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Q UELLA V ITTORIA UN M ITO F ASULLO Una delle opere più note del Mantegna: ideali classici e ampiezza di forme e armonia Massimiliano d’Asburgo (1459-1519) si schierò in Italia contro i francesi. Imperatore del Sacro Romano Impero dal 1493, gli successe il nipote Carlo V Uomo immorale e privo di scrupoli, papa Borgia (1431-1503) formò l’alleanza con Milano e Venezia per fermare la discesa in Italia del re Carlo VIII Il re francese (1470-1498) subisce meno perdite degli italiani, ma è costretto a ritirarsi in patria. Morirà tre anni dopo, lasciando il trono al cugino Luigi XII Madonna con bambino tra santi e donatore (Pala della Vittoria) La Battaglia di Fornovo MASSIMILIANO I ALESSANDRO VI CARLO VIII S i può celebrare una non vittoria come un trionfo? Si può, anzi, si deve. Ed è esattamente ciò che fece il Man- tegna dipingendo la pala della Madonna della Vittoria per Francesco II Gonzaga nel primo anniversario della batta- glia di Fornovo. Ma per cogliere il nesso tra arte e propagan- da dobbiamo risalire un grado di realtà e retrocedere dal- l’immagine al campo di battaglia. È il 6 luglio del 1495 e siamo su un’altura che sovrasta l’imbocco della valle del fiume Taro nei pressi del borgo di Fornovo. Accanto a noi stanno ventimila uomini in armi, tra cui duemilacinquecento lance di cinque membri ciascu- na, duemila cavalieri leggeri e ottomila fanti di mestiere. Il più grande esercito mai messo assieme dalle genti d’Italia, posto sotto la guida di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova e capitano generale di Venezia. Attendiamo da ore che dalla valle del Taro sbuchi l’esercito francese capita- nato da re Carlo VIII in persona, il più grande esercito che abbia mai invaso la nostra terra. Lo scorso anno, il re dei Francesi è calato in Italia per ri- vendicare i suoi diritti sul Regno di Napoli in quanto discen- dente degli Angiò. All’epoca, tutti lo avevano giudicato un pazzo a volersi impossessare di un regno tanto lontano ma poi, la paura delle sue nuove artiglierie, delle sue compa- gnie d’ordinanza, dei suoi fanti svizzeri, la frammentazione dell’Italia in un pulviscolo di regni, signorie, principati, du- cati e repubbliche, sempre in guerra tra loro, gli ha consenti- to di percorrere la penisola quasi senza colpo ferire. Come ha detto il papa Borgia, Carlo VIII ha conquistato l’Italia col gesso dei suoi ufficiali addetti all’alloggio delle truppe più che con il ferro dei suoi armati. Una vergogna. Ma adesso quella vergogna verrà lavata nel sangue. Adesso, per la pri- ma volta da secoli, gli italiani sono uniti in un solo esercito, benedetto dal Papa, e attendono lo straniero che risale la penisola verso la Francia. Lo attendono per annientarlo. Ma il guaio è che l’attesa dura da troppe ore. Eravamo in questa posizione panoramica già alle prime luci dell’alba e siamo ancora qui, in perfetto assetto di guerra, ancora ades- so che il sole si avvia a tramontare. La determinazione e la compattezza dei battaglioni si è andata indebolendo, attor- no a noi percepiamo il fetore che i corpi dei cavalieri, co- stretti per ore dentro armature d’acciaio, esalano a causa del sudore, della piscia e, in taluni casi, persino della merda che sono stati costretti a rilasciare dentro gli usberghi. Inol- tre, il fiume Taro, che dovremo guadare al galoppo per cari- care il fianco dello schieramento nemico, normalmente un rigagnolo polveroso in questa stagione, è ingrossato da due giorni e due notti di pioggia ininterrotta. Gli stomaci si appe- santiscono, l’anima imputridisce, il coraggio si fa impuro. Il sogno di una giornata del destino sembra svanire in un im- previsto meteorologico; l’attesa della folgorante, diamanti- na, battaglia campale evapora in un tanfo escrementizio. Poi, d’un tratto, il nitrito di diecimila cavalli interrompe le nostre eluc ubrazioni. Allo sbocco della valle, dove fino a pochi istanti fa’ c’erano solo le chiome dei castagni degli Appennini, ora ci sono trenta cavalieri con i pennacchi ros- si e il gonfalone della corona di Francia. Sono i guerrieri del- le compagnies d’ordonnance di Carlo VIII. È l’avanguardia del nemico. Attorno a noi i nostri compagni lanciano i loro urli di guerra. Avremo la battaglia della nostra vita. Ma la battaglia della nostra vita non sarà come l’avevamo immaginata. Tutto ciò che avevamo sperato accadrà, ma con un fatale attimo di ritardo. L’articolatissimo piano ela- borato da Ridolfo Gonzaga non funzionerà. La cavalleria del conte Caiazzo, ingolfata dal fiume in piena, si muoverà troppo lentamente; gli Stradioti tradiranno e si getteranno a far razzia tra le salmerie dei Francesi; i fanti dell’Imperatore Massimiliano saranno macellati da quelli svizzeri; il Gonza- ga non riuscirà a guadare il fiume nel punto prescelto e do- vrà passare più a monte; le compagnie d’ordinanza, con il Re in testa, avranno il tempo di operare una conversione per caricare a massa i cavalieri di Fortebraccio. Un urto tre- mendo. Da entrambe le parti, anche se in lingue diverse, stanno gridando: «Alla morte!». A sera, il bilancio: 1.000 francesi morti, 2.500 italiani, di cui almeno 300 uomini d’arme, il seguito del marche- se di Mantova quasi completamente annientato. I nemi- ci, alla fine, rimasti padroni del campo, si sono aperti la via per la Francia. Nonostante il massacro, la battaglia non sarà decisiva. Per altri trent’anni, una serie ininterrotta di scontri campali insanguinerà l’Italia. Nonostante il massacro, la battaglia stessa rimarrà indecidibile quanto al suo esito: entrambi gli schieramenti se ne attribuiranno a lungo la vittoria. Duran- te l’intero arco dell’età moderna, inaugurata proprio a For- novo, la realtà fattuale recalcitrerà a confermare il mito del- la battaglia campale risolutiva. Ma i condottieri, a dispetto di ogni smentita, continueranno a inseguire quel mito, uno scontro frontale dopo l’altro. L’intera storia della guerra si svilupperà, fino ai giorni nostri, come la storia di un’ininter- rotta futilità. Almeno, nel caso di Fornovo, questa tragica inconcluden- za ci lascia in dote il capolavoro di Mantegna e non la scioc- ca immagine televisiva di un Presidente tronfio che, indos- sato un giubbotto da aviatore di marina, sul ponte di una nave da guerra, proclama che la «missione è compiuta» mentre, invece, a Bagdad si continua a morire. EC ARLO VIII COALIZZÒ GLI «ITALIANI» Nato a Napoli nel 1969, ha studiato a Parigi e negli Stati Uniti. Insegna Teoria e tecniche del linguaggio televisivo all’Università di Bergamo, dove coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza. Ha pubblicato i saggi «Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale» e «Televisioni di guerra» (2003). Nel 2002 pubblica «Il rumore sordo della battaglia» (Mondadori), romanzo storico dedicato all’eclissi del mondo cavalleresco. Il suo ultimo lavoro è «Il sopravvissuto» (Bompiani), la storia di una strage in una scuola con cui vince il premio Campiello 2005. Tiene una rubrica sulla rivista «Duellanti» ed è condirettore del Ravello Festival. IP ROTAGONISTI A Fornovo, il 6 luglio 1495, si scontrano le truppe francesi co- mandate dal re Carlo VIII, redu- ce da trionfi e feste in mezza Ita- lia, e una coalizione che com- prende l’Imperatore Massimilia- no, Ferdinando re d’Aragona, il Papa Alessandro VI, Venezia e Ludovico Sforza. Alla fine di una cruentissima battaglia rimango- no sul campo 1000 francesi e 2500 italiani. Nonostante le mi- nori perdite, re Carlo VIII è co- stretto alla ritirata verso nord. Nella foto «La battaglia di Forno- vo», opera del pittore parmense Ilario Spolverini (1685-1734). L’arte come propaganda, che sublima ma nello stesso tempo trascrive la storia. Così il Mantegna nella pala della Madonna della Vittoria trasformò un’inconcludente tragedia in un glorioso successo I L R ACCONTO «È il luglio del 1495, siamo il più grande esercito mai messo insieme dalle genti d’Italia. È dall’alba che attendiamo il nemico. Le armature pesano, al tramonto siamo esausti. E quando arrivano i francesi è il massacro» CHI È DI ANTONIO SCURATI 15 EventiMostre Sabato 16 Settembre 2006 Corriere della Sera

L ACCONTO LaBattagliadiFornovo - corriere.it · l immagine al campo di battaglia. È il 6 luglio del 1495 e siamo su un altura che sovrasta ... «Il rumore sordo della battaglia

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QUELLA VITTORIAUN MITO FASULLO

Una delle opere più note del Mantegna: ideali classici e ampiezza di forme e armonia

Massimiliano d’Asburgo (1459-1519)si schierò in Italia contro i francesi.Imperatore del Sacro Romano Imperodal 1493, gli successe il nipote Carlo V

Uomo immorale e privo di scrupoli,papa Borgia (1431-1503) formò l’alleanzacon Milano e Venezia per fermare ladiscesa in Italia del re Carlo VIII

Il re francese (1470-1498) subiscemeno perdite degli italiani, ma è costrettoa ritirarsi in patria. Morirà tre anni dopo,lasciando il trono al cugino Luigi XII

Madonna con bambino tra santi e donatore (Pala della Vittoria)

La Battaglia di Fornovo

MASSIMILIANO I ALESSANDRO VICARLO VIII

S i può celebrare una non vittoria come un trionfo? Sipuò, anzi, si deve. Ed è esattamente ciò che fece il Man-

tegna dipingendo la pala della Madonna della Vittoria perFrancesco II Gonzaga nel primo anniversario della batta-glia di Fornovo. Ma per cogliere il nesso tra arte e propagan-da dobbiamo risalire un grado di realtà e retrocedere dal-l’immagine al campo di battaglia.

È il 6 luglio del 1495 e siamo su un’altura che sovrastal’imbocco della valle del fiume Taro nei pressi del borgo diFornovo. Accanto a noi stanno ventimila uomini in armi,tra cui duemilacinquecento lance di cinque membri ciascu-na, duemila cavalieri leggeri e ottomila fanti di mestiere. Ilpiù grande esercito mai messo assieme dalle genti d’Italia,posto sotto la guida di Francesco Gonzaga, marchese diMantova e capitano generale di Venezia. Attendiamo daore che dalla valle del Taro sbuchi l’esercito francese capita-nato da re Carlo VIII in persona, il più grande esercito cheabbia mai invaso la nostra terra.

Lo scorso anno, il re dei Francesi è calato in Italia per ri-vendicare i suoi diritti sul Regno di Napoli in quanto discen-dente degli Angiò. All’epoca, tutti lo avevano giudicato unpazzo a volersi impossessare di un regno tanto lontano mapoi, la paura delle sue nuove artiglierie, delle sue compa-gnie d’ordinanza, dei suoi fanti svizzeri, la frammentazionedell’Italia in un pulviscolo di regni, signorie, principati, du-cati e repubbliche, sempre in guerra tra loro, gli ha consenti-to di percorrere la penisola quasi senza colpo ferire. Comeha detto il papa Borgia, Carlo VIII ha conquistato l’Italia colgesso dei suoi ufficiali addetti all’alloggio delle truppe piùche con il ferro dei suoi armati. Una vergogna. Ma adessoquella vergogna verrà lavata nel sangue. Adesso, per la pri-ma volta da secoli, gli italiani sono uniti in un solo esercito,benedetto dal Papa, e attendono lo straniero che risale lapenisola verso la Francia. Lo attendono per annientarlo.

Ma il guaio è che l’attesa dura da troppe ore. Eravamo inquesta posizione panoramica già alle prime luci dell’alba esiamo ancora qui, in perfetto assetto di guerra, ancora ades-so che il sole si avvia a tramontare. La determinazione e lacompattezza dei battaglioni si è andata indebolendo, attor-no a noi percepiamo il fetore che i corpi dei cavalieri, co-stretti per ore dentro armature d’acciaio, esalano a causadel sudore, della piscia e, in taluni casi, persino della merdache sono stati costretti a rilasciare dentro gli usberghi. Inol-tre, il fiume Taro, che dovremo guadare al galoppo per cari-care il fianco dello schieramento nemico, normalmente unrigagnolo polveroso in questa stagione, è ingrossato da duegiorni e due notti di pioggia ininterrotta. Gli stomaci si appe-santiscono, l’anima imputridisce, il coraggio si fa impuro. Ilsogno di una giornata del destino sembra svanire in un im-previsto meteorologico; l’attesa della folgorante, diamanti-na, battaglia campale evapora in un tanfo escrementizio.

Poi, d’un tratto, il nitrito di diecimila cavalli interrompele nostre eluc ubrazioni. Allo sbocco della valle, dove fino apochi istanti fa’ c’erano solo le chiome dei castagni degliAppennini, ora ci sono trenta cavalieri con i pennacchi ros-si e il gonfalone della corona di Francia. Sono i guerrieri del-

le compagnies d’ordonnance di Carlo VIII. È l’avanguardiadel nemico. Attorno a noi i nostri compagni lanciano i lorourli di guerra. Avremo la battaglia della nostra vita.

Ma la battaglia della nostra vita non sarà come l’avevamoimmaginata. Tutto ciò che avevamo sperato accadrà, macon un fatale attimo di ritardo. L’articolatissimo piano ela-borato da Ridolfo Gonzaga non funzionerà. La cavalleriadel conte Caiazzo, ingolfata dal fiume in piena, si muoveràtroppo lentamente; gli Stradioti tradiranno e si getteranno afar razzia tra le salmerie dei Francesi; i fanti dell’Imperatore

Massimiliano saranno macellati da quelli svizzeri; il Gonza-ga non riuscirà a guadare il fiume nel punto prescelto e do-vrà passare più a monte; le compagnie d’ordinanza, con ilRe in testa, avranno il tempo di operare una conversioneper caricare a massa i cavalieri di Fortebraccio. Un urto tre-mendo. Da entrambe le parti, anche se in lingue diverse,stanno gridando: «Alla morte!».

A sera, il bilancio: 1.000 francesi morti, 2.500 italiani,di cui almeno 300 uomini d’arme, il seguito del marche-se di Mantova quasi completamente annientato. I nemi-ci, alla fine, rimasti padroni del campo, si sono aperti lavia per la Francia.

Nonostante il massacro, la battaglia non sarà decisiva.Per altri trent’anni, una serie ininterrotta di scontri campaliinsanguinerà l’Italia. Nonostante il massacro, la battagliastessa rimarrà indecidibile quanto al suo esito: entrambi glischieramenti se ne attribuiranno a lungo la vittoria. Duran-te l’intero arco dell’età moderna, inaugurata proprio a For-novo, la realtà fattuale recalcitrerà a confermare il mito del-la battaglia campale risolutiva. Ma i condottieri, a dispettodi ogni smentita, continueranno a inseguire quel mito, unoscontro frontale dopo l’altro. L’intera storia della guerra sisvilupperà, fino ai giorni nostri, come la storia di un’ininter-rotta futilità.

Almeno, nel caso di Fornovo, questa tragica inconcluden-za ci lascia in dote il capolavoro di Mantegna e non la scioc-ca immagine televisiva di un Presidente tronfio che, indos-sato un giubbotto da aviatore di marina, sul ponte di unanave da guerra, proclama che la «missione è compiuta»mentre, invece, a Bagdad si continua a morire.

E CARLO VIIICOALIZZÒGLI «ITALIANI»

Nato a Napolinel 1969, ha studiatoa Parigi e negli StatiUniti. Insegna Teoriae tecniche dellinguaggio televisivoall’Universitàdi Bergamo, dovecoordina il Centrostudi sui linguaggidella guerrae della violenza.Ha pubblicatoi saggi «Guerra.Narrazioni e culturenella tradizioneoccidentale»e «Televisionidi guerra» (2003).Nel 2002 pubblica«Il rumore sordodella battaglia»(Mondadori),romanzo storicodedicato all’eclissidel mondocavalleresco.Il suo ultimo lavoroè «Il sopravvissuto»(Bompiani), la storiadi una strage in unascuola con cui vinceil premio Campiello2005. Tiene unarubrica sulla rivista«Duellanti»ed è condirettoredel Ravello Festival.

I PROTAGONISTI

A Fornovo, il 6 luglio 1495, siscontrano le truppe francesi co-mandate dal re Carlo VIII, redu-ce da trionfi e feste in mezza Ita-lia, e una coalizione che com-prende l’Imperatore Massimilia-no, Ferdinando re d’Aragona, ilPapa Alessandro VI, Venezia eLudovico Sforza. Alla fine di unacruentissima battaglia rimango-no sul campo 1000 francesi e2500 italiani. Nonostante le mi-nori perdite, re Carlo VIII è co-stretto alla ritirata verso nord.Nella foto «La battaglia di Forno-vo», opera del pittore parmenseIlario Spolverini (1685-1734).

L’arte come propaganda, che sublima ma nello

stesso tempo trascrive la storia. Così il Mantegna

nella pala della Madonna della Vittoria trasformò

un’inconcludente tragedia in un glorioso successo

I L R A C C O N T O

«È il luglio del 1495, siamo il più grande esercito mai

messo insieme dalle genti d’Italia. È dall’alba che

attendiamo il nemico. Le armature pesano, al tramonto

siamo esausti. E quando arrivano i francesi è il massacro»

CHI ÈD I A N T O N I O S C U R A T I

15EventiMostre Sabato 16 Settembre 2006 Corriere della Sera