54
Y oga T itolo della tesi Candidato Eleonora Rasetto Sergio Spinoglio Istituto Superior e F ormazione Insegnanti ISFIY di Milano corso 2004/2008 Relatore “la Meditazione nell'Āsana”

Istituto Superiore Formazione Insegnanti Yoga Sergio - La meditazione... · Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana” 2 1. INTRODUZIONE Immaginatevi una donna in

  • Upload
    buinhi

  • View
    225

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Yoga

Titolo della tesi

Candidato

Eleonora Rasetto Sergio Spinoglio

Istituto SuperioreFormazione Insegnanti

ISFIY di Milano corso 2004/2008

Relatore

“la Meditazione nell'Āsana”

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

1

INDICE

1. INTRODUZIONE ........................................................ Pag 2 2. DAI TESTI DELLA TRADIZIONE ........................... Pag 3 2.1 Il sādhana, cammino yogico. Yoga-sūtra 2 ...................................... Pag 3 2.2 Āsana stabile, immobile ed agevole. Yoga-sūtra 2,46 ...................... Pag 6 2.3 Mente concentrata sull'infinito, ananta. Yoga-sūtra 2,47 ................ Pag 9 2.4 Interruzione di disagio dalle coppie di opposti. Yoga-sūtra 2,48 ..... Pag 10 2.5 I guṇas e annamāyākośa. Bhagavadgītā e Yoga-sūtra 2,18 ............ Pag 12 2.6 Abyāsa e vairāgya. Bhagavadgītā e Yoga-sūtra 1,12 ....................... Pag 14 2.7 Dhyāna sopprime le modificazioni dei kleśa. Yoga-sūtra 2,11 ......... Pag 16 3. REALIZZARE UN ĀSANA ........................................ Pag 19 3.1 Āsana come elemento di decondizionamento posturale e mentale .... Pag 19 3.2 Āsana come trasformazione della coscienza ..................................... Pag 20 3.3 Āsana come esplorazione della realtà ............................................... Pag 21 3.4 Āsana, ponte dall'io al sé ................................................................... Pag 22 4. ALCUNI ĀSANA PER MEDITARE ......................... Pag 24 4.1 Preparazione alle posizioni meditative ............................................. Pag 24 4.2 Alcune posizioni meditative .............................................................. Pag 25 4.3 Effetti e controindicazioni ................................................................. Pag 30 4.4 Il prāṇayāma negli āsana meditativi ................................................ Pag 32 5. L'AMBIENTE, IL LUOGO, IL TEMPO .................. Pag 35 5.1 Premessa ........................................................................................... Pag 35 5.2 Quando e dove è meglio meditare .................................................... Pag 36 6. UNA MEDITAZIONE .............................................. Pag 39 6.1 Premessa .......................................................................................... Pag 39 6.2 La meditazione della montagna ....................................................... Pag 39 6.3 L'esicasmo ........................................................................................ Pag 42 7. MANTRA UTILI A MEDITARE .............................. Pag 44 8. ALCUNE MUDRĀ PER MEDITARE ...................... Pag 47 9. ESPERIENZA PERSONALE ................................... Pag 49 BIBLIOGRAFIA ........................................................ Pag 52

Voglio Ringraziare: la relatrice Eleonora Rasetto, la maestra Daniela De Michelis, la mia Famiglia e il fiore di loto che sopra il mio capo è il custode del Brahman.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

2

1. INTRODUZIONE Immaginatevi una donna in gravidanza, immaginatela oltre il sesto mese quando è

evidente la vita che si sta sviluppando in lei, se allora le bussate con la mano un paio di

volte sul ventre è molto probabile che dall'interno vi giunga un calcio o comunque una

risposta. È un gesto che prima ancora del risveglio del neonato alla luce del sole mostra

già il contatto della mente col mondo grossolano: la mente, è l'organo che elaborando le

sensazioni, ci condizionerà tutta la vita, creando bisogni presunti e desideri, definendo la

qualità delle cose con cui relazioneremo nel contatto sensoriale o immaginario.

La mente umana è anche generatrice delle più importanti domande esistenziali: da dove

vengo, dove vado, a chi appartengo, qual è lo scopo della mia vita ... ecc. ... ecc. .

Un giorno, durante una meditazione sul sole, mi si è posto un interrogativo che provo a

raccontare. Mi sono chiesto: se il sole, con la sua carica di energia non sorgesse e non

tramontasse mai, trascurando tutte le conseguenze climatiche, sarebbe sempre giorno o

sempre notte e se anche la luna si fermasse probabilmente la notte non sarebbe buia ma

illuminata dal riflesso lunare del sole, come il sole allo specchio. Ma allora è la presenza

o l'assenza di luce e di energia a condizionarmi? O non è forse il suo mutare? Quindi, mi

sono domandato: io preferisco il sole con la sua carica di energia impetuosa,

inesauribile, quasi eterna, o la luna rassicurante lanterna del mio cammino o forse

meglio un po' l'uno e un po' l'altra a seconda della mia necessità mentale mutante tra un

momento ed un altro? L'alternarsi del sole e della luna, che per natura segnano il

trascorrere del tempo, secondo la scienza yogica del corpo sottile sono proprio i due

elementi opposti condizionanti, che rappresentano i diversi livelli di energia del corpo,

tra la parte superiore lunare e quella inferiore solare e ancora tra la parte sx lungo la iḍā

nādī lunare e a dx lungo la piṅgalā nādī solare. Ma luce, suono, odore, tocco, sapore,

memoria, sono la nostra vera essenza o sono piuttosto le illusioni della natura? È

possibile de-condizionarci da questi? Gli oggetti della natura coi loro tempi, sono

condizionamenti fortissimi che la mente assorbe identificandosi, creando così dei

bisogni e dei desideri che sono evidenti vincoli alla libertà se soffocano il nostro essere:

il Sé spirituale o Puruṣa. Senza dubbio il buio ci spaventa, come il freddo ci indebolisce,

l'afa ci soffoca, la guerra ci rabbrividisce, l'amore ci provoca fremiti, ecc. questa è la

Natura materiale o Pṛakrti. Ma l'esperienza dei Guru dello Yoga dimostra che esiste una

realtà superiore, un'antica sempre viva essenza a cui dissetarsi, a cui alimentarsi ogni

istante del tempo presente permanente, ed è in ognuno di noi, è il Sé o Puruṣa

individuale e collettivo.

Lo stato meditativo yogico è uno strumento per riscoprire il Sè.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

3

2. DAI TESTI DELLA TRADIZIONE Analizziamo alcuni aspetti filosofici che sostengono la pratica degli āsana, in particolare

nella concentrazione e nella meditazione, sostenuti dalle determinanti intuizioni dei

Maestri o Guru di tradizione Yoga, uno dei sei darśana o punti di vista della filosofia

indiana, che trasmettono le loro immense conoscenze spesso per via orale, arrivando a

noi in forma fruibile e praticabile anche tramite l'opera dei Maestri occidentali.

Il seme germogliato si nutre e crea una pianta rigogliosa quando riceve dalla terra il

nutrimento, ossia l'humus formatosi da ciò che è vissuto prima e che quindi in sostanza

rivive sempre, e così dopo aver agito anche il seme si dissolve a favore della pianta. Così

l'azione dell'uomo di oggi si nutre delle intuizioni e delle rivelazioni che tramandate da

uomo a uomo sono sempre presenti, sono vive nella tradizione e mostrano una o più vie

di liberazione dal senso di sofferenza degli esseri.

Patañjali, probabilmente solo uno pseudonimo di una grande scuola Yoga, è uno dei più

riconosciuti tra questi maestri e nella sua opera Yoga-sūtra espone gli aspetti essenziali

di conoscenza dello Yoga, ciò avviene intorno al V secolo d.C.

2.1 Il sādhana, cammino yogico: Yoga-sūtra 2

Il sādhana, esposto nel 2°Pāda (capitolo) dello Yoga sūtra di Patañjali, è il cammino

lungo il sentiero che conduce gradualmente passo dopo passo attraverso l'azione, allo

stato di yogin, ovvero di colui che controlla il proprio essere nel corpo e nella mente

cosciente fino allo stato di estasi in cui ha superato ogni sofferenza.

Il primo aforisma di questo Pāda recita:

"Tapah-svadhyayesvara-praṇidhāna

nikriyā-yogah"

“l'austerità (Tapah), lo studio di Sé (Svādhyāya)

e la rassergnazione (ndr. abbandono) (praṇidhāna) all'Īśvara

costituiscono lo Yoga preliminare” (1)

leggiamo le affermazioni di un noto commentatore su questo aforisma:

“chiunque abbia familiarità con la meta della vita Yoga e col tipo di

sforzo che essa implica per essere realizzata, si renderà conto che

non è possibile gettarsi subitamente nella pratica normale dello

Yoga. Anzitutto dovrà avvezzarsi alla disciplina, acquisire la

necessaria conoscenza degli Yoga-sastra, l'insieme delle dottrine

predicate da questo darśana (punto di vista), ridurre l'intensità del

proprio egoismo e di tutti gli altri kleśa (afflizioni) che ne

conseguono”...“Tale auto-disciplina preparatoria è, per sua natura,

triplice, in corrispondenza con quella dell'essere umano. Tapa si

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

4

riferisce alla sua volontà, svādhyāya all'intelletto, Īśvara-praṇidhāna

alle emozioni. È una disciplina che produce l'evoluzione completa ed

equilibrata dell'individuo, così importante per conseguire qualsiasi

altro ideale.” (1)

L'abito necessario ad affrontare questo cammino è il calore dell'ascesi, detto Tapa,

Tapas o Tapah, un'attitudine vocazionale dell'individuo in cui si rivelano la

consapevolezza, la fiducia e la compassione alla luce delle intuizioni di un Maestro e

della sua tradizione. È un atto di forte volontà che nel percorso dello Yoga si manifesta

con varie sensazioni di calore.

A proposito della propria volontà di cercare la consapevolezza e la compassione

dell'esistenza, cito l'insegnamento di Śri Nisargadatta Maharaj che dice:

“niente è necessario, niente è inevitabile. L'abitudine e la passione

accecano e ingannano. La consapevolezza compassionevole sana e

redime.” (2)

Lo studio introspettivo di Sé e lo studio dei Testi Sacri, detto svādhyāya, costituisce il

bagaglio per mettersi in cammino, cioè l'aggancio con la tradizione dei maestri e l'uso

intuitivo e intelligente delle scoperte che affiorano nel percorso di crescita personale. Un

bagaglio il più possibile leggero, alla ricerca di un nuovo mondo che emergerà nella

coscienza individuale, cercando di eliminare a poco a poco il superfluo che la māyā (la

natura) crea con i desideri materiali, attraverso i sensi esterni alimentati dagli oggetti dei

sensi manifesti, a cui si aggiungono quelli interni della mente conscia ed inconscia.

Passato e futuro, ricordi e speranze ci nascondono la realtà del Puruṣa, l'essenza pura

dell'esistenza, che è sempre presente oltre la mente e si rivela quando questa è calmata

nel suo fluttuare.

L'abbandono al Signore, detto Īśvara praṇidhāna, è quindi come la torcia illuminante sul

cammino lungo il sentiero del sādhana. Come dice Kṛṣṇa nella Bhagavadgītā 9,27:

"Checché, tu faccia, mangi, offri in sacrificio o dai in elemosina,

qualsiasi penitenza tu pratichi, fallo, o Arjuna, come un'offerta a

me" (3)

È la devozione fiduciosa al Dio personale, nelle nostra tradizione il Dio Jahve o Abbà di

Gesù, che ci rischiara un cammino che può essere ricco di luci ma anche di ombre,

specie per l'uomo comune che vive nel mondo sociale tra la famiglia, la carriera, la

società, ovvero l'egoità degli individui che induce al rafforzamento dell'io.

Allora il Signore di qualsiasi tradizione, diventa un punto fermo su cui tornare, il faro

che ci permette di evitare gli ostacoli, l'obiettivo a cui puntare per essere condotti “là

dove scorrono fiumi d'acqua viva” promette Gesù almeno dopo la morte fisica, ma per

l'adepto yogin già sperimentabile in questa vita.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

5

Devozione che diventa il terreno di coltura della comunione verso ogni creatura, come

parti di un'unica essenza, il Brahman, il Principio Superiore Divino.

Gesù, il Signore della tradizione cattolica, diceva rispondendo alle domande di una

samaritana su dove fosse meglio pregare:

"I veri adoratori devono adorare in spirito e verità"

“la traduzione letterale dell'espressione greca "en pneumati kai

aletheia" più precisamente dovrebbe essere: "devono pregare nel

respiro e nella vigilanza". Si potrebbe anche tradurre: “bisogna

pregare con un respiro vigile cosciente o anche risvegliato”.” (4)

Una forma di adorazione che ha tutte le carte in regola per essere la lanterna dello yogin,

infatti nella sua azione utilizza lo stato di veglia e il controllo del respiro.

Patañjali poi nel proseguo del 2°Pāda ci prospetta l'estasi del samādhi come la meta

finale del cammino, ma ci mette subito davanti alle sofferenze o false conoscenze della

realtà, i kleśa, che l'uomo ordinario deve affrontare in ogni momento della sua esistenza.

Il primo di questi che poi è la radice di tutti gli altri, è chiamato avidyā, letteralmente

traducibile con non-conoscenza. In una metafora si può pensare alla nostra esistenza

come un grande campo agricolo infestato appunto dalla pianta soffocante che è la

conoscenza errata della nostra vera natura, questa si dice avidyā.

Gli effetti di avidyā sono espressi nelle parole di Śri M. Nisargadatta:

“La realizzazione non è altro che l'opposto dell'ignoranza.

Considerare reale il mondo e irreale il proprio Sé è ignoranza che è

fonte di dolore. Conoscere il Sé come unica realtà, e tutto il resto

come temporaneo e transitorio, è libertà, pace e gioia” (5)

e ci indica un modo per diradare avidyā:

“È come pulire uno specchio. Lo stesso specchio che ti mostra il

mondo come è, ti mostrerà anche il tuo viso. Il pensiero “io sono” è

il panno per pulire. Usalo” (6)

Per capire meglio l'intuizione di Patañjali su cos'è avidyā, su cos'è la conoscenza errata

dell'uomo, diciamo che:

“l'uomo non sarebbe completamente libero di decidere della propria

vita, perché conduce un'esistenza condizionata dal suo passato. Non

è cosciente del fatto di aver subito sin dalla nascita e a sua insaputa

l'influenza di una forza sotterranea che si è puntualmente sostituita

alla sua libera scelta; lo Yoga sūtra individua il principio di questo

inganno in avidyā, concepita come una falsa concezione di Sé e una

falsa percezione del mondo che nasce dalla sovrapposizione del

nostro modo illusorio di percepire la realtà alla realtà stessa” (7)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

6

Lo yogin “liberato definitivamente” (kaivalya) va oltre all'erronea conoscenza avidyā e

con ciò interrompe l'accumulo futuro delle azioni buone e cattive, il cosiddetto karman.

Le altre infestanti del nostro esistere, le 5 afflizioni della teoria dei kleśa, Patañjali le

elenca come l'egoità (asmitā), esaltare l'ego, cioè mettere una barriera tra l'io e ogni altra

creatura, l'attrazione (rāga) che rappresenta un forte desiderio di possesso o di

soddisfazione al quale seguirà un altrettanto forte distacco data la transitorietà di ogni

azione umana, quindi l'avversione (dveṣa) che rappresenta il sentimento opposto

doloroso di per se stesso, infine l'attaccamento alla vita (abhiniveśa) che è quel

sentimento umano comunque latente che da un lato ci fa stare lontani dall'idea di

“lasciare la vita” e dall'altro ci rende atterriti ogni qualvolta ci capita un imprevisto che

anche solo in parte ci avvicina alla morte fisica.

Infine Patañjali, in Yoga sūtra 2,11 dice che se il kriyā-Yoga interrompe gli effetti dei

kleśa, la meditazione permette l'estinzione delle manifestazioni anche sottili dei kleśa,

un aforisma che verrà ripreso più avanti in questa mia trattazione, ma che già ora ci

chiarisce che la meditazione è necessaria.

Bisogna in pratica passare dall'azione, kriyā-Yoga, alla meditazione, raja-Yoga, per

eliminare le manifestazioni più sottili dei kleśa.

2.2 Āsana stabile, immobile ed agevole: Yoga-sūtra 2,46

Analizziamo i pilastri che reggono la pratica degli āsana, in particolare per uso

meditativo. Iniziamo dal trattato Yoga-sūtra di Patañjali, dal noto 2,46:

“Sthira-sukham āsanam”

“la postura (dovrebbe essere) stabile e comoda” (8)

che mette in chiaro l'aspetto dell'immobilità, se necessario con l'ausilio di supporti.

Quindi l'uso del corpo è indispensabile, perché di corpo siamo fatti e alle leggi fisiche,

chimiche, biologiche dobbiamo sottostare, ma senza abusarne. Si definisce poi la

moderazione dell'āsana che deve rimanere comodo e insieme stabile, un concetto che

permette all'individuo, con i suoi limiti, di esplorarsi in profondità quando è immobile,

come nel fotogramma di una foto-camera che fissa l'istante presente.

Il corpo fisico deve quindi trovare l'equilibrio senza un particolare impegno muscolare

ma sostenendosi soprattutto con lo scheletro, riducendo le tensioni e i segnali nervosi

associati. È quindi una non-azione sui nervi motori e sui nervi sensori. Nell'immobilità

essendosi arrestati i segnali del sistema nervoso motore dell'adepto anche il sistema dei

nervi sensori progressivamente non avverte più le esatte percezioni, ed al loro posto si

attivano i sensi interni avviando esperienze cognitive profonde:

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

7

“le informazioni interne, cessate quelle esterne, si evidenziano in

modo potente e si fanno i conti con le informazioni accumulate nel

corso della vita nelle varie esperienze” (9)

Come in natura si vedono elementi che nell'apparente immobilità si trasformano in

elementi nuovi, vedi il bruco e la farfalla o il seme e la pianta, così nel rimanere

apparentemente fermi in posture (āsana) meditative, in realtà vi è un continuo

movimento di muscoli involontari, cuore, stomaco, ghiandole, movimenti di flussi di

energia, degli organi della respirazione, fino alle più piccole cellule nella loro vitalità

vibrante. È una forma che cambia continuamente, da cui vedremo si origina una

importante trasformazione.

L'immobilità che, dalla haṭha-Yoga-pradīpikā, in taluni āsana può durare fino a tre ore:

“rappresenta un catenaccio energetico dove il prāṇa viene orientato

verso l'alto. Gli yogi assumono così le caratteristiche del cadavere,

freddi, ma la parte superiore del capo, il bindu, presenta una zona

calda dove si concentra il prāṇa” (10)

L'immobilità incide anche sul piano del corpo mentale superficiale (manamāyākosha) e

dopo su quello conoscitivo (vijñānamāyākośa) dell'intuizione discriminante (viveka),

cioè si passa dal placare i pensieri involontari, a porsi domande profonde come “io chi

sono?”, trovando conforto nello stesso pensiero espresso, e poi oltre la mente, fino a

percepire l'acquietarsi anche di questa fase pensante.

Nello sperimentare l'immobilità si va dagli āsana, le posture, al metodo di controllo del

prāṇa, il prāṇayāma, e si attraversa il pratyahara, la porta d'ingresso a pratiche man

mano più avanzate, dette antar-Yoga o Yoga interiore, comprendenti la concentrazione

dharānā, la meditazione dhyāna e lo stato estatico samādhi. L'immobilità è la premessa

necessaria a stati di concentrazione e meditazione.

Ma ciò che mi preme sottolineare è che tutto deve avvenire con progressione nel tempo e

nel livello della pratica, un piccolo gradino alla volta, giorno per giorno, e in alcuni

periodi accettare di non avere apparenti progressioni, ma sempre accompagnati dal

tapas, la volontà di ricerca che sviluppa un certo calore interno, aiutati dallo studio dei

testi della tradizione e abbandonati all'ascolto del proprio Signore e/o del Sé: lì sono

racchiuse tutte le risposte di cui abbiamo bisogno per la Conoscenza.

Importante è poi ascoltare gli eventuali sintomi anomali del fisico e della psiche,

monitorandoli continuamente, i primi tempi sotto la guida di maestri esperti, per evitare

posture erronee, tensioni latenti o pensieri ricorrenti magari nascosti nell'inconscio.

È l'osservazione profonda di ciò che siamo a diversi livelli partendo dal più grossolano,

quello fisico, per poi andare in esplorazione ascendendo dagli stati istintivi più bassi a

quelli delle emozioni a livello del cuore a quelli più alti della ragione e dell'intuito.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

8

Non si tratta di faticare in una classica attività umana dove intelligenza, esperienza,

ingegno nel fare un determinato lavoro ci fa materialmente raggiungere l'obiettivo, ma

raggiungere l'immobilità di un āsana stabile e confortevole si basa su uno stato di

equilibrio della persona, che passa per la fase emozionale cioè della passione, nell'azione

carica di desiderio come accadrebbe ad un giovane in partenza per la sua prima gita, poi

viene lo stato di l'abbandono passivo, quando le circostanze non portano a risultati e

allora lo yogin sa aspettare con fiducia il tempo dell'equilibrio, cioè la condizione

necessaria alla nascita dell'āsana reale, quello che spontaneamente si genera da solo

nelle giuste condizioni.

“non affannatevi di quello che mangerete o berrete e neanche per il

vostro corpo ... guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né

mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li

nutre” (11)

In questo brano biblico Gesù sembra indicarci lo stato di equilibrio sattvico, che

appartiene più all'intuito innato dell'essere che allo sforzo o alla ragione, intuito condito

da una fiducia nel Padre celeste o secondo la tradizione indiana, in Īśvara, nel Brahman,

in Puruṣa, il Sé individuale non causato.

Certo bisogna evitare che l'immobilità a livello mentale tenda a creare la condizione di

passività che può diventare addirittura apatia, da cui è ancor più difficile liberarsi, infatti

la coscienza deve rimanere vigile nell'ascolto del proprio respiro e di ciò che si cela oltre

la mente oltre i pensieri, verso un cambio di coscienza che chiamiamo Sé o Puruṣa e si

confonde prima con i pensieri mentali consci e talvolta inconsci, poi con le esperienze

cognitive più alte e poi nella bellezza della profonda e alta Consapevolezza dell'Essere.

Così pure l'eccessiva eccitazione dei sensi dovuta ai desideri materiali ci allontana dalla

pura ricerca interiore del Sé, infatti tutto ciò che ci attrae o ci ripugna è segnalato dai

nostri sensi e accumulato nella mente inconscia come un velo di polvere che nasconde

sempre di più la nostra vera essenza.

Il Sé sembra più limpido da bambini quando la mente è ancora abbastanza vergine,

infatti sono quelli i momenti in cui si hanno più frequentemente gli episodi di visioni già

vissute, forse delle vite passate, i cosiddetti “deja vu”.

Perciò la progressiva rinuncia al desiderio di possesso e di piacere sensoriale è una tappa

necessaria per la pratica dell'immobilità agevole: non saremo desiderosi d'altro.

Infine, come dice la Śiva samhitā cap.3,11:

“la scienza impartita dalle labbra di un maestro è efficace,

diversamente è priva di frutto, debole e addirittura pericolosa” (12)

il metodo della postura indicato dalla tradizione è un giusto cocktail di controllo del

respiro e presenza di Sé con l'aiuto della recita dei mantra, sotto la guida del Maestro.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

9

2.3 Mente concentrata sull'infinito (ananta): Yoga-sūtra 2,47

Esaminiamo ora l'aforisma 2,47 dello Yoga sūtra di Patañjali che dice:

“Prayatna-saithilyananda-samapattibhyam”

“mediante il rilassamento dello sforzo e la meditazione sul 'senza

fine' (si domina una postura)” (13)

l'indicazione di rilassamento dello sforzo conferma che l'āsana non sarà mai tale finché

non si supera l'impulso umano di volerlo eseguire come se fosse una maratona in

atletica, e questo è un rischio molto occidentale. L'assenza di sforzo fisico e mentale è

necessario per la progressione, ciò che raggiungiamo oggi senza sforzo può essere

mantenuto e forse ampliato domani, altrimenti il rischio di contratture muscolari o

blocchi mentali è sempre in agguato e certi sintomi anomali ce lo rivelano come ad

esempio l'infiammazione articolare, capogiro, oppure sul piano mentale insonnia, euforia

o tristezza inarrestabili, tutti aspetti da percepire con attenzione e da non sottovalutare.

L'assenza di sforzo è determinata anche da una postura verticale dritta mantenuta

soprattutto con il solo ausilio scheletrico, un aspetto che come per gli alberi in natura

rappresenta la meravigliosa unione tra gli elementi terra e cielo.

L'appuntamento con la seduta di āsana non deve essere frenetico tra gli altri momenti

attivi della giornata, altrimenti c'è il rischio di abbandonarsi alla passività apatica che

anche se può apparire senza sforzo non è condizione equilibrata per praticare.

La condizione di veglia vigile e consapevole deve sempre essere presente nella mente

dello yogin anche se questa vuole essere vuota dai pensieri ordinari. Ecco allora che se

l'allievo mostra un certo stato di apatia, il maestro sa trovare le giuste contromisure per

un risveglio e una energizzazione nell'allievo, sufficienti a raggiungere l'equilibrio

dell'āsana senza sforzo.

Un āsana così ottenuto inizia ad essere un buon terreno di coltura per stati di

concentrazione, in questo senso è il richiamo di Patañjali allo sguardo sul senza fine,

cioè la condizione di funzionamento dei sensi e della mente che li controlla verso un

punto oltre il normale limite di funzionamento psichico. Concretamente:

“abituati ad avere dei riferimenti precisi, allora si utilizzino dei

simboli che rappresentano l'infinito; i più classici sono il cielo con la

sua infinità, il mare allo stesso modo con la sua vastità” (14)

oppure per i progrediti, lo sguardo concentrato oltre gli oggetti che risulteranno come

sfuocati con tecniche tipo sāmbhavī-mudrā lo sguardo tra le sopracciglia o nasāgra-

mudrā lo sguardo dall'interno verso la punta del naso, fino a tendere a stati molto

avanzati come la condizione di arresto mentale, tecnicamente detto unmanī, in cui anche

il japa (un mantra ripetuto molte volte) aiuta alla trasformazione della coscienza.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

10

A proposito riporto le parole di Vyāsa, uno dei più noti commentatori dei sūtra, riferite a

Yoga-sūtra 3,1 di Patañjali sui luoghi di concentrazione della mente:

“Vyāsa elenca qualcuno di questi 'luoghi' alcuni dei quali sono in

evidente rapporto con i cakra principali: il cerchio dell'ombelico, il

loto del cuore, il centro luminoso della testa, la punta del naso, la

punta della lingua, oltre ad ogni altro oggetto esterno purché carico

di un significato simbolico” (15)

Spostandoci sul piano della pratica, Svāmin Sivananda a proposito della concentrazione

(dharānā) scrive:

“dovete avere interesse per la concentrazione. Allora soltanto tutta la

vostra attenzione si rivolgerà sull'oggetto di essa ... l'attenzione è una

ferma applicazione della mente. È la concentrazione della coscienza

sull'oggetto scelto ... con l'attenzione otterrete una chiara e distinta

visione degli oggetti. Tutta l'energia è centrata sull'oggetto che attira

l'attenzione” (16)

indicandoci così che con l'attenzione volontaria sul punto scelto una buona parte

dell'energia dello yogin si indirizza lì ed è ciò che Patañjali genericamente definisce

sguardo all'infinito, luogo oltre l'umano ordinario pensare.

Concludo con una frase di Śri Nisargadatta, il quale parlando della mente chiarisce in

modo netto l'importanza dello sguardo all'infinito:

“come fa una mente instabile a rendersi stabile? Ovvio che non può.

La natura della mente è di vagabondare da una parte all'altra.

L'unica cosa che puoi fare è spostare l'attenzione della coscienza al

di là della mente” (17)

2.4 Interruzione di disagio dalle coppie di opposti: Yoga-sūtra 2,48

È questo il terzo aforisma dello Yoga-sūtra di Patañjali che si riferisce agli āsana :

“Tato dvamdvanabhighatah”

“da ciò, la mancanza di attacchi da parte delle coppie di opposti” (18)

che definisce sostanzialmente l'āsana come uno strumento necessario per il viaggio

verso una conoscenza della realtà dove tutto è unito, indiviso.

Cosa sono gli opposti? Il mondo interiore è opposto a quello esteriore, ciò che è

conosciuto è opposto a ciò che è sconosciuto, l'Io dal non io, opposto è l'attimo cosciente

da quello non cosciente. Durante il sonno profondo inconsciamente non si avvertono gli

opposti ma si vivono momenti di unità equilibrata, riportare questo stato di equilibrio

durante la fase di veglia cosciente è lo scopo descritto da questo aforisma.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

11

A proposito degli stati di coscienza rispetto a quelli di incoscienza, provocatoriamente

Śri Nisargadatta domanda a un suo visitatore:

”prova a elencare, a memoria, ciò che pensavi, dicevi e facevi il 30

del mese scorso – (risposta del visitatore) è vero, ci sono dei vuoti –

non è così grave. Anzi ricordi molto: è la memoria inconscia che ti

rende tanto familiare il mondo in cui vivi” (19)

Dev'essere perciò possibile riunire gli opposti nell'istante presente, questo è il grande

obiettivo dello Yoga, generare la condizione che elimina il disagio.

Il nostro agire è continuamente legato a delle qualità, talvolta instabili in cui prevale a

volte l'agitazione, altre volte la passività e l'apatia; questo è perfettamente chiaro nella

tradizione Yoga ed è sviluppato nella teoria dei guṇas, gli attributi, di cui parlerò il

prossimo paragrafo dove i tre guṇa, qualità o attributi principali sono: rajas cioè

dinamico, attivo, mobile, passionale, creativo, doloroso; tamas cioè inerte, ostativo,

ignorante, ottuso, possessivo, distruttivo; sattva cioè equilibrato, armonico, luminoso,

misericordioso, conservativo, piacevole.

Una grande disciplina, cioè un costante esercizio del corpo stabile senza sforzo e della

mente quieta che riflette l'immagine dell'infinito illimitato, può far cessare il disagio

creato dagli opposti.

Si potrà così intuire il senso della consapevolezza individuale che racchiude quella

cosmica universale, il mondo assorbito nell'essere dello yogin che lo vede nella sua vera

natura al culmine del suo percorso ascetico: l'unione del cosmo e dell'individuo l'uno

dentro l'altro.

Il disagio creato dagli opposti è talvolta materiale come per caldo e freddo o per fame

sete e sazietà, talvolta mentale come attrazione (rāga) e repulsione (dveṣa) verso

determinate situazioni; lo yogin che ha percorso il suo sādhana e pratica secondo gli

schemi già detti, riduce e annulla la separazione delle opposte sensazioni e la sofferenza

da queste provocate. Egli riesce anche a percepire la rievocazione in senso inverso della

creazione, anche detta dissoluzione, in cui ciò che ci ha generato da cui siamo usciti ora

rientra in noi ripercorrendo la stessa strada in senso contrario, annullando le opposte

sensazioni.

Indubbiamente questi sono stati difficili da esporre su una tesi, ma è possibile presentare

l'esperienza di visualizzazione durante una seduta di concentrazione, di un oggetto o di

una immagine che diventa parte di noi e quindi risulta assorbito/a dal nostro essere come

un primo passo nella direzione di quell'unione che distrugge gli opposti. Ne parlerò nel

paragrafo dedicato alla specifica meditazione sulla montagna.

In molti brani della Bhagavadgītā viene espressa la necessità di annullare gli opposti per

poter percorrere liberi la via ascetica del sādhana. La quinta lettura fa un richiamo forte

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

12

all'unione della manifestazione duale delle cose e delle azioni, indicando allo yogin che

la ricerca del Sé passa anche per la pratica corporea che smuove prāṇa e apāna, l'energia

entrante e quella uscente dal corpo dell'uomo; estrapolando dal testo 5,25-28:

“questa estinzione nel Brahman la ottengono i veggenti che si sono

purificati dai loro peccati, che hanno reciso la dualità, che hanno

domato sé stessi e che godono del bene di tutte le creature.

...che si son liberati dal desiderio e dall'ira ... Il savio ... che ha reso

uguale il soffio ascendente e il soffio discendente che si muovono

nell'interno del naso. ... che ha sbandito per sempre il desiderio la

paura e l'ira, costui è un liberato.” (20)

Sul piano fisico grossolano negli āsana più agevoli come ad esempio l'Ananta-āsana è

bene, usare la tecnica di compensazione dell'azione contrapposta su due lati, in cui prima

quasi si rafforzano le caratteristiche contrarie tra loro, e poi con un āsana centrale tipo

pavanamuktāsana o nāvāsana, ci si riunisce al centro con la forma in uno stato di

equilibrio tra i lati opposti concludendo con un ulteriore āsana compensante l'eventuale

flessione del corpo in avanti tipo la setubandāsana.

Concludo col pensiero interessante di Śri M.Nisargadatta secondo il quale l'assenza

della dualità è ben espressa nell'amore:

“nell'amore non esiste neanche la singola unità, come potrebbero

essercene due? L'amore è il rifiuto di separare, di fare distinzioni.

Perché tu possa concepire l'unità devi prima creare il dualismo.

Quando ami veramente non dici ti amo. Dove c'è lavorio mentale c'è

dualismo.” (21)

2.5 Descrizione guṇas, effetti su Annamāyākośa: Bhagavadgītā e Yoga-sūtra 2,18

L'esperienza sensoriale, io gusto, sento, vedo, odoro, tocco, elaboro con la mente, fa uso

dei guṇa ovvero le qualità delle cose nella “visione dello spettacolo” che ci appare.

Naturalmente il nostro corpo fisico, annamāyā-kośa, ne è particolarmente influenzato in

quanto sede degli organi sensibili.

La qualità degli elementi e delle azioni ad essi associate è determinante allo scopo della

loro aspirazione, anche se l'azione fosse prevalentemente immobile può custodire un

sentimento o un pensiero che con la sua qualità ne determina un particolare attributo.

Lo yogin sa discriminare distinguendo il Sé dall'universo che lo circonda, determina la

qualità del suo agire e ricerca sempre l'equilibrio, la condizione detta sattvica.

Patañjali parla dei guṇas nel sādhana Pāda al versetto 18:

“prakasa-kriyā-sthiti-silam bhutendriyatmakam bhogapavargartham dṛśyam”

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

13

“lo spettacolo (dṛśya) ha la natura della luminosità (sattva),

dell'azione (rajas), dell'inerzia (tamas); esso consiste negli elementi

(bhuta) e nei sensi (indriya) e ha lo scopo di procurare (allo

spettatore) sia l'esperienza (bhoga) che l'emancipazione (apavarga)”

(22)

Diciamo subito che lo Yoga è di tradizione Sāṃkhya, il darśana o “punto di vista” che

sistemizza la natura dell'uomo rispetto al mondo manifesto nei suoi diversi aspetti e

chiama Pṛakrti, qui assimilabile con lo spettacolo, il principio materiale o sostanziale

incosciente ma attivo, chiama invece Puruṣa assimilato qui con lo spettatore il principio

essenziale o spirituale dell'uomo cosciente inattivo, pura consapevolezza universale sugli

individui.

Il principio materiale Pṛakrti va dagli elementi bhuta: etere, aria, fuoco, acqua e terra;

gli oggetti dei sensi tanmātra o elementi sottili: udito, tatto, vista, gusto e olfatto; le

facoltà d'azione karmendriya: parola, mani, piedi, ano e organi genitali; le facoltà

sensoriali jnanendriya: orecchie, pelle, occhi, lingua e naso; la mente che coordina le

sensazioni manas; il senso dell'io e del mio ahaṃkāra, e la coscienza individuale o

intelletto buddhi.

Puruṣa non può avere diretto contatto col mondo fenomenico e allora è attraverso la

Pṛakrti in un modo illusorio che ne fa l'esperienza necessaria alla liberazione karmica.

La Pṛakrti è costituita da tre elementi fondamentali, le qualità o attributi detti guṇa che

si trovano nelle sue diverse forme in una certa distribuzione variabile.

L'attributo o qualità può essere rajas cioè dinamico, attivo, mobile, passionale, creativo,

doloroso;

può essere tamas cioè di inerzia, ostativo, ignorante, ottuso, possessivo, distruttivo;

può essere sattva cioè equilibrato, armonico, luminoso, misericordioso, conservativo,

piacevole.

L'attributo di ciò che è manifesto in natura, può essere innumerevolmente vario

combinando assieme i tre guṇa tra loro nelle varie sfumature.

Sul piano degli āsana i guṇa si possono controllare ed equilibrare attraverso le posture,

il flusso energetico libero e con il giusto atteggiamento mentale:

“la fermezza posturale causa la distruzione del rajas-guṇa, la cui

natura è instabilità ed agitazione ... l'āsana stabilizza il corpo e

quindi controlla questa componente rajasica”

“la leggerezza fisica è dovuta alla distruzione del tamas-guṇa ... se

non ci si sente leggeri nella posizione, se non ci si sente in grado di

stare ore immobili, vuol dire che prevale tamas, letargia” (23)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

14

L'attributo sattvico albescente dell'āsana reale è una sua condizione fondamentale, e la

sattvicità è in pratica il sapiente equilibrio tra rajas-guṇa e tamas-guṇa.

“nell'āsana si deve avere indifferenza al tempo che passa, alla

necessità di muoversi, al sonno che ha una prevalenza di tamas. È

molto importante lavorare su tamas perché è il più grande ostacolo.

Ramakṛṣṇa diceva: -un uomo prima di diventare sattvico deve

passare da tamas a rajas solo dopo giungerà a sattva-” (23)

Nella Bhagavadgītā 18,9 Kṛṣṇa indica ad Arjuna cosa deve fare di fronte ad una sfida

gravosa, come per lo yogin di fronte ad un passaggio di livello nel sādhana, ad esempio

per eseguire un'āsana particolarmente impegnativo nella forma o nell'immobilità tenuto

a lungo o nella concentrazione:

“colui che esegue un'azione prescritta, pensando solo a questo, che

cioè dev'essere fatta, abbandonando l'attaccamento ed i frutti, tale

abbandono o Arjuna, è albescente” (24)

dove con albescente intende sattva cioè equilibrata, luminosa, armonica, di uguale

effetto nell'azione fausta o in quella infausta.

2.6 Abyāsa e vairāgya: Bhagavadgītā e Yoga-sūtra 1,12

“abhyasa-vairāgyabhyam tan-nirodha”

“la soppressione (delle modificazioni) (si ottiene) mediante l'esercizio

costante ed il non attaccamento” (25)

Abyāsa è l'esercizio costante, per lungo tempo , una pratica quotidiana senza sforzo,

senza interruzioni, seguendo il sādhana con devozione e reverenza, è l'elemento

necessario insieme al vairāgya per il raggiungimento della calma mentale dello yogin,

cioè la soppressione delle modificazioni mentali, le citta-vṛtti. Nella haṭha-Yoga-

pradipika si afferma che il successo nello Yoga si ottiene soltanto con la pratica, non con

discorsi o con la sola conoscenza concettuale.

vairāgya è il distacco dai frutti delle proprie azioni, termine che deriva da rāga

l'attrazione ed è quindi legato ai kleśa, le afflizioni che saranno superate con la pratica

costante del distacco. Vairāgya è quindi il distacco dalle passioni, dai desideri, dalle

paure e dagli attaccamenti, si potrebbe dire “morire” al mondo impermanente per

“rinascere” in quello imperituro.

L'esercizio costante abyāsa ed il non attaccamento vairāgya, sono gli elementi essenziali

della pratica che porterà al diradamento dei pensieri, che altrimenti velano la mente e

l'anima, detta Atman, dalla realtà permanente del Brahman.

Lo yogin che usa abyāsa, osserva le astinenze yama (non-violenza, verità nella parola e

nell'azione, non appropriarsi di ciò che non appartiene, controllo dell'attività sessuale,

vita essenziale) e le osservanze niyama (purezza esteriore ed interiore, appagamento,

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

15

sopportazione e impegno, studio di Sé e dei testi sacri, abbandono al dio personale),

raggiunge il distacco vairāgya dai legami con la realtà impermanente, aiutato

dall'immobilità del corpo nell'āsana e dal controllo del prāṇa, praticando quindi l'azione

concentrata verso lo stato meditativo verso l'estasi del samādhi.

Ma esattamente il desiderio cosa provoca di tanto negativo per lo yogin? È una forza di

disturbo che giorno per giorno ci condiziona e annulla la volontà, è attraverso i desideri

e anche le paure che si forma l'inconscio accumulando tutta una serie di informazioni

nelle quali come una rete per la pesca ci troveremo sempre di più imprigionati.

“tentare di acquietare la mente senza eliminare il desiderio è come

cercare di arrestare il movimento di una barca su una superficie

d'acqua violentemente agitata da un forte vento. Per quanto si possa

cercare di mantenerla in una certa posizione mediante una forza

esterna, essa continuerà a muoversi, in conseguenza degli impulsi

che le onde le trasmettono. Ma se il vento scema e muore e le onde si

calmano completamente, la barca infine si fermerà, col tempo, anche

senza che vi sia applicata una forza esterna” (26)

Occorre peraltro dire che le pause di riflessione, le cosiddette crisi, in cui fare il punto

della situazione, il bilancio del lavoro svolto, e dei progressi grandi o piccoli ottenuti, e

ritrovarsi se avessimo smarrito la retta via, sono sempre apprezzabili e sono segno di

maturità per il sādhaka cioè colui che segue il cammino yogico.

A tal proposito dice Svāmin Sivananda:

“Se un metodo fallisce bisogna ricorrere ad un altro. Questa pratica

richiede pazienza, perseveranza, una tenacia da sanguisuga,

applicazione, una volontà di ferro, un intelletto sottile e coraggio. Ma

la ricompensa è inestimabile. Essa si chiama Immortalità, Pace

suprema, Beatitudine infinita!” (27)

e ancora:

“se siete negligenti, se siete irregolari nella concentrazione, se la

vostra rinuncia (vairāgya) svanisce e per pigrizia smettete di

praticare per qualche giorno, le forze avverse vi distoglieranno dal

vero sentiero Yoga. Sarete rigettati sulla riva. Vi sarà difficile dopo,

rimontare al livello precedente. Di conseguenza, siate puntuali nella

vostra pratica.” (28)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

16

2.7 Dhyāna sopprime le modificazioni dei kleśa. Yoga-sūtra 2,11

L'uomo ordinario a differenza dello yogin di fronte agli attributi degli elementi ne vive

l'esperienza acquisendoli nella mente, come accade davanti allo schermo

cinematografico: per imitazione confonde spettacolo e spettatore, natura manifesta ed

essenza spirituale immobile come è appunto lo spettatore, e ciò è la causa dell'erronea

conoscenza.

Raggiungere l'emancipazione è aver superato la differenza degli attributi originata

dall'essere immersi nella natura, averla in qualche modo ingoiata e aver annientato lo

scorrere dei pensieri tra paure e speranze, attrazioni e repulsioni: un'altra volta l'unione

degli opposti che parte anche dal corpo fisico e da una rinnovata capacità di ascolto dei

sensi.

“La consapevolezza del piacere e della sofferenza sperimentati

nell'esistenza condizionata è preceduta dalla congiunzione dello

spettatore allo spettacolo, dovuta alla non conoscenza, avidyā, tale

consapevolezza quando è priva di capacità discriminante è definita

esperienza (bhoga), in caso contrario, quando lo spettatore riesce a

prendere coscienza di Sé e della differenza che lo separa dall'opera

dei guṇa, allora c'è emancipazione (apavarga)” (29)

Esercitare il giusto cammino yogico, il sādhana, attraverso tapas l'austera volontà di

affrontare il percorso, svādhyāya studiando i testi sacri e rileggendoli sulla propria vita,

accompagnati dal giusto spirito di abbandono praṇidhāna consacrato a ciò in cui si

crede, l'Īśvara, come abbiamo già detto rappresenta il kriyā-Yoga o Yoga dell'azione e

aiuta a ridurre fortemente le afflizioni dell'esistenza, i kleśa, fino a renderli sensazioni

sottili; aiuta ad allontanare desideri e paure, aiuta a svelare il proprio Sé la conoscenza e

la compassione, sentimento di unità col resto del creato.

Ma questo non basta ad evitare che alla prossima occasione le manifestazioni dei kleśa si

ripresentino all'attacco, perché sono come semi attivi, sempre pronti a germogliare

appena le condizioni ambientali siano propizie. Per questo Patañjali indica la cura,

nell'aforisma dello Yoga-sūtra 2,11 che recita:

“Dhyāna-heyas tad-vrttayah”

“le loro modificazioni attive possono venir soppresse dalla meditazione” (30)

per sterilizzare i semi già ridotti allo stato latente delle manifestazioni dei kleśa, oltre

alla pratica del kriyā-Yoga è necessaria la meditazione dhyāna; viene così fatto un passo

in avanti o meglio all'interno del sādhana dello Yoga, indicando che sulla via di

liberazione è necessario controllare oltre il corpo e la volontà, anche la mente nel suo

fluttuare.

In un commento a questo aforisma Vyāsa dice:

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

17

“per rimuovere lo sporco più grossolano da un tessuto basterà

scuoterlo vigorosamente, mentre per togliere le macchie che lo

impregnano in profondità bisognerà ricorrere a mezzi più efficaci,

lavandolo e strofinandolo ripetutamente.” (31)

Le manifestazioni dei kleśa provocano violente emozioni e disturbi mentali, dallo stato

latente possono affiorare in ogni istante oscurando il cammino verso la conoscenza

vidya. Anche dalla teoria del karman si capisce che la nostra vita è seminata da

esperienze consce ed inconsce, dovute a questa vita e alle vite precedenti, le vāsanā che

sono i semi latenti e poi anche i frutti di certe impressioni accumulate nel passato, e i

saṃskāra che sono i numerosi frammenti indelebili di memoria delle vite passate, alcuni

attivi altri latenti nella vita attuale. Questi determinano avidyā la falsa conoscenza di noi

stessi, provocando tendenze della mente così condizionata a spostarsi in direzioni

abitudinarie, talvolta anche inconsciamente, esaltando i kleśa, in particolare avidyā la

falsa conoscenza.

Si dice “ho già l'acquolina in bocca” o ancora “non vedevo l'ora di fare una tale cosa”

oppure “come sarebbe bello se ...” intendendo magari esperienze immaginarie; queste

sono frasi emblematiche di una mente condizionata dalle esperienze passate, vṛtti o

fluttuazioni della mente , della memoria.

La possibilità nello Yoga interiore (antar-Yoga) di farci concentrare sulle nostre

esperienze e oltre di meditare sul proprio Sé, è lo strumento per superare tali

manifestazioni nel senso di sopprimerle. Non un atto solamente esteriore di azione

disciplinata e volontaria ma uno stato interiore di riconoscimento della propria natura

che è alla base dell'atto stesso.

Il testo di Svāmin Chidananda “la misteriosa mente e il suo controllo”, ci offre una

limpida esposizione su come siamo controllati dalla mente e dai suoi vizi che ci rendono

prigionieri:

“L'uomo è come un giocattolo, un fantoccio, un oggetto del gioco

della mente che rifiuta ogni limitazione. La mente vuole essere piena

di desideri e agitazioni, e non vuole essere controllata. A meno che

essa non sia osservata e disciplinata giornalmente, l'uomo vivrà la

sua vita come una bambola e terminerà la sua vita in schiavitù. La

vasta maggioranza degli esseri umani sono solo spinti e travolti da

ogni piccolo desiderio e impulso della mente” ... “quando l'uomo ha

una comprensione delle attività della mente, come il pensiero 'io', e

come questo pensiero 'io' sia la vera radice del pensiero della mente,

e scopre come essa agisce, allora sarà capace di afferrarla. Qui c'è

uno degli aspetti più importanti della manifestazione della mente.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

18

Poiché il pensiero 'io' è totalmente nella presa della mente, l'uomo è

incapace di penetrare nel cuore del suo essere dove giace il centro

della sua coscienza.” (32)

Liberarci dalla polvere del passato è un po' come ritornare bambini, è svuotarsi del

superfluo per ritrovare l'essenziale in azioni semplici ma profonde come appunto un

neonato dalla mente vuota, dalla mente incondizionata e vigile. Meditare è liberarsi.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

19

3. REALIZZARE UN ĀSANA

3.1 Āsana come elemento di decondizionamento posturale e mentale

Il vero obiettivo nel fare un āsana è l'evoluzione della coscienza verso la pura

consapevolezza del Sé, ma durante questo profondo percorso si devono affrontare i molti

ostacoli in cui la nostra natura ci confina.

Per molti allievi l'āsana è solo un atto fisico e tale deve rimanere senza dover

coinvolgere gli aspetti coscienziali, ma tuttalpiù quelli mentali. A coloro che invece

ricercano la liberazione e la realizzazione con lo Yoga, si può illustrare come ci si può

decondizionare a partire dall'āsana.

Come abbiamo già dimostrato sono molti i condizionamenti che continuano a celare il

Sé e man mano che attraversiamo la vita questi si accumulano.

Già da bambini abbiamo emozioni e sensazioni come la rivalità o l'invidia, spesso

scimmiottiamo gli adulti nel bene e nel male, cresciamo per imitazione, poi scopriamo il

corpo e ci scopriamo unici e diversi.

Da grandi invece si fa sul serio, si desidera l'indipendenza praticando invece la

sottomissione del prossimo, si ricercano gli eccessi sensoriali, le allucinazioni

gastronomiche, tattili, uditive, si accumulano beni e poteri, si radicano le abitudini nella

mente, perché, come recita il grande assioma yogico:

“semina un pensiero e raccogli un atto,

semina un atto e raccogli un abitudine” (33)

e molto di ciò è causato dal fatto di desiderare oggetti, i desideri nascono dai ricordi e

dai semi del passato, creano attese, piaceri e dolori con cui l'esistenza risulta squilibrata

e infelice, mentre come suggerito dal saggio Śri M.Nisargadatta.

“la natura è tutta bellezza e intelligenza e il mondo è come tu lo fai

essere” (34)

È con la postura di un āsana, che può apparire talvolta innaturale, che si può scoprire il

decondizionamento dalle azioni ordinarie. Ad esempio con le posizioni invertite tipo

viparītakaranī-mudrā si vince l'azione gravitazionale riportando gli organi nella

posizione originale; con posizioni come halāsana si provoca una forte chiusura della

gola provocando un rallentamento forzato del respiro, modificando il suo ritmo abituale;

con l'incrocio serrato delle gambe in padmāsana si impone una riduzione del flusso

sanguigno a favore della parte centrale e alta del corpo; con le pratiche respiratorie a

livello diaframmatico si distende un importante muscolo, il diaframma appunto che ci

consente di superare meglio i primi momenti di stress accumulati in quest'area,

conseguenza di reiterate contrazioni che lo hanno irrigidito; come pure tutti gli

allungamenti e le verticalizzazioni con torsioni ed equilibri cercano di opporsi

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

20

all'abitudinaria pigrizia (tamas) propria di molti atti quotidiani e allo schiacciamento

gravitazionale, per disporci ad un'apertura fisica e psichica ritrovata e riequilibrante.

Non di meno il controllo del respiro ci insegna a lasciare libera l'energia durante lo

svuotarsi a fondo dei polmoni o addirittura nel kumbaka, la ritenzione del respiro, si

ferma l'abituale ritmo vitale respiratorio.

Insomma postura e mente sono fortemente collegate da una rete di informazioni

espresse sia a livello conscio che inconscio, ed il collegamento può essere bidirezionale

cioè il pensiero o l'inconscio, possono determinare il rilassamento o meno della postura

o essere a loro volta calmati nel loro ondeggiare dalla postura comoda, stabile,

immobile.

3.2 Āsana come trasformazione della coscienza

Come il corpo si decondiziona nella pratica degli āsana, così la mente impara a svuotarsi

dai pensieri, ritira i sensi verso l'interno, si concentra sulla vera essenza che abita la

carne in cui siamo ospitati. Alcune pratiche yogiche riescono a penetrare l'inconscio,

come gli āsana che lavorano sul dorso cioè quella parte di noi che non vediamo

abitualmente. Perciò si fa uso dei sensi interni del corpo pranico e mentale, dove la

mente può riconoscere in profondità le sensazioni dell'energia che ci trasforma,

rendendoci capaci di controllare meglio all'origine gli istinti e le emozioni e infine

aiutare la coscienza a trasformarsi scoprendo anche il grande tesoro dell'intuito.

Si applica quel concetto che viene detto 'somato-psichismo', cioè da un atto praticato

come l'āsana riequilibrante si genera un pensiero stabile e sereno: è l'espansione della

coscienza.

Gli āsana e la corretta respirazione favoriscono e migliorano l'assorbimento e la

distribuzione dell'energia vitale nel corpo (prāṇa). Le nādī, i canali energetici, vengono

purificate e perciò la pratica dello Yoga non affatica ma rigenera tutto il corpo fisico ed

energetico principalmente con ripercussioni su quello mentale.

E si può affermare che è proprio la coscienza il motore di questa rigenerazione, come

dice l'assioma yogico fondamentale di Svāmin Sivananda (provato da test termometrici):

“là dove va la coscienza, là va il prāṇa, l'energia” (35)

da cui si intuisce che la concentrazione mentale volontaria, cioè della mente superiore

cosciente (vijñānamāyākosha) che assumiamo nell'esecuzione di un āsana, verso quella

o quell'altra parte del corpo materiale (annamāyā-kośa): muscoli, scheletro, articolazioni

e fisiologia in genere, determina un pensiero nella mente inferiore ordinaria

(manomāyākosha) che orienta e concentra il soffio vitale, il prāṇa-vāyu, nel corpo

materiale più sottile dei centri e canali energetici (prāṇamāyākosha).

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

21

Quindi, per estensione del concetto, l'uso della coscienza insieme alla concentrazione

che conduce alla meditazione, rappresentano il sigillo dello Yoga, una pratica che

nobilita l'āsana rendendolo reale, cioè un āsana capace di dirigere la coscienza e di

espanderla fino a rendere lo yogin in grado di evolvere in una realtà di pura

consapevolezza, luogo di unione di Pṛakrti e Puruṣa (la monade spirituale), ovvero nel

corpo causale originale (anandamāyākosha).

Un altro aspetto importante per la coscienza dell'individuo nella pratica degli āsana è la

capacità di ritrovare l'unità dei diversi frammenti materiali o emotivi in cui il praticante

può essere disperso, recuperando l'armonia e la quiete dei diversi livelli del corpo.

Anche quest'aspetto è necessario all'espandersi della coscienza verso un integrazione

dell'io persona.

3.3 Āsana come esplorazione della realtà Praticando gli āsana siamo alla ricerca della nostra posizione vera, l'āsana reale.

Se facessimo l'esperimento di filmare la nostra postura potremmo accorgerci delle

differenze tra ciò che ci appare interiormente e ciò che è in quell'istante la posizione

scheletrico-muscolare del nostro corpo fisico. Ma la pratica e la continua ricerca, il

sādhana, porterà ad eliminare pian piano queste differenze, soprattutto se la mente riesce

a discriminare ciò che non siamo, ciò che non è la verità, satya, della nostra realtà.

Il rilassamento nello sforzo è la premessa a questa ricerca. Infatti quando si comincia ad

esercitare un āsana il nostro lavoro è periferico, l'atto è determinato dalla volontà sotto

sforzo, un atto impulsivo in cui prevale il desiderio di raggiungere un obiettivo esteriore,

un'azione diretta e condizionata dall'ambizione di raggiungere il risultato. Ma

proseguendo la ricerca attraverso la pratica in senso yogico si scopre che gradualmente i

sensori dei muscoli, delle articolazioni, della pelle, gli occhi anche se chiusi, le orecchie,

la lingua e tutti i nostri organi sensibili avvertono ciò che accade nella carne e

partecipano alla conoscenza della postura dell'intero corpo fisico.

Si passa quindi dalle singole percezioni sensoriali alla loro elaborazione mentale dove la

mente è l'organo che elabora le diverse sensazioni, i diversi messaggi, creando la

comunione del corpo diviso nelle varie membra che così si avvertono unite in una

singola postura cosciente, che è l'immagine concentrata della postura mentale,

avvicinandosi alla postura reale. E' un lavoro di discriminazione, concentrazione e di

verità, satya, che riconosce davvero i vari segmenti del corpo e li riconosce in armonia

ed unione tra loro.

Ecco allora che successivamente quando questa comunione totale delle membra

nell'āsana si stabilizza liberandosi dalle fluttuazioni e dagli sforzi inutili, si può iniziare

ad avvertire lo stato di coscienza superiore che permette l'ascolto profondo interiore,

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

22

riconoscendo le trasformazioni provocate in noi dall'āsana. Ci si può porre la domanda:

cosa è cambiato in me che prima non avvertivo?

Quando infine la mia ricerca è ad un livello davvero profondo, nasce l'āsana con la A

maiuscola, quello che si produce da solo senza sforzo, quello che nell'unione delle

membra trova l'equilibrio, la condizione di sguardo all'infinito, la sensazione della realtà

non-finita, che è unica ed è sinonimo di consapevolezza cioè la certezza inspiegabile che

ci permette di dire “io sono quello”.

Si può anche dire che questo passaggio fondamentale è come un cambio di prospettiva

per il praticante, un po' come per chi impegnato in una grande impresa, come per

esempio accade all'astronauta al rientro dallo spazio, dopo lunga ricerca e lavoro giunge

ad un nuovo livello ne coglie i frutti e riconosce in quel lavoro una trasformazione della

sua stessa essenza per cui non sarà più lo stesso di prima. E' quella che definiamo

consapevolezza e nel campo dell'āsana definiamo “āsana reale”, quello che rispecchia la

realtà del proprio essere corpo, mente e oltre i due aspetti grossi del corpo essere

spettatore.

Nella tradizione dello Yoga, l'āsana quando diventa reale è un mezzo con cui si può

discriminare lo spettatore dallo spettacolo, dunque da un'azione volitiva si passa alla

realtà consapevole di colui che osserva e conosce e lo può fare perché distaccato. Questo

è un processo che non ha un tempo ma è impegno e fede di tutta una vita, voglia di

conoscenza e abbandono al Sé, ad Īśvara.

3.4 Āsana, passaggio dall'io al sé

L'io è la visione manifesta dell'esistenza dovuta all'insieme delle sensazioni degli

elementi grossi che sono la terra, l'acqua, l'aria, il fuoco e l'etere nelle loro qualità

rubescenti (rajas) nigrescenti (tamas) o albescenti (sattva) distribuite in vario modo, ed

è una visione destinata a modificarsi nel tempo e perciò come è nato a perire, mentre il

Sé rappresenta un'esistenza equanime nelle qualità e perciò di pura albescenza

(sattva),permanente e non causata che non nasce e perciò non può morire.

L'esistenza manifesta della persona è destinata a vivere agitata come accade alla barca

durante il mare mosso, tra fasi crescenti e fasi calanti. Lo yogin che ha attraversato il

ponte che porta al riconoscimento del sé, che è diventato consapevole della condizione

di testimone distaccato, vive in uno stato di pace assimilabile allo stato dell'ambiente

sottomarino anche quando sopra le acque c'è la tempesta.

Mantenere un āsana nella tradizione di Patañjali abbiamo visto che è un atto di

immobilità privo di sforzo, con concentrazione e meditazione tenuto a lungo, perciò

impregnato di consapevolezza in cui la mente rilassandosi cessa il suo oscillare tra le

increspature abitudinali, passando così da una mente conscia che controlla tutto a una

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

23

mente inconscia che si manifesta nello sguardo sul senza fine. Il senza fine si può

immaginare come il percorso infinito che sta su una grande ruota dove il centro è il

preciso punto di equilibrio equidistante. L'āsana permette di stabilizzarci in questo

centro di equilibrio che ci trasforma nell'essere equilibrato disposto sull'asse centrale

della spirale disegnata da ananta il serpente arrotolato che è come una ruota che sale

verso l'alto. Questo stato si può assimilare al movimento del giroscopio o della trottola

che nel suo ruotare intorno al suo asse, riceve una spinta verso l'alto mantenendosi a

lungo in equilibrio più è equamente bilanciata.

Un giroscopio Ananta il re

dei serpenti

Possiamo allora dire che l'āsana, al servizio dello stato meditativo di perfetto equilibrio,

è la condizione ottimale per demolire le abitudini mentali, armonizzando il nostro essere

corpo e mente, introducendoci alla condizione di testimone distaccato, trovandoci così

sulla “porta d'ingresso” del Sé non causato.

Ognuno troverà allora la propria āsana che meglio fa al suo caso, alla sua condizione di

equilibrio nella spirale verso l'alto, ma la tradizione indica in particolari posizioni

meditative, che vedremo al prossimo capitolo, quelle che hanno delle particolari

caratteristiche di immolità e verticalità.

L'immobilità nell'āsana può essere così lunga e profonda che diventa paragonabile alla

morte, necessaria per rinascere in un'altra forma evoluta detta illuminazione o

realizzazione. Perciò alcuni guru propongono all'allievo che ha conosciuto la condizione

di testimone, la meditazione più essenziale del pensiero incessante “io sono”, che

determinerà il riconoscimento del sé:

“il maestro mi ha detto ciò che è vero. Che io sono la Realtà

suprema. Gli ho creduto e l'ho tenuto a mente. Ma il consiglio che ti

dò è anche meno difficile da seguire: ricordati di te stesso. L'io sono

basta a guarire la mente e a portarti al di là. abbi solo un po' di

fiducia perché non ti inganno” (36)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

24

4. ALCUNI ĀSANA PER MEDITARE

4.1 Preparazione alle posizioni meditative

La postura meditativa è il punto di arrivo di un lento e progressivo lavoro sul corpo

fisico ed energetico che riguarda gli āsana in generale e il prāṇayāma, le tecniche del

controllo del respiro, preparandoci a essere forti e flessibili al tempo stesso.

Le posture “meditative” mettono a dura prova le ginocchia, le caviglie, le anche e in

generale la colonna vertebrale. È allora necessario lavorare su queste parti del corpo per

liberarle da blocchi e da ristagni di liquidi o da intossicazioni e rinforzarne il tessuto

muscolare che le sostiene, ma nello stesso tempo imparare a discriminare le parti in

tensione dalle parti rilassate.

Prendersi cura delle articolazioni degli arti inferiori con dei leggeri massaggi praticati

con i polpastrelli e le punte delle dita delle mani intorno alle caviglie alle ginocchia alle

anche alla zona lombare del rachide.

Mobilizzare lentamente le suddette articolazioni per poi raggiungere i limiti estremi di

spostamento nelle diverse direzioni e mantenerli quanto possibile senza avvertire dolore,

compensando sempre il lavoro in una direzione con uno nel senso opposto. Così

l'esercizio praticato in flessione ripeterlo in estensione, a destra ripeterlo a sinistra ecc. .

Posture di flessione e di estensione, di torsione e di allungamento, sfruttando il peso

naturale del corpo e le sue leve.

Particolare attenzione deve essere fatta alle ginocchia che possono danneggiarsi nei

legamenti o nel menisco, un modo per preservarle è privilegiare gli esercizi in cui sono

completamente estese o completamente serrate.

Per attenuare la fatica a livello delle ginocchia e del bacino si può praticare la posizione

seduta con un supporto di una certa consistenza e quattro o cinque centimetri di spessore

sotto i glutei di traverso in modo ben equilibrato o addirittura con un panchetto di legno

leggermente inclinato, di circa dieci centimetri di altezza che viene posto sopra le

caviglie.

Attivare e rinforzare i muscoli addominali e dorsali, con āsana come il nāvāsana, per la

tenuta della cintura addominale che sorregge il busto a favore della zona lombare,

mantenendo la giusta curvatura del rachide e da cui consegue una giusta postura anche

della zona toracica e cervicale. Qualche rinforzo del dorso con pratiche come

bhujaṅgāsana è molto indicato.

Praticare anche le mobilizzazioni delle cervicali nelle varie direzioni, con “micro-

massaggi interni” producendo con la voce il suono intenso delle diverse vocali: aaa-dx

eee-sx I-alto ooo-basso uuu-ruotare.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

25

Bisogna conquistare l'attitudine della colonna vertebrale alla direzione verticale con le

giuste curvature, portando il mento verso l'alto e poi farlo rientrare verso la fossetta del

collo. Spalle e viso si devono mantenere rilassati.

4.2 Alcune posizioni meditative

Sono molte le posizioni in cui è possibile meditare per brevi periodi, includendo anche

alcuni āsana “evolutivi” come ad esempio paścimattānāsana (la posizione della pinza) o

viparītakaranī-mudrā (atto del capovolgersi), ma per eccellenza le posizioni più adatte

ad un controllo del corpo e della mente, che permettono l'arresto del movimento molto

più a lungo e che fanno provare un forte senso di calore ascetico, indicate nelle diverse

tradizioni anche le più moderne, sono per eccellenza le seguenti:

siddhāsana, padmāsana, svastikāsana (detta anche sukhāsana) e vīrāsana

Vediamo per primo il siddhāsana che letteralmente vuol dire “la posizione che ha

raggiunto lo scopo”, più spesso definito “la postura perfetta”, infatti secondo alcuni testi

in questa posizione è racchiusa la capacità di liberare tutte le nādī dove scorre il prāṇa e

quindi attraverso la pratica assidua di meditazione in questo āsana si riesce a

raggiungere il samādhi, cioè la profonda riunificazione.

Ecco come si pratica il siddhāsana secondo l'haṭha-Yoga-pradipika lex.I,35:

“si appoggi un tallone contro il perineo e si ponga saldamente l'altro

piede sopra il pene; dopo aver premuto il mento sul petto, lo yogin

fermo e stabile, con i sensi dominati, concentri lo sguardo immobile

sullo spazio tra le sopracciglia. Questo è chiamato siddhāsana, che

spalanca la porta alla liberazione finale.” (37)

Il siddhāsana secondo la Gheraṇḍa-samhitā cap.II,7:

“si comprima la regione perineale con un tallone e si appoggi l'altro

tallone sopra il pene; si porti il mento contro il petto; immobile, i

sensi controllati, si guardi fissamente tra le sopracciglia. Questa è la

postura siddha, che abbatte le porte della liberazione.” (38)

Infine il siddhāsana secondo la Śiva-samhitā cap.III,85:

“l'āsana che verrà ora descritto deve essere conosciuto come

siddhāsana, che dà successo a quelli che lo praticano: ritiratosi in un

luogo appartato e silenzioso, il praticante esperto di Yoga, premendo

con cura un tallone sul perineo e l'altro sull'organo maschile, fissi

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

26

sempre gli occhi in alto, guardando nello spazio tra le sopracciglia,

immobile, con i sensi domati e il corpo accuratamente dritto.” (39)

Illustrazione

del siddhāsana

La descrizione di questo āsana adatto alla meditazione è molto chiara anche se in altri

paragrafi dell'haṭha-Yoga-pradipika vengono indicate alcune varianti in merito alla

posizione dei talloni che possono essere nel vajrāsana il sx contro il perineo e il dx

sopra il pene, nel muktāsana i talloni sono sovrapposti e appoggiati al perineo, nel

guptāsana i talloni sono portati al di sopra dei genitali.

In ogni descrizione di quest'āsana è pregnante l'espressione del successo verso la via di

liberazione a cui si va incontro praticandolo, percorrendo così il saṃyama cioè lo Yoga

interiore che è l'insieme di concentrazione dharānā meditazione dhyāna e unione con

l'oggetto di meditazione samādhi, giungendo con discriminazione, al riconoscimento del

Sé, identificazione di Pṛakrti con Puruṣa, condizione di liberazione.

Significativa è l'attenzione alla posizione del corpo che dev'essere, pur senza particolare

sforzo come dice Patañjali, tenuto fermo stabile, dritto e verticale, mantenendo le

naturali curvature fisiologiche. Quando il tallone è correttamente posizionato sotto il

perineo tra l'ano e i genitali, in quel punto iniziano il “vaso concezione” e il “vaso

governatore”, i due canali di energia che scorrono anteriormente e posteriormente al

corpo, in tal modo viene stimolata la risalita del prāṇa verso l'alto.

Tutto in estrema immobilità per un tempo lungo che sarà a seconda dell'evoluzione

individuale da mezz'ora fino a tre ore.

Lo yogin esperto raggiunge la condizione di unmanī cioè la totale condizione di assenza

di pensieri della mente, che lo fa “essere” oltre la mente, uno stato di trascendenza,

praticando il mudrā chiamato sāmbhavī che prescrive di fissare lo sguardo nello spazio

tra le sopracciglia.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

27

La condizione di unmanī è complessivamente agevolata dal prāṇayāma, l'insieme delle

tecniche di controllo del prāṇa indirizzato verso l'alto, dall'esperienza del pratyahara

cioè l'affrancamento dai sensi e dagli oggetti dei sensi e dalla pratica avanzata di

dharānā la concentrazione e dhyāna lo stato meditativo.

Per seconda vediamo la posizione detta padmāsana che letteralmente vuol dire “la

posizione del loto”, spesso preclusa a noi occidentali se tenuta a lungo, perché non

siamo abituati a incrociare le gambe come invece avviene in India già dall'età infantile .

Ecco come si pratica il padmāsana secondo l'haṭha-Yoga-pradipika lex.I,44:

“si ponga il piede destro sulla coscia sinistra e il sinistro sulla coscia

destra e si afferrino saldamente gli alluci con le mani dopo averle

passate dietro la schiena; si appoggi quindi il mento sul petto e ci si

contempli la punta del naso: questo è chiamato padmāsana, che

distrugge completamente le malattie di coloro che osservano gli

yama.” (40)

questa è la versione baddha-padmāsana cioe la “posizione del loto legata” che è un

āsana più evolutiva che meditativa.

Secondo la versione semplificata in haṭha-Yoga-pradipika lex.I,45-46 si dice:

“dopo aver fatto aderire, con il dovuto sforzo, i piedi con le piante

rivolte verso l'alto alle cosce opposte e similmente aver posto le mani

con le palme rivolte verso l'alto tra le cosce, si diriga lo sguardo alla

punta del naso; poi si spinga la lingua contro la base dei denti

incisivi, si appoggi il mento sul petto e si faccia risalire lentamente il

prāṇa.” (41)

Il padmāsana, nella versione baddha cioè legata, della Gheraṇḍa-samhitā cap.II,8:

“si appoggi il piede destro sulla coscia sinistra e il sinistro sulla

coscia destra; con le mani si afferrino strettamente, da dietro la

schiena, gli alluci; si abbassi il mento sul petto e si volga lo sguardo

alla punta del naso. Questo è detto padmāsana, distruttore di ogni

malattia.” (42)

Infine il padmāsana secondo la Śiva-samhitā III,88-91:

“ora io descriverò il padmāsana che porta via tutte le malattie: messi

con cura i piedi sulle cosce a piante in su e poste le mani, allo stesso

modo, sulle cosce a palme in su, il praticante fissi la punta del naso,

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

28

premendo la radice dei denti con la lingua, col mento in alto e il

petto sollevato, lentamente inspiri aria il più possibile fino a

riempirsene, e lentamente poi la espiri, il più possibile in modo

armonico. Questo āsana non può essere compiuto da chiunque, solo

il saggio ha successo. Con questa pratica e questo esercizio il respiro

del praticante diventa regolare e subito fluisce armonioso, non v'è

alcun dubbio. Se lo yogin, seduto in padmāsana, respira secondo le

norme relative al prāṇa e all'apāna, ottiene l'emancipazione; la

verità, la verità io dico.” (43)

Illustrazione Illustrazione

del del

baddha-padmāsana padmāsana

Sul piano della fisiologia sottile, soprattutto quest'āsana, praticato nella forma non

legata più facilmente accessibile, come risulta evidente dalle parole appena lette dalla

Śiva-samhitā, è particolarmente adatto alle tecniche del controllo del prāṇa, il

prāṇayāma, che purificando le nādī favorisce lo scorrere del prāṇa-vāyu nel corpo

dell'adepto, agevolando così la pratica degli aṅga superiori (i quattro ultimi “membri”

dell'haṭha-Yoga) il pratyahara, la sospensione dei sensi, e il dharānā, la concentrazione;

concentrazione in particolare, come indicato nel testo, su un punto: la punta del naso,

detta nasāgra-dṛṣṭi.

Sul piano fisico ordinario sia il siddhāsana che il padmāsana agiscono sulle

articolazioni delle anche e delle ginocchia sbloccandole, sulla spina dorsale prevenendo

le deviazioni del rachide e su piedi e caviglie con estensioni e rotazioni. Si produce

un'azione tonificante degli organi addominali, con un flusso sanguigno maggiore in

questa zona per la compressione degli arti inferiori contribuendo così alla risalita del

prāṇa. La presa della posizione e il suo scioglimento devono essere lenti e

progressivamente allenati con la preparazione attenta delle articolazioni più esposte

all'āsana.

Da queste posture il corpo ne ricava un vero riposo.

Brevemente accenniamo alle ultime posizioni meditative esaminate in questo elaborato:

svastikāsana e vīrāsana.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

29

Svastikāsana, la postura propizia di benessere, dall'haṭha-Yoga-pradipika lex.I,19:

“dopo aver appoggiato correttamente ciascuna pianta del piede tra il

ginocchio e la coscia opposti si stia eretti e ben assisi: questo è

chiamato svastika” (44)

dalla Gheraṇḍa-samhitā cap.II,13:

“quando lo yogin sedendo con il busto eretto, porta la pianta di

ciascun piede tra coscia e ginocchio della gamba opposta, questa

postura è detta svastika” (45)

Infine vīrāsana, la postura dell'eroe dall'haṭha-Yoga-pradipika lex.I,21:

“si appoggi saldamente un piede sulla coscia opposta e la coscia

sull'altro piede” (46)

dalla Gheraṇḍa-samhitā cap.II,17:

“si ponga un piede su una coscia, appoggiata sull'altro piede volto

all'indietro.” (47)

Vediamo qualche immagine con il dettaglio di queste posizioni che risultano meno

difficili delle precedenti nella loro esecuzione ma anche meno efficaci dal punto di vista

della liberazione delle nādī e quindi dell'assimilazione pranica.

Illustrazione Illustrazione

dello del

svastikāsana vīrāsana

Nella Śiva-samhitā cap.III,97 viene ricordato che il termine sukhāsana o “postura

facile” è utilizzato come sinonimo di svastikāsana ed è evidentemente adatto ai

principianti.

Lo Svāmin Sivananda propone una interessante variante del sukhāsana per chi non ha

più l'elasticità necessaria a posture impegnative, egli scrive:

“ecco una variazione particolare di questa posa, molto comoda per le

persone anziane: prendete un panno lungo cinque braccia e

piegatelo nel senso della lunghezza. Alzate le ginocchia al livello del

petto. Tenete un angolo del panno vicino al ginocchio sinistro,

passate dietro la schiena l'angolo opposto, dal ginocchio sinistro fino

al ginocchio destro; ritornate sul ginocchio sinistro e annodate.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

30

Tenete le mani tra le ginocchia. Con le gambe, le mani e le scapole

così sostenute, potete rimanere a lungo in questa posizione.” (48)

Una nota merita vīrāsana che si può praticare nella variante con i piedi portati oltre il

bacino dal lato opposto e le ginocchia sovrapposte su cui si appoggiano le mani, questa

versione è particolarmente efficace, con la dovuta prudenza, per l'allungamento del

nervo sciatico.

Illustrazione della

variante del

vīrāsana

È appena il caso di ricordare, come ampiamente descritto nel capitolo 2, che il successo

della concentrazione e dello stato meditativo conseguente non può essere attribuito solo

a questi āsana appena descritti ma deve essere accompagnato da una fede ardente del

praticante nella ricerca di Sé, dopo aver adempiuto a ciò che è prescritto da yama e

niyama rispetto al proprio ruolo sociale, con l'uso dei mantra o di tecniche che ci

distaccano dagli oggetti dei sensi, in armonia ed equilibrio sattvico, con regolarità,

assiduità, progressione, superando l'indolenza umana indotta dalle passioni.

Le mani poste sulle ginocchia sono tenute in una mudrā, ad esempio in jñāna-mudrā il

gesto dell'iniziato, chiudendo così un percorso pranico e rappresentando l'io indice che si

sottomette al Sé pollice di cui parlerò al cap.8.

4.3 Effetti e controindicazioni Gli effetti delle posture meditative, se ben eseguite, nel corpo fisico sono, sotto l'aspetto

scheletrico muscolare, la rieducazione alla postura sempre eretta del rachide, una

migliore azione respiratoria completa e come già detto in particolare per la variante del

vīrāsana, anche lo stiramento terapeutico del nervo sciatico. Sul piano cardiovascolare,

avendo serrato in parte alcuni vasi degli arti inferiori la circolazione sanguigna è spinta

verso l'addome e verso l'alto, essa perciò favorisce gli organi presenti in quell'area:

intestino, reni, stomaco, cuore, polmoni, cervello, ecc., dall'interno si aggiunge a questo

anche il massaggio dovuto alla respirazione profonda.

Non trascurabili sono gli effetti coadiuvanti della peristalsi intestinale dall'alto per il

massaggio pneumatico del diaframma e dalla muscolatura addominale anteriore.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

31

Si producono effetti calmanti nel sistema nervoso che a causa dell'immobilità perde i

riferimenti esterni e normalmente si placa come durante il sonno restando in una

condizione di attesa. Perciò il sistema nervoso viene ad essere riequlibrato tra la

componente simpatica e parasimpatica. Il sistema linfatico e poi quello endocrino si

acquietano perché collegati a quello nervoso, ma la riduzione di attività di questi sistemi,

specie quello endocrino, è più profonda e persistente e il suo recupero molto più lento.

Si può dire che viene prodotta un'azione antistress praticando questi āsana.

Il respiro che volontariamente controlliamo all'inizio dell'esercizio, progressivamente si

calma anch'esso riducendo la sua frequenza, arrivando in alcuni momenti addirittura alla

sospensione. Questo perché l'attività del corpo pranico riduce sempre più le sue

necessità, ed in pratiche avanzatissime persino ad avvicinarsi alla condizione di morte

apparente con il minimo bisogno di prāṇa soprattutto concentrato a livello del bindu il

centro alto del capo con il resto del corpo in ipotermia.

Il sistema immunitario di difesa alle diverse malattie, è dimostrato essere

particolarmente migliorato dalla pratica di concentrazione e meditazione.

Lo stress che dipende particolarmente dallo psichismo squilibrato di chi ne soffre, può

essere curato con la pratica di concentrazione e meditazione opportunamente strutturata

sull'individuo, inserendo anche pratiche di riequilibro del sistema nervoso nei diversi

plessi glosso-faringeo, solare, sacrale, e di riequilibrio pranico.

Un importante effetto sottile è il riequilibrio delle tre diverse aree principali in cui siamo

suddivisi, l'area istintiva in basso, l'area emozionale al centro e l'area mentale in alto, e

questo riequilibrio porta al risveglio dell'intuito spesso sopito.

Gli effetti mentali delle pratiche meditative praticate con abyāsa, la perseveranza e

vairāgya, il distacco dall'ambiente per non disperdersi, nell'adepto sono soprattutto la

sensazione di calma perché ci liberano dai pensieri opprimenti della vita, senza sottrarci

al mondo, ma anzi scoprendolo più lucente, più presente, maturando un senso interno di

pace e di armonia verso l'esterno. Tenere i palmi delle mani rivolto verso l'alto e i gomiti

verso il basso con le spalle aperte è un gesto di apertura e accoglienza che già acquieta la

mente.

Vi è poi una progressiva perdita delle sensazioni dal mondo esterno per lo sganciarsi

della mente cosciente dagli stimoli sensoriali e le dualità ordinariamente presenti, a poco

a poco si assottigliano per rivelarci l'unità dell'essere. Inizia un percorso di

decondizionamento mentale che dall'immobilità fisica si trasferisce nel rallentamento dei

pensieri, che si impara a riconoscere e a gestire con padronanza uno dopo l'altro

recuperando immagini positive ed emarginando quelle di sofferenza. Questo processo

porta al silenzio interiore della mente, uno stato di purificazione mentale conscia ed

inconscia.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

32

La misura strumentale di onde alpha, che sono indice di relax, ci permette di riconoscere

e compensare lo stato di rilassamento della mente nel suo transitare tra le increspature

dei pensieri.

Si rivelano all'adepto altre esperienze superiori come la sensazione di risalita del prāṇa,

lungo i sei principali cakra, i centri energetici lungo la linea mediana del corpo, dalla

base tra l'ano e i genitali fino al centro delle sopracciglia, questo è chiamato risveglio

della kuṇḍalinī.

Si rivela all'adepto anche l'estasi del samādhi, lo stato di pura beatitudine, che è un

effetto proprio della lunga meditazione in queste posizioni.

Controindicazioni non ne esistono se non la cautela di evitare le posizioni meditative

durante gli stati acuti di traumi al rachide o alle articolazioni già citate: anche, ginocchia,

caviglie.

Se mantenute oltre la mezz'ora è bene avere rispetto dell'acutizzarsi di particolari fastidi

articolari o muscolari, considerandoli come la richiesta di quella parte del corpo di

essere preparata meglio alla postura, quindi interromperla per il momento passando ad

un'azione propedeutica come quelle descritte nel paragrafo sulla preparazione agli āsana

meditativi.

Evitare queste posizioni durante stati depressivi, in questi momenti è consigliabile prima

una pratica più dinamica o di forza, che aiuti il praticante a ritrovare il contatto con il

corpo fisico, mettendo ordine nella coscienza confusa o smarrita. Ancora più delicata e

da valutare con attenzione dopo un opportuno approfondimento è la pratica meditativa

nei casi di esaurimento nervoso, dove prima va riconosciuta e rimossa la causa

scatenante.

4.4 Il prāṇayāma negli āsana meditativi

Negli āsana appena descritti, per eccellenza in padmāsana, si pratica il controllo del

respiro allo scopo di assimilare e distribuire il prāṇa che perciò partecipa alla

realizzazione del calore ascetico necessario alla meditazione e all'unione yogica, il

samādhi.

Si consiglia di far precedere al prāṇayāma alcune delle sei tecniche di purificazione

dette ṣaṭkarman, che sono: dhauti (pulizia di vario tipo, dai denti alla lingua

all'intestino), basti (detersione addominale), neti (detersione delle fosse nasali), laulikī o

nauli (scuotimento dello stomaco), trāṭaka (fissazione dello sguardo) e kapālabhāti

(schiarimento del capo); queste rendono i canali energetici, le nādī, libere per lo scorrere

del prāṇa.

Si può quindi approfondire la pulizia delle impurità delle vie aeree fino al capo con

kapālabhāti che ho detto far parte delle tecniche del ṣaṭkarman, che indirizza l'aria e il

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

33

prāṇa verso l'alto; seguendo poi col controllo della regolarità delle fasi del respiro con

proporzione di 1,4,2 mātrā (unità di misura) di pūraka (inspirazione), kumbhaka

(ritenzione), e recaka (espirazione); passando quindi a pratiche di assimilazione del

prāṇa come sūrya-bhedana o bhastrikā che propongono una ritenzione prolungata

dell'aria nei polmoni, detta kumbhaka in cui l'energia pranica ha più tempo per essere

assorbita, distribuita ed assimilata anche a livello cellulare.

Ed infine si può praticare bhrāmari in cui, dalla descrizione dell'haṭha-Yoga pradipika

II,68, si produce il suono del ronzio dell'ape maschio all'inspiro rapido (non facile da

produrre) e il più delicato ronzio dell'ape femmina all'espiro molto lento. Suoni prodotti

dalle corde vocali, che salgono lungo la gola fino alla radice del naso con la vibrazione

dall'interno della scatola cranica. Tale massaggio agisce su zone primordiali del cervello

dove non vi sono altri mezzi per intervenire, riequilibrando la zona delle ghiandole

endocrine pineale (epifisi) e pituitaria (ipofisi), con conseguente equilibrio del sistema

ormonale e nervoso; induce inoltre la mente alla tranquillità dissolvendo i pensieri nella

concentrazione sul suono e perciò bhrāmari è particolarmente adatta ad entrare nello

spirito meditativo.

In generale i prāṇayāma producono effetti utili alla funzionalità mentale, determinano

una migliore circolazione del prāṇa, la sua assimilazione e trasporto nel corpo,

favorendo tutte le attività comprese quelle della mente che diventa più limpida. I

prāṇayāma che fanno risalire il prāṇa verso l'alto aiutano anche a mantenere il risveglio

della mente prevenendo stati di torpore, tamas, che nella pratica meditativa sono un

rischio frequente.

Importante è poi il controllo della cintura addominale, contraendo le varie tonache

muscolari presenti nell'addome specialmente i muscoli grandi retti, in tutte le fasi della

respirazione in particolare durante la ritenzione kumbhaka.

“L'importanza del controllo della cintura addominale è evidente in

molte scuole come l'Aṣṭāṅga Yoga Nylayam di Mysore. Si vede il

maestro durante la pratica del prāṇayāma, che controlla questa

tensione nell'allievo, particolarmente premendo i pollici contro

l'addome nella zona sopra la sinfisi pubica, all'inserimento dei

muscoli grandi dritti, per assicurarsi che la tensione sia corretta”(49)

Questo controllo è quasi automatico nel padmāsana, la posizione del loto, e serve in

generale per evitare tutti i problemi di stasi circolatoria e rilascio dei tessuti e degli

organi interni, e per beneficiare a pieno del massaggio diaframmatico contenuto nella

zona addominale contratta, che quindi risulta contenuta in fase inspiratoria e ritentiva

dell'atto respiratorio e rientrata verso l'alto in fase espiratoria, ciò favorirebbe anche la

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

34

risalita del prāṇa e il risveglio della kuṇḍalinī, la forza spirituale latente in ogni essere

umano.

Un altro aspetto importante per contenere il prāṇa e i suoi effetti ed evitare sgradevoli

risultati è l'uso dei bandha accessori al kumbhaka detti bandha-traya: i tre legami,

ovvero la creazione di barriere al flusso energetico con la contrazione di opportuni

muscoli. I tre bandha da utilizzare sono mūla bandha che vuole sigillare l'apāna entro la

zona addominale con la contrazione muscolare degli sfinteri anali dal basso ventre verso

l'alto, uddīyāna bandha che con la contrazione addominale verso l'alto invita alla risalita

della kuṇḍalinī e infine jalandhara bandha che vuole sigillare il prāṇa nel torace con la

contrazione del collo e la chiusura della gola portando il mento con forza verso il petto e

sollevando le spalle con le braccia tese e le mani appoggiate alle cosce.

È durante la fase del kumbhaka che con meraviglia si ottiene una mente particolarmente

libera dai pensieri, distaccata dalle sensazioni ordinarie, la mente viene decondizionata

dalla situazione di particolare immobilità si concentra sul vuoto del respiro e riduce il

suo vagare.

Infine vediamo il mūrcchā prāṇayāma, che è adatto solo ai più progrediti, è una tecnica

che si può considerare un prāṇayāma di transizione a stati di coscienza modificati,

utilizzando jalandhara bandha in modo 'estremamente serrato' al termine di una

inspirazione, causando la compressione di un punto particolare del seno carotideo. In

quel punto fisico s'innesta anche la nādī della conoscenza vijñāna-nādī che va verso i

centri pranici del capo passando progressivamente al controllo delle fluttuazioni mentali.

Lo scioglimento del bandha dev'essere alquanto progressivo.

“Mūrcchā, quale tecnica molto potente, va affrontata con

preparazione e cautela. Il pericolo non è rappresentato dalla

ritenzione, ma dal fatto che questo prāṇayāma lavora con molta

intensità sul piano mentale. Affinché i cambi di stato di coscienza

non siano traumatici o non lascino affiorare tensioni e pulsioni dal

livello inconscio, è necessario avere acquisito un'armonizzazione

pranica e un certo grado di purificazione del piano mentale” (50)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

35

5. L'AMBIENTE, IL LUOGO, IL TEMPO

5.1 Premessa

È possibile lo stato meditativo perpetuo? Forse è possibile per un grande Maestro, uno

Svāmin, magari per un jīvan-mukta (realizzato in vita) come Śri Maharaj Nisargadatta

che disse ad un interlocutore:

“io vivo in un mondo di realtà, mentre le tue realtà sono

immaginarie. Il tuo mondo è personale, privato, non condivisibile,

intimamente tuo. Nessuno può entrarci, vederlo come lo vedi tu,

sentirlo come lo senti tu, provare le tue emozioni e pensare i tuoi

pensieri. Nel tuo mondo sei veramente solo, intrappolato nel tuo

sogno che cambia in continuazione e che tu scambi per la vita. Il mio

è un mondo aperto, comune e accessibile a tutti. Nel mio c'è

comunanza, introspezione, amore, vera qualità; l'individuale è il

totale, la totalità è nell'individuo. Tutti sono uno e l'Uno è tutti.” “in

apparenza sento, vedo, parlo e agisco, ma per me sono solo cose che

accadono, come per te la digestione o la sudorazione. Se ne prende

cura la macchina del corpo-mente e me ne lascia fuori” (51)

e in un'altra occasione disse anche:

“Il fattore principale è il silenzio. È in pace e in silenzio che cresci”.

(52)

La Baghavadgītā alla sesta lettura, versetti dal 10 al 15, ci dà un messaggio con

indicazioni forti e chiare su come la meditazione deve essere compiuta dallo yogin, cioè

da colui che percorre il sādhana e la sua vita è permeata dallo Yoga:

“Lo yogin deve esercitarsi di continuo, stando in un luogo appartato,

solitario, tenendo a freno la mente ed il Sé, senza aspirazioni, senza

possessioni.

Sceltosi un seggio stabile, in un luogo puro, non troppo alto e non

troppo basso, ricoperto di un panno, di una pelle di antilope o di erba

(erba kuśa)

sedutosi su di esso e concentrata quivi la mente in un punto, tenendo

a freno le attività del pensiero e dei sensi, egli deve esercitare lo

Yoga, per purificare il Sé.

Fermo, mantenendo immobile e nella stessa posizione il corpo, la

testa e il collo, fissandosi la punta del naso, senza volgere lo sguardo

in giro,

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

36

tranquillo, senza paura, fermo nel suo voto di castità, tenendo a

freno la mente, col pensiero in me, così egli dev'essere seduto,

intento in me.

Esercitando così di continuo il suo Sé, frenata la mente, lo yoghin

ottiene la pace che culmina col nirvana, la mia sede” (53)

Per il praticante che ha assaporato solo qualche momento di coscienza superiore, di

estasi e pace, è necessario adottare tempi, modi e luoghi adatti a favorire un cammino di

concentrazione e di meditazione, dove il silenzio sarà il fattore principale.

5.2 Quando e dove è meglio meditare

“Aspiranti alzatevi all'ora di Brahman (Brahma-muhūrta); fatelo ad

ogni costo. Questo lasso di tempo si situa al mattino tra 3.30 e le

5.40; è assai favorevole alla meditazione. La mente rinvigorita dopo

un buon sonno è calma e serena. C'è in essa una preponderanza di

purezza (sattva) che si trova in questo momento anche

nell'atmosfera. In questa parte del giorno la mente assomiglia ad un

foglio bianco, o ad una tavoletta vergine; è relativamente libera dalle

impressioni sovrimposte in precedenza (saṃskāras). Le correnti

d'attrazione e repulsione (rāga-dvesha) non hanno ancora penetrato

profondamente la mente che in questo momento può essere

modellata nel modo da voi scelto” ... ”è anche l'ora nella quale tutti

gli yogin e le grandi anime (paramahaṃsas), i saggi (rishis)

dell'Himalaia cominciano la loro meditazione ed inviano le loro

vibrazioni attraverso lo spazio.” (54)

Svāmin Sivananda, maestro di meditazione, ci propone un tempo preciso: l'alba in cui la

meditazione agisce in maggior misura su una mente riposata, inoltre indica il momento

del crepuscolo in cui come all'alba il canale pranico per eccellenza, ṣusumnā, è sgombro

quindi il respiro è libero su entrambe le narici che sono legate alle due nādī iḍā e piṅgalā

il cui equilibrio favorisce l'apertura di ṣusumnā.

“Per meditare bisogna avere una stanza separata che si chiude a

chiave. È una condizione 'sine qua non'. Trasformate la stanza in

'foresta' e non permettete a nessuno di entrarvi. Se non avete una

stanza intera convertite in luogo di meditazione un angolo della

stanza, circondatelo con una tenda o uno schermo. Alla mattina e

alla sera bruciatevi incenso profumo o canfora. Ponetevi l'immagine

del Signore Kṛṣṇa, di Shiva, Rama, Devī Gāyatrī o del guru, del

Signore Gesù o di Buddha. Mettete la sedia davanti all'immagine.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

37

Lasciate qualche libro come la Gītā, le Upaniṣad, lo Yoga vaṣisṭha,

la Bibbia, il Corano, eccetera.”

“La stanza di meditazione dovrebbe essere considerata come un

tempio Non vi si dovrebbe tenere una conversazione profana, nessun

pensiero vizioso, di gelosia o di avarizia”

“Quando ripetete un mantra o il nome del Signore, delle vibrazioni

potenti rimangono nell'etere della stanza. Fino a sei mesi dopo

proverete la pace, la purezza dell'atmosfera”

“Praticate e provate voi stessi le influenze spirituali calmanti.

Troverete così nella vostra stessa casa un luogo di

pellegrinaggio.”(55)

Svāmin Sivananda definisce con una certa chiarezza il luogo di meditazione che, simile

ad un tempio, è praticabile a chi vuole assorbire una speciale energia dovuta alla pratica

stessa che sembra aver impregnato l'atmosfera in esso contenuta, penetrandolo a fondo.

Molti meditatori pongono un tappeto naturale a terra come la pelle di un animale

selvatico, un grande felino, che isola dall'umidità e trattiene la dispersione di energia.

Un supporto di pochi centimetri posto sotto i glutei dei principianti per avere una postura

più corretta sarà inoltre una buona idea, in modo da avere il rachide in posizione

verticale dal sacro alla nuca, con le naturali curvature non troppo accentuate. Il supporto

migliore è quello posto in modo equilibrato sui due lati, ad esempio può essere fatto da

un rotolo messo di traverso a terra sotto il bacino lungo la linea sagittale tra i due glutei.

Anche la tenuta della cintura addominale risulterà più gradevole e la tenuta della postura

nel suo complesso, ma l'obiettivo nel tempo sarà quello di una postura bassa a terra

come vuole la tradizione, tenendo le ginocchia leggermente più basse del bacino.

Secondo la Śvetāśvatara-Upanisad il luogo di meditazione dev'essere piano, senza

pietre, senza fuoco né vento, ne polvere né umidità, lontano da rumori, con un paesaggio

piacevole per l'occhio, in ombra, in grotta, con sorgenti d'acqua nei pressi che aiuterebbe

nella pratica.

“Mentre progredite sul sentiero spirituale, il mondo non conviene

alla vostra meditazione. Esso racchiude delle cause di turbamento;

l'ambiente non ne è esaltante; in questo momento i vostri amici sono

i vostri peggiori nemici. Vi fanno perdere tempo in vane discussioni;

ed è una cosa inevitabile. Siete perplessi e tormentati. Allora cercate

di allontanarvi dalle vostre amicizie” (56)

Questa considerazione è dura ma vera, nel senso che chi non è sulla via del sādhana

fatica a capire la bontà di quest'azione finché non decide di partecipare con fede al

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

38

percorso, ma fino ad allora da “amico” proverà a metterci in difficoltà e a criticare la

nostra azione interiore.

Detto ciò si deve socializzare con gli amici nel tempo dedicato a loro e accogliere con

una certa riservatezza chi volesse avvicinarsi allo Yoga con seri propositi.

“Vi dev'essere un clima temperato soddisfacente sia d'estate che

durante la stagione delle piogge che in inverno”. “Dovete stabilirvi

in un posto per tre anni”. “Dato che il luogo ideale non esiste, non

cambiate se incontrate qualche inconveniente, dovete adattarvi”

“Māyā vi tenta in vari modi, usate la ragione e il discernimento

(viveka)”. “State in guardia contro ogni tentazione ed ogni

delusione”. “I luoghi freschi sono necessari alla meditazione quando

fa troppo caldo il cervello si stanca rapidamente” (57)

Questi ultimi sono particolari suggerimenti pratici essenziali per avvicinarsi alla

meditazione.

Ci si potrebbe addentrare ancora nei luoghi meditativi particolari come l'ambiente della

grotta dove l'atmosfera e il silenzio profondo sono caratteristici, ma tralascio

l'approfondimento di questo aspetto seppur ricco di significati naturali depurativi della

mente, proprio dei luoghi lontani dagli inquinamenti.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

39

6. UNA MEDITAZIONE

6.1 Premessa

Prima di praticare ecco ancora dei consigli dello Svāmin Sivananda per ottenere migliori

risultati dalle sedute di Yoga interiore

“Seduti nella postura preferita, testa e busto eretti, chiudete gli occhi

e concentratevi dolcemente sia sulla punta del naso, sia sullo spazio

tra le due sopracciglia, sia sul lotus del cuore od anche sulla

sommità del capo. Quando avete scelto un punto di concentrazione

fissatevici fermamente, come fa una sanguisuga; non cambiatelo.”

(58)

l'immobilità, la ferma attesa e molta fiducia nella rivelazione del Sé, sono ingredienti

indispensabili, poi i risultati verranno. Ma è bene distinguere a questo punto tra i due tipi

di meditazione che è possibile affrontare nella pratica:

“la meditazione è di due specie cioè: saguṇa che mantiene la

coscienza delle guṇas (qualità o attributi dell'oggetto sul quale si

medita) e nirguṇa in cui svaniscono tutti gli attributi. La meditazione

sul Signore Krisna, sul Signore Rama o sul Signore Gesù è saguṇa

con forme ed attributi; e nello stesso tempo si ripete il nome del

Signore ... La meditazione sulla realtà dell'Io ... su OM, So'ham e

Tat tvam asi (formule con le quali ci si identifica con l'assoluto)

appartiene alla meditazione nirguṇa.” (59)

La meditazione che voglio proporre in questo assunto è appunto di tipo saguṇa, che in

un ordine di difficoltà viene assai prima rispetto alla meditazione nirguṇa.

6.2 La meditazione della montagna

Se ci poniamo di fronte ad una montagna o anche solo ad una sua fotografia o ad un suo

quadro, dalla visualizzazione concentrata potremo percepire l'immagine delle sue qualità

ed entrare nello stato di meditazione, desiderosi di conoscere ma mentalmente

abbandonati all'evolversi della pratica.

La pratica meditativa è uno stato della coscienza, un momento, che per il jñānin è una

condizione permanente, di scoperta di ciò che siamo veramente, che è normalmente

nascosto dal velo creato dalla confusione dei tanti eventi acquisiti dai sensi e

dall'elaborazione della mente. Praticare la concentrazione prima su un oggetto e poi

interiormente su un'immagine sempre meno qualificata è la via per giungere

gradualmente a questo stato.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

40

La pratica sarà inizialmente di tipo saguṇa, di concentrazione esteriore o interiore su

qualcosa che già conosciamo nei suoi attributi qualitativi. Questo qualcosa potrebbe

essere il sole, il cielo, un fiore, il Signore Kṛṣṇa, ecc. .

Un oggetto molto usato da interiorizzare è la montagna, così ricca di varietà qualitative

da discriminare e così simile allo yogin in posizione meditativa.

La montagna e altri oggetti di meditazione sono utilizzati anche nella tradizione della

meditazione o preghiera “esicasta”, di tradizione cristiana, ortodossa e non, dove la

ricerca nel silenzio della pace del cuore dell'uomo porta ad una purificazione dei pensieri

e al raggiungimento di un rapporto col divino, l'Essere increato, accogliendolo e

riflettendo come specchi senza macchia la sua luce.

Per iniziare si deve ricercare l'immobilità, la via della non-azione (nivritti-mārga), in una

delle posizioni meditative di cui ho trattato al cap.4. Si avranno così ferme le gambe, le

mani, la voce, si bloccano gli organi escretori e quelli riproduttivi (i 5 karmendriya), si

neutralizzano i cinque organi di senso ( i 5 jnanendriya).

Conviene sedersi su un telo isolante dal terreno e con un supporto sufficiente a rendere

la postura immobile per lungo tempo, da mezz'ora a qualche ora a seconda del proprio

grado di preparazione.

La pesantezza del corpo e la stabilità dell'appoggio al suolo determinano una sensazione

di forte radicamento in unione con la terra. Si cerca quindi l'equilibrio verticale della

colonna vertebrale con il minimo sforzo, il più possibile determinato dal solo sostegno

scheletrico. L'orientamento da terra verso l'alto ci porta già al raffronto con la montagna,

posizione tra cielo e terra stabile, ferma e dritta, avvertita anche come l'antenna che

percepisce le vibrazioni e risuona con quelle sincrone o armoniose, perciò in accordo

con l'energia cosmica.

Verificare un membro alla volta se postura e rilassamento sono assicurati e in armonia

tra loro, partendo dai piedi, le caviglie, le gambe, le cosce, il bacino, l'addome, il petto,

le spalle,il dorso, il collo, il capo, le braccia, le mani.

Le mani poste sulle ginocchia sono tenute in un mudrā, ad esempio in jñāna-mudrā il

gesto dell'iniziato, chiudendo un percorso pranico con l'indice rappresentante l'io che si

sottomette al Sé rappresentato dal pollice. Le braccia sono ruotate all'esterno con i palmi

delle mani verso l'alto, nel gesto di accoglienza che ci fa tenere le spalle ben aperte.

Il respiro è rallentato in ujjāyī semplice, la tecnica con cui si assottiglia il passaggio

dell'aria nella glottide facendola leggermente frusciare; concentrandosi sul respiro in

ascolto del suo fruscio sottile si crea il cambio di ritmo armonico con cui si

decondiziona la mente calmandola.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

41

Quindi ancora nell'ascolto del respiro ci si interiorizza all'interno del corpo, avvertendo

le sue qualità sottili in particolare lungo il rachide nelle nādī principali e nella zona dei

primi due cakra in basso, nell'area dell'osso sacro.

Si tende alla condizione di silenzio, riducendo le fluttuazioni della coscienza mentale,

favorito dalla postura immobile senza sforzo.

Allora possiamo riconoscere i pensieri nello spazio privilegiato della loro

manifestazione, dietro l'osso frontale, il luogo chiamato chidākāshā. Lasciamo che lo

scorrere dei pensieri a poco a poco rallenti, utilizzando anche tecniche di controllo della

mente come antar-mauna il silenzio interiore, cioè immobilizziamo i pensieri per

sospenderli e neutralizzarli; questo ci porta nel pratyahara, la condizione di distacco dal

mondo esterno.

Ora non ci resta che concentrarci sull'oggetto scelto per la meditazione, per dirigere il

flusso dei pensieri in una determinato luogo. Questa immagine ci aiuterà comunque a

mettere per un periodo da parte gli altri pensieri.

Creiamo allora in chidākāshā l'immagine di una montagna conosciuta (ad esempio il

Monviso nella stagione calda), che sarà a poco a poco così nitida nella sua maestosità ed

immobilità che ci sembrerà di poterla toccare, di poterci entrare dentro; ferma con la

base al suolo della Terra e poi alta fino alla vetta che spicca nel cielo terso che appare

infinito, dove è più intensa la carica di energia cosmica.

Col passare dei minuti il nostro corpo ci sembrerà assomigliare prima alla base della

montagna, poi ai fianchi della montagna, quindi alla sua vetta ............... il nostro essere

individuo si trasforma nella montagna. È una trasformazione della coscienza.

E poi immaginiamo i particolari. Vediamo una sorgente d'acqua che sgorga dalla roccia

e ascoltiamo lo scorrere del ruscello che scende lungo i solchi della montagna e

seguiamo il suo corso con i colori e i suoni ............... Ascoltiamo il fruscio e il suono del

vento lungo il fianco della montagna ............... le rocce e la vetta innevata avvolta dalla

nebbia.

Possiamo riconoscere molti dettagli, più che nella vita ordinaria , dai più grandi come

una roccia ............... una grande pietraia ............... un grande albero ............... il sentiero

nel suo percorso lungo i fianchi della montagna ............... un prato verde ............... poi i

piccoli dettagli come le farfalle del prato ............... le formiche ............... un insieme di

sensazioni che via via si rivelano come presenti sul nostro corpo in forma sottile, in parte

mentale e in parte psichica non causata. Un'azione nella non-azione.

Infine si potrà visualizzare una grande luce dietro la montagna, è il sole che sorge e che

gradatamente ci restituisce l'immagine luminosa e completa dell'insieme della montagna

di cui ci sentiamo parte, che vediamo fuori e dentro al tempo stesso.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

42

Quando saremo verso la conclusione della meditazione, bisognerà ritrovare il contatto

col mondo grossolano; lo si può fare lentamente iniziando a riascoltare il respiro che

fluisce nella gola e nelle narici. Rendere più intenso questo movimento dell'aria nel

corpo, e iniziare a riprendere contatto con mani e piedi attraverso leggeri massaggi

superficiali, quindi muovere braccia e gambe liberando lentamente la postura seduta.

Può essere praticato un lentissimo dondolio del capo nelle quattro direzioni e un contatto

delle punte delle dita sul cuoio capelluto in un lieve massaggio.

Distendersi infine in śava-āsana per qualche minuto per riequilibrare ogni eventuale

disordine fisiologico e mentale praticando un japa interiore, un mantra ripetuto molte

volte ciclicamente. Poi tornando seduti in verticale la recita lenta del mantra concluderà

la meditazione.

Nel corso di successive pratiche meditative si ridurranno i dettagli delle immagini e le

loro qualità fino a ridurre all'essenzialità gli oggetti di meditazione e scoprirne la vera

essenza di cui sono costituiti. Nello specifico della montagna si riconosceranno le qualità

nascoste come la sua stabilità il suo silenzio, la sua ritmicità stagionale, la sua pazienza

immobile e la sua eternità. Questo atteggiamento porterà anche alla pratica della

meditazione nirguṇa o senza oggetto di meditazione o senza seme.

Una tale concentrazione può durare da mezz'ora a un'ora e mezza a seconda di molti

aspetti, primo fra tutti il livello raggiunto dall'adepto nell'assiduità della pratica.

6.3 L'esicasmo

All'interno della tradizione cristiana è particolarmente significativa la pratica della

preghiera o meditazione esicasta detta anche meditazione del cuore o di Gesù; é un

antichissimo metodo spirituale che avvicina a Dio; ebbe origine dai primi monaci

cristiani, i cosiddetti Padri del deserto, intorno al IV sec. d.C. e ancora oggi è esercitato

da un esiguo mondo cristiano.

L'esychìa dal greco “pace interiore, silenzio” è tramandata attraverso la trasmissione del

maestro spirituale, lo staretz. Anche in questa tradizione la postura del corpo è un

aspetto fondamentale, il corpo ritrova il senso di luogo dello spirito, dove il “verbo si fa

carne”. Questo metodo spirituale, analogamente allo Yoga, si propone di essere la via di

liberazione dell'uomo dalle sofferenze attraverso un cammino ascetico progressivo ed

articolato promettendo l'unione con il divino, in stato d'estasi.

La versione più diffusa oggi della meditazione esicasta, è il metodo di Padre Serafino

che in semplici racconti illustra la pratica meditativa partendo dalla postura:

“Sedersi come una montagna vuol dire radicarsi, divenire pesanti,

scendere ... meditare non è decollare, ma atterrare, ritrovare la terra,

le proprie radici. Stare con tutto il peso, immobili” (60)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

43

L'uomo si vede schiacciato tra l'eternità che è il passato e l'eternità che sarà il futuro,

nell'essere montagna riconosce l'eternità che gli sta dentro, e la vive anche nell'unione

tra il mondo terreno e quello celeste.

È una delle prime immagini di meditazione di questa pratica religiosa, che poi si rivolge

a oggetti come il papavero segno di verticalità e flessibilità ma anche di fugacità rispetto

all'eternità della montagna e di fragilità da cui si riconoscono importanti lezioni di vita.

E poi l'immagine infinita dell'oceano con il proprio ritmo delle onde che si sintonizza

fino a risuonare col respiro del praticante valorizzandolo di unità col creato.

La meditazione esicasta si trasforma in preghiera quando il praticante riconosce la sua

coscienza umana ora trasformata dagli oggetti su cui ha meditato, e rivolgendosi così al

divino, nella recita di qualche formula ripetitiva come “kyrie eleisol” al di là del suo

significato attribuibile, come fece anche Abramo, conosce l'attitudine di abbandono

totale di ogni cosa anche la più importante come la vita del proprio figlio, rimettendosi

alla volontà del Padre celeste, chiedendo in cambio il bene di tutti gli uomini. O ancora

pregare come Yeshua di Nazareth, il nostro Gesù, senza limiti, amando prima i propri

nemici, anche sulla croce chiedendo per loro perdono “perché non sanno quello che

fanno” e la notte come un bambino mormorare abbà, cioè papà, parlando al Padre del

cielo, il Dio Assoluto.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

44

7. MANTRA, UTILI A MEDITARE Recitare un mantra o fare il japa, la ripetizione circolare di un mantra, è un ottimo

strumento per concentrare la mente, distaccandola dalle distrazioni che la rendono

fluttuante incapace di fermarsi su un solo pensiero. La mente è aggiogata dal mantra e

nel concentrarsi su quel suono si calma per quel meraviglioso mistero che rivestono le

vibrazioni prodotte dal mantra nell'individuo. Le vibrazioni possono essere grossolane

ovvero generate dall'aria emessa in un suono udibile, o altrimenti non udibili nel mantra

recitato interiormente nello stato conscio e assorbite dall'inconscio. Sono passi graduali

che dal suono materiale portano al suono non udibile e tendono a portarci verso il

silenzio assoluto, che è uno stadio davvero difficile da raggiungere stabilmente.

Tra i vari mantra il più efficace in ogni situazione è il suono della monosillaba

universale OM che già nei Veda e poi nelle Upanisad è riproposta più volte come il

suono che fa riscoprire all'individuo la sua vera natura e lo unisce alla natura universale

cosmica di ogni cosa.

Il mantra OM in alcune scuole viene esteso e pronunciato sui tre suoni A-U-M che

stanno ad indicare i tre livelli di molti contesti come indica la Yogatattva Upanisad al

primo kanda:

“tre sono i mondi, tre sono i Veda, tre sono i momenti sacri della

giornata, tre sono gli dei [maggiori], tre sono i fuochi sacrificali, tre

[essenze] costituiscono i guṇa: tutte queste cose sono fondate sulla

sillaba OM che è triplice.

Colui che medita anche sulla semisillaba, dopo che è stata esaurita

la sillaba dai tre fonemi (A,U,M), costui tutto l'universo raggiunge, e

ottiene la sede suprema” (61)

Le tre lettere sono associate ai tre stati di coscienza ordinari: veglia, sonno con sogni e

sonno profondo, mentre nell'individuo sono il suono A più addominale, quello della U

più toracico e la M più alto nella gola e nel capo. Il “punto” oltre la sillaba rappresenta il

quarto stato, il nada, la nasalità dell'esecuzione e lo stato di veglia yogica meditativa

oltre i tre stati ordinari.

Il mantra OM è anche detto Praṇava: il suono causale per eccellenza.

Il Praṇava così inteso può essere un oggetto di meditazione nirguṇa, come decantato

nella Brahmabindu Upanisad, versetto7:

“bisogna cominciare il Yoga con la [meditazione sulla] sillaba [Om]

e realizzare il supremo [Brahman meditando sulla sillaba] senza la

vocale. Con [il raggiungimento della] condizione che sta oltre la

vocale s'ottiene l'essere, non il non essere.” (62)

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

45

Il mantra proprio del respiro è il “SO-HAM” che si ripete appunto durante l'inspiro col

suono SO e all'espiro col suono HAM. È considerato il mantra che ci accompagna

continuamente finché respiriamo, per circa 21600 volte al giorno, e quindi ci mantiene

anche incoscientemente consapevoli della nostra natura racchiusa nel Puruṣa, ed ha il

significato di “io sono quello”. Se recitato inversamente come “HAM-SA” ha il

significato di uccello selvatico che vola da un'esistenza all'altra, sempre agitato a

rappresentare la mente nel suo pensare fluttuante. A questo è dedicata interamente una

Upanisad dello Yoga, la Haṃsa Upanisad:

“[Del mantra Hamso, Hamso] l'autore è il Haṃsa, il metro è una

mistica Gāyatrī [di otto sillabe], la divinità [cui è dedicato] è il

Paramahaṃsa, la parte iniziale è Ham, la parte conclusiva è So, la

parte centrale è So-Ham. Di giorno e di notte si deve ripetere questo

mantra 21606 volte, [pensando] al sole, alla luna, al [Signore] privo

di macchie, al [Brahman] immerso nel mistero: [in tal modo] si

rianimerà lo spirito che risiede nel corpo.” (63)

Altri mantra molto praticati per calmare la mente sono:

OM MANI PADME HUM

dalla traduzione difficile ma che esalta il fiore di loto (padme) associato ai cakra del

corpo sottile, definito il gioiello (mani) di stimolo alla risalita della kuṇḍalinī (hum);

OM NAME ŚIVAYA

che è evidentemente più chiaro nella sua traduzione, ossia un inno a Śiva evocando con

devozione il suo nome;

infine la GĀYATRĪ Mantra dal testo significativo:

Oṃ bhūr bhuvaḥ svaḥ essenza onniscente terra atmosfera cielo

tat Savitur vareṇyam essere supremo Ishvara degno di adorazione

bhargo devasya dhīmahī elimina l'ignoranza, gloria, noi meditiamo

dhiyo yo naḥ pracodayāt sulla saggezza che ci illumina

La Śiva samhitā V,188 è emblematica nel parlare della qualità del mantra:

“ora io parlerò del mezzo più potente, il mantra, grazie al quale si

ottiene la felicità senza contrasti in questo e nell'altro mondo.” (64)

I mantra vengono recitati in japa, la ripetizione circolare incessante del mantra, e

devono essere appresi direttamente dalla viva voce di un maestro perché sviluppino il

loro potere.

Infine ci sono i bīja-mantra intraducibili come HRIM SRIM KRIM; LAM VAM RAM

YAM HAM OM che hanno un preciso significato per lo yogin che conosce l'esatta

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

46

pronuncia e il significato di ogni sillaba. Sono i semi associati agli oggetti, ad esempio ai

cakra, su cui ci si può concentrare. Per esempio il bīja-mantra HUM favorisce la risalita

di kuṇḍalinī, l'energia vitale giacente alla base della colonna vertebrale, a forma di

serpente arrotolato sopra al kanda il bulbo ovoidale alto dodici dita e largo quattro dita

posto nella zona perineale da cui nascono tutte le nādī, ad eccezione di ṣusumnā.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

47

8. ALCUNE MUDRĀ PER MEDITARE mudrā, letteralmente tradotto con “sigillo”, ma traducibile anche con “gesto”, è insieme

una postura e un'appropriata contrazione di una determinata parte del corpo, due gesti

atti a dirigere o sigillare la circolazione del prāṇa; talune di esse favoriscono il risveglio

della kuṇḍalinī.

I gesti con le mani sono raccomandati negli āsana meditativi per favorire il percorso

pranico. Sono alcune delle mudrā che offrono allo yogin il sigillo energetico e simbolico

alla ricerca dello stato spirituale. Sono come delle barriere contro la perdita di energia.

Si tratta di trattenere all'interno del corpo il prāṇa, il soffio vitale durante il saṃyama.

In particolare i maestri intuirono che sulle punte in genere e soprattutto quelle delle dita,

si può concentrare maggiormente l'energia che così da queste viene dispersa, in analogia

a ciò che oggi si conosce sulle cariche elettriche che si addensano in prossimità delle

estremità dei conduttori. Quindi da ciò se, con gesti particolari, le punte delle dita sono a

contatto fra loro e si chiude un circuito, allora questo favorisce la conservazione del

soffio energetico distribuito all'interno del corpo, vyāna-vāyu.

Una di queste mudrā è il cin-mudrā o gesto della riflessione o realizzazione, con i palmi

delle mani aperti verso l'alto e la punta dell'indice appoggiata alla punta del pollice a

formare un anello. Le altre tre dita sono distese dolcemente in avanti e i dorsi delle mani

o i polsi, a seconda della costituzione individuale, sono appoggiati alle ginocchia.

Un'altra di queste mudrā è jñāna-mudrā analoga alla precedente ma con l'unghia

dell'indice appoggiata al centro della prima falange del pollice, è il gesto della

conoscenza con le altre dita e le braccia distese; si usa in particolare durante la recita dei

mantra.

Un altro mudrā viene eseguito a pugni chiusi portati agl'inguini con il pollice dentro le

altre dita che si chiama ādi-mudrā, mentre con i pugni portati all'altezza del plesso

solare si chiama Brahma-mudrā.

Entrambe le forme si usano soprattutto nella posizione di vajra-āsana, adatta alla recita

del mantra OM o della sua estensione AUM.

Altre mudrā o dṛṣṭi (concentrazione dello sguardo) che sono rilevanti durante gli āsana

meditativi sono certamente sāmbhavī-mudrā, nasāgra-dṛṣṭi e khecharī-mudrā.

Sāmbhavī-mudrā si pratica fissando lo sguardo tra le sopracciglia con occhi semiaperti o

chiusi a seconda della preparazione dell'adepto, stimolando così Ājñā-cakra il centro di

energia posto all'interno del capo in corrispondenza del centro tra le sopracciglia. Si

pratica così la concentrazione sull'inserzione delle nādī iḍā e piṅgalā, controllandone lo

stato di equilibrio e favorendo il flusso pranico di risalita in ṣusumnā: lo yogin con

questo gesto favorisce l'unione Śiva-Śakti, conseguenza della risalita di kuṇḍalinī.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

48

Comporta un certo esercizio muscolare far convergere i bulbi oculari al centro e come

sempre non deve essere praticato con sforzo eccessivo ma con progressione.

Nasāgra-dṛṣṭi si pratica analogamente, ma concentrando lo sguardo sulla punta del naso,

questa azione rafforza i muscoli dell'occhio; questa mudrā favorisce la concentrazione

mentale ritraendo la mente dagli oggetti esterni.

Khecharī-mudrā consiste nel rovesciare la lingua all'indietro nella cavità orale sotto

l'epiglottide, gesto di esecuzione mediamente facile, ma decisamente impegnativa nella

versione avanzata con il taglio del frenulo sotto la lingua allo scopo di raggiungere con

la punta della lingua zone sempre più vicine ad Ājñā-cakra al centro del capo attraverso

le cavità orali; è una pratica da fare esclusivamente sotto la guida di un maestro esperto,

la sua peculiarità è che da lì scende il nettare lunare che così viene rallentato. Con questa

mudrā, nella sua forma completa, si arresta il decadimento fisico.

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

49

9. ESPERIENZA PERSONALE La mia esperienza pratica di concentrazione e meditazione si svolge in un angolo di

casa, un piccolo studio che cerco di rendere riservato ma che per le esigenze della

famiglia è comune a diversi usi. Da molti mesi riesco a praticarla intorno alle

quattro/cinque del mattino per circa un ora. Uso tendenzialmente la posizione del

siddhāsana talvolta con un supporto sotto il bacino per sollevarmi 2-3cm, sento qualche

fastidio alla pelle dei piedi e nella sovrapposizione delle caviglie perciò preferisco

praticare indossando calze morbide. E' determinante la posizione dei malleoli che

ruotando la pianta dei piedi verso l'alto si sistemano verso il mio bacino e trovano la

giusta collocazione.

Le mani le porto in jñāna-mudrā, o talvolta in cin-mudrā, scegliendo in base all'oggetto

di meditazione, sui cakra ad esempio credo più indicato praticare jñāna-mudrā.

Per evitare problemi a ginocchia caviglie e schiena devo fare anche una certa pratica di

āsana evolutivi che rinforzano e sbloccano queste parti, āsana che eseguo durante il

giorno. In particolare per le mie esigenze fisiche specifiche, ho bisogno di posizioni di

rinforzo del dorso come bhujanga-āsana (serpente cobra), śalabha-āsana (cavalletta),

dhanur-āsana (arco) , uṣṭra-āsana (cammello) e degli addominali come daṇḍa-āsana

(pilastro) o nāv-āsana (barca), coordinati con altri come trikoṇa-āsana (triangolo)

vṛkṣa-āsana (albero), Ananta-āsana (pos. di Ananta) e sūrya-namaskāra (saluto al sole).

Alcuni prāṇayāma riequilibranti ed energetici li uso spesso prima della pratica di

meditazione, recito quindi un mantra come la Gāyatrī e poi decido di concentrarmi o su

un oggetto o su un punto del corpo, il centro tra le sopracciglia, la punta del naso o

progressivamente uno dei primi cinque cakra cercando di ripetere il bīja mantra

associato o più spesso il So-Ham o l'OM.

Una difficoltà che ho verificato praticando, è stato passare dallo stato esterno a quello

interno, ossia superare il pratyahara, iniziando a sospendere la tendenza dei sensi ad

andare verso l'esterno con l'immobilità posturale tenuta a lungo, che elimina di fatto il

contatto con gli oggetti dei sensi.

Nelle esperienze di meditazione ho provato numerose esperienze indelebili nella

memoria, come la sensazione di essere piccolo come una formica e percorrere dei

percorsi minuscoli tra l'erba della collina che ho di fronte a casa che avevo scelto come

oggetto su cui meditare; altre volte meditando su un albero ne ho assorbito le sembianze

e così al posto del corpo centrale osservavo interiormente il tronco dell'albero e al posto

delle mie braccia i rami con le fronde e durante alcune meditazioni su quest'albero ho

immaginato i rami che si appoggiavano a terra e alla loro estremità le radici che

penetravano la terra; ancora meditando sull'immagine di una montagna nota, la

sensazione di essere la montagna stessa, con alberi rocce e molti altri particolari che

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

50

sentivo attaccati al corpo, ma senza perdere il contatto con il mondo esterno, cioè in

quiete ed in stato di veglia; durante il periodo di abbandono al silenzio, dopo essermi

liberato dai pensieri fluttuanti della mente in antar-mauna la ricerca del silenzio

interiore, ho avuto spesso la sensazione di essere molto grande o molto piccolo, ovvero

la perdita dei miei confini naturali; ho avuto la sensazione di essere leggermente

sollevato dal terreno durante la meditazione sui primi due cakra di base, mūlādhāra e

ṣvādhisṭhāna; la sensazione di vagare nella stanza durante la meditazione sul terzo

cakra, manipūra; la sensazione di osservarmi dall'esterno durante la meditazione sul

quarto cakra, anāhata.

Ma molto più importante è stata una volta in cui diversi forti brividi mi sono saliti dal

basso fino alla gola per tre o quattro volte avvolgendo tutto il corpo fino alle braccia, una

scossa che mi ha un po' spaventato ma che ho saputo accogliere coscientemente con la

giusta tranquillità e che poi si è ripetuta in altre occasioni trasformandosi soprattutto in

un forte calore che in parte riuscivo a controllare; un'esperienza forte di grande energia,

credo una dimostrazione di kuṇḍalinī l'energia avvolta alla base del corpo nel kanda,

prossimo a mūlādhāra-cakra.

Un amico che produce icone fatte a mano di tipo bizantino, me ne ha offerta una in cui

una giovane Madonna tiene in braccio un Gesù bambino; entrambe le figure sono

mostrate per intero dal capo ai piedi, io ho meditato su quell'immagine ed è stato

coinvolgente fare l'esperienza umile di stare al fianco dei due personaggi in stato di

abbandono e compassione, avvertendo sensazioni di profonda pace.

Ho capito che non ci si deve mai allontanare dal centro d'interesse e di ricerca della

propria vera natura, il sādhana; ho infatti sperimentato che il mio comportamento

precedente influisce enormemente sulla mia capacita di concentrazione, non aver

rispettato ciò che è prescritto da yama o niyama, nei propri limiti sociali, mi ha reso

davvero difficile liberare la mente alla concentrazione, fosse anche solo per una mezza

verità che avevo dovuto dire o peggio per una certa violenza avuta in momenti d'ira o in

forma più lieve per sentimenti come il desiderio di possesso o l'invidia per cose di altri.

Termino esponendo in sintesi ancora qualche motivo storico che mi ha spinto a scrivere

questa tesi sulla meditazione e sulle posizioni meditative. Già da adolescente cercavo la

mia spiritualità nella preghiera in gruppi cattolici e poi nelle gite in montagna,

avvicinandomi alla maestosità delle vette alpine provavo stupore e attrazione per quei

luoghi carichi di qualcosa che non mi sapevo spiegare, che oggi chiamo energia

cosmica.

Quindi ricordo la mia prima spontanea profonda meditazione, al culmine di un

pomeriggio di solitario silenzio a 16 anni, mescolando emozioni e spiritualità, mi

ponevo delle domande esistenziali attraverso alcune letture del Vangelo che

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

51

riguardavano le beatitudini o comunque le caratteristiche per essere un accolto nel regno

dei cieli. In quel pomeriggio fui attratto da un Cristo crocifisso in una cappella di

montagna, sentendo un certo calore che mi saliva dentro. Oggi penso di aver raggiunto

inconsapevolmente quella volta e in parte anche altre volte uno stato di profonda

concentrazione che mi ha segnato. Una breve ed intensa esperienza di stato meditativo!

Quelle spinte mi hanno molto aiutato in questa vita ad amare il prossimo.

Ora che ho passato i 45 anni ho ritrovato nella pratica Yoga la concentrazione e sto

cercando lo stato meditativo, una pratica che è il combustibile per ravvivare la lanterna

dello spirito.

Potrei dire che vivo sempre più nel Presente, sempre più vicino alla Realtà; come un

albero adulto che oscilla al vento ma è fermo sulle radici, così nella meditazione trovo

stabilità; avverto anche che i rami del mio albero ricadono a terra e da questi si formano

altre radici;

Come nella fiamma della candela al cessare dei venti si ferma lo sfarfallio dispersivo

della luce, così nella meditazione percepisco la risalita di un soffio ascensionale e una

luce si diffonde in tutto il mio essere al di là dei confini del corpo.

La meditazione dà un nuovo senso anche alla compassione, compassione dell'altro che è

me stesso all'interno del più grande essere indefinito, senza qualità.

Quando mi chiedono cos'è lo Yoga, per prima cosa mi viene in mente un ricettario, le

ricette della felicità, una scienza dell'uomo ispirato da un'entità superiore per realizzare,

un passo alla volta, la gioia completa dell'essere verso la realizzazione.

Infine lo studio di testi come la Baghavadgītā mi hanno insegnato molte cose ma

soprattutto l'equanimità che è l'equilibrio del pensiero e dei sentimenti. Questa

equanimità dei sentimenti e delle azioni si esprime benissimo in alcune frasi note della

Baghavadgītā lettura 2 versetti 56,57,71:

“colui la cui mente è imperturbata in mezzo ai dolori ed indifferente

in mezzo ai piaceri, priva di passione, timore ed ira, si dice di costui

che è un savio di stabile pensiero.

Colui che non ha attaccamento, poco importa se gli capitano cose

piacevoli o spiacevoli, non si rallegra e non si duole, costui ha una

mente ben ferma.” (65)

“L'uomo che abbandona tutti i desideri e procede privo di brama,

libero dall'io e dal mio, ottiene la pace.” (66)

All'attento lettore del presente elaborato io questo auguro

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

52

BIBLIOGRAFIA con note a fianco

La Scienza dello Yoga, I.K.Taimni. Ubaldini Editore Roma

(1)pagg.125,126 (8)pag.232 (13)pag.234 (18)pag.236 (25)pag.30 (26)pag.36 (30)pag.149

Śri Nisargadatta Maharaj, IO SONO QUELLO conversazioni col maestro. Ubaldini Editore Roma

(2)pag.379 (5)pag.27 (6)pag.28 (17)pag.19 (19)pag.23 (21)pag.268 (34)pag.192 (36)pag.103

(51)pag.19 (52)pag.286

BHAGAVADGĪTĀ il canto del beato, a cura di Raniero Gnoli. Editore BUR collana Poesia

(3)pag.153 (20)pagg.105-106 (24)pag.243 (53)pagg.111-112 (65)pag.65 (66)pag.69

Jean-Yves Leloup, LA MONTAGNA NELL'OCEANO

meditazione e compassione nel Buddismo e nel Cristianesimo. Edizioni appunti di viaggio – 2001 Roma

(4)pagg.25-26 (60)pag.36

Dispensa ISFIY, Yoga-sūtra, lezione di Massimo Vinti del 19.11.2005

(7)pag.5

Dispensa ISFIY, Yoga mentale, insegnante Eros Selvanizza di marzo 2007

(9)pag.5 (10)pag.3

LA BIBBIA DI GERUSALEMME, edizioni Dehoniane Bologna, terza edizione 1977

(11)pag.2099

LO YOGA RIVELATO DA ŚIVA (ŚIVA SAMHITĀ)

a cura di Maria Paola Repetto Promolibri Magnanelli Editore Torino

(12)pag.44 (39)pagg.54-55 (43)pag.55 (64)pag.99

Dispensa ISFIY, Āsana, insegnante Eros Selvanizza 18 novembre 2006

(14)pag.5 (23)pagg.2-3

Patañjali, YOGA SŪTRA, a cura di P. Scarabelli e M. Vinti. Collana Mimesis Milano

(15)pag.119 (22)pagg.85-86 (29)pag.92 (31)pag.78

Svāmin Sivananda, CONCENTRAZIONE E MEDITAZIONE

la via più breve per la Realizzazione di Sé, Edizioni Mediterranee Roma

(16)pag.67 (27)pag.55 (28)pag.57 (48)pagg.123-124 (54)pagg.98-99 (55)pagg.100-101

(56)pag.102 (57)pagg.102-103 (58)pagg.131-132 (59)pag.132

Dispensa ISFIY, Yoga mentale, insegnante Eros Selvanizza di aprile 2007

(32)pag.8

ISFIY Milano 2004-2008. Spinoglio Sergio, tesi: “la meditazione nell’āsana”

53

Dispensa ISFIY, Āsana, insegnante Eros Selvanizza 17 marzo 2007

(33)pag.3

Dispensa ISFIY, Yoga mentale, insegnante Eros Selvanizza di febbraio 2006

(35)pag.10

Svatmarama, LA LUCERNA DELLO HAŢHA-YOGA (HAŢHA-YOGA-PRADĪPIKĀ)

a cura di Giuseppe Spera Promolibri Magnanelli Editore Torino

(37)pag.42 (40)pag.44 (41)pagg.44,45 (44)pag.39 (46)pag.40

INSEGNAMENTI SULLO YOGA (GHERAṆḌA SAṂHITA)

a cura di Stefano Fossati Promolibri Magnanelli Editore Torino

(38)pag.47 (42)pag.47 (45)pag.48 (47)pag.49

Andre Van Lysebeth, PRĀṆAYĀMA la dinamica del respiro

Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Roma 1973

(49)pag.139

Dispensa ISFIY, Prāṇayāma, insegnante Susi Stefanini 20 gennaio 2007

(50)pag.2

Classici delle religioni - Le religioni orientali - Upanisad a cura di Carlo Della Casa

editore UTET(unione tipografico editrice torinese) - Classici UTET

(61)pag.535 (62)pag.545 (63)pag.552

I termini traslitterati dal sanscrito sono stati presi dal testo:

Enciclopedia dello Yoga, Stefano Piano, ed.Magnanelli Torino.

abbreviazioni usate:

cap. = capitolo d.C. = dopo Cristo

dx =destro ecc. = eccetera

lex. = lezione ndr. = nota del redattore

pag. = pagina pagg. = pagine

pos. = posizione sx=sinistro