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TANIA MAURI E LUCIANA SQUADRILLI FOTOGRAFIE DI ALESSANDRA FARINELLI la buona PIZZA STORIE DI INGREDIENTI, TERRITORI E PIZZAIOLI

la buona PIZZA - giunti.it · manalmente, che la gestione di queste tre cose ci permette di ritrovare il paradiso con ... Senza pretendere di fare liste o classifiche e di racchiudere

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Tania Mauri E Luciana SquadriLLiFOTOGRAFIE DI aLESSandra FarinELLi

la buona

PIZZASTORIE DI InGREDIEnTI,TERRITORI E pIzzAIOlI

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SOMMARIO

Sulle tracce della buona pizza 8

Che cosa rende una pizza buona? 18

pIzzA DEllE lAnGHE 20

buRRATA E CRuDO... DI GAMbERO ROSSO 38

RACCOnTO D’AuTunnO 58

l’AQuIlAnA 78

TRApIzzInO COn CODA AllA vACCInARA 101

AlIFAnA 122

MARInARA 144

pIzzA nERA vl 164

pIzzA luCAnA 184

pIzzA DEll’ISOlA 204

Indirizzi 222

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MA è pROpRIO vERO CHE GlI ITAlIAnI AMAnO lA pIzzA?

di DonPasta

Sì, lO è, pROFOnDAMEnTE, ineluttabilmente. Forse ci assomiglia come carat-

tere, nel suo essere molto colorata, disordinata, nel suo doversi mangiar con le mani

nell’epoca delle isterie igieniste, nell’essere figlia geniale della povertà più nera, nella

sobrietà di una marinara fatta di due ingredienti in croce o nelle mille varianti che si

può permettere di avere, tanto è buona. Perché, anche, rispetta la regola dei clown che

grandi e piccini amano. C’è il clown bianco, malinconico, sempre al suo posto – ed è la

pasta che si fa base – e poi l’augusto, ridanciano, sopra a mettergliene di tutti i colori.

Sono azzardi, ipotesi di lavoro per capire cosa leghi un italiano a una pizza.

Basta pensare alla felicità dei genitori, alla ritualità universale nel dire ai propri figli:

oggi andiamo a mangiare la pizza! Perché nei tempi è restato il rito accessibile a

chiunque: nel mondo complicato di famiglie che non potevano permettersi ristoranti o

anche solo osterie, la pizza era un compenso.

Ma c’è forse una ragione, più di altre. Il pizzaiolo, al contrario degli altri ristoratori, lo si

guarda in faccia, lo si vede combattere con impasti, pale, calori infami.

COSA SACRA lA pIzzA, perché si basa sull’atto magico della trasformazione del-

la materia. Farina e acqua che, lievitando, diventano altro da sé. Ma non è un fatto me-

ramente chimico, semmai alchemico, frutto delle mani e dell’intelligenza dell’uomo

che si rapportano alle cose della natura: acqua, grano, fuoco.

Sappiamo, perché lo proviamo sulla nostra pelle se non quotidianamente almeno setti-

manalmente, che la gestione di queste tre cose ci permette di ritrovare il paradiso con

delle pizze che hanno un impasto di rara leggerezza e fragranza come anche davanti

a terrificanti e indigeribili pastoni.

La differenza non è nella modernità, perché tanto quei tre elementi immutabili – ac-

qua, farina e calore – sono sempre gli stessi, dall’alba dei tempi. Non è cioè l’avan-

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zamento tecnologico che può permettere un miglioramento della combinazione di

questi tre elementi. Semmai una maggiore ricerca sulla materia e sulle tecniche, un

lavoro per sinapsi in cui magari tecniche secolari si uniscono a tecniche di altre cul-

ture. Ma in nessun momento ci si potrà permettere il lusso di chiudere la porta alle

lezioni del passato.

Quanto serve una cultura millenaria della gestione del lievito, quanto la conoscenza

ancestrale dei grani e delle farine conseguenti? Cosa differenzia un impasto con lievito

chimico da uno figlio di un lievito madre ereditato da generazioni? Che significa tener

conto di tutto ciò? Conoscenza? Sapere? Quanto ha inciso l’impoverimento delle fari-

ne? E l’industrializzazione delle stesse e dei lieviti? Quanto la semplice pigrizia di chi

fa pizza e di chi la mangia ha fatto sì che un boccone prelibato e accessibile a chiun-

que, in qualsiasi vicolo d’Italia, diventasse da nobile cibo di strada a cibo di consumo

distratto, assimilabile al mondo malsano del fast food o junk food che dir si voglia?

Come gli artigiani vecchi e nuovi fanno fronte a questo inesorabile andamento?

ECCO Il TEMA DI QuESTO lIbRO. Per trattarlo le autrici hanno girato tutta l’Italia

per scovare i più temerari tra loro per chiedere come hanno fatto, come fanno ogni

giorno a rilanciare la pizza come cibo prezioso.

La risposta che ne traggono è che questi artigiani ci riescono tracciando nessi per ri-

cominciare a fare ciò che si è sempre fatto. Prendersi cura di ogni singolo ingrediente,

cercando nel proprio territorio cose buone e sane da mettere sulle pizze. Prendersi

cura di ogni singolo procedimento, che può essere vissuto come fatto meccanico o

frutto di ingegno, così come ogni italiano ha sempre fatto, così come da sempre abbia-

mo visto il pizzaiolo fare in quell’impastare, roteare, scornarsi con un forno in fiamme.

Questo libro mostra tali nessi, indispensabili, salvifici tra gli artigiani di oggi – speri-

mentatori, talvolta sovversivi, talvolta sofisticati – e quella matrice, fondamento, gram-

matica che è la base dell’intera identità italiana, l’assemblaggio alchemico di acqua e

farina e la scelta religiosa di cosa ci va sopra.

È una scelta intelligente, dunque, raccontare il nostro Paese attraverso i pizzaioli, per-

ché è il modo più semplice di osservare come può salvarsi, conservando con cura il

patrimonio ricevuto in dono. È una geografia delle intelligenze, un viaggio alla ricerca

di prassi coraggiose, applicate quotidianamente alla nostra amata pizza.

Far ciò per poter sfidare le distrazioni della contemporaneità attraverso il rigore, l’eti-

ca e il coraggio di migliaia di artigiani appassionati del proprio lavoro.

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SullE TRACCE DEllA buOnA pIzzA

Avete mai pensato di mettervi in viaggio verso grandi città e remoti borghi del

Bel Paese sulla scia di alcune tra le migliori pizze di tutta Italia? Noi ci abbiamo

provato, seguendo un tracciato gustoso fatto di mozzarelle di bufala e pomodori

veraci, di formaggi d’alpeggio e salumi artigianali, di frutti dimenticati e antichi

legumi, il tutto tenuto insieme da quel magico disco di pasta cotto al forno, pur

con tutte le sue varianti. Questa è l’idea alla base del nostro libro. Abbiamo voluto

segnare un ideale itinerario gastronomico uscendo dalle solite rotte, alla scoper-

ta della Buona Pizza, quella che sa appagare il palato e lo stomaco ed è anche in

grado di dire qualcosa di più.

Senza pretendere di fare liste o classifiche e di racchiudere in un solo libro tutta

l’eccellenza pizzaiola italiana, abbiamo scelto 10 esempi per noi significativi, per-

ché rappresentano la capacità della pizza italiana di reagire alla globalizzazione

gastronomica che ha portato sulle nostre tavole pizze farcite con ananas e patati-

ne fritte, insieme a versioni industriali molto lontane dall’originale.

Queste 10 pizze hanno alzato il tiro, puntando sulla qualità, facendosi interpreti

in maniera sana e virtuosa della nuova fascinazione per tutto quello che è food.

I pizzaioli che le hanno studiate, progettate, create, sono dei veri e propri testimo-

nial delle aree in cui lavorano e delle grandi e piccole eccellenze del patrimonio

gastronomico da Nord a Sud. Sono loro i nuovi portavoce di prodotti, territori e

tradizioni contadine che hanno mantenuto la pizza, cibo popolare per eccellenza,

alla portata di tutti.

Le tante versioni del disco di pasta condito con materie prime di alta qualità made

in Italy diventano anche il mezzo privilegiato attraverso cui raccontare tipicità

locali, rarità gastronomiche, usanze e suggestioni territoriali. E non stupiscano

le differenze regionali e le tante forme, vecchie e nuove, che la pizza ha saputo

assumere grazie al lavoro di questi artigiani: nel Paese dei mille campanili, dove

le ricette della tradizione cambiano anche di quartiere in quartiere, non poteva

essere altrimenti. Democratica anche in questo, la pizza si presta ad essere de-

clinata in tante differenti tipologie, ognuna con le sue specificità e le sue ragioni:

dalla classica pizza napoletana, soffice e sottile ma con il cornicione pronunciato,

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alla romana non più solo scrocchiarella, dalle nuove pizze in stile focaccia, alte e

ariose, che si prestano ad accogliere condimenti elaborati e innovativi, alla pizza

al taglio che ha saputo rinnovarsi in chiave gourmet. Ogni pizza è capace di rac-

contare un pezzo d’Italia, senza alcuna rivalità, né sciocche prese di posizione.

un mestiere rinnovato fra arte e scienzaLa pizza a Napoli è nata come cibo di strada, venduto da bancarelle ambulanti o

dai banchi fuori dai forni, per sfamare, in primis, il popolo. Era un alimento povero

facilmente reperibile nei vicoli e da consumare sul posto, che doveva “riempire

la pancia” perché era anche l’unico pasto dell’intera giornata.

L’origine popolare della pizza – che accomuna quella napoletana ad altre tradizio-

ni regionali come la focaccia pugliese, gli sfincioni siciliani o la piadina romagno-

la, cibi di sussistenza a base di acqua e farina – è uno degli elementi fondamentali

della sua fortuna in Italia e nel mondo, ma ha rischiato anche di diventarne la

maggiore debolezza. Vista la facilità e i costi contenuti con cui si poteva realiz-

zare questo piatto, fare il pizzaiolo era diventata una professione in cui molti si

cimentavano e si improvvisavano a discapito della qualità del prodotto finale e

della soddisfazione dei clienti. Poi, circa una ventina di anni fa, quando le pizzerie

ormai imperversavano ovunque proponendo menu interminabili, con ingredienti

dubbi e poco salutari (la pizza wurstel e patatine è un vero e proprio attentato alla

salute…), alcuni pizzaioli hanno cominciato a ragionare su come fare una buona

pizza, dal gusto saporito e dagli ingredienti sani. Le materie prime, sia per gli

impasti sia per i condimenti, hanno assunto così un’importanza nuova: pomodori,

mozzarella, ortaggi e altri prodotti sono stati selezionati e reperiti da fornitori di

fiducia, e lo stesso è accaduto con la farina, ingrediente fondamentale fino a quel

momento sottovalutato.

L’impasto di acqua, farina e lievito, che quasi per magia dà vita a una massa soffice

e perfetta, oggi è il vero protagonista della scena. I pizzaioli, quelli che hanno pre-

so coscienza di quanto sia centrale il processo di creazione dell’impasto, si sono

trasformati da “apprendisti stregoni” in scienziati che analizzano i procedimenti

chimici e fisici della lievitazione, sperimentano nuove tecniche e studiano le di-

namiche causa-effetto della temperatura sulla maturazione e in fase di cottura.

Il loro impegno nella ricerca della qualità riconsegna dignità al disco di pasta

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lievitata, che stava per perdere, morso dopo morso, la sua anima nobile seppure

popolare.

Fare il pizzaiolo oggi è un mestiere che unisce arte e scienza, creatività e cono-

scenza tecnica. Il nuovo approccio consapevole e un punto di vista più scientifico

hanno colpito trasversalmente sia i figli d’arte, pizzaioli da generazioni, sia coloro

che si avvicinano per la prima volta al mondo della pizza. Perché per riuscire a

sfornare una pizza leggera, altamente digeribile, gustosa, invitante e capace di

soddisfare le necessità salutistiche non è più sufficiente saper impastare, farcire

e cuocere pizze, ma bisogna studiare e selezionare le farine, il lievito, l’acqua, il

sale e l’olio, conoscere vari tipi di impasti, la loro reazione ai cambiamenti di tem-

peratura, i tempi di lievitazione, cucinare gli ingredienti per le farciture, scegliere

i tipi di forno.

10 pizze per 10 luoghiAbbiamo tracciato un itinerario in 10 tappe che ci svelano volti diversi della pizza

in Italia. Dal Piemonte alla Basilicata, passando per Veneto ed Emilia (le regio-

ni dove ha preso forma, più di ogni altra, la “nuova” scuola della pizza italiana),

Abruzzo e Lazio, attraversando il Tirreno fino alla Sardegna, senza naturalmente

tralasciare la Campania, con un omaggio alla grande tradizione partenopea e

all’imprescindibile “arte dei pizzajuoli napoletani”, non a caso candidata a entra-

re nel Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO.

I criteri per noi irrinunciabili che accomunano tutte queste pizze sono il gusto,

senz’altro, la trasparenza sulla lavorazione e sulla provenienza delle materie pri-

me, la passione con cui i pizzaioli curano ogni fase della preparazione, l’impegno

con cui valorizzano il territorio e i suoi prodotti.

Si parte dunque dal Piemonte, e più precisamente da Santo Stefano Belbo nel-

le Langhe, dove il giovane Stefano Viola sforna “bontà per tutti” – ed è proprio

questo il nome della sua bottega-pizzeria – utilizzando farina di buratto e grandi

ingredienti langaroli spesso biologici.

A San Bonifacio, piccolo paese non lontano da Verona, stretto tra il corso dell’A-

dige e i vigneti di Soave, incontriamo Simone Padoan, il pioniere della pizza “da

degustazione” e della sperimentazione su lievito madre e condimenti che ha fatto

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scuola in tutta Italia. Rigoroso e attento ai dettagli, Simone non solo ha rivoluzio-

nato l’idea di pizza, con i suoi diversi tipi di impasto che si prestano ad accogliere

vere e proprie preparazioni di alta cucina oltre che i condimenti classici, ma ha

modificato anche il concetto di pizzeria, trasformando il suo locale, I Tigli, in un

vero e proprio “ristorante” della pizza.

Poco più a sud arriviamo in Romagna, a Faenza, dove Matteo Tambini e Davide

Fiorentini hanno dato vita al progetto ‘O fiore mio, con l’obiettivo di “raccontare

l’Italia in una pizza”, utilizzando farine da grani autoctoni ed eccellenze gastrono-

miche dell’intera Penisola a cominciare dai tesori che crescono tra l’Appennino

e la costa adriatica.

All’Aquila, la pizza di Marzia Buzzanca diventa non solo racconto di quest’angolo

di Abruzzo, ma anche simbolo della rinascita della città dopo il terremoto del

2009 – il suo Percorsi di Gusto fu uno dei primi locali a riaprire – mettendo sul

disco di pasta le principali eccellenze che nascono all’ombra del Gran Sasso e

nelle zone circostanti, ma anche altri ingredienti di pregio italiani ed “esotici”.

Passando a Roma, dove la tradizione si muove tra la pizza sottile, croccante e la

golosa e sostanziosa pizza al taglio (riportata a nuovi livelli di bontà da Gabriele

Bonci), abbiamo invece scelto di raccontare il Trapizzino creato da Stefano Cal-

legari, fondatore di locali romani come Tonda e Sforno: una specie di fragrante

“tasca” di impasto di forma triangolare – che ricorda il tramezzino – da farcire con

i sapori robusti e veraci della cucina romanesca tradizionale.

Sono tre le tappe in Campania, perché pizze e pizzaioli le meritano tutte ma anche

per dar conto della grande ricchezza del territorio e della tradizione “pizzaio-

la” di questa regione. A Caiazzo, poco lontano da Caserta e dalla sua splendida

Reggia, Franco Pepe crea pizza uniche, impastate ancora a mano come facevano

una volta il nonno e il padre. Il suo Pepe in Grani ha reso il borgo dell’Alto Caser-

tano una meta imprescindibile per i pizza lovers di tutto il mondo, non solo gra-

zie all’impasto soffice e gustoso ma anche a condimenti che sono vere e proprie

“cartoline dal territorio”, attingendo dalle ricette della tradizione rurale e dai

prodotti delle campagne circostanti.

Napoli merita un discorso a parte. Scegliere un solo rappresentante della grande

tradizione partenopea della pizza – con tutte le sue diramazioni e varianti, dalla

pizza “a libretta” che si mangia ancora per le strade della città fino alla golosis-

sima pizza fritta ripiena – è stato un compito arduo e abbiamo cercato di darne

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conto citando i principali protagonisti. Enzo Coccia, tuttavia, oltre a essere un ma-

estro indiscusso e un esempio riconosciuto anche dai suoi colleghi napoletani, è

colui che bene incarna lo spirito di questa città dove passato e futuro, tradizione e

sperimentazione, cultura e cucina, terra e mare convivono da sempre. A lui, e alla

sua Notizia, si deve gran parte del “rinascimento” della pizza napoletana degli ul-

timi anni, che ha saputo innovarsi senza tradire le proprie origini, puntando sulla

qualità senza compromessi nelle materie prime e sullo studio approfondito delle

tecniche di lievitazione.

Siamo arrivate fino all’entroterra cilentano, nel suggestivo borgo di Caggiano,

per incontrare il giovanissimo Angelo Rumolo e la sua famiglia, tutta coinvolta

nel locale Grotto Pizzeria Castello. A ispirare le sue pizze sono i tanti prodotti del

Cilento, gli insegnamenti del nonno ma anche l’amicizia con lo chef Vitantonio

Lombardo, che proprio a Caggiano ha la sua Locanda Severino.

A pochissima distanza, ma in territorio lucano, alla pizzeria Fandango di Scalera,

Salvatore Gatta si fa interprete delle numerose eccellenze gastronomiche regio-

nali creando ottime pizze di impronta decisamente “napoletana”, in una riuscita

fusione tra le tradizioni di queste due regioni accomunate dalla ricchezza di sto-

ria, natura e prodotti.

Dobbiamo attraversare il Tirreno, infine, per scoprire la magia dell’entroterra sar-

do e le buone pizze di Massimo Bosco. A Tempio Pausania, la “città di pietra” nel

cuore della Gallura, la Pizzeria Bosco è un piccolo e quasi anonimo locale dove il

pizzaiolo sforna grandi pizze, al taglio o tonde, preparate con ingredienti stretta-

mente locali.

Il lavoro di questi artigiani della pizza delinea il nuovo panorama della pizza ita-

liana, portando il semplice “disco di pasta” a diventare una delle più interessanti

chiavi di lettura del nostro Paese, perché capace di raccontarne differenze e uni-

cità. A dar loro man forte spesso ci sono grandi chef che hanno saputo guardare

alla pizza senza superiorità, cogliendone le potenzialità di espressione creativa

e di ricerca gastronomica. E, soprattutto, ci sono coloro che dal territorio san-

no ottenere il meglio, svolgendo un ruolo fondamentale anche nella sua tutela e

mantenimento: sono agricoltori, allevatori, casari, contadini, produttori, artigiani

“del buono” che sempre più diventano preziosi alleati dei pizzaioli nel comporre

il racconto del territorio stesso sulle pizze e nel piatto.

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Pizza dELLE LanghE

A Santo Stefano Belbo, al confine tra Alta Langa e Mon-

ferrato, c’è la piccola bottega biologica Bontà per tutti:

caffetteria, forno e una pizzeria che sforna pizza dall’al-

ba fin dopo il tramonto. Dalla farina agli altri ingredien-

ti, stagionalità e prodotti del territorio sono le carat-

teristiche principali di queste pizze, che propongono

abbinamenti tradizionali ma anche “sopra le righe”.

Bontà per tutti

Stefano Viola Santo Stefano Belbo (CN)

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La riScoPErTa di un TErriTorio

Siamo nelle Langhe, patrimonio dell’Unesco dal 2014. Su queste colline sorgono ina-

spettati castelli e minuscoli borghi incorniciati da magnifici paesaggi di vitigni, ele-

mento di forza e ricchezza di questo territorio.

È una terra fertile ma riscoperta solo trent’anni fa: come tante in Italia, era stata abban-

donata in seguito alla depressione economica e alla crisi dell’agricoltura. Grazie alle

numerose attività di giovani che sono tornati alla campagna, oggi è diventata “ricca e

famosa”. I suoi vini, la carne di Fassona, la produzione di formaggi DOP... ma anche

prodotti come il tartufo bianco, la patata di montagna, la piccola pera madernassa, la

nocciola Tonda Gentile hanno fatto di questa zona una meta ideale per tutti gli appas-

sionati di turismo enogastronomico.

A Santo Stefano Belbo, il paese d’origine di Cesare Pavese, nasce nel 2013 Bontà

per tutti, un nome che promette qualcosa di buono e generoso, dove la pizza fa da

padrona nell’arco dell’intera giornata. Si comincia con la colazione a base non solo

di dolci ma anche, e soprattutto, di pizza in teglia alla romana: croccante e sfiziosa, si

può gustare appena sfornata già alle 7 del mattino.

La proposta ha un grande successo con gli amanti della colazione salata o con chi

passa per un caffè o un bicchiere di vino a metà mattina o per un pranzo veloce e

nutriente. La pizza viene offerta al taglio durante la giornata, poi la sera la bottega si

trasforma e propone la classica pizza tonda, servita ai tavoli, diversa a seconda della

stagione e dei prodotti disponibili, che provengono da fornitori di fiducia. Non esiste

un vero e proprio menu, ma non manca mai, ovviamente, la Margherita o la pizza al

prosciutto – aggiunto rigorosamente a fine cottura.

Un esempio su tutte è la pizza dall’impasto di farina buratto, cioè di grano tenero tipo

2 macinata a pietra naturale, con una base di mozzarella fiordilatte nascosta da uno

strato dolce e delicato di porri di Cervere leggermente appassiti in padella, a cui

vengono aggiunti, a freddo, la robiola fresca di Roccaverano DOP (un formaggio ca-

prino a pasta morbida dal gusto deciso e aromatico), nocciole piemontesi tritate e una

leggerissima crema di castagne, sempre piemontesi.

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pIzzA DEllE lAnGHECOn pORRI, RObIOlA, TOnDA GEnTIlE E CREMA DI CASTAGnE

Per l’impasto (per 10 pizze)

Farina buratto 1 kg

Acqua naturale 700 ml

lievito di birra fresco 1 g

Sale 30 g

Per la farcitura

porri di Cervere 2

Robiola di Roccaverano 150 g

Mozzarella fior di latte 50 g

Crema di castagne

Granella di Tonda Gentile 50 g

Olio extravergine d’oliva

Sale

pER l’IMpASTO

Impastare tutti gli ingredienti senza mettere a contatto sale e lievito: sciogliere

il lievito in un po’ di acqua e aggiungere un po’ di farina, poi procedere aggiun-

gendo altra farina e solo alla fine il sale, quindi mettere l’impasto a riposare in un

contenitore a temperatura ambiente per 6 ore.

Passato questo tempo formare delle palline da 250 g ciascuna e lasciarle riposare

fino al momento della preparazione della pizza. Le palline vogliono circa 12 ore di

lievitazione prima della stesura.

Finiti i tempi di lievitazione prendere un panetto e passarlo nella farina, quindi

stenderlo delicatamente. L’impasto è pronto per essere condito.

pER lA CREMA DI CASTAGnE

Versare le castagne in acqua bollente con un pezzo di finocchietto selvatico e

lasciarle bollire per circa 2 ore. Quindi sbucciarle e metterle nel mixer con un po’

di acqua e miele, frullare finché non si è ottenuta una crema.

pER COMpORRE lA pIzzA

Mettere la metà dei porri a crudo, tagliati a rondelle, sulla pizza stesa; ricoprire

con il fior di latte, in modo che il porro non bruci. Infornare per non più 2 minuti

a circa 350/400 °C. A fine cottura sfornare la pizza e farcire con l’altro porro, pre-

cedentemente stufato in padella con un filo d’olio. Per completare aggiungere

olio, sale, la robiola di capra fresca, la crema di castagne e, per ultime, le nocciole

tostate e tritate.

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Castagne 1 kg

Finocchietto selvatico

Acqua

Miele

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iL Sogno nEL caSSETTo

Bontà per tutti è un esempio della rinascita delle Langhe grazie all’intraprendenza dei

giovani. Da 22 a 30 anni, ecco l’età dei protagonisti di questa storia e di molti produtto-

ri e contadini con cui collaborano. E non aveva neanche 20 anni Stefano Viola, giovane

patron di Bontà per tutti, quando decise di realizzare il suo sogno nel cassetto: fare il

pizzaiolo. Ma partiamo dall’inizio.

Bontà per tutti nasce nel 2009, per volontà di Marisa, la mamma di Stefano, che lavora

nell’ambito del vino ma da sempre desidera aprire un suo negozio di alimentari con

prodotti biologici e per coloro che soffrono di intolleranze; in particolare le interessa-

no prodotti per i celiaci, che non possono assumere glutine nella loro dieta.

una scelta coraggiosa se si pensa al contesto in cui viene fatta:

un piccolo paese dove prevale la mentalità contadina, poco propensa

ai camBiamenti e molto legata al territorio e alla tradizione,

soprattutto in tema di ciBo e vino.

Qui la cucina è quella popolare e rurale e tuttora molti hanno il loro orto, la loro vigna.

L’alimentari di Marisa viene comunque aperto e poco per volta la gente comincia ad

avvicinarsi, a chiedere, a provare; il negozio diventa un punto di riferimento per acqui-

stare alcune specialità gastronomiche, golosità e prodotti “made in Langa”.

Oggi il negozio è cresciuto, si è trasformato e ha trovato una sua identità con una clien-

tela affezionata.

Stefano entra in scena giovanissimo, frequenta ancora il liceo scientifico quando il ne-

gozio apre e si alterna con la mamma dietro il banco, lei al mattino, lui il pomeriggio.

Finita la scuola, malgrado i buoni risultati, non ha alcuna intenzione di proseguire gli

studi. Gli interessa il mondo del lavoro e gli piace stare a contatto con la gente, per cui

la sua permanenza a tempo pieno in negozio diventa quasi un passaggio obbligato.

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L’inconTro con iL MaESTro

Fin da bambino Stefano amava passare il tempo in cucina con le nonne, sperimen-

tando o facendo pasticci tra i fornelli, avendo cura di osservare i loro movimenti e di

imitarli, curioso di scoprire i vari ingredienti e i loro segreti.

Ma una ricetta su tutte lo affascinava o lo divertiva di più: l’impasto della pizza. Pochi

elementi per un grande risultato.

Con il tempo, il desiderio di conoscere cresce e questo lo porta, da ragazzo sveglio e

capace qual è di usare con intelligenza il mondo della Rete, a “spiare” i professionisti

guardando i loro video su YouTube, a consultare i forum sulla rete e a seguire ogni

trasmissione televisiva sull’argomento. È proprio grazie all’antiquato tubo catodico

però che Stefano ha un vero e proprio colpo di fulmine per Gabriele Bonci, il Maestro.

Bonci è uno che è nato “con le mani in pasta”, riconosciuto tra i più

grandi esperti di farine, lieviti e impasti. nel suo locale pizzarium,

nel cuore di roma, offre pizza al taglio farcita ogni giorno

in maniera diversa, cercando sempre nuovi aBBinamenti pur restando

fedele alla tradizione.

Inizialmente Stefano segue alla lettera le ricette di Bonci e prova a riprodurle tali e

quali. La sua casa diventa un laboratorio dove sperimenta le pizze casalinghe cotte

nella classica teglia e amici e familiari sono le cavie da cui cerca conferme e critiche:

commette errori, ma prova, riprova e non si arrende. Vuole arrivare a fare esattamente

la pizza di Bonci.

Non gli sarà difficile entrare in contatto con lui: per le farine biologiche Bonci si serve

infatti dello stesso fornitore che ha la madre di Stefano per il suo negozio, il Mulino

Marino dei fratelli Fausto e Fulvio Marino. Siamo nel 2012 e proprio la madre, con la

complicità di Fulvio Marino, regala a Stefano per il suo diciannovesimo compleanno un

biglietto per Roma e un corso base per imparare a fare la pizza con Bonci.

Stefano non sta nella pelle per l’emozione e, un mese prima della partenza per Roma,

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L’ALifAnA, LA pizzA deL territorio

Una pizza che rappresenta un territorio in ogni suo

ingrediente, grazie all’attenta e complessa ricerca di

Franco Pepe, il pizzaiolo che lavora solo con materie

prime locali di alta qualità: dal grano al pomodoro,

dall’olio al formaggio, tutto è made in Alto Casertano.

Caiazzo (CE)

Pizzeria Pepe in grani

Franco Pepe

MARINARA

Nella capitale mondiale della pizza Enzo Coccia rap-

presenta il punto di congiunzione fra tradizione e in-

novazione: grande conoscenza tecnica ed esperienza,

studio e ricerca continui su come migliorare impasti e

condimenti, capacità imprenditoriali e un amore incon-

dizionato per la sua città e per il mare che la bagna.

La sua Marinara racconta tutto questo.

la notizia

Enzo Coccia Napoli

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uNA seMplIcItà stRAoRdINARIA

La Margherita è senz’altro una delle pizze più note e amate, un riuscitissimo insieme

di ingredienti e sapori che nasce a Napoli alla fine dell’Ottocento. Ma il legame tra la

città partenopea e la pizza è ben più antico, e sono altre le pizze che rappresentano

al meglio la storia e l’essenza della città. La Mastunicola per esempio, dove il disco di

pasta viene condito con formaggio, strutto e basilico (vasinicola in dialetto, dalla cui

storpiatura deriverebbe il nome della pizza). Emblema di semplicità e goduria mas-

sima, non a caso è stata riscoperta negli ultimi anni da moltissimi pizzaioli napoletani

che hanno seguito proprio l’esempio di Enzo Coccia. Oppure la Marinara, che troppo

spesso è relegata ad opzione “leggera” e di ripiego, ma che in realtà – se ben prepa-

rata e con le giuste materie prime – risulta essenziale ed eccellente allo stesso tempo:

pomodori saporiti, olio extravergine di oliva, aglio, origano, basilico e volendo, come

fa Enzo, anche qualche carnosa alice del Mar Tirreno.

con la marinara, in una versione assolutamente impeccabile

e autentica, dai sapori semplici ma in perfetto equilibrio tra loro,

enzo coccia rappresenta al meglio la sua città.

I pomodori sono quelli San Marzano DOP, dall’inconfondibile sapore agrodolce, che

crescono nell’Agro nocerino sarnese oppure i pomodorini del Piennolo DOP, che cre-

scono sulle pendici del Vesuvio e si conservano a lungo appesi appunto ai piennoli o

scocche, sorta di grappoli rossi dal profumo intenso che già prima dell’avvento delle

conserve permettevano di avere questo indispensabile ingrediente della cucina par-

tenopea anche durante l’inverno.

L’aglio deve essere aromatico ma non invadente, l’olio rigorosamente extravergine

(Enzo preferisce quello campano della DOP Colline Salernitane, con le sue note di

pomodoro acerbo ed erba falciata); origano e basilico danno profumo e freschezza.

Ultime ma non meno importanti, le alici: fresche e non sottolio per fare la differenza e

raccontare tutta la grandezza di una città nata tra un vulcano e il mare, che da sempre

sa fare delle sue risorse, per quanto povere, dei veri e propri tesori.

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Il MARe e lA pIzzA

Il mare torna spesso nelle pizze di Enzo Coccia. Non parliamo delle improbabili pizze

ai frutti di mare che capita di trovare nei menu di molte pizzerie d’Italia o all’estero, e

nemmeno delle rivisitazioni gourmet della pizza con crudi di mare o pesci pregiati,

protagonisti di vere e proprie creazioni culinarie come quelle di Simone Padoan. Per

Enzo, la pizza rimane, sempre e comunque, un cibo popolare, anche nelle proposte

più elaborate e a base di materie prime ricercate.

Sulle sue pizze si trovano le alici fresche, pesce povero ma buonissimo, o il baccalà in

cassuola con pomodoro e olive, un tempo anch’esso considerato il pesce dei poveri.

Oppure ancora il tonno affumicato tagliato a fette sottili e marinato con olio extravergi-

ne di oliva e succo di limone, che accompagna la mozzarella di bufala, erba cipollina,

origano, basilico e ancora un filo d’olio aromatizzato al limone nella pizza Guardia

Costiera. Questa pizza, ideata su richiesta dell’ammiraglio Vincenzo Melone, coman-

dante generale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, nasce sul mare e per il

mare, come omaggio a chi si occupa della sua tutela.

“Mi sono messo a pensare, sono andato in riva al mare e ho passeggiato sulla spiag-

gia a piedi nudi aspettando che il susseguirsi dei frangenti mi ispirasse”, così Enzo

racconta la genesi della sua pizza e il rapporto che lui – e tutti i napoletani – hanno con

l’acqua che ne lambisce la costa, fonte di cibo e di ispirazione da sempre.

Dal brod’ ’e purpo (brodo di polpo, dalla sua acqua di cottura) un tempo venduta agli

angoli della strada, alla tradizionale “notte dei pesciaioli” in cui si compra il pesce per

le vigilie di Natale e Capodanno, sono tante le tradizioni partenopee legate al mare e

al pescato. Così come sono tanti i luoghi della città dedicati al mare e al pesce: dallo

storico mercato di Porta Nolana lungo le antiche mura aragonesi fino al moderno mer-

cato ittico all’ingrosso di Pozzuoli, dall’altro lato di Capo Posillipo che separa il golfo

di Napoli da quello flegreo.

Qui ogni notte, fino all’alba, i pescherecci scaricano il loro “bottino” da vendere a

commercianti e ristoratori, che possono accedere solo previa registrazione. Poche ore

dopo pezzogne, sgombri, saraghi, ma soprattutto polpi e alici, protagonisti indiscussi

della cucina partenopea, finiranno sui banchi delle pescherie cittadine e sulle tavole

di case e ristoranti.

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Girando tra i banchi del mercato e fermandosi a parlare con i pescatori si può impa-

rare molto: la differenza tra le alici dell’Adriatico e quelle del Tirreno, per esempio.

Le seconde, caratterizzate da una lieve sfumatura azzurra sul dorso scuro, anziché

violacea, sono più grandi anche se più magre delle altre e hanno carni più sode e

saporite. Sono queste che Enzo sceglie per le sue pizze.

Il MAestRo “pIzzAjuolo”

Nel frenetico e competitivo mondo della pizza napoletana, che negli ultimi anni ha su-

bito un’accelerazione vertiginosa tra giovani generazioni di famiglie storiche e nuovi

modelli imprenditoriali, Enzo Coccia riceve consenso assoluto.

Colleghi e critici gli riconoscono il ruolo di maestro. Gran conoscitore della pizza, dal-

le curiosità storiche agli aspetti più tecnici e scientifici, nel 2015 ha pubblicato insieme

a Paolo Masi e Annalisa Romano, docenti del corso di Laurea in Tecnologie Alimentari

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all’Università di Napoli Federico II, un volume fondamentale: La Pizza Napoletana, un

vero e proprio “codice” della pizza (come è già stato definito), che ha messo nero su

bianco caratteristiche, peculiarità e segreti del disco di pasta.

Per Enzo, tradizione e innovazione vanno di pari passo.

Coccia inizia a lavorare giovanissimo nella zona della Duchesca vendendo le pizze

“da strada” al banco. Non vede possibilità di crescita, in quella zona difficile di Napoli,

e decide presto di lasciare il locale di famiglia.

Nel 1994 apre il primo indirizzo lontano dal centro storico, lontano dai vicoli dove la

tradizione della pizza era nata secoli addietro.

enzo porta la pizza più autentica e popolare nei quartieri bene

in collina. il locale si chiama la notizia, nome che si ispira

a una citazione del capolavoro di orson Welles, quarto potere:

“se il titolo è grande, la notizia diventa subito importante”.

L’insegna recita pizzaria, come vuole la dizione antica, e lui stesso si definisce un arti-

giano pizzajuolo. Non è alla ricerca di protagonismo né di arrampicate sociali, rivendi-

ca solo una dignità professionale per la categoria dei pizzaioli, considerati fino a quel

momento l’ultimo gradino della ristorazione.

Enzo vuole salvare la pizza napoletana scaduta in impasti veloci, filoni di mozzarella

di fattura industriale e cotture svogliate. Studia l’impasto per renderlo più digeribile e

gustoso, inizia a farcire le pizze con mozzarelle e pomodori d’autore, oli extravergini

di qualità, eccellenze gastronomiche della Campania e di tutta Italia. “Ero fuori dal

centro storico e lontano dai flussi turistici. Dovevo dare alle persone dei validi motivi

per venire a mangiare la mia pizza e non andare altrove. Così ho puntato sulla qualità”,

dice. La sua scommessa funziona e ben presto in molti riconoscono che vale la pena

salire in collina per mangiare una pizza napoletana davvero degna di questo nome.

I passi successivi sono gli accostamenti più speciali, le sperimentazioni su gusti e

ingredienti, i “giochi sensoriali”. Come la pizza divisa in quattro grandi spicchi, su

ciascuno dei quali un diverso latticino è abbinato a un particolare tipo di pomodoro.

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nella locanda per osservare lo chef al lavoro, gli chiede un’idea originale per il Cam-

pionato Mondiale del Pizzaiuolo – Trofeo Caputo di Napoli, a cui avrebbe partecipato

come concorrente.

Lo chef stellato non si tira indietro e gli suggerisce di preparare una versione della Piz-

za in Black nel forno a legna, aggiungendo il carbone vegetale direttamente nell’impa-

sto, in modo da ottenere una pizza con un appeal molto originale, croccante e soffice

allo stesso tempo e, soprattutto, molto più digeribile.

Grazie a questa semplice ma preziosa indicazione, la Pizza Nera VL, rielaborazione

contadina della Pizza in Black, si è aggiudicata il Campionato Mondiale del Pizzaiuolo

(2014) nella categoria Pizza di Stagione.

tRA cAMpANIA e bAsIlIcAtA

Dopo il premio e il successo che ne segue, Angelo capisce che può trovare tutto ciò

che sta cercando per le sue pizze proprio a Caggiano, paese fortemente contaminato

dalla tradizione lucana. Qui resistono i valori veri della famiglia e dell’amore verso la

terra. Una terra particolarmente ricca e fertile, che permette alla tradizione culinaria

caggianese di offrire piatti sempre diversi grazie alla disponibilità di prodotti molto vari.

a caggiano la cucina è sinonimo di cultura ed è legata

al mondo contadino da sempre.

Si tratta di una cucina povera ma conviviale, dove la raccolta del grano, delle olive,

dell’uva diventano momenti di condivisione sia del lavoro fisico, faticoso e impegna-

tivo, che della tavola. Partecipare a questa “mensa” significa poter assaporare i pro-

dotti genuini della terra – legumi, ortaggi, frutta e verdura – ma anche i formaggi e gli

insaccati, perché non dimentichiamo che nella tradizione contadina la macellazione

dei propri animali allevati e la preparazione dei salumi è sempre stata una festa per

l’intera comunità.

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La cucina tradizionale caggianese è il concentrato di un mix di prodotti tra Campania

e Basilicata, che permettono di avere piatti dai gusti forti e saporiti, ma anche semplici

e genuini, come la pasta fatta in casa solo con acqua e farina o quelli a base di verdure

come le zucchine alla scapece o i broccoli lessi fritti con aglio e un po’ di salsiccia.

Oggi nei mesi estivi Caggiano si anima grazie alle numerose sagre che rievocano le

feste popolari che un tempo scandivano la vita rurale dei suoi abitanti, e grazie ai molti

forestieri che hanno cominciato ad acquistare le case per trascorrervi le vacanze.

E Angelo e Vitantonio, uno con le pizze, l’altro con i suoi piatti di alta cucina improvvi-

sati in piazza, sono diventati i mattatori della movida caggianese e i primi promotori

del loro territorio.

uN legAMe FRA geNeRAzIoNI

Oggi a Caggiano i Rumolo rappresentano un’istituzione per la pizza, ma da sempre

sono stati agricoltori e allevatori di pecore.

Il nonno ha portato le greggi in montagna per tutta la vita, passando lunghi periodi di

isolamento in nude costruzioni simili ai nuraghi sardi. Da vero contadino montanaro

non ha mai risparmiato mani e gambe, che erano l’unica risorsa per coltivare il diffi-

cile terreno scosceso e scalare le montagne con gli animali. Ancora oggi, malgrado

l’età avanzata, non passa giorno che non si faccia accompagnare nell’orto o in mezzo

ai boschi, come se non potesse resistere al richiamo della natura che lo circonda. Lu-

cido nei ricordi, semplice nella parlata e con una dignità di altri tempi, viene accudito

nei pasti e nelle faccende di casa dalle donne Rumolo e anche Angelo gli dedica ogni

giorno un saluto, un caffè, una chiacchierata.

È proprio grazie a un ricordo del nonno che Angelo ha l’idea di come farcire la Pizza

nera VL, un richiamo alla merenda che i pastori consumavano quando erano via con il

gregge: patate, formaggio, pancetta e pane.

Anche per Vittorio, papà di Angelo, e per suo fratello Nicola la vita è stata dura: un’a-

dolescenza divisa tra la scuola, i campi e le greggi, a cui si sono aggiunti i loro lunghi

e pesanti viaggi per raggiungere la scuola alberghiera.

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Testo box

TITOLO BOX

Caggiano, terra di contadini e agricoltori ma anche

di pastori e allevatori, produttori e affinatori di for-

maggi speciali come quelli della Fattoria Sant’An-

tonio. Da più di tre generazioni la famiglia Azzeo al-

leva bovini, pecore e capre nei pascoli naturali che

circondano le Colline dell’Alto Tanagro a ridosso del

Parco Nazionale del Cilento. E produce formaggi di

ottima qualità: formaggi freschi come la treccia di

mozzarella fiordilatte, scamorze (anche affumica-

te), ricotta, caprino... fino al caciocavallo del Ta-

nagro stagionato in grotta, loro punta di diamante.

Il caciocavallo è un formaggio semiduro, a pasta

filata, prodotto solo con latte fresco, caglio e sale

secondo i rituali della tradizione. Di colore bianco

o giallo paglierino, subisce una particolare lavora-

zione per cui, formando una specie di cordone, vie-

ne plasmato fino a raggiungere la definitiva forma

sferica e ovale. Il sapore iniziale è dolce ma diventa

piccante secondo la stagionatura. La particolarità

è che viene stagionato in una grotta carsica na-

turale ricavata nei sotterranei dell’azienda, a una

temperatura di 18 °C e umidità dell’80%, dove può

conservare tutte le sue caratteristiche. Le forme si

lasciano a stagionare due anni e più, al termine dei

quali il formaggio è interamente ricoperto di muf-

fe bianche che non modificano il sapore né l’odore

caratteristico. Quando è pronto si distingue per la

pasta di colore giallo con piccole fessure, un aroma

acuto e persistente e un sapore pieno e pastoso che

lo rende unico e inconfondibile. Perfetto mangiato

“nudo e crudo” ma anche sotto alla piastra o sciol-

to sopra una pizza, preferibilmente nera.

Il cAcIocAvAllo del tANAgRo

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Nel 1983 lo zio paterno Nicola apre l’attuale Grotto Pizzeria Castello che propone una

pizza croccante e rustica, matrimonio riuscitofra la tradizionale ricetta campana e le

forti influenze lucane.

Il padre, che allora faceva il muratore e dava una mano la sera e nei giorni di riposo, vi

entra a lavorare in un momento successivo.

ancora oggi la pizzeria è completamente a gestione familiare. angelo

che ne ha preso le redini stando al forno, è circondato da un

meraviglioso entourage di mamme, zii, cugini e fratelli coinvolti nel

locale, in cucina ma anche a coltivare e reperire le materie prime.

È proprio questa la grande forza di Angelo: poter contare su una famiglia allargata che

lo sostiene e poter avere a km zero i prodotti da usare in pizzeria, legna compresa!

pIzze A kM zeRo

Per le sue pizze Angelo si rifornisce direttamente dall’orto di famiglia inerpicato sulla

montagna, che offre tutto il meglio di questa terra: pomodori gialli e rossi, San Marzano

e datterini, peperoni, zucca, melanzane, patate a pasta gialla, viola e bianca, zucchine e

fiori di zucca, erbe aromatiche dal timo al basilico, dalla salvia all’origano, al rosmarino

all’alloro. Un frutteto gli offre mele, pere, ciliegie e uva di montagna, appena ripiantata.

Il tutto circondato da boschi di querce, castagne e nocciole dove nascono spontanei

funghi porcini e tartufi che Angelo va a cercare, all’alba, con il suo fido cane Pilla.

Ogni stagione gli permette di recuperare sul territorio ingredienti sempre diversi, che

combina tra loro in maniera creativa ma anche tradizionale e creando sinergie con gli

allevatori e i casari di zona, con cui spesso si confronta.

Con tutti questi prodotti che la sua terra gli offre, come poteva Angelo non far fruttare

al meglio il suo diploma alberghiero e seguire le orme di casa e la sua grande pas-

sione per la pizza?

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Una passione nata da bambino, quando mangiava la pizza a colazione o osservava le

donne di casa che la cucinavano e la preparavano. L’amore per la cucina, una curiosità

innata e il suo “bisogno” di sperimentare lo hanno portato oggi a fare una pizza con

un impasto che è un mix perfetto tra quello napoletano e quello cilentano, morbido e

croccante, gustoso e “casalingo”, che arricchisce con tutti i suoi prodotti.

Qualsiasi ingrediente è il frutto di un’accurata ricerca sul territorio ed è un mix tra tra-

dizione e passione come raccontano la pizza Zammedda, con pomodoro maturo cotto

per lunghe ore con aglio, olio, basilico e origano, o la pizza dall’impasto di grano duro

farcita con il pecorino stagionato oppure la delicata (ma anche sostenuta) pizza con

pomodoro San Marzano fresco, olio, sale, origano, asparago selvatico fresco appena

sbollentato, scamorza e caciocavallo del Tanagro affinato in grotta, un’altra eccellenza

della zona.

In questo locale, “incastrato” nel Castello del centro storico, Angelo rivela la storia

della sua terra anche attraverso i piatti che crea fuori menu, spesso squisitezze locali

“rubate” alla tradizione di famiglia. Solo per dare qualche esempio: il pasticcio cag-

gianese di formaggio (una torta rustica impastata a mano con formaggi freschi, sta-

gionati e semi stagionati, carne macinata di vitello, uova, mollica e prosciutto); la sop-

pressata, fatta solo con le parti nobili del maiale e il grasso a cubetti conservati nello

strutto; il pane cotto nel loro forno a legna; l’amarognola cicoria selvatica ripassata; i

giganteschi porcini trifolati; la dolce scamorza al forno con funghi porcini; le verdure

sottolio fatte in casa (i pomodori secchi o i carciofi bianchi di Petrosa)...

nei progetti per il prossimo anno c’è l’apertura di un nuovo

locale, una vera e propria country house di montagna realizzata

esclusivamente in pietra nei pressi dell’orto di famiglia.

Da lì si gode una vista impressionante su una delle zone più belle e meno conosciu-

te del Sud Italia. Tutti stanno contribuendo, dal padre muratore e intagliatore allo zio

idraulico. Contornato da alberi da frutta, erbe aromatiche e boschi, il locale sarà un

nuovo inizio per Angelo e la sua famiglia.