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1 Sergio Virginio Itinerari tra storia e natura Alla scoperta dell’antica Tebe In crociera sul Nilo I templi del deserto Il Cairo e il museo egizio Le piramidi Sul Mar Rosso

Itinerari tra storia e natura - i viaggi di Sergio · attraversata dalle acque del Nilo, è un mondo a sé: un pianeta, dove l’acqua e il sole tracciano due anelli che percorrono

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Sergio Virginio

Itinerari tra storia e natura Alla scoperta dell’antica Tebe In crociera sul Nilo I templi del deserto Il Cairo e il museo egizio Le piramidi Sul Mar Rosso

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L’Egitto, quella fascia di deserto nordafricano, bagnata dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, attraversata dalle acque del Nilo, è un mondo a sé: un pianeta, dove l’acqua e il sole tracciano due anelli che percorrono tutto l’universo. Dove c’è acqua e sole, c’è vita. Per questo, qui, la vita dell’uomo si era radicata e sviluppata prima della fine dell’era della pietra. Sulle sponde del Nilo, troviamo ancora oggi templi affascinanti, statue gigantesche, monumenti e necropoli, sculture, bassorilievi e geroglifici, che testimoniano oltre 5 mila anni di storia. Non a caso, l’unica sopravissuta fra le Sette meraviglie del mondo antico, si trova a Giza: la piramide di Cheope. Tutto questo lo avevo saputo dai libri di storia, più di mezzo secolo fa. Poi, negli anni seguenti, alcune appassionanti vicende delle dinastie faraoniche, mi erano diventate familiari attraverso alcuni film cinematografici. Qualche tempo fa, un mio conoscente mi aveva raccontato di essere stato in “luna di miele” in Egitto. Me ne aveva parlato più volte, con enfasi. Affermava che l’unico viaggio che avrebbe rifatto volentieri era la crociera sul Nilo, perché risalire il fiume a bordo di un battello era il modo più affascinante per conoscere la civiltà faraonica. Diceva che, viaggiando con la luce del giorno, non si riesce a staccare lo sguardo dal paesaggio che scorre lentamente. Così, mi sono fatto anch’io l’idea di realizzare lo stesso viaggio per visitare le bellezze di quel “pianeta”. Un paio di volte, sono stato costretto a rinviare la partenza, a causa degli attentati terroristici che venivano attuati periodicamente, in diverse località, con lo scopo di dissuadere il turismo, che è tra le principali fonti economiche di quel paese. Nel 2008 mi sono deciso a fare questo viaggio, nonostante il rischio attentati. Mi sono dato da fare, con amici e conoscenti per organizzare un gruppo di partecipanti con l’agenzia turistica del Dlf di Udine. Nel 2010 sono ritornato in Egitto: un rilassante soggiorno a Sharm el Sheikh, sul Mar Rosso. Una settimana balneare di snorkeling sulla barriera corallina per ammirare le incantevoli bellezze del fondo marino.

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Alla scoperta dell’antica Tebe

Dal finestrino dell’aereo appare un’alba infuocata e abbagliante: stiamo per atterrare a Luxor, nei pressi del Nilo, nel cuore dell’Egitto. Allo sbarco, due lunghe fila di palme, ben curate e accoglienti, ci indicano il percorso da fare a piedi per raggiungere l’ingresso dell’aeroporto. Il nostro gruppo, è formato da 26 persone. Eravamo partiti col bus riservato da Udine, nel tardo pomeriggio di ieri, lunedì 26 maggio 2008, per raggiungere l’aeroporto di Bologna. La partenza del volo charter aveva subito un forte ritardo. Meno male che, durante le tre ore del volo notturno, abbiamo sonnecchiato un po’. Raggiungiamo l’area dove si compila la scheda per l’ingresso. Poi, un po’ di fila per la dogana. Infine l’attesa per il ritiro dei bagagli. Nell’atrio d’ingresso c’è la nostra guida. Ci aspetta alzando un cartello col nome della nostra agenzia viaggi. Come capogruppo, lo raggiungo per primo. Ci salutiamo e ci presentiamo. Lui, sulla quarantina, porta un berretto da sole con frontino. Veste pantaloni estivi e una maglietta colorata a maniche corte. Si chiama Jamal, è egiziano e abita nella capitale. A causa del forte ritardo del nostro volo, lui e l’autista hanno trascorso la notte sul pullman. Anche molti componenti del nostro gruppo hanno fatto la notte in bianco e sperano di recuperare qualche ora di sonno appena arrivati a bordo della nostra nave. Ma non è così. L’agenzia ha disposto di procedere normalmente per le visite di Luxor, previste nella mattinata. Raggiungiamo in bus la “Nile Crown”, una delle numerose motonavi da crociera che stazionano sulla sponda destra del Nilo. Sembrano degli alberghi galleggianti a quattro piani. Sistemiamo frettolosamente i bagagli nelle comode e confortevoli cabine con servizi che ci hanno assegnato. Dopo una doccia veloce, ci ritroviamo nuovamente tutti sul bus.

Si parte per le visite di Luxor. La località sorge nel sito corrispondente all’antica Tebe, la città dalle cento porte, come veniva descritta da Omero. Fu costruita oltre due duemila anni avanti Cristo, nel periodo dell’undicesima dinastia faraonica. A testimonianza dello splendore dell’antica capitale, i più importanti siti archeologici sono disseminati tra le colline desertiche e rocciose, di fronte a Luxor, sulla sponda occidentale. Iniziamo le visite dalla Valle dei Re, che è uno dei luoghi più celebri di tutto l’Egitto. Da lontano, la valle appare come una gola terrificante, sperduta tra

le rocce bruciate dal sole. Nelle viscere di questo arido deserto furono sepolti i faraoni del così detto Nuovo Regno. Siamo arrivati all’ingresso, passando tra le voci assordanti e incomprensibili dei venditori, in mezzo a decine di bancarelle, piene di tuniche di seta colorata, cappelli da sole, borse e souvenir di ogni genere. Per raggiungere le tombe utilizziamo uno degli appositi trenini su gomma, che sostano sul grande piazzale d’ingresso. Col trenino, ci fermiamo all’altezza della tomba di un faraone del Dodicesimo secolo a.C.: Ramses II. E’ tra le prime del percorso. La nostra guida, Jamal, inizia la sua illustrazione. Si tratta della tomba più grande, disposta su diversi piani, ma incompleta. Fu scoperta nel 1825. Ci siamo inoltrati all’interno, attraversando una stretta galleria che conduce al tempio sotterraneo. All’interno è vietato fotografare. Questi luoghi conservano, ancora oggi, dopo più di tremila anni, tutto il fascino della loro imponenza architettonica e delle loro pitture cariche di colore. La tappa successiva è dedicata alla visita della tomba del faraone Thotankamon, morto giovanissimo, nel Tredicesimo secolo a.C. All’interno, le dimensioni sono modeste, ma la bellezza dei dipinti e del sarcofago è unica. Fra le 62 tombe della valle, questa è stata scoperta per ultima: nel 1922. Le sbalorditive ricchezze, rinvenute all’interno, sono custodite nel museo del Cairo.

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Poi, ci spostiamo dove sorge il complesso monumentale di Deir el-Bahari, un grande anfiteatro naturale, dove si eleva il grandioso tempio della regina Hatshepsut che, verso il 1500 a.C., aveva riportato la necropoli al massimo splendore.

Nel 1997, molti turisti che si trovavano nei pressi di questo monumento vennero massacrati da un attentato terroristico. Si pensa che l'attacco sia stato istigato da alcuni leader in esilio di un'organizzazione terroristica del fondamentalismo islamico, che cercavano di danneggiare l'economia egiziana, vedendo nel turismo una delle maggiori entrate in valuta pregiata del paese. Questa strategia mirava a provocare una repressione governativa che, nelle intenzioni degli ideatori, avrebbe dovuto rafforzare le forze politiche d'opposizione, ostili al regime autoritario del presidente Mubarak.

Con il bus percorriamo la distanza che ci separa dalla Valle delle Regine, situata a meno di due chilometri verso nord. Nella valle sono state scoperte 80 tombe, alcune delle quali riguardano anche i figli dei faraoni deceduti in giovane età. Altre sono incomplete o gravemente danneggiate. Qui è d’obbligo la visita della tomba della Regina Nefertari, moglie del faraone Ramses II. Tra le varie informazioni storiche della guida, annotiamo l’anno della scoperta, avvenuta nel 1904 da parte di una spedizione archeologica italiana. All’interno, si nota che le dimensioni degli spazi sono inferiori a quelli riservati ai faraoni. I dipinti sulle pareti, dalle forme vivaci, sono di tono minore e rappresentano momenti meno solenni.

Ritorniamo a bordo del nostro bus e, dopo aver superato un villaggio, aggrappato al pendio roccioso di una brulla collina, arriviamo in una vasta piana circondata da vegetazione. Qui, distanti una decina di metri, uno dall’altro, si ergono i colossi di Memnon. Le due grandi statue monolitiche, alte più di 15 metri, raffiguranti il faraone Amonofis III, sono l’ultima testimonianza di un grande tempio del Quindicesimo secolo a.C.

Fuori, nonostante la brezza, fa caldo. L’aria condizionata del bus ci rinfresca sino all’arrivo sulla riva del Nilo. Qui entriamo in un ristorante galleggiante, ancorato sulla sponda del fiume, dove ci attende un abbondante buffet. C’è di tutto: minestre, carni, verdure crude e cotte, frutta e dolci. Ci sono anche gli spaghetti conditi al pomodoro. Le bevande sono tutte analcoliche. Nei locali pubblici le bevande alcoliche sono severamente vietate. Le verdure e tutti gli alimenti crudi, che sono stati a contatto con l’acqua, sono sconsigliati dalle norme di comportamento preventivo del turista: si corre il rischio di prendere un’infezione batterica.

Dopo il pranzo, si riparte per attraversare il fiume con delle piccole imbarcazioni a motore. Sulla sponda orientale si trova il sito archeologico del tempio di Luxor, inglobato nel tessuto urbano dell’attuale città. Costruito in gran parte dal faraone Amonofis III, nel Tredicesimo secolo a.C. il tempio fu ingrandito, durante la dinastia successiva, da Ramses II. Il luogo sacro era collegato al tempio di Karnak da un lungo viale con sfingi di pietra a testa umana. Di questa immensa opera, è rimasta visibile la prima parte, che rimane uno dei più affascinanti esempi di architettura egizia.

Raggiungiamo Karnak in bus, situata a circa tre chilometri, a nord della città. Nonostante il sole battente e la temperatura elevata del primo pomeriggio, ci addentriamo tra le maestose colonne rimaste. La parte principale è formata dal grande tempio di Amon: edifici, cortili e dieci grandi piloni. Jamal ci invita a misurare la circonferenza di una colonna. Dieci persone si prendono per

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mano a braccia larghe, in giro alla colonna: la circonferenza misura più di 15 metri. Poi, si riparte verso la “Nile Crown”.

In crociera sul Nilo

Nell’atrio d’ingresso della motonave, il personale di servizio è schierato ai lati per darci il benvenuto a bordo. Ci offrono un drink dissetante a base di limone. Alcuni partecipanti rifiutano la bibita, ma poi ci ripensano, dopo essere stati rassicurati che il ghiaccio è fatto con l’acqua minerale.

La motonave scioglie gli ormeggi e inizia a scivolare dolcemente sull’acqua calma del Nilo. Avevo sentito dire che risalire il fiume Nilo, a bordo di un battello, era il modo più affascinante per conoscere la civiltà faraonica. E che, viaggiando con la luce del giorno, non si riesce a staccare lo sguardo dal paesaggio che scorre lentamente. Era proprio vero! Dal ponte della motonave, la navigazione scorreva lenta nel silenzio più profondo. Le piccole abitazioni sono circondate da una fitta e incantevole vegetazione. Dove c’è il Nilo, c’è la vita. Dove non c’è il fiume, c’è il deserto. Prima della costruzione della diga di Assuan, durante le inondazioni

stagionali, l’acqua depositava una spessa coltre di limo, fertilizzando i terreni destinati all’agricoltura. Sulle rive, gli antichi egizi hanno costruito villaggi e città, templi e necropoli. Un po’ stanco, ma soddisfatto di trovarmi in questa sorta di paradiso terrestre, mi butto sul letto della mia cabina e mi abbandono a un provvidenziale relax. La sera, dopo la cena buffet, ci siamo recati nuovamente sul ponte della nave per assistere alle operazioni di transito della chiusa di Esna. La motonave si era fermata e aveva attraccato in attesa del proprio turno. Nel frattempo, alcuni ambulanti, con delle piccole imbarcazioni, si sono avvicinati allo scafo della nave per mostrarci alcuni prodotti di artigianato locale. I venditori cominciano a gridare da lontano i prezzi, in italiano, delle merci, lanciando dei pacchi verso di noi, a bordo. I turisti che trattengono la merce, a loro volta, lanciano ai venditori un pacchetto contenente la somma pattuita. L’operazione di sollevamento della nostra imbarcazione avviene in pochi minuti attraverso un sistema di chiuse che innalzano il livello dell’acqua.

Di primo mattino, mentre ci prepariamo per il primo sbarco, una ricca vegetazione di bassi cespugli, piccoli banani e splendide palme, mosse dal vento, scorre sempre più lentamente. Stiamo per arrivare a Edfu, un centinaio di chilometri a sud di Luxor. La località è situata sulla riva occidentale. Nell’era faraonica fu un importante centro dell’Alto Egitto. C’incamminiamo sulla terra ferma per la visita del tempio di Horus, il dio dalla testa di falco. Si tratta del più grande tempio faraonico, dopo quello di Karnak, e sicuramente uno tra i meglio conservati, grazie allo spesso strato di sabbia sotto cui fu sepolto per secoli. Prima di entrare, ci fermiamo a curiosare nell’antistante mercatino. L’entrata è maestosa: un alto e robusto pilone con le pareti che raffigurano adorazioni degli dei. Ai lati dell’ingresso, fanno da guardia due grandi falchi di granito nero. Il tempio è completamente decorato a bassorilievi, con varie rappresentazioni. La nostra guida, nel corso della visita, ci illustra il percorso storico e i vari significati dei bassorilievi. La costruzione risale al 327 a.C. Attraversata la porta di ingresso, si entra nel cortile che è circondato su tre lati da un totale di 32 colonne con i capitelli composti da diversi motivi plastici floreali. Le colonne sono scolpite con rilievi che rappresentano il re con le divinità di Edfu. Il tempio è circondato da un corridoio, dove si aprono dieci sale laterali. Qui venivano custoditi gli oggetti di culto e si svolgevano liturgie. In una

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di queste stanze è conservata la barca sacra che, ogni anno, si usa ancora trasportare sul Nilo la statua di Horus fino alla città di Dendera. Prima di prendere la via del ritorno, all’uscita del tempio ci fermiamo a contrattare i prezzi, tra bancarelle di bigiotteria, colorate di stoffe.

Sulla nave si pranza a buffet. La cucina è internazionale: c’è di tutto per tutti i gusti. Una hostes dell’agenzia ci informa che tutti gli alimenti sono stati selezionati e preparati con la massima cura. Frutta e verdura cruda sono state lavate in appositi contenitori con acqua disinfettata. Dopo il pranzo ci siamo sdraiati al sole, in costume da bagno, sul ponte, nei pressi della piscina. Il clima caldo, secco e ventilato, è gradevole anche se il termometro segna 36 gradi. Qualche breve immersione in acqua, nella piccola vasca, contribuisce a rinfrescarci durante il relax. Avvolti dal tipico paesaggio della valle del Nilo, la vista è stupefacente. Nonostante l’insolito e profondo silenzio, non riesco a stare sdraiato tranquillamente a prendere il sole. Mi sposto da un angolo all'altro del ponte per poter immortalare con la mia macchina fotografica ogni momento di questo fantastico paesaggio della natura. Al cielo leggermente azzurro, piatto e monotono, si contrappone una striscia verdeggiante, ricca di palme e di campi coltivati. Subito dopo, al di là, il giallastro deserto del Sahara. Stiamo risalendo il corso del fiume verso sud. Alla nostra destra, abbiamo il deserto libico, alla sinistra quello arabico. Lungo il fiume, si notano capanni di contadini, spesso con mucche e bufali all’abbeverata, villaggi di case in mattoni, basse e rettangolari, talvolta sovrastate da minareti che stagliano verso il cielo. Ci sono i campi, dove ogni tanto spunta un vecchio trattore. L’acqua azzurra del Nilo è solcata dalle motonavi da crociera, simili alla nostra, che incrociamo numerose e da alcune tipiche imbarcazioni a vela: le feluche. Con il passare delle ore, continuando verso sud, sulla destra il deserto si fa sempre più vicino e si cominciano a distinguere le dune di sabbia. Sulla sponda opposta, invece, c’è ancora abbondanza di verde.

Nel tardo pomeriggio avvistiamo Kom Ombo. Le grandi colonne del tempio, illuminato dal sole, si notano da lontano, in cima a un piccolo promontorio, verso ovest. Ci prepariamo per lo sbarco con qualche piccola difficoltà. Tutti i moli sono occupati e la nostra motonave è costretta ad affiancarsi a un’altra motonave in sosta. Per scendere a terra siamo costretti ad attraversarla. Il tempio è lì, a due passi. Il nostro Jamal ci spiega che il luogo sacro fu dedicato a due divinità: Sobek, il dio coccodrillo e Haroeris, altro dio dalla testa di falco. Si tratta di due costruzioni, perfettamente uguali, in ognuna delle quali venivano adorati i due

dei dell’antico Egitto. Di straordinario interesse è il calendario, scolpito su una delle pareti del tempio, antenato dell’attuale calendario gregoriano: 12 mesi, divisi in 365 giorni. Un’altra parete mostra gli strumenti chirurgici usati già all’epoca e le posizioni ideali per le partorienti. Al centro del cortile c’è il “Nilometro”: un grande pozzo collegato al fiume che serviva per misurare le piene annuali del Nilo. La visita del tempio ci offre anche l’occasione di vedere alcuni coccodrilli mummificati. E’ iniziato il tramonto. L’abbagliare del sole si spegne lentamente prendendo i colori del fuoco. Il rosso si espande a vista d’occhio sul cielo e sulla terra. Le maestose colonne del tempio si colorano di arancio e mettono in evidenza geroglifici e pitture dai tenui colori. Questo scenario si specchia sull’acqua calma e addormentata del fiume che diventa sempre più colorata.

Assistiamo a questo incantevole spettacolo della natura anche dal ponte della motonave, lo filmiamo e lo fotografiamo fino a quando la luce scompare. Sulla nave è stata organizzata una serata d’allegria, con il ballo in costume tipico locale. Molti turisti, in particolare le signore, vestono la tunica tradizionale, dai diversi colori e disegni: si chiama gabjia. Si trovava in vendita, per dieci

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euro, in tutte le bancarelle che abbiamo visto durante questi giorni. Tra un ballo e l’altro abbiamo fatto mezzanotte. Poi ci siamo ritirati a dormire nelle rispettive cabine, cullati dalla calma del Nilo.

Nella mattinata di giovedì, dopo un’abbondante prima colazione, attendiamo di sbarcare ad Assuan, l’antica Syene. L’azzurro del cielo è nitido e uniforme, fino all’orizzonte. Il vociare continuato dei gruppi di turisti, che si preparano alla partenza dell’escursione in pullman, diventa sempre più fastidioso. Qui, l’acqua del fiume ha mutato il suo aspetto: non più liscio e tranquillo, ma un agitarsi improvviso in sbalzi e mulinelli fra le rocce delle rive. Qui finisce la Valle del Nilo e quel dolce, tipico paesaggio. Non più il verde dei palmeti e dei campi coltivati, che seguivano le anse del fiume, ma chilometri di sabbia deserta.

Col bus riservato, ci dirigiamo alle cave di granito. Dopo la costruzione della grande diga, con lo scopo di regolare il flusso delle acque del Nilo, la città è diventata la più importante dell’Alto Egitto. Assuan non è molto ricca di storia, ma la sua posizione con il clima mite e particolare, la rendono molto affascinante. Fin dal terzo millennio a.C. questo era un luogo di scambi commerciali, ai confini con la regione della Nubia, che vuole dire“oro”, terra di conquista e di sfruttamento. Arriviamo alle cave, dove si trova ancora, disteso, un obelisco incompleto di 42 metri. La guida ci spiega che

i lavori non sono stati completati, a causa delle rotture provocate in alcuni punti. Superata la diga vecchia, la strada arriva sopra la diga alta, che fu ultimata nel 1970. Scendiamo per fotografare la prima parte del Lago Nasser, che si estende verso sud per ben 500 chilometri, fino al confinate Sudan.

I templi del deserto

Poco distante da Assuan c’è l’isolotto che ospita il tempio di Philae. Nel tempio, venivano i sacerdoti a celebrare i riti sacri. Una spedizione italiana si occupò di Philae, che smontò il tempio per ricollocarlo sulla nuova isola,

ricreando le stesse identiche condizioni del luogo originario. Il progetto di salvataggio dell’Unesco riguardava diversi templi della Bassa Nubia, che furono smontati a pezzi e ricollocati in zone più sicure. Noi ci siamo recati sull’isola con la feluca. Durante il percorso, siamo stati tormentati da un venditore di bigiotteria. Il grande pilone d’ingresso ci era apparso simile a quello di Edfu. Infatti, le spiegazioni della guida, ci confermano che si tratta di uno dei tre templi tolemaici meglio conservati. Sulle pareti: la nascita e l’educazione di Horus; la madre che lo protegge e lo allatta; il mito che

celebra Osiride, legato alla morte e alla resurrezione. Sulla riva, ci soffermiamo nel Padiglione di Traiano, che era il luogo di attracco della barca sacra della dea.

Prima del pranzo, c’è una sosta da Kyphi Perfumes, la showroom delle essenze profumate. Assuan, infatti, è la patria di queste sostanze concentrate, da cui si ricavano i più importanti e famosi profumi, venduti sul mercato internazionale. L’accoglienza è ospitale, e alcune eleganti giovani egiziane ci fanno accomodare in un salotto. Poi ci servono il te, mentre gli esperti ci decantano, nella nostra lingua, i vari tipi di essenze. I prezzi non sono cari, e molte signore fanno l’acquisto.

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La feluca, con la sua maestosa vela bianca, ci trasporta sull’isola di Kitchener, scivolando silenziosamente sull’acqua. Due ragazzini ci affiancano con una rudimentale barchetta di legno. Remano animatamente, usando delle palette di ping-pong. “Euro” è l’unica parola italiana che sanno pronunciare. A un signore era scivolata dalla mano una monetina e, uno dei due, si è tuffato in acqua per recuperarla. L’Egitto è anche questo. Sull’isola c’è il giardino botanico con palme maestose, piante e fiori tropicali. Qui, l’eccezionale clima mite favorisce la vita delle bouganville e di meravigliose orchidee, che riempiono l’isola di colore ed eleganza. Tutt’intorno, la vista è stupenda. In lontananza, decine di feluche, con le loro vele, punteggiano di bianco l’azzurro del fiume. Anche le forme e i colori di qualche sporadico ed elegante albergo, talvolta, s’intonano col giallo desertico delle rive rocciose, sovrastate dal verde della vegetazione. Al tramonto, tutto s’infiamma di un rosso pallido, anche il mausoleo in arenaria rosa dell’ Aga Khan, che vediamo da lontano, sulle cima di un promontorio. Stiamo navigando sul fiume verso il deserto, dove ci attendono per una cena nubiana. Sulla riva sinistra, tra i bassi canneti, alcuni aironi bianchi, dal becco lungo e diritto, stanno pascolando con le zampe dentro l’acqua. Al nostro passaggio, alcuni si spaventano, e si alzano in volo mostrandoci le ali larghe e molto lunghe. A destra, ai piedi del secco promontorio desertico, ancora illuminato dal sole, sta transitando un’escursione turistica in dromedario: una lunga carovana, in fila indiana, avanza agevolmente nella sabbia.

Quando sbarchiamo, il sole sta per scomparire all’orizzonte. Assistiamo al tramonto dalla cima della duna, dove siamo saliti con fatica, affondando coi piedi nella sabbia. In compenso, da lì si può godere un’incantevole spettacolo di colori: a ovest quelli del fuoco, che si dileguano lentamente; a est il giallo caldo del deserto e delle case di Assuan, avvolte dalle luci del tramonto; a nord il verde

della vegetazione della lunga Valle del Nilo; a sud l’azzurro dell’immenso Lago Nasser. Il ristorante è stato allestito sotto una grande tenda. Sui lati sono stati disposti eleganti tendoni rossi. Di fronte è appesa una grande seta nera con sopra tre immagini dorate del giovane faraone Thotankamon. Per pavimento: tappeti colorati. I tavoli sono molto bassi e, al posto delle sedie, troviamo dei grandi cuscini tondi. La cena è a base di carne di montone, cucinata alla griglia. La gustiamo assieme a diverse pietanze e verdure, che sono state disposte sui tavoli a buffet. Dopo la cena, assistiamo allo spettacolo all’aperto: musica e danze tradizionali del deserto.

Col buio della sera, il ritorno con l’imbarcazione è molto suggestivo. Lo scoppiettio del piccolo motore rompe il silenzio, tra i riflessi dell’acqua e il lontano luccicare delle case e delle insegne al neon. Arriviamo alla nostra motonave un po’ stanchi. Ciononostante, la serata prosegue con un divertente e coinvolgente spettacolo di danze tipiche nubiane. Ma, a una certa ora, conviene andare in camera a preparare i bagagli. Domani, si parte molto presto, prima dell’alba. Abbandoneremo definitivamente la “Nile Crown”. La nostra crociera sul Nilo sta per finire.

Ci hanno dato la sveglia nel cuore della notte. La partenza era prevista alle tre, ma alcune persone del nostro gruppo stavano male. Allora mi sono messo in contatto con il numero telefonico dell’agenzia, che ha deciso di inviare un medico. L’intervento del sanitario è stato immediato, e ha prestato le cure del caso. Si trattava di infezioni batteriche, la cosiddetta “malattia del viaggiatore”, molto comune da queste parti. Il pullman, munito di toilette, parte al gran completo per la traversata del deserto. Ci fermiamo subito dopo, nei pressi di una caserma militare. Si riparte solo, dopo aver formato una lunga colonna di bus e automezzi carichi di turisti, diretti a Abu Simbel. La lunga carovana è scortata dagli autoblindo delle forze armate egiziane. Alcuni anni fa, una comitiva di turisti tedeschi che viaggiava in bus, fu trucidata dai guerriglieri. Da allora, il turismo locale ha

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subito una lunga battuta d’arresto. Poi, col tempo, ha ripreso gradualmente, facendo fare ai turisti questo percorso in aereo. Solo recentemente, le autorità locali hanno deciso di riaprire la strada ai turisti, sotto la scorta armata dei militari. La strada è asfaltata, a due corsie, tutta diritta verso sud. Il bus ha una velocità sostenuta, ogni tanto sobbalza, e noi non riusciamo a riprendere il sonno. Gli ammalati fanno continuamente la spola alla toilette. Fuori, un’aurora infuocata cede lentamente il passo all’abbagliante luce dell’alba, che ci offre la vista di un immenso roseo deserto. Ogni tanto, ai lati della strada, spunta una garitta militare. Verso le otto del mattino, dopo 280 chilometri, compaiono alcune case.

Siamo a sud del Lago Nasser, quasi ai confini con il Sudan. Stiamo finalmente per arrivare ad Abu Simbel. Qui, si trova la costruzione più affascinante, realizzata per volontà di Ramses II, il più grande faraone della storia egiziana. Dopo un breve tragitto a piedi, il primo tempio ci appare in tutta la sua bellezza e il suo splendore! La vista dei quattro colossi seduti, alti una ventina di metri, lasciano senza parole. Di fronte al tempio c’è l’azzurro intenso del Lago Nasser. Con la nostra guida

Jamal, ci portiamo davanti al tempio. E’ la costruzione più grande e importante, salvata dalla gigantesca opera dell’Unesco, dopo la costruzione della grande diga di Assuan. Originariamente, tutta la collina si trovava 200 metri più lontano e 64 metri più in basso. I lavori di traslazione della collina rocciosa, in cui era stato scolpito il tempio, durarono 5 anni. Una delle statue di Ramses è stata decapitata, a causa di un recente terremoto; la testa si trova per terra. Sopra la porta di entrata, in una nicchia scavata nella roccia, c’è la statua del dio Ra’ Ho Akthi, il dio falco, unito al disco solare; il dio ha, nella mano destra, il simbolo della

prosperità e nella sinistra quello della giustizia. Dentro, a 65 metri dalla porta d’ingresso, si giunge nel luogo più intimo e segreto del tempio: il sacrario. In questo luogo, il faraone glorificò se stesso, come dio tra gli dei. Terminata la visita, giriamo a sinistra, dove a un centinaio di metri è situato il piccolo tempio di Hathor, dedicato alla sposa del faraone: la regina Nefertari.

Il Cairo e il museo egizio

Dopo una sosta ristoratrice, facciamo ritorno al piazzale dei bus. Sul percorso pedonale troviamo un grande sfoggio di bancarelle. Con il nostro bus prendiamo la via dell’aeroporto. Dopo un’ora di sorvolo del deserto, avvistiamo il Nilo e le prime abitazioni, circondate da campi e vegetazione. Le costruzioni diventano sempre più fitte e più grandi: sono i primi quartieri della capitale. Il Cairo, con i suoi 18 milioni di abitanti, è la più popolosa fra le città africane. Jamal ci svela che il suo nome deriva dall’arabo al-Khaira che significa “la vittoriosa”. Dal 1250 al 1517, l’epoca dei Mamelucchi rappresentò per il Cairo un importante periodo di sviluppo, proseguito dagli Ottomani, che favorirono importanti attività commerciali. L’opera di urbanizzazione e ammodernamento continuò anche durante il regno di Mohamed Ali, dei suoi successori e dopo la rivoluzione del 1952. All’aeroporto della capitale ci attende un bus riservato per trasportaci in centro. Scendiamo per la visita della moschea di Mohamed Ali, nella cittadella di Saladino. Costruita nel 1830, la moschea è un gioiello dell’architettura araba, diventata l’emblema della città. L’opera è caratterizzata da una gran quantità di alabastro e, all’interno, è illuminata da numerosi lampadari di cristallo concentrici, sospesi da catene.

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Per raggiungere il “Movenpick”, un lussuoso albergo a cinque stelle, il nostro bus impiega un’ora abbondante. L’hotel è situato in una zona residenziale della periferia. La costruzione, color giallo ocra, è dislocata in vari complessi, circondati da spazi di verde con palme, cespugli e aiuole in fiore. In mezzo c’è una zona ombreggiata riservata ai bagnanti. Alcuni stanno nuotando in piscina, altri stanno prendendo il sole. Le palazzine sono a due piani. La mia camera è al primo. Dopo aver sistemato i bagagli, ci prepariamo per la serata. Si cena nell’elegante e ben fornito buffet internazionale dell’hotel. Poi si riparte in bus verso le Grandi piramidi di Giza, dove assistiamo allo spettacolo serale “Suoni e luci”.

Nella mattina di sabato, il bus ci riporta in centro per la visita del Museo egizio. Fuori, il cielo è sempre sereno, ma leggermente offuscato dallo smog. Qui il clima è più gradevole che al sud. Il museo si trova nella Cairo moderna, a Midan el Tahir. Arriviamo col nostro bus, guidato da un autista spericolato. Al Cairo, i semafori non sono tanti e, quando la circolazione lo permette, i rossi dei pochi semafori che funzionano non vengono quasi mai rispettati. Così pure i limiti di velocità. Jamal ci racconta che, per ottenere la patente egiziana, l’esame di guida consiste nel percorrere in auto un tortuoso circuito curva-contro curva, tracciato coi birilli. Più birilli si abbattono e meno probabilità si ha di prendere la patente.

Nonostante la sua grande fama, il museo egizio del Cairo non è molto esteso come superficie. L’imponente edificio, color rosso amaranto, consta di due piani, entrambi di forma rettangolare, con una serie di stanze disposte attorno ad un atrio centrale e collegate da un corridoio. L’enorme cancello d’ingresso, antistante il piccolo giardino del museo, è in ferro battuto. Davanti a noi, sono molte le comitive che si apprestano alla visita. Ma l’attesa è più breve del previsto. Nel museo si trova la più importante collezione di arte egizia del mondo. I primi che si diedero da fare a raccogliere le antichità furono i consoli dei vari paesi europei. In questo modo, le collezioni formate, furono in seguito vendute in Europa e diventarono il nucleo originario delle raccolte egizie dei musei, come quello di Torino, di Parigi, di Londra e di Berlino. Qui, gli oggetti in mostra sono 136.000 e molte altre centinaia di migliaia sono conservate nei magazzini. I reperti più pregiati sono protetti all’interno delle vetrine. Gli oggetti esposti al piano terreno sono raggruppati per ordine cronologico. Appena entrati, iniziamo la rassegna dell’esposizione al piano terra, seguendo le spiegazioni della nostra guida. A sinistra, sono disposte le sale dell'Antico Regno. Poi procediamo la visita in senso orario, dove si trovano le sale del Medio e Nuovo Regno, per finire in quelle dell’età Greco-Romana. Salendo lo scalone si arriva al primo piano, organizzato in aree tematiche. I pezzi di maggior pregio sono rappresentati dalla collezione dei reperti trovati nella tomba di Thotankamon, rinvenuta nella Valle dei Re. L’affascinante maschera funeraria, in oro massiccio e pietre preziose, riproduce quasi fedelmente i tratti somatici del giovane sovrano. La sala che conteneva le 27 mummie reali di epoca antica, per un periodo, era stata chiusa al pubblico. Dopo la riapertura, è possibile vedere una selezione di mummie dei re e

delle regine del Nuovo Regno, di cui è visibile solamente il volto.

Ci portano a pranzo all’Alsaraya , un moderno ristorante a forma di nave, sulla riva del Nilo. C’è il solito buffet a cucina internazionale. Nel pomeriggio attraversiamo in pullman la città moderna per raggiungere la Cairo islamica, ai piedi della Cittadella, dove si trova la moschea del Sultano Hassan. Fatta in stile mamelucco antico, ha un minareto altissimo che sembra bucare il cielo. Nella porta principale si trova il cortile, delineato da quattro archi incassati. La costruzione della

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moschea fu finanziata con i beni delle vittime dell'epidemia di peste, che colpì la città nel 1348. Per questo motivo, il Sultano venne assassinato, due anni prima che la moschea venisse ultimata. Poi arriviamo nella vecchia Cairo, il più antico quartiere con le grandi chiese copte. In Egitto, dall'opera di predicazione svolta dai Francescani, nel 1630 si erano formate comunità cattoliche copte. Dopo aver percorso a piedi un vicolo stretto, entriamo in una di queste chiese, quella di San Sergio, molto semplice e priva di ornamenti. Nei pressi c’è anche una sinagoga, luogo di culto della comunità ebraica.

Prima del rientro all’hotel, ci portano a fare shopping nel celebre bazar di Khuan el-Khalili. E' un'area di mercato tra le viuzze del centro. Negozi e botteghe di piccole dimensioni si estendono in bancarelle ai lati della strada. Foulard, scarpe, collane, ciondoli, scatole, spezie di ogni tipo e colore, frutta e persino carne fresca, appesa in balia delle mosche. Una miriade di cose da comprare, ma non senza prima contrattarne il prezzo. Per catturare tutto il suo incanto e il suo sapore, ci inoltriamo senza guida, tra il baccano della gente, tenendo ben strette borse e macchine fotografiche. Nonostante la confusione, non ci perdiamo, basta soltanto continuare a camminare seguendo una direzione, per venire presto a capo del labirinto. Un paio d'ore di mercato, sono state sufficienti per stancare tutti.

La sera, dopo la cena, assistiamo casualmente allo svolgimento di una festa egiziana di matrimonio, che si stava svolgendo nel giardino del nostro hotel. La nostra attenzione viene attirata dall’assordante volume di musica araba moderna, piacevole e coinvolgente. I partecipanti, dall’aria signorile e dai gusti raffinati, sfoggiano abiti leggeri ed eleganti. Le tavole sono imbandite con vari piatti: diverse carni, pesci e verdure di ogni tipo. L’unica cosa, insolita per noi europei, è l’acqua: l’unica bevanda che appare sui tavoli in trasparenti bottiglie di plastica.

Le piramidi

La domenica, di buon mattino, ci rechiamo col nostro bus a Giza, a una ventina di chilometri a sud-ovest dalla capitale, sulla sponda occidentale del Nilo. Quando arriviamo, i raggi del sole stentano a filtrare la nebbiolina, che copre il cielo, sopra la piana desertica, dove si estende la necropoli dell’Antico Egitto. Al suo interno, si trovano le Grandi Piramidi e la Sfinge. Le piramidi sono dei monumenti sepolcrali di pietra, dalla base quadrata, con le pareti triangolari e oblique, i cui vertici

convergono al centro, verso l’alto. La fase principale di costruzione della necropoli avvenne attorno il Venticinquesimo secolo a.C. Sulla parte orientale del complesso di Giza sorge la Grande Sfinge Abu el-Hol, che significa “padre del terrore”. Più a nord c’è la piramide di Cheope, la più grande, l'unica tra le “sette meraviglie del mondo antico” giunta sino ai giorni nostri. A poca distanza, sono allineate in diagonale le altre due piramidi, quella di Chefren, un po’ più bassa, e di Macerino, la più piccola. Le tre piramidi principali sono attorniate da altri piccoli edifici satellite, noti come piramidi delle regine, rampe e piramidi della

valle. Ci soffermiamo nei pressi della piramide di Cheope, formata da più di 2 milioni di enormi blocchi di pietra. Ogni lato della base misura 233 metri, l’altezza è di 146 metri. Vista dal basso, dà l’impressione di un’immensa gradinata che va verso l’infinito. Poi percorriamo a piedi il sentiero, di quasi un chilometro, che gira attorno alla piramide. Sul percorso, incontriamo alcune guardie in

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groppa al dromedario che ci salutano: “Ciao Italia”. A causa dei lavori di messa in sicurezza, non è possibile visitare la grande piramide al suo interno.

Proseguiamo la nostra escursione giornaliera in bus. Facciamo una piacevole sosta al “Mena Papirus”. All’interno c’è un’esposizione di pitture su papiro, la carta che si usava fin dai tempi antichi. Questa, si ricavava da una canna di palude che si trova ancora sulle rive del Nilo. Ci fanno vedere come la pianta viene tagliata, in tante strisce lunghe e sottili, che poi vengono immerse nell’acqua. Le strisce sono disposte, affiancando le une alle altre, fino a formare un unico foglio. Sopra a questo primo strato, viene deposto un secondo, con le fibre disposte in senso perpendicolare alle precedenti. Le sostanze naturali presenti nella struttura vegetale della pianta di papiro consentono un tenace incollaggio dei vari strati, man mano che essi si asciugano, sottoposti a opportuna compressione. Il risultato è quello di un foglio assai resistente. Alla fine, tutti a comprare papiri che rappresentano scenari, faraoni e regine. Pranziamo in un agriturismo di campagna. Il buffet è quello di ogni giorno, l’unico prodotto locale è il pane, che viene cucinato da due donne vestite di nero in un piccolo forno all’aperto, in mezzo a centinaia di mosche. La forma del pane è rotonda e piatta, come la pasta della pizza.

Nel primo pomeriggio, sotto il sole cocente, arriviamo nella necropoli di Sakkara. L’area delle rovine è lunga otto chilometri e larga uno. Qui, i resti dei monumenti rappresentano tutte le principali dinastie storiche. Scendiamo dal bus nei pressi della cittadella funeraria di Zoser, dove c’è la piramide a gradoni, rifinita in pietra squadrata. Le dimensioni sono modeste, alta una sessantina di metri, ha la base rettangolare. Sotto la piramide fu scoperto un numero straordinario di gallerie, cunicoli e stanze. Passiamo tra i resti delle colonne del Tempio funerario e arriviamo alla base di un enorme pozzo, dove c’è la tomba in granito del re.

Col bus, riprendiamo la strada verso la capitale. Ci fermiamo a Menfi. L’antichissima capitale si chiamava Mennof-Ra e si estendeva per 15 chilometri, da Giza a Sakkara. Dell’antico splendore, oggi rimane soltanto qualche rudere, tra cui quelli del famoso tempio di Ptah, dove venivano incoronati i faraoni. Davanti a un pilone del tempio, sorgevano due statue colossali di Ramses II. Andiamo a vedere una delle statue, distesa in un grande capannone, menomata di una gamba e di ambedue i piedi. L’altra è stata trasportata al Cairo e ubicata nella piazza della stazione. Nel giardino attiguo c’è la Sfinge di Amonofis II, realizzata in un unico blocco di alabastro.

Dopo una breve sosta tra le baracche del mercatino, col pullman ci fermiamo nei pressi della farmacia del centro abitato. Da quello che si vede fuori, si ha la sensazione che la gente viva in una povertà impressionante. Le abitazioni e i negozi sono fatiscenti. Ai bordi della strada c’è di tutto, vecchio e sgangherato. Una donna, col solo viso scoperto, sta cavalcando un asino bianco con un carico di piante di granoturco ancora verdi. Un gruppo di ragazzini, malvestiti e sporchi, si ammassano all’ingresso del nostro bus. Una signora del gruppo si avvicina e getta verso di loro delle monetine. La rissa per il possesso di qualche cent è indescrivibile. Questo è l’Egitto dei nostri giorni. La sera, mentre stavamo passeggiando tra le luci e i splendori della capitale, pensavo a questi posti, e a quella gente, che lotta per sopravvivere. Qui c’è veramente un abisso tra il tenore di vita della borghesia e la stragrande maggioranza della popolazione.

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L’ultimo giorno, lunedì 2 giugno, rinunciamo alla balneazione in piscina per andare a visitare le cinque piramidi di Dahshur, nel deserto, nei pressi di Sakkara. La prima, in mattoni crudi, è del 1840 a.C. Più a sud si trovano le altre piramidi del 1900 a.C. Tra queste c’è la cosiddetta ”piramide rossa”. L’ultima è la famosa “piramide romboidale”, dalla forma particolare, ma la meglio conservata della necropoli. Dopo un prelibato pranzo al ristorante del “Movenpick”, nel pomeriggio, ci trasferiamo con i bagagli all’aeroporto per il volo di rientro a Bologna. A notte inoltrata, siamo di ritorno a casa.

Sul Mar Rosso

L’interessante itinerario storico dell’Egitto mi aveva entusiasmato. Ma mi mancava la parte più bella e naturalistica del paese: la costa del Mar Rosso, con le meravigliose barriere coralline. Così, dopo un paio d’anni, ho deciso di ritornarci assieme a mia moglie. Avevo prenotato un soggiorno di una settimana a Sharm el Sheikh, al “Coral Beach Montazan” nell’ottobre del 2010. Alcuni amici, che conoscevano la zona, mi avevano consigliato questo hotel. Era sul mare, in una zona tranquilla, distante una quindicina di chilometri dal centro. Qui, la barriera corallina era ancora intatta, non deturpata dalle continue e devastanti incursioni dei turisti.

Partiamo nella tarda serata con un volo dall’aeroporto di Verona e arriviamo all’hotel con le prime luci dell’alba. La struttura alberghiera è di recente costruzione. Dislocata in diversi padiglioni, fra giardini fioriti, bouganville e palme, si estende sopra un promontorio. Da qui, si gode una vista spettacolare verso l’azzurro del mare. Abbiamo chiesto una camera vicino alla spiaggia. Davanti c’e una piscina, poi la sabbia fine, color oro. Gli ombrelloni sono fissi, di legno, col tettuccio conico di foglie di palma secche intrecciate. Subito dopo, c’è l’acqua cristallina del mare. Un pontile galleggiante, chiamato jetty, porta i bagnanti sopra la barriera corallina, denominata reef. Di fronte, a est, si vede a occhio nudo l’arido promontorio desertico della costa araba.

Il Mar Rosso si sviluppa lungo una sezione settentrionale della massiccia faglia che separa la placca tettonica africana da quella asiatica, chiamata “Great Rift Valley”. Si estende dalla valle del Giordano, attraversa il Mar Morto e prosegue per migliaia di chilometri fino ad arrivare in Mozambico. Il mare occupa circa due mila chilometri di questa enorme fenditura, comunicante con l’Oceano Indiano. A nord, attraverso la costruzione del canale di Suez, il Mar Rosso è stato collegato al Mare Mediterraneo. Sulla sponda occidentale, oltre l’Egitto, bagna il Sudan e l’Etiopia; su quella orientale, l’Arabia Saudita e lo

Yemen. Noi ci troviamo sulla costa orientale della penisola del Sinai, alcuni chilometri più in alto, da Sharm verso Dahab.

Nonostante la stanchezza, dopo il viaggio notturno, avevo deciso di mettermi in costume da bagno per godermi la mia prima barriera corallina. Le affascinanti formazioni coralline, che rendono così celebre e incantevole questo mare, ospitando una ricca e colorata fauna marina, rappresentano un patrimonio naturale impareggiabile. Esplorarlo con maschera e pinne è un’esperienza che avevo sempre desiderato fare. Per la sua ricchezza faunistica e la bellezza dei suoi fondali, questo mare è stato definito dagli arabi “il giardino di Allah”.

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Qui, la conformazione corallina si estende, da pochi metri dalla riva, fino alla barriera. Il livello del mare è quindi molto basso e la balneazione può avvenire solo oltre la barriera stessa, in mare aperto. Alla fine del pontile, il blu del mare, leggermente increspato, assume una tonalità molto forte. Per entrare in acqua è indispensabile servirsi delle apposite scalette. L’acqua cristallina, molto ricca di sale, mi sostiene a galla; è calda e trasparente e il sole riesce a penetrare fino in profondità. Mi lascio trasportare, mi affido alla sua corrente lenta. Il mio primo sguardo sulla parete della barriera è emozionante. Uno scenario coloratissimo: un giardino di coralli viola, che si lasciano cullare dalle correnti del fondale; si alternano, sovrastano e si nascondono sotto coralli bianchi, rosa e arancione. Centinaia di pesci meravigliosi, dai colori sgargianti, dalle dimensioni e forme diverse, si muovono lentamente. Tra i pesci che abitano la barriera corallina di queste acque, i più conosciuti sono: la cernia, la murena, il pesce napoleone, e poi i pesci: angelo, leone, farfalla, pappagallo e pagliaccio. Quando sono ritornato in camera, ho potuto constatare che il mio primo snorkeling era durato la bellezza di due ore. Il tempo era volato, travolto da tanta meraviglia. Per una settimana, ogni mattina, al risveglio, prendevo pinne e maschera con boccaglio, e mi immergevo nell’acquario, tra pesci e coralli. Un’esperienza fantastica e indimenticabile.

Al “Coral Beach Montazan” abbiamo prolungato la nostra estate. Il sole tramontava presto, dietro il promontorio e la temperatura diventava più sopportabile e gradevole. Il trattamento “all inclusive” prevedeva l’utilizzo dell’attrezzatura da spiaggia e il libero consumo di bevande analcoliche. Il ristorante offriva un servizio buffet ben fornito, molto assortito, con piatti di qualità. A quattro passi dalla nostra abitazione, a fianco della piscina, c’era il Sharks Bay Restaurant e, qualche sera, abbiamo voluto provare le sue specialità a base di pesce. Abbiamo trascorso delle serate tranquille e divertenti, sotto le stelle, per assistere a giochi, spettacoli teatrali, musica e balli sulla spiaggia.

Solo l’ultima sera siamo usciti per partecipare all’escursione in pullman per Naama Bay. Rinomata per la sua barriera corallina, la località è un’ambita meta turistica, frequentata ogni anno da migliaia di visitatori. Le acque della sua baia sono ideali per fare snorkeling e immersioni. Naama Bay, che si trova all’estremità sud della penisola, è la zona sul versante egiziano del Mar Rosso con la maggiore densità di alberghi e villaggi turistici. E’ famosa anche per la sua vita notturna, per i negozi e i centri commerciali che sorgono nei pressi della via principale. Nel 2005, una serie di attacchi terroristici suicidi aveva preso di mira il centro di Naama Bay provocando a molte vittime e sconvolgendo il turismo locale. Per prima cosa, la nostra guida ci ha portato a vedere la moschea. Non è possibile accedere al suo interno, ma si possono scattare foto dai due portoni principali. E' una moschea di recente costruzione, con un alto minareto illuminato e belle colonne di marmo di Carrara, dedicata al capo di stato egiziano Mubarak. L'interno è elegante, con pietre preziose, ori e dipinti. Poi siamo andati a passeggio lungo il Boulevard Principe del Bahrain, tra bar con tavolini e divani all’aperto, dove centinaia di persone siedono, bevendo bibite o fumando il narghilé. Qui, luci e suoni si mescolano fino a notte tarda.

Con la partenza del volo di ritorno, lasciamo definitivamente il calore dell’Egitto. Di Sharm el Sheikh rimane il ricordo delle incantevoli meraviglie del fondo marino. L’itinerario storico, lungo il fiume Nilo e nella capitale è stata un’esperienza affascinante, che consiglio a tutti di fare.