considerata quella che si è formata negli ultimi anni nei Comuni, che sono il primo livello istituzionale di verifica tra Stato e cittadino. Pertanto, c’è necessità di percorsi formativi anche nel sistema scolastico tradizionale, che prevedano l’educazione civica e l’educazione ai media, inserendo anche l’educazione politica di base. Ciò per evitare che siano i gruppi organizzati, partitici ed economici, ad individuare una classe dirigente funzionale quasi esclusivamente alle organizzazioni che le esprimono. Infatti, va evitato il fenomeno, in Italia molto pronunciato nelle diverse istituzioni, dei professionisti della politica, che vivono soltanto, o prevalentemente, con gli alti – ed ingiustificati – stipendi connessi ai ruoli politici. Nella vita pubblica dovrebbero prendere parte anche i più meritevoli, i più capaci, i migliori che si dedichino alla cosa pubblica per il bene civico e non per i soldi. A riguardo, controlli rigidi ed attenti dovrebbero effettuarsi, come avviene nei Paesi di cultura anglosassone, sui bilanci personali e familiari di chi fa politica, soprattutto nelle posizioni di elevata responsabilità ai diversi livelli istituzionali. Altro aspetto da approfondire, e che in questa sede accenniamo soltanto e che altrove è stato affrontato,99 è la capacità di utilizzo del metodo e delle strutture di intelligence per selezionare ed ottenere informazioni necessarie al decisore

98 E. Lombardi Vallauri, Riforma (e rovina) dell’università in “il Mulino”, n. 3/2004, pagg. 458 - 470 99 M. Caligiuri, Comunicazione pubblica, formazione e democrazia, cit., pagg. 241-278

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pubblico per garantire il benessere e la sicurezza nazionale, superando il fenomeno della sovrabbondanza di informazioni che non consente a volte decisioni adeguate e tempestive.100 Occorre allora ripensare profondamente il sistema educativo per realizzare una società aperta e tollerante, con cittadini consapevoli. L’educazione pubblica ha un ruolo fondamentale,101 ma non per fornire nozioni ma per sviluppare il senso critico ed abituare a pensare con “onestà intellettuale”. A riguardo, scrive Karl Popper:“Ecco ciò che dovremmo insegnare: ad essere intellettualmente onesti e non a pretendere delle conoscenze o a prepararsi agli esami, sì che qualche settimana dopo è tutto bell’e dimenticato. Purtroppo, questo è il nostro sistema e l’onestà intellettuale è cosa rara”.102 7. Capire i media e costruire creatività

In tale contesto, i media svolgono un ruolo centrale. Le nuove tecnologie determinano media sempre più personalizzati, interattivi, integrati che forniscono informazioni in tempo reale in quantità praticamente illimitata, a basso costo e direttamente a casa del fruitore. Inoltre, la televisione è da anni il mezzo di informazione principale per vaste fasce di persone, soprattutto di bassa cultura, che ne vengono influenzate nell’opinione politica e quindi nei comportamenti elettorali. Tale ruolo è però ambivalente e dipende esclusivamente dal livello di educazione dei singoli fruitori. Da un lato, può consentire maggiore trasparenza e fruizione delle informazioni e di dialogo e confronto tra cittadini e governati, dall’altro può essere ambiguo e diseducativo. E’ ambiguo perché i media sono sempre più concentrati in poche mani a livello nazionale e mondiale e in genere sostengono gruppi di potere determinati. In questo senso, sono davvero lontani i tempi del Watergate,

100 G. da Empoli, Overdose, Marsilio, Venezia 2002; M. Caligiuri, Comunicazione pubblica, formazione e democrazia, cit; F. Cossiga, Abecedario, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002 101 “Io senza esitazione credo che compito dello Stato sia quello di vigilare affinché ai suoi cittadini sia data un’educazione che li abiliti a partecipare alla vita della comunità e di mettere in opera tutti i mezzi che promuovono lo sviluppo dei loro particolari interessi e talenti”. K. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma 1996, pag. 168 102 K. Popper, Alla ricerca di un mondo migliore, in G. Brescia, Karl Popper e il pungolo della libertà, Editrice Santina, Galatina 1995, pag. 26

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quando il giornalismo veniva idealizzato come “cane da guardia della democrazia”. La televisione può anche essere altamente diseducativa, perché è “ladra di tempo”103, perché sottrae tempo ad altre esperienze umane che possono essere più arricchenti e positive. Inoltre, a causa dell’uso del marketing aziendale e politico, condiziona comportamenti individuali e sociali, a cominciare dalle giovani generazioni. Inoltre, ripropone il tema della velocità dei messaggi che tendono a suggestionare più che a fare ragionare e ancora una volta si richiede l’educazione ai media e la capacità critica di selezionare le informazioni per utilizzarle opportunamente e prontamente. I media svolgono per molti aspetti un ruolo massificante, ma possono farlo in quanto è poco presente il senso civico di chi li utilizza. Pertanto risulta indispensabile elevare il pensiero critico insieme al capitale sociale. In tale contesto occorre riflettere sul concetto di creatività, che, secondo Richard Florida, “è la principale fonte di sviluppo economico, una componente essenziale della comune natura umana, e che perciò va coltivata.”104 Occorre pertanto penetrare nelle istituzioni esistenti e investire nel lungo periodo per valorizzare la creatività di ognuno ed estendere i benefici a tutti,105 in quanto la creatività, più ancora di altri elementi, aumenta le risorse economiche e quindi può fornire risposte concrete ai problemi del mondo.106 8. Una proposta operativa

La democrazia è un processo costante che deve tendere a consentire consapevole libertà di espressione e di azione. Scrive Edgar Morin: “La democrazia presuppone e nutre la diversità degli interessi così come la diversità delle idee. Il rispetto della diversità significa che la democrazia non può essere identificata con la dittatura della maggioranza sulle minoranze. La democrazia deve permettere l’espressione delle idee eretiche e

103 J. Condry, Ladra di Tempo, Serva Infedele, in K. Popper – J. Condry, Cattiva Maestra Televisione, Marsilio, Venezia 2002 104 R. Florida, L’ascesa della nuova classe creativa, Mondadori, Milano 2003, pag. 204 105 Ibidem 106 Idem, pagg. 413-4

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devianti, deve proteggere la diversità delle idee e delle opinioni, nonché quella delle fonti dell’informazione (stampa, media) per salvaguardare la vita democratica.”107 Lo sviluppo dei media e la globalizzazione determinano problemi ed opportunità al sistema democratico. C’è bisogno di interventi complessi di carattere generale, la cui attuazione richiede tempo e riflessione. Le istituzioni democratiche operano attraverso la classe dirigente che ne riveste i ruoli. Pertanto, una pista è certamente quella di invidiare e selezionare una classe dirigente che sia in grado di affrontare le sfide dei cambiamenti e quindi costruire una “nuova democrazia”. Orientarsi non è semplice ed anche correttivi e proposte che individuano aspetti marginali, potrebbero invece concorrere in modo significativo a raggiungere lo scopo. L’ipotesi che stiamo argomentando, e che richiederà studi ancora più approfonditi e comparati nel futuro, è proprio questa: riducendo i costi della politica si potrebbe creare le condizioni per una migliore selezione della classe politica? Più in generale, i costi anche dei direttori generali di ministeri, delle aziende sanitarie locali e di regioni; le tariffe di tecnici e degli avvocati; i costi della sanità sono elementi che indiscutibilmente bloccano il sistema. Infatti, la democrazia si cristallizza attorno agli interessi acquisiti, ingoiando risorse, senza rendere il sistema né più efficiente, né meno costoso, né tanto meno più trasparente. Inoltre, talenti e competenze, apporti generazionali qualificati, vengono non valorizzati o respinti, contribuendo ad uno spreco non più tollerabile: quello delle risorse umane qualificate che vengono ampiamente sottoutilizzate. Cambiando campo ed emisfero, negli Stati Uniti gli stipendi sempre più alti dei manager stanno rappresentando in molti casi elementi di diseconomicità e di opacità del mercato. Tariffe di professionisti e costi (per esempio quelli della sanità) una volta potevano essere giustificabili, in quanto erano pochi i medici, gli avvocati o gli ingegneri, mentre adesso, in genere, sono addirittura improponibili ed immorali, visti gli stipendi medi e le prestazioni professionali che debbono rendere. Inoltre tutte le professioni sono profondamente

107 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., pag.

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mutate dall’avvento di internet.108 Nel nostro Paese, ci sono stipendi statunitensi e servizi del welfare europei e quindi il sistema sociale rischia di essere destinato inevitabilmente all’implosione. A ciò si aggiunga, il fenomeno della gerontocrazia nella classe dirigente italiana. Pertanto a livello generazionale, controlla in gran parte il Paese una classe dirigente anziana, la cui mentalità si adegua con difficoltà alle esigenze prospettate dai tempi di cambiamento in cui viviamo. E’ questo un aspetto che nel nostro Paese è quasi completamente trascurato, sebbene sia assolutamente centrale negli anni a venire.109 In definitiva, si potrebbe tentare di definire un assioma, collegandoci con le enunciate teorie della public choise: in democrazia occorre mettere in conto che una parte rilevante di beni pubblici viene impiegata per perpetuare, a volte irragionevolmente – cioè a scapito dell’efficienza potenziale del sistema – il ceto politico ed amministrativo che la sostiene. In modo variamente contestabile, Giampaolo Rossini sostiene che “E’ proprio dagli eccessi nell’uso di procedure di voto che dovremmo partire per ridare forza alle nostre democrazie, non solo a livello nazionale. Un numero elevato di elezioni riduce la contendibilità del sistema politico, perché fa aumentare i costi per partiti e candidati. Gonfia gli oneri per i contribuenti. Ne fa diminuire la partecipazione per eccesso di appuntamenti a fronte di scarso perso del voto individuale. In certi casi – ad esempio a livello locale – l’elettore ha l’impressione che il meccanismo di voto non garantisca un accettabile processo di selezione. In altri – ad esempio elezioni per il Parlamento europeo – la probabilità di un beneficio derivante dall’esprimere il voto è del tutto insignificante”.110 Aggiunge poi che l’erosione della partecipazione al voto è un fenomeno che accomuna tutte le democrazie, sebbene in Europa avvenga in modo meno frequente che negli Stati Uniti, dove, per esempio si vota anche per alcuni magistrati. Non è lineare e assume aspetti erratici che lo rendono insidioso e 108 P. Lévy, Cybercultura, 109 G. Pennisi, La guerra dei trentenni. Italia e giovani generazioni, Ideazione, Roma 1996 110 G. Rossini, Democrazia ed elezioni: un rapporto da migliorare” in Italianieuropei, n. 3/2005, pag. 38

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imprevedibile. Una democrazia per funzionare deve avere carattere di trasparenza e chiarezza e basarsi su istituzioni non troppo onerose.111 Viene posto l’accento su un dato reale, le consultazioni frequenti, ma vengono a mio avviso posti in modo errato i temi della non partecipazione al voto (in quanto si guarda all’effetto ma si resta molto vaghi e contraddittori sulle cause) e si identifica il costo della politica con il costo delle elezioni e non invece sul costo della macchina politica una volta eletta, circostanza prima che determina l’inefficienza della democrazia e quindi la non partecipazione. Pertanto, la politica, a causa di questi meccanismi che ne rendono minimo il ricambio, rimane in tutto il mondo sempre di più “un gruppo chiuso di specialisti”, che rendono inefficiente e teorica la democrazia.112 La nostra non intende essere una velleitaria proposta per cercare di salvare il sistema, ma solo porre degli elementi che, insieme ad altri, possano contribuire a migliorarne l’efficienza. Occorre allora concentrarsi non sulle regole, sui meccanismi elettorali ed istituzionali, ma ridurre il costo della politica con provvedimenti che mirino a ridurre il costo dell’organizzazione per farla funzionare meglio, liberando energie e risorse in altre direzioni. A riguardo, estendere il limite dei mandati così come fatto per il sindaco e il presidente delle province anche per deputati, senatori, europarlamentari e consiglieri regionali potrebbe andare certamente in questa direzione. Bisogna allora individuare meccanismi per evitare l’ingessamento del sistema, lasciando spazio ai giovani. Interrogarsi sul presente, più che sul futuro della democrazia, utilizzando la chiave della conoscenza, che è quella effettivamente necessaria per promuovere lo sviluppo. Non solo il dibattito, sempre più esteso sul capitale umano, ma le riflessioni di Edgar Morin risultano particolarmente puntuali: “Le democrazie del XXI secolo saranno messe a confronto sempre 111 Idem, pagg. 32-42 112 La riflessione di Karl Popper e relativa alla scienza, si adatta ovviamente anche alla politica intesa come scienza del governo della società. “Una società aperta (ossia, basata sulla tolleranza e soprattutto il rispetto delle opinioni altrui) e una democrazia (ossia, una forma di governo consacrata alla protezione di una società aperta) non possono sopravvivere se la scienza diventa proprietà esclusiva di un gruppo chiuso di specialisti”. K. Popper, Il mito della cornice, Il Mulino, Bologna 1995, pag. 150

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più con un problema gigantesco, originato dallo sviluppo dell’enorme macchina in cui scienza, tecnica e burocrazia sono intimamente associate. Questa enorme macchina non produce solo conoscenza e spiegazione, ma anche ignoranza e accecamento. Gli sviluppi disciplinari delle scienze non hanno arrecato solo i vantaggi della divisione del lavoro, ma anche gli inconvenienti della superspecializzazione, della compartimentazione e della frammentazione del sapere. Quest’ultimo è divenuto sempre più esoterico (accessibile ai soli specialisti) e anonimo (concentrato in banche dati e utilizzato da istanze anonime, in primo luogo lo Stato). Così pure la conoscenza tecnica è riservata agli esperti, la cui competenza in un ambito chiuso si accompagna all’incompetenza quando questo stesso ambito è parassitato da influenze esterne o modificato da un nuovo evento. In queste condizioni, il cittadino perde il diritto alla conoscenza. Ha il diritto di acquisire un sapere specializzato compiendo studi ad hoc ma, in quanto cittadino, è espropriato da ogni punto di vista ingombrante e pertinente. L’arma atomica, per esempio, ha sottratto totalmente ai cittadini la possibilità di pensarla e controllarla. La sua utilizzazione è generalmente delegata alla decisione personale del solo capo dello Stato, senza consultazione di alcuna istanza democratica regolare. Più la politica diventa tecnica, più la competenza democratica regredisce. Il problema non si pone solo in caso di crisi o di guerra. Si pone anche nella vita quotidiana: lo sviluppo della tecnoburocrazia insedia il dominio degli esperti in tutti i campi che fino ad allora pertinevano alle discussioni ed alle decisioni politiche. Più profonda diventa la frattura tra una tecnoscienza esoterica, iperspecializzata e i cittadini, e più la frattura acuisce la dualità tra coloro che sanno – la cui conoscenza è peraltro frazionata, incapace di contestualizzare e globalizzare – e coloro che non sanno, ovvero l’insieme dei cittadini”.113 Potrebbe essere una proposta valida quella di indirre referendum in questa direzione? Senza citare quelli più ovvi, tra i tanti temi potrebbero essere individuati: l’introduzione del limite delle

113 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, pagg. 117-119

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legislature; la riduzione delle diverse indennità e del numero dei parlamentari e consiglieri regionali; l’abolizione delle province e delle comunità montane; l’abbassamento delle retribuzioni dei direttori generali; la rimodulazione delle tariffe professionali dei tecnici; la ridefinzione dei costi della sanità; l’equiparazione dei dipendenti di Quirinale, Camera e Senato a quelli del resto della pubblica amministrazione. Velleità? Certamente, ma sono provvedimenti responsabili e logici, se vogliamo rendere più efficiente, giusto e condiviso il sistema democratico, cercando di attenuare privilegi oggi non più sostenibili e costi che non si giustificano più rispetto ai risultati ed alle prestazioni fornite. 9. Conclusioni Per trovare il proprio posto nel mondo ed orientarsi nella società del rischio e del caos, che rendono sempre più inattendibili le previsioni sociali, la persona ha bisogno di condizioni che consentano di esprimersi per valorizzare i propri talenti. Ciò richiede una società aperta, che si basi sulla tolleranza e la solidarietà. Il sistema democratico è quello che maggiormente si avvicina a creare queste condizioni per tutti. I suoi limiti però sono evidenti, in quanto chi rappresenta le istituzioni democratiche nella gestione concreta spesso le indirizza in modo non conforme ai valori che dovrebbe rappresentare. Nonostante questo però è certamente possibile, necessario ed urgente introdurre elementi che possano rendere più efficiente la democrazia. Uno di questi, e secondo noi il più efficace, è il tentativo di ridurre il costo della democrazia, che potrebbe rappresentare una possibilità di cambiamento reale della classe dirigente. Ciò si potrebbe verificare solo se avviene un forte movimento dal basso, legato ai processi lenti di educazione alla democrazia, ovvero attraverso delle scelte politiche delle classi dirigenti, invero improbabili. Infatti, chi in modo spontaneo metterebbero in discussione i propri privilegi? Pertanto, senza spinte esterne, il sistema certamente non può autoriformarsi. Allora, si auspica e si richiede per tutti i cittadini una formazione politica di base ed un’indispensabile educazione

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ai media, da fornirsi attraverso la scuola pubblica.114 Occorre pertanto investire sull’uso educativo dei media. Oggi il tempo di lettura dei quotidiani e dei libri è diminuito, in quanto sempre minori persone leggono un numero sempre maggiore di libri e giornali.115 Invece è fondamentale la riflessione della lettura per definire il pensiero critico, tenendo conto dei tempi medio lunghi di un apprendimento consapevole e duraturo. Inoltre, il rapporto tra la politica ed il denaro è evidente, così come le relazioni necessarie tra potere politico e potere economico: non giungiamo ad identificare la democrazia come una vera e propria “democrazia degli affari”,116 ma ci siamo vicini, ma occorre dirlo senza ipocrisie,117 verificando i costi economici della democrazia in relazione ai diritti effettivamente garantiti ai cittadini. Se questo è lo scenario, quali ipotizzabili e possibili vie da percorrere per rendere più giusto il sistema? Ricette o miracoli non esistono, ma il ruolo delle scienze è proprio quello di cercare di interpretare le realtà per fornire chiavi di interpretazione per comprendere ed orientare per quanto possibile i cambiamenti. Essere dunque preparati all’imponderabile, all’inatteso, al tragico come al meraviglioso, è compito del sistema educativo di questo secolo. Infatti, nello spettro dei comportamenti che le persone assumono nel mondo, più che quelli adeguati e non adeguati, spesso prevalgono quelli impensabili. Frutto del caos e dell’incertezza di questo tempo? Come cercare allora di realizzare le modeste proposte poste in questo breve saggio? Partendo dal basso,118 potrebbe essere una strada, attraverso un movimento basato sull’educazione alla democrazia, impegno prioritario che i cittadini reclamano e che una consapevole classe dirigente dovrebbe attuare. Ma se, come giustamente sostiene Popper, “uno Stato democratico non può essere migliore dei suoi cittadini”,119 allora occorre educare meglio i cittadini. Infatti, 114 J. Ralston Saul, La civiltà inconsapevole, Il Saggiatore, Milano 1999 115 G. Bosetti – M. Buonocore (a cura), Giornali e tv negli anni di Berlusconi, Marsilio, Venezia 2005 116 F. Fasce, La democrazia degli affari, Carocci, Roma 2000 117 R. Brancoli, Il ministero dell’onestà, Garzanti, Milano 1993 118 M. Hardt – A. Negri, Moltitudine, cit., pag. 119 K. Popper, Il futuro è aperto, Rusconi, Milano 1989, pag. 182

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non è ragionevole pensare ad autoriforme del sistema. Scrive infatti George Monbiot: “Le istituzioni esistenti non possono riformare se stesse. Il loro potere fa assegnamento sull’ingiustizia delle disposizioni che hanno dato loro la vita, e affrontare quell’ingiustizia significherebbe accettare la propria dissoluzione. I governi non agiranno in nostro favore se non li costringeremo a farlo. Le classi politiche a cui attinge la maggior parte dei partiti di governo non ha alcun interesse per questa rivoluzione. (che) dipende dalla vostra disponibilità ad abbandonare l’attaccamento al vecchio mondo e a cominciare a pensare come cittadini del nuovo, a barattare la sicurezza per la libertà, le comodità per l’esultanza. Dipende dalla vostra disponibilità ad agire”.120 Anche perché occorre prestare attenzione a quello che ci circonda e che condiziona le vite di ognuno di noi.121 Le proposte avanzate in questo saggio, anche sotto forma di ipotetici referendum, potrebbero rappresentare i germi di una “nuova democrazia”? Spesso siamo vittime di idee sbagliate. Tante ne circolano in giro, non tutte però con riscontro pratico e sperimentale, anzi più spesso veicolate ad arte, senza riscontro, come capita spesso per le previsioni economiche.122 E’ sempre la politica che detta le regole all’economia e se avviene il contrario, significa che i rappresentanti delle istituzioni rinunciano al proprio ruolo. Anche in tale ambito il tema dei costi della politica potrebbe essere posto, puntualizzando che gli emolumenti si giustificano per garantire l’indipendenza dei decisori pubblici. Ma che c’entrano gli uscieri con l’indipendenza e il prestigio della funzione democratica? Si tratta allora di una battaglia inevitabilmente perdente? Sono comunque dei temi che vanno necessariamente ed indifferibilmente posti. Occorre allora elaborare teorie di cambiamento ed offrire strumenti di comprensione della realtà a tutti i membri della società per essere in grado di cogliere questi mutamenti e non lasciarsi

120 G. Monbiot, L’era del consenso, Longanesi, Milano 2004, pag. 208 121 “Quello che non vediamo e non vogliamo trasforma sempre più visibilmente e minacciosamente il mondo”, U. Beck, La società del rischio, cit., pag. 260 122 "Un economista e' un esperto che saprà domani perché le cose che aveva predetto ieri non si siano avverate oggi". L. J. Peter – R. Hull, Il principio di Peter, cit.

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travolgere.. Oggi è tutto in gioco, in modo costante ed imprevedibile. L’educazione è la chiave e va rivista profondamente, diventando la priorità assoluta di ogni governo che aspiri a realizzare una democrazia più vera. Affrontare le incertezze, diventa quindi l’obiettivo primo ed ultimo dell’educazione alla democrazia, contrassegnata dal rischio e dal caos. Ancora una volta ci viene in soccorso Karl Popper, il quale sostiene che, nella lista delle priorità per il miglioramento della società, ai primi tre posti pone rispettivamente: la pace, la limitazione dell’esplosione demografica e l’educazione.123 E se la democrazia, per essere effettiva, deve essere costruita dal basso, essa va realizzata prioritariamente attraverso i sistemi educativi. In definitiva, “le due grandi finalità etico-politiche del nuovo millennio: stabilire una relazione di reciproco controllo fra la società e gli individui attraverso la democrazia; portare a compimento l’Umanità come comunità planetaria.”124 In conclusione, sebbene non necessario, si precisa che quanto esposto nel saggio è solo una pista di ricerca appena abbozzata, necessariamente da approfondire. Nessuno infatti pretende di avere individuato una ricetta miracolosa, ma solo di avere cercato di offrire utili strumenti di approfondimento per comprendere la realtà per cercare di migliorarla.

123 K. Popper, Come controllare chi comanda, cit., pagg. 83-84. 124 E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, cit., pag.

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