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ISTITUTO COMPRENSIVO “G.B. MARZANO”LAUREANA DI BORRELLO
RCIC84800T@ istruzione .it TEL. e FAX 0966 991109
DIRIGENTE SCOLASTICODott.ssa Domenica Proto
ANNO SCOLASTICO 2009-2010
PREMESSA
La scuola ha il compito principale di far prendere coscienza
all’alunno delle proprie radici affinché il passato sia
l’illuminazione per il futuro che le giovani generazioni sapranno
costruire. In quest’ottica grande importanza riveste la storia
della vita lavorativa dell’uomo nel proprio ambiente.
Rievocare le tecniche artigianali degli antichi mestieri
acquista un contenuto di crescita culturale un’ipotesi valida a
sostenere la curiosità dei discenti non ancora entrati a far
parte del mondo del lavoro.
Tante attività, sono progressivamente scomparse ad
appannaggio di una produzione su scala industriale, con la
conseguenza ulteriore di portare nell’oblio vecchie tradizioni
manuali del passato.
Il presente lavoro è il risultato dell’impegno di
docenti che hanno accolto l’iniziativa proposta per
immergersi con i propri alunni nei ricordi di una
realtà quotidiana che è in via di estinzione.
Chissà se tra i giovani non germogli un nuovo
entusiasmo verso queste arti tradizionali del
passato e l’assecondare la genialità insita e
connaturata in ciascuno dei nostri giovani
conterranei non possa far nascere in un prossimo
futuro concrete scelte di lavoro!
Vibo ValentiaReggio Calabria
IL TERRITORIO DELLA NOSTRA RICERCA SI
TROVA ALL’ESTREMO NORD DELLA PROV. DI
REGGIO CALABRIA E CONFINA, A NORD, CON
LA PROV. DI VIBO VALENTIA…..
Nell’arco dei secoli XVIII- XX fiorirono a
Laureana, Candidoni, Serrata e San Pietro di Caridà
attività artigianali di buon livello. Non si può parlare di
botteghe, sicuramente di famiglie, che, per generazioni,
hanno tenuto alto il mestiere tramandato, insegnando a
quanti frequentavano le loro attività. Memorie di quel
passato in cui l’artigianato locale era un’importante
attività economica di questa terra. Alla fine della II
Guerra Mondiale molte famiglie si sono disperse e i
pochi apprendisti rimasti non sempre hanno fatto in
tempo ad acquisire le abilità dei loro maestri.
Muratori – stuccatori dei quali si conservano opere
di stucco nelle chiese e sugli estremi di alcune case.
Carradori, maestri costruttori di ogni specie di carro
e carretto da adibire a trasporto di persone e cose.
Vi sono stati:
Decoratori-pittori, quasi tutti autodidatti, che
hanno ornato chiese e case signorili e hanno
ridipinto e restaurato statue antiche, dipinto quadri
di buona fattura
Falegnami- intagliatori, che oltre a produrre
mobili di grande pregio , hanno acquisito una
notevole abilità nell’intagliare e scolpire il legno
Impagliasedie per lo più donne brave a
raccogliere nelle paludi la “sala”, un’erba
acquatica che cresceva spontaneamente con la
quale impagliavano le sedie
Ciabattini capaci di creare e aggiustare ogni
tipo di calzatura.
Maniscalchi perché gli animali delle
“masserie” avevano bisogno di essere “ferrati” per
non rovinare, nel lavoro, i loro zoccoli:buoi,
cavalli, muli, asini .
Calderai maestri capaci di trasformare un foglio di
lamiera di rame, con il solo uso del martello, in una
caldaia.
Sellai, maestri conosciuti come “bastai”, approntavano
basti per asini e muli in legno e pelle, e selle in cuoio per
cavalli.
Bottai, maestri per la costruzione e riparazione delle
botti nel periodo della vendemmia Pastorari: ogni
buon contadino o
artigiano era
costruttore di
pastori del
presepe o altre
statuine di
devozione
utilizzando come
materia prima la
creta
Casari, maestri del formaggio, il
“caso”. Antico mestiere ancora
esercitato nelle masserie anche dalle
donne.
Scopai, producevano non solo
scope ma anche stuoini e dischi per
i frantoi: oggetti che oggi hanno una
diversa provenienzaArrotini gli “alliffa coltelli”che non si
vedevano passare più per le vie del paese.
Valorari, venditori di caldarroste
durante il periodo autunno-inverno
Capillara chiedeva i capelli che le
donne raccoglievano ogni mattina
“facendosi la testa” in cambio di oggetti
per la casa. I capelli servivano per fare
parrucche e toupè
Le radici di questa attività sono antichissime perché l'uomo ha imparato ad
utilizzare i doni della natura fin dai tempi della preistoria. La natura offre la
materia prima da quando è nato il mondo.
L'artigiano sceglie i rami di olivo, salice, castagno, più diritti che verranno
spogliati dalla corteccia e trafilati col taglio della roncola. Poi li bagnerà, per
renderli ancora più flessibili e cominciare così a tessere il fondo della cesta. Le
lamine vegetali avranno tutte lo stesso spessore e la stessa lunghezza. Quest’
attività era molto comune ed era facile vedere lungo le vie del paese vecchietti
seduti sui gradini della loro abitazione intenti nella creazione di cestini, panieri,
ceste.
Giorno 10 marzo 2010 : una mattinata con il signor La Rocca Giovanni
IL MESTIERE DEL CESTAIO O PANIERAIO
L’ INTERVISTA
D. Qual è il materiale necessario
che occorre per realizzare i
cestini?
R. Virgulti di ulivo che nascono
dalle radici lasciate essiccare e
canne giovani.
D. Quando si raccoglie la “virga”?
R. Il periodo giusto è agosto
quando è raggiunto il giusto punto
di elasticità
D. Quando si raccoglie la canna?
R. Anche la canna si taglia ad
agosto ed opportunamente
sfrondata si taglia con un
particolare coltello ad uncino, la
“roncola”
D. Come si procede nella
lavorazione ?
R. Prima si intreccia il virgulto per
il fondo, il “culacchio”. Dal fondo
partono le guide i laterali dove si
intrecceranno le strisce di canna.
Momenti della giornata
Con
le
docenti
Con il Dirigente Scolastico,
dott.ssa Domenica Proto
Avati Concetta - Denicola Concettina - Nicolaci Isabella
Antonietta Iemma
Quando si trattava di un pezzo consistente da
spianare e ridurre a piastra sottile,su quel pezzo
intervenivano contemporaneamente due e, se
necessario, tre operai (il mastro e due lavoranti),
che, con una cadenza ritmica, frenetica e precisa,
battevano con la mazza sullo stesso punto senza
scontrarsi (in gergo si diceva a’ mazza). L'incudine
su cui si lavorava era ben piazzata su un grosso
tronco d'albero pesante, difficilmente spostabile.
Oltre che per l'incudine, la ferraria si
caratterizzava per la presenza della
fucina a mantice, azionato con un
pedale , il fabbro attaccava a lavorare
la mattina ben presto e il suono dei
suoi colpi si diffondeva in tutto il
quartiere.
IL MESTIERE DEL FABBRO
Per lavorare il ferro, l'artigiano lo immergeva sotto la brace di carbon fossile
sino a che si arroventava e diventava malleabile.
Aveva a che fare con tutti, perché numerosi
erano gli attrezzi che costruiva per gli altri
lavoratori . picconi, falci, zappe, scalpelli,
scuri, ecc.Un’ultima curiosità del fabbro si servivano
anche i bambini per far montare il chiodo
(trottole azionate da un filo che veniva
arrotolato intorno) per poter giocare.
OGGI
Le operazioni di fucinatura fondamentali, eseguite con
martelli e altri attrezzi semplici, sono:
la ricalcatura, per produrre un allargamento della
sezione a scapito della lunghezza;
la strozzatura, per produrre un restringimento
della sezione;
la punzonatura, per praticare fori relativamente piccoli;
Il taglio, per praticare fori grandi o eliminare una parte del pezzo.
la piegatura, per
curvare il pezzo;
la saldatura a fuoco,
per unire due pezzi
diversi;
VECCHIA FUCINA
ASCIUGAPANNI
L’ INTERVISTA
D. A che età ha iniziato
a lavorare il ferro?
R. Ho iniziato che avevo
9 anni.
D. Il suo lavoro le piace?
R. Si, lo faccio con
passione.
VISITA ALL’OFFICINA DEL FABBRO “VALEO”
D. A cosa serve l’incudine?
R. Serve per battere il ferro
quando è caldo.
Una volta per
riscaldare i forni si
usava il carbon fossile, invece
oggi si riscalda a gas.
D. Da chi ha imparato?
R. Da un grande maestro di nome Garcea del quale conservo ancora un
attrezzo, oltre che un grande affetto per lui che era una persona speciale.
D. Il suo è un lavoro pesante ?
R. Si, ma si guadagna bene.
D. Quante ore al giorno lavora?
R. Lavori 8 ore al giorno.
IL VASAIO
Un abile creatore di forme e una misura universale delle civiltà e delle culture..
L’"argagnaru" nei nostri paesi non esiste più; gli ultimi rimasti lavorano con
torni e forni elettrici e producono oggetti per amatori. I cocci ("shrachi") si
possono vedere nei vecchi muri.
L’artigiano si procurava la creta presso i
margini del fiume Mesima, la portava al
laboratorio e con l’apposito tornio a ruota
manovrato con il piede la trasformava in
vasi.
L’artigiano appoggiava la creta sul piatto del tornio
e lo faceva girare contemporaneamente bagnandosi
continuamente le mani dava la forma desiderata
alla creta. L’oggetto veniva messo poi nel forno. Gli
oggetti più comuni erano: la pignata, la tella, la
gozza, la giara, la bumbula, e u salaturi.
Arnesi del mestiere:
la creta
l’argilla
il tornio
le stecche
il forno a legna.
LA LAVORAZIONE DELLA CERAMICA OGGI
L’esperienza delle visite guidate alla fabbrica della ceramica di Bagnara
Nella fabbrica ci sono pochi macchinari perché
l’argilla si deve lavorare soprattutto a mano.
Abbiamo visto estrarre
oggetti da stampi di gesso
chiusi fra loro con degli
elastici. L’argilla
che era in più veniva
tagliata con molta
precisione. Gli oggetti
Uniti non si lavora solo in ambito scolastico
ma anche a creare oggetti di propria fantasia.
L’esperienza è stata indimenticabile perché
abbiamo avuto la possibilità di partecipare
alla creazione di alcuni oggetti. Siamo stati
accolti affettuosamente e ci hanno spiegato
per filo e per segno la lavorazione dell’argilla.
Abbiamo visto come si usa il torchio elettrico
e manuale.
venivano infornati e pitturati
a mano con molta cura,poi immersi nella
cristallina,infornati per la seconda volta.
Anche noi abbiamo lavorato con l’argilla e
abbiamo realizzato vari oggetti tra cui una
rosa,i funghi,pergamene ed altri. Dopo aver
pranzato abbiamo comprato qualcosa e poi
siamo ritornati a scuola. Nella seconda giornata
abbiamo vissuto esperienze a colori, infatti,
ognuno di noi ha scelto di dipingere qualche
oggetto: un salvadanaio a forma di papera, un
portapenne a forma di gufo, una piccola foglia.
Anche le professoresse che ci hanno
accompagnato hanno contribuito e si sono
messe a dipingere, a loro piacimento
un uovo di gesso.
Al ritorno la nostra allegria e vivacità è
divenuta tristezza, quest’esperienza rimarrà
sempre nei nostri cuori.
Fino a cinquanta anni or sono le tessitrici operanti
su telai semplici a due pedali per la produzione della
tela, o a più pedali per la messa in atto, dei disegni
simmetrici, erano numerose e distribuite con
uniformità sul territorio. L'importanza che la
lavorazione al telaio della canapa e del lino assunse
nell'economia contadina, si evidenzia nella dimora
contadina tipica di Laureana in cui trovava quasi
sempre posto il grosso telaio per la tessitura.
La filatura e la tessitura occupavano nell'esperienza popolare un posto di
grande rilievo; con esse la donna concorreva spesso all'economia familiare in
cui il lavoro femminile comprendeva, oltre al lavoro della terra, tutte quelle
operazioni domestiche necessarie al sostentamento. Assieme al cucinare, alla
responsabilità del piccolo allevamento, alla cura della prole e della casa, il filare
e il tessere corrispondevano, nella quotidianità e nell'immaginario, ad un
esclusivo ambito e pertinenza femminili, assumendo anche un'ampia valenza
simbolica.
LA FIGURA DELLA TESSITRICE
FILATRICE
L'utilizzo di tale attrezzo venne così tanto esteso e in un certo senso codificato,
che negli anni verrà destinata all'interno della casa una vera e propria "stanza
del telaio".Filatura. Si filava in ogni casa, prima a mano con il fuso e la rocca,
soppiantati nel tempo dalla ruota a pedale. La tecnica di filatura consiste
nell'operare con la rocca (supporto della fibra) e il fuso (con funzione di volano e
peso) per la riduzione, tramite assottigliamento e torcitura, di una massa
fibrosa in filo.
Tessitura. Nell'incontro di trama e ordito il telaio
sviluppa la propria funzione principale. Appropriati
pedali, pettini, licci e subbi lavorano sull'ordito per
stendere e separare i fili predisponendoli all'incontro
con la trama. La trama è posata tramite una navetta
contenente un cannello di filo.
Il telaio, invece, era formato da due grossi pezzi di
trave lunghi circa due metri, poggianti su quattro
"piedi" per trave, due avanti e due dietro. Sulle travi
erano innestate due robuste tavole di legno,
attraversate da un'altra tavola che le univa, sia da
una parte che dall'altra. Le tavole verticali avevano
due fori per parte di circa venti centimetri di
diametro nei quali si inserivano i cilindri cui
abbiamo accennato prima.
FILATORE
Di sotto c'erano due o quattro pedali, pigiando sui quali con i piedi si
permetteva l'apertura o la chiusura delle fasce di cotone provenienti dal
cilindro posteriore. Lavorando con due pedali, si produceva tela liscia e
leggera, mentre con quattro si produceva panno più duro e forte, detto "a
spiga": c'era, quindi, la tela a due pedi e la tela a quattro pedi.. Lavorando
con due pedali, si produceva tela liscia e leggera, mentre con quattro si
produceva panno più duro e forte, detto "a spiga": c'era, quindi, la tela a
due pede e la tela a quattro pede.
il ciclo della canapa va dal raccolto, alla macerazione e gramolatura fino alla
tessitura. Due grandi gramole e una portatile e pettini per dividere la
canapa nobile dalla stoppa; strumenti per la filatura: incannatoi (a volano),
aspi (rotanti), rocche (conocchie), fusi. Arcolai e telai: grandi telai per la
produzione di tele ad uso familiare: coperte, lenzuola e asciugamani, e un
telaio più piccolo per la produzione di pezze e cinture.
Arnesi del mestiere:
Telaio - arcolaio – incannatoio –
Navetta - Spoletta – licci –
subbio – pinte da tessuto :
Canapa – lino - Ginestra
VECCHIO TELAIO
IL MESTIERE DEL CARBONAIO
Per comporre una "carbonaia" occorreva una quantità considerevole di legna,
comunque non inferiore ai trecento quintali (bisogna tenere presente che solo
un quinto del peso della legna si trasforma in carbone). Il diametro
generalmente era di quattro o cinque metri per un altezza di due-tre metri. Si
cominciava mettendo i tronchi in piedi, obliqui verso l'interno, a forma di
gabbia, e si girava attorno, accatastando legna su legna fino a raggiungere la
grandezza base. Dopo di che si ricominciava di sopra a costruire il secondo
piano. Al centro, dalla base all'apice, si lasciava un grosso buco per
l'accensione del fuoco. Il tutto veniva ricoperto da una "camicia" di stoppie o
erbacce secche e da uno strato di terra che variava dai quaranta ai cinquanta
centimetri in modo che la legna rimanesse imprigionata in una corazza di terra
e il calore compresso la cuocesse senza sbriciolarla.
MOMENTI DELLA LAVORAZIONE DELLA CARBONAIA
La legna "cotta" rimaneva in piedi, intatta, e, alla fine, dovevano essere i
carbonai stessi a fare in pezzi tutto quanto. Lungo tutta la struttura,
all'altezza di trenta centimetri circa, si praticano dei fori ogni metro per far sì
che quando il fuoco bruciava l'aria avesse la possibilità di giocare dentro,
terminata la preparazione della carbonaia, non rimaneva, poi, che dare fuoco.
Ciò avveniva in un modo molto semplice: si accendeva un grosso fuoco al fine
di produrre della brace, la quale veniva raccolta e buttata dentro attraverso il
buco lasciato di proposito durante la costruzione. Il fuoco doveva bruciare
ininterrottamente per la durata di dodici, tredici giorni, dopo di che la legna
era "cotta": era diventata carbone. L’attività dei carbonai è un mestiere in via
di estinzione, a causa dei mutati usi del combustile a fini energetici, infatti,
veniva venduto per il riscaldamento delle abitazioni sino a pochi decenni.
Oggi si produce solo in pochissime famiglie rimaste, soprattutto nei boschi
delle Serre
L’ANTICA ARTE DEL MUGNAIO
Nel mestiere del mugnaio ognuno aveva i
suoi segreti per la macinatura dei cereali. I
proprietari, i massari, i contadini
producevano grano, granturco ed altri semi
che dovevano essere macinati. Al mugnaio
si pagava la “decima” sul prodotto macinato
o anche in denaro. L'arte del mugnaio è
stata sempre veramente tramandata da
generazione in generazione.VECCHIA MACINA
La macina presentava delle scolpiture che
partendo dal suo perno centrale si
sviluppavano verso l'esterno in modo
curvilineo avevano lo scopo di ridurre
l'attrito generato dal rotolamento e
facilitavano la fuoriuscita della farina. Le
macine erano cerchiate nella parte esterna
da un robusto ferro che ne aumentava le
caratteristiche meccaniche.
Doveva stimare il livello di essiccazione dei cereali, quantificarne la loro resa in
termini di farina. Dopo aver effettuato, mediante vagli, la pulitura del prodotto
da trattare, provvedeva all'esatta pesatura riponendone il contenuto
nell'apposita stadera. Disponeva le graminacee stendendole in un capiente
contenitore che poteva ospitare fino a venti chilogrammi che versava nella
tramoggia. Da questa cadevano nel sottostante occhio della macina superiore.
La quantità veniva impostata dal mugnaio, secondo suoi precisi calcoli,
azionando un cassetto che era fissato, mediante cerniere, sotto la base della
tramoggia. Una lunga asticina vibrava con il movimento della macina. Una
campanella suonando, avvisava il mugnaio di effettuare una successiva
riempitura della tramoggia. La macina inferiore era fissa, mentre quella
superiore ruotava. Le macine erano di peso elevato e venivano azionate dalla
forza motrice esercitata dai flussi d’acqua continui che veniva canalizzata in
lunghi percorsi in muratura “a prisa”.
VECCHIO MULINO
Un telaio ligneo si sviluppava al loro perimetro
esterno con lo scopo di contenere la dispersione
della farina. Finalmente la farina ottenuta, cadeva
in una vasca sottostante posta dinanzi al
basamento delle macine. Il mugnaio raccoglieva la
farina ottenuta con la caratteristica pala in legno
e la riponeva ordinatamente nei vari sacchi di
cordame e liuta.
“SCHICCIU (FORO) CHE FACEVA USCIRE L’ACQUACON UNA CERTA PRESSIONE DA FAR GIRARE LA
RUOTA SOTTOSTANTE DEL MULINO
CONGEGNI E MACINE DI VECCHI MULINI
I FRANTOIANI (IERI)
Gli antichi frantoi erano azionati dalla forza
motrice dell’acqua o da un animale quadrupede e
le macchine erano di legno. Per la macinazione si
adoperavano le pietre, dette “molazze” e per la
spremitura i torchi a legno, azionati a braccia
d’uomo a mezzo di una stanga di legno che
veniva applicata alternativamente ai due fori
della testa della vite. Erano ubicati nelle vallate, lungo i fiumi,
per utilizzare l’acqua nel processo di
lavorazione.
VECCHIA RUOTA PERSIANA DEL FRANTOIO AD ACQUA
( DIAMETRO DI M. 5,10)
Poi sopraggiunsero i motori
elettrici e le presse idrauliche
che sostituirono i” vecchi
frantoi a molazze”.
Oggi i frantoi sono a ciclo continuo e la lavorazione dalle olive avviene per fasi.
La I fase consiste nella defogliazione e nel lavaggio delle olive.
Le olive vengono messe in un contenitore detto”tramoggia
di carico”, da qui passano attraverso un elevatore a
nastro che le lascia cadere in una apposita lava-olive, le
foglie ed eventuali rami vengono aspirati e convogliati
fuori dall’impianto.
La II fase consiste nella frangitura e gramolazione: le
olive lavate ricadono su una tramoggia provvista di un
elevatore per il trasporto delle olive al frangitore dove
avviene la molitura; il frangitore è costituito da una
griglia e da una girante a martelli per la frantumazione
delle olive che passano nella vasca superiore del
gramolatore .
I FRANTOIANI (OGGI)
Questo è formato da tre
vasche provviste di pale
rotanti elicoidali che
consentono la lavorazione
continua e simultanea
moliture delle olive.
Nella III fase avviene la raffinazione e
depurazione tramite appositi separatori
centrifughi verticali che servono a separare
l’olio dall’acqua di vegetazione, ottenendo il
prodotto finito .Successivamente abbiamo
misurato il grado di acidità dell’olio estratto.
La pasta gramolata viene prelevata dalla vasca inferiore ed inviata agli
estrattori, ovvero alle centrifughe orizzontali o decanter mediante apposite
pompe. Lì avviene la separazione del mosto oleoso dalla pasta gramola per
effetto della forza centrifuga.
Avviene la separazione dei liquidi olio-
acqua,mentre la sansa estratta dalla
centrifuga viene trasportata nel sansaio,
l’acqua e l’olio, già quasi puri al 90%
cadono su di una vaschetta in acciaio.
FARE IL SAPONE
L’olio d’oliva inacidito, già fritto, i grassi degli animali
macellati in famiglia venivano conservati in appositi
recipienti e, poi, trasformati in sapone, bollendo il tutto con
la soda caustica o la soda solvay.
Il sapone che se ne ottiene è, solitamente, detto "sapone di marsiglia". I poveri e
i ricchi ne facevano ampio uso per lavare la biancheria e la propria persona. Le
saponette profumate erano riservate a pochi. L’operazione richiedeva l’impegno
di tutti gli adulti della famiglia; i bambini venivano tenuti lontano per il rischio
di essere bruciati dalla soda versata nella caldaia con olio, foglie profumate e
acqua.
MOMENTI DELLA LAVORAZIONE DEL SAPONE A CALDO
Questa attività sopravvive in molte famiglie ed è ancora possibile trovare (come
dono richiesto) il sapone fatto in casa con l’olio d’oliva.
RICETTA DEL SAPONE A CALDO
Ingredienti: 20 litri di acqua; 10 litri
di olio di oliva fritto o vecchio; 5 Kg.
di “potassa” (soda caustica); qualche
foglia di sambuco1. Accendere il fuoco sotto un “tripode”,
(tre piedi di ferro) sopra il quale viene
messo un pentolone di rame.
2. Procurarsi un bastone abbastanza
lungo
3. Versare nel pentolone l’acqua, l’olio, la
soda, le foglie di sambuco e
mescolare.
RICETTA DEL SAPONE A FREDDO
Ingredienti: 4 litri di olio(anche fritto); 8
litri di acqua; 1 Kg. Di soda caustica; 400g.
di farina. Procedimento: Mescolare in un
recipiente di plastica 4 litri di acqua con 4 litri
di olio e la soda caustica fino a scioglierla
(qualche minuto). Aggiungere lentamente gli
altri litri di acqua nei quali è stata sciolta la
farina (mescolata gradualmente per non fare
grumi) mescolare il tutto ½ ora . Lasciare
riposare una giornata (anche 2 se è estate) e
capovolgere il contenuto per fare uscire intera
la forma di sapone e tagliare in piccoli pezzi.
4. Appena comincia a riscaldare si
mescola per 2 ore finché il
miscuglio non diventa bianco
5. Quando il liquido diventa denso si
spegne il fuoco, si copre il tutto e
si lascia riposare per 2 giorni
6. Il 2°giorno si taglia a pezzi grandi
e si toglie dal pentolone
7. Si appoggia su un telo e si taglia
in pezzi più piccoli, da tenerli in
mano
8. Si mette nelle cassette di legno ad
asciugarsi e il sapone è pronto
IL FORNAIO IERI
Per quest’attività le esperte erano le donne di casa
per trasformare la farina in pane. Anche oggi in
alcune famiglie si fa il pane in casa.
RICETTA DEL PANE FATTO IN CASA
Ingredienti: per pane( forno di 25 Kg) - 20Kg di
farina, 5 Kg di lievito naturale, 7 l. di acqua,¾ di Kg
di sale per il lievito naturale- pagnottella di lievito
Preparazione del lievito naturale: Sciogliere la
pagnottella di lievito in 5 litri di acqua tiepida e aggiungere
piano piano la farina impastando fino a formare un impasto
omogeneo. Lasciare lievitare per 12 ore coprendo l’mpasto
con una tovaglia e delle coperte tenute per il pane.Procedimento- Setacciare la farina in una “madia”,
naturale (tramandata ) 5 l. di acqua, 5 Kg di farinaVECCHIO FORNO
MADIA
mettere il lievito preparato,
l’acqua e il sale già sciolto
nell’acqua. Amalgamare il
tutto fino a formare un
impasto omogeneo (circa 1
ora). Tagliare l’impasto e
formare delle pagnottelle di
1 Kg. circa e lasciare
lievitare 4-5 ore.
MOMENTI DELLA PREPARAZIONE DEL PANE
Quando le pagnottelle son ben lievitate si prepara il forno.
FORNO
Preparazione del forno- Per fare arrivare la
temperatura ottimale di un forno a legna bisogna
bruciare 2 - 3 tre fasci di rami d’ulivo. Quando la
“bocca del forno” diventa bianca il forno è pronto.
Pulire,quindi, il forno dalle braci con strumenti
appositamente realizzati. Infornare il pane, chiudere
il forno e lasciare cuocere per circa due ore.
LAVORAZIONE DEL BERGAMOTTO
L’esperienza di una visita guidata a Varapodio, “Bergarte”
Dove il bergamotto prende forma (Azienda Agricola Iannello Maria)
Dalla buccia del bergamotto si estrae un olio essenziale molto pregiato.
Quest’olio è profumatissimo e gradevolmente aromatico ed è utilizzato nelle
industrie dei profumi, nella produzione di saponi, nella preparazione di dolci e
gelati oltre che nelle industrie farmaceutiche. Dalla buccia di questo frutto si
ricavano, inoltre oggetti artistici e souvenir. Bomboniere, tabacchiere da fiuto,
piccoli astucci, ecc..
MOMENTI DELLA LAVORAZIONE
“RICORDANDO GLI ANTICHI MESTIERI”
AUTORE DEL PROGETTO
DOCENTE REFERENTE : Prof.ssa Adriana Cutellè
GLI ALUNNI COINVOLTI
SCUOLA PRIMARIA:
Classi IIIA – III B – VA - VB
Laureana di Borrello
SCUOLA SECONDARIA:
Classi IB – IIB - IIC – IIIA –
IIIB – IIIC -IIID
Studenti del progetto
“Interventi psicopedagogici”
Laureana di Borrello
I DOCENTI CHE HANNO
COLLABORATO
Antonietta Iemma
Isabella Nicolaci
Concettina De Nicola
Antonietta Trungadi
Concetta Avati
Vincenza Panetta
Ciccone Santa
Pierpaolo Lombardi
Giacomo Cassalia
Concetta Elvira Fonte
Maria Rosa Bonaccorso
Silveria Vigliante
Teresa Giovannone
Maria Barbalace
Teresa Giovannone
Sandra Condoleo
Elisa Tripodi
Maria Montagna Belcastro
Annamaria Romeo
FONTI
Viva voce di artigiani del luogo,
di genitori e nonni – Luoghi e
oggetti dal vivo – Siti internet