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La Coscienza

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LA COSCIENZA

RIFERIMENTI:

VS 54-64 CCC 1776-1802 Peschke, p. 145-183; Chiavacci p. 81-108

Non c dubbio che la coscienza rappresenta uno dei concetti chiave della teologia e della vita morale; non si pu parlare propriamente di vita morale senza il riferimento alla coscienza. Tuttavia il trattato sulla coscienza si sviluppato in modo autonomo in tempi relativamente recenti, cio a partire dal XVII secolo ed ha avuto un grandissimo sviluppo nel XVIII secolo, quando la disputa sulla coscienza dubbia acquist un ruolo centrale nella teologia morale. Fino a quel momento la riflessione teologica relativa alla facolt soggettiva umana di percepire i valori morali era svolta allinterno del trattato sulla virt cardinale della prudenza (saggezza). Si pu dire quindi che il contenuto della riflessione teologica attorno alla coscienza antico, nuova la terminologia e la strutturazione del trattato sulla coscienza come capitolo autonomo, forse il pi importante, della teologia morale. Con la coscienza passiamo dunque dalla dimensione oggettiva (la legge) alla dimensione soggettiva dellagire morale: la coscienza appunto. Diciamo anzitutto che occorre distinguere tra coscienza psicologica e coscienza morale ( ovvio che ci occuperemo della seconda): la coscienza psicologica significa autoconsapevolezza, la coscienza morale invece responsabilit, consapevolezza non solo di s, ma anche e soprattutto del rapporto dellatto umano con la legge morale. La coscienza psicologica e la coscienza morale sono realt distinte, ma non separate. La coscienza morale presuppone la coscienza psicologica: poggia sullautocoscienza, struttura portante della persona. La coscienza morale prolunga e completa la coscienza psicologica, aggiungendovi laspetto valutativo e dellimpegno. Mentre la coscienza psicologica svolge la funzione di testimonianza di quello che uno sa (coscienza = con-sapere), la coscienza morale svolge la funzione di valutazione (bene/male) e dellimpegno per il bene. Possibile definizione di coscienza: Giudizio della ragione pratica che applica i principi morali comuni allatto umano singolare, constatando il suo rapporto con essa e conseguentemente approvando o disapprovando la sua realizzazione.

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1. La coscienza nella S. Scrittura La S. Scrittura usa raramente il termine specifico di coscienza (in greco: syneidesis).-

AT: una sola volta in Sap 17,10 (un testo che sta sotto linflusso della cultura ellenistica). Si usa anche nella traduzione greca dei LXX in Sir 10,20 e 42,18. Ma in tutto lAT ebraico, pur non essendo presente il termine coscienza, il fenomeno della coscienza conosciuto molto bene, spesso espresso con il termini spirito ( ruach), cuore ( lev) e altri. La concezione veterotestamentaria della coscienza ha due caratteristiche: Prima: la coscienza sempre "coscienza di fronte a Dio". L'uomo sta al cospetto di Dio che

santo, e in questa luce acquista la consapevolezza di aver agito bene o male (visione religiosa); Seconda: nell'atto della coscienza coinvolto tutto l'uomo, non soltanto una sua facolt. Possiamo dire che nellAT presente una linea ascendente: si passa da una visione esteriore della coscienza, ad una considerazione sempre pi attenta alla dimensione interiore da cui scaturisce latteggiamento morale. Per la cattiva coscienza che rimprovera, cfr 2Sam 24,10; per la buona coscienza che approva, cfr Gb 27,6; per la coscienza antecedente, cfr 1Re 3,9.-

NT: non si trova mai nei Vangeli il termine coscienza (syneidesis). Tuttavia essi conoscono bene il fatto della coscienza, nelle sue varie sfumature. Il Vangelo attribuisce alla rettitudine dellintenzione pi valore che alla correttezza dell'agire esteriore, per cui mette in risalto implicitamente l'importanza della decisione di coscienza e della fedelt ad essa. In tutto il NT il termine ricorre 30 volte: 8 volte in 1Cor, 3 volte in 2Cor, 3 volte in Rm, 6 volte nelle lettere pastorali, 2 volte in Atti, 3 volte in 1Pt, 5 volte in Eb. Un testo molto importante, che gi abbiamo visto a proposito della legge, Rm 2,14-15, che VS

cos commenta (n. 57): La coscienza pone luomo di fronte alla legge, diventando essa stessa testimoneper luomo [] La coscienza lunico testimone: ci che avviene nellintimo della persona coperto agli occhi di chiunque dallesterno. Essa rivolge la sua testimonianza soltanto verso la persona stessa. E, a sua volta, soltanto la persona conosce la propria risposta alla voce della coscienza.

Per quanto riguarda s. Paolo, prima di prendere in esame i due testi principali, possiamo dire chela dottrina della syneidesis ha come suo quadro interpretativo lantropologia delluomo nuovo in Cristo. Vivere con buona coscienza (1Cor 1,12), con coscienza pura (1Tm 3,9) agire per motivo di coscienza (1Cor 10,27-28) equivale a vivere in Cristo secondo il suo Spirito. In altre parole, la coscienza cristiana si identifica con la fede, la speranza e la carit, cio il livello teologale. Il ripudio della buona coscienza (1Tm 1,5) o lagire contro coscienza significa non agire per fede (Rm 14,23) e non comportarsi secondo carit (Rm 14,15). Alla luce delle indicazioni paoline, la coscienza rappresenta la profonda e sintetica consapevolezza, nella fede, del proprio esistere in Cristo e quindi delle istanze morali che secondo carit

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ne scaturiscono. Per san Paolo, quindi, la coscienza cristiana , anzitutto, lorientamento teologale alla cui luce si pratica il discernimento delle singole azioni (Frigato, p. 186).

I due testi fondamentali sono Rm 14 e 1Cor 8. In essi Paolo tratta della questione degli idolotiti (carne offerta agli idoli nei mercati pagani): i cristiani potevano mangiarla o no? Nel dare delle risposte a tale domanda, s. Paolo fa delle importanti affermazioni:-

Ognuno deve agire secondo la propria coscienza. Ognuno si attenga al suo giudizio (Rm 14,5). La qualit morale dellazione dipende dalla concordanza o meno dell'agire con la decisione interna. Tutto quello che non deriva da ferma convinzione peccato (Rm 14,22);

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La coscienza pu fallire la verit oggettiva. La coscienza non si armonizza sempre con la verit oggettiva. Io so e sono persuaso nel Signore Ges, che niente impuro in s, ma se una cosa ritenuta impura, per chi la crede tale, impura (Rm 14,14);

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Non bisogna agire con un dubbio pratico di coscienza: prima di agire occorre rimuovere il dubbio di coscienza. Chi nel dubbio, mangiando, si condanna (Rm 14,23); La coscienza va intesa in relazione alla comunit, e precisamente in due sensi: 1. La decisione di coscienza del prossimo, quand'anche contrasti con la propria, va onestamente rispettata (Rm 14,3-4.10). 2. Bisogna evitare nei limiti del possibile che l'agire in base alla propria coscienza sia di scandalo al prossimo (Rm 14,13.15.21; 1 Cor 8,9-13). Sintesi del messaggio biblico sulla coscienza (da Weber, p. 201-202): 1. La Bibbia diventa sempre pi consapevole della realt della coscienza e nei suoi scritti pi recenti la indica con il nome poi entrato nella storia e nella teologia. La Bibbia non conosce solo Dio che parla e luomo che ascolta, ma anche riflette su unistanza presente nelluomo stesso, che competente del suo agire e che possiede una certa autonomia; 2. La coscienza viene vista e giudicata interamente nel contesto della fede, sullo sfondo dei rapporti tra Dio e luomo; essa una realt propria, ma raggiunge anche lambito della fede; 3. La coscienza stimata in modo moderato, non viene divinizzata; essa appare come un oggetto della grazia divina, che non produce qualcosa di giusto con le sue proprie forze, ma che deve essere purificato, reso buono e salvato da Dio, essendo sempre esposto al pericolo dellerrore e del pervertimento. Per la Bibbia, la parola chiave delletica non coscienza, quanto piuttosto obbedienza, amore, servizio. 4. Quando la coscienza parla come voce di Dio, essa assolutamente vincolante per la persona. Agire contro la convinzione della propria coscienza significa per il singolo andare in rovina di fronte a Dio, anche quando lazione in s non fosse cattiva. Il singolo non ha altra scelta che agire secondo ci che la sua coscienza gli dice di essere giusto. 24

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2. La coscienza nella storia della teologia Padri della Chiesa: si muovono come sempre in stretta aderenza alla S. Scrittura, per cui la loro visione della coscienza in genere religiosa piuttosto che etica, cio la coscienza vista come vox Dei, luogo dove Dio fa sentire la sua voce, luogo pi intimo e nascosto della persona dove esse non solo pu riflettere su se stessa, ma anche e soprattutto ascolta la voce di Dio. Nel Medio Evo troviamo S. Tommaso e S. Bonaventura. Questultimo citato (unica citazione!) da VS al n. 58 proprio in relazione alla coscienza: La coscienza come laraldo di Dio e il messaggero; ci che dice, non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un araldo quando proclama leditto del re. E da ci deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbligare. S. Tommaso, come altri autori del Medio Evo, non tratta direttamente della coscienza, dedicando ad essa solo una quaestio della Summa, perch la riflessione sulla coscienza era inserita, come gi detto, nel trattato sulla virt della prudenza. Possiamo fare un interessante parallelo tra i due massimi teologi del Medio Evo. Secondo limpostazione di Bonaventura, la coscienza morale si comprende non tanto a partire dal versante della ragione, quanto da quello della volont e della sua naturale inclinazione al bene e allamore. La conscientia viene compresa a partire dallintelletto pratico, il quale non ci fa conoscere le verit speculative, ma quelle morali che ordinano il comportamento. Questa conscientia comporta solamente una certa conoscenza innata dei principi primi dellagire e il possesso della scienza morale. Il ruolo giudiziale vero e proprio esercitato dalla synderesis, che Bonaventura comprende come la volont orientata verso il bene. Secondo Bonaventura, comunemente la synderesis designa lhabitus (inclinazione al bene) con la potenza (volont), piuttosto che la sola inclinazione al bene. Il rapporto tra la conscientia e la synderesis viene spiegato dal dottore serafico con lanalogia del rapporto tra fede e carit: come la fede illumina il cuore delluomo e la carit lo spinge ad agire, cos la synderesis decide lattuazione di quel bene verso il quale lo inclina e che ha conosciuto tramite la conscientia S. Tommaso presenta una visione pi laica e pi etica della coscienza. Secondo lAquinate, come la ragione possiede un habitus che consiste nella disposizione naturale a conoscere i primi principi dellordine speculativo (non contraddizione, identit, ecc), in modo analogo essa possiede un altro habitus che consiste nellinclinazione a conoscere i primi principi nellordine del comportamento pratico (fare il bene, evitare il male, ecc). La sinderesi va intesa come una coscienza fondamentale e primordiale, sussistente in una attitudine abituale della ragione pratica a conoscere i primi principi dellagire. Accanto ad essa, la ragione pratica acquisisce con il tempo un altro habitus: le conoscenze acquisite, cio labitudine a conoscere la specie morale delle azioni, in 25

quanto buone o cattive. Questo habitus si costruisce attraverso lesperienza, lo studio, la cultura, le leggi, ecc. Ma secondo Tommaso non qui ancora la realt vera e propria della coscienza. Egli infatti concepisce la conscientia n come habitus n come potentia, ma come actus particolare della ragione pratica, la quale, applicando i principi primi, che possiede per mezzo della sinderesi, allazione da compiere, conosciuta sotto il profilo morale tramite lhabitus scientiae acquisitae, emette il verdetto di approvazione o di divieto (Zuccaro, p. 196-199). Nella storia si imposto il modello tomista, anche se nella tarda Scolastica si avuta una ripetizione poco originale di S. Tommaso, riducendo la coscienza ad un giudizio pratico su unazione particolare, giudizio di conformit o difformit dalla legge. Il giudizio della coscienza viene visto come una sorta di sillogismo: Esempio: Premessa maggiore: Aiutare il sofferente che incontro cosa buona ed la chiamata di Dio per me; Premessa minore: Quest'uomo un sofferente che si rivolge a me; Conclusione: Aiutare questuomo cosa buona ed la chiamata di Dio per me in questo istante. Nei secoli successivi non si sono avute particolari novit, solo grazie al rinnovamento teologico del XX secolo stato possibile superare una visione troppo schematica e angusta di coscienza, per ridare a questa facolt decisiva dellagire morale un ruolo pi attivo, non solo di passiva applicazione di principi morali generali al caso particolare. Il rinnovamento ha portato, tra laltro, al Concilio Vaticano II, di cui presenteremo il testo relativo alla coscienza morale, come anche ad alcune concezioni pi recenti di coscienza creativa, verso le quali la VS si mostra molto critica. 3. Il processo di coscienza inteso come giudizio

a. Coscienza potenziale o fondamentale

1 elemento: la sindresi. Con questo termine s'intende il possesso abituale dei principi basilari dellordine morale, soprattutto del principio "fa il bene ed evita il male". Si tratta, sul versante soggettivo, dei principi primi e universali e delle norme fondamentali della legge morale naturale. Ogni uomo, a questo livello pi profondo, non soltanto afferra i principi basilari dellordine morale come norme fondamentali dellordine morale, ma sente anche nella sua volont l'impulso al bene e l'avversione al male. 26

2 elemento: le conoscenze morali Nel corso della vita l'uomo si procura un sapere specifico sul bene morale, ossia sui valori etici particolari. Questo sapere pu essere ampio o ridotto, profondo o superficiale a seconda degli individui. Mentre nei principi e norme di fondo, che costituiscono l'oggetto della sindresi, regna l'evidenza, nelle singole conoscenze morali possibile l'errore.

b. La coscienza attuale

Con il possesso della sindresi e delle conoscenze morali particolareggiate non si d ancora l'atto della coscienza. Questo si ha quando la coscienza qui e adesso prende posizione di fronte alla propria azione morale concreta e giunge quindi al giudizio pratico. la coscienza attuale quella che spinge allazione, tenendo conto dellhabitus della coscienza fondamentale (sinderesi + conoscenze morali acquisite) e della realt concreta in cui la persona si trova Quindi la coscienza vista come una facolt composta di due parti (con un linguaggio un po grossolano): la conoscenza fondamentale o potenziale, che costituisce quello che possiamo considerare come il bagaglio di valori e principi etici fondamentali che ogni persona possiede in se stessa, e la coscienza attuale. A sua volta la coscienza potenziale consta di sinderesi (possesso permanente e stabile dei principi primi dellordine morale) e di conoscenze morali acquisite, che dipendono molto dalleducazione, dalla cultura, dalla storia personale, dalle convinzioni religiose, ecc. Sia la sinderesi che le conoscenze morali acquisite sono considerati, seguendo la filosofia classica, habitus. La coscienza attuale invece il giudizio pratico su unazione che sto per fare o sto facendo o ho appena fatto. Questo giudizio pratico dipende dalla singolarit e irripetibilit di ogni situazione, ma anche dai principi della coscienza fondamentale. 4. Varie forme di coscienza -

coscienza fondamentale o potenziale:

Delicata: una coscienza che ha grande familiarit con i valori morali, affinata sensibilit con cui li percepisce ed energica volitivit con cui tende a realizzarli. Questa sensibilit pu essere sia a livello della sinderesi che a livello delle conoscenze morali acquisite;

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Lassa: in pratica lopposto della coscienza delicata; si ha scarsa sensibilit per i valori morali e debole volont nel realizzarli;

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Scrupolosa: si ha quando si verifica un aumento morboso della sensibilit morale; una sorta di malattia psicologica, per cui la persona non mai in pace, crede di essere sempre nellerrore. coscienza attuale (cfr VS 59 e 61):

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Antecedente: prima di compiere unazione (spinge a fare il bene ed evitare il male) Concomitante: accompagna lazione (conferma o turba) Susseguente: dopo lazione (loda o rimprovera) La coscienza attuale ha queste tre coppie di caratteristiche fondamentali: Retta o viziosa Vera o erronea Certa o dubbia

Retta: si ha quando l'uomo ricerca sinceramente il vero e il bene, e quindi si sforza di giungere ad una decisione della coscienza oggettivamente giusta, cio conforme ai veri valori morali. Viziosa: si ha quando manca la ricerca sincera del vero e del bene; la coscienza in questo caso pu diventare quasi cieca in seguito allabitudine al peccato, per familiarit con il male. Motivi di ignoranza colpevole: coscienza affettata (non voler sapere); negligenza (non sforzarsi per conoscere); ignoranza in causa (non evitare la causa dellerrore). Vera: si ha quando la decisione di coscienza realmente corrisponde allordine morale oggettivo, cio il giudizio soggettivo coincide con la verit morale oggettiva. Erronea: si ha quando, a causa di falsi principi o per unerrata deduzione, si giudica in maniera falsa un'azione, cio si prende per buono ci che oggettivamente cattivo, o viceversa. La coscienza pu essere invincibilmente erronea (non si riconosce lerrore e quindi non c la possibilit di uscirne da soli) o non invincibilmente erronea (lerrore della coscienza superabile). Certa: si ha quando chi agisce non ha alcun motivo ragionevole di dubitare della sua valutazione dei valori e delle circostanze. Dubbia: si ha quando chi agisce incerto nella sua valutazione dei valori e delle circostanze. Come vedremo il dubbio di coscienza pu essere teorico o pratico. A questo punto, alla luce di quanto detto possiamo enunciare i principi fondamentali per lagire: 1 Principio: Norma incondizionata dellagire la coscienza insieme retta e certa (norma prossima della moralit personale, VS 60), che pu anche essere non vera, ma sempre obbligante. 2 Principio: Non bisogna mai agire contro la propria coscienza retta e certa, anche quando fosse invincibilmente erronea. 28

3 Principio: Nessuno deve agire con un dubbio pratico di coscienza o con coscienza vincibilmente erronea. 5. La coscienza secondo il Concilio Vat.II Il Concilio tratta della coscienza morale in un bellissimo testo che riportiamo (GS 16): Nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non lui a darsi, ma alla quale invece deveobbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa' questo, fuggi quest'altro. L'uomo ha in realt una legge scritta da Dio dentro il suo cuore: obbedire ad essa la dignit stessa dell'uomo, e secondo questa egli sar giudicato. La coscienza il nucleo pi segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nellintimit propria. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. Nella fedelt alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verit e per risolvere secondo verit tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto pi, dunque, prevale la coscienza retta, tanto pi le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralit. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignit. Ma ci non si pu dire quando l'uomo poco si cura di cercare la verit e il bene, e quando la coscienza diventa quasi cieca in seguito all'abitudine del peccato.

Le pi importanti affermazioni dal testo:a.

Nellantropologia la coscienza deve occupare un posto di rilievo, soprattutto in considerazione del fatto che nella nostra epoca da un lato la persona singola e la sua coscienza vengono sempre pi valutate e dall'altro la decisione di coscienza viene ostacolata e minacciata da regimi dittatoriali e dai mass-media. La visione teocentrica della coscienza, tipica della S. Scrittura, la base della dottrina sulla coscienza. La coscienza in fondo un fenomeno religioso, non soltanto morale. La visione meramente psicologica o sociologica della coscienza del tutto insufficiente. La coscienza preordinata alla verit oggettiva. La coscienza non autonoma in senso assoluto, ma teonoma, cio rapportata a Dio (L'uomo ha in realt una legge scritta da Dio dentro il suo cuore...,dove egli si trova solo in Dio, la cui voce risuona nell'intimit propria). La coscienza pu e deve unire gli uomini. La coscienza di ogni uomo preordinata all'ordine dei valori morali, per cui mediante la ricerca della verit nasce fra le coscienze degli individui non soltanto una stretta unione morale, ma anche una comunione salvifica: Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e che tuttavia cercano sinceramente Dio, e con 29

b.

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l'aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volont di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (LG 16; cfr VS, n. 3). 6. La coscienza dubitante e i sistemi morali Il problema della coscienza dubitante un problema che stato molto sentito nei secoli passati, soprattutto tra il XVII e il XVIII secolo, fino a diventare in certi momenti un problema centrale della teologia morale. I cosiddetti sistemi morali (tuziorismo, probabilismo, ...) sono stati costruiti per rispondere a questo problema: come comportarsi responsabilmente in caso di coscienza dubbia? Come superare un dubbio pratico di coscienza? Il punto di partenza della riflessione la coscienza dubbia. Esistono vari tipi di dubbio: - dubium iuris: riguarda la stessa norma morale; si dubita dell'esistenza o della validit di una determinata norma (ad es. si dubita se la sterilizzazione diretta sia in s cattiva e quindi se esista una norma che la proibisca); si chiama anche dubbio teorico. - dubium facti: riguarda l'azione da compiere; si dubita che una determinata azione ricada o no sotto una legge, una norma (ad es. si dubita se un determinato intervento medico costituisca sterilizzazione diretta); si chiama anche dubbio pratico. - dubbio personale: la singola persona ad avere dubbi di coscienza. - dubbio collettivo: riguarda la comunit o un certo gruppo sociale Da notare limpostazione un po angusta dei moralisti di quel tempo (che pure hanno fornito alla morale la discussione preziosa su tanti casi di coscienza): luomo visto in mezzo tra la libert e la legge, come un campo di battaglia conteso tra questi due proprietari. Nel caso di legge certa non ci sono problemi, ma nel caso di legge dubbia chi vince? Ecco allora i tentativi per risolvere i dubbi di coscienza e la conclusione espressa in genere in questo modo: possidet lex, oppure possidet libertas. Come allora superare il dubbio pratico di coscienza? Primo tentativo: eliminazione diretta del dubbio. Il dubbio viene eliminato sia dal punto di vista teorico che pratico; e di conseguenza si giunge alla coscienza certa. Ci pu avvenire attraverso la riflessione, lo studio, l'informazione, il consiglio di persone competenti. Questa soluzione possibile quando si ha un certo tempo tra il dubbio e lazione concreta da compiere e soprattutto quando si riesce a risolvere il dubbio teorico in modo convincente, ci che non scontato. Inoltre questo tentativo va bene quando il dubbio pratico

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deriva da un dubbio teorico, ma non sempre cos; ci possono essere casi in cui la situazione concreta che pone dubbi alla coscienza, non la legge morale considerata in generale.

Secondo tentativo: eliminazione indiretta del dubbio mediante un principio riflesso particolare

Per principio riflesso particolare (riflesso vuol dire: frutto della riflessione) si intende un principio o criterio prudenziale, di ordine pratico. Senza risolvere teoricamente il dubbio, con un principio di questo genere si pu arrivare ad un ragionevole giudizio pratico e quindi alla certezza morale riguardo all'azione da compiere o non compiere. Alcuni esempi di principi riflessi particolari (cfr anche Peschke p. 167): Per raggiungere un fine assolutamente necessario, va preferito il mezzo pi sicuro a uno meno sicuro (per es. i teologi discutono sull'assoluta necessit del Battesimo in ordine alla salvezza. Qualcuno di conseguenza pu dubitare dell'assoluta necessit di amministrare in ogni caso il Battesimo. All'atto pratico per, se uno si trova di fronte a un non-battezzato in fin di vita, bene che lo battezzi, anzi deve battezzarlo. Il dubbio, pur rimanendo irrisolto dal punto di vista teorico, viene sciolto dal punto di vista pratico); La giustizia proibisce di fare qualcosa che leda il diritto certo del prossimo (per es., nel traffico automobilistico, a volte si possono presentare situazioni non regolamentate da una norma precisa. ovvio che in questi casi non si pu scegliere la soluzione pi pericolosa con cui si rischia di ledere il diritto certo delle persone. Va scelta la soluzione pi prudente e sicura. Il principio riflesso, pur non sciogliendo il dubbio dal punto di vista teorico, permette di giungere alla certezza morale su come in pratica giusto comportarsi. Lo stesso principio, tradotto in campo medico, pu essere espresso cos: primum non nocere). In campo giuridico (praesumptiones iuris): un fatto non si pu presumere, ma dimostrare. In dubio standum est pro validitate actus In dubio pro reo In dubio melior est condicio possidentis, ecc.

Ricordiamo un principio importante: Se c pericolo di un danno serio spirituale o temporale (sia per se stessi che per unaltra persona o comunit), che si tenuti ad evitare a motivo di una legge indubitabile, si deve scegliere lalternativa pi sicura (Peschke p. 169). quello che i moralisti chiamano: via tutior sequenza est, cio si deve scegliere la via pi sicura, da non 31

confondere per con il tuziorismo, di cui parleremo tra poco. Qui siamo di fronte a situazioni in cui c un valore certo e fondamentale ed una scelta che pu andare contro quel valore; in questo caso occorre scegliere la via pi sicura, quella che non mette in pericolo tale valore fondamentale.

Terzo tentativo: eliminazione indiretta del dubbio mediante un principio riflesso universale. Qui entrano in gioco i sistemi morali, che sono appunto questi principi riflessi universali (cfr Pighin p. 59 ss, Peschke p. 170 ss). Siamo di fronte ad un dubium iuris, che non si riesce a risolvere teoricamente (altrimenti sarebbe sufficiente il primo tentativo). Allora cosa fare? La teologia morale ha elaborato questi principi, detti appunto sistemi morali: - Tuziorismo (o rigorismo): nel dubbio, seguire la legge (che per per ipotesi dubbia), perch comunque considerata la strada pi sicura. Tale principio stato condannato da Alessandro VIII (DS 2303) nel 1690, perch la coscienza non pu essere vincolata da una legge dubbia. - Probabilismo: nel dubbio, non si obbligati ad osservare una legge incerta, se ci sono argomenti contrari probabili (da cui il nome), anche se gli argomenti a favore della legge sono pi forti. Argomenti probabili vuol dire seri, fondati, non arbitrari. Liniziatore del probabilismo Bartolomeo da Medina e i sostenitori pi forti furono i Gesuiti, accusati poi di lassimo, ma nella maggior parte dei casi si trattava di accuse ingiuste. - Probabiliorismo: nel dubbio, si pu seguire lopinione contro la legge se pi probabile, se gode di ragioni che hanno un peso maggiore di quelle a favore della legge. il sistema morale iniziato da Concina e sostenuto dai Domenicani. - Equiprobabilismo: le ragioni contro losservanza della legge devono essere almeno uguali a quelle a favore della legge per poter andare contro la legge ( il sistema morale di S. Alfonso). Nel caso in cui una persona si trovi ad avere argomentazioni contro la legge e a favore della legge pi o meno dello stesso peso, pu scegliere luna o laltra strada senza peccare. Lequiprobabilismo di S. Alfonso si articola su tre principi: il primato della verit, il primato della coscienza, i diritti della libert umana che pu essere vincolata solo da una legge certa. Come deve comportarsi il pastore nei confronti di chi ha coscienza dubbia? 1. Chi, in caso di dubbio (quindi su una questione discussa, in cui anche da parte del Magistero non c una posizione chiara), giunge responsabilmente ad un'opinione sostenibile, va rispettato. 2. Chi soggettivamente ritiene sostenibile un'opinione che oggettivamente non lo , deve essere invece illuminato (per nel rispetto della coscienza invincibilmente erronea o della coscienza perplessa). 32

3. Di fronte alla ragionevole aspettativa che il fedele, se illuminato sulla peccaminosit di unazione, in quel momento e in quella situazione non riuscirebbe a cambiare, ma passerebbe da uno stato di peccato materiale ad uno stato di peccato formale, bene lasciarlo cos (cfr Vademecum per confessori, 1997, al n. 8) La coscienza perplessa Se, nonostante questi tre tentativi, il dubbio non si scioglie, cosa fare? Quando possibile, lazione va omessa, oppure rimandata finch non sar stato eliminato il dubbio. Ma se non possibile rimandare lazione? Se la persona si trova nella necessit di dover agire comunque? In linea generale, si deve scegliere la via pi sicura, anche se richiede eroismo (per es., un soldato che riceve un ordine, della cui moralit dubita, da eseguire immediatamente, dovrebbe non eseguirlo, anche a rischio di gravi conseguenze). Questo sul piano oggettivo. Ma sul piano soggettivo siamo nel caso della cosiddetta coscienza perplessa: uno si trova a dover agire e tutte le possibili vie, a suo giudizio, sono cattive, conducono al peccato; la coscienza si trova di fronte a un dilemma: dover prendere una decisione e scegliere tra quelli che soggettivamente appaiono come due mali morali. Si verifica il cosiddetto conflitto di doveri, che esiste solo sul piano soggettivo. In questo caso, chi si trova in tale situazione di tragico dubbio dimostra il suo attaccamento al bene scegliendo quello che soggettivamente appare come il male minore (principio del male minore, che vedremo). Un esempio tragico: supponiamo che un aereo venga dirottato per essere portato a schiantarsi contro un centro abitato (come avvenuto l11 settembre 2001). Nella certezza che cos andranno le cose (se non si interviene), cosa dovrebbe fare lautorit, ammesso che abbia il tempo di impedire lo schianto? Abbattere laereo, pieno di centinaia di persone innocenti, oppure no? Occorre dire che oggettivamente non si pu mai verificare la scelta tra due mali morali, sarebbe contro lordine che Dio ha impresso nella creazione: come se Dio chiedesse di osservare i suoi comandamenti, ponendo nello stesso tempo la persona in una situazione in cui tutte le alternative portano alla violazione del comandamento, perch sono cattive. Ma non si pu negare che possono esistere situazioni complesse in cui non solo a causa della poca rettitudine o scarsa formazione della coscienza, ma anche per la situazione in se stessa, una persona in forte dubbio e ha limpressione che tutte le strade possibili che sono davanti a lei siano cattive. In questo contesto, accanto alla coscienza perplessa, si parla anche del compromesso morale, che non significa sminuire il comandamento per non fare ci che la legge esige, ma al contrario significa scegliere secondo quello che appare il bene possibile qui ed ora (cfr Zuccaro, p. 231 ss). In altre parole, la teologia morale attuale cerca di dare maggior spazio alla considerazione del soggetto morale agente, che pu trovarsi in situazione di dubbio, anche tragico, non necessariamente perch la sua coscienza non 33

abbastanza matura e formata, ma perch la realt in se stessa complessa. Lesempio di sopra mostra come ci possa essere possibile nel nostro mondo. Il riferimento al compromesso morale non una scappatoia per evadere le esigenze della legge, ma un aiuto per poter ottenere il massimo bene possibile qui ed ora. 7. Diritto alla libert di coscienza (cfr DH 3) L'affermazione del diritto alla libert di coscienza una grande conquista del concilio Vaticano II. Ricordiamo che norma incondizionata dellagire morale la coscienza insieme retta e certa. Luomo deve seguire il suo giudizio di coscienza, quando retto e certo, e non deve essere mai costretto ad agire contro tale giudizio. Il diritto alla libert di coscienza presenta quindi due aspetti: 1. Nessuno deve essere costretto ad agire contro la propria coscienza (questo aspetto del diritto assoluto, non ha limiti); 2. Nessuno deve essere impedito ad agire secondo la propria coscienza (questo secondo aspetto del diritto non assoluto, ha dei limiti nel bene comune). Il primo diritto assoluto, non ammette eccezioni. Anche in presenza di una coscienza erronea, non si pu pretendere che la persona agisca contro ci che lei ritiene essere giusto. La persona va illuminata, perch possa uscire dallerrore, ma mai costretta ad andare contro la sua coscienza. Il secondo diritto non assoluto, dipende dal bene comune. Per esempio, se un kamikaze vuole farsi esplodere in mezzo alla folla perch questo giusto secondo la sua coscienza, si pu e si deve cercare di impedirlo. In questo caso non si viola la coscienza del singolo, perch non lo si costringe ad agire contro la sua coscienza, ma gli si impedisce di agire secondo la sua coscienza. 8. La formazione della coscienza La coscienza non solo deve svilupparsi rettamente, ma anche essere continuamente formata perch possa scegliere nel bene, secondo la legge di Dio. La VS, al n. 64, ricorda che per poter discernere la volont di Dio necessaria la conoscenza della legge di Dio in generale, ma anche una certa connaturalit tra luomo e il vero bene (citando S. Tommaso: Connaturalitas ad res divinas fit per caritatem, quae quidam unit nos Deo II-II, q. 45, a. 2). Il lavoro di formazione della coscienza consiste non solo nellacquisizione di informazioni a livello di scienza, ma soprattutto nel far s che il soggetto entri in possesso dellhabitus virtuoso che lo inclina a riconoscere per connaturalit quanto bene in s. Uno dei requisiti per la formazione della coscienza la docilit, necessaria non solo per coloro che cominciano a formare la coscienza, ma anche per mantenersi nel retto giudizio di coscienza, attraverso la virt della prudenza. Esiste pertanto il dovere di seguire la propria coscienza, ma soprattutto il dovere di formarla, perch trascurare di formare la coscienza significa gi mettersi nella possibilit di sbagliare, con il rischio di giungere ad un errore 34

invincibile, che, se scusa la persona nel momento in cui agisce, non per senza colpa per come si formato. La disponibilit della persona a formare la sua coscienza parte di ci che si intende per coscienza retta: non si pu avere rettitudine di coscienza se non si umili nellaccettare di formarsi continuamente, rimettendo anche in discussione ci che si crede giusto. 9. Rapporto legge - coscienza Coscienza e legge sono due realt strettamente connesse, compenetrate tra di loro (cfr VS 54). Si pu parlare di primato della coscienza? Certamente la coscienza la norma ultima dellagire, prossima, immediata, lultima voce da ascoltare prima di agire. La norma oggettiva non regola direttamente lazione, ma solo indirettamente, in quanto riconosciuta e assimilata dalla coscienza. Luomo agisce soggettivamente bene quando fa ci che la sua coscienza (retta e certa) gli prospetta come buono. La coscienza costituisce lultima e decisiva norma dellagire morale, il bene ci che conforme alla coscienza (si tratta di bene in senso proprio, formale, ma soggettivamente inteso). Si pu quindi parlare legittimamente di primato relativo della coscienza. Infatti: il bene morale in senso concreto e personale ci che conforme alla coscienza; il male morale in senso concreto e personale ci che non conforme alla coscienza.

A questo proposito, la VS ha una posizione articolata. Anzitutto riporta alcune teorie della coscienza presenti nella teologia morale contemporanea, secondo le quali la coscienza sarebbe stata ricondotta, in passato, ad avere un ruolo passivo, di semplice applicazione di principi generali alle situazioni concrete della vita. Cercando di superare questa visione troppo angusta e limitata della coscienza, si giunti a parlare di coscienza creativa e dellattivit della coscienza stessa non pi nella forma di giudizi, ma di decisioni. Lenciclica critica queste posizioni e ripropone il valore della coscienza nella sua capacit di formulare un giudizio pratico sullazione, da compiere o da omettere, un giudizio di assoluzione o di condanna secondo che gli atti umani sono conformi o difformi dalla legge di Dio, scritta nel cuore (n. 59). Questo giudizio deriva dai principi fondamentali della legge naturale, in particolare il primo (fa il bene, evita il male), applicati nella situazione concreta: Mentre per la legge naturale mette in luce le esigenze oggettive e universali del bene comune, la coscienza lapplicazione della legge al caso particolare, la quale diventa cos per luomo un interiore dettame, una chiamata a compiere nella concretezza della situazione il bene. La coscienza formula cos lobbligo morale alla luce della legge naturale (n. 59). La sintesi di tutto ci che in questo giudizio pratico di coscienza si rivela il vincolo della libert con la verit. Proprio per questo la coscienza si esprime con atti di giudizio che riflettono la verit sul bene, e non come decisioni arbitrarie (n. 61). 35

Se invece il bene o il male viene visto direttamente in rapporto a norme e principi oggettivi e universali, allora si deve parlare di "primato" della legge, perch la coscienza certamente norma prossima-immediata-ultima dell'agire umano, ma non lunica norma e non la norma suprema. Il concilio Vaticano II, in merito al rapporto coscienza-legge, usa un linguaggio molto sobrio: sottolinea s l'importanza decisiva della coscienza, ma evita di parlare espressamente di "primato" della coscienza, di coscienza "norma pi alta o suprema". Usa l'espressione "suprema norma" per indicare invece la legge eterna (DH 3) Non si pu quindi parlare sbrigativamente di "primato" della coscienza. Bisogna intenderlo correttamente. Si pu parlare legittimamente di primato della coscienza, perch tocca ad essa decidere in definitiva sul bene e sul male dell'agire concreto, per lo si deve intendere come primato "relativo", non "assoluto". Dal punto di vista dell'ordine morale oggettivo, in cui si esprime la volont divina, si deve invece parlare di primato della legge. In conclusione, si pu parlare sia di primato della coscienza, sia di primato della legge, purch questo primato sia inteso in senso relativo. Non bisogna insomma contrapporre legge e coscienza: non si pu valorizzare la coscienza a spese della legge, o viceversa. Chi esalta unilateralmente la legge, sottovaluta la coscienza e finisce per togliere forza alla legge stessa, che ha bisogno di ancorarsi alla coscienza, per poter guidare l'agire morale. Chi esalta unilateralmente la coscienza, sottovaluta la legge e in definitiva toglie dignit alla coscienza stessa: la coscienza cos non pi portatrice della Santa volont di Dio, del bene morale vero, ma diventa portavoce del piccolo io umano, delle sue anguste vedute e delle sue fragilit, che diventano misura del bene e del male. La coscienza essenzialmente recettiva (non passiva): preordinata ad ascoltare la voce di Dio e le norme universali dell'ordine morale oggettivo. Nel profondo della coscienza l'uomo si trova davanti a Dio e alla sua volont, che deve compiere. Non ci si pu dunque accontentare di agire con coscienza retta e certa; occorre che possibilmente sia anche vera. Dalla coscienza erronea sono infatti derivati grandi danni nella storia dell'umanit (decisioni obiettivamente sbagliate). 9. Rapporto Magistero - coscienza A volte Magistero e coscienza vengono contrapposti. Spesso si sente fare questa domanda: si deve obbedire al Magistero o alla coscienza? La questione non posta correttamente, perch si tratta di due realt che non stanno sullo stesso piano: Magistero = norma remota coscienza = norma prossima. 36

Di conseguenza non si pu porre l'alternativa in maniera secca: obbedire al Magistero o alla coscienza. ovvio che si deve obbedire sempre, in ultima analisi, alla coscienza, ma nell' iter di formazione della coscienza bisogna sempre tener conto del Magistero e aprirsi all'accoglienza del suo insegnamento. Ricordiamo a questo proposito la legge della gradualit (FC 34), che dice che, pur essendo la legge sempre uguale per tutti nei suoi contenuti, esiste una gradualit nel tendere ad essa. Pertanto, la legge morale obbligante per tutti allo stesso modo, ma occorre tener conto della situazione personale di ognuno nellesigere quanto la legge chiede. La legge della gradualit non va confusa con la gradualit della legge, come se ci fossero diversi gradi nella legge stessa, ma indica piuttosto uno stile pastorale. Quindi anche nellobbedienza al Magistero si deve mettere in conto la possibilit di avere diversi livelli: pur essendo il punto di arrivo lo stesso per tutti, la strada per arrivare a tale obiettivo pu essere diversa da persona a persona. In certi casi una persona pu andare contro il Magistero e tuttavia agire con coscienza retta e certa. La VS al n. 64 dice: Un grande aiuto per la formazione della coscienza i cristiani lo hanno nella Chiesa e nel suo Magistero [] che non porta alla coscienza cristiana verit ad essa estranee, bens manifesta le verit che dovrebbe gi possedere sviluppandole a partire dellatto originario della fede. Quindi la coscienza quando retta non pu non essere in ascolto anche del Magistero della Chiesa, perch esso aiuta la coscienza a formarsi. Tuttavia, se una persona, dopo aver riflettuto, pregato, dopo essersi confrontata, giunge, con coscienza retta e certa, ad un giudizio diverso da quello del Magistero della Chiesa su un punto particolare, deve attenersi al giudizio della sua coscienza e agire secondo tale giudizio, anche portando il peso delle conseguenze delle sue azioni, pur senza dare scandalo nel popolo di Dio. Questo perch lultima voce da ascoltare, quella decisiva, sempre la voce della propria coscienza, ed in base allobbedienza alla propria coscienza ogni persona sar giudicata. Nel caso in cui seguire la propria coscienza retta e certa significhi fare una scelta diversa da quella indicata dal Magistero, occorre dire che la persona, pur commettendo oggettivamente un male, propriamente parlando non commette peccato. Concludiamo il capitolo sulla coscienza riportando la magnifica espressione del card. J.H. Newman: La coscienza il primo di tutti i vicari di Cristo (CCC 1778). E aggiungeva: se si introducesse lusanza di fare un brindisi alla religione al termine dei pasti, io brinderei al Papa, ma prima brinderei alla coscienza. Lo stesso cardinale per affermava anche che la coscienza ha dei diritti perch ha dei doveri, il primo dei quali, come abbiamo visto, consiste nel formarsi, ascoltando la voce che Dio fa risuonare nellintimo della persona proprio attraverso la sua coscienza. 37

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