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La Contrada del Poeta n°10 Lecce, ottobre 2014 fogli volanti di poesia spersa «»

La contrada del poeta per San Salvatore

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"Da tempo non ritornavo sul sito dell’antica abbazia di san Salvatore, oggi nell’agro di Sannicola, un tempo (Basso Medioevo e inizio dell’Umanesimo, tra l’anno 1000 e il 1492) luogo di culto extra-moenia della città di Gallipoli. Finalmente, dopo quasi 35 anni, ci sono ritornato il 5 ottobre 2014, grazie all’invito della Fondazione Moschettini di Copertino (responsabile Luigi Del Prete) e alla Rete Civica “Tutela del Paesaggio e del Patrimonio Storico Artistico e Archeologico” del Salento, che hanno organizzato un sopralluogo sul sito alla presenza di Massimo Bray, già ministro dei Beni Culturali". Maurizio Nocera

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Page 1: La contrada del poeta per San Salvatore

La Contrada del Poetan°10 Lecce, ottobre 2014fogli volanti di poesia spersa

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La Contrada del Poetafogli volanti di poesia spersa

n°11 Ottobre 2014 Fogli volanti di poesia spersa,graficamente composti da Mauro Marino nella sede del Fondo Verri di Lecce

Direttore: Maurizio NoceraI fogli sono pubblicati su Spagine (issuu.com/spagine) e stampati in fotocopiatrice a tiratura limitata

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da sinistra Luigi Del Prete, Massimo Bray, Isabella Bernardini, Sergio Bidetti, Carla De Nunzio, Giuseppe Nocera

San Salvatore, 5 ottobre 2014 - da sinistra Massimo Bray, Isabella Bernardini, Maurizio Nocera, Giuseppe Nocera,Sergio Ortese

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La Contrada del Poetafogli volanti di poesia spersa

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SANNICOLA: SALVIAMO L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE, E CHE SI CONTINUI IL RESTAURO DELL’ABBAZIA DI SAN MAURO

Da tempo non ritornavo sul sitodell’antica abbazia di san Salva-tore, oggi nell’agro di Sannicola,un tempo (Basso Medioevo e ini-zio dell’Umanesimo, tra l’anno1000 e il 1492) luogo di cultoextra-moenia della città di Galli-

poli. Finalmente, dopo quasi 35 anni, ci sono ritornatoil 5 ottobre 2014, grazie all’invito della Fondazione Mo-schettini di Copertino (responsabile Luigi Del Prete) ealla Rete Civica “Tutela del Paesaggio e del PatrimonioStorico Artistico e Archeologico” del Salento, che hannoorganizzato un sopralluogo sul sito alla presenza di Mas-simo Bray, già ministro dei Beni Culturali. La prima volta che misi piede sul sito dell’abbazia disan Salvatore fu nel maggio 1978; in quell’occasione vi-sitai anche il sito dell’abbazia di san Mauro. Successi-vamente pubblicai un articoletto sulla rivista «CulturaSalentina - Proposte» (Congedo, Galatina 1983), nelquale annotai alcune considerazioni sui luoghi. Adesempio che esisteva nella Biblioteca di Gallipoli un ma-noscritto di Antonello Roccio, intitolato Notizie memo-rabili dell'antichità della fedelissima città di Gallipoli(1640), nel quale, a carta 23, l’autore scrive: «Francesco Camaldari fu l'ultimo abate [di rito greco]dell'Abbazia di san Salvatore, fuori Gallipoli, e distanteda essa 2 km, sulla strada per Lecce, mentre il fratellodi nome Antonio, fu l'ultimo abate [anch'egli di ritogreco] di san Mauro». Invece, a carta 303, lo stesso au-tore scrive che, per quanto riguarda lo stato di conser-vazione dei due edifici: «san Mauro, intorno al 1519,anno in cui sull'abbazia officiava ancora l'ultimo abate,

e[ra] rovinata senza [altri] monici, solum con l'Abate,quale rende circa ducati 100 l'Anno...». Ovviamente se quello era lo stato di conservazione del-l’edificio di san Mauro, non migliore salute doveva averequello di san Salvatore.

Autore successivo al Roccio fu Bartolomeo Ravenna, ilquale scrisse Memorie istoriche della città di Gallipoli (hoconsultato la ristampa anastatica dell’edizione originaledi Napoli 1836, curata da Elio Pindinelli e Mario Caz-zato, Gallipoli 2000), dove leggo: «Esisteva in Gallipoli un antico e gran Monastero de’Padri Basiliani […] Era in oltre molto ben provvisto direndite, possedendo tutto ciò che in terraggi, oliveti, ca-noni, decime ed altro, forma l’Abadia di S. Mauro, chepoi fu conceduto al nostro Seminario, insieme coi beniche sono nei territorj di Nardò e Vetrana nominati Curtiveteri. Possedeva pure l’Abadia di S. Salvatore, un’altracol titolo di San Mauro in Galatina, e molti altri beni inUgento, Felline, Taurisano, Casarano e Presicce. Vicinoalla Città, e nella distanza di circa tre miglia, ove attual-mente è la Chiesa di S. Mauro, era luogo in cui collaChiesa esisteva l’abitazione per uno de’ Religiosi, checolà dimorava per invigilare agli affari campestri, edagl’interessi e rendite del Monistero./ Non si ha notiziadell’epoca precisa nella quale questo Monastero fueretto, ma devesi supporre, che ciò accadde verso il se-colo VI, allor quando l’Ordine di S. Basilio divennesopra tutti gli altri più celebre e numeroso, e che nellenostre Provincie più vicine ai Greci s’incominciarono astabilire de’ Monasteri di un tale Ordine./ Nel secoloXIII fu distrutta la Città, e con essa anco la Chiesa ed

di Maurizio Nocera

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il Monastero de’ Monici di S. Basilio. Passati i dispersicittadini ad abitare nella maggior parte nel proprio ter-ritorio, i Monici si ricoverarono in detta Chiesa di S.Mauro, ed all’antica abitazione aggiunsero alcune pic-cole stanze per loro comodità, e vi rimasero per moltianni. Né i cittadini né i Monici, pare, che avessero po-tuto più badare alla già distrutta Chiesa e Città, dacchétrovo notato avere scritto l’Abate Camaldari nella suastoria, che i marmi di questa Chiesa furon tolti e portatialtrove dai Calabresi, ed anco dai Siciliani furtivamente,e che sotto alle macerie dopo il decorso di più anni furontrovate due bellissime colonne di marmo, residuo dellemolte, che adornavano quella Chiesa./ L’Ordine de’ Ba-siliani rimase soppresso, ed i beni di questo Monasteronella maggior parte furono ridotti in diverse Abadie, trale quali vi è quella di San Mauro Suburbano, che comeho notato si possiede dal Seminario./ Dalla visita localedi Monsignor Cibo dell’anno 1548, della quale ne esisteun logoro avanzo nella nostra Vescovil Curia, si ricavala notizia di sette antichi Abati, che avevano possedutol’Abadia di San Mauro Suburbano, cioè Palinide An-garo, Sergio Castaldo di Brindisi, Paride Moncada Sici-liano, Rinaldo Pennucci, Raimondo de Oria di Rossano,Tommaso Nanni di Gallipoli […] Guglielmo Camaldaridi Gallipoli […]. Il suddetto Abate Castaldo di Brindisimosse litigio a quei che possedevano le altre due Abadie,cioè quella di Galatina, e l’altra di San Salvatore di Gal-lipoli, pretendendo riunirle in una, e nella sua persona,perché un tempo appartennero tutte allo stesso Mona-stero» (pp. 348-350).

Altro autore successivo al Roccio fu Luigi Riccio (De-scrizione istorica della città di Gallipoli, Capone editore,Lecce 1977), ma nel suo libro non c’è menzione sullostato di conservazione dei due edifici. Qualcosa in più,solo però relativamente all’abbazia di san Mauro, lo sap-piamo dallo studio fatto da F. Tanzi nel suo libro L’ar-chivio di Stato di Lecce (1906), dove si legge:«La città di Gallipoli, insediata e fortificata nell’isoletta,che più tardi fu congiunta con un ponte, su questa pos-sedeva un non picciolo tenimento, coi suoi casali, conuna foresta, di cui gli avanzi si riconoscono nei feudi diCoppe, Curlo e delle Pazzariche. Stabilimento principaledei monaci greci, era la chiesa di S. Mauro, che fu innal-zata nella contrada, la quale ha lo stesso nome, sul serrodi Gallipoli e sulla via che conduceva a Nardò. Da essadipesero le grancie di S. Maria di Alizza [Alezio], di S.Nicola [Sannicola], di S. Pietro [dei Samari], e nella

città le chiese di S. Maria delle Servine e di S. Basilio./Alla descrizione di questa basilica, che altri ha già fatto,e ai cenni i quali si trovano qua e là sparsi nelle operedei nostri scrittori, aggiungiamo che il calogerato rimasefiorente fino a tutto il secolo XIV: e lo attestano anchele moltissime scritture notarili, che poi servirono inparte a comporre il Codice bizantino. Nel secolo XV vierano ancora monaci; lo togliamo da un capitolo di gra-zie concesse da Federico d’Aragona alla città di Galli-poli: “Item perché lo nostro clero è molto poverissimoet questa nostra patria (Gallipoli) è poco dotata di benibeneficiali, detto clero pate assai et presertim quandodelli pochi benefitij che vacano s’investono forestieri, sesupplica V. Maestà gratiose se degna concedere che tuttii benefitij vacassero et signanter una Abadia nominataSanto Mauro non se possa concedere eccetto ai cittadinide questa città eligendoli a chi appartiene. Placet Re-giae Maiestati: datum in castello novo Neapoli… dieXVIIII Maji millesimo quatringentesimo nonagesimoseptimo regnorum nostrorum anno primo – Rex Fede-ricus”. Ma nei primi anni del secolo seguente i monacierano scomparsi e restava soltanto un ultimo Abbate./L’Università di Gallipoli fu sollecita a fare novelleistanze a Carlo V. “Item come in lo destritto et territoriodella detta città si trova situata una Abbacia sub voca-bulo de Santo Mauro Suburbano de lo Ordine de SantoBasilio, e rovinata senza monici solum con lo Abbate,quale rende circa ducati cento l’anno supplicano a loroAltezze loro piacza et se degneno gratiose quella conce-dere et donare allo capitulo et clero di detta città doppola morte del presente Abbate, cum sit; che de detta cittàalla quale servono continuamente acciò che possano vi-vere et vacare allo culto et officii divini. Placet R. Ma-iestati consentire dummodo prebende quae ex reditibusdictae Abatiae constituerentur seu ampliantur, sint deiure patronatus regi, prout est ipsa Abbacia: datum incivitate nostre Barchinone die vigesimo mensis Augustiseptime indictionis anno a nativitatis domini millesimoquingentesimo decimo nono… Io el Rey”./ Da questodocumento appare che ora i chiostri erano caduti; lachiesa resisteva ancora alle ingiurie del tempo e degliuomini. Nell’anno 1567 il vescovo Cibo andò in giro peri luoghi della diocesi, e li descrisse negli atti della sua vi-sita. Egli affermò di avere trovata “ecclesiam predictiMonasterii antiquam, pictam cum diversis figuris san-ctorum cum tribus altaribus; quae ecclesia cum sit incampania, et in eo loco non est incolatus hominum etsunt penes dictam ecclesiam nonnulla aedificia antiqua

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Massimo Bray all'interno della chiesa di San Salvatore

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diruta, consistenctia in diversis membris, vide licet: inuna sala discoperta, cum una camera cooperta pala-tiata, cum diversi set est quaedam spelunca ecc.”./ Nelgiorno di S. Mauro, primo di Maggio, celebravasi nellaplatea del monastero una gran fiera, dove accorrevatutta la popolazione circostante./ Pertanto da questotempo non solo incominciarono a scomparire le ultimereliquie degli edifici basiliani e delle antiche abitazionidei coloni greci, ma la stessa chiesa fu abbandonata, noncelebrandovisi qualche messa se non di rado./ Non alclero di Nardò, né ai cittadini di Gallipoli furono con-cesse in beneficio le rendite del calogerato; fu solo nellaseconda metà del secolo XVIII che esse vennero conbolle papali e regio assenso annesse al Seminario Dio-cesano. Ora la fattoria di S. Mauro è proprietà privata»(pp. 146-148).

Chi approfondì lo studio dello stato di conservazione deidue edifici fu l'ingegnere Della Grazia, il quale scrisseuna Relazione dattilografata alla Soprintendenza (15 giu-gno 1929), finora a me sconosciuta (ma da quanto leggo,sconosciuta anche a Sergio Ortese, che è l’ultimo stu-dioso che seriamente si è interessato delle due abbazie.Più avanti citerò anche il suo studio), mentre ho rin-tracciato l'Inventario Topografico e Bibliografico dellecripte eremitiche basiliane di Puglia, pubblicato nel 1936a Roma dall’orientalista Giuseppe Gabrieli (Calimera,4 aprile 1872 – Roma, 7 aprile 1942), bibliotecario del-l’Accademia dei Lincei, dove egli, a pag. 39, riporta solo,col numero progressivo 48, l'esistenza della Cripta ogrotta di san Mauro. Nulla scrive di san Salvatore.

Chi invece cominciò a interessarsi seriamente dello statodi conservazione delle due abbazie fu Alba Medea (inaltra pagina di questa «Contrada» è riportato un suoprofilo biografico), incaricata dalla Società Magna Gre-cia Bizantina Medioevale che, negli anni ‘30, la inviò inPuglia per verificare lo stato di conservazione degli af-freschi bizantini. Dopo il suo reportage, la Medea pub-blicò il suo lavoro in un libro (due tomi in ½ folio, unodi testo con 272 pagine e 40 rilievi, l’altro come Albo diimmagini con 165 illustrazioni), intitolato Gli affreschidelle cripte eremitiche pugliesi (Roma-Tivoli, 1939), un-dicesimo volume della prestigiosa Collezione Meridio-nale Editrice, diretta da Umberto Zanotti-Bianco.Recentemente (marzo 2014) questo importante libro èstato ri-editato dall’editore Lorenzo Capone di Caval-lino con una dotta presentazione di Antonio Ventura.

Scrive la Medea: «la constatazione delle penose condizioni nelle quali sitrovano questi monumenti lontani per lo più da luoghiabitati e perciò difficilmente sorvegliabili, o dispersi incentri rurali ove erano abbandonati al vandalismo dicontadini ignoranti che se ne servivano per usi dome-stici e campestri, aveva attirato negli scorsi anni l’at-tenzione di studiosi specialmente dediti alle regionidell’Italia Meridionale [… e, quindi, che suo intentoera] quello di attirare l’attenzione su questi residui diuna civiltà gloriosa destinati al deperimento più asso-luto [… per cui si augurò] di riuscire anche nel secondointento», cioè di non considerare «un’inutile fatica se ilmateriale raccolto potrà riuscire di qualche utilità aglistudiosi di questo campo dell’arte cui è dedicato, potràservire a conservare la riproduzione e il ricordo di mo-numenti in molti casi destinati – ché non sempre è op-portuna né consigliabile l’opera difficile del restauro nésempre possibile quella di protezione e conservazione –a scomparire» (p. 7 e 9 dell’edizione originale). Per avere un quadro panoramico delle due abbazie al-l’epoca delle Medea, leggiamo quanto ella scrive:«La chiesetta [di san Mauro] è abbandonata ed espostaalle intemperie, di notte pare si rifugino pastori ed ar-menti. Mancano i battenti alle porte e in genere le aper-ture e le luci sono prive di infissi. Le strutture murariesono abbastanza solide. Il pavimento, in origine a treripiani che risalgono verso il presbiterio, dovrebbe esserericostruito a lastre di pietra calcarea. Gli affreschi sonoancora in gran parte, soprattutto nell'imbotto dellavolta, sulle pareti e in parte anche nei sott'archi longi-tudinali della navata mediana, ricoperti dalla scialba-tura generale di tutta la chiesetta. Quelli visibili edescritti affiorano qua e là, ove forse un tempo addietrosi cercò di rimetterli in luce ed ove l'intonaco è cadutoper azione dell'umidità e della brezza marina. Natural-mente tali affreschi appaiono assai deturpati e deterio-ratissimi […] La chiesetta (di san Salvatore), circondatada vani sortile intorno ad ogni lato, dall'ovile ad altrisvariati locali di masseria, è adibita a ripostiglio deglistrumenti agricoli che vengono appoggiati ovunquelungo le pareti e spesso contro gli affreschi stessi nellaloro parte più bassa. Nonostante il lungo abbandono,le condizioni statiche del piccolo edificio sono soddisfa-centi; solo nel muro di sinistra fu aperto uno spazio diaccesso e si nota qualche lesione su un arco della primacampata e nell'abside. Gli affreschi sono assai fatiscentie in parte deteriorati per la caduta dell'intonaco in più

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punti» (v. Alba Medea, Op. cit., pp. 246-247 dell’edi-zione originale).

Circa trent'anni dopo la Medea, nel 1967-68, toccò aGianfranco Scrimieri, allora redattore della rivista «LaZagaglia», a fare un sopralluogo e uno «studio di rico-gnizione», purtroppo solo sul sito di san Mauro. Nullainvece vide dell'abbazia di san Salvatore. Comunque, lasua descrizione sullo stato di salute di san Mauro nondoveva essere molto dissimile da quello di san Salvatore,tanto che è bene rileggerlo: «San Mauro rientra nel novero delle piccole o grandi ab-bazie basiliane affidate alla distruzione del tempo e allasconsiderata incompetenza degli uomini […] Da notareche la parte sinistra, fino a uno o due anni fa murata, èdi nuovo aperta, la luce penetra all'interno, oltre chedalle aperture suddette, da due finestrelle [...] Gli altribuchi, praticati qua e là specialmente nel muro di de-stra, che è l'attuale ingresso della chiesa, e la feritoiaaperta nel centro dell'abside, fanno presagire un lentofatale decadimento dell'intero edificio. Uno dei sei pila-stri che dividono la chiesetta in tre navatelle, si man-tiene in piedi solo grazie a pochi frammenti delle pietredestinate a sorreggerlo. Il pavimento non esiste più. Cisono soltanto delle buche, più o meno larghe e profonde,ulteriore segno dell'ignoranza e della superstizione [...]Degli affreschi dell'abside resta ben poco. Non si puònemmeno scorgere quella Déesis che la Medea credevadi poter trovare nel 1939. Sembra quasi che la gente sisia divertita a scalfire le pareti, un po' ovunque, e nonsolo per apporvi nomi e date. Il luogo, alquanto imper-vio, non riesce a frenare la curiosità distruttrice, tantopiù che non ci sono né porte né battenti e le aperturenon hanno infissi. Il portale è chiuso a qualche metrodi distanza, da un muretto. Non basta [però]» (v. G.Scrimieri, Immagini e storia della Chiesa di S. Mauro interritorio di Sannicola, in «La Zagaglia», n. 36, dicembre1967, ed ib., n. 37, marzo 1968).

In risposta all'accorata denuncia dello Scrimieri qual-cosa si mosse. Agli inizi degli anni Settanta, infatti, fu-rono sistemati alla meglio alcune colonne portanti dellanavata; furono chiuse tutte le aperture laterali dellacappella e, sulla porta d’ingresso, fu apposta una infer-riata. Alla più o meno meglio, fu sistemata anche la pa-vimentazione a tre ripiani e rialzato il murettoantistante l'entrata principale. A san Salvatore, intanto,il silenzio si faceva più profondo, mentre i muri degli

edifici accorpati crepavano.Per fortuna, oggi, ma mi riferisco agli ultimi 20 anni, leAmministrazioni comunali di Sannicola (sindaci SergioBidetti prima e Giuseppe Nocera dopo), si sono prodi-gati per acquisire alla proprietà pubblica l’abbazia disan Mauro, in alto mare invece sono le pratiche per l’ac-quisizione anche di quella di san Salvatore. Per quantoriguarda il primo edificio, quello di san Mauro, va sot-tolineato che alcuni interventi di assoluta prima neces-sità di restauro e di rinforzo sono stati effettuati.

A fine anni ’70, ad interessarsi dei due edifici fu lo sto-rico gallipolino Domenico De Rossi che riprese gli studiprecedentemente fatti, fece diversi sopralluoghi sui sitie concluse le sue osservazioni riportandole nel libro Ci-viltà Salentina (Tipolinolito TP, Cutrofiano, 1978).Parlando della struttura del complesso abbaziale di sanMauro, il De Rossi scrive: «al lato della chiesa si apre una cavità, in cui si può scor-gere qualche frammento di pittura che non basta a sta-bilire l'effettiva destinazione della stessa. Al di sopra diesse, all'esterno, e dietro l'abside, mucchi di pietre ri-mangono accatastati, ma non sciolgono alcun interro-gativo. Al di sotto della terra potrebbero trovarsi i restidell'antico cenobio: all'interno dell'antro, altri fram-menti di pittura, forse i primitivi, rudimentali altari, igiacitoi. Ma ... [questo Domenico me lo ripeteva spessoa voce] i mezzi inesistenti, la [sua] non giovane età, [e],soprattutto, la mancanza di autorizzazione, sconsi-gliano la ricerca per stabilire con precisione ov'eral'eremo basiliano». Per quanto riguarda lo stato di salute degli affreschi,scrive: «Una Madonna col Bambino, forse la migliore compo-sizione pittorica, sulla faccia del primo pilastro voltaverso l'abside, è quasi del tutto scomparsa. […] Degliaffreschi dell'abside resta ben poco».Non migliore è la situazione che il De Rossi trova sulsito dell'abbazia di san Salvatore. Descrivendone gli af-freschi trova che: «nel catino dell'abside appaiono quasi del tutto svanitee appena visibili le figure della Déesis [...] Gli affreschisono abbastanza sciupati; deteriorati specialmente dal-l'ignoranza degli uomini, che della cappella ne hannofatto una stalla» (v. D. De Rossi, Op. cit., pp. 258-263).

Con le notizie fornitemi da Domenico De Rossi, ap-punto nel 1978, anch’io mi sono recato sui siti delle due

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abbazie, trovando quello che ho descritto poi nell’arti-coletto citato, da cui riprendo questo passo: «Sono salito su per la serra rugosa che porta al mona-stero di san Mauro e la scena che mi si presentò, non ap-pena raggiunta la meta, fu davvero desolante. Fuisubito assalito da un sentimento di delusione e rabbianel constatare come l'ignoranza e la superstizione degliuomini possano saccheggiare e degradare un'area sto-ricamente così interessante per la comprensione dellosviluppo di una comunità. Il muretto che lo Scrimieriaveva notato, sul quale poi era stata posta l'inferriata,era in parte crollato e l'inferriata stessa divelta e con-torta. Gli antichi tratturi, quello che sta dietro l'edificioe quello che dal fondo della strada provinciale portasulla sommità della collina, erano stati barbaramenteinterrotti da muretti di delimitazione edificatoria. L'in-terno dell'abbazia era letteralmente sconvolto: nonc’erano più i tre ripiani della pavimentazione, da quellopiù basso (che s'incontrava appena entravi) a quello inalto (che stava ai piedi dell'abside). C'era solo un informecumulo di macerie e di buche, tanto che in alcuni puntiil terreno posto di rinforzo sotto alcuni pilastri avevacominciato a venire meno col continuo rischio che qual-cuno di essi poteva cedere anche per un piccolo smotta-mento. Non esistevano quasi più le antiche pitture: làdove esse non erano state picchiettate con pietre o puntedi ferro per una nuova imbiancatura, si era formata unacrosta di salnitro che aveva coperto definitivamente leultime ombre di quelle che erano state le pitture. LaDéesis dell'abside non esisteva quasi più: al suo postoc'era un incolore muro impregnato di umido e di into-naco scrostato. Sulle pareti laterali dell'edificio, in alcunipunti, i secolari tufi sembravano sul punto di sfaldarsida un momento all'altro./ Uscito all'esterno dell'abba-zia, mi sono arrampicato sul retroabsidale. La terrazzaa semibotte era ormai piene di vecchie radici che mi-nacciano le chiusure a chiave dei tufi. Lo stesso campa-niletto a vela, che si alza sulla cuspide, correva anch'essoseri pericoli: alla sua base le radici di erbe selvatiche e iforti venti avevano rosicchiato le congiunzioni./ Tuttociò interessava l'edificio vero e proprio. Perché altro di-scorso era guardare e giudicare lo stato d’abbandonodell'intera area cenobitica. Per avere idea della situa-zione di degrado in cui si trova oggi san Mauro, bisognapensare che non c'è più alcuna possibilità d'individua-zione degli antichi limiti della coorte basiliana; del loroantico piccolo cimitero non c'è più traccia, come puredel loro minuscolo campo di lavoro, annessi entrambi

all'edificio. Neanche la laura, che fungeva da dormito-rio-rifugio dei monaci, e che si trova subito a fianco dellacappella, si è salvata dalla furia devastatrice di alcuniirresponsabili. Il fondo della caverna è stato manomessoe rivoltato; ciò ha provocato guasti irreparabili aglistrati inferiori appartenenti ad epoche storiche prece-denti a quella dei basiliani. Fortunosamente non sonostate ancora “toccate”, perché leggermente più distantidall'edificio alcune specchie ed un cumulo di terra, ri-masti così com'erano originariamente./ Dell'antica ab-bazia di san Mauro non è rimasto altro, e se qualcunonon interverrà subito quel poco che ancora può esseresalvato, fra non molto di questo antico luogo resterà sol-tanto il ricordo».

Fortunatamente, così come scrivevo appena sopra, leAmministrazioni comunali (Bidetti e Nocera) sono in-tervenute e qualcosa di tutto questo degrado è statocancellato, salvo il fatto che, appena un paio di anni fa(2011), qualche irresponsabile è andato nottetempo susan Mauro oltraggiando stupidamente la sua terrazzacon del colore rosa. Ma l’impegno per riportare l’anticaabbazia ad una sua dignità storica non è ancora finito.

Lo stesso giorno della visita a san Mauro, nel pomerig-gio, mi recai anche a san Salvatore, che in linea d'ariadista solo qualche chilometro dall’altra abbazia. Nelmio articoletto citato, scrissi:«Qui la scena che mi si è presentò è davvero dantesca.Quella del primo libro, per intenderci. Nulla è più rico-noscibile di quanto descrisse Alba Medea nel 1939. Illuogo, tutt'intorno per circa un ettaro, è ormai desola-tamente abbandonato. I vani sorti attorno all'edificiovero e proprio sono fatiscenti, quando non del tuttocrollati. Nelle restanti pareti, anche quelle della cripta,si aprono lunghe crepe verticali. La parte sinistra del-l'intera costruzione è ormai crollata da anni. Nei vanisuperiori, là dove un tempo c'era stata la comunità mo-nastica prima, la famiglia del massaro dopo, ci sono solorovine e mucchi di calcinacci. Superato l'impatto contanta desolazione, sono entrato all'interno di ciò cheresta della cappella. Le pitture basiliane, che la Medeadescrisse così bene dopo il suo sopralluogo, non sono piùvisibili. Su alcune pareti delle ombre più oscure fannovagamente supporre che al loro posto, un tempo,c'erano state delle pitture. La Déesis è irreversibilmentecancellata. Solo la volta a botte, più qualche muro dirinforzo costruito successivamente riescono ancora a

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San Salvatore, una croce sulle mura dell’edificio

Maurizio Nocera a San Salvatore

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stare in piedi./ Nuovamente ritorno all'esterno dellacappella. Penso alle occasioni mancate di restauro.Penso alle difficoltà che le nostre generazioni incontranooggi nel ricostruire la propria identità culturale legataal luogo di appartenenza. E intanto, continuo a guar-darmi intorno. Dell'antica coorte resta ormai moltopoco. Il pozzo, con un ben architettato sistema di irri-gazione, fatto con un continuum di pile e pilette posteuna dietro l'altra, è stato per metà rotto, per metà in-terrato. Tutt'intorno grossi frammenti di colonne e pilestanno a testimoniare l'antica vita che in quel luogo siera svolta. I danni maggiori sono stati arrecati all'anticocimitero dei basiliani, collocato sul retro della cappella.Vi sono molte tombe scavate nella roccia e una serie dicumuli di pietre che destano ancora qualche curiosità.Sicuramente alcune di queste tombe, che risalgono aiprimi secoli del secondo millennio, sono state rimosse inepoche diverse. Soprattutto le tombe degli abati che, araggiera e in numero di otto, dipartono dal retro-abside.Su alcune di esse è cresciuta da tempo una fitta vegeta-zione di fichi selvatici. Oltre a ciò che ho sopra descrittonon c'è altro: dell'intero san Salvatore nulla è rimastoad esclusione di un'interessante pietrafinita, sfuggita si-nora all'occhio del “visitatore”, perché distante un cen-tinaio di metri dalla cappella e perennemente sepoltadalla vegetazione. Questa pietrafinita, mai riportata sutesti o pubblicazioni specifiche, misura 28 cm. di spes-sore, 40 cm. di larghezza ed è alta 150 cm. dal livellodella superficie./ In conclusione, per san Salvatore restameno che per san Mauro. Infatti, se san Mauro sarà ri-cordato in futuro per il suo Syllabus graecarum membra-rum (nel 1865, F. Trincherà curò il fondo archivisticogreco riguardante il monastero e composto da 18 per-gamene), riguardo a san Salvatore non esistono né fondidi archivio a cui fare riferimento né storie o studi com-plessivi a cui attingere per la ricerca. Fra qualchetempo, se nessuno interverrà per salvare il salvabile,quando una ruspa sarà passata sopra le sue vestigia, nénoi né altri, passando di lì, si accorgerà che un tempo inquella contrada ha vissuto e lavorato una comunitàumana. È leggenda che in questa zona venissero pro-dotti il miglior olio e il miglior vino del Salento».

Nel 1984, questa volta per iniziativa della sezione lec-cese di Italia Nostra, fu fatta una mostra fotografica euna campagna di sensibilizzazione con la parola d’or-dine Un monumento da salvare. San Mauro presso Gal-lipoli, con interventi dell’allora direttrice del Museo

Provinciale “S. Catromediano”, Giovanna Delli Ponti,che scrive:

«Italia Nostra intende puntare l’obiettivo foto-grafico su alcune testimonianze storiche del territoriosalentino che per i più singolari motivi non sono o nonpossono essere oggetti di tutela e di restauro e che sonoinvece riferimenti importanti, non solo sul piano quali-tativo, per la ricostruzione e la comprensione della sto-ria che ci riguarda». Nella brochure, si occupò degli affreschi dell’abbazia, esempre con la consueta competenza, Marina Franchi Castelfranchi, mentre Antonio Cas-siano segnalò che la mostra fotografica «intende proporre l’attenzione sul monumento in ter-mini nuovi. Oltre che segnalare con precisione lo statodi conservazione e il punto di degrado e presentare perla prima volta tutto il programma iconografico, forniscei dati catastali perché si possa giungere al vincolo e allanotifica del monumento per motivi di interesse storico-artistico, punto di partenza essenziale per iniziare undiscorso serio e concreto per la sua salvaguardia e la suaconoscenza». Da canto suo Roberto Bozza, verificò lostato di conservazione dell’edificio. Scrive:

«Ad un primo approccio le strutture del SanMauro nel loro complesso (fondazioni; paramenti mu-rari; pilastri; archi e volte) non mostrano dissesti di par-ticolare gravità, ed il loro stato di conservazione, sottoil profilo statico, può dirsi soddisfacente. Una fessura-zione non preoccupante, sull’asse mediano della facciatae del campanile, sembra imputabile alla spinta dellevolte./ Seria invece l’alterazione dei parametri murariperimetrali e dei corrispondenti intonachi interni affre-scati per l’umidità ascendente dalle fondazioni, che haportato, assieme all’abbondante proliferazione di alghee a non poche manomissioni, alla quasi totale scom-parsa dei cicli figurativi. All’esterno vistosi fenomeni dierosione dei conci – ed in particolare l’alveolizzazione –evidenziando le alterazioni caratteristiche dell’azionecombinata degli agenti atmosferici con l’umidità di ri-salita./ Ulteriori danni si sono pure prodotti per l’infil-trazioni d’umidità, in particolare perimetralmente alcorpo di fabbrica, dal manto di copertura – del tipodetto “astrecu” – interessato da abbondanti depositi su-perficiali./ Il pavimento interno, in battuto, appare no-tevolmente sconvolto e manomesso, particolarmentenella zona presbiteriale; ciò nonostante sono ancoraconservati i livelli dei piani di calpestio, più elevati nelpresbiterio rispetto alle tre navate. Dai vani delle porte

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San Salvatore, Volto del Cristo

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e delle finestre sono scomparsi, ovviamente, i serra-menti; alcuni vani sono stati murati./ Il portichetto an-teriore di cui restano i muri laterali è un’aggiuntarecente come documenta la foto Palumbo (circa 1930),mentre l’abside è ancora ben conservata./ Volendo avan-zare delle prime e sommarie ipotesi di restauro si puòiniziare col dire che, per un risanamento statico, po-trebbe bastare la riduzione del carico dei rinfianchi, laricucitura con imperni azione delle fessurazioni, oltrealla risarcitura di queste ultime./ L’umidità ascendentepotrebbe venire adeguatamente intercettata con il ta-glio meccanico, a livello appena superiore al piano dispiccato, delle murature perimetrali ed inserimento diuno sbarramento orizzontale con resine./ La presenza,all’interno, degli affreschi sconsiglia di sostituire dal-l’esterno i conci più danneggiati ed erosi con la tecnicadel “cuci e scuci”; più idoneo appare invece, per assicu-rare un’adeguata protezione ai parametri, il tratta-mento periodico degli stessi con idrorepellenti,naturalmente reversibili e da scegliere dopo specificheindagini di laboratorio./ Per impedire ulteriori e futureinfiltrazioni dal manto di copertura sembra inevitabileil suo rifacimento in perfetta analogia, dopo la colloca-zione di una guaina impermeabilizzante elastomerica./Pure il pavimento potrebbe venire integrato con altroanalogo, mentre i nuovi serramenti dovrebbero assicu-rare una corretta ventilazione naturale, per non scon-volgere irrimediabilmente l’attuale situazionemicroclimatica./ Per concludere non sarà superfluo ri-cordare che i futuri auspicabili interventi non potrannonaturalmente prescindere da un accurato rilievo, con-dotto su basi di massima scientificità, dello stato di con-servazione di ogni singolo elemento costitutivo, e che letecniche di restauro, per assicurare la perfetta conser-vazione degli affreschi, dovranno preventivamente ve-nire individuate con ogni possibile indagine dilaboratorio».Questa di Roberto Bozza è la prima vera analisi sullostato di conservazione di san Mauro. Ovviamente sanSalvatore qui non è stato nemmeno citato perché l’at-tenzione, in quel momento, era rivolta solo alla primaabbazia.

Nel 1987, per iniziativa del giudice Michele Paone, al-l’epoca pretore di Gallipoli, e col patrocinio del Com-missario prefettizio di Sannicola, Nicola Prete, vennestampato dall’Editrice Salentina di Galatina, come re-print, un interessante libro del canonico arciprete galli-polino Francesco D’Elia, a quel tempo «R. Ispettore

per i monumenti, gli scavi ed oggetti di antichità e diarte dei Mandamenti di Gallipoli, Nardò e Casarano»,intitolato Origine e vicende della Chiesa e del Comune diSannicola (Gallipoli, Tipografia “La Sociale”, 1913),all’interno del quale si legge una corposa appendice checonsta di sette interventi, uno dello stesso F. D’Elia(Abazia basiliana di S. Salvatore a Gallipoli), seguitodalla copia ms. del verbale della visita pastorale del ve-scovo Pelagro Cibo (Carte Ettore Vernole) intitolata Vi-sitatio abbatie Santi Salvatoris; seguono poi cinqueinterventi di Ettore Vernole, nell’ordine: Cimelii di artebasiliana, Il periodo basiliano, Appunti e rilievi presi allamia prima visita a S. Salvatore (12 giugno 1925), Promemoria, Lettera ad Ettore Vernole. Chiude l’opuscolouna serie di disegni di alcune planimetrie, prospetti einterni, eseguiti dallo stesso Vernole.Questo libro è molto interessante perché nell’interventodel D’Elia viene fatta la cronistoria delle vicende di sanMauro negli ultimi secoli della sua esistenza. Ad esem-pio, veniamo a sapere della comunicazione dell’autoredell’esistenza dell’abbazia di san Salvatore «rimasta finora sconosciuta, come lo è, credo, agli stessieruditi nella storia dei basiliani, se non esistesse oggiuna fattoria dal nome S. Salvatore, proprietà dotaledella signora Giulia Ravenna, moglie del cav. S. Pasca-Raymondo./ Nel mezzo di questa fattoria sorge un fab-bricato di varii membri, dei quali, parte sono diantichissima costruzione, e parte, dirò, nuovi, sebbenecontino quasi un secolo di esistenza. Nel centro di que-sto fabbricato è rimasto fortunatamente incarceratal’antica chiesa dell’abazia basiliana con parte del mo-nastero, che ha dato il nome al podere ed alla contrada,e che oggi a noi l’esistenza di quella abazia nei secolipassati» (p. 71).L’autore scrive poi che, nel momento in cui egli visita ilsito, la chiesetta è adibita a deposito di botti di vino,deposito che appartiene sì alla signora Giulia Ravenna,la quale però «non ha colpa l’attuale proprietaria, né suo padre Bar-tolomeo, né suo avo Giovanni Ravenna, perché tre ge-nerazioni, per quanto mi sappia, nessuna innovazionehanno apportato al fabbricato di quella fattoria, eredi-tata da Bartolomeo seniore, quello appunto che pub-blicò le Memorie istoriche di Gallipoli. Se vi è colpa, sideve attribuire a lui. E fa proprio meraviglia ed è degnodi essere notato, come egli, che mostrò di occuparsi distoria patria, dei monumenti e di tutto ciò che forma ilmateriale onde attingere le notizie per fermare la veritàstorica, non abbia poi parlato di quella chiesa e dell’an-

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San Salvatore, l’abside visto dall’interno

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nesso fabbricato dell’antica abazia basiliana, comeparlò di quella di S. Mauro. Egli che, nel 1836, quandopubblicava le Memorie istoriche era il proprietario delpodere che la contiene, non avrebbe dovuto trascurareun cenno di descrizione su quella chiesa monumentale,quando tanto si diffuse su quella di S. Pietro dei Samarie sulle altre rurali, e di nessuna importanza, di S. mariadi Daliano e della Madonna del Carmine, ed anco, inuna lunghissima nota, della cappella pubblica da luieretta nella sua villa di Rodogallo; anzi, ricco com’era,avrebbe dovuto, se veramente fosse stato amatore dicose antiche, fare alla muratura delle riparazioni per laconservazione di quel monumento, ed oggi non deplo-reremmo la scomparsa delle antiche pitture./ Quandonel maggio [1900] di quattro or sono mi recai a visitarequella chiesa, la trovai ingombra di botti ancor piene divino» (p. 72).D’Elia descrive poi lo stato di conservazione degli affre-schi, e trova che essi sono assai assaliti dalla muffa e dalsalnitro. Tuttavia riscì «a rimuovere la muffa, e così potetti vedere chiaramentee copiare con fedeltà i caratteri».Interessante anche la seconda visita che, nel 1927, ef-fettuò a san Salvatore Ettore Vernole, autorevole autoredel libro Il castello di Gallipoli e noto storico salentinotra le due grandi guerre. Ecco come egli ci descrive i luo-ghi:

«Entriamo nella chiesetta abaziale di San Sal-vatore nella vicina campagna gallipolina./ Percorrendola strada provinciale che da Gallipoli mena a Sannicola,[…] vedremo […] il biancheggiare di un fabbricato: èla masseria San Salvatore dei Pasca. […] Il massaroapre non senza pregarvi di spegnere la sigaretta, perchéil magazzino è colmo di paglia. Il magazzino è invecel’antica basilica, intatta nella forma, inesorabilmenteimbiacata nelle pareti; in fondo l’abside, dal catino finoal piano cilindrico, è tutta affrescata, e i dipinti sonoeroicamente ribelli agli ostinati insulti degl’imbianchini,vogliono prepotentemente mostrarsi intatti agli ama-tori a dispetto di chi non lo vuole […] il cenobio, cheora alloggia i mandriani, ebbe ricche possessioni, pas-sate poscia alla Chiesa vescovile di Gallipoli e nel 1518restituite in piccola parte dal commendatario cardinalDella Valle al nobile monaco greco Alessio Massimianoper tenervi calogeri basiliani; che tenacemente vi suc-cedettero altri abati greco-gallipolini, come FrancescoCamaldari, Giovan Tomaso Nanni, Donantonio Nanni,ecc.; […] Dirò che il cortile meridionale presenta un pic-

colo portico con due arcate ogivali, che il cortile orien-tale ha fosse tombali e puteali scavate nella roccia, cheun concio emergente a sud dell’abside ha una rozzacroce in rilievo affiancata dalle sigle scolpite: X N K(Gesù Cristo Vince)» (pp. 78-79).Il Vernole descrive poi la pianta e l’interno del tempioe, soprattutto, descrive gli affreschi e i cartigl. Succes-sivamente nell’opuscolo del D’Elia, del Vernole vienepubblicato Appunti e rilievi presi alla mia visita a S. Sal-vatore (12 giugno 1925), nel quale egli precisa alcune no-tizie scritte nel precedente intervento, fra le quali che:

«la masseria San Salvatore, attualmente di pro-prietà della signora Isabella Pasca Raymondi, maritataAurelio Raheli-Lembo [… che] in località vicina si dicevi sia qualche grotta da asceta [… che] la terrazza dellevolte, a dorso d’asino, è coperta di lastre di cotto […che ] entrando nel cortile circostante, lungo il lato me-ridionale si apre a piano terreno un piccolo porticatocome due caratteristici archi a sesto acuto; sotto di essoil massaro aveva costruito un palmento e il corrispon-dente sotterraneo si dice che fu trovato ricolmo di os-same e vasi fittili (?), ormai da lungo tempo sperperatie dispersi./ Proseguendo al tergo della chiesa (lato est)il cortile contiene sei fossette sepolcrali scavate nella roc-cia, ordinate in corrispondenza della curva dell’absideemergente dal fabbrico e disposte in senso perpendico-lare alla muraglia posteriore della chiesa./ Nel cortileroccioso è scavato altresì un fosso rettangolare di circa6 mq., nonché quattro pozzi o vore, che si assicura in-tercomunicanti, attualmente in parte ricolmi di pie-trame: uno di essi è caratteristico, circolare, dall’orifizioorlato con regolarissimo incavo che sembra l’alveo peril pueale; anche gli altri pozzi sono circolari» (pp. 84-85). Successivamente il Vernole descrive l’interno dellachiesa notando che:

«La chiesa è adoperata a magazzino della mas-seria. […] Il pavimento, di battuto comune, è in parteassai guasto, specialmente al centro della crociera, percui non è agevole scorgervi le tracce dell’altare di ritogreco./ Tutte le pareti sono calcinate e in parte con cal-cina rossa. In fondo è l’incavo dell’abside con affreschimalridotti, ma conservati quanto basta per l’interpre-tazione. Presentano tracce di tripla o quadrupla into-nacatura. La parte superiore della parete di sfondo, aldi sopra dell’abside, è anche affrescata ma coperta dicalcina» (p. 85).Questo è quanto è possibile leggere sul piano storico di

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San Salvatore, l’abside visto dall’esterno

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questa antica abbazia basiliana.

Oggi, san Mauro e san Salvatore sono sotto una mag-giore attenzione da parte dell’opinione pubblica, graziealla sensibilità dell’Amministrazione comunale di San-nicola e grazie anche all’impegno profuso in questi annidall’Osservatorio Torre di Belloluogo di Lecce, presie-duto da Carla De Nunzio e Beniamino Piemontese ilquale ultimo, per la difesa delle due abbazie, il 15 aprile1997, lanciò un Appello per salvare l’Abbazia bizantinadi San Mauro (divenuta poi Lettera aperta al Presidentedella Repubblica Oscar Luigi Scalfaro) in cui si legge: «L'Abbazia di S. Mauro, che sorge sulla Serra di Sanni-cola e guarda solitaria Gallipoli, in questi ultimi tempiè mèta di appassionati studiosi e cultori della storia pa-tria i quali, ancora una volta, hanno lanciato un gridod'allarme per salvare le pietre superstiti di ciò che untempo fu centro rinomato di arte e di spiritualità greco-latina […] Alle porte della “Città Bella” sorgono le pre-ziose vestigia della millenaria Abbazia di San Mauro, alcentro di un feudo compreso per secoli nell'ambito ter-ritoriale della municipalità gallipolina ed oggi apparte-nente al territorio del Comune di Sannicola, tramutatosida Frazione in Municipio autonomo, a seguito della di-visione territoriale attuata in esecuzione della Legge n.134 del 5 aprile 1908./ Un pezzo importantissimo dellastoria, dell'arte, della cultura, della fede delle genti chehanno fondato ed accresciuto le sorti della “Città Bella”non può essere dimenticato, né è giusto che esso restiescluso dalle lodevolissime attenzioni ridestatesi oggiper i monumenti gallipolini solo a ragione della diversaappartenenza riportata sulla mappa catastale./ LaChiesa di San Mauro rappresenta, da molto tempo,l'esempio più mortificante di monumento in rovina, dasalvare al più presto dalla distruzione».

Sull’argomento, era intervenuto anche Marcello Muscadi Sannicola che, in un suo libro del 1990 – Un anno aSannicola (Proverbi - Usanze - Tradizioni - Notizie) –dedica un’interessante pagina a san Mauro. Eccola: «Che panorama stupendo da quel ristretto sagrato! Dauna parte l'azzurro mare solcato nell'antichità da navigreche, romane e vichinghe, dall'altro l'ampia pianuraverdeggiante con a due passi l'Appia Traiana che in 10miglia univa Aletium (Alezio) con Neriton (Nardò) eche prima dei romani aveva visto transitare gente mes-sapica ed autoctona con le sue bestie e le sue masserizie.Da quella strada nella vigilia del I° maggio di ogni anno

giungeva sul piazzale antistante il convento una follaimmensa di contadini, artigiani, pastori e commerciantiche l'indomani mattina di buon’ora avrebbero espostoprodotti agricoli, bestiame e manufatti artigianali. Sicelebrava la festa del santo con la fiera chiamata lu ma-sciu (il maggio), la più grande dei dintorni dove si com-merciava di tutto e tra i fidanzati avveniva lo scambiodelle primizie. Da oltre quattrocento anni non si odonopiù le voci allettanti dei venditori mentre il tempo el'uomo rapace hanno divelto l'ultimo concio di tufo diquell'abbazia della quale, nel 1845, si scorgevano ancorai crollanti residui di costruzioni e una vecchia cisternain gran parte rivestita d'intonaco. Ora non c'è più nulla:tutte le grotte piene di materiale di riporto, scomparsii resti di catacombe e il pavimento della chiesa diveltoper la ricerca di favolosi tesori».

Nel 2002, su iniziativa dell’Amministrazione provincialedi Lecce (presidente Lorenzo Ria) e dell’Amministra-zione comunale di Sannicola (sindaco Sergio Bidetti) fuorganizzato un convegno di studio “San Mauro: ‘Testi-mone di pietre e di mare’”, le cui relazioni furono pub-blicate in un volumetto dal titolo La Chiesa di SanMauro. Studio storico, religioso, linguistico ed artistico(cura di Gaetano Giuri, Monica Cascione e FrancescoPenza, Coordinamento Associazioni della Grecìa Salen-tina). In esso non si parla dello stato di salute dell’edi-ficio, tuttavia c’è un esaustivo panorama storico ed unadeguato approfondimento storico-religioso del mondobizantino. Interessante la pubblicazione di un elenco deiMonasteri italo-greci del Salento tra il XI e XV secolo,dal quale si apprende che i basiliani nell’antico agro diGallipoli stavano in san Pietro de Samari (1148), in sanMauro (1149, oggi agro di Sannicola), in san Stefano dePygi (1195), in san Salvatore (1310, oggi agro di Sanni-cola), san Tirso (1325), santa Maria de Libero (1325).V’è anche un’utile Storia dell’Abbazia, dalla quale si ri-cava che:

«le prime notizie dell’esistenza del monastero disan Mauro […] si ricavano dai pochissimi documentiche ci sono pervenuti grazie all’edizione del Trinchera(il Syllabus graecarum membra rum già citato) […] Il piùantico è quello del maggio 1149 con cui Salomone, do-minus di Aradeo, insieme ai suoi figli, Guglielmo ed En-rico, donano al monastero, in persona del suo egumenoGerasimo una casa […] il secondo è del dicembre 1167e riguarda la donazione che il monaco Ilarione e suo fra-tello Angelo fanno di se stessi e di tutti i loro beni pa-

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Un fico invade l’ingresso della chiesa...

La “sveglia” di Beniamino Piemontese con la sua tromba a San Salvatore.

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terni situati in Gallipoli al monastero di san Mauro; ilterzo, dell’agosto 1172, è un altro atto di donazione dibeni mobili ed immobili, effettuata a favore del mona-stero dal monaco Ioannikios. […] Utili riferimenti sulmonastero ci forniscono due lettere di Onorio III del1219, le Collectorie, degli anni 1310, 1324, 1325, i Libriobligationum per gli anni 1326, 1404, 1453, il Registrodei censi del 1482 e infine alcuni documenti pontifici./Altre indicazioni si ricavano dalle relazioni delle due vi-site pastorali effettuate da Pelegro Cibo, vescovo di Gal-lipoli nel 1548 e nel 1567. […] Va infine ricordatal’annotazione catastale del 1751 nella quale si elencanoi possedimenti del monastero allora amministrati da“Carlo Michele d’Altan, vescovo di Vania in Ungheria”./Degli abati di san Mauro conosciamo solo pochi nomi:Gerasimo, ricordato nel 1149; Giacomo, citato nel 1203;Nicodemo, attestato nel 1208; Teoto, menzionato nel1219; Ieroteo, della cui morte si ha notizia in una letteradi Gregorio XI dell’aprile 1374; […] Morto Ieroteo laserie abbaziale si arricchisce di tre abati nello spazio didue anni. Il 29 aprile 1374, infatti, Gregorio XI nominòa succedergli come abate Antonio de Agrimio, monacodello stesso monastero. A costui, che governò san Mauroper poco tempo essendo morto nel corso dello stesso1374, succede Romano Riccio, figlio di Angelo, già mo-naco di san Nicola di Pergoleto, che venne nominato il7 gennaio 1375 da papa Gregorio XI e il cui governo ab-baziale fu ugualmente di beve durata essendo anche luimorto nello stesso anno della sua nomina. Il 22 gennaio1376 vediamo nuovamente Gregorio XI nominare,come abate di san Mauro, Moyses di Costantinopoli, mo-naco del monastero di san Salvatore di Chora a Costan-tinopoli, che resse il monastero per circa un decennio,fino a quando cioè Clemente VII non vi nominò, es-sendo lui ormai morto, Angelo di Grottaglie, monaco delmonastero basiliano di san Vito del Pizzo./ Conosciamoancora l’abate Antonio, morto prima del 7 maggio 1404,giorno in cui Riccardo, suo successore, promise di pa-gare la tassa per il comune servizio; Domenico, che siobbliga il 31 agosto 1453 e infine Palamàdes attestatonel 1482 e ancora vivente nel 1521» (p. 52).

Dalle Memorie istoriche della città di Gallipoli, di Barto-lomeo Ravenna, che cita la visita pastorale del 1548 dimons. Cibo, sappiamo poi che, a seguire da quel 1521,furono «sette antichi Abati, che avevano possedutol’Abadia di San Mauro Suburbano, cioè Palinide An-garo [molto probabilmente si tratta di Palamàdes], Ser-

gio Castaldo di Brindisi, Paride Moncada Siciliano, Ri-naldo Pennucci, Raimondo de Oria di Rossano, Tom-maso Nanni di Gallipoli […] Guglielmo Camaldari diGallipoli».

Per quanto riguarda invece san Salvatore, dalla Storiadell’abbazia citata, sappiamo che:

«La prima notizia ufficiale del monastero risaleal 1310, anno in cui l’abate del monastero pagò al col-lettore delle decime la somma di 26 tarì e mezzo. Vienepoi nuovamente ricordato nelle Collectorie del 1324 e del1325 a proposito del versamento per le decime di 22 tarìe 10 grana. Appena sette dopo, però, l’istituto mona-stico sembra avviato ad una profonda ed irreversibilecrisi dapprima economica poi di vocazioni monastiche.Ce lo conferma il fatto che nel 1332 l’abate Luca, suc-cessore diPaolo, passato a ricoprire la cattedra vescoviledi Gallipoli nel 1331, venne esentato dal pagamentodella consueta tassa per il servizio comune […] nel 1347il suo abate Niceforo venne nominato abate di san Ni-cola di Casole dall’arcivescovo di Otranto Giovanni,anche se poi tale provvedimento venne annullato daClemente VI, e nel 1366 un monaco di san Salvatore,Niceforo de Stefanitio, divenne abate di san Nicola deMaliodo, monastero basiliano della diocesi di Squillace.Ma non mancavano certo i monaci nel 1358 quando In-nocenzo Vi in seguito alla morte dell’abate Simone, suc-cessore di Niceforo, provvide a nominare abate di sanSalvatore Andrea, già monaco del monastero basilianodi santa Maria di Talsano in diocesi di Taranto. […] Aproposito di Andrea, tutto lascia pensare che non presemai possesso del monastero. Nella Collectoria del set-tembre 1373, san Salvatore risulta vacante e difattipagò nihil, mentre dalla lettera di Gregorio XI del 7 ot-tobre 1373, sappiamo che la nomina di Nicodemo diPantaleone, monaco del monastero di san Vito delPizzo, ad abate di san Salvatore, viene disposta facendoriferimento alla vacanza susseguente alla morte di Si-mone e non già di Andrea, e per di più che anche sta-volta la lettera venne notificata al conventui monasterii.[…] 26 anni dopo il provvedimento di Bonifacio IX, ve-diamo l’abate pro tempore di san Salvatore, GiovanniAntonelli di Sant’Elia, rivolgere un’accorata supplica apapa Martino V per far restituire al monastero l’auto-nomia e la dignità abbaziale, adducendo come motivoprincipale il fatto che l’annessione decisa da BonifacioIX il 26 luglio 1396, oltre che risultare dannosa per lastessa sopravvivenza del monastero fosse stata disposta

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Carrareccie

San Salvatore

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sulla scorta di una infondata valutazione del presulegallipolino circa la diminuzione e la inadeguatezza delgettito finanziario della mensa del capitolo./ Peraltroc’è da aggiungere. A parte i sette abati già menzionati– nell’ordine Paolo, Luca, Niceforo, Simone, Andrea, Ni-codemo e Giovanni, ricordiamo ancora MaximianoMarte e Francesco Camaldari, attestati nel XVI secolo.Segnaliamo infine che il monastero è registrato nel ca-tasto conciario di Gallpoli del 1751: l’abate commenda-tario di allora risulta essere “D. Carlo Nicodemicommorante in Roma”» (pp. 52-53).

Infine c’è da indicare come importante e più completostudio sui siti di san Mauro e san Salvatore quello curatodallo storico dell’arte Sergio Ortese con il libro Sanni-cola. Abbazia di san Mauro. Gli affreschi sulla serradell’Altolido presso Gallipoli (Copertino, Lupo editore2012). In questo monumentale lavoro a più voci (oltreal curatore Ortese, intervengono il sindaco GiuseppeNocera, l’assessore ai Ll. Pp. Stefano Bidetti, l’assessorealla Cultura Danilo Scorrano, Mario Cazzato, MarinaFalla Castelfranchi, Manuela De Giorgi, Valentino Pace,Francesco Gabellone, Giovanni Quarta e Davide Melica,Giuseppe Maria Costantini, M. Ritana Schirinzi, Ro-berto Dibiase) viene analizzata approfonditamente lastoria, le architetture, gli affreschi e le correlazioni delledue abbazie con il contesto greco-bizantino dell’areameridionale.

E siamo all’oggi, cioè al 5 ottobre 2014. Il gruppo dipersone, interessato al sopralluogo si è ritrovato primain piazza a Sannicola, poi di là si è spostato sul sito disan Salvatore. Impressionate quello che ci è apparsosotto gli occhi: l’abbazia di san Salvatore è come l'avevovista nel 1978, anzi molto più deteriorata. Gli anni tra-scorsi, di venti, piogge e soli cocenti, com'è nella naturadi ogni cosa, l'hanno stravolta. Tutt’attorno è un crollo.Ormai non c'è più muro degli edifici aggiunti che sipossa definire tale. Ciò che degli edifici accorpati allachiesa di san Salvatore resta oggi è un cumulo di rovinesulle quali cresce rigogliosa una robusta vegetazione difichi, ortiche, rovi spinosi ed antichi olivastri. Gli affre-schi si sono ulteriormente deteriorati ma, quasi che unaforza oscura intervenga dalle più remote regioni dell’in-sondabile, resistono alla violenza del tempo e a quellapiù deleteria degli uomini. Nella coorte basiliana, ilpozzo c’è ancora, sia pure affogato e senza vera, total-mente scomparso è invece il continuum di pile e pilette

poste una dietro l'altra. I grossi frammenti di colonne edi pile, che stavano a testimoniare l'antica vita che inquel luogo si era svolta, non ci sono più. L'antico cimi-tero dei basiliani, collocato sul retro della cappella è cosìcome l’avevo visto 35 anni fa, solo che oggi è ancora piùdevastato dalla vegetazione, che incombe su tutto. Nonci sono più i cumuli di pietre (tipo piccole specchie), cheallora avevo notato. Qualcuno li ha rimossi. Le tombescavate nella roccia sono letteralmente coperte dalla ve-getazione. Soprattutto le tombe degli abati che, a rag-giera e in numero di sei, dipartono dal retro abside. Sualcune di esse è cresciuta da tempo una fitta vegetazionedi fichi selvatici. Non sono riuscito a rintracciare la pie-trafinita, che nell’articoletto citato avevo descritto conqueste misure: 28 cm. di spessore, 40 cm. di larghezza,150 cm. di altezza dal livello della superficie. Quello cheper fortuna resiste ancora, sono le grandi carrarecce, ilcui numero è veramente impressionante e occorrerebbefare uno studio specifico per individuare la datazione ei percorsi del carri.

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San Salvatore, Santo con cartiglio

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Sono due seni di donna di collinae due coppe gonfie di mare vellutato le rocce che gonfianole antiche abbazie scolpite dal vento:è san Mauro è san Salvatore la storia millenariache ansima incensi basilianie vini profumati di paradisie olî che l’orizzonte indora di crepuscolo.

È nella notte dei tempi che gli ultimi abate (di rito greco) officiavano per gli esili respiri d’anime misuratecon lo sguardo rivolto all’immensità del blu.

Poi san Mauro piombò nel silenzio delle tenebre siderali esposto al vento furente dell’Alto Lidomentre san Salvatore rovina nella pianacorroso da fichi selvatici e da mani sacrileghecon pastori e pecore che di notte l’abitaronoe con io e mia madre che restammo inginocchiati sugli irti tratturi.

Col tormento degli ossi nei ginocchicon il cuore che pompa l’umida brezza marina la carne che si crocefigge nel ruvido calcare gli occhi lacrimano di luci absidali.

Maurizio Nocera

A L B AMEDEA(Profilo biografico tratto dall’Introduzione di AntonioVentura alla ristampa del libro Gli affreschi delle cripteeremitiche pugliesi, Capone editore, cavallino, 2014, chela redazione della «Contrada» ringrazia)

Alba Medea, giovane ricerca-trice, di origine lombarda e fi-glia unica dell’illustrepsichiatra e neuropatologoEugenio Medea, riuscì, tutta-via, a muoversi con relativa si-curezza in quei luoghi, chesino ad allora non aveva

avuto mai occasione di visitare. Dopo la nascita, nel1905, aveva, infatti, vissuto per lungo tempo con la fa-miglia all’estero, seguendo gli spostamenti del padrenel corso degli incarichi professionali ed accademici aBerlino, Monaco di Baviera, Zurigo. Poi, al rientro inItalia, si era stabilita a Milano e qui, portati a terminegli studi liceali ed universitari, aveva avuto modo dimanifestare, ben presto, quale sarebbe stato il settoreprivilegiato delle sue ricerche, pubblicando, nel 1932,presso l’editore Cogliati, con prefazione firmata daPaolo D’Ancona, Arte italiana alla corte di FrancescoI. 1515-1517./ In quel periodo cominciò anche ad oc-cuparsi delle vicende storico-artistiche dell’Italia Me-ridionale, perché la passione per l’antichità classical’aveva portata a collaborare con l’archeologo PaoloOrsi, il quale, insieme con Umberto Zanotti-Bianco,nel 1920, aveva fondato, nell’ambito dell’AssociazioneNazionale per gli Interessi del Mezzogiorno, la SocietàItaliana Magna Grecia e costituito, al suo interno, lasezione Bizantina-Medievale, con lo scopo di poter ef-fettuare in Puglia l’esplorazione e la ricognizione si-stematica degli affreschi conservati nelle criptebasiliane, in modo da predisporne la tutela e, nellostesso tempo, renderne nota l’importanza attraversola pubblicazione delle testimonianze superstiti e delle

Ventid’Abbazie

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San Salvatore, la sepoltura di un abate

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relative iscrizioni greche ancora leggibili./ Da loro,Alba Medea, per le indubbie competenze, fu incaricatadi condurre tali indagini e, pertanto, nel 1932, si dedicòcon impegno ai lavori di rilevamento e di classifica-zione, incontrando validi punti di riferimento nelleprofessionalità di Quintino Quagliati e di Renato Bar-toccini, Soprintendenti ai Musei ed agli Scavi di Puglia;di Carmine Corvaglia, Ispettore dei Monumenti e Scavidi Vaste e Poggiardo; di Pasquale Camassa, Direttoredel Museo di San Giovanni in Brindisi./ A distanza didue anni, l’inventariazione dei dipinti era andataavanti speditamente e si avviava alla conclusione,come ella era in grado di darne notizia, riferendo su LaSociétè Magna Grecia Bizantina Medievale et le Corpusdes cryptes d’Ermites dans les Pouilles, nella sede scien-tifica del 3° Congresso di Studi Bizantini di Sofia, dove,trascorso un biennio, sarebbe tornata ancora unavolta, per presentare in anteprima, durante i lavori del4° Congresso di Studi Bizantini, l’edizione pronta perla stampa, con la relazione Le Corpus des fresques pein-tes dans les cryptes des Pouilles./ Nel 1937 provvedevaanche a darne una rapida ma esauriente informazioneagli ambienti culturali italiani, pubblicando Ricordi ba-siliani nell’Italia meridionale. Affreschi nelle cappellerupestri pugliesi in «Arte e restauro» e Osservazionisugli affreschi delle cripte eremitiche di Puglia in «Japi-gia». Gli articoli, per la novità e l’originalità dei con-tributi, suscitarono un tale interesse anche a livellointernazionale, da essere tradotti ed ospitati nelle rivi-ste «American Journal of Archaeology» e «The reviewof religions»./ Finalmente, nel 1939, la Collezione Me-ridionale Editrice, diretta da Umberto Zanotti-Bianco,stampava in due volumi, di cui uno fotografico, l’interaricerca di Alba Medea, con il titolo Gli affreschi dellecripte eremitiche pugliesi. Il territorio interessato dal-l’indagine, precisava l’autrice nell’introduzione, eraquello della regione nei confini attuali e non in quellistorici; pertanto, diversamente da quanto aveva fattoGiuseppe Gabrieli, ella aveva preso in considerazionesoltanto i monumenti esistenti nelle province di Bari,Brindisi, Lecce e Taranto, escludendo gli altri dellaprovincia di Matera, entrata a fare parte, in età mo-derna, della Basilicata./ La pubblicazione, come ebberomodo di recensire Nicola Vacca in «Rinascenza Salen-tina» e Domenico Vendola in «Japigia», rispondeva in

maniera esauriente all’esigenza, da tempo e da piùparti avvertita, di ricerche approfondite e metodologi-camente corrette sull’argomento e ancora oggi, per lascrupolosa competenza con cui fu condotta, restanoimmutati la sua attualità e l’interesse scientifico. […]Tutti gli affreschi sono analizzati dall’autrice e classi-ficati, sulla base dei differenti caratteri stilistici, se-condo una precisa successione cronologica, acominciare dai più antichi, assai vicini agli esemplaridell’arte cristiana orientale, per passare ai più perfettidei secoli XII-XIII e giungere agli ultimi e ormai de-cadenti del 1300 e del 1400. Argomenti che sarebberostati da lei ripresi ed ulteriormente approfonditi, nel1940, trattando L’iconografia della Scuola di Rimini in«Rivista d’Arte»./ A questo articolo sarebbe seguitoun lungo silenzio di circa venti anni, interrotto nel1962, quando Alba Medea ritornò, ancora una volta,sui temi artistici a lei familiari, pubblicando, Resti diun ciclo evangelico in «Archivio Storico per la Calabriae la Lucania» e, l’anno successivo, relazionando su Lapittura bizantina nell’Italia meridionale nel medioevo.V-XIII secolo, durante i lavori del Convegno Interna-zionale “l’Oriente cristiano nella storia della civiltà”,indetto nelle sedi di Roma e di Firenze./ Furono i suoiultimi contributi sulla storia dell’arte medievale ita-liana./ Dal 1966 volle dare un diverso significato allapropria esistenza, perché, privilegiando interessi e vo-cazioni divenuti sempre più importanti, abbandonò inmaniera definitiva studi e ricerche e rivolse ogni ener-gia all’assistenza del prossimo in difficoltà e, in parti-colare, al riadattamento scolastico e lavorativo deibambini affetti da epilessia e da disabilità motorie./Divenne, così, “Nonna Alba”, come presero a chia-marla affettuosamente i piccoli ricoverati nel padi-glione, che il padre, intestandolo alla moglie “BiancaMedea”, aveva creato ed attrezzato presso l’istitutoriabilitativo dell’associazione “La Nostra Famiglia” diBosisio Parini, all’indomani dell’incontro, avvenutonel 1950, con il beato don Luigi Monza./ Una espe-rienza di fondamentale importanza che aveva fattomaturare in lui e nella figlia la decisione di mettere daparte gli interessi culturali ed i beni materiali, per im-pegnarsi soltanto nell’assistenza socio-sanitaria dell’in-fanzia sofferente.

Antonio Ventura

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fogli volanti di poesia spersa a cura di Maurizio Nocera

Maurizio Nocera e sullo sfondo l’Abbazia di San Mauro

L’Abbazia di San Maurosfreggiata... dal tetto rosa