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lì Siccardi omaggio a G Pascoli.pdf · Giovanni Pascoli insieme con le Amministrazioni Comunali di San Mauro e di Bertinoro. Il legame di amicizia tra Barga lo Valle del Serchio

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    S. MAURO PASCOLI

    OQ{··"'·" .. ··~········'· ," " .. ,' ',' '. :'; l;" ,..' I .:.....~ ;. ACCADEMIA P ASCOLIANA

    CASA P ASCOLI

    CON IL PATROCINIO DI :

    BARGA

    SICCARDI OMAGGIO A

    BERTINORO

    ACCADEM IA dei BENIGN I

    GIOVANNI PASCOLI

  • Che dire dell'illustrazione pittorica di un libro di poesie? Una lotta con l'Angelo, si sarebbe tentati di definirla, pensando all'incontro che non può essere se non dialettico fra due personalità artistiche, ciascuna con la propria, e gelosamente personale, tensione creativa . Qualcosa di analogo comporta il musicare un testo poetico, e anche di questo il Pascoli offre esempi notevoli, che coinvolgono personalità di prim'ordine, da Mascagni a Zandonai a Masetti. In tutti e due i casi, a ben vedere, ci si trova davanti al difficile problema della traduzione, che, s'è detto un po' dispettosamente, può essere soltanto o "brutta fedele" o "bella infedele"; una definizione nata dall'insoddisfazione di chi vorrebbe trovare, e non trova, nel testo derivato l'irripetibile invenzione del primo. Un'insoddisfazione, va detto, fatale, se è vero, come appare indubitabile, che la poesia è linguaggio: un uso di esso statutariamente e struttura lmente diverso da quello della pittura, della musica, della prosa, della comunicazione quotidiana . Si ritorna così all'interrogativo iniziale, formulato con analoga perplessità.

    E' però vero che fu proprio il Pascoli a ricercare, sin ansiosamente, un accostamento della propria lirica alla musica e alla pittura, anzi proprio all'illustrazione. Lasceremo qui da parte il primo caso: il suo aspirare all'opera in musica, amatissima e vista come forma altissima d i divulgazione dell'opera d'arte, tale da unire nella piena fruizione l'intellettuale e l' uomo della strada. Anche in questo intendeva emulare il fratello rivale, D'Annunzio, che già aveva ottenuto da Ildebrando Pizzetti le musiche di scena per La nave (1908) e aveva, nel Fuoco, esaltato Wagner. Da tempo, e invano, Pascoli, dopo esperimenti di minor conto, aveva cercato l'aggancio con Puccini, e sentiva la musica di Debussy adatta al tipo di teatro che egli sognava, e che egli si sforzava di creare con testi interessanti, anche se mai giunti a compimento.

    Più modesto fu il rapporto cercato con la pittura: l'illustrazione del testo poetico considerato assolutamente prioritario, che lo cingesse di un'" aura" atta a renderlo meglio fruibile a un pubblico vasto, prolungandone la "musica", l'eco nell'immaginario. Ancora legato, per certi aspetti, a un'estetica oggettivistica, cercava un'illustrazione che presentasse in forma diretta e simultanea le cose che egli presentava nel loro emergere progressivo dalla coscienza implicita della "natura".

    Egli ebbe la fortuna - ma fu anche elezione - di trovarsi fra un gruppo di pittori giovani , anelanti a un'arte nuova, a uno sperimentalismo che coincideva, almeno in parte, con la sua ricerca . Di qui la collaborazione fruttuosa con Vico Viganò e col gruppo livornese - Antony de Witt, Attilio Pratella, Adolfo Tommasi, più il "Giotto lucchese", Domenico Ghiselli autore d'un progetto di copertina dei Canti di Castelvecchio, assai notevole, anche se rifiutato dall'editore per ragioni allotrie. Importanti, più tardi, l'incontro col "simbolista" Bistolfi, per la Cappella di Casa Pascoli a Castelvecchio, e, soprattutto, con Plinio Nomellini, eletto a illustrare i Poemi del Risorgimento. L'opera, è noto, rimase in tronco, ma a parte le quattro belle tricromie dell'edizione postuma, vanno ricordati bozzetti notevoli, come quello dedicato allo Spielberg o alla grande rassegna dei Mille.

    Come si accennava, la ricerca fra impressionismo e simbolismo rendeva tendenzialmente, coerenti questi illustratori col cammino spesso parallelo della poesia di Pascoli: con una vicinanza di tempi e di tensioni poetiche che li correla armonicamente all'esperienza di lui . Si pensi, ad esempio, ai patetici pioppi cipressini deformati dal vento d'autunno, sulla strada che porta dal mare a San Mauro, del Viganò; o alla fuga del paesaggio verso le Apuane, partendo dal "gramo rospo che sogna" (il poeta stesso in una mesta, progressiva dissolvenza, nella copertina del Ghiselli). Né la congruenza viene meno nel liberty di Alfredo Baruffi (Canzone del Paradiso) o nelle rigorose incisioni di De Carolis.

    Più difficile appare il compito del pittore d'oggi, non soltanto per la sua appartenenza a una cultura diversa, ma per la necessità di rifarsi a una tradizione illustrativa ormai remota, che conferisce una patina arcaizzante alla farfalla nella copertina delle Occasioni o agli ossi

  • di seppia del volume omonimo. Più remota quest'ultima, ma l'altra, del '39, può ancor

    soprawivere nel '45; tuttavia La bufera, nel '56, rifiuterà ogni illustrazione, e un rigore claustrale in tal senso sarà proprio anche delle pubblicazioni successive, raccolte per

    collezione, sotto una veste unica e astratta. Colpa, questo, anche di certo rigorismo estetico, che ha dominato un secolo iniziato nel nome del Croce, sostenitore disdegnoso dello iato fra

    realtà cosiddetta oggettiva e realtà poeticamente rappresentata.

    Si dovrà per questo riconoscere al Siccardi un certo coraggio nel suo commento

    illustrativo, rivolto, ci sembra, primariamente al lettore medio, quasi incentivo a un movimento

    dell'immaginario che lo porti più vicino a una fruizione poetica dei testi illustrati, e insieme

    alla giusta distinzione fra linguaggio quotidiano della cosiddetta oggettività e linguaggio

    poetico. E' il caso delle due proposte di La piccozza con quel paesaggio astratto, pur nell'apparente consonanza col reale, o di Nevicata, Nella nebbia, Il fiume, Il ponte; o magari del nobile, disperante tentativo di cimentarsi con Il transito. Altre volte (L'avemaria, Il lampo, Il tuono), c'é un didascalismo generoso, ma che toglie espressività a due fra i paesaggi, a nostro awiso, migliori. I momenti più significativi sono quelli in cui il Siccardi tenta di fare emergere soluzioni "magiche" dalla natura. Ma saremmo per questa via ricondotti a un

    discorso di valori pittorici che preferiamo lasciare a chi professa critica d'arte, limitandoci ad

    augurare al libro quella fortuna che sarebbe lo riprova d'una sua funzione pienamente

    riconosciuta fra il pubblico.

    Mario Pozzaglia

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  • Ci sono molti modi per ricordare un poeta : dallo studio scientifico rigoroso alla

    diffusione"popolare" della sua opera, assolvendo prima - è owio - l'elementare - ma non scontato - "dovere" di conservarne, nella maniera corretta, le "carte" .

    Di certo un modo non banale, anzi, è far "incontrare" poeti con scrittori e artisti . Interpretare un linguaggio secondo i codici e i metodi di un altro linguaggio. Nella fattispecie

    un pittore che rappresenta un poeta.

    Alcuni decenni fa Luigi Pasquini, intellettuale e pittore riminese, realizzò una serie di

    acquerelli a tema pascoliano. In essi campeggiavano i luoghi del "dolce paese" romagnolo

    dell'infanzia: "sempre un villaggio, sempre una campagna" che oggi è possibile vedere alle pareti di Casa Pascoli a San Mauro. Circa cinquant'anni dopo un'altro pittore, Giuseppe

    Siccardi, padovano, incontra Giovanni Pascoli, allargando, per così dire, la prospettiva . Non

    solo San Mauro e la Romagna ma anche Barga e il paesagg io toscano. Come è noto, la poesia pascoliana sgorga dell'infanzia sammaurese e trova uno stabile terreno di coltura a

    Castelvecchio di Barga. Semplificando potremmo affermare che essa è radicata in due luoghi , non solo fisici, ma anche e soprattutto mentali. Ecco i topoi sui quali Siccardi si è concentrato realizzando quaranta tele esposte a San Mauro, Bertinoro e Barga.

    Che tre comuni si accodino per organizzare una mostra è un fatto di per sé significativo. Che l'abbiano fatto - senza, owiamente, nulla togliere a Bertinoro - per la prima volta

    San Mauro e Barga, luoghi pascoliani per eccellenza, è un segno distintivo ulteriore. Non ci resta che ringraziare, non solo come amministratori comunali ma anche come

    spettatori di provincia, tutti quelli che hanno contribuito all'iniziativa, in particolar modo

    Adriano Lelli di Bertinoro, che ne è l'origine e a essa ha dedicato non poche energie.

    Luciana Garbuglia

    Sindaco di San Mauro Pascoli

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    Gianfranco Miro Gori

    Assessore alla Cultura

  • È certamente stimolante, l'evento, che proprio Bertinoro ospiterà, e che vedrà in un contesto espositivo, tentare di dare forma e declinazione al rapporto fra poesia e pittura .

    Ancor più appare interessante, proprio perché è lo poesia di Giovanni Pascoli contraddistinta da "contemplazione e comprensione della natura", "passione civile", che

    viene assunta nell 'opera di Siccardi.

    È forse lo struttura poetica frammentaria, impressionista e suggestiva della poesia Pascoliana che si presta alla rappresentazione pittorica?

    A ciò è difficile rispondere, ma certo il lavoro di Siccardi sollecita lo ricerca e l'attenzione all'incontro fecondo tra due linguaggi (pittura e poesia). Sicuramente questo evento costituirà

    una opportun ità di riflessione ulteriore sulla funzione dell'arte e sul posto che lo cultura ha nei

    processi di crescita umana.

    Ringrazio vivamente i Comuni di S.M . Pascoli, Barga, l'Accademia Pascoliana,

    L'Accademia dei Benigni e lo Fondazione Pascoliana per aver creduto in questa iniziativa .

    Anche questo modo di lavorare insieme costituirà un impegno per il Comune di Bertinoro

    nella costruzione di altri eventi di interesse culturale.

    Infine un vivo ringraziamento all'artista Siccardi e ad Adriano Lelli, infaticabile promotore

    dell'iniziativa .

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    Ariana Bocchini

    Sindaco di Bertinoro

  • Sono molti i motivi per essere contenti di questa bella occasione che ci viene offerta dal pittore

    Giuseppe Siccardi che ben volentieri presentiamo ai nostri concittadini ed a quanti

    apprezzano sinceramente l'arte e lo poesia.

    Provo ad elencarli sottolineando che li metto in fila non per ordine di importanza.

    Un primo motivo è dato dal fatto che con le sue opere il pittore Siccardi ha aggiunto un altro anello alla già lunga catena degli artisti che hanno trasferito in pittura e scultura gli

    incantesimi e le suggestioni della poesia Pascoliana. Siccardi non è nuovo a esperienze di questo genere che lo qualificano per lo sensibilità con lo quale riesce a dare visione al linguaggio della poesia.

    Un altro motivo di soddisfazione è lo possibilità di promuovere una iniziativa rivolta a Giovanni Pascoli insieme con le Amministrazioni Comunali di San Mauro e di Bertinoro. Il

    legame di amicizia tra Barga lo Valle del Serchio e lo Romagna, legame che in questi anni è cresciuto e si è consolidato, si rivela ancora una volta capace di dare ottimi frutti e ci indica una linea di lavoro che intendiamo proseguire. Vado avanti.

    A questo punto ci preme sottolineare una felice coincidenza lo Mostra Pascoliana di

    Siccardi è chiamata ad inaugurare le sale espositive della Fondazione Ricci, istituzione benemerita per lo valorizzazione della cultura e dell'arte della Valle del Serchio. Con questa

    esposizione lo Fondazione Ricci arricchisce di un altro capitolo lo ricognizione delle

    esperienze pittoriche che sono state influenzate da Pascoli e dalla Valle del Serchio.

    Voglio ricordare le grandi mostre dedicate ad Alberto Magri, Giovan Battista Santini e a Mino Maccari.

    Infine e sarà ben chiaro che invece potevo partire proprio da qui, una grande soddisfazione ci viene data nel presentare questa mostra. Finalmente torniamo al vero Pascoli.

    Chi a orecchie per capire intenda.

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    prof. Umberto Sereni

    Sindaco di Barga

  • /

    BIBLIOGRAFIA

    Opere: L'opera di Pascoli è pubblicata dall' editore Mondadori nella collezzione "Classici contemporanei": Poesie, vol1.2, a c. di A. Vicinelli, 1958; Prose, vol1.2, a c. di A. Vicinelli, 1946-1952, comprendenti 1- Pensieri di varia umanità; 11- (2 tomi) - Scritti danteschi (da molti anni annunciato, ma non ancora apparso il volI. III, Scritti inediti e sparsi); Carmina, a c. di M. Valgimigli, 1951. Importante anche G. P. Opere, l, a c. di G. F. Goffis, Milano, Rizzoli, 1970. Nel 1974 è uscita l'edizione critica di Myricae, a c. di G. Nava, Firenze, Sansoni. Ancora in buona parte inedito l'epistolario pascoliano o pubblicato a frammenti su riviste, opuscoli e giornali. Le raccolte più consistenti sono le Lettere agli amici lucchesi, a c. di F. Del Beccaro, Firenze, Le Monnier, 1960; le Lettere ad Alfredo Caselli (1898-1910), a c. di F. Del Beccaro, Milano Mondadori, 1968; le Lettere alla gentile ignota (Emma Corcos), a c. di C. Marabini, Milano, Rizzoli, 1972. Molte lettere e frammenti di lettere si trovano nelle due principali biogmfie pascoliane: M. Biagini, Il poeta solitario, Milano, Corticelli, 1955 (poi Mursia, 1963) e M. Pascoli, Lungo lo vita di G. P., Milano, Mondadori, 1961. Scarse le antologie commentate di poesie pascoliane, quasi tutte di destinazione scolastica. Si ricordino in particolare Limpido rivo. Prose e poesie di G. P. Presentate da Maria ai figli giovanetti d'Italia, Bologna, Zanichelli, 1912; poesie di G. P. con note di L. Pietrobono, Bologna, Zanichelli, 1918; A. Vicinelli, Le tre corone, Milano, Mondadori, 1948. G. P. Poesie a c. di G. Nava, Bergamo, Minerva Italica, 1971, probabilmente la migliore in assoluto, G. P. Poesie scelta e introduzione di L. Baldacci, note di M. Cucchi, Milano, Garzanti, 1974, della quale è ottima l'introduzione, meno sicuro l'apparato esegetico. Da ricordare anche le sezioni pascoliane di G. Contini, Letteratura dell'Italia unita, 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968; G. Getto - F. Portinari, Dal Carducci ai contemporanei, Bologna, Zanichelli 1958; G. Barberi Squarotti - S. Jacomuzzi, La poesia italiana contemporanea, Messina-Firenze, D'Anna, 1965; Poesia del novecento, a c. di E. Sanguineti, Torino, Einaudi, 1969. Le edizioni commentate di raccolte pascoliane sono: Myricae, a c. di G. Nava, Roma, Salerno Editrice, 1978; PoemeHi (ed 1900), a c. di E. Sanguineti, Torino, Einaudi, 1971; Poèmes Convivaux, raduits et annotés par A. Valentin, Paris, Hachette, 1925. In corso di stampa presso Mondadori. Milano, G. P. Poesie, a cura e con commento di C. Garboli e G. Leonelli. Per la bibliografia della critica si veda F. Felcini, Bibliografia della critica pascoliana, 1887-1954, Firenze, Le Monier, 1957 e, dello stesso, Bibliografia della critica pascoliana, 1955-1963, in "Rassegna lucchese", 1966-1969, nn. 39-46. per la storia della critica, P. Mazzamuto, P. Storia della critica, Palermo, Palumbo, 1958 e S. Antonielli, G. P. in I classici italiani nella storia della critico, Il, Firenze, La Nuova Italia, 1962.

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  • 1855

    1861-71

    1867 1871-73 1873

    1876-77

    1879

    1882 1884

    1891 1892 1895

    1897-1903

    1904

    1905 1906 1909 1912

    CRONOLOGIA ESSENZIALE

    31 dicembre: nasce a S. Mauro di Romagna, quarto figlio, da Ruggero e da Caterina Allocateli i Vincenzi . Studia nel collegio dei padri scolopi ad Urbino. Il padre viene assassinato mentre ritorna a casa in calesse. Frequenta il liceo a Rimini. Vince una borsa di studio - lo esamina il Carducci - e si iscrive alla facoltà di lettere dell'Università di Bologna. Anni di miseria (ha perso la borsa di studio) . Trascura gli studi, frequenta l'anarchico Andrea Costa, si impegna in riunioni e attività politiche. Nel settembre viene arrestato per aver partecipato ad una dimostrazione di anarchici. Viene prosciolto in dicembre. Si laurea. Con l'interessamento del Carducci ottiene un posto al liceo di Matera É trasferito al liceo di Massa, dove qualche anno dopo chiama a vivere presso di sé le sorelle Ida e Maria. Prima edizione di Myricae. Vince la prima medaglia d'oro al concorso di poesia latina ad Amsterdam . Il matrimonio della sorella Ida lo sconvolge. Scrive alla sorella Maria da Roma, dovè "comandato" al Ministero della pubblica istruzione: "questo è l'anno terribile, dell'anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato. lo amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà,

    per sempre. lo resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d'ira, nel pensare che l'una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione dè miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!" Insegna letteratura latina all'Università di Messina, dove vive, ma spesso ritorna a Castelvecchio, presso Barga, dove ha affittato una casa di campagna che nel 1902 compra col ricavato dalla vendita di cinque medaglie d'oro conquistate al concorso di Amsterdam. pubblica i Poemi conviviali (già singolarmente apparsi sulla rivista "II Convito") e l'edizione definitiva dei Primi Poemetti. Succede al Carducci nella cattedra di letteratura italiana a Bologna . pubblica Odi ed Inni. pubblica i Nuovi Poemetti e le Canzoni di re Enzio. Muore di cancro a Bologna.

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  • SCHEDA DELLE OPERE Myricae. La prima edizione, che comprende 22 poesie parecchie delle quali erano già state pubblicate su riviste, appare nel 1891 ( Giusti, Livorno ). Si susseguiranno poi numerose edizioni ampliate, sino a quella definitiva ( la sesta ) del 1903 che comprende 155 componimenti .

    Canti di Castelvecchio. La prima edizione ( Zanichelli, Bologna) è del 1903, l'ultima con ampliamenti, postuma e a cura di Marriù Pascoli, è del 1912. Nella raccolta sono ripresi e approfonditi i temi di Myricae, ma ha particolare incidenza il tema del nido famigliare e delle memorie autobiografiche ( un ricordo, il nido dei "far/offi", la Cavalla Storna) e compaiono parecchi componimenti di impianto narrativo.

    Primi e nuovi poemetti. La prima edizione dei Poemeffi è del 1897 ( Firenze), la seconda ampliata del 1900 ( Palermo ). L'opera rivista e accresciuta fu poi sdoppiata in due volumi: Primi Poemeffi ( Zanichelli, Bologna 1904) e Nuovi Poemeffi ( Zanichelli, Bologna 1909 ). Si potrebbe dire che in queste raccolte l'impianto narrativo ( ma di frequente la vicenda narrata fornisce lo spunto per allegorie o considerazioni morali) si accentua ( l'Aquilone, I due fanciulli, Il soldato di San Piero in Campo, Italy ).

    Poemi conviviali . Parecchi furono pubblicati sulla rivista "II Convito" diretta da Adolfo De Bosis, che iniziò nel 1895 dalla quale deriva presumibilmente il titolo. C'è chi pensa però che esso - reperibile nei manoscritti pascoliani sin dal 1893 - sia da collegare ali' epigrafe greca che Pascoli premise alla raccolta e che "si rifà ai "Canti simpotici" greci con l'uso di brindare ad Alceo alla fine del convito" ( G. E. Foa ). La prima edizione è del 1904; la seconda e definitiva del 1905 ( Zanichelli, Bologna).

    Odi e Inni. Contengono componimenti scritti a partire dal 1903. La prima edizione è del 1906, la seconda, ampliata, venne pubblicata postuma ( Zanichelli, Bologna 1913 ). Pascoli qui assume il ruolo di poeta-vate e celebra gli eroi nazionali (Inno secolare a Mazzini), le realizza- zioni del lavoro e della tecnica ( Gli eroi del Sempione), le grandi esplorazioni ( A Umberto Cagni, al Duca degli Abruzzi ).

    Carmina. É per ragioni oggettive ( il latino difficile e "prezioso" in cui sono redatti i componimenti) una delle raccolte meno note del Pascoli, è per questo motivo ne forniamo un'in- formazione più particolareggiata. Con questo titolo furono pubblicate prima nel 1914 e poi nel 1930 a cura della sorella Maria, raccolte in due volumi, le poesie latine del Pascoli ( ora in Poesie latine, a cura di M. Valgimigli, Mondadori, Milano 1951 ). Si tratta di conponimenti scritti tra il 1885 e il 1911 ( parecchi dei quali vennero premiati al concorso internazionale di Amsterdam) e divisi in varie sezioni a seconda dell'argomento. Nel Liber de Poetis, che contiene 11 componimenti, " l'antichità romana è rievocata attraverso i suoi maggiori poeti, Virgilio, Orazio, che appaiono ora sullo sfondo, ora in primo piano; un verso, uno spunto dell'originale, una notizia biografica bastano al Pascoli per ricostruire poeticamente quel mondo storico, ove egli si muove da gran signore" ( Curto ). E così in un componimento, Senex Corycius, il Vecchio di Corico ( un personaggio dalle Georgiche) dialoga con Virgilio, il poeta che l'ha creato; in un altro Phidyle, Orazio dialoga con una giovane popolana. Particolare attenzione meritano i Poemata Christiana ( 1901-1911 ), a proposito dei quali il Curto, dopo aver sottolineato che essi contengono "gli esempi più alti della poesia pascoliana e moderna tutta, in latino", scrive: "la cornice è sempre quella della storia, ma ora del momento cruciale di essa ( il più atto in Pascoli a suscitar poesia), del passaggio dal paganesimo al Cristianesimo. Con giusta visione storica, egli sceglie i suoi protagonisti entro la folla: schiavi, fanciulli, soldati, donne; nel Centurio, il centurione stesso che ha visto la morte di Gesù racconta il fatto a uno sciame di fanciulli che escono dalla scuola; ed è tutta pascoliana l'idea della testimonianza della nuova fede e del crollo del vecchio mondo da parte degli innocenti ( ... )

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  • OPERE

  • "Omaggio a Giovanni Pascoli"

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  • Odi e Inni

    LA PICCOZZA

    Da me! ... Non quando m'avviai trepido c'era una madre che nel mio zaino ponesse due pani per il solitario domani .

    Per me non c'era bacio né lagrima, né caro capo chino su l ' omero a lungo, né voce pregante, né segno di croce.

    Non c'eri! E niuno vide che lacero fuggivo gli occhi prossimi, subito, o madre, accorato che niuno m'avesse guardato.

    Da me, da solo, solo e famelico, per l'erta mossi rompendo ai triboli i piedi e lo mano, piangendo, sì, forse, ma piano:

    piangendo quando copriva il turbine con il suo pianto grande il mio piccolo, e quando il mio lutto spariva nel!' ombra del Tutto.

    Ascesi senza mano che valida mi sorreggesse, né orme ch'abili io nuovo seguissi sull'orlo d'esanimi abissi .

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  • "Lo Picozzo"

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  • Da me, da solo, solo con l'anima, con lo piccozza d'acciar ceruleo, su lento, su anelo, su sempre; spezzandoti, o gelo!

    E salgo ancora, da me, facendomi da me lo scala, tacito, assiduo; nel gelo che spezzo, scavandomi il fine ed il mezzo.

    Salgo; e non salgo, no, per discendere, per udir crosci di mani, simili a ghiaia che frangano, io, io, che sentii lo valanga;

    ma per restare là dov'è ottimo restar, sul puro limpido culmine, o uomini; in alto, pur umile: è il monte ch'é alto;

    ma per restare solo con l'aquile, ma per morire dove me placido immerso nell'alga vermiglia ritrovi chi salga:

    e a me lo guidi, con baglior subito, lo mia piccozza d'acciar ceruleo, che, al suolo a me scorsa, riflette le stelle dell'Orso.

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  • "Lo Picozzo"

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  • Da: Myricae

    QUEL GIORNO

    Dopo rissosi cinguettii nell'aria, le rondini lasciato hanno i veroni della Cura fra li olmi solitaria.

    Quanti quel roseo campanil bisbigli udi', quel giorno, o strilli di rondoni impazienti a gl'inquieti figli !

    Or nel silenzio del meriggio urtare lo' dentro odo una seggiola, una gonna frusciar d'un tratto: alla finestra appare curioso un gentil viso di donna.

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  • "Quel Giorno"

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  • Do: Myricoe

    IL PASSERO SOLITARIO

    Tu nella torre avita, passero solitario, tenti lo tua tastiera, come nel santuario monaca prigioniera l'organo, a fior di dita;

    che pallida, fugace, stupi' tre note, chiuse nell'organo, tre sole, in un istante effuse, tre come tre parole ch'ella ha sepolte, in pace.

    Da un ermo santuario che sa di morto incenso nelle grandi arche vuote, di tra un silenzio immenso mandi le tue tre note, spirito solitario.

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  • "II Passero Sol ita rio"

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  • Canti di Castelvecchio

    LA CAVALLA STORNA

    Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.

    I cavalli normanni alle lor poste frangean lo biada con rumor di croste.

    Là infondo lo cavalla era, selvaggia, nata tra i pini sulla salsa spiaggia;

    che nelle froge aveva del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.

    Con su lo greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa.

    "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;

    tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto;

    il primo d'otto tra miei figli e figlie; e lo sua mano non toccò mai briglie.

    Tu che ti senti ai fianchi l'uragano, tu dài retta alla sua piccola mano.

    Tu ch'hai nel cuore lo marina brulla, tu dài retta alla sua voce fanciulla".

    La cavalla volgea lo scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta:

    "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;

    lo so, lo so, che tu l'amavi forte! Con lui c'eri tu sola e lo sua morte.

    O nata in selve tra l'ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento;

    sentendo l'asso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso:

    adagio seguitasti lo tua via, perché facesse in pace l'agonia ... "

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    La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto.

    "O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;

    oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.

    Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,

    con negli orecchi l'eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi:

    lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole".

    Stava attenta lo lunga testa fiera. Mia madre l'abbracciò su lo criniera.

    "O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna!

    a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona ... Ma parlar non sai!

    Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! Ma tu devi dirmi una una cosa!

    Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: esso t'é qui nelle pupille fisse.

    Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".

    Ora, i cavalli non frangean lo biada: dormian sognando il bianco della strada.

    La paglia non battean con l'unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote.

    Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome ... Sonò alto un nitrito.

  • "Lo Cavallo Storno"

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  • Da: Primi Poemetti

    LA QUERCIA CADUTA

    Dov'era l'ombra, or sé la quercia sponde morto, nè più coi turbini tenzona. Lo gente dice: Or vedo: era pur grande!

    Pendono qua e là dallo corona i nidietti dello primavera . Dice la gente: Or vedo: era pur buono!

    Ognuno loda, ognuno taglia. A sera ognuno col suo grave fascio va. Nell'aria, un pianto ... d'una capinera

    che cerca il nido che non troverà.

    22

  • "Lo Quercia Caduto"

    23

  • Da: Il Bordone

    L'AQUILONE

    C'e' qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole.

    Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento.

    Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visito le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie:

    un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese ...

    si', gli aquiloni! E' questa una mattina che non c'e' scuola. Siamo usciti a schiero tra le siepi di rovo e d'albaspina.

    Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera

    bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e lo lucertola il copino mostrava tra le foglie aspre del fosso.

    Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino.

    Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.

    S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano.

    S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

    24

    Più su, più su: gia' come un punto brilla lassu' lassu' ... Ma eco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto ... - Chi strilla?

    Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata ...

    A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, si', che abbandoni su l' omero il pallor muto del viso.

    Si': dissi sopra te l'orazioni, e piansi: e pur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni!

    Tu eri tutto bianco, io mi rammento: solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento.

    Oh ! Te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il piu' caro dei tuoi cari balocchi!

    Oh ! Dolcemente, so ben io, si muore lo sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi petali un fiore

    ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verro' sotto le zolle lo' dove dormi placido e soletto ...

    Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle!

    Meglio venirci con lo testa bionda, che poi che freddo giacque sul guanciale, ti pettino' co' bei capelli a onda

    tua madre ... adagio, per non farti male.

  • "L'Aquilone"

    25

  • Da: Primi Poemetti

    L'AVEMARIA

    E poi sazi sorgevano: le zolle sbriciò l'aratro, della terra nera, dietro le vacche non ancor satolle.

    Rosa, con gli altri e con Viola, a schiera, ricopriva le porche col marrello. Babbo voleva aver finito a sera.

    Il dì passò tra sole e solicello: il sole s'insaccò, né tornò fuori, e Montebello si pose il cappello .

    Stridule, qua e là, di più colori, correan le foglie: non s'udia per gli ampi filari che il vodo degli aratori.

    Palpitavano, a tratti, larghi lampi; serrava il cardo le argentine spade; ma tutta la sementa era nei campi.

    Venne lo sera ed abbuiò le strade.

    E le vacche tornavano alle stalle; e lo gente, ciarlando per lo via, saliva co ' marrelli su le spalle.

    26

    Sonò, di qua di là, l'Avemaria: si sentì lo campana di San Vito, si sentì lo campana di Badia .

    Era nel cielo un pallido tinnito: Dondola dondola dondola! - A nanna a nanna a nanna! - Il giorno era finito.

    Ora il fuoco accendeva ogni capanna, e i bimbi sazi ricevea lo cuna, col sussurrare della ninnananna .

    E le campane, A nanna a nanna! l'una; l'altra, Dondola dondola! tra il volo dé pipistrelli per lo costa bruna.

    A nanna, il bimbo! e dondoli, il paiuolo!

    La madre era su l'uscio, poi che intese un parlottare ed uno scalpicciare tra lo confusa romba delle chiese.

    Ed un lampo alitò sul casolare, e bianche bianche illuminò le strade; el capoccio ella udì dal limitare,

    che diceva: " lo festa il dì che cade!"

  • "L'Avemaria"

    27

  • Da: Myricae

    IL CACCIATORE

    Frulla un tratto l'idea nell'aria immota; canta nel cielo. " cacciator lo vede, l'ode; lo segue: il cuor dentro gli nuota.

    Se poi col dardo, come fil di sole lucido e retto, battesela al piede, oh il poeta! Gioiva; ora si duole.

    Deh ! Gola d'oro e occhi di berilli, piccoletta del cielo alto sirena, ecco, tu piu' non voli, piu' non brilli, piu' non canti: e non basti alla mia cena.

    28

  • "II Cacciatore"

    29

  • Do: Myricoe

    RIO SALTO

    Lo so: non era nella valle fonda suon che s'udia di palafreni andanti: era l'acqua che giu' dalle stillanti tegole a furia percotea la gronda.

    Pur via e via per l'infinita sponda passar vedevo i cavalieri erranti; scorgevo le corazze luccicanti, scorgevo l'ombra galoppar sull'onda.

    Cessato il vento poi, non di galoppi il suono udivo, ne' vedea tremando fughe remote al dubitoso lume;

    ma voi solo vedevo, amici pioppi! Brusivano soave tentennando lungo la sponda del mio dolce fiume.

    30

  • "Rio Solto"

    31

  • Da: Primi Poemetti

    L'ANGELUS

    Sì: sonava lontano una campana, ombra di romba; sì che un mal vestito che beveva, si alzò dalla fontana,

    e più non bevve, e scongiurò, di rito, l'impaziente spirito. Via via si sentì lo campana di San Vito,

    si sentì lo campana di Badia e gli altri borghi, di qua di lò, pronti cantando si raggiunsero per via.

    C'era di muti spiriti nei fonti un palpitare nel tremolìo sonoro ch'empieva l'aria e percotea nei monti.

    La donna andava con le figlie; e loro squillò sul capo, subito e soave, dalla lor Pieve un gran tumulto d'oro.

    E tu nascesti Dio da un piccolo Ave ... Tu che nascesti Dio dal piccolo Ave, dalla sorrisa paroletta alata (disse lo voce tremolando grave) :

    32

    tu che nell'aia bianca e soleggiata eri e non eri, seme che vi avesse sperso il villano dalla corba alzata;

    ma poi l'uomo ti vide e ti sopresse, t'uccise l'uomo, o piccoletto grano; tu facesti lo spiga e poi lo mèsse

    e poi lo vita: fò che non in vano nei duri solchi quella gente in riga semini il pane suo quotidiano.

    o Dio, neve raffrena, pioggia irriga, sole riscalda quei futuri steli; fò che granisca lo futura spiga,

    o tu cui l'uomo seminò nei cieli! Così diceva tremolando grave lo voce d'oro su l'aerea Pieve; e gli aratori l'Angelus e l'Ave

    dissero; e in mezzo alla preghiera breve lo dolce madre a lui venìa; no sola: l'erano accanto con andar più lieve

    bionda lo Rosa e bruna lo Viola.

  • "LI Angel us"

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  • ~~========================================================================-----------------------

    Da: Myricae

    DALLA SPIAGGIA

    C'e' sopra il mare tutto abbonacciato il tremolare quasi d'una maglia: in fondo in fondo un ermo colonnato, nivee colonne d'un condor che abbaglia:

    una rovina bianca e solitaria, lo' dove azzurra e' l'acqua come l'aria:

    il mare nella calma dell'estate ne canta tra le sue larghe sorsate.

    o bianco tempio che credei vedere nel chiaro giorno, dove sei vanito ? Due barche stanno immobilmente nere, due barche in panna in mezzo all'infinito.

    E le due barche sembrano due bare smarrite in mezzo all'infinito mare;

    e piano il mare scivola alla riva e ne sospira nella calma estiva

    34

  • "Dallo Spiaggia"

    35

  • r

    Da: Myricae

    NEVICATA

    Nevica: l'aria brulica di bianco; lo terra e' bianca; neve sopra neve: gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco: cade del bianco con un tonfo lieve.

    E le ventate soffiano di schianto e per le vie mulina lo bufera: passano bimbi: un balbettio di pianto; passa una madre: passa una preghiera.

    36

  • "Nevicato"

    37

  • Da: Myricae

    AL FUOCO

    Dorme il vecchio avanti i ciocchi. Sogna un nuvolo di bimbi, che cinguetta. Il ceppo al fuoco russa roco.

    Dorme anch'esso. A tutti i nocchi sogna grappoli e corimbi. Rosei pendono nell'aria solitaria .

    Bianchi i bimbi tra il fogliame, su su, a quel roseo sorriso vanno. Il ceppo occhi di brace, apre, e tace.

    Ecco pendulo lo sciame dal grande albero improvviso, su su. Il vecchio nel cor teme, guarda e geme.

    Ogni bimbo al suo fiore alza lo mano e ... scivola e va. Sbarra il ceppo lo pupilla: crocchia e brilla .

    E il vegliardo, al crocchiar, balza nella rotta oscurità . Gira lento gli occhi. Solo! solo! solo!

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  • "AI Fuoco"

    39

  • r

    Da: Myricae

    LA VIA FERRATA

    Tra gli argini su cui mucche tranquilla-mente pascono, bruna si difila la via ferrata che lontano brilla;

    e nel cielo di perla dritti, uguali, con loro trama delle aeree fila digradano in fuggente ordine i pali.

    Qual di gemiti e d'ululi rombando cresce e dilegua femminil lamento? I fili di metallo a quando a quando squillano, immensa arpa sonora, al vento.

    40

  • "Lo Via Ferrato"

    41

  • Do: Myricoe

    LAVA N DARE

    Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il vapor leggiero.

    E cadenzato dalla gora viene lo scia bordare delle lavandare con tonfi spessi e lunghe cantilene:

    Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non torni ancora al tuo paese!

    . quando partisti, come son rimasta! come l'aratro in mezzo alla maggese.

    42

  • "Lovondore"

    43

  • Da: Myricae

    IL SANTUARIO

    Come un'arca 'aromi oltremarini, il santuario, a mezzo lo scogliera, esala ancora l'inno e lo preghiera tra i lunghi intercolunnii de' pini;

    e trema ancor de' palpiti divini che l'hanno scosso nella dolce sera, quando dalla grand' abside severa uscio l'incenso in fiocchi cilestrini.

    S'incurva in una luminosa arcata il ciel sovr'esso: alle colline estreme il Carro e' fermo e spia l'ombra che sale.

    Sale con l'ombra il suon d'una cascata che grave nel silenzio sacro geme con un sospiro eternamente uguale.

    44

  • "II Santuario"

    45

  • Da:' Myricae

    ROMAGNA

    Sempre un villaggio, sempre una campagna mi ride al cuore (o piange), Severino: il paese ove, andando, ci accompagna l'azzurra vision di San Marino:

    sempre mi torna al cuore il mio paese cui regnarono Guidi e Malatesta, cui tenne pure il Possator cortese, re della strada, re della foresta .

    Là nelle stoppie dove singhiozzando va la tacchina con l'altrui covata, presso gli stagni lustreggianti, quando lenta vi guazza l'anatra iridata,

    oh! fossi io teco; e perderci nel verde, e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie, gettarci l'urlo che lungi si perde dentro il meridiano ozio dell'aie;

    mentre il villano pone dalle spalle gobbe la ronca e afferra la scodella, e 'I bue rumina nelle opache stalle la sua laboriosa lupinella.

    Dà borghi sparsi le campane in tanto si rincorron coi lor gridi argentini : chiamano al rezzo, alla quiete, al santo desco fiorito d'occhi di bambini.

    Già m'accoglieva in quelle ore bruciate sotto ombrello di trine una mimosa, che fioria la mia casa ai dì d'estate cò suoi pennacchi di color di rosa;

    e s'abbracciava per lo sgretolato muro un folto rosaio a un gelsomino; guardava il tutto un pioppo alto e slanciato, chiassoso a giorni come un birichino.

    46

    Era il mio nido: dove, immobilmente, io galoppava con Guidon Selvaggio e con Astolfo; o mi vedea presente imperatore nell'eremitaggio.

    E mentre aereo mi poneva in via con l'ippogrifo pel sognato alone, o risonava nella stanza mia muta il dettar di Napoleone;

    udia tra i fieni allor allor falciati dé grilli il verso che perpetuo trema, udiva dalle rane dei fossati un lungo interminabile poema.

    E lunghi, e interminati, erano quelli ch'io meditai, mirabili a sognare: stormir di frondi, cinguettìo d'uccelli, risa di donne, strepito di mare.

    Ma da quel nido, rondini tardive, tutti tutti migrammo un giorno nero; io, la mia patria or è dove si vive: gli altri son poco lungi; in cimitero.

    Così più non verrò per la calura tra què tuoi polverosi biancospini, ch'io non li trovi nella mia verzura del cuculo ozioso i piccolini,

    Romagna solatìa, dolce paese, cui regnarono Guidi e Malatesata, cui tenne pure il Passator cortese, re della strada, re della foresta.

  • .,

    "Romagna"

    47

  • Da: Myricae

    LA CUCITRICE

    l'alba per lo valle nera sparpagliò le greggi bianche: tornano ora nella sera e s'arrampicano stanche: una stella le conduce.

    Torna via dalla maestra lo covata, e passa lenta: c'é del biondo alla finestra tra un basilico e una menta: è Maria che cuce e cuce.

    Per chi cuci e per che cosa? un lenzuolo? un bianco velo? Tutto il cielo è color rosa, rosa e oro, e tutto il cielo sulla testa le riluce.

    Alza gli occhi dal lavoro: una lagrima? un sorriso? Sotto il cielo rosa e oro, chini gli occhi, chini il viso, elle cuce, cuce, cuce.

    48

  • "Lo Cucitrice"

    49

  • Do: Myricoe

    X AGOSTO

    San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla.

    Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra spini: ella aveva nel becco un insetto: la cena dé suoi rondinini.

    Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano.

    Anche un uomo tornava la suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono ...

    Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano : egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano.

    E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male!

    50

    I

  • 51

  • Do: Myricoe

    IL FIUME

    Fiume che là specchiasti un casolare cò suoi rossi garofani, qua mura d'erme castella, e tremula verzura; eccoti giunto al fragoroso mare:

    ed ecco i frutti verso te balzare su dall'interminabile pianura, in larghe file; e nella riva oscura questa si frange, e quella in alto appare;

    tituba e croscia . E là, donde tu lieto, di sasso in sasso, al piè d'una betulla, sgorghi sonoro tra le brevi sponde;

    a un pò d'auretta scricchiola il canneto, fruscia il castagno, e forse una fanciulla sogna a quell'ombre, al mormorio dell' onde.

    52

  • "II Fiume"

    53

  • Do: Myricoe

    LA CIVETTA

    Stavano neri al lume della luna gli erti cipressi, guglie di basalto, quando tra l'ombre svolo' rapida una

    ombra dall'alto:

    orma sognata d'un volar di piume, orma di un soffio molle di velluto, che passo l'ombre e scivolo' nel lume

    pallido e muto;

    ed i cipressi sul deserto lido stavano come un nero colonnato, rigidi, ognuno con tra i rami un nido

    addormentato.

    E sopra tanta vita addormentata dentro i cipressi, in mezzo alla brughiera, sonare, ecco, una stridula risata

    di fattucchiera:

    una minaccia stridula seguita, forse, da brevi pigoli i sommessi, dal palpitar di tutta quella vita

    dentro i cipressi.

    Morte, che passi per il ciel profondo, passi con ali molli come fiato, con gli occhi aperti sopra il triste mondo

    addormentato;

    Morte, lo squillo acuto del tuo riso unico muove l'ombra che ci occulta silenziosa, e, desta all'improvviso

    squillo, sussulta;

    e quando taci, e por che tutto dorma nel cipresseto, trema ancora il nido d'ogni vivente: ancor, nell'aria, l'orma

    c'e' del tuo grido.

    54

  • "Lo Civetto"

    55

  • Do: Il Bordone

    NELLA NEBBIA

    E guardai nella valle: era sparito tutto! sommerso! Era un gran mare piano, grigio, senz'onde, senza lidi, unito.

    E c'era appena, qua e là, lo strano vocìo di gridi piccoli e selvaggi: uccelli spersi per quel mondo vano.

    E alto, in cielo, scheletri di faggi, come sospesi, e sogni di rovine e di silenziosi eremitaggi.

    Ed un cane uggiolava senza fine, nè seppi donde, forse a certe péste che sentii, nè lontane nè vicine;

    eco di péste nè tarde de preste, alterne, eterne. E io laggiù guardai: nulla ancora e nessuno, occhi, vedeste.

    Chiesero i sogni di rovine: - Mai non giungerà? - Gli scheletri di piante chiesero: - E tu chi sei, che sempre vai?

    lo, forse, un'ombra vidi, un'ombra errante con sopra il capo un largo fascio. Vidi, e più non vidi, nello stesso istante.

    Sentìi soltanto gl' inquieti gridi d'uccelli spersi, l'uggiolar del cane, e, per il mar senz' onde e senza lidi,

    le péste nè vicine nè lontane.

    56

  • "Nello Nebbia"

    57

  • Da: Il Bordone

    IL LIBRO

    Sopra illeggìo di quercia è nell'altana, aperto, il libro. Quella quercia ancora, esercitata dalla tramontana,

    viveva nella sua selva sonora; e quel libro era antico. Eccolo: aperto, sembra che ascolti il tarlo che lavora.

    E sembra ch'uno ( donde mai? non, certo, dal tremulo uscio, cui tentenna il vento delle montagne e il vento del deserto,

    sorti d'un tratto ... ) sia venuto, e lento sfogli - se n'ode il crepitar leggiero -le carte. E l'uomo non vedo io: lo sento,

    invisibile, là, come il pensiero ...

    Un uomo è là, che sfoglia dalla prima carta all'estrema, rapido, e pian piano va, dall'estrema, a ritrovar lo prima.

    E poi nell'ira del cercar suo vano volta i fragili fogli a venti, a trenta, a cento, con l'impaziente mano.

    E poi li volge a uno a uno, lenta-mente, esitando; ma via via più forte, più presto, i fogli contro i fogli avventa.

    58

    Sosta ... Trovò? Non gemono le porte più, tutto oscilla in un silenzio austero. Legge? ... Un istante; e volta le contorte

    pagine, e torna ad inseguire il vero.

    E sfoglia ancora; al vespro, che da nere nubi rosseggia; tra un errar di tuoni, tra un oliare come di chimere.

    E sfogli ancora, mentre i padiglioni tumidi al vento l'ombra tende, e viene con le deserte costellazioni

    lo sacra notte. Ancora e sempre: bene io n'odo il crepito arido tra canti lunghi nel cielo come di sirene.

    Sempre. lo lo sento, tra le voci erranti, invisibile, là, come il pensiero, che sfoglia, avanti indietro, indietro avanti,

    sotto le stelle, il libro del mistero.

  • "II Libro" /

    59

  • Do: Il Bordone

    IL TRANSITO

    Il cigno canta. In mezzo delle lame rombano le sue voci lunghe e chiare, come percossi cembali di rame.

    E' l'infinita tenebra polare. Grandi montagne d'un eterno gelo pòntano sopra il lastrico del mare.

    " cigno canta; e lentamente il cielo sfuma nel buio, e si colora in giallo; spunta una luce verde a stelo a stelo.

    Come arpe qua e là tocche, il metallo di quella voce tìntina; già sfiora lo verde luce i picchi di cristallo.

    E nella notte, che ne trascolora, un immenso iridato arco sfavilla, e i portici profondi apre l'aurora.

    L'arco verde e vermiglio arde, zampilla, a frecce a fasci; e poi palpita, frana tacitamente, e riascende e brilla .

    Col suono d'un rintocco di campana che squilli ultimo, il cigno agita l'aie: l'aie grandi grandi apre, e s'allontana

    candido, nella luce boreale.

    60

    /

  • "II Transito"

    61

  • Da: Myricae

    PIANO E MONTE

    Il disco, grandissimo, pende rossastro in un latte d'opale: e intaglia le case ed accende i lecci nel nero viale;

    che fumano, come foreste, di polvere gialla e vermiglia: s'annuvola in rosa e celeste quel botro color di conchiglia.

    Qua lampi di vetri, qua lente cantate, qua grida confuse: là placido il muto oriente nell' ombra dei monti si chiuse.

    Si vedono opache le vette, è pace e silenzio tra i monti: un breve squittir di civette, un murmure lungo di fonti:

    via via con fragore interrotto si serra lo casa tranquilla: è chiusa: nel bianco salotto lo tacita lampada brilla.

    62

  • "Piano e Monte"

    63

  • I ;

    / Do: Myricoe

    IL LAMPO

    E cielo e terra si mostrò qual era:

    la terra ansante, livida, in sussulto; il cielo ingombro, tragico, disfatto: bianca bianca nel tacito tumulto una casa apparì sparì d'un tratto; come un occhio, che, largo, esterrefatto, s'aprì si chiuse, nella notte nera.

    64

  • "II Lampo"

    65

  • \ Do : Myricoe

    IL TUONO

    E nella notte nera come il nulla,

    a un tratto, col fragor d'arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s'udì di madre, e il moto di una culla .

    66

  • "II Tuono"

    \ 67

  • /

    Da: Canti di Castelvecchio

    CANZONE DI MARZO

    Che torbida notte di marzo! Ma che mattinata tranquilla! che cielo pulito! che sfarzo di perle! Ogni stelo, una stilla che ride: sorriso che brilla su lunghe parole.

    Le serpi si sono destate col tuono che rimbombò primo. Guizzavano, udendo l'estate, le verdi cicigne tra il timo; battevan la coda sul limo le biscie acquaiole.

    Ancor le fanciulle si sono destate, ma per un momento; pensarono serpi, a quel tuono; sognarono l'incantamento. In sogno gettavano al vento le loro pezzuole.

    Nell'aride bresche anco l'api si sono destate agli schiocchi. La vite gemeva de capi, fremevano i gelsi nei nocchi. Ai lampi sbattevano gli occhi le prime viole.

    Han fatto, venendo dal mare, le rondini tristo viaggio. Ma ora, vedendo tremare sopr'ogni acquitrino il suo raggio, cinguettano in loro linguaggio, ch'è ciò che ci vuole.

    Sì, ciò che ci vuole. Le loro cosine, qualcuno si sfalda, qualcuno è già rotta. Lavoro ci vuole, ed argilla più salda; perché ci stia comoda e calda lo garrula prole.

    68

  • "Canzone di Marzo"

    69

  • -

    Da: Myricae

    IL MENDICO

    Presso il rudere un pezzente cena tra le due fontane: pane alterna egli col pane, volti gli occhi all'occidente.

    Fa un incanto nella mente: carne è fatto, ecco, l'un pane. Tra il gracchiare delle rane sciala il mago sapiente.

    Sorge e beve alle due fonti: chiara beve acqua nell'una, ma nell'altra un dolce vino.

    Giace e guarda: sopra i monti sparge il lume della luna; getta l'arti al ciel turchino, baldacchino

    di mirabile lavoro, ch' ei trapunta a stelle d'oro.

    70

  • "II Mendico"

    71

  • Da: Myricae

    NELLA MACCHIA

    Errai nell'oblìo della valle tra ciuffi di stipe fiorite, tra quercie rigonfie di galle;

    errai nella macchia più sola, per dove tra foglie marcite spuntava l'azzurra viola;

    errai per i botri solinghi: la cincia vedeva dai pini: sbuffava i suoi piccoli ringhi argentini.

    lo siedo invisibile e solo tra monti e foreste: lo sera non freme d'un grido, d'un volo.

    lo siedo invisibile e fOSCOi ma un cantico di capinera si leva dal tacito bosco.

    E il cantico all'ombre segrete per dove invisibile io siedo, con voce di flauto ripete,

    lo ti vedo!

    72

  • "Nello Macchio"

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  • Da: Myricae

    IL PONTE

    La glauca luna lista l'orizzonte e scopre i campi nella notte occulti e il fiume errante. In suono di singulti l'onda si rompe al solitario ponte.

    Dove il mar, che lo chiama? e dove il fonte, ch'esita mormorando tra i virgulti? Il fiume va con lucidi sussulti al mare ignoto dell'ignoto monte.

    Spunta la luna: a lei sorgono intenti gli alti cipressi della spiaggia triste, movendo insieme come un pio sussurro .

    Sostano, biancheggiando, le fluenti nubi, a lei volte, che salìan non viste le infinite scalèe al tempio azzurro.

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  • "II Ponte"

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  • / Do: Conti di Castelvecchio

    FOGLIE MORTE

    Oh! che già il vento volta e porta via le pioggie ! Dentro lo quercia folta ruma le foglie roggie che si staccano e fru ...

    partono; un branco ad ogni soffio 'che l'avviluppi. Por che lo quercia sogni ora, gemendo, i gruppi del novembre che fu .

    Volano come uccelli, morte nel bel sereno: picchiano nei ramelli del roseo pesco, pieno dè suoi cuccoli già .

    E il roseo pesco oscilla pieno di morte foglie : quale s'appende e prilla, quale da lui si toglie con un sibilo, e va.

    Ma quelle foglie morte che il vento, come roccia, spazza, non già di morte parlano ai fiori in boccia, ma sussurrano: - Orsù!

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    Dentro ogni cocco all'uscio vedo dei gialli ugnoli: tu che costì nel guscio di più covar ti duoli, che ti pèriti più?

    Fuori le alucce pure, tu che costì sei vivo! Il vento ruglia ... eppure esso non è cattivo . Ruglia, brontola: ma ...

    contende a noi! Chè tutto vuoi che sia mondo l'orto pei nuovi fiori, e il brutto, il secco, il vecchio, il morto, vuoi che netti di qua.

    Noi c'indugiammo dove nascemmo, un pò, ma era per ricoprir le nuove gemme di primavera ... -Così dicono, e fru ...

    partono, ad un rabbuffo più stridulo e più forte. E tra un voi etto e un tuffo vanno le foglie morte, e non tornano più.

  • "Foglie Morte"

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  • Do: Conti di Costelvecçbio

    CANZONE DELLA GRANATA

    Ricordi quand'eri saggino, coi penduli grani che il vento scoteva, come una manina di bimbo il sonaglio d'argento?

    Cadeva lo brina; lo pioggia cadeva: passavano uccelli gemendo: tu graéile e roggia tinnivi quei cento ramelli.

    Ed oggi non più come ieri tu senti lo pioggia e lo brina, ma sgrigioli come quand'eri saggino.

    Restavi negletta nei solchi quand'ogni pannocchia fu colta: te, colsero, quando i bifolchi v'ararono ancora una volta.

    Un vecchio ti prese, recise, legò; ti privò della bella semenza tua rossa; e ti mise nell'agolo, ad essere ancella.

    E in casa tu resti, in un canto, negletta qui come laggiù; ma niuno è di casa per quanto sei tu.

    Se t'odia colui che lo trama distende negli alti solai, l'arguta gallina pur t'ama, cui porti lo preda che fai.

    E t'ama anche senza, chè ai costi ti sbalza, e di grani t'invola, residui del tempo che fosti saggino, nei campi già sola.

    Ma più, gracilando t'aspetta con ciò che in tua vasta rapina le strascichi dalla già netta cucina.

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    Tu lasci che t'odiino, lasci che t'amino: muta, il tuo giorno, nell'angolo, resti, coi fasci di stecchi che attendono il forno.

    Nell'angolo il giorno tu resti, pensosa del canto del gallo; se al bimbo tu già non ti presti, che viene, e ti vuole cavallo.

    Riporti, con lui che ti frena, le paglie ch'hai tolte, e ben più; e gioia or n'ha esso; ma pena poi tu.

    Sei l'umile ancella; ma reggi lo casa: tu sgridi a buon'ora, mentre impaziente passeggi, gl'ignavi che dormono ancora.

    E quanto tu muovi dal canto, lo rondine è ancora nel nido; e quando comincia il suo canto, già ode per casa il tuo strido.

    E l'alba il suo cielo rischiara, ma prima lo spruzza e imperlino, così come tu lo tua cara casina .

    Sei l'umile ancella, ma regni su l'umile casa pulita. Minacci, rimproveri; insegni ch'è bella, se pura, lo vita.

    Insegni, con l'acre tua cura rodendo lo pietra e lo creta, che sempre, per essere pura, si logora l'anima lieta.

    Insegni tu sacra ad un rogo non tardo, non bello, che più di ciò che tu mondi, ti logori tu!

  • /I Co nzone dello Gro noto /I ~

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  • r,----------------------------------------------------------------------------------------------------------,

    Do: Conti di Castelvecchio

    L'ORA DI BARGA

    AI mio cantuccio donde non sento se non le reste brusir del grano, il suon dell'ore viene col vento dal non veduto borgo montano: suono che uguale, che blando cade, come una voce che persuade.

    Tu dici, E' l'ora; tu dici, E' tardi, voce che cadi blanda dal cielo. Ma un poco ancora lascia che guardi l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo, cose ch'han molti secoli o un anno o un'ora, e quelle nubi che vanno.

    Lasciami immoto qui rimanere fra tanto moto d'aie e di fronde; e udire il gallo che da un podere chiama, e da un altro l'altro risponde, e, quando altrove l'anima è fissa, gli strilli d'una cincia che rissa .

    E suona ancora l'ora, e mi manda prima un suo grido di meraviglia tinnulo, e quindi con lo sua blanda voce di prima parla e consiglia, e grave grave grave m'incuora: mi dice, E' tardi; mi dice, E' l'ora .

    Tu vuoi che pensi dunque al ritorno, voce che cadi blanda dal cielo! Ma bello è questo poco di giorno che mi traluce come da un velo! Lo so ch' è l'ora, lo so ch' è tardi; ma un poco ancora lascia che guardi.

    Lascia che guardi dentro al mio cuore, lascia ch'io viva del mio passato; se c'è sul bronco sempre quel fiore, s'io trovi un bacio che non ho dato! Nel mio cantuccio d'ombra romito lascia ch'io pianga su lo mia vita!

    E suona ancora l'ora, e mi squilla due volte un grido quasi di cruccio, e poi, tornata blanda e tranquilla, mi persuade nel mio cantuccio: è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo dove son quelli ch' amano ed amo.

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  • "L'Oro di Borgo"

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  • Da : Myricae

    DOPO L'ACQUAZZONE

    Passò strosciando e sibilando il nero nembo: or lo chiesa squilla; il tetto, rosso, luccica; un fresco odor dal cimitero viene, di bosso.

    Presso lo chiesa; mentre lo sua voce tintinna, canta, a onde lunghe romba; ruzza uno stuolo, ed alla grande croce tornano a bomba.

    Un vel di pioggia vela l'orizzonte; ma il cimitero, sotto il ciel sereno, placido olezza: va da monte a monte l'arcobaleno.

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  • "Dopo l'Acquazzone"

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  • Da: Myricae

    ALBA

    Odoravano i fior di vitalba per via, le ginestre nel greto; aliavano prima dell'alba le rondini nell'uliveto.

    Aliavano mute con volo nero, agile, di pipistrello, e tuttora gemea l'assiolo, che già spincionava il fringuello.

    Tra i pinastri era l'alba che i rivi mirava discendere giù: guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi; virb ... Disse una rondine; e fu

    giorno: un giorno di pace e lavoro, che l'uomo mieteva il suo grano, e per tutto nel cielo sonoro saliva un cantare lontano.

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  • "Alba"

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  • Do: Myricoe

    IL BOSCO

    o vecchio bosco pieno d'albatrelli, che sai di funghi e spiri la malìa, cui tutto io già scampanellare udìa di cicale invisibili e d'uccelli:

    in te vivono i fauni ridarelli ch'hanno le sussurranti aure in balìa; vive la ninfa, e i passi lenti spia, bionda tra le interrotte ombre i capelli.

    Di ninfe albeggia in mezzo alla ramaglia or sì or no, che se il desìo le vinca, l'occhio alcuna ne attinge, e il sol le bacia.

    Dileguano; e pur viva è la boscaglia, viva sempre nè fior della pervinca e nelle grandi ciocche dell'acacia.

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  • "II Bosco"

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  • Da: Myricae

    LA BAIA TRANQUILLA

    Getta l'ancora, amor mio; non un'onda in questa baia. Quale assiduo sciacquìo fanno l'acque tra la ghiaia!

    Vien dal lido solatìo, vien di là dalla giuncaia, lungo vien, come un addio, un cantar di mari naia.

    Tra le vetrici e gli ontani vedi un fiume luccicare; uno stormo di gabbiani

    nel turchino biancheggiare; e sul poggio, più lontani, i cipressi neri stare.

    Mare! mare! dolce là, dal poggio azzurro, il tuo urlo e il tuo sussurro.

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  • "Lo Boia Tranquillo"

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  • Giuseppe Siccardi è nato a Torino il 3 novembre 1937. vive e lavora a Vigodarzere (Padova)

    con studio in Galleria Venezia, 27 - Te I. 049 8874018

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  • CRITICHE

    ... Indubbiamente la forza (beninteso quella buona) esercita sempre un grande fascino

    sull'uomo, gli suggerisce emulazione, lo stimola ad imprese grandi e nobili. Istanze presenti

    nello stesso Siccardi il quale, dipingendo i propri quadri, no poche volte si ispira alla seducente potenza della natura, dando così aspett~ ad acque mosse, e cieli carichi di tensioni, o grandi temporali, ad atmosfere pregne di drammaticità ... Di tanto arduo impegno è certamente consapevole Siccardi, il quale da decenni attende ai suoi dipinti, oltre che con abilità e destrezza, seguendo un'innata inclinazione, indagando ogni volta nell'essenza delle tematiche trattate, nel pensiero umano, nel mistero dell'eternità. Per trovare, a suo modo, adeguata risposta. Costantemente nella fiducia di riuscirvi, così che nel suo dialogo

    raffigurativo con gli altri possa risultare non tanto mero fatto di piacevolezza, ma evento, ed essere quindi di aiuto, di utilità nell'opera dell'uomo ..

    Paolo Tieto

    ... Partendo dalle suggestioni iniziali, che andavano dalle aspirazioni del Surrealismo, con

    echi degli "orologi molli" di Salvator Dalì e della geologia lunare di Tanguy, ma anche dalle illustrazioni per libri, la pittura di Siccardi è approdata ad una singolare espressività, soprat-

    tutto di tipo "iconografico". Egli ama infatti fortemente la notte, regno del silenzio e del

    mistero, dove tutto è sospeso e instabile; e secondo questa sua particolare inclinazione, quasi saturnina, predilige dipingere paesaggi sospesi, lembi di territorio che appartengono a nessuna dimensione precisa, ma sono ritagliati e posti a vagare perennemente nell'at-mosfera. In lui è quasi presente il ricordo del romanzo La storia infinita di Ende, dove il Nulla avanzava consumando cose e persone, case e paesaggi; così la pittura di Siccardi - artista

    più di intelletto che di sensi - propone assemblaggi di edifici perfettamente costruiti, con singolare ars combinatoria che galleggiano in un infinito, costruito fisicamente con una tersa

    pennelata, mentre le porzioni di montagne e gli alberi volanti son definiti con fiammeggiante perizia. Le radiografie dell'inconscio sono spesso risolte con ironica caratterizzazione, con segni che siglano con humour singolare le sue composizioni: può essere l'acqua d'un canale che scorre sotto un ponti celio ritagliato nello spazio, divenendo così strano arabesco, oppure il filo d'un capzioso gomitolo.

    Giuseppe Siccardi è inoltre un interessante autore di "nature morte", in cui gli echi di Cara-vaggio e di Sciltian diventano ironicamente pop-art, ed è soprattutto un cantore delle

    atmosfere notturne, rese sapientemente grazie a colori, tempere, gelatine, lacche "fabbricate" da lui stesso.

    Lucio Scardino

    Gli oggetti che assurgono a protagonisti delle costruzioni di Siccardi, si adagiano nelle atmosfere di varia intensità cromatica, preferibilmente scelte tra i toni più cupi: una gamma

    che si irragia dai grigi perlati agli azzurri ai blu, giù giù sino alla cupa purezza dei neri. Qualsiasi forma raggiunge uno stacco inusuale, la preziosità miniaturale innesta la terza dimensione, cosicchè la staticità dell'immagine si dilegua per far posto all'onirico stacco di un

    movimento irreale, di puro sogno; appunto. Un artista dunque, da seguire con attenzione che porta ad intuizioni impalesi, raggiungibili solo con uno scatto superbo di sensibilità, per portarsi all'unisono con la superiore caratura

    di un'arte che sta al di là della apparente semplicità semantica. Mario Pistono

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  • Il linguaggio di Siccardi ha lunghe radici storiche. Nasce da un verismo categoriale, nitido e secco, quasi vetroso. Come non radiare con lo memoria ai Coniugi Arno/fini del magico Van Eyck, così nitidi e quasi stralunati nella loro immanenza? Come non ricordare il

    Canestro di frutta del Caravaggio, così perfetto nel suo puntiglio veristico, eppur così sacrale e mistico? La linea è quella. E' lo linea, soprattutto, del Seicento olandese, fino ai vertici sommi di un Vermeer.

    Nel contempo, emerge il gusto tipico degli anni Venti, magari portato alle sottili angosce di Dalì e alle attonite atmosfere di Magritte.

    Surrealismo, sì; ma, dietro, anche lo lezione metafisica . E così, nel tempo, si arriva a ricorsi d'oggi: all'iperrealismo che imita l'imitazione del vero, fotografia algida e ibrida ... Siccardi nasce, almeno stilisticamente, da questo modo di far pittura. Cool painting, direbbero gli americani: qualcosa che tende ad abbandonare l'emozione estetica per entrare nel dominio preciso della scienza, o meglio della fantascienza .

    L'immagine viene strappata dalla natura: fissata come in un vetrino da microscopio, analiz-zata, quosi vivisezionata. Tra lo vita e lo morte essa ci appare come qualcosa di imprigionato,

    fantasma mentale, proiezione di sogni a sudor freddo, forse di incubi . Ma che vuoi dire Siccardi? Gli strumenti psicanalistici potrebbero aiutarci in questa operazione maieutica. Indubbiamente l'artista vuole rendere uno stato di sospensione della materia: appunto una fascia di silenzio cosmico. Le esperienze di galleggiamento nello

    spazio degli astronauti ci sono assai vicine: lo mente vacilla, il corpo perde il peso. Non a caso vediamo, in molti quadri, oggetti che galleggiano, contraddicendo le leggi fisiche. E, del pari, non a caso ci troviamo di fronte a forme ibride, antropomorfiche o, comunque, in fase

    di passaggio. La stessa luce nasce dal buio: è del tutto anti-naturalistica, come in certi quadri fantomatici tra Sei e Settecento (Brill, Magnasco) L'artista cerca, evidentemente, un' altra dimensione esistenziale, sforzandosi di uscire dai confini di una fisicità che (forse) gli sembra

    limitante. Intende, addirittura, capovolgere il concetto del tempo, ribaltando l'ieri (reperti archeologici e paleontologici) nel futuro: in un futuro immaginario. É qualcosa, comunque, che "potrebbe succedere" : Siccardi lo prefi gura in una sorta di lucida ipnosi .

    Paolo Rizzi

    Hanno Scritto

    Francesco Barison - Licinio Boarini - Nino Boriosi - Enrico Buda - Maurizio Conconi

    Daniele Diena - Silvano Weiller Romanin Jacur - Mario Klein - Josep Maresma i Pedragosa Giancarlo Romiti - Giorgio Segato - Luigi Toson - Tiziana Virgili - Gian Mario Olivieri

    Giuseppe Quenzatti - Cornelia Mora Taboga - Paolo Pisani - Elio Mercuri - Stefania Ma rotti Gabriele Turola - Claudio Bertone - Rosanna Ricci - U. Marinello - Gianmarco Todi

    Marina Gobetti - Carlo Munari - Anil Celio - Raffaella Sattini

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  • 1971 - Palazzo Pretorio S. Sepolcro - Arezzo 1977 - Circolo culturale Ponte S. Nicolò - Padova 1978 - Galleria d'arte Sebina - Padova 1979 - Galleria d'arte Sebina - Padova 1984 - Ips Oart Gallery - Perugia 1984 - Villa Simens Contarini - Padova 1984 - Spilanberto - Modena 1985 - Galleria CD.E. - Padova 1985 - Galleria Il Fiore - Bassano 1985 - Ristorante Cabellegno Romano D'Ezz. - Vi 1986 - Gall. d'arte Il Braciere C d'arte C - Caserta 1986 - Galleria La Cupola - Padova 1987 - Galleria La Cupola - Padova 1988 - Saarbruken - Germania 1989 - Ips Oart Gallery - Perugia 1990 - Il Rivelino - Ferrara 1990 - Galleria La Cupola - Padova 1991 - Il Rivellino - Ferrara 1992 - Galleria Giò - Perugia 1993 - Villa Salom Lion - Padova 1993 - Galleria Arty Tolosa - Francia 1993 - Galleria Civica - Bressanone 1994 - Galleria Il Tempo Conselve - Padova 1994 - Villa Badoera Fratta Polesine - Rovigo 1994 - Ente Fiera Mancasale - R. Emilia 1994 - Arquà Petrarca - Padova 1995 - Palazzo Comunale Bertinoro - Forlì 1995 - Galleria Gaudy Barcellona - Spagna 1995 - Ente Fiera Mancasale - R. Emilia 1995 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 1996 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 1996 - Castello S. Vitale Fontanellato - Parma 1996 - Etruria Arte Piombino - Piombino 1996 - Museo d'arte Moderna Santhià - Vercelli 1996 - Galleria Città di Padova - Padova 1996 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 1997 - Torre Civica S. Polo D'Enza - R Emilia 1997 - Galleria Il Rivelino - Ferrara 1997 - Ex Almagià - Ravenna

    Mostre Personali

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    1997 - La Fontanella Carpi - Modena 1998 - Galleria Arte Libri - Rovigo 1998 - Milano 1998 - Palazzo Ordelaffi - Bertinoro 1998 - Casa Tavola - Mancasale 1998 - Chiesetta del Comune di Limena - Padova 1998 - Pane e Cioccolato Sala da The - Felina RE. 1998 - Arte Fiera - Padova 1998 - Circolo Ufficiali - Padova 1999 - Galleria d'arte Piove di Sacco - Padova 1999 - Sala del Comune - Soragna 1999 - Torre dell'Orologio - S. Polo d'Enza R.E. 1999 - Casa Tavola - Mancasale 1999 - Biblioteca Comunale Saccolongo - Padova 1999 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 1999 - Ips Oart Gallery - Perugia 1999 - Arte Fiera - Bari 1999 - Galleria Fam. Fidentina - Fidenza Parma 2000 - Comune di Mestrino (Sala Consigliare) - Padova 2000 - Nuova Officina di Ferrara - Ferrara 2000 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 2000 - Fontanelle - Parma 2000 - Sottomarina - Venezia 2000 - Salsomaggiore Terme - Parma 2000 - Abano Terme - Padova 2000 - Mancasale - R Emilia 2000 - Palazzo Municipale Cavarzere - Padova 2000 - Rosà - Vicenza 2001 - Galleria Dusìè - Verona 2001 - Emporium - Padova 2001 - Casa Pascoli S. M. Pascoli - Forlì 2001 - Palazzo Ordelaffi Bertinoro - Forlì 2001 - Barga Fondazione Ricci ONLUS - Lucca 2001 - Marina di Ravenna Park Hotel - Ravenna 2001 - Galleria Civica S. Polo d'Enza - R. Emilia 2001 - Galleria Civica - Padova 2001 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 2001 - Villa Solom Michieli - Lion di Albignasego Pd

  • Mostre Collettive

    1951 - San Donato - Torino 1953 - Città di Torino - Torino 1973 - Art isti Città di Perugia - Perugia 1979 - Grup. Surr. L'iride Rist."Da Giovanni" - Padova 1979 - Grup. Surr. L'iride Ga lleria L'incon . - Rovigo 1979 - Pittori Veneti Hotel Mioni - Silvi M. 1980 - Biella Poggibonsi Arte - Siena 1981 - Galleria Edas - Padova 1981 - Città di Marostica - Vicenza 1982 - Pittori Veneti Cartura - Padova 1982 - Dipinti A Confronto G. Fioretto - Padova 1983 - Galleria Il Fiore - Bassano 1983 - Quattro Pittori Veneti Cartura - Padova 1984 - Galleria C. D. E. - Padova 1985 - Venezia Europa Galleria Degan - Venezia

    1985 - La Rossa di Rosà Villà - Vicenza 1985 - Pittori Alla Ribalta Nardò - Lecce 1986 - Galleria Levi Civita Camin - Padova 1992 - Città di Todi - Todi 1992 - Città di Massa Finalese 1993 - Palazzo Barberini - Roma 1993 - Arte Sacra - Padova 1995 - Bertinoro - Forlì 1996 - Galleria Città di Padova - Padova 1996 - Centro d'arte Camin - Padova 1996 - Città di Padova - Padova 1996 - Galleria Gaudì Barcellona - Spagna 1997 - Galleria La Fontanella Carpi - Modena 1997 - Muse di Montese - Parma

    Principali Opere

    Museo Tadini di Lovere - Brescia Museo d'arte Moderna di Saarbruken - Germania Museo d'arte Moderna Santhià - Vercelli Chiesa di Sant'Antonio Arcella - Padova Chiesa del Carmine - Torino Affresco Piazza di Via Ospedale Santhià - Vercelli Sede della Siltek - Tokyo G. R. B. Marcon - Venezia

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    Azienda Artema Martellago - Venezia Sede Totocalcio - Torino Sede Anusca San Pietro in Bagno - Bologna Maxim - Montecarlo Museo Mondiale - Betlemme Palio di Ferrara Hotel Smeraldo Canosa - Bari

  • FONDAZIONE "DOMUS PASCOLI" Eretta in Ente Morale con R.D. 9-8-1935 n. 21 05

    47030 SAN MAURO PASCOLI

    lr: .t'h : Jb ('~lHl ... l ,d.tì:.: ( .. :." . ! 'i rh~ , ,(:o,ptO ~·'U" ti

    ç"'}!ti P'A"','" (o: " IIJ r!)" dr t{,lsr ranrpi .... w.,·1

    ROMAGNA EST BANCA DI CREDITO COOPERATIVO

    96

  • ROMAGNA CENTRO BANCA DI CREDITO COOPERATIVO

    LA BANCA DI CASA TUA

    =:7 FONDAZIONE CASSA DEI RISPARMI DI FORLI'

    Zannoni Carburanti Viale Italia, 47 • Forlì

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  • INDICI

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  • 100

  • J

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    SI RINGRAZIA PER LA COLLABORAZIONE E I CONTRIBUTI:

    Comune di S. MAURO PASCOLI Comune di BERTINORO

    Comune di BARGA

    FONDAZIONE RICCI ONLUS

    Ass. Sportiva Bertinoro

    Prof. Mario Pazzaglia Massimo Michelotto

    Grafica: Elisa Siccardi -Vigodarzere (Pd) Foto: Alberto Buzzanca - (Pd)

    Impianti stampa: Fotolito Express- (Pd) Tipografia: Nicomat -Cadoneghe (Pd)

    101

  • FINITO DI STAMPARE A PADOVA NEL GIUGNO 200 l

    DI QUESTO LIBRO SONO STATI STAMPATI

    N . l 000 ESEMPLARI

    TENTICA

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    Siccardi Omaggio a G.Pascoli 001Siccardi Omaggio a G.Pascoli 002Siccardi Omaggio a G.Pascoli 003Siccardi Omaggio a G.Pascoli 004Siccardi Omaggio a G.Pascoli 005Siccardi Omaggio a G.Pascoli 006Siccardi Omaggio a G.Pascoli 007Siccardi Omaggio a G.Pascoli 008Siccardi Omaggio a G.Pascoli 009Siccardi Omaggio a G.Pascoli 010Siccardi Omaggio a G.Pascoli 011Siccardi Omaggio a G.Pascoli 012Siccardi Omaggio a G.Pascoli 013Siccardi Omaggio a G.Pascoli 014Siccardi Omaggio a G.Pascoli 015Siccardi Omaggio a G.Pascoli 016Siccardi Omaggio a G.Pascoli 017Siccardi Omaggio a G.Pascoli 018Siccardi Omaggio a G.Pascoli 019Siccardi Omaggio a G.Pascoli 020Siccardi Omaggio a G.Pascoli 021Siccardi Omaggio a G.Pascoli 022Siccardi Omaggio a G.Pascoli 023Siccardi Omaggio a G.Pascoli 024Siccardi Omaggio a G.Pascoli 025Siccardi Omaggio a G.Pascoli 026Siccardi Omaggio a G.Pascoli 027Siccardi Omaggio a G.Pascoli 028Siccardi Omaggio a G.Pascoli 029Siccardi Omaggio a G.Pascoli 030Siccardi Omaggio a G.Pascoli 031Siccardi Omaggio a G.Pascoli 032Siccardi Omaggio a G.Pascoli 033Siccardi Omaggio a G.Pascoli 034Siccardi Omaggio a G.Pascoli 035Siccardi Omaggio a G.Pascoli 036Siccardi Omaggio a G.Pascoli 037Siccardi Omaggio a G.Pascoli 038Siccardi Omaggio a G.Pascoli 039Siccardi Omaggio a G.Pascoli 040Siccardi Omaggio a G.Pascoli 041Siccardi Omaggio a G.Pascoli 042Siccardi Omaggio a G.Pascoli 043Siccardi Omaggio a G.Pascoli 044Siccardi Omaggio a G.Pascoli 045Siccardi Omaggio a G.Pascoli 046Siccardi Omaggio a G.Pascoli 047Siccardi Omaggio a G.Pascoli 048Siccardi Omaggio a G.Pascoli 049Siccardi Omaggio a G.Pascoli 050Siccardi Omaggio a G.Pascoli 051Siccardi Omaggio a G.Pascoli 052Siccardi Omaggio a G.Pascoli 053Siccardi Omaggio a G.Pascoli 054Siccardi Omaggio a G.Pascoli 055Siccardi Omaggio a G.Pascoli 056Siccardi Omaggio a G.Pascoli 057Siccardi Omaggio a G.Pascoli 058Siccardi Omaggio a G.Pascoli 059Siccardi Omaggio a G.Pascoli 060Siccardi Omaggio a G.Pascoli 061Siccardi Omaggio a G.Pascoli 062Siccardi Omaggio a G.Pascoli 063Siccardi Omaggio a G.Pascoli 064Siccardi Omaggio a G.Pascoli 065Siccardi Omaggio a G.Pascoli 066Siccardi Omaggio a G.Pascoli 067Siccardi Omaggio a G.Pascoli 068Siccardi Omaggio a G.Pascoli 069Siccardi Omaggio a G.Pascoli 070Siccardi Omaggio a G.Pascoli 071Siccardi Omaggio a G.Pascoli 072Siccardi Omaggio a G.Pascoli 073Siccardi Omaggio a G.Pascoli 074Siccardi Omaggio a G.Pascoli 075Siccardi Omaggio a G.Pascoli 076Siccardi Omaggio a G.Pascoli 077Siccardi Omaggio a G.Pascoli 078Siccardi Omaggio a G.Pascoli 079Siccardi Omaggio a G.Pascoli 080Siccardi Omaggio a G.Pascoli 081Siccardi Omaggio a G.Pascoli 082Siccardi Omaggio a G.Pascoli 083Siccardi Omaggio a G.Pascoli 084Siccardi Omaggio a G.Pascoli 085Siccardi Omaggio a G.Pascoli 086Siccardi Omaggio a G.Pascoli 087Siccardi Omaggio a G.Pascoli 088Siccardi Omaggio a G.Pascoli 089Siccardi Omaggio a G.Pascoli 090Siccardi Omaggio a G.Pascoli 091Siccardi Omaggio a G.Pascoli 092Siccardi Omaggio a G.Pascoli 093Siccardi Omaggio a G.Pascoli 094Siccardi Omaggio a G.Pascoli 095Siccardi Omaggio a G.Pascoli 096Siccardi Omaggio a G.Pascoli 097Siccardi Omaggio a G.Pascoli 098Siccardi Omaggio a G.Pascoli 099Siccardi Omaggio a G.Pascoli 100Siccardi Omaggio a G.Pascoli 101