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LA CONSULENZA DI MEDICINA TRASFUSIONALE Maria Beatrice Rondinelli UOC Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma Domande e commenti? Clicca qui

LA CONSULENZA DI MEDICINA TRASFUSIONALE · La Medicina Trasfusionale è una scienza in ... concreto ruolo clinico che lo specialista in Medicina Trasfusionale è ... infatti il rischio

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LA CONSULENZA DI MEDICINATRASFUSIONALE

Maria Beatrice Rondinelli

UOC Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma

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LA CONSULENZA DI MEDICINA TRASFUSIONALE

INDICE

PREMESSA….……………………………………………......................................

CAPITOLO 1IL RAZIONALE DELLE STRATEGIE ALTERNATIVE AL SANGUE ALLOGENICO...................................................................................

CAPITOLO 2ATTUALE POLITICA SUL BUON USO DEL SANGUE:ESPERIENZE MULTIDISCIPLINARI......................................................................

CAPITOLO 3LA GOVERNANCE TRASFUSIONALE:LE STRATEGIE INTEGRATE.................................................................................

CAPITOLO 4LA CONSULENZA DI MEDICINA TRASFUSIONALE.........................................

CAPITOLO 5LE ANEMIE PERICHIRURGICHE...........................................................................

CAPITOLO 6LA PREDONAZIONE DI SANGUE AUTOLOGO: VANTAGGI E LIMITI.........

CAPITOLO 7IL SUPPORTO FARMACOLOGICO ALLAPREDONAZIONE DI SANGUE AUTOLOGO........................................................

CAPITOLO 8IL RUOLO DELLA MEDICINA TRASFUSIONALE PER IL COMPENSO DELL’ANEMIA POST-OPERATORIA ................................

CONCLUSIONI........................................................................................................

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LA CONSULENZA DI MEDICINA TRASFUSIONALE

PREMESSA

La Medicina Trasfusionale è una scienza in continuo divenire ed è una delle discipline mediche a più rapidosviluppo negli ultimi 20 anni. Le competenze dei suoi specialisti, tradizionalmente confinate nell’ambito dellaimmunoematologia, della donazione e raccolta del sangue, della preparazione e distribuzione degliemocomponenti, si sono progressivamente estese a molteplici altri campi tra i quali l’infettivologia,l’epidemiologia, l’automazione, la trapiantologia ematologica (mobilizzazione, raccolta, manipolazione estoccaggio delle cellule staminali ematopoietiche), sino alle attuali nuove frontiere della terapia cellulare e dellamedicina rigenerativa.Lo specialista in Medicina Trasfusionale è andato acquisendo una sempre più spiccata e definita connotazioneclinica, che lo rende prezioso interlocutore paritetico di altri specialisti, in particolare ematologi, internisti,chirurgi, anestesisti. E’ verosimile che il coinvolgimento clinico del trasfusionista diventi ancora più esteso nei prossimi anni. Infatti,nonostante i progressi in atto nella Medicina Trasfusionale, numerose sono ancora le zone d’ombra. Laimplementazione di sistemi di “biovigilanza ospedaliera” in senso lato, cioè la raccolta prospettica sistematicae uniforme di dati da parte delle strutture trasfusionali di tutti gli ospedali, o almeno di un gruppo di ospedalisentinella, potrà meglio definire i reali benefici clinici della trasfusione e la reale frequenza di eventi avversi,presupposto per il miglioramento della terapia trasfusionale nel nostro paese. Una delle sfide più importanti per il clinico trasfusionista sarà inoltre l’implementazione di trials randomizzati controllati di elevata qualità, perchél’ acquisizione di solide evidenze scientifiche (basti pensare ad esempio agli studi PLADO, FOCUS e TRACS)è il presupposto per il progresso della terapia trasfusionale. Ad esempio, uno dei punti centrali della MedicinaTrasfusionale è la definizione dell’effetto della conservazione sulla efficacia della trasfusione di emazie: quattroampi studi attualmente in corso volti ad valutare l’outcome clinico di riceventi randomizzati al trattamento coneritrociti a breve o a lunga conservazione avranno verosimilmente un importante impatto sulla gestione degliinventari di globuli rossi. Trials randomizzati di alta qualità saranno anche necessari per determinare benefici etossicità di grandi quantità di FFP nella rianimazione di pazienti traumatizzati e per identificare appropriati valorisoglia di INR per la trasfusione di FFP nella profilassi o trattamento dell’emorragia nei pazienti in terapiaintensiva. Attualmente c’è un diffuso interesse nel conoscere se i nuovi sistemi di tromboelastografia etromboelastometria possano indirizzare la terapia trasfusionale del paziente chirurgico in modo più specifico deitest coagulatori tradizionali, ed è auspicabile a questo fine che gli specialisti in Medicina Trasfusionale siimpegnino in studi comparativi di buon livello con rilevazione dell’outcome clinico.

Il presente Inserto Cultura “La consulenza di Medicina Trasfusionale” redatto con competenza e passione dallaDr.ssa Maria Beatrice Rondinelli dell’Ospedale San Camillo di Roma fornisce un esempio dell’importante econcreto ruolo clinico che lo specialista in Medicina Trasfusionale è chiamato a svolgere all’interno della propriastruttura e rappresenta una sorta di manuale operativo pratico, ricco di dati ed informazioni, che si riveleràprezioso nella gestione del malato chirurgico.

Alberto Zanella, Fondazione IRCCS Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Milano

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CAPITOLO 1

IL RAZIONALE DELLE STRATEGIE ALTERNATIVE AL SANGUE ALLOGENICO

Negli ultimi decenni le evidenze scientifiche conferma-no come la medicina trasfusionale sia tra i settori spe-cialistici dove si è evidenziata una variegata imple-mentazione sia nei percorsi applicativi che negli orien-tamenti scientifici concettuali.Questa evoluzione è stata sostenuta dallo sviluppo disettori non tradizionalmente correlati agli aspetti pro-priamente laboratoristici inerenti all’immunoematologiaed al dono del sangue, storicamente appartenenti ai ser-vizi trasfusionali sul territorio nazionale, ma a nuove frontiere applicative correlate con la trapiantologiaematologica come ad esempio la mobilizzazione, rac-colta, manipolazione e stoccaggio delle cellule stamina-li ematopoietiche, la medicina rigenerativa con i percor-si correlati agli emocomponenti per uso non trasfusio-nale e l’appropriatezza selettiva della terapia trasfusio-nale in ambito clinico.E’ però necessario considerare come il miglioramentodell' accuratezza e la sicurezza dei percorsi di qualifi-cazione biologica delle unità di sangue abbia rappre-sentato uno dei principali obiettivi del sistema trasfusio-nale negli ultimi anni. Infatti l’inserimento alla fine de-gli anni 90, delle metodiche di biologia molecolare acompletamento delle indagini obbligatorie per la quali-ficazione biologica degli emocomponenti, hanno contri-buito notevolmente ad implementare la sicurezza corre-lata con il supporto ematico allogenico; tuttavia occorretenere in dovuta considerazione come “ il rischio zero”correlato ad una terapia trasfusionale ematica sia sicu-ramente ben lontano dall’essere raggiunto. In una re-cente review pubblicata nel 2010 su Vox Sanguinis da un gruppo di ricercatori californiani (USA), è stato

messo in evidenza come ancora sussista un rischioresiduo di contrarre infezioni dal sangue allogenico,per la possibilità di unità falsamente negative alle va-lutazioni di biologia molecolare, oltre che alla even-tuale presenza di infezioni occulte nel donatore chenon sono individuate dai test di amplificazione gene-tica: infatti il rischio residuo stimato è pari ad1: 1.000.000 per HIV, 1: 2.000.000 per l’HCV,ed1: 72.000 per HBV (1).I fenomeni di globalizzazione legati anche alla facili-tazione degli spostamenti internazionali oltre che allemigrazioni sociali, hanno inoltre facilitato la compar-sa di nuovi patogeni o modificazioni antigeniche divirus già noti, come ad esempio West-Nile Virus,Chicungunya e virus encefalitici, sconosciuti al siste-ma immunologico occidentale con temibili potenzia-lità di trasmissione per via ematica.Il processo d’implementazione della sicurezza trasfu-sionale non è soltanto correlato alla individuazionedei patogeni trasmessi a livello ematico oltre che amisure preventive di accuratezza nella selezione deidonatori di sangue, ma anche alla attivazione di unaccurato sistema di emovigilanza che contribuisce agarantire una globale sicurezza trasfusionale.Esistono infatti accurati sistemi di emovigilanza chedocumentano quale sia a tutt’oggi il rischio trasfusio-nale residuo, come ad esempio il sistema denominato“Serious Hazard of Transfusion” (SHOT; www.sho-tuk.org) che documenta le reazioni avverse alla tra-sfusione nel Regno Unito.Il sistema SHOT evidenzia come nel solo anno 2010siamo stati monitorati 1464 casi di reazioni avverse

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alla trasfusione che in 13 casi sono esitati con il decessodel ricevente; in particolare il sistema di vigilanza haidentificato ben 510 casi di reazione acuta alla trasfu-sione, 200 errori nell’assegnazione dei componenti delsangue, 58 reazioni emolitiche e circa 55 casi di altera-zioni gravi della funzione cardiocircolatoria per sovrac-carico volemico o edema polmonare non cardiogeno.Lo stesso sistema di vigilanza registra, per il quindicen-nio 1996-2010, 151 decessi correlabili alla pratica tra-sfusionale di cui la maggior parte dovuti alla temibilecomplicanza della TRALI (Transfusion Related AcuteLung Injury; 43 casi) , 27 dovuti ad una errata attribu-zione dell’emocomponente, 22 a reazione trasfusionaleacuta, 15 a trasmissione di patologie infettive e 13 permalattia da trapianto contro l’ospite di origine trasfusio-nale (Graft-Versus-Host-Transfusion). In ottemperanzaal Decreto Legislativo 9 novembre 2007, n 207 che attua la Direttiva 2005/61/CE, è stato organizzato unSistema Informativo dei Servizi Trasfusionali Italiani ( SISTRA) che effettua una sorveglianza epidemiologi-ca dei donatori, monitorizza le reazioni indesiderategravi sui donatori, gli effetti indesiderati sui riceventi egli errori trasfusionali oltre che gli incidenti trasfusio-nali gravi.I sopramenzionati sistemi di vigilanza evidenzianoquindi come la trasfusione di sangue sia ancora correla-ta a rischi infettivi legati a patogeni meno noti, ma clini-camente rilevanti ed anche manifestazioni non infettiveche coinvolgono il sistema immunitario influenzandoinevitabilmente il decorso assistenziale dei pazienti.(2) L’effetto immunomodulante consequenziale alla trasfu-sione è direttamente correlato con l’induzione di cito-chine infiammatorie reattive che vengono generate dailinfociti del ricevente in diretta connessione con un suopossibile stato di immunodepressione transitoria, dovu-to anche alla patologia di base ed alle interazioni tera-peutiche oltre ad una possibile correlazione con il pe-riodo di conservazione delle unità di sangue (3).L’ interesse scientifico sugli effetti inerenti il tempo distoccaggio delle unità di sangue, conosciuto come “sto-rage lesion”, è stato riattivato da uno studio condotto su

pazienti cardiochirurgici e pubblicata nel 2008 suN.E.J.M, che ha evidenziato una correlazione progno-stica peggiorativa con un follow-up di un anno per ipazienti che trasfondevano unità di sangue conserva-to per più di 15 giorni (4). Questo articolo ha dato ilvia ad una serie di esperienze in ambito nazionale edinternazionale, che hanno contribuito a definire lareale influenza dei tempi di stoccaggio sulla funzio-nalità effettiva del farmaco sangue e soprattutto sulle sue peculiarità emoreologiche ed in particolareossiforetiche.E’ scientificamente comprovato come i globuli rossisubiscano una serie di modificazioni durante il perio-do di conservazione, che si basano sostanzialmentesulla perossidazione dei lipidi di membrana con con-seguente riduzione della loro deformabilità, con unariduzione del pH ed aumento degli elettroliti nellasoluzione di conservazione con successivo rilasciodell’emoglobina libera (5-6).Basandosi su queste considerazioni alcuni autori han-no anche valutato la possibilità di nuove modalità diconservazione, come ad esempio la prospettiva dellaconservazione in anaerobiosi e con il supporto di sostanze proteomiche (7-8), anche se una recente meta-nalisi di studi clinici condotta da Vanvakas ha con-fermato come la correlazione prognostica sfavorevolenon è tanto da attribuire al periodo di conservazionedelle unità di sangue quanto al carico trasfusionaleglobale del singolo paziente (9).Infatti in armonia con i principi della evidence-basedmedicine, possiamo affermare che l’applicazione diun regime trasfusionale “restrittivo” è spesso correla-ta con una riduzione delle complicanze postoperatoriee dell’incidenza delle infezioni intercorrenti con glo-bale riduzione del periodo di ospedalizzazione peri pazienti meno trasfusi rispetto a quelli più “libe-ramente” trasfusi (10-11-12).E’ importante inoltre considerare, oltre a questiaspetti clinico-assistenziali, gli aspetti organizzativicorrelati con una scarsa disponibilità di donatori par-zialmente giustificato dall’invecchiamento della po-

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polazione e l’aumento degli interventi chirurgici a ca-rattere invasivo con alta perdita ematica, che giustifica-no un’attenzione particolare nei confronti della limitata risorsa sangue (13-14-15).Il sistema trasfusionale italiano, coordinato a livellonazionale dal Centro Nazionale Sangue ed a livello re-gionale dai rispettivi Centri di Coordinamento, si pre-figge l’obiettivo dell’autosufficienza ematica governan-done le attività di approvvigionamento, qualità ed ap-propriatezza d’intervento.Nel 2009 il sistema nazionale ha evidenziato un consu-mo di globuli rossi di circa 2.540.000 unità annuesull’intero territorio nazionale con una corrispondenteproduzione di poco superiore alle 2.545.000 unità, maquesti dati globali devono necessariamente essere inter-pretati, in quanto a livello regionale si verificano gradivariabili di insufficienza, che variano dal -24% dellaSardegna, al -12% del Lazio, al -9,5% di Abruzzo edUmbria, al -6% del Molise ed al -4% della Sicilia. Queste carenze che vengono colmate da difficoltosiflussi di compensazione, determinano un’importazionedi unità di RBC da regioni che incrementano la loroproduzione oltre il proprio fabbisogno, con relativo au-mento dell’impegno economico e delle risorse umane e

strumentali locali.Tutto questo è ovviamente in parte giustificato dallavariabilità regionale della richiesta assistenziale e te-rapeutica oltre che dalla presenza di un sistema tra-sfusionale caratterizzato da disorganizzazioni conso-lidate e dalla possibilità di una forte mobilità sanitariadi pazienti provenienti da altre regioni per loro speci-fiche esigenze specialistiche.Occorre considerare inoltre gli aspetti di “ farmacoe-conomia “ non meno importanti e direttamente con-nessi con le valutazioni dei costi trasfusionali: infattila tariffa di rimborso di una unità di RBC prodottacon caratteristiche di alto livello vale circa 200 euro,mentre un recente studio americano ha potuto quanti-ficare i costi ottenendo dei valori economici cheoscillano tra i 163 ed i 248 dollari, ma questi dati di-mostrano come queste tariffe non possano equiparareil controvalore in risorse impiegato per la produzionedell’emocomponente RBC (16-17).La globalità di queste considerazioni, correlate dallelinee guida e dalle contestuali direttive e norme legi-slative, impone un’attenta valutazione su tutti i pro-cessi applicativi di una moderna “governance trasfu-sionale”.

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CAPITOLO 2

ATTUALE POLITICA SUL BUON USO DEL SANGUE: ESPERIENZE MULTIDISCIPLINARI

E’ ormai una consolidata realtà considerare la risorsasangue “ una materia prima” limitata e nello stessotempo non ancora esente da reazioni indesiderate.Questo concetto giustifica il lavoro svolto negli annidalle società scientifiche trasfusionali ed internaziona-li e da appropriati elaborati di tavoli tecnici-speciali-stici per l’elaborazione di linee guida e standard diriferimento per un’adeguata governance trasfusionale.Sin dal lontano 1995 sono stati istituiti con DecretoMinisteriale i COBUS, comitati ospedalieri per il bu-on uso del sangue (1), che obbligatoriamente devonoessere attivati all’interno di ciascun ospedale pubblicoo per più ospedali appartenenti alla stessa azienda,ideati e composti da un gruppo interdisciplinare dispecialisti in medicina trasfusionale e delle principaliaree di oncoematologia e chirurgia, oltre che da espo-nenti delle direzioni sanitarie.Gli obiettivi attribuiti ai COBUS sono quelli di:

a) Determinare gli standard e le procedure perl’utilizzazione del sangue;

b) Definire la richiesta massima di sangue pertipologia di intervento;

c) Promuovere le strategie di risparmio degliemocomponenti e plasma derivati;

d) Definire i controlli di sicurezza e di verifica;e) Effettuare la valutazione della politica trasfu-

sionale nei singoli reparti;f) Favorire l’informatizzazione del sistema di

donazione –trasfusione ospedaliero;g) Stabilire rapporti di collaborazione con i refe-

renti per le attività trasfusionali delle case dicura private.

Nonostante la definizione puntuale dei ruoli applicati-vi dei COBUS, il sistema trasfusionale italiano denotauna variegata esperienza in questo ambito, sono po-che infatti le aziende ospedaliere che possono avvaler-si di una puntuale organizzazione e soprattutto di per-corsi applicativi relativi al buon uso del sangue.Non è da sottovalutare infatti come spesso, per unastessa patologia, esistano linee guida con differentiprotocolli e diversificati algoritmi applicativi costruitida diverse società scientifiche.L’esigenza emersa negli ultimi anni è sicuramentequella di correlare e confrontare percorsi diagnostici-terapeutici di differente vocazione specialistica, neltentativo di trovare una possibile concordanza tera-peutica e quindi applicativa.Spesso infatti gli ultimi riferimenti scientifici perl’appropriatezza della terapia trasfusionale, nasconoda gruppi interdisciplinari che emanano quindi com-plete raccomandazioni globali ed integrate di speci-fica interpretazione.Un ultimo esempio sono le linee guida, emanate aMarzo 2012 dalla società scientifica americanaA.A.B.B., nelle quali un panel di 20 medici esperti con differente connotazione specialistica, ha condot-to una valutazione metanalitica di confronto su nume-rosi studi e trial randomizzati, creando un grading diraccomandazioni sulle soglie trasfusionali e sui princi-pali parametri valutativi sulla correttezza degli indicitrasfusionali relativi all’uso dell’emocomponenteRBC (2) .Questa linea guida pone l’attenzione sulla necessità ditrasfondere solo se strettamente necessario valutando

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non solo i livelli di emoglobina del paziente, ma so-prattutto le sue condizioni cliniche emodinamiche ecardiovascolari .Le soglie trasfusionali A.A.B.B., che sottolineano lanecessità di soglie alquanto restrittive, per l’utilizzotrasfusionale degli RBC, possono essere così schema-ticamente riassunte:

a) Hb < 7gr/dL per pazienti stabili, in assenza dipatologie cardiovascolari e/o di insufficienzarespiratoria cronica.

b) Hb < 8 gr/dL per pazienti con patologie car-diovascolari e/o insufficienza respiratoria cro-nica.

Questi parametri di riferimento che guidano la richie-sta dei globuli rossi sono ormai universalmente cono-sciuti e condivisi da riferimenti e raccomandazioniemanate dalle specifiche società scientifiche di riferi-mento, anche se purtroppo non completamente accet-tati nella pratica clinica, nella quale situazioni contin-genti ed atteggiamenti di cautela spesso creano per-corsi applicativi non coerenti. E’ evidente però che considerare l’emoglobina e/o l’ematocrito gli unicitriggers trasfusionali sui quali determinarel’appropriatezza di una richiesta trasfusionale, è sicu-ramente riduttivo e limitato.La società nazionale italiana di Anestesiologia SIAR-TI, ha infatti costruito i termini di appropriatezza dellaterapia trasfusionale dell’emocomponente RBC su pa-rametri molto specifici, che si basano sulla saturazionedi ossigeno, la concentrazione dei lattati e quindi sulmetabolismo aerobico dell’organismo, tenendo indebita considerazione ovviamente le condizioni emo-dinamiche del paziente ( 3 ). Utilizzando questi accuratiindicatori, la pratica trasfusionale trova una reale in-tegrazione con la pratica anestesiologica conl’opportunità di perfezionare la soglia clinica per lasomministrazione di unità terapeutiche di RBC, limi-tandone l’uso ad indicazioni assolutamente definite.Queste considerazioni cliniche e gli aspetti collegaticon i potenziali rischi delle unità allogeniche soprade-scritte hanno sicuramente contribuito ad incentivare

sinergie multidisciplinari per la formulazione di per-corsi organizzativi rivolti ai pazienti chirurgici, conl’obiettivo di ridurre l’uso di sangue allogenico, valo-rizzando tutte le strategie di risparmio o meglio di pre-venzione dell’esposizione del sangue allogenico.Infatti un nuovo possibile percorso ottimizzato nellerealtà ospedaliere è quello di associare un adeguatoapprovvigionamento in emocomponenti standardizzaticon una sempre maggiore opportunità, per una rile-vante percentuale di pazienti, di poter affrontare lecure per la malattia sfruttando le proprie capacità dicontrasto dell’anemia e della perdita ematica.Alcune società scientifiche promuovono la possibileattuazione delle alternative alla trasfusione di sangueallogenico in pazienti nei quali la perdita ematicaperioperatoria possa essere resa più tollerabile o con-tenuta, con il supporto di diverse misure medico-chi-rurgiche. L’organizzazione internazionale NATA pro-muove la conoscenza nell’ambito delle metodologiedi risparmio del sangue allogenico e delle alternativealla trasfusione allogenica; questa organizzazione rap-presenta un gruppo internazionale di esperti e di culto-ri del supporto trasfusionale, che persegue il massimorisparmio del sangue allogenico, attraverso la valoriz-zazione delle alternative esistenti e attuabili mediante diversificate tecnologie di risparmio del sangue allo-genico nelle sale chirurgiche.In ambito nazionale un gruppo multidisciplinare, de-nominato ANEMO, lavora nello stesso ambito promu-ovendo simili linee d’intervento, sia per l’adeguamen-to delle strategie trasfusionali verso standard interna-zionali, sia per misure preventive all’esposizione delpaziente al sangue allogenico (4).Gli attuali principi che governano un’appropriata emoderna terapia trasfusionale non devono quindi pre-scindere da una :

a) Valutazione clinica del paziente, con partico-lare riferimento verso la sua stabilità emodi-namica e della presenza o meno di eventualecardiopatia ed insufficienza respiratoria;

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b) Valutazione dei parametri vitali in relazioneallo stato di ossigenazione ematica;

c) Valutazione della capacità compensatoriadell’organismo alla sintomatologica anemica;

d) Valutazione delle possibili alternative all’usodi sangue allogenico;

e) Valutazione del rischio/beneficio correlato conla terapia trasfusionale.

Inoltre la rivalutazione retrospettiva delle richiestetrasfusionali, che rappresentano sicuramente il colle-gamento fra i reparti ed il servizio trasfusionale, offrequasi sempre la possibilità di rivedere i contestualiparametri di appropriatezza della terapia trasfusionale oltre che la determinazione dei trigger sui quali co-struire le procedure applicative.Questo importante strumento di vigilanza perl’appropriatezza trasfusionale può rappresentare uno

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dei momenti strategici di un sistema di verifica e di rispondenza alle procedure concordate per il correttouso degli emocomponenti (5).In sinergia a quanto sopradescritto è importante avva-lersi di un sistema di formazione in ambito aziendale,che dopo valutazioni sequenziali attraverso l’utilestrumento degli audit interdisciplinari, possa costitui-re una serie di indicatori che possano rappresentareuna base lavorativa comune.Utile a questo proposito è citare un recente articolodella rivista Blood Transfusion che riporta una bien-nale esperienza statunitense di collaborazione interdi-sciplinare per una ridefinizione dei parametri di ri-chiesta degli emocomponenti; il risultato di questaesperienza denota ovviamente un minor utilizzo delsangue, una minore evidenza di eventi avversi corre-lati ed una sensibile riduzione del periodo di ospeda-lizzazione (6-7).

5. Carmini D., Rondinelli MB., “ L’esame delle ri-chieste trasfusionali come strumento di sorveglianzasanitaria. La trasfusione del sangue n.4 Luglio 2001.

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CAPITOLO 3

LA GOVERNANCE TRASFUSIONALE: LE STRATEGIE INTEGRATE

Il contesto del sistema trasfusionale degli ultimidecenni ha elevato la sicurezza del sangue donatocon sistemi accurati di qualificazione biologica,rendendolo molto vicino ad un prodotto di tipofarmaceutico, contribuendo ad esporre ogni pazientealla quantità minima necessaria di sangue con lariduzione delle complicanze associate.Un recente articolo di Vamvakas EC et al. edito suTransfusion Medicine del 2010(1) indica le sei impor-tanti strategie per la riduzione della mortalità corre-lata all’uso del sangue allogenico ed in particolare:

a) Evitare le trasfusioni inappropriate ed inutili;b) Ridurre il rischio TRALI (Transfusion-

Related-Acute-Lung-Injury ) connesso con latrasfusione di unità di piastrine e di plasma;

c) Utilizzare emocomponenti leucodepleti confiltrazione pre-storage;

d) Tipizzare in modo estensivo tutte le unitàRBC per la riduzione del rischio immunoe-molitico;

e) Utilizzare emocomponenti inattivati per ipatogeni con metodiche opportune;

f) Non utilizzare emocomponenti assemblati inpool, per la riduzione del rischio infettivo residuo.

E’ evidente quindi quanto sia necessario, prevedereed attualizzare percorsi applicativi che rendanopossibile una decontrazione della richiesta sangue, afavore di strategie che contribuiscano a queste finali-tà.Un autore con consolidata esperienza in questoambito, Lawrence Goodnough, ha sottolineato in unarecente monografia (2) come lo specialista di medici-na trasfusionale debba necessariamente acquisire una

formazione di tipo clinico, attraverso una contestualiz-zazione dei percorsi applicativi ed una condivisionedella strategie trasfusionali in modalità interdisciplina-re. E’ consequenziale quindi che la medicina trasfu-sionale debba orientarsi verso una integrazione con lamedicina perioperatoria, che si occupa di ottimizzaretutti i percorsi assistenziali ed applicativi del pazientechirurgico, anche nell’ottica di adeguare i rapporticosti-benefici. Questi orientamenti determinano lavalorizzazione delle differenti fasi perioperatorie conl’obiettivo di ottimizzare sia la fase diagnostica cheterapeutica, minimizzando i rischi assistenziali corre-lati con l’atto operatorio. L’insieme delle diversecompetenze, in particolare quella anestesiologica,chirurgica ed ematologica-trasfusionale, accresce laqualità dell’assistenza erogata orientandola versoprocessi integrati.Le definizioni dei percorsi in ambito monospecialisti-co sono quindi ormai ovviamente superate, tutte leesperienze assistenziali positive non possono prescin-dere da un network interattivo e da un confrontocontestuale e plurispecialistico.La società di medicina trasfusionale ha recentementeemanato gli standard convalidati in ambito nazionale,sottolineando la necessità di una correlazione interdi-sciplinare per le attività di interesse clinico e chirurgi-co.Gli strumenti acquisiti dalla medicina trasfusionale,frutto di avanzamenti scientifici e tecnologici, devonoottimamente correlarsi con i percorsi clinico-chirurgi-ci, condividendone le indagini immunoematologichedi definizione diagnostica a completamento delleindagini laboratoristiche ed anche le disponibiliterapie trasfusionali con emocomponenti, ormai

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standardizzati.E’ ovvio che anche le strategie alternative all’utiliz-zo di sangue allogenico devono essere inserite negliorientamenti concettuali sopradelineati.La necessità per i servizi trasfusionali di confrontarsicon i servizi di preospedalizzazione chirurgica, alfine di ottimizzare tutta la fase preoperatoria, valu-tando il paziente per la sua capacità di valorizzare ilproprio patrimonio ematico nelle diverse modalitàdisponibili, rappresenta sicuramente un’evoluzioneimprescindibile nell’attuale sistema trasfusionale.Le strategie vincenti che determinano la riformulazio-ne del buon uso del sangue sono la riduzione della“richiesta sangue” con interventi sistematici edintegrati di risparmio con misure potenzianti latollerabilità dei pazienti alla prevedibile perditaematica chirurgica e/o con misure di prevenzionedell’anemia perioperatoria ed al trattamento deglistati anemici con terapie alternative alla trasfusionedi sangue.Questo cambiamento di orientamento culturale ècoadiuvato dalla evoluzione strumentale e tecnologi-ca che ha introdotto una serie di tecnologie point ofcare testing (POCT) che permettono il monitoraggiocontestuale e realistico su una serie di parametrisanitari assolutamente utili nella pratica clinica enell’applicazione chirurgica.Di particolare interesse in questo ambito sono leapparecchiature POCT in grado di effettuare unavalutazione multiparametrica dell’esame emocromo-citometrico, indispensabili per ottimizzare un suppor-to farmacologico nel controllo di uno stato anemicoperioperatorio e per l’adeguamento del timing, nelcaso di un programma di predonazione autologaematica multipla ed i nuovi strumenti di tromboela-stografia (TEG) e tromboelastometria, i cui tracciati ormai affiancano i parametri laboratoristi convenzio-nali (3).Molti sono gli articoli scientifici che negli ultimianni, hanno dimostrato come il controllo dell’emorra-gia erioperatoria possa essere coadiuvato da stru-

mentazioni come ad esempio la tromboelastometria ( ROTEM-TEM International ), che offre la possibilitàdi una diagnosi precoce e differenziale sullo statocoagulativo del paziente emorragico.La tromboelastometria, che costituisce un’evoluzionedella TEG ed è stata sviluppata durante il biennio1995-1997 a Monaco di Baviera, comprende quattrocanali di misura per test simultanei, un computerintegrato per la valutazione automatica ed una pipettaelettronica per l’esecuzione del test in modo interatti-vo.I parametri che vengono valutati sono diversi edattraverso di essi avviene il disegno della curva dellatromboelastometria :

a) CT ( Clotting Time = tempo di coagulazione)tempo che intercorre dall’inizio della misura-zione fino all’inizio del coagulo;

b) CFT ( Clot Formation Time = tempo di forma-zione del coagulo) tempo che intercorredall’inizio del coagulo fino a quando si rag-giunge un’ampiezza massima di 20 mm,polimerizzazione della fibrina, stabilizzazionedel coagulo con le piastrine ed il Fattore XIII;

c) MCF ( Maximum Clot Firmness = consistenzadel coagulo ) consistenza meccanica massimadel coagulo e stabilizzazione crescente delcoagulo mediante polimerizzazione dellafibrina, ;

d) ML ( Maximum Lysis = lisi massima ) lisi delcoagulo espressa in % di MCF.

I diagrammi tromboelastometrici che possono essereanalizzati in modalità simultanea sono:

a) EXTEM che analizza la via estrinseca dellacoagulazione ( Fattore VII);

b) INTEM che valuta la via intrinseca e quindi èsensibile alla carenza del Fattore VIII;

c) FIBTEM che valuta l’attività del fibrinogeno e la polimerizzazione della fibrina bloccandocon la Citocalasina D l’attività piastrinica;

d) APTEM che valuta l’efficacia della terapia

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antifibrinolitica, in quanto l’aggiunta nelreagente dell’aprotinina blocca in vitro iprocessi fibrinolitici;

e) HEPTEM che attraverso l’aggiuntadell’eparinase nel reagente, consentel’esecuzione della tromboelastometria nei pa-

zienti eparinizzati. L’applicazione di standardizzati algoritmi terapeutici,frutto di metanalisi accurate condotte su casisticheampie, permettono la gestione dell’approccio terape-utico nel paziente emorragico in modo “guidato” edapplicato in differenti ambiti chirurgici.E’ ormai una strategia consolidata, la necessità diaffrontare l’emorragia da trauma con il sussidio dellecurve tromboelastometriche, con la garanzia diutilizzare una terapia appropriata per il controllodella perdita ematica massiva (4).La possibilità di affrontare con mirati approcciterapeutici, in particolare utilizzando il concentratodi fibrinogeno ed i complessi protrombinici attraver-so il monitoraggio dinamico tromboelastometrico,contribuisce ad un uso mirato di emocomponentinonché al loro risparmio.

Autori come Shore-Lesserson nel 1999(5) e Spaldinget al. nel 2007 (6) hanno effettuato un’analisi retrospet-tiva sul consumo di emocomponenti prima e dopol’introduzione della TEM per la relativa attività dicardiochirurgia, evidenziando una netta riduzionedell’uso perioperatorio di concentrati piastrinici edunità di plasma fresco congelato.Un’analoga esperienza è stata effettuata pressol’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini(7) chedopo aver acquisito l’applicazione della TEM nellapratica cardiochirurgica dal 2010, ha ottenuto unmiglioramento della gestione terapeutica dell’emorra-gia in corso CEC, con una sensibile contrazionedell’uso di piastrine e plasma.Tutto questo dimostra come l’integrazione di queste differenziate competenze tecnologiche ed adeguatipercorsi formativi, rappresentino uno degli obiettivistrategici dei servizi trasfusionali, che lavorandosecondo gli attuali standard di riferimento in ambitonazionale ed internazionale, ha come diretta conse-guenza una “rimedicalizzazione” del settore in accor-do con i principi della medicina perioperatoria.

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CAPITOLO 4

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Nell’ottica di una valutazione globale ed integrata delpaziente chirurgico è necessario quindi l’integrazionedella consulenza di medicina trasfusionale come tappaimportante dell’intero percorso assistenziale.E’ ovvio che presupposto essenziale alla formalizza-zione di questa “consulenza” è un’analisi conoscitivadella realtà ospedaliera e del contesto di applicazionechirurgica, come garanzia necessaria per costruire unaserie di percorsi mirati ed ottimizzati.Gli strumenti che possono essere utilizzati sono dettatidalla definizione di una puntuale governance trasfu-sionale che attraverso audit interdisciplinari tra l’equi-pe anestesiologica, chirurgica e trasfusionale delle dif-ferenti specializzazioni chirurgiche, contribuisce a de-finire :

a) Un coordinamento assistenziale integrato inrelazione alla tipologia d’intervento ed allamodalità operatoria prevista;

b) La definizione di un timing adeguato perl’effettuazione della consulenza di medicinatrasfusionale;

c) La definizione delle possibilità diagnostiche-terapeutiche per ottimizzare il ruolo della con-sulenza di medicina trasfusionale.

La chirurgia cardiotoracica, epatica, urologica, gineco-logica ed ortopedica maggiore rappresentano le spe-cialità con tipologie d’intervento a maggior rischio disanguinamento, per cui è importante considerare at-tentamente, con analisi multivariate e retrospettive,l’entità delle perdite ematiche perioperatorie, per lacostruzione degli algoritmi predittivi del fabbisognotrasfusionale.

Una standardizzazione contestuale ed attiva della pre-

visione del rischio trasfusionale rappresenta uno deipunti cardine sul quale costruire iter differenziati che devono essere confrontati con le caratteristiche pe-culiari del singolo paziente.Molte sono le evidenze scientifiche che descrivonol’applicazione di metodi predittivi del fabbisognotrasfusionale per guidare ed ottimizzare le richieste disangue come ad esempio il MSBOS (Maximum Sur-gical Blood Order Schedule) proposto nel 1970 con loscopo di limitare le richieste inappropriate di globulirossi (1) e successivamente valorizzato dalle linee gui-da britanniche (Tab. 1).Questo parametro indica sostanzialmente il numeromassimo di unità di sangue che routinariamente do-vranno essere richieste per un intervento elettivo, mache presenta il limite di non considerare le variabilicorrelate al paziente.I metodi più attendibili infatti tengono in debita con-siderazione le basali caratteristiche del paziente esoprattutto le sue capacità di tollerare le perdite ema-tiche previste nell’atto operatorio, come ad esempioil Surgical Blood Order Equation (SBOE), che sibasa sostanzialmente sul differenziale del valore diemoglobina prima e dopo l’intervento chirurgico (4 ) epredefiniti approcci matematici, che attraversol’elaborazione di un “Risk Score System (5-6), indivi-duano alcune variabili alle quali si attribuisce un va-lore numerico che definisce il rischio predittivo tra-sfusionale.La necessità di standardizzare il fabbisogno trasfusio-nale sul singolo intervento permette lo sviluppo diun sistema operativo, che garantisce una globale ap-propriatezza trasfusionale con una correlata diminu-

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zione dei rischi trasfusionali oltre che la riduzionedei costi di assistenza sanitaria .Una dettagliata analisi conoscitiva ed integrata permet-te la valorizzazione di un programma di correlazionetra le figure cardine del percorso operatorio di unpaziente chirurgico; è indispensabile infatti una correlazione con i servizi di preospedalizzazione dichirurgica per la progettazione di un percorso condivi-so che contribuisca ad implementare la qualità assi-stenziale erogata. Il timing adeguato per la consulenza di medicina tra-sfusionale è sicuramente dopo l’esecuzione dei prin-cipali esami ematochimici di laboratorio e strumenta-li, come la valutazione cardiologica e del tracciatoelettrocardiografico e l’effettuazione degli esami spe-cialistici relativi alla patologia di base; inoltre la defi-nizione della classe di rischio anestesiologico secon-do la classificazione A.S.A ( America Society of Ane-sthesiology) rappresenta un altro elemento fondamen-tale per la definizione del rischio chirurgico ed utileanche come valore predittivo nell’ambito della consu-lenza di medicina trasfusionale.Sostanzialmente la consulenza trasfusionale mira allaprogettazione di un percorso trasfusionale personaliz-zato attraverso la valutazione di :

a) Caratteristiche anamnestiche e cliniche del pa-ziente;

b) Caratteristiche immuno-ematologiche del pa-ziente;

c) Definizione di un percorso autotrasfusionale inottemperanza con la tipologia chirurgica e laprevista tecnica operatoria.

La valutazione accurata di medicina trasfusionale infase preoperatoria deve includere:

1. Un’ anamnesi personale e familiare;2. Un’ anamnesi mirata per l’individuazione di

una diatesi emorragica;3. La revisione della documentazione clinica;

4. La valutazione delle indagini di laboratorioeseguite nei 30 giorni antecedenti l’interventochirurgico;

5. La revisione delle indagini strumentali (elettrocardiogramma con refertazione cardio-logica, esami radiografici ed ecografici)(7);

6. La valutazione dell’ idoneità degli accessivascolari per opportuna flebotomia .

Una particolare attenzione deve essere posta alloapprofondimento diagnostico di uno stato di diatesiemorragica, all’assunzione di farmaci antiaggregantipiastrinici o anticoagulanti orali o assunzione di prin-cipi interferenti la coagulazione (8) (Tab. 2,3,4). L’alterazione della conta piastrinica e dei test labora-toristici della coagulazione ( PT, PTT, Fibrinogeno)non correlate con interferenze farmacologiche, im-pongono un’approfondimento eziopatogenetico disupporto per una definizione diagnostica preoperato-ria (9).La Società Italiana per lo studio dell’Emostasi e dellaTrombosi (SISET) ha recentemente emanato dellelinee guida per la valutazione del rischio emorragicoin pazienti sottoposti ad interventi chirurgici o proce-dure invasive , cons ide rando l’importanzadell’adeguamento terapeutico e/o profilattico di pre-venzione sul rischio emorragico perioperatorio (10). La prevenzione dell’emorragia rappresenta quindi un momento delicato di valutazione che il medicotrasfusionista deve opportunamente considerare inrelazione alla patologia di base e tecnica chirurgicaprevista, provvedendo alla definizione diagnosticaattraverso l’esecuzione di esami di completamento ela correlazione con il referente chirurgo per le misureprofilattiche contestuali. Occorre considerare opportunamente le disponibilitàstrumentali delle curve tromboelastometriche per unavalutazione contestuale del livello di funzionalitàcoagulativa, che può essere effettuato nella fase peri-chirurgica.Fondamentale è quindi una visione globale del

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paziente, in relazione alle eventuali comorbilità ed al predefinito grado di rischio anestesiologico, valutandoovviamente il patrimonio ematologico del paziente che rappresenta la base dell’ intrinseca capacitàossiforetica, elemento importante implicato neimeccanismi compensatori alle perdite emorragicheacute.Per ogni intervento definito di chirurgia maggiore, peril quale è necessario un preventivabile fabbisognotrasfusionale, viene effettuato la determinazione delgruppo ematico, ma la correlazione con la valutazioneimmunoematologia del paziente con l’esecuzione deltest di Coombs diretto ed indiretto, smaschera even-tuali movimenti anticorpali, importanti e necessari dadefinire in fase preoperatoria.Un’eventuale alloimmunizzazione rappresenta infattiuna condizione che non deve essere sottovalutata eche potrebbe contribuire alla definizione di un pro-gramma autotrasfusionale, nel caso di difficile reperi-mento di unità allogeniche (11).Uno stato di alloimmunizzazione multipla rappresentainfatti una condizione dove le metodiche alternativepossono essere integrate e valorizzate ed inoltre la positività del test di Coombs diretto correlata con lapositivizzazione di altri test anticorpali potrebbepredisporre ad una patogenesi autoimmunitaria che èbene rilevare .Un’attenta valutazione dell’esame emocromocitome-trico ed in particolare dei valori di emoglobina edematocrito del paziente, finalizzate ad identificareeventuali stati anemici caratterizzandone gli elementieziopatogenetici, è sicuramente importante perprevedere la capacità del paziente di tollerare la prevista perdita ematica intraoperatoria .Una condizione di basso ematocrito e di bassa emo-globina sono sicuramente punti di partenza nonfavorevoli per un iter assistenziale adeguato; il con-tenuto di emoglobina è infatti influenzato oltre che dafattori acquisiti come dieta, fumo, etilismo anche dacondizioni patologiche che compromettono la capacitàrigenerativa dell’eritropoiesi come tumori, insufficien-

za renale cronica, diabete, stati infettivi e condizionidi flogosi cronica. Il livello basale di emoglobina correlato alla valuta-zione integrale di medicina trasfusionale è un fattorepredittivo importante nell’ambito di un sistema discore system e che influenza la probabilità del rischiotrasfusionale. E’ stato infatti evidenziato come livelli di emoglobi-na basali inferiori a 12-13 grammi/dL aumentano laprobabilità di ricevere sangue allogenico nell’ambitodi un atto operatorio; per cui è sicuramente indispen-sabile l’individuazione di stati anemici manifesti esub latenti e la loro successiva correzione terapeuticaprima di un intervento chirurgico.Un esito appropriato della consulenza di medicinatrasfusionale produce come risultato una valutazioneintegrata del paziente, con la prescrizione di unprogramma di “blood conservation costruito sullevariabili peculiari del soggetto e sul suo predittivofabbisogno trasfusionale (15).La costruzione del percorso della consulenza dimedicina trasfusionale si basa essenzialmente sulleseguenti modalità:

a) Diagnosi e definizione terapeutica di stati ane-mici preoperatori;

b) Costruzione di un percorso di predonazioneautologa farmaco-assistito;

c) Utilizzo di terapie coadiuvanti ematiniche edagenti stimolanti l’eritropoiesi nel periopera-torio;

d) Utilizzo di terapie coadiuvanti ematiniche edagenti stimolanti l’eritropoiesi nel postopera-torio;

e) Utilizzo di supporto nutrizionale adiuvantealla terapia ematinica.

L’obiettivo strategico della consulenza è progettarequindi un programma integrato utilizzando le variemodalità sopramenzionate, nel rispetto dei tempi diprogrammazione chirurgica e del patrimonio emato-

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logico del paziente ; il successo delle terapie alternati-ve si ottiene compensando le carenze basali ematologi-che, integrando le singole modalità di risparmio, conl’ottenimento di unità ematiche “equivalenti” disangue autologo ed incrementando la tolleranza delpaziente alla perdita ematica chirurgica (16).Occorre però tenere in debita considerazione il rischioresiduale di ricevere sangue allogenico, per differenticause che possono essere riassunte in : 1 ) Refrattarietà farmacologica ai farmaci utilizzati; 2) Diatesi emorragica per modalità operatorie non previste; 3) Perdita emorragica per modalità diagnostiche non preventivabili; 4) Rischi operatori residuali;

.

Alcune evidenze scientifiche pongono ovviamentel’attenzione sulla diminuzione del rischio residuale diintegrazione di sangue allogenico suppletivo come una situazione di piena realizzazione dei percorsialternativi, sebbene rimane tuttavia un problemaancora non completamente risolto.Il superamento di questo rischio può essere affrontatosostanzialmente con due modalità:

a) una condivisione formativa dei triggers tra- sfusionali per la richiesta ematica nel peri- chirurgico sulla base di una valutazione multiparametrica;b) una rielaborazione retrospettiva degli indi- catori di efficacia dei programmi di prede- posito sulla base della percentuale di attri- buzione di sangue allogenico.

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16 Rondinelli MB., Pallotta F.,Rossetti S.,Musumeci F., Menichetti a:, Bianco F., GaffiM., Pierelli L.” Integrated Strategies forallogeneic blood saving in major electivesurgery.” Transfu Apher SCI. 2011 Dec 45(3):281-5 Epud 2011 Oct 22.

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Tabella 1 - MSBOS

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Tabella 1 - Segue

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Tabella 2 - Scheda di raccolta anamnestica per diatesi emorragica

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Tabella 3 - Tabella di bleeding score

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Tabella 4 - Valutazione della menorragia

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CAPITOLO 5

LE ANEMIE PERICHIRURGICHE

La capacità di ottimizzare le metodiche alternative alsangue omologo, punto cardine della consulenza dimedicina trasfusionale, si traduce fondamentalmente nella prevenzione di un processo di anemizzazionenel corso della somministrazione delle cure medico-chirurgiche.

Un recente studio apparso su Lancet nel 2011 (1) ponel’attenzione sul sostanziale concetto che una condi-zione di anemia in fase preoperatoria predisponeall’intensificarsi di fattori prognostici negativi intermini di aumento del periodo di ospedalizzazione edi incidenza di eventi avversi correlati.

La prevenzione di uno stato anemico è verosimilmen-te una condizione necessaria, anche se non sicura-mente sufficiente, per un approccio medico che tendeverso la “bloodless medicine”, in quanto l’incrementodi emoglobina ottenuto entro il range di normalità,prima delle terapie specifiche della patologia prima-ria, si traduce generalmente in un aumento di probabi-lità di evitare una trasfusione di una unità di globulirossi.

Un paziente che affronta un atto operatorio o unterapia medica convenzionale con un livello ottimaledi emoglobina costituisce una condizione utile perevitare un apporto trasfusionale allogenico in quanto:

a) la correzione terapeutica di uno stato anemicorappresenta una condizione ottimale di rispo-sta per evitare scompensi ossiforetici e quindienergetici;

b) I globuli rossi neoprodotti dai trattamenti diprevenzione dell’anemia possono essere consi-derati neocellule che sopravvivono molto dipiù dei globuli rossi ottenibili con la trasfusio-ne che vivranno mediamente 60 giorni;

c) Le terapie ed i trattamenti di prevenzionedell’anemia con mezzi farmacologici,generalmente non deprimono con “ feedback”negativo l’ inc rezione endogena dieritropoietina, diversamente dalla trasfusioneallogenica di globuli rossi, permettendo ancheuna ripresa autonoma del paziente.

Da queste valutazioni appare evidente come il timingdi valutazione del paziente sia fondamentale per unapproccio terapeuticamente efficace.Un recente gruppo interdisciplinare (2) ha presentatoal NATA 2011 una linea guida per la determinazione,valutazione e trattamento dell’anemia preoperatoriaper il paziente ortopedico elettivo, che rappresentasicuramente un algoritmo di riferimento in questoambito. Questa valutazione è di tipo multiparametricoe si basa sostanzialmente sull’approfondimento deiseguenti indici, ad una distanza ottimale di almeno 28giorni prima dell’intervento chirurgico:

a) Emoglobina basale con consensuale valutazio-ne degli indici eritrocitari;

b) Valutazione del bilancio marziale : sideremia,ferritina, transferrina ed indice di saturazionedella transferrina;

c) Valutazione della creatinina clearance.

L’approfondimento di questi indici permette quindi dicaratterizzare in modo sistematico e puntuale l’eziopatogenesi dell’anemia e contrastarla conpresidi terapeutici opportuni.L’algoritmo di valutazione proposto da questo studioprevede anche la valorizzazione diagnostica degliindici di Wintrobe (MCV, MCH, MCHC) per

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l’orientamento differenziativo dell’anemia nellediverse possibilità:

a) Anemia normocronica normocitica (anemia daflogosi cronica, anemia da insufficienza renale cronica)

b) Anemia ipocromica microcitica (anemia ferrocarenziale)

c) Anemia normocromica macrocitica (anemia da

deficit di acido folico e vit.B12, anemia diseri-tropoietica).

Elementi fondamentali sono poi rappresentati dalladeterminazione del valore di ferritina sierica,dall’indice di saturazione della transferrina edall’indice di creatinina clearance (vedi algoritmoterapeutico) proposto dallo stesso gruppo interdisci-plinare.

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Come si evince dal grafico sopra rappresentato lamodulazione dei diversi parametri contribuisce adefinire la patogenesi dell’anemia, permettendoun’opportuna prescrizione di compenso e dirisoluzione terapeutica (3-4).Molte evidenze scientifiche dimostrano infatti che lacorrezione terapeutica dei livelli di emoglobinapreoperatoria è fondamentale per un miglioramentodell’outcome assistenziale del paziente per unacomplessiva riduzione dei rischi collegati al periododi ospedalizzazione (5-6).La valutazione basale del paziente, attraverso laconsulenza di medicina trasfusionale permette quindila correlazione degli indici eritrocitari con iconsensuali parametri di emoglobina ed ematocritopreoperatori che determinano i programmi terapeuticicompensativi.Tutte le aree di competenza dedicate alla valutazionetrasfusionale dovrebbero essere dotate di apparec-chiature point of care per la determinazione deiprincipali parametri dell’esame emocromocitometri-co, sia come punto iniziale di valutazione che comefollow-up del paziente, per la necessaria modulazionedella terapia indicata.E’ opportuno rilevare anche lo stato anemico incorrelazione con il grado di significatività clinica edil contributo delle altre comorbilità di carattere clini-co, oltre alla possibile interferenza farmacologica dieventuali terapie collaterali.Un’importante connotazione clinica assume l’anemiada malattia infiammatoria cronica che è una forma direcente inquadramento determinata dall’azione svoltada alcuni mediatori umorali in particolare IL6 e IL3coinvolti nel processo flogistico, determinandoun’inibizione dell’eritropoiesi midollare ed unacontemporanea limitazione della disponibilità delfe rro pe r l’ inib izione dell’asso rb imentogastrointestinale e per un sequestro a livello delsistema reticolo endoteliale (7). Un ruolo fondamentale di mediazione è svoltodall’epcidina, proteina di sintesi epatica, coinvolta nel

metabolismo del ferro e che svolge un ruolofondamenta le anche ne l la p a togenes idell’emocromatosi giovanile di secondo tipo (8).Questa forma di anemia è stata dimostrata in moltesituazioni cliniche, in particolare nelle patologieautoimmuni, nelle infezioni acute e croniche e nelleneoplasie, dove si verifica anche una deplezionedelle riserve marziali e che è evidenziabile solo conil riscontro di bassi valori di saturazione dellatransferrina mentre il livello di ferritina risultanormale o elevato.La triade diagnostica che individua questa formanosografica risulta essere :

a) Livello di emoglobina basso con conta di reti-colociti ridotta ed eritropoietina bassa;

b) Sideremia bassa con ferritina normale o au-mentata ;

c) PCR ( Proteina C Reattiva ) elevata.L’attenzione verso questa forma di anemia è difondamentale importanza, in quanto è presente nellamaggior parte dei pazienti inseriti in un percorsochirurgico elettivo per patologia cronica di interesse ortopedico ed urologico.Un preventivo trattamento antianemico di questipazienti è assolutamente necessario per unincremento della risposta eritropoietica autoctona eripresa della capacità ossiforetica globale conconseguente stabilità emodinamica ; infatti la terapiadell’anemia da flogosi cronica si basa sostanzialmen-te sul trattamento della patologia di base, ma inconsiderazione dei meccanismi umoralisopradescritti, è sempre importante valutarel’opportunità di una terapia marziale endovenosa.L’inquadramento eziopatogenetico corretto è il “pri-mum movens” per la definizione di un programmaterapeutico antianemico, che ovviamente dovrà esse-re anche contestualizzato alle esigenze cliniche e dicompliance del singolo paziente.Nel 2010 il Convegno Internazionale del NATA hadedicato un intero simposio alla riqualificazioneterapeutica del ferro sia per uso orale che parenterale,

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come terapia di supporto ed integrativa delle metodi-che alternative al sangue allogenico.Il ferro svolge un ruolo fondamentale nel processodell’eritropoiesi e quindi nella sintesi dell’emoglobi-na, infatti sono necessari mediamente 150-200 mg diferro elementare per l’incremento della concentrazio-ne di emoglobina di 1 gr/dL (9).Per questo motivo nei pazienti con anemia siderope-nia o sideropenia senza anemia, è necessariointervenire, con un timing adeguato alle esigenzepreoperatorie, con una somministrazione per via oraledi ferro alla dose di 150-200 mg al giorno, inassociazione con acido ascorbico che miglioral’assorbimento del ferro, contribuendo ad incrementa-re il pH acido dello stomaco.Una terapia marziale corretta, in assenza di interferen-ze farmacologiche, dovrebbe indurre ad un incremen-to dei reticolociti entro 7/10 giorni ed un aumentodell’emoglobina di 1 gr/dL in due settimane ditrattamento (10).La presenza di gastropatie croniche e/o l’infezione daHelicobacte r pylo r i, r iduce sensibilmentel’assorbimento gastro-intestinale del ferro, rendendola terapia inefficace ed in particolare la concomitantesomministrazione di terapie antiacide riduce l’effica-cia terapeutica del ferro per uso orale. Per tale motivi nei pazienti non rispondenti allaterapia orale è necessario prevedere l’uso parenteraledi ferro, che per diversi anni è stato considerato nonefficace, ma che recenti studi scientifici hannocontribuito a riqualificare. L’utilizzo perioperatorio diferro per uso parenterale deve essere infatti considera-to di prima scelta, in quanto costituisce l’unica via disomministrazione in grado di incrementare i livelli disideremia e rappresentare lo stimolo adeguato per ilmidollo eritropoietico, nelle forme di anemia dainfiammazione cronica. La controindicazione assoluta è rappresentata dalleforme di intolleranza e da possibili reazionianafilattiche, che possono manifestarsi nel paziente,anche durante la prima somministrazione (11). Un

programma di terapia marziale deve necessariamenteiniziare prevedendo l’infusione a goccia lenta di unadose test, che è rappresentata da 1/10 della dosetotale in 250 cc di soluzione fisiologica allo 0,9%.La prevalenza delle reazioni avverse è associata nontanto alla forma farmaceutica quanto alla dose totale e all’intervallo di somministrazione.Le tipologie di ferro per uso parenterale presenti incommercio e la loro posologia sono di seguitodescritte :

a) ferro destrano ad alto peso molecolare : 125mg in 100 mL di NaCl allo 0,9% per duevolte alla settimana;

b) ferro destrano a basso molecolare : 125 mg in100 mL di NaCl allo 0,9% per due volte allasettimana;

c) ferro gluconato: 100 mg in 100 mL di NaClallo 0,9% per due volte alla settimana;

d) ferro sucrosio: 100 mg in 100 mL di NaClallo 0,9% per due volte alla settimana;

e) ferro carbossimaltosio: 200 mg in 250 mL diNaCl allo 0,9% in monosomministrazionesettimanale.

Quest’ultima preparazione farmacologica, non ancoradisponibile in ambito nazionale, ma presente inambito europeo, ha la particolarità di prevedereun’unica dose terapeutica con una bassa incidenza direazioni collaterali.Le tipologie di ferro per uso orale sono rappresentateda:

a) ferro solfato: 200 mg una compressa al gior-no in assunzione orale ;

b) ferro saccarato : 100 mg una compressa algiorno in assunzione orale;

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c) ferro bisglicinato: 14 mg una compressa algiorno in assunzione orale.

Quest’ultima formulazione di ferro bisglicinato,presente come prodotto farmacologico da qualcheanno, potrebbe essere una valida alternativa edopportunità terapeutica da valorizzare in questo settoredi applicazione; questa specificità è sostenuta dal fatto che il principio attivo è idrosolubile e biodisponibilecon alta compliance da parte del paziente, presentandoinoltre un alto profilo di sicurezza.Un importante ruolo terapeutico è offerto dagli agentistimolanti l’eritropoiesi, in particolare l’eritropoietina,la cui sintesi è avvenuta negli anni 80; la tecnica delDNA ricombinante ha reso possibile la produzione sularga scala di eritropoietina umana ricombinante.L’eritropoietina è un fattore di crescita che regola laproliferazione, la differenziazione e la maturazione deiprecursori degli eritrociti nel midollo emopoietico,rappresentando un mediatore tra struttura recettorialelocalizzata a livello renale che rileva il grado diossigenazione ematica ed il midollo osseo che produceglobuli rossi deputati al trasporto di ossigeno.Attualmente sono disponibili tre differenti eritropoieti-ne, alfa, beta e gamma, che sono ottenute con differen-ti metodologie di preparazione e che presentanoalcune differenze rispetto all’eritropoietina endogenasoprattutto per il maggior contenuto di acido sialico edifferenze sulla carica elettrica totale. Le differentieritropoietine presentano anche sostanziali differenzedi tipo farmacocinetico in quanto la loro emivita è piùlunga ( circa 5 ore ) rispetto a quella endogena ( circadue ore ) con un livello di attività superiore.E’importante sottolineare che l’eritropoietina alfa, perla sua affinità con l’eritropoietina endogena, si legamaggiormente ai recettori specifici e presenta un livello di efficacia superiore (1 1 ). La sua applicabilitàclinica è stata sperimentata e successivamenteapprovata nelle anemie da insufficienza renale cronicae nella metà degli anni 90 il gruppo del Prof.Mercuriali ne ha enfatizzato l’uso nella modalitàperichirurgica, come terapia di supporto ai programmi

di predonazione autologa. L’eritropoietina è statainfatti utilizzata per ridurre il fabbisogno trasfusionalenei pazienti chirurgici in particolare quelli sottopostiad interventi di chirurgia ortopedica e cardiochirurgia(12). L’utilizzo terapeutico dell’eritropoietina è quindiun’efficace possibilità di terapia antianemica, oveindicato, per i pazienti che presentano bassi livelli diemoglobina che sono candidati ad interventi dichirurgia maggiore elettiva (13).La terapia con acido folico e vit. B 12, rappresenta iltrattamento elettivo delle anemie macrocitichecarenziali che necessitano di supporto aggiuntivo;sono le meno rilevabili nell’ambito chirurgico, epresentano una netta prevalenza nei pazienti di sessomaschile. Questo tipo di integrazione può ancheessere utilizzabile nelle anemie ferrocarenziali o apatogenesi mista, per un migliore recuperoeritropoietico e della capacità ossiforetica ematica. Un apporto nutrizionale mirato è necessariamente daaffiancare alle anemie carenziali, infatti parte dellarilevazione anamnestica deve essere riservata alregime nutrizionale del paziente. Un supporto alimentare di cofattori attraverso unadieta bilanciata tra l’apporto proteico e di fibre,costituisce la base essenziale per un buon compensonutrizionale che coadiuva il percorso di recuperoematologico. Non occorre infatti dimenticare diraccomandare al paziente di assumere adeguatequantità di liquidi isotonici, per valutare il suo statodi idratazione attraverso una valutazione degli indiciematici ed urinari. E’ importante quindi un’anamnesiapprofondita ed un buon esame obiettivo, integrati daesami di laboratorio per valutare anche le condizionivolemiche del paziente. Il riconoscimento dellacondizione di idratazione permette di valutareindirettamente le condizioni di adeguatezza volemica.Una correlazione tra i valori di emoglobina e diematocrito con il peso specifico delle urine e la suaosmolarità possono sicuramente contribuire a valutarelo stato di idratazione di un paziente.Nell’ambito della visita preoperatoria è anche

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importante considerare l’assunzione di fitofarmaci e/oprodotti omeopatici, che possono avere interferenzesulla funzione piastrinica e coagulativa del paziente.Alcune sostanze come camomilla, aglio, zenzero,ginko e ginseng possono ingenerare una situazione didiatesi emorragica, in quanto possiedono un potereinibente la funzionalità piastrinica e capacità interfere-nte con gli anticoagulanti orali ed aggregazionepiastrinica (14).

La globalità di informazioni ottenute da un’attentaconsulenza preoperatoria è in grado quindi di definireuna serie di indicatori che individuano il margine ditolleranza del paziente nei confronti dell’anemia, inparticolare nel caso di interventi particolarmenteinvasivi e traumatizzanti.

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CAPITOLO 6

LA PREDONAZIONE DI SANGUE AUTOLOGO: VANTAGGI E LIMITI

La consulenza di medicina trasfusionale, effettuata intempi adeguatamente prestabiliti, permette anche didefinire un ottimale programma di predonazione autologa.Questa strategia alternativa al sangue omologo hasubito differenti fasi storiche, dall’iniziale entusiasmodegli anni ’80 e ‘90 da riferire alla riduzione delpossibile rischio infettivologico dell’HIV correlatoalla trasfusione omologa, ad una progressiva e nettariduzione del suo utilizzo, giustificata in parte dalladocumentabile riduzione del rischio infettivologico riferibili a virus epatitici e HIV e dall’aumento deicosti organizzativi correlati con questa attivitànell’ambito dei centri trasfusionali.La predonazione di sangue autologo è stata pertantoconsiderata per molto tempo la strategia trasfusionalepiù adeguata per i pazienti sottoposti ad intervento dichirurgia elettiva in ambito ortopedico e cardiochirur-gico; tuttavia l’implementazione della sicurezza delsangue allogenico ed analisi retrospettive accuratesull’effettiva validità di questa procedura in termini dirischi-benefici, ne hanno ridimensionato l’importanza.Negli ultimi tempi le valutazioni di carattereepidemiologico-sociale, le considerazioni del rischioresiduale trasfusionale oltre che l’immunomodulazio-ne correlata con la terapia ematica allogenica, hannoriattivato l’interesse sulla predonazione autologa comevalida strategia da ottimizzare e valorizzare.La formulazione di un giudizio di idoneità ad unprogramma di predonazione autologa deve derivare daun’attenta valutazione del paziente in fase di consulen-

za preoperatoria, soltanto dopo un’attenta analisi delgrado di tolleranza del paziente alla metodica e dellasua capacità di risposta ematologica autoctona .I cardini fondamentali da considerare per la valorizza-zione di un programma di predonazione autologa sonoi seguenti:

a) Valutazione del patrimonio ematologico,laboratoristico e strumentale del paziente infase preoperatoria;

b) Determinazione di un adeguato timing diprelievo autotrasfusionale ;

c) Valutazione della tipologia d’intervento e dellagestione perichirurgica.

La creazione di una competenza clinico-assistenzialeintegrata è quindi un aspetto di nuova caratterizzazio-ne dello specialista di medicina trasfusionale che inquesto ambito deve valorizzare le sue specifichecompetenze, integrandole in abito interdisciplinare, alfine di valorizzare il patrimonio ematologico delpaziente.Questa capacità non può che derivare da una specificaesperienza, che potrebbe rappresentare un nuovoambito di confronto e di competenza della medicinatrasfusionale.Una condizione fondamentale è la creazione di un’areadedicata, dotata di risorse strumentali ed umane chepossano approfondire questi percorsi integrativi, dopoun’attenta analisi conoscitiva della realtà ospedalieraed assistenziale in cui si lavora.Attraverso la consulenza, il medico trasfusionista potràinfatti “ costruire” in base ai tempi previsti prima

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dell’intervento e le capacità di risposta terapeutica delpaziente, un percorso adeguato al fine di evitare unsupporto trasfusionale allogenico, in condizionipossibilmente prevedibili.L’analisi conoscitiva delle tecniche operatorie diutilizzo chirurgico e le caratteristiche dell’equipeoperatoria, permettono inoltre di costruire i valoripredittivi di supporto trasfusionale standardizzato cheaccreditano e razionalizzano la contestuale richiestatrasfusionale.Le tabelle predittive di supporto trasfusionale persingolo intervento si basano ovviamente su analisistatistiche retrospettive, che favoriscono la determina-zione dei valori medi di sanguinamento perichirurgicoed esattamente entro 48 ore dell’atto operatorio. E’evidente che pur avendo la necessità di contestualizza-re i valori predittivi di fabbisogno trasfusionale pertipologia d’intervento, è necessario riferirsi aglistandard codificati ed alle linee guida nazionali edinternazionali.Le linee guida pubblicate nel 2007 e revisionate nel2010, dal British Commettee for Standard in Haemato-logy (1) e le raccomandazioni nazionali edite dallaSIMTI ( Società nazionale di Medicina Trasfusionale)nel 2010, hanno ridefinito i criteri d’indicazione e lecontroindicazioni all’effettuazione dei percorsi di predonazione autologa. Questi standard rappresentanoil riferimento per la redazione delle procedure azienda-li in contesti di certificazione che impongono unastandardizzazione di processi ed il rispetto di condivisicriteri di emovigilanza e tacciabilità.I criteri di eleggibilità non prevedono limitazioni d’etàdel paziente, anche se la predonazione autologa èscoraggiabile nei soggetti con età maggiore o uguale ad80 anni e nei pazienti pediatrici di peso inferiore a 30kg di peso corporeo. Nel caso di soggetti con pesoinferiore a 50 kg il predeposito sarà personalizzato nelvolume prelevato ad ogni auto donazione in base allavolemia del soggetto, in quanto l’entità del prelievoematico non dovrà superare i 6 ml/kg peso corporeo. L’utilizzo di una scheda autotrasfusionale integrata per

la raccolta dei dati laboratoristici del paziente, dei datianamnestici e quelli derivanti dall’esame obiettivo(Tab. 5 e 6) permette una tracciabilità adeguata neces-saria ed una registrazione dei dati per una successiva-zione elaborazione di indicatori di processo e risulta-to. L’acquisizione di un consenso informato scritto (Tab. 6) è un prerequisito indispensabile ai finidell’arruolamento del paziente ad un programma dipredonazione autologa, soprattutto per i pazientiminorenni dove è necessario il consenso per chiesercita la patria potestà .La determinazione di un adeguato timing di prelievo èil punto nodale dei programmi di predonazione cheintegrato con il patrimonio ematologico del paziente,è in grado di determinare la percentuale di successodei programmi di predonazione (2).Il limite principale dei programmi di predonazionenasce infatti dal mancato recupero ematopoietico deipazienti dopo l’esecuzione delle flebotomie autotrasfu-sionali. Un’anemizzazione consequenziale determina infatti lapercentuale di rischio per l’ attribuzione al paziente di unità di sangue allogeniche nell’immediato postopera-torio; per cui è fondamentale eseguire un percorso dipredonazione soltanto quando l’intervallo di tempoprecedentemente l’atto chirurgico è sufficientementecongruo, in particolar occorre effettuare un prelievoematico, con un volume di sottrazione pari a 450 ml+/-10%, ogni 7 giorni, sempre prevedendo un follow-up di valutazione dell’esame emocromocitometrico, per monitorare i parametri di variazione emoglobinicae degli indici eritrocitari (3).Il totale delle unità da prelevare dovrà essere relaziona-to al tipo di intervento ed alla contestuale redazionedelle tabelle di MSBOS ospedaliere o meglio deivalori predittivi trasfusionali.La valutazione del paziente in termini di idoneità, lascelta del programma auto trasfusionale e la prescri-zione della terapia di supporto più adeguata, sonodeterminate anche dalla valutazione del patrimoniolaboratoristico e strumentale del paziente: elettrocar-

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diogramma refertato, visita cardiologica, assettomarziale ed esami di biochimica clinica, necessari perla formulazione di un giudizio di idoneità.La non eleggibilità ad un programma di predonazioneautologa è determinato da una valutazione di unrischio elevato per il paziente correlato ad una sua incapacità di mettere in atto i meccanismi fisiologici dirisposta emodinamica ad una sottrazione ematicaseppur di piccola entità.I criteri di ineleggibilità presenti nelle linee guidabritanniche e condivisi dalla maggior parte delleprocedure aziendali nazionali sono le seguenti:

a) Hb < 11 e Hct < 33%;b) Cardiopatia ischemica riferita e/o documenta-

bile (il paziente asintomatico e pienamenteriabilitato da un pregresso episodio ischemicopuò essere arruolato qualora l’evento sia ante-cedente a 6 mesi);

c) Miocardiopatie dilatative e restrittive con osenza compenso emodinamico;

d) Assenza di consenso informato scritto;e) Pericardite in atto;f) Pazienti con valvulopatie aortiche emodinami-

camente rilevanti;g) Portatori di protesi valvolari cardiache con

persistenza di alterazioni emodinamicamentesignificative;

h) Pazienti con blocco atrioventricolari escluso iportatori di blocco di primo grado;

i) Pazienti con fibrillazione o flutter atriale;j) Pazienti con episodi di tachicardia parossistica

ed episodi sincopali;k) Pazienti con pressione arteriosa sistoli-

ca/diastolica > 180/110 ,< 90/60, frequenzacardiaca > 110 o < 40.

l) Sindrome da preeccitazione ventricolare conaritmie atriali o tachicardia;

m) Morbo di Addison;n) Pazienti con insufficienza respiratoria e SO2

<95%o) Tirotossicosi o ipotiroidismo non compensato

farmacologicamente p) Crisi comiziali farmaco resistenti;q) Pazienti con crisi comiziali nei precedenti 30

giornir) Ictus cerebri nei precedenti 6 mesi;s) TIA nei precedenti 2 mesi;t) Stenosi carotidea critica bilatrale;u) Patologie psichiatriche gravi con o senza

assunzione di antipsicotici;v) Endocardite batterica nei precedenti 6 mesi o

batteriemia documentata ;w) Ipertermia in portatore di catetere venoso

centrale;x) Neutropenia /piastrinopenia severa ( neutrofili

<0,5x109/L o piastrine < 20x 109L) y) Somministrazione di mezzi di contrasto nelle

precedenti 24 ore o di radioisotopi nei prece-denti 3 giorni

z) Favismo o altri difetti eritrocitari congeniti cone senza emolisi eccetto il trait talassemico.

L’esclusione di un paziente determinata dalla presenzadi una o più controindicazioni alla predonazioneautologa deve essere posta con molta attenzione comepossibile fase conclusiva di un iter di accertamentodefinito dalla consulenza di medicina trasfusionale(Tab. 7).Esistono infatti condizioni fisiopatogenetiche partico-lari nelle quali la fattibilità di un programma di predo-nazione autologa rappresenta l’unica possibilità disupporto trasfusionale possibile: ad esempio, i soggettialloimmunizzati verso antigeni noti o meno notirappresentano una categoria di pazienti per i quali lamaggior parte degli autori indica la necessaria fattibili-tà della predonazione autologa (4).La possibilità di effettuare un programma di predona-zione autologa farmacosupportato in condizione di“apparente” isovolemia permette di superare situazionidi momentanea e fisiologica instabilità emodinamica,giustificate da reazioni di iperattività vagale e diemotività, questo è coadiuvato dalla somministrazionedi soluzione fisiologica allo 0,9% da un altro accesso

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vascolare, contemporaneamente all’esecuzione delprelievo ematico auto trasfusionale (5-6) .La valutazione di un adeguato accesso vascolare è unacondizione necessaria in termini di fattibilità di predo-nazione autologa, in particolare una vena antecubitaledi calibro adeguato, ma in sua assenza potrà esserevalutata l’opportunità di posizionare un cateterevenoso centrale in succlavia in pazienti ospedalizzatie quando appare indispensabile la predonazioneautologa (testimoni di Geova che accettano lametodica e pazienti immunizzati portatori di alloanticorpi verso antigeni gruppo ematici ad alta fre-quenza) .La predonazione autologa può essere effettuata anchenei pazienti pediatrici, con l’accortezza di modulareovviamente il volume sottratto che non deve superareil 10-12 % della massa ematica calcolata, inoltreoccorre valutare opportunamente il grado di complian-ce del bambino allo stress della flebotomia depletiva;in questi casi è ovviamente necessario oltre che modu-lare il volume ematico sottratto, calcolare la deplezio-ne di anticoagulante in modo proporzionale contenutonel dispositivo da prelievo, assicurando in tutta la faseoperativa, la sterilità della fase applicativa.Per ottimizzare l’efficacia clinica della predonazioneautologa, utilizzando un timing di prelievo tale dagarantire la ricostituzione eritropoietica implementan-done l’efficacia clinica, molti esperti hanno propostola raccolta aferetica di una doppia unità di globuli rossiin una unica donazione. Il razionale di questa metodicasi basa sulla sottrazione di un volume eritrocitariodoppio in procedura aferetica con consequenzialemarcato calo del valore di emoglobina ed ematocritocon maggiore induzione nella produzione di eritropoie-tina endogena e maggiore stimolazione dell’eritropoie-si, garantendo un intervallo più lungo tra la sottrazioneematica e l’atto operatorio.Uno dei più significativi studi che hanno comprovatol’efficacia dell’aferesi auto trasfusionale è stato pubbli-cato nel 2007 da Singbart che, in 234 pazienti candida-ti ad interventi di chirurgia ortopedica maggiore, ha

dimostrato che la raccolta di una doppia unità diglobuli rossi mediante aferesi in un’unica donazione dicirca 350 ml di sole emazie, effettuata 26 giorni primadell’intervento, determina un maggiore stimolo eritro-poietico con anticipato ripristino dei valori ottimali diemoglobina rispetto al metodo della doppia raccoltaematica non aferetica. Sicuramente questa modalità diesecuzione della predonazione autologa necessita diulteriori trial clinici, in particolare studi randomizzantiper validare alcuni risultati di efficacia.Appare chiaro che è necessario quindi contestualizzare le modalità di predonazione autologa alla realtàospedaliera in cui si lavora, ma soprattutto è importan-te il controllo accurato dell’efficacia operativa, attra-verso il sequenziale calcolo di indicatori, che tenganopresente alcuni elementi fondamentali per la raziona-lizzazione organizzativa e dei costi correlati :

a) N° di unità autologhe eliminate per iperdata-zione/ N° totale di unità autologhe predeposita-te;

b) N° di pazienti sottoposti a predonazione auto-loga / N°totale di interventi;

c) N° di pazienti non idonei alla predonazioneautologa / N°totale di interventi;

d) N° di pazienti trasfusi con sangue autologo/N°totale di interventi;

e) N° di pazienti trasfusi con sangue autologo edomologo/ N° totale di interventi.

Il primo e l’ultimo indicatore sopramenzionati indicanol’ efficacia ed il livello di efficienza di questa metodi-ca, in quanto un numero elevato di predonazioniautologhe eliminate con una percentuale superiore al30%, indica un’applicazione non corretta dei valoripredittivi di tipo trasfusionale nel campione chirurgicoelettivo dell’ospedale considerato; al contrarioun’apporto residuale di sangue allogenico suppletivoai percorsi di predonazione indica un valore predittivotrasfusionale inferiore a quello considerato e/o untiming di predonazione non calcolato esattamente (7).In un recente lavoro di Singbartl, edito su BloodTransfusion nel 2011 (8), ha enfatizzato il ruolo dei

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parametri basali del paziente, della necessità di unaterapia adiuvante supplementare e dell’appropriatezzadel timing da prelievo, per ridurre la percentuale di nonutilizzo delle unità ematiche allogeniche .Questa esperienza e la valutazione retrospettiva condotta negli anni 2008-2012 nell’area dedicata allapreparazione del paziente chirurgico elettivo, presso ilServizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusio-nale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini,che si basa sulla correlazione dei valori di emoglobinae degli indici eritrocitari e reticolocitari al momentodella valutazione basale della consulenza di medicinatrasfusionale ed il timing di prelievo, delineano iseguenti dati che potrebbero definire alcune categoriepredittive:

1 ) pazienti di sesso maschile con valori di Hb>14,5 gr/dL e di sesso femminile con Hb >14g/dL, con indici reticolocitari ed eritrocitarinormali, non necessitano di un percorso dipredonazione autologa per interventi chirurgiciche prevedono un MSBOS >2 ;2) pazienti di sesso maschile con valori di Hb>13,5 gr/dL e di sesso femminile con Hb >12,5

gr/dL, con indici reticolocitari ed eritrocitari normali, necessitano di un percorso di predo-nazione autologa con la supplementazione diuna terapia marziale per os o ev, ove applicabi-le;3) pazienti di sesso maschile con valori di Hb<13,5 gr/dL e di sesso femminile con Hb <12,5g/dL, con indici reticolocitari ed eritrocitarinormali, necessitano di un percorso di predo-nazione autologa con la supplementazione diuna terapia marziale per os o ev ed utilizzo diterapia con eritropoietina ;4) pazienti di sesso maschile con valori di Hb<12,5 gr/dL e di sesso femminile con Hb <11,5g/dL, rappresentano la categoria più a rischioper la supplementazione residuale di sangueallogenico, quindi è necessario compensarecon un approccio terapeutico mirato, l’anemiapreoperatoria .

Il supporto farmacologico alla predonazione autologa,derivante da un corretto inquadramento eziopatogene-tico, è essenziale per favorire la capacità di rispostaautoctona del paziente. e per implementare i program-mi di autodonazione integrati.

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Tabella 5 - Esempio di scheda per raccolta anamnestica in fase preoperatoria

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Tabella 5 - Segue

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Tabella 6 - Esempio di Consenso Informato per predonazione autologa

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Tabella 7 - Esempio di modulo di relazione con il reparto chirurgico di provenienza

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CAPITOLO 7

IL SUPPORTO FARMACOLOGICO ALLA PREDONAZIONE DI SANGUE AUTOLOGO

Un adeguato programma di predonazione autologapuò risultare una tecnica importante di “blood conser-vation” applicando un’adeguato supporto terapeuti-co.La quantità di neociti che vengono prodotti successi-vamente alla flebotomia autologa, in parte condizio-nata dal timing di prelievo è direttamente proporzio-nale al volume ematico prelevato, ma è significativa-mente condizionato dall’instaurarsi di una terapiasuppletiva corretta .L’inquadramento eziopatogenetico delle condizionibasali del paziente da parte dello specialista di medi-cina trasfusionale è quindi un prerequisito fonda-mentale per la prescrizione del regime terapeuticopiù efficace ed opportuno.La possibilità di monitorare i principali parametridell’esame emocrocitometrico, attraverso una stru-mentazione POC, permette il monitoraggio terapeuti-co e i presupposti per un adeguato follow-up clinico sul paziente .E’ stato più volte enfatizzato come sia necessariocompensare eventuali deficit carenziali prima di unintervento chirurgico in quanto la risoluzione terapeu-tica dell’anemia preoperatoria è il primo passo versoun reale capacità autoctona di risposta compensatoriaalla perdita ematica chirurgica ( 1).La valutazione multiparametrica introdotta dalgruppo multidisciplinare afferente al convegnointernazionale del NATA 2011, correla l’approccioterapeutico agli indici eritrocitari ed in particolare alvolume corpuscolare medio ( MCV ) :

a) MCV < 80 fL : prevedere supporto di ferro peros o parenterale ed eritropoietina;

b) 80<MCV<96 fL : prevedere uso di ferro per

os o ev d eritropoietina c) MCV> 96 fL : prevedere supporto di folati e vitamina B12.

Per i pazienti che effettuano un programma di predo-nazione autologa dovranno essere determinati iparametri del bilancio marziale (sideremia, ferritina,transferrina) per ogni fase prevista e per i pazientiche evidenziano un valore di ferritina sierica inferiorea 50 ng/mL devono essere sottoposti a terapia conferro per os per almeno 30 giorni, monitorando iparametri di risposta .In tutti i pazienti che manifestano intolleranza versola terapia orale di ferro, o una refrattarietà di risposta,monitorato attraverso un mancato incremento propor-zionale dell’emoglobina e dei parametri del bilanciomarziale , è necessario prevedere una terapia parente-rale con ferro, previa esecuzione della dose test.Molte sono state le esperienze che hanno correlato inmodo positivo l’instaurarsi di un’adeguata terapiamarziale di supporto ad un programma di predonazio-ne, soprattutto in associazione con farmaci stimolantil’eritropoiesi ( 2,3).A partire dagli anni 90, sono stati effettuati numerosistudi che hanno monitorato l’efficacia degli agentistimolanti l’eritropoiesi in supporto alla predonazioneautologa e a tutt’oggi si può confermare comel’eritropoietina di tipo alfa sia associata ad una mag-giore risposta terapeutica nei pazienti che hannonecessità di compensare i loro livelli di emoglobina equindi il loro grado di tolleranza alla perdita ematicaprevista dall’intervento chirurgico. Esistono infattistudi meta analitici di valutazione dell’efficaciaterapeutica dell’utilizzo di altre forme di eritropoieti-

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na, ma risultano meno efficace considerando l’altaaffinità stechiometrica recettoriale e per l’induzione diincrementi di alti valori di HCT e per una rapidaricostituzione eritrocita ria dopo le predo nazioniautologhe (4) .Gli algoritmi terapeutici previsti da scheda tecnicaper il supporto con ESA sono i seguenti:

a) Eritropoietina 300 UI/Kg/settimana in duesomministrazioni sottocute e ferro bivalenteper os o ev al dosaggio di 200 mg/die, dalmomento dell’arruolamento al programma dipredonazione autologa del paziente candidatoa chirurgia elettiva maggiore ( MSBOS > 2 );

b) Eritropoietina al dosaggio di 600 UI/kg unavolta a settimana per tre settimane primadell’intervento ed il giorno dell’intervento, peri pazienti adulti candidati ad intervento dichirurgia ortopedica maggiore con una dosesuppletiva di ferro al dosaggio di 200 mg algiorno dal momento dell’arruolamento delpaziente al programma di predonazione auto-loga;

c) Eritropoietina al dosaggio di 300UI/KGsottocute nei 10 giorni precedenti l’intervento,il giorno dell’intervento e nei quattro giornisuccessivi l’atto operatorio con l’indicazionea sospendere la terapia per valori elevati diemoglobina ( Hb>14 gr%) con una dosesuppletiva di ferro al dosaggio di 200 mg algiorno dal momento dell’arruolamento delpaziente al programma di predonazioneautologa.

Questi algoritmi terapeutici che risultano essere i piùcodificati hanno dimostrato essere i più efficaci nelridurre i pazienti all’esposizione del rischio residuale del sangue allogenico.Le problematiche più discusse relative all’utilizzo di

eritropoietina con supplementazione marziale insupporto ai programmi di predonazione sono sostan-zialmente due :

a) La mancanza di standardizzazione sulla dose ottimale di eritropoietina da utilizzare;

b) La possibilità di rischi collaterali sfavorevoli correlati con il suo utilizzo.

La possibilità di codificare gruppi di studio in ambitonazionale con la condivisione di posologie condiviseed unanime criteri di inquadramento diagnosticipotrebbe sicuramente contribuire nel determinarel’ambito posologico ottimale per i pazienti chirurgici.Gli effetti collaterali sfavorevoli dell’eritropoietina, inparticolare i rischi di carattere tromboembolico edipertensivo e/o la eccessiva stimolazione deiprogenitori eritroidi midollari, sono maggiormentecorrelati con un suo utilizzo “long term” e quindinell’ambito oncoematologico e nefrologico (5).Un trattamento a breve termine “short term”dell’eritropoietina per il supporto ai programmi dipredonazione o ad un suo utilizzo in modalità perichi-rurgica, è risultato essere efficace sia come stimolo peruna ripresa ematopoietica autoctona in sinergia con lostimolo ipossico transitorio dato dalla predonazioneautologa sia per la riduzione di utilizzo di sangueallogenico nei pazienti candidati ad intervento dichirurgia elettiva (6-8).Infatti protocolli di trattamento “short-term” sono statiutilizzati anche in ambito cardochirurgico con ottimirisultati: in un recente studio di Weltert et al. (8), in cuisono stati arruolati 320 pazienti, la somministrazionedi 14.000 UI di eritropoietina per via sottocute nei duegiorni precedenti l’intervento chirurgico seguita dallasomministrazione di 8000 UI il giorno dell’interventoed il primo giorno post-operatorio, risulta essereefficace nel ridurre di oltre il 50% il rischio di trasfu-sione allogenica ed incrementare il livello di emoglo-bina nei pazienti sottoposti ad intervento di by-passaorto-coronarico.L’associazione di eritropoietina e ferro con i pro-

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grammi di predonazione, consente di evitare uno deiprincipali limiti all’anemizzazione preoperatoriaimputabile alle flebotomie autologhe, ma sicuramenterappresenta un’ottima modalità nei pazienti che per

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CAPITOLO 8

IL RUOLO DELLA MEDICINA TRASFUSIONALE PER IL COMPENSO DELL’ ANEMIA POST-OPERATORIA

E’ stato più volte sottolineato come sia necessariostratificare la “cultura della condivisione interdiscipli-nare” per ottenere migliori risultati sui percorsi assi-stenziali dei pazienti.La correlazione dello specialista in medicina trasfusio-nale non dovrebbe ovviamente concludersi in fasepreoperatoria, ma rappresentare un supporto parallelo,alla competenza specifica dell’equipe anestesiologica–chirurgica, nel delicato periodo intra e post-operato-rio.I programmi terapeutici ed i percorsi applicativiiniziati nella consulenza di medicina trasfusionale,acquisiscono una valenza terapeutica esponenziale secorrettamente perpetuati in fase perichirurgica.E’ necessario integrare i programmi di predonazioneautologa farmaco supportati con altre metodiche dirisparmio, come l’uso intraoperatorio e postoperatoriodel recupero ematico e l’utilizzo di emostatici siste-mici e locali, per l’ottimizzazione della politica di“bloodless surgery” con il consequenziale recuperoematopoietico autonono del paziente.In un recente lavoro di Rondinelli et al. viene dimo-strato come le strategie auto trasfusionali globalizzateed integrate, possano ridurre l’esposizione alla trasfu-sione di RBC allogenici nella misura uguale o superio-re al 65 %, trattando pazienti avviati alla chirurgiaaortica, all’ortopedia protesica ed alla nefrectomialaparotomica (1).Audit multidisciplinari puntualmente eseguiti per ilmonitoraggio dell’outcome chirurgico del pazientepossono efficacemente contribuire alla valorizzazione

degli indici trasfusionali ed alla condivisione dellemodalità applicative più efficaci.La fase prettamente perichirurgica dovrà infattiavvalersi di metodiche integrate, sia per il conteni-mento delle perdite ematiche operatorie, sia per lavalorizzazione del sangue autologo perso attraversoapparecchiature che sono in grado di prevedere unafiltrazione accurata ed un lavaggio con successivareifunsione del sangue perso nell’atto operatorio (2).I separatori dedicati al recupero perioperatorio, sesottoposti ad una regolare manutenzione e verifiche diefficacia applicativa attraverso regolari controlli diqualità, garantiscono l’ottenimento di unità di emazie ad alta concentrazione, con un ematocrito >55-60% edoltre, che supportano il recupero funzionale dellacapacità ossiforetica dell’emoglobina ed alla stabiliz-zazione emodinamica del paziente. Tutti gli studipresenti in letteratura, valorizzano questa metodicaautotrasfusionale, per la capacità di evitare o limitareil supporto trasfusionale allogenico in tutti gli ambitichirurgici ad alto rischio di sanguinamento (3).La valorizzazione dell’attività trasfusionale nelsupporto autologo deve affiancare una serie di strate-gie di pertinenza anestesiologica, che coadiuvano peruna bloodless surgery ( 4-5). Un’ipotensione controllata,tecniche anestesiologiche non sistemiche assumonoin questo campo d’applicazione un’ importantevalenza(4-5).In questo ultimo decennio un ruolo specifico è statoattribuito anche agli emocomponenti per uso nontrasfusionale, ovvero alla colla di fibrina, ottenuta con

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modalità autologa o omologa, che sicuramente hannodato un supporto valido per la riduzione del sanguina-mento perichirurgico .L’innovazione apportata dagli strumenti POC relativialla tromboelastometria e tromboelastografia, hacontribuito ad un’ implementazione della gestionecoagulativa perichirurgica, in particolare per quantoriguarda la traumatologia e la chirurgia d’urgenza,dove sono stati elaborati algoritmi applicativi cheprevedono l’utilizzo di emoderivati ed antifibrinoliticicon un monitoraggio puntuale ed efficace (6). Il ruoloinfatti della terapia antifibrinolitica per la prevenzione ed il trattamento antiemorragico nel politraumarappresenta ormai un consolidato scientifico.Questo ad enfatizzare il fatto che il periodo periopera-torio dovrebbe garantire il proseguimento di unacorretta governance trasfusionale per sinergizzare evalorizzare tutte le fasi precedenti ed anchel’operatività diagnostica e terapeutica messa in campodalla consulenza di medicina trasfusionale.Gli algoritmi operativi che guidano gli interventiterapeutici nelle fasi emorragiche di molti interventichirurgici, aprono una nuova frontiera di applicazionepratica della medicina trasfusionale, che potrà avvaler-si di farmaci emoderivati di secondo livello e sicura-mente di grado farmaceutico per la gestione delle varieurgenze chirurgiche.L’uso dei concentrati piastrinici e del plasma frescocongelato dovrebbe essere limitato a precise indicazio-ni e mai utilizzato con carattere di prevenzione emor-ragica.Il controllo della saturazione d’ossigeno oltre che deiparametri principali dell’esame emocromocitometricoe dei parametri vitale potranno inoltre contribuire aben orientare la decisione trasfusionale da partedell’equipe di sala.Il consumo di sangue per esigenze di sala operatoria,se non collegato ad impreviste situazioni cliniche e/o di operatività chirurgica, non dovrebbe essere utilizza-to in base alla sola “disponibilità” o in modo cautelati-vo da parte dell’equipe di sala .

Una puntuale consulenza in fase post-operatoriaattraverso la richiesta trasfusionale riportante i daticontestuali del paziente oltre che a riferimenti cliniciprecisi, potrebbe sicuramente ridurre l’apporto trasfu-sionale allogenico ove non indicato. L’importanza diattenersi a parametri e riferimenti precisi per lavalutazione dell’apporto trasfusionale allogenico,soprattutto nei pazienti che hanno espresso un consen-so su una modalità autologa di gestione trasfusionale,è di grande rilevanza.Da una analisi retrospettiva accurata spesso il 40% delsupporto allogenico residuale non appare essereappropriato, soprattutto in considerazione dellapossibilità di ripresa ematologica nei soggetti cheeffettuano un programma di eritropoietina in usoperichirurgico e di supplementazione marziale peruso parenterale.La riqualificazione dell’uso endovenoso della terapiamarziale di ferro, effettuato nel perichirurgico breve,ossia il giorno prima l’intervento e cinque giornisuccessivi rappresenta una modalità terapeutica dirinnovato interesse, sul quale è stata istituita unaconsensus conference, nell’ambito del NATA.L’utilizzo post-operatorio della terapia marziale diferro ed affiancata dall’eritropoietina ad un dosaggiodi 150 UI/sottocute, contribuisce a risolvere moltesituazioni di anemie transitorie, senza prevedere ilsupporto di sangue allogenico, in quanto contribuiscead ottimizzare l’eritropoiesi.Occorre anche considerare che le forme di anemie chesi instaurano successivamente all’intervento operato-rio rappresentano di per sé uno stimolo alla produzio-ne di eritropoietina endogena e che in assenza di segnidi sofferenza respiratoria o cardiologica, non è quasimai indicato trasfondere se l’emoglobina raggiungelivelli inferiori a 6 gr% (7).Una valutazione puntuale del paziente nel periodopost-operatorio, una seriata prevenzionedell’instaurarsi di un’anemia iatrogena da prelieviematici non necessari, possono sicuramente contribui-re alla ripresa ematologica autonoma del paziente.

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BIBLIOGRAFIA

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CONCLUSIONI

L’integrazione della consulenza di medicina trasfusio-nale nei percorsi assistenziali clinico-chirurgici deipazienti rappresenta una finalità necessaria per garan-tire l’applicazione dei moderni principi e la peculiare competenza di una globale “ governance trasfusiona-le”.Questo orientamento porta di conseguenza ad una ri-medicalizzazione della medicina trasfusionale riportan-dola ad una maggiore connotazione clinica garantendol’applicazione delle conoscenze ematologiche per lamodulazione terapeutica di supporto, per la validazio-ne dei percorsi di strategie alternative all’uso del san-gue allogenico e per la modulazione farmacologicadell’emostasi primaria e secondaria.Questi percorsi di riprogrammazione professionaleottimizzano tutte le possibilità di applicazione di “RBCprocurement” in particolare:

a) la predonazione autologa; b) il compenso farmacologico delle anemie preo-

peratorie;c) la somministrazione perichirurgica degli ema-

tinici e degli agenti stimolanti l’eritropoiesi;d) l’emodiluizione normovolemica intraoperato-

ria;e) il recupero perioperatorio del sangue;f) la terapia delle emorragie perichirurgiche.

E’ indispensabile considerare come l’evoluzione tecno-logica e strumentale possa garantire questa evolutivitàapplicativa, determinata anche dallo sviluppo di appa-recchiature POC di supporto che affiancano la determi-nazione laboratoristica convenzionale, permettendo il

monitoraggio contestuale delle fasi assistenziali deipazienti.Infatti le apparecchiature point of care per la determi-nazione dell’esame emocromocitometrico, per la rile-vazione della saturazione di ossigeno e dell’equilibrioacido-base e per la definizione delle curve tromboela-stometriche e tromboelastografiche, coadiuvano edaffiancano la sicura integrazione delle competenzesoprattutto per i percorsi assistenziali di tipo chirurgicosia elettivo che d’urgenza.Le nuove dinamiche epidemiologiche e sociali ed iprocessi di globalizzazione enfatizzano la necessità,ove applicabile, di valorizzare il patrimonio ematolo-gico dei pazienti per il recupero funzionale autonomoin assenza di supporto ematico di tipo allogenico, ri-sorsa che dovrebbe essere riservata ai casi di urgenzaclinica e chirurgica ed onco-ematologica non differibilie demandabili.L’impegno economico previsto ed indispensabile perla realizzazione degli approcci alternativi alla trasfu-sione descritti non rappresenta uno svantaggio inquanto occorre considerare che i costi della trasfusionedi una unità di globuli rossi non sono solo correlabilialla sua produzione ma anche ai processi di emovigi-lanza previsti dagli attuali riferimenti legislativi e nor-mativi in materia.La medicina trasfusionale potrebbe quindi codificarsi verso evoluti scenari integrativi in ambito interdisci-plinare a garanzia di nuove e massimizzate modalità edoperatività assistenziale in ambito ospedaliero.

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