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ISTITUTO COMPRENSIVO “FALCONE e BORSELLINO” DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI redatto in conformità e per gli scopi di cui al D.Lgs. n. 81 del 09/04/2008 (Titolo I Capo III Sezione II – Art. 28) PARTE NORMATIVA 8 1/ 0 8 M ODI FI CATO ED I NTEGRATO DAL D.LGS. 10 6 / 0 9 Codice commessa: Codice elaborato: Rev. N. Data Descrizione Redatto da Data Verificato da Data Validato da Data 00 27/11/17 S.P. 27/11/17 M. Damiani 27/11/17 R. Piermarini 27/11/17 L’aggiornamento sarà effettuato ogni qualvolta verranno programmate nuove attività lavorative, utilizzati nuovi macchinari o modificati i livelli di esposizione ai rischi dei lavoratori. Modifiche comportanti aggiornamento dovranno essere tempestivamente comunicate dal Datore di lavoro al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ed al Medico Competente per l’avvio delle conseguenti attività di competenza. L’aggiornamento sarà effettuato dal RSPP e dal MC, secondo competenza, anche in occasione dell’avvento di nuova normativa sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro o di modifica e/o integrazione di quella esistente. APIC82100R - REGISTRO PROTOCOLLO - 0007867 - 29/11/2017 - A35d - Sicurezza - E

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ISTITUTO COMPRENSIVO

“FALCONE e BORSELLINO”

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI

redatto in conformità e per gli scopi di cui al D.Lgs. n. 81 del 09/04/2008 (Titolo I Capo III Sezione II – Art. 28)

PARTE NORMATIVA

8 1/ 0 8 MODIFICATO ED INTEGRATO DAL D.LGS. 10 6 / 0 9

Codice

commessa:

Codice elaborato:

Rev. N. Data Descrizione Redatto

da Data Verificato da Data Validato

da Data

00 27/11/17 S.P. 27/11/17 M. Damiani 27/11/17 R. Piermarini 27/11/17

L’aggiornamento sarà effettuato ogni qualvolta verranno programmate nuove attività lavorative, utilizzati nuovi macchinari o modificati i livelli di esposizione ai rischi dei lavoratori. Modifiche comportanti aggiornamento dovranno essere tempestivamente comunicate dal Datore di lavoro al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione ed al Medico Competente per l’avvio delle conseguenti attività di competenza. L’aggiornamento sarà effettuato dal RSPP e dal MC, secondo competenza, anche in occasione dell’avvento di nuova normativa sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro o di modifica e/o integrazione di quella esistente.

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I N D I C E

Capitolo Argomento

1 Datore di lavoro e preposti

2 Lavoratori

3 Servizio di prevenzione e protezione

4 Contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione (Art. 26 del D.Lgs. 81/08)

5 Misure generali di tutela ed emergenze

5.1 Misure generali

5.2 Procedure d’emergenza ed addetti

5.3 Primo soccorso: disposizioni generali

5.4 Prevenzione incendi: disposizioni generali

6 Macchine ed attrezzature

6.1 Direttiva macchine

6.2 Uso delle attrezzature di lavoro

6.3 Verifiche periodiche

6.4 Videoterminali

7 Dispositivi di protezione individuale (D.P.I.)

8 Segnaletica di salute e sicurezza sul lavoro

9 Principali fattori di rischio

9.1 Movimentazione manuale dei carichi

9.2 Rumore

9.3 Vibrazioni meccaniche

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Capitolo Argomento

9.4 Campi elettromagnetici

9.5 Radiazioni ottiche artificiali

9.6 Sostanze e preparati pericolosi – Agenti chimici

9.7 Agenti cancerogeni

9.8 Agenti biologici

9.9 Amianto

9.10 Legionellosi

9.11 Stress lavoro-correlato

9.12 Lavoratrici in gravidanza

9.13 Lavoro notturno

9.14 Assunzione di bevande alcoliche e superalcoliche

9.15 Assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope

9.16 Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro

9.17 Fumo

9.18 Rischi connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi

9.19 Rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro

9.20 Rischio sismico

10 Sorveglianza sanitaria

11 Valutazione dei rischi

11.1 Generalità

11.2 Metodologie adottate

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1. DATORE DI LAVORO E PREPOSTI

Obblighi del datore di lavoro Il datore di lavoro, oltre alla valutazione di tutti i rischi con la conseguente adozione dei documenti previsti dall’articolo 28 del D.Lgs. 81/08 e alla designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, ha provveduto a:

1) nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria; 2) designare preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione

incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza;

3) affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;

4) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, ove presente;

5) prendere le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni e specifico addestramento accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

6) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di igiene del lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuali messi a loro disposizione;

7) inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico;

8) nei casi di sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41 del D.Lgs. 81/08, comunicare tempestivamente al medico competente la cessazione del rapporto di lavoro;

9) adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

10) adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento di cui agli articoli 36 e 37 del D.Lgs. 81/08;

11) prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;

12) consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nelle ipotesi di cui all’articolo 50; 13) adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei luoghi

di lavoro, nonché per il caso di pericolo grave e immediato, secondo le disposizioni di cui all’articolo 43 del D.Lgs. 81/08. Tali misure risultano adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda o dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti;

14) aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione;

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Il datore di lavoro, inoltre, provvederà a:

1) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, in caso di nuova elezione o designazione, i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; in fase di prima applicazione l’obbligo di cui alla presente lettera riguarda i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori già eletti o designati;

2) fornire al servizio di prevenzione e protezione ed al medico competente informazioni su: - natura dei rischi; - organizzazione del lavoro, programmazione ed attuazione delle misure preventive e

protettive; - descrizione degli impianti e dei processi produttivi; - dati di cui al comma 1, lettera q), e quelli relativi alle malattie professionali; - provvedimenti adottati dagli organi di vigilanza;

3) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

4) astenersi, salvo eccezione debitamente motivata da esigenze di tutela della salute e sicurezza, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato;

5) consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), nonché consentire al medesimo rappresentante di accedere ai dati di cui alla lettera q);

6) consentire ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;

7) elaborare, in caso di necessità, il documento di cui all’articolo 26, comma 3 del D.Lgs. 81/08, anche su supporto informatico come previsto dall’articolo 53, comma 5, e, su richiesta di questi e per l’espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il documento potrà essere consultato esclusivamente nella sede dell’azienda;

8) comunicare all’INAIL, o all’IPSEMA, in relazione alle rispettive competenze, a fini statistici e informativi, i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, le informazioni relative agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni;

9) comunicare in via telematica all’INAIL e all’IPSEMA, nonché per loro tramite, al sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro di cui all’articolo 8, entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico, a fini statistici e informativi, i dati e le informazioni relativi agli infortuni sul lavoro che comportino l’assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell’evento e, a fini assicurativi, quelli relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni; l’obbligo di comunicazione degli infortuni sul lavoro che comportino un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni si considera comunque assolto per mezzo della denuncia di cui all’articolo 53 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124;

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10) nell’ambito dell’eventuale svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;

11) nelle unità produttive con più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica di cui all’articolo 35 del D.Lgs. 81/08.

Obblighi dei preposti In riferimento alle attività indicate all’articolo 3 del D.Lgs. 81/08, i preposti, secondo le loro attribuzioni e competenze, dovranno:

a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti;

b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;

e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta;

g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’art. 37 del D.Lgs.81/08.

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2. LAVORATORI

Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

I lavoratori dovranno in particolare: a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli

obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai

preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi

di trasporto e, nonché i dispositivi di sicurezza; d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei

mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla successiva lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;

f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;

g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;

h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro; i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal

medico competente. Nel caso di svolgimento di attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.

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3. SERVIZIO DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Il servizio di prevenzione e protezione (che può essere tanto interno quanto esterno all’azienda) svolge i seguenti principali compiti: provvede all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione

delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;

elabora, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui al comma 2, articolo 28 del D.Lgs. 81/08, e i sistemi di controllo di tali misure;

elabora le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; propone i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; partecipa alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla

riunione periodica di cui all’articolo 35 del D.Lgs. 81/08; fornisce ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36 del D.Lgs. 81/08.

Il servizio cura, inoltre, il costante miglioramento della sicurezza dei posti e dei luoghi di lavoro mediante: la proposizione di misure preventive; l’individuazione di più efficaci dispositivi individuali di protezione; l’elaborazione di procedure di sicurezza che coniughi le esigenze operative aziendali con

quelle di prevenzione e protezione dei lavoratori; l’introduzione di sistemi di controllo per verificare l’attuazione delle misure adottate; l’adeguamento costante dei programmi e delle attività di informazione e formazione dei

lavoratori. Il datore di lavoro designa, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori, il responsabile e gli addetti al servizio (avvalendosi all’occorrenza anche di professionalità esterne all’azienda) che devono possedere le capacità ed i requisiti professionali di cui all’articolo 32 del D.Lgs. 81/08. Nel caso in cui il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni non è per questo esonerato dalla propria responsabilità in materia.

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4. CONTRATTI D’APPALTO O D’OPERA O DI SOMMINISTRAZIONE

(ART. 26 DEL D.LGS. 81/08) L’articolo 26 del D.Lgs 81/08 pone in capo al Datore di Lavoro/Committente l’obbligo nei confronti delle proprie imprese appaltatrici di fornire “dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività“. Al fine di informare la Ditta esecutrice o il Lavoratore Autonomo, affidataria/o dei lavori, servizi e forniture oggetto del contratto, sugli eventuali rischi presenti nell’ambito lavorativo (interferenti con le attività esercitate dai lavoratori dello stesso Committente), occorre redigere il Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze, di seguito identificato in DUVRI. Inoltre, il comma 3 dello stesso articolo 26 recita anche che: “Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2, elaborando un unico documento di valutazione dei rischi che indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze. Tale documento è allegato al contratto di appalto o di opera e va adeguato in funzione dell’evoluzione dei lavori, servizi e forniture.“ Le disposizioni del presente comma non si applicano ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi. Nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 163 del 12 aprile 2006 e successive modificazioni, tale documento è redatto, ai fini dell’affidamento del contratto, dal soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dello specifico appalto. Nei casi in cui il contratto sia affidato dai soggetti di cui all’articolo 3, comma 34 del D.Lgs. 163/2006, o in tutti i casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto. Il soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto, prima dell’inizio dell’esecuzione, integra il predetto documento riferendolo ai rischi specifici da interferenza presenti nei luoghi in cui verrà espletato l’appalto; l’integrazione, sottoscritta per accettazione dall’esecutore, integra gli atti contrattuali. Pertanto il DUVRI, oltre a fornire dettagliate informazione circa i rischi interferenziali, vuole promuovere nei confronti delle ditte esecutrici e dei lavoratori autonomi anche la cooperazione ed il coordinamento nelle medesime attività. Prima dell’affidamento dei lavori, servizi e forniture si provvederà: a verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa appaltatrice o del lavoratore

autonomo, attraverso la acquisizione del certificato di iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato e dell'autocertificazione dell'impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi del possesso dei requisiti di idoneità tecnico-professionale;

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fornire in allegato al contratto il documento unico di valutazione dei rischi, eventualmente modificato ed integrato con le specifiche informazioni relative alle interferenze sulle lavorazioni che la ditta appaltatrice dovrà esplicitare in sede di gara.

Al DUVRI dovrà seguire, qualora previsto dalla vigente normativa, la redazione del piano operativo di sicurezza a carico della ditta esecutrice del servizio a norma delle disposizioni di Legge previste. Riassumendo, quindi, a favore di una migliore comprensione si chiariscono i sotto elencati quesiti: 1) Che cos’è il DUVRI: è uno strumento di relazione tra il Committente e la ditta esecutrice del

lavoro o erogatrice del servizio o fornitura, quindi è lo strumento con il quale si trasferiscono informazioni e si definiscono modi di comportamento nella esecuzione delle attività.

2) Chi coinvolge il DUVRI: il documento, redatto dal Committente, serve ai Datori di Lavoro

chiamati da questo a prestare opere, servizi o forniture all’interno dei luoghi di lavoro del Committente. Il DUVRI è uno strumento dinamico, quindi costantemente modificabile, e pertanto alla sua costruzione devono partecipare tutti coloro che ne sono coinvolti ed interessati.

3) A cosa serve il DUVRI (informare): il documento serve ad informare le Ditte chiamate a

svolgere attività in un ambito lavorativo a loro sconosciuto dei rischi specifici esistenti in questo nuovo ambito di lavoro. Quindi, all’interno del DUVRI si troveranno tutte quelle informazioni necessarie a conoscere i luoghi di lavoro ed i loro potenziali rischi. Sarà cura dei Datori di Lavoro provvedere di conseguenza all’aggiornamento dei propri Piani Operativi di Sicurezza o alla propria valutazione dei rischi introducendo anche questi rischi originariamente sconosciuti.

4) A cosa serve il DUVRI (coordinare): necessariamente poi, in caso di prevedibile presenza

di più attività nello stesso luogo di lavoro, o di interferenza con le attività del Committente stesso, il DUVRI deve provvedere a coordinare tutte queste azioni in maniera che non siano di intralcio tra di loro definendo i tempi di intervento e le regole per sopperire a interferenze pericolose.

5) A cosa serve il DUVRI (coordinare le emergenze): è evidente che in caso di presenza sul

luogo di lavoro del Committente di un sistema organizzato della gestione delle emergenze, il DUVRI prevede quale debbano essere i comportamenti da porre in essere anche da parte dei lavoratori delle Ditte prestatrici delle diverse attività.

6) A cosa serve il DUVRI (cooperare): infine il documento provvederà alla reciproca

informazione tra ditte diverse su quelli che eventualmente possono essere dei rischi indotti tra le diverse attività.

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7) Come di usa il DUVRI: il documento è redatto dal Committente appaltatore della attività in una prima versione (abbiamo detto che questo non è un documento statico ma dinamico), che sarà distribuita alle diverse ditte chiamate a svolgere attività nell’ambito di quel luogo di lavoro. I Datori di Lavoro delle ditte che opereranno attività dovranno leggere con attenzione la parte che fornisce informazioni sul luogo di lavoro ed aggiornare il proprio strumento di valutazione dei rischi in relazione alle informazioni assunte. Conseguentemente, i Datori di Lavoro dovranno chiedere e proporre aggiornamenti al DUVRI in relazione alla necessità di aggiornamento per quanto attiene alle proprie attività (questo soprattutto nei casi in cui sia impossibile per il Datore di Lavoro adeguarsi alle esigenze del Committente e sia necessario introdurre nuovi sistemi di abbattimento del livello di rischio). I Datori di Lavoro dovranno poi prendere conoscenza dei coordinamenti previsti dal DUVRI ed adeguarsi alle disposizioni impartite.

8) Cosa sono i Costi della Sicurezza: il Legislatore ha posto l’obbligo in capo al Committente

di provvedere ad evidenziare quelli che sono i costi della sicurezza interferenziale che i Datori di Lavoro esercenti le diverse attività dovranno subire in relazione alla necessità di operare in un determinato luogo di lavoro del Committente, con la eventuale presenza sia delle attività del Committente che di altre facenti capo a diversi Datori di Lavoro chiamati ad operare in interferenza con le attività del primo. Quindi, è evidente che i costi espressi nel DUVRI non attengo a quelli necessari ai diversi Datori di Lavoro per eseguire le proprie attività, ma, diversamente, a quelli a loro sconosciuti e dipendenti dalla volontà del Committente.

9) Quando non viene redatto il DUVRI: in base al comma 3-bis dell’articolo 26 del D.Lgs

81/08, per i seguenti casi non è obbligatoria la predisposizione del DUVRI e la conseguente stima dei costi della sicurezza:

a) servizi di natura intellettuale; b) mere forniture di materiali o attrezzature; c) lavori o servizi la cui durata non sia superiore a cinque uomini-giorno, sempre che essi

non comportino rischi derivanti dal rischio di incendio di livello elevato o dallo svolgimento di attività in ambienti confinati o dalla presenza di agenti cancerogeni, mutageni o biologici, di amianto o di atmosfere esplosive o dalla presenza dei rischi particolari di cui all’allegato XI del D.Lgs 81/08. Per uomini-giorno si intende l’entità presunta dei lavori, servizi e forniture rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione dei lavori, servizi o forniture considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori.

Sospensione dei Lavori In caso di inosservanza di norme in materia di sicurezza o in caso di pericolo imminente per i lavoratori, il Responsabile dei Lavori ovvero il Committente, potrà ordinare la sospensione dei lavori, disponendone la ripresa solo quando sia di nuovo assicurato il rispetto della normativa vigente e siano ripristinate le condizioni di sicurezza e igiene del lavoro. Per sospensioni dovute a pericolo grave ed imminente il Committente non riconoscerà alcun compenso o indennizzo all'Appaltatore.

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Stima dei costi della sicurezza Secondo l’art. 26, comma 5 del D.Lgs. 81/08: “Nei singoli contratti di subappalto, di appalto e di somministrazione, anche qualora in essere al momento della data di entrata in vigore del presente decreto, di cui agli articoli 1559, ad esclusione dei contratti di somministrazione di beni e servizi essenziali, 1655, 1656 e 1677 del codice civile, devono essere specificamente indicati, a pena di nullità ai sensi dell’articolo 1418 del codice civile, i costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivanti dalle interferenze delle lavorazioni”. Tali costi, finalizzati al rispetto delle norme di sicurezza e salute dei lavoratori per tutta la durata delle lavorazioni previste nell’appalto, saranno riferiti rispettivamente ai costi previsti per: garantire la sicurezza del personale dell’appaltatore mediante la formazione, la sorveglianza

sanitaria, gli apprestamenti (D.P.I.) in riferimento ai lavori appaltati; garantire la sicurezza rispetto ai rischi interferenziali che durante lo svolgimento dei lavori

potrebbero originarsi all’interno dei locali; le procedure previste per specifici motivi di sicurezza.

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5. MISURE GENERALI DI TUTELA ED EMERGENZE

5.1 Misure generali Sono state osservate tutte le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, come definite all’art. 15 del D.Lgs. 81/08, e precisamente: è stata effettuata la valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza, così come descritta

nel presente DVR; è stata prevista la programmazione della prevenzione, mirata ad un complesso che integri in

modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;

come dettagliato nel documento di valutazione, si è provveduto all’eliminazione dei rischi e, ove ciò non è possibile, alla loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;

sono stati rispettati i principi ergonomici nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo;

è stata attuata, per quanto possibile, la riduzione dei rischi alla fonte; è stata prevista la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno

pericoloso; è stato limitato al minimo il numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al

rischio; è stato previsto un utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici sui luoghi di lavoro; è stata data la priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione

individuale; è stato previsto il controllo sanitario dei lavoratori; si provvederà all’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per motivi sanitari

inerenti la sua persona e all’adibizione, ove possibile, ad altra mansione; verrà effettuata l’adeguata informazione e formazione per i lavoratori, per dirigenti, i preposti e

per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; verranno impartite istruzioni adeguate a tutti i lavoratori; è stata prevista la partecipazione e la consultazione dei lavoratori e dei rappresentanti dei

lavoratori per la sicurezza; è stata effettuata un’attenta programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il

miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l’adozione di codici di condotta e di buone prassi;

sono state dettagliate le misure di emergenza da attuare in caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave e immediato, compreso l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;

è stata programmata la regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti.

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Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non comporteranno mai oneri finanziari per i lavoratori. 5.2 Procedure d’emergenza ed addetti Come previsto dall’art. 43, comma 1, del D.Lgs. 81/08, sono stati organizzati i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza. Sono stati, infatti, designati preventivamente i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza. Sono stati informati tutti i lavoratori che possono essere esposti a un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte e i comportamenti da adottare. Sono stati programmati gli interventi, presi i provvedimenti e date le istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato che non può essere evitato, possano cessare la loro attività, o mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro. Sono stati adottati i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili. E’ stata garantita la presenza di mezzi od impianti fissi di estinzione idonei alla classe di incendio ed al livello di rischio presenti sul luogo di lavoro, tenendo anche conto delle particolari condizioni in cui possono essere usati. Ai fini delle designazioni si è tenuto conto delle dimensioni dell’azienda e dei rischi specifici dell’azienda o della unità produttiva secondo i criteri previsti nei decreti di cui all’articolo 46 del D.Lgs. 81/08 (decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998 e decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139) In azienda saranno sempre presenti gli addetti al primo soccorso, alla prevenzione incendi ed alla evacuazione, che sono adeguatamente formati, in numero sufficiente e che dispongono delle necessarie attrezzature, tenendo conto delle dimensioni e dei rischi specifici dell’azienda o dell’unità produttiva. In azienda verrà esposta una tabella ben visibile riportante i numeri telefonici di emergenza.

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5.3 Primo soccorso: disposizioni generali Il D.Lgs. 81/08 (artt. 18 e 45) prevede che il datore di lavoro adotti i provvedimenti in materia di organizzazione di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza sui luoghi di lavoro, stabilendo i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di pronto soccorso. Ciò si traduce nella definizione di un piano di Primo Soccorso, che stabilisca le procedure organizzative da seguire in caso di infortunio o malore, i criteri di individuazione e i compiti dei lavoratori designati per lo svolgimento delle funzioni di primo soccorso e le risorse dedicate. Si ricordano le seguenti definizioni: pronto soccorso: procedure complesse con ricorso a farmaci e strumentazione, orientate a

diagnosticare il danno ed a curare l’infortunato, di competenza di personale sanitario; primo soccorso: insieme di semplici manovre orientate a mantenere in vita l’infortunato ed a

prevenire possibili complicazioni in attesa dell’arrivo di soccorsi qualificati; deve essere effettuato da qualsiasi persona.

Il piano di primo soccorso va definito dal datore di lavoro e dal RSPP, in collaborazione con il medico competente, condiviso dagli addetti al primo soccorso e dai RLS e portato alla conoscenza di tutti i lavoratori. Nella formulazione del piano si terrà presente: le informazioni fornite dal documento di valutazione dei rischi; le informazioni fornite dalle schede di sicurezza dei prodotti chimici, qualora utilizzati, che

vanno sempre tenute aggiornate; la tipologia degli infortuni già avvenuti in passato (informazioni ricavate dal registro infortuni); la segnalazione in forma anonima da parte del medico competente della presenza di eventuali

casi di particolari patologie tra i lavoratori, per le quali è opportuno che gli addetti al primo soccorso siano addestrati;

le procedure di soccorso preesistenti, che vanno disincentivate se scorrette o recuperate se corrette.

Si devono, inoltre, precisare ruoli, compiti e procedure, come riportato di seguito: chi assiste all’infortunio deve allertare l’addetto al primo soccorso riferendo quanto è accaduto; gli addetti al primo soccorso devono individuare il miglior percorso per l’accesso al luogo,

mantenere sgombri i passaggi, predisporre eventuali mezzi per il trasporto dell’infortunato; devono accertare la necessità di aiuto dall’esterno ed iniziare l’intervento di primo soccorso;

tutti, a seconda dei casi, devono mettere in sicurezza se stessi e gli altri oppure, se non si è coinvolti, rimanere al proprio posto in attesa di istruzioni;

il RSPP deve mettere a disposizione dei soccorritori la scheda di sicurezza in caso di infortunio con agenti chimici.

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Compiti di Primo soccorso Gli incaricati al primo soccorso devono essere opportunamente formati ed addestrati ad intervenire prontamente ed autonomamente per soccorrere chi s’infortuna o accusa un malore e hanno piena facoltà di decidere se sono sufficienti le cure che possono essere prestate in loco o se invece è necessario ricorrere a soccorritori professionisti. Gli incaricati al primo soccorso devono svolgere i seguenti compiti: al momento della segnalazione, devono intervenire tempestivamente, sospendendo ogni

attività che stavano svolgendo prima della chiamata, laddove è possibile saranno temporaneamente sostituiti, in quanto gli incaricati saranno esonerati, per tutta la durata dell’intervento, da qualsiasi altra attività;

l’azione di soccorso è circoscritta al primo intervento su qualsiasi persona bisognosa di cure immediate e si protrae, senza interferenze di altre persone non competenti, fino a che l’emergenza non sia terminata;

in caso di ricorso al 118, l’intervento si esaurisce quando l’infortunato è stato preso dal personale dell’ambulanza o in caso di trasporto in auto in ospedale dal personale del Pronto Soccorso;

gli interventi di primo soccorso sono finalizzati al soccorso di chiunque si trovi nei locali dell’azienda;

nei casi più gravi, gli incaricati al P.S., se necessario, accompagnano o dispongono il trasporto in ospedale dell’infortunato, utilizzando l’automobile dell’azienda o un’altra autovettura prontamente reperita;

qualora un incaricato di P.S. riscontri carenze nella dotazione delle valigette di primo soccorso o nell’infermeria, deve avvisare il coordinatore, il quale provvede a trasferire la segnalazione alla persona che svolge la funzione di addetto alla gestione dei materiali;

durante le prove d’evacuazione, tutti gli incaricati di P.S. debitamente e preventivamente avvisati ed istruiti da chi organizza la prova, devono rimanere nei luoghi loro assegnati per poter intervenire prontamente in caso di necessità;

in caso di evacuazione non simulata, tutti gli incaricati di P.S. presenti sono impegnati nella sorveglianza delle operazioni (a meno che non svolgano anche la mansione di addetto all’antincendio) ed usciranno solo dopo che si sono completate tutte le operazioni di sfollamento.

Compiti del Centralinista/Segreteria Il centralinista/personale di segreteria attiva il 118 solo su richiesta dell’incaricato di P.S. fornendo le seguenti indicazioni: numero di telefono dell’azienda; indirizzo esatto ed eventuali riferimenti geografici ed istruzioni per raggiungere l’azienda; numero degli infortunati; tipo di infortunio; se l’infortunato parla, si muove, respira; eventuale emorragia.

La trasmissione al centralinista/personale di segreteria delle informazioni riferite alle condizioni dell’infortunato deve essere assicurata dall’incaricato di P.S. che richiede l’intervento. Classificazione delle aziende

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Ai fini del primo soccorso le aziende sono classificate in 3 gruppi, A, B e C (art. 1 del D.M. 388/2003), tenuto conto della tipologia di attività svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio.

Gruppo A: I) Aziende o unità produttive con attività industriali, soggette all'obbligo di dichiarazione o notifica, di cui all'articolo 2, del D.Lgs. n. 334/99, centrali termoelettriche, impianti e laboratori nucleari di cui agli articoli 7, 28 e 33 del D.Lgs. n. 230/95, aziende estrattive ed altre attività minerarie definite dal D.Lgs. n. 81/08, lavori in sotterraneo di cui al D.P.R. n. 320/56, aziende per la fabbricazione di esplosivi, polveri e munizioni. II) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori appartenenti o riconducibili ai gruppi tariffari INAIL con indice infortunistico di inabilità permanente superiore a quattro, quali desumibili dalle statistiche nazionali INAIL relative al triennio precedente ed aggiornate al 31 dicembre di ciascun anno. Le predette statistiche nazionali INAIL sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. III) Aziende o unità produttive con oltre cinque lavoratori a tempo indeterminato del comparto dell'agricoltura.

Gruppo B:

aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A.

Gruppo C: aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A.

Cassetta di Pronto Soccorso e Pacchetto di Medicazione Nelle aziende o unità produttive di gruppo A e di gruppo B, il datore di lavoro deve garantire le seguenti attrezzature: a) cassetta di pronto soccorso, tenuta presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodita

in un luogo facilmente accessibile ed individuabile con segnaletica appropriata, contenente la dotazione minima indicata nell'allegato 1 (D.M. 388/2003), da integrare sulla base dei rischi presenti nei luoghi di lavoro e su indicazione del medico competente, ove previsto, e del sistema di emergenza sanitaria del Servizio Sanitario Nazionale, e della quale sia costantemente assicurata, la completezza ed il corretto stato d'uso dei presidi ivi contenuti;

b) un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.

Mentre nelle aziende o unità produttive di gruppo C, il datore di lavoro deve garantire le seguenti attrezzature: a) pacchetto di medicazione, tenuto presso ciascun luogo di lavoro, adeguatamente custodito e

facilmente individuabile, contenente la dotazione minima indicata nell'allegato 2 (D.M. 388/2003) da integrare sulla base dei rischi presenti nei luoghi di lavoro, della quale sia costantemente assicurata, in collaborazione con il medico competente, ove previsto, la completezza ed il corretto stato d'uso dei presidi ivi contenuti;

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b) un mezzo di comunicazione idoneo ad attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.

Contenuto minimo della cassetta di pronto soccorso (Allegato 1 del D.M. 388/03): - n. 5 paia di guanti sterili monouso; - n. 1 visiera paraschizzi; - n. 1 flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 1 litro; - n. 3 flaconi di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 500 ml; - n. 10 compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole; - n. 2 compresse di garza sterile 18 x 40 in buste singole; - n. 2 teli sterili monouso; - n. 2 pinzette da medicazione sterili monouso; - n. 1 confezione di rete elastica di misura media; - n. 1 confezione di cotone idrofilo; - n. 2 confezioni di cerotti di varie misure pronti all'uso; - n. 2 rotoli di cerotto alto cm. 2,5; - n. 1 paio di forbici; - n. 3 lacci emostatici; - n. 2 confezioni di ghiaccio pronto uso; - n. 2 sacchetti monouso per la raccolta di rifiuti sanitari; - n. 1 termometro; - n. 1 apparecchio per la misurazione della pressione arteriosa; - Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del

servizio di emergenza.

Contenuto minimo del pacchetto di medicazione (Allegato 2 del D.M. 388/03): - n. 2 paia di guanti sterili monouso; - n. 1 flacone di soluzione cutanea di iodopovidone al 10% di iodio da 125 ml; - n. 1 flacone di soluzione fisiologica (sodio cloruro 0,9%) da 250 ml; - n. 1 compressa di garza sterile 18 x 40; - n. 3 compresse di garza sterile 10 x 10 in buste singole; - n. 1 pinzetta da medicazione sterile monouso; - n. 1 confezione di cotone idrofilo; - n. 1 confezione di cerotti di varie misure pronti all'uso; - n. 1 rotolo di cerotto alto cm 2,5; - n. 1 rotolo di benda orlata alta cm 10; - n. 1 paio di forbici; - n. 1 laccio emostatico; - n. 1 confezione di ghiaccio pronto uso; - n. 1 sacchetto monouso per la raccolta di rifiuti sanitari; - Istruzioni sul modo di usare i presidi suddetti e di prestare i primi soccorsi in attesa del

servizio di emergenza.

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5.4 Prevenzione incendi: disposizioni generali Nei luoghi di lavoro aziendali sono state adottate idonee misure per prevenire gli incendi e per tutelare l’incolumità dei lavoratori, ai sensi dell’art. 46 del D.Lgs. 81/08. In particolare, sono stati applicati i criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione delle emergenze nei luoghi di lavoro di cui al Decreto del Ministro dell’interno del 10 marzo 1998. Si ricordano le seguenti definizioni: PERICOLO DI INCENDIO: proprietà o qualità intrinseca di determinati materiali o attrezzature,

oppure metodologie e pratiche di lavoro o di utilizzo di un ambiente di lavoro, che presentano il potenziale di causare un incendio.

RISCHIO DI INCENDIO: probabilità che sia raggiunto il livello potenziale di accadimento di un incendio e che si verifichino conseguenze dell’incendio sulle persone presenti.

VALUTAZIONE DEI RISCHI DI INCENDIO: procedimento di valutazione dei rischi di incendio in un luogo di lavoro, derivante dalle circostanze del verificarsi di un pericolo di incendio.

Il D.M. del 10/03/1998 permette di classificare l’intero posto di lavoro o parte del luogo medesimo in tre categorie. Livello di rischio basso:

luoghi di lavoro o parti di essi in cui sono presenti sostanze a basso tasso di infiammabilità e le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principi di incendio ed in cui, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata.

Livello di rischio medio:

luoghi di lavoro o parti di essi in cui sono presenti sostanze infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio che possono favorire lo sviluppo di incendi, ma la cui probabilità di propagazione è da ritenersi limitata.

Livello di rischio elevato:

luoghi di lavoro o parti di essi in cui, per la presenza di materiali altamente infiammabili e/o per le condizioni locali e/o di esercizio, sussistono notevoli probabilità di sviluppo di incendi e nella cui fase iniziale sussistono forti probabilità di propagazione delle fiamme, ovvero non è possibile la classificazione come luoghi a rischio di incendio basso o medio.

Obiettivi della valutazione dei rischi di incendio La valutazione dei rischi di incendio deve consentire al datore di lavoro di prendere i provvedimenti che sono effettivamente necessari per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori e delle altre persone presenti nel luogo di lavoro.

Questi provvedimenti comprendono: la prevenzione dei rischi; l’informazione dei lavoratori e delle altre persone presenti; la formazione dei lavoratori; le misure tecnico-organizzative destinate a porre in atto i provvedimenti necessari.

La valutazione del rischio di incendio tiene conto di:

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tipo di attività; materiali immagazzinati e manipolati; attrezzature presenti nel luogo di lavoro compresi gli arredi; caratteristiche costruttive del luogo di lavoro compresi i materiali di rivestimento; dimensioni e delle articolazioni del luogo di lavoro; numero di persone presenti, siano esse lavoratori dipendenti che altre persone, e della loro

prontezza ad allontanarsi in caso di emergenza. La valutazione dei rischi di incendio si articola nelle seguenti fasi: individuazione di ogni pericolo di incendio; individuazione dei lavoratori e di altre persone presenti nel luogo di lavoro esposte a rischi di

incendio; eliminazione o riduzione dei pericoli di incendio; valutazione del rischio residuo di incendio; verifica dell’adeguatezza delle misure di sicurezza esistenti ovvero individuazione di eventuali

ulteriori provvedimenti e misure necessarie ad eliminare o ridurre i rischi residui di incendio. Informazione e formazione antincendio E’ obbligo del datore di lavoro fornire ai lavoratori una adeguata informazione e formazione sui principi di base della prevenzione incendi e sulle azioni da attuare in presenza di un incendio. Il datore di lavoro deve provvedere affinché ogni lavoratore riceva una adeguata informazione su: rischi di incendio legati all’attività svolta; rischi di incendio legati alle specifiche mansioni svolte; misure di prevenzione e protezione incendi adottate nel luogo di lavoro con particolare

riferimento a: osservanza delle misure di prevenzione degli incendi e relativo corretto comportamento

negli ambienti di lavoro; divieto di utilizzo degli ascensori per l’evacuazione in caso di incendio; importanza di tenere chiuse le porte resistenti al fuoco; modalità di apertura delle porte delle uscite;

ubicazione delle vie d’uscita; procedure da adottare in caso di incendio ed in particolare:

azioni da attuare in caso di incendio; azionamento dell’allarme; procedure da attuare all’attivazione dell’allarme e di evacuazione fino al punto di

raccolta in luogo sicuro; modalità di chiamata dei vigili del fuoco;

i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze e primo soccorso;

il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’azienda.

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L’informazione deve essere basata sulla valutazione dei rischi, deve essere fornita al lavoratore all’atto dell’assunzione ed essere aggiornata nel caso in cui si verifichi un mutamento della situazione del luogo di lavoro che comporti un variazione della valutazione stessa. L’informazione deve essere fornita in modo che possa essere facilmente appresa. Adeguate informazioni devono essere fornite agli addetti alle manutenzioni e agli appaltatori per garantire che essi siano a conoscenza delle misure generali di sicurezza antincendio sul luogo di lavoro , delle azioni da adottare in caso di incendio e delle procedure di evacuazione. Tutti i lavoratori esposti a particolari rischi di incendio correlati al posto di lavoro, quali ad esempio gli addetti all’utilizzo di sostanze infiammabili o di attrezzature a fiamma libera, devono ricevere una specifica formazione antincendio. Tutti i lavoratori che svolgono incarichi relativi alla prevenzione incendi, lotta antincendio o gestione dell’emergenze , devono ricevere una specifica formazione antincendio i cui contenuti minimi sono riportati in allegato IX del D.M 10/03/1998. Misure preventive, protettive e precauzioni di esercizio All’esito della valutazione dei rischi di incendio, il datore di lavoro provvede agli adempimenti ai quali è tenuto che vengono di seguito riportati: ridurre le probabilità di insorgenza di incendio; realizzare le vie e le uscite di emergenza previste dall’Art. 13 del D.P.R. n. 547/55, in

conformità con l’allegato III del D.M. 10/03/1998; realizzare le misure per una rapida segnalazione dell’incendio al fine di garantire l’attivazione

dei sistemi di allarme e delle procedure di intervento, in conformità all’Allegato IV del D.M. 10/03/1998;

assicurare l’estinzione dell’incendio in conformità ai criteri dell’Allegato V del D.M. 10/03/1998; garantire l’efficienza dei sistemi di protezione antincendio secondo i criteri di cui all’allegato VI

del D.M. 10/03/1998; fornire ai lavoratori un’adeguata informazione e formazione sui rischi di incendio secondo i

criteri di cui all’Allegato VII del D.M. 10/03/1998; eseguire gli interventi di manutenzione ed il controllo degli impianti e delle attrezzature di

protezione antincendio, nel rispetto delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti, delle norme di buona tecnica emanate dagli organismi di normalizzazione nazionali ed esteri;

adottare le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio; designare gli addetti al servizio antincendio; far frequentare ai lavoratori designati il corso di formazione di cui all’art. 7 del D.M. 10/03/1998

Allegato IX.

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6. MACCHINE ED ATTREZZATURE

6.1 Direttiva macchine La Direttiva 2006/42/CE (pubblicata in G.U.C.E. del 9 giugno 2006, n. 157), che abroga la precedente Direttiva 98/37/CE, è entrata in vigore il 29 giugno 2006; gli Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva e applicano le suddette disposizioni dal 29 dicembre 2009. Con il Decreto Legislativo n. 17 del 27 gennaio 2010 (pubblicato in G.U. del 19 febbraio 2010 n.41, Supplemento ordinario n. 36/L), è stata recepita la suddetta Direttiva 2006/42/CE e viene abrogato il D.P.R. n. 459 del 24 luglio 1996 (Regolamento di recepimento della precedente direttiva macchine), fatta salva la residua applicabilità delle disposizioni transitorie di cui all’articolo 11, commi 1 e 3, del medesimo decreto 459/96. La suddetta direttiva introduce nuove disposizioni in materia di sicurezza delle macchine, inserendo nuovi standard di sicurezza e nuove procedure per la valutazione di conformità; inoltre, viene rafforzata anche la sorveglianza dei mercati e definita una più rigorosa valutazione dei rischi legati alle macchine ed al loro utilizzo. Analogamente alla disciplina pregressa, risultano definiti alcuni principi generali finalizzati a garantire la sicurezza delle macchine: innanzitutto, un obbligo generale per gli Stati comunitari di adottare tutti i provvedimenti utili affinché le macchine possano essere immesse sul mercato e/o messe in servizio unicamente se conformi alla direttiva in questione e se tali da non pregiudicare la sicurezza e la salute delle persone, nonché, all’occorrenza, degli animali domestici e dei beni. A tal fine il fabbricante (o il suo mandatario), prima di immettere sul mercato e/o mettere in servizio una macchina, dovrà: accertare la conformità ai pertinenti requisiti di sicurezza/salute pubblica dettagliamene

elencati nell'Allegato I; accertarsi che il fascicolo tecnico sia conforme al contenuto minimo in tal senso previsto

all'Allegato VII, parte A; fornire tutte le informazioni necessarie (quali, per esempio, le istruzioni); espletare le appropriate procedure di valutazione della conformità della macchina ai sensi

dell’art. 12; redigere la dichiarazione CE di conformità ai sensi dell’allegato II, parte 1, sezione A,

accertandosi che la stessa accompagni la macchina; apporre la marcatura «CE» ai sensi dell’art. 16.

Ne consegue una presunzione di conformità alla nuova disciplina qualora la macchina risulti provvista della marcatura «CE» e venga accompagnata dalla dichiarazione CE di conformità. Sotto questo profilo si consideri, peraltro, la presunzione di conformità ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute per le macchine costruite conformemente a una norma armonizzata il cui riferimento sia stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea. Particolarmente importante risulta essere la clausola di salvaguardia prevista dall'art. 11 a favore degli Stati membri, circa la possibilità di vietare l'immissione sul mercato e/o la messa in servizio (oppure di

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limitare la libera circolazione) di una macchina pur provvista di marcatura CE (e accompagnata dalla relativa dichiarazione) ma, tuttavia, potenzialmente pericolosa per la destinazione o le prevedibili condizioni di utilizzo. Le macchine provviste di marcatura CE devono rispettare le prescrizioni della Direttiva 2006/42/CE e non possono essere dunque oggetto di limitazioni od ostacoli alla loro libera circolazione sul mercato europeo (ferma restando, ovviamente, la clausola di salvaguardia). Campo di applicazione Rientrano nell’ambito di applicazione della Direttiva 2006/42/CE le macchine, le attrezzature intercambiabili, intese come un «dispositivo che, dopo la messa in servizio di una macchina o di un trattore, è assemblato alla macchina o al trattore dell’operatore stesso al fine di modificarne la funzione o apportare una nuova funzione, nella misura in cui tale attrezzatura non è un utensile», i componenti di sicurezza, gli accessori di sollevamento, le catene, le funi e le cinghie, «progettate e costruite come parte integrante di macchine per il sollevamento o di accessori di sollevamento», compresi anche i dispositivi amovibili di trasmissione meccanica e le quasi–macchine, «insiemi che costituiscono quasi una macchina, ma che da soli, non sono in grado di garantire un’applicazione ben determinata». Un aspetto senz'altro innovativo contenuto nella nuova disciplina è la modifica apportata alla Direttiva 95/16/CE circa la nozione di «ascensore» così da limitare meglio il campo di reciproca applicazione tra la direttiva medesima e quella in oggetto in materia di macchine. Procedura CE La nuova Direttiva Macchine distingue, per le macchine dell’Allegato IV, i due differenti casi di manufatti realizzati in modo totalmente conforme alle Norme tecniche armonizzate e di manufatti realizzate in modo solo parzialmente conforme alle Norme armonizzate. Macchine totalmente conformi alle Norme La nuova procedura non prevede più la possibilità di presentare il Fascicolo Tecnico a un organismo notificato senza che questo svolga alcuna verifica; introduce la garanzia di qualità completa, tramite la quale il fabbricante istituisce nella propria azienda un sistema di qualità approvato per la progettazione, la fabbricazione, l’ispezione finale e le prove. Detto sistema di qualità verrà sottoposto a sorveglianza da parte di un organismo notificato che disporrà, tra il proprio organico, di esperti in materia di sicurezza del macchinario. Macchine parzialmente conformi alle Norme Per queste macchine non sarà possibile ricorrere all’esame solo del Fascicolo Tecnico e la procedura si ridurrà alle due possibili strade alternative. Dichiarazioni CE La nuova direttiva prevede solo 2 tipi di dichiarazione: la dichiarazione CE di conformità alla Direttiva ed alle altre Direttive in cui eventualmente

ricade la macchina, sottoscritta dal fabbricante o dal suo mandatario o dalla persona autorizzata a redigere la dichiarazione;

la dichiarazione d’incorporazione che il fabbricante o chi per esso è tenuto a redigere per le quasi – macchine.

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Marcatura CE La marcatura del logo CE dovrà essere apposta nelle immediate vicinanze del nome del fabbricante (quindi sulla targa della macchina) ed essere stampata utilizzando il medesimo procedimento impiegato per il nome stesso. Requisiti essenziali di sicurezza In materia di requisiti essenziali di sicurezza, elencati nell’Allegato I, la nuova Direttiva Macchine ricalca abbastanza da vicino quelli dell’attuale Direttiva 98/37/CE. Degne di nota sono le seguenti varianti: Salvaguardia dei posti di comando.

Alcuni requisiti caratteristici delle macchine mobili o di quelle destinate al sollevamento dei carichi sono stati estesi a tutte le macchine.

Istruzioni per l’uso. I principi generali di redazione ed i contenuti sono stati maggiormente esplicitati, arricchiti di nuovi spunti, destinati a rendere più trasparenti e fruibili dall’utente le precauzioni e le procedure attinenti la sicurezza e la manutenzione della macchine.

Modalità a “sicurezza sospese”. La logica funzionale che deve sottostare la eventuale modalità di funzionamento a sicurezze sospese presente sulla macchina – una procedura molto spesso disattesa dai fabbricanti e altrettante volte sconosciuta dai progettisti (anche se citata fin dal testo originale della Direttiva che risale al 1989) – viene totalmente ribadita nella nuova Direttiva, con l’aggiunta di un’ulteriore precauzione volta a “vietare qualsiasi movimento che potrebbe presentare un pericolo, se volontariamente o involontariamente l’operatore che si addentra nella zona pericolosa dovesse agire sui sensori della macchina”.

Ripari. Ribadendo quanto prescritto dalla Norma UNI EN 953 sui ripari, la Direttiva afferma che essi “non devono poter rimanere al loro posto in mancanza dei relativi mezzi di fissaggio”.

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6.2 Uso delle attrezzature di lavoro L'uso in sicurezza delle attrezzature di lavoro è disciplinato dal Titolo III del D.Lgs. 81/2008. Come indicato all’art. 69 del D.Lgs. 81/08, si intende per attrezzatura di lavoro qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti e necessari allo svolgimento di un’attività o all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro, mentre si intende per uso di un’attrezzatura di lavoro qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l'impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio. Qualsiasi zona all'interno ovvero in prossimità di una attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso viene definita zona pericolosa e qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa viene definito quale lavoratore esposto. Requisiti di sicurezza Come indicato all’art. 70 del D.Lgs. 81/08, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. Per le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari o messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all’emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto verrà controllata la conformità ai requisiti generali di sicurezza riportati nell’allegato V del D.Lgs. 81/08. Le attrezzature di lavoro costruite secondo le prescrizioni dei decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 395 del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955 n. 547, ovvero dell’articolo 28 del D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, potranno essere considerate conformi, come indicato al comma 3 dello stesso art. 70 del D.Lgs. 81/08. Saranno messe a disposizione dei lavoratori esclusivamente attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza indicati, idonee ai fini della salute e sicurezza ed adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle direttive comunitarie. All'atto della scelta delle nuove attrezzature di lavoro, come indicato all’art. 71, comma 2, del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro prenderà in considerazione: le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere; i rischi presenti nell’ambiente di lavoro; i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse; i rischi derivanti da interferenze con le altre attrezzature già in uso.

Al fine di ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte, verranno adottate adeguate misure tecniche ed organizzative e verranno rispettate tutte quelle riportate nell’allegato VI del D.Lgs. 81/08.

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Tutte le attrezzature di lavoro sono state installate correttamente e si controllerà, tramite un preposto a ciò incaricato, che le stesse vengano utilizzate conformemente alle istruzioni d’uso. Si assicurerà, inoltre, che le attrezzature di lavoro: siano oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei

requisiti di sicurezza; siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d’uso e libretto di manutenzione; siano assoggettate alle misure di aggiornamento dei requisiti minimi di sicurezza

eventualmente stabilite con specifico provvedimento regolamentare o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della protezione.

Controlli e registro Verrà, curata la tenuta e l’aggiornamento del registro di controllo delle attrezzature di lavoro per le quali lo stesso è previsto. Per le attrezzature di lavoro la cui sicurezza dipende dalle condizioni di installazione si provvederà a che le stesse vengano sottoposte a un controllo iniziale (dopo l'installazione e prima della messa in esercizio) e ad un controllo dopo ogni eventuale successivo montaggio, al fine di assicurarne l'installazione corretta e il buon funzionamento. Per le attrezzature soggette a influssi che possono provocare deterioramenti suscettibili di dare origine a situazioni pericolose, si provvederà a che esse siano sottoposte a: controlli periodici, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dai fabbricanti,

ovvero dalle norme di buona tecnica, o in assenza di queste ultime, desumibili dai codici di buona prassi;

controlli straordinari al fine di garantire il mantenimento di buone condizioni di sicurezza, ogni volta che intervengano eventi eccezionali che possano avere conseguenze pregiudizievoli per la sicurezza delle attrezzature di lavoro, quali riparazioni trasformazioni, incidenti, fenomeni naturali o periodi prolungati di inattività.

I controlli, volti ad assicurare il buono stato di conservazione e l’efficienza a fini di sicurezza delle attrezzature di lavoro e saranno effettuati da persona competente. I risultati dei controlli saranno riportati per iscritto e, almeno quelli relativi agli ultimi tre anni, verranno conservati e tenuti a disposizione degli organi di vigilanza. Informazione, formazione e addestramento Come indicato nell’art. 73 del D.Lgs. 81/08, per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i lavoratori incaricati dell’uso disporranno di ogni necessaria informazione e istruzione e riceveranno una formazione e un addestramento adeguati, in rapporto alla sicurezza relativamente: alle condizioni di impiego delle attrezzature; alle situazioni anormali prevedibili.

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I lavoratori saranno informati sui rischi cui sono esposti durante l’uso delle proprie attrezzature di lavoro, sui rischi relativi alle attrezzature di lavoro presenti nell’ambiente immediatamente circostante, anche se da essi non usate direttamente, nonché sui cambiamenti di tali attrezzature, come indicato al comma 2 dell’art. 73 del D.Lgs. 81/08. Tutte le informazioni e le istruzioni d’uso verranno impartite in modo comprensibile ai lavoratori interessati e ci si accerterà che esse siano state recepite. Per le attrezzature che richiedono, in relazione ai loro rischi, conoscenze e responsabilità particolari di cui all’art. 71, comma 7, del D.Lgs. 81/08, verrà impartita una formazione, informazione ed addestramento adeguati e specifici, tali da consentire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro, anche in relazione ai rischi che possano essere causati ad altre persone.

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6.3 Verifiche periodiche Il D.Lgs. 81/08, all’art. 71 comma 11, prevede che il datore di lavoro debba sottoporre le attrezzature di lavoro a verifiche periodiche volte a valutarne l’effettivo stato di conservazione e di efficienza ai fini di sicurezza, con la frequenza indicata nell’Allegato VII. La prima di tali verifiche è effettuata dall’ISPESL che vi provvede nel termine di 60 giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi delle ASL e di soggetti pubblici o privati abilitati con le modalità di cui al comma 13. Le successive verifiche sono effettuate dai soggetti di cui al precedente periodo, che vi provvedono nel termine di 30 giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il datore di lavoro può avvalersi di soggetti pubblici o privati abilitati con le modalità del comma 13. Le verifiche sono onerose e le spese per la loro effettuazione sono a carico del datore di lavoro. Allegato VII del D.Lgs. 81/08

Attrezzatura Intervento/periodicità

Scale aeree ad inclinazione variabile Verifica annuale

Ponti mobili sviluppabili su carro ad azionamento motorizzato Verifica annuale

Ponti mobili sviluppabili su carro a sviluppo verticale e azionati a mano Verifica biennale

Ponti sospesi e relativi argani Verifica biennale Idroestrattori a forza centrifuga di tipo discontinuo con diametro del paniere x numero di giri > 450 (m x giri/min.) Verifica biennale

Idroestrattori a forza centrifuga di tipo continuo con diametro del paniere x numero di giri > 450 (m x giri/min.) Verifica triennale

Idroestrattori a forza centrifuga operanti con solventi infiammabili o tali da dar luogo a miscele esplosive od instabili, aventi diametro esterno del paniere maggiore di 500 mm

Verifica annuale

Carrelli semoventi a braccio telescopico Verifica annuale

Piattaforme di lavoro auto sollevanti su colonne Verifica biennale Ascensori e montacarichi da cantiere con cabina/piattaforma guidata verticalmente Verifica annuale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo mobile o trasferibile, con modalità di utilizzo riscontrabili in settori di impiego quali costruzioni, siderurgico, portuale, estrattivo.

Verifica annuale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo mobile o trasferibile, con modalità di utilizzo regolare e anno di fabbricazione non antecedente 10 anni

Verifica biennale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo mobile o trasferibile, con modalità di utilizzo regolare e anno di fabbricazione antecedente 10 anni

Verifica annuale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non Verifica annuale

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Attrezzatura Intervento/periodicità

azionati a mano, di tipo fisso, con modalità di utilizzo riscontrabili in settori di impiego quali costruzioni, siderurgico, portuale, estrattivo e con anno di fabbricazione antecedente 10 anni Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo fisso, con modalità di utilizzo riscontrabili in settori di impiego quali costruzioni, siderurgico, portuale, estrattivo e con anno di fabbricazione non antecedente 10 anni

Verifica biennale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo fisso, con modalità di utilizzo regolare e anno di fabbricazione antecedente 10 anni

Verifica biennale

Apparecchi di sollevamento materiali con portata superiore a 200 Kg. non azionati a mano, di tipo fisso, con modalità di utilizzo regolare e anno di fabbricazione non antecedente 10 anni

Verifica triennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Recipienti/insiemi classificati in III e IV categoria, recipienti contenenti gas instabili appartenenti alla categ. dalla I alla IV, forni per le industrie chimiche e affini, generatori e recipienti per liquidi surriscaldati diversi dall'acqua.

Verifica di funzionamento: biennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Recipienti/insiemi classificati in I e II categoria.

Verifica di funzionamento: quadriennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Tubazioni per gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella I, II e III categoria

Verifica di funzionamento: quinquennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Tubazioni per liquidi classificati nella I, II e III categoria

Verifica di funzionamento: quinquennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 1 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Recipienti per liquidi appartenenti alla I, II e III categoria.

Verifica di funzionamento: quinquennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Recipienti/insiemi contenenti gas compressi, liquefatti e disciolti o vapori diversi dal vapor d'acqua classificati in III e IV categoria e recipienti di vapore d'acqua e d'acqua surriscaldata appartenenti alle categorie dalla I alla IV

Verifica di funzionamento: triennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Recipienti/insiemi contenenti gas compressi, liquefatti e disciolti o vapori diversi dal vapor d'acqua classificati in I e II categoria

Verifica di funzionamento: quadriennale

Verifica di integrità: decennale

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Generatori di vapor d'acqua.

Verifica di funzionamento: biennale

Visita interna: biennale Verifica di integrità:

decennale Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Tubazioni gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella III categoria,

Verifica di integrità: decennale

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Attrezzatura Intervento/periodicità

aventi TS < 350 °C

Attrezzature/insiemi contenenti fluidi del gruppo 2 (D.lgs. 93/2000 art. 3). Tubazioni gas, vapori e liquidi surriscaldati classificati nella III categoria, aventi TS > 350 °C

Verifica di funzionamento: quinquennale

Verifica di integrità: decennale

Generatori di calore alimentati da combustibile solido, liquido o gassoso per impianti centrali di riscaldamento utilizzanti acqua calda sotto pressione con temperatura dell'acqua non superiore alla temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica, aventi potenzialità globale dei focolai superiore a 116 kW

Verifica quinquennale

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6.4 Videoterminali Requisiti ambiente di lavoro

SPAZIO Come indicato al punto 2, lettera a) dell’Allegato XXXIV del D.Lgs. 81/08, il posto di lavoro deve essere ben dimensionato e allestito in modo che vi sia spazio sufficiente per permettere cambiamenti di posizione e movimenti operativi. Tutte le postazioni di lavoro soddisfano tali requisiti, così come indicati nella fig. 1.

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ILLUMINAZIONE Risultano rispettati i requisiti di illuminazione riportati al punto 2, lettera b), dell’Allegato XXXIV del D.Lgs. 81/08, in quanto: l'illuminazione generale e specifica (lampade da tavolo) garantisce un illuminamento

sufficiente e un contrasto appropriato tra lo schermo e l'ambiente circostante, tenuto conto delle caratteristiche del lavoro e delle esigenze visive dell'utilizzatore;

sono stati evitati riflessi sullo schermo ed eccessivi contrasti di luminanza e abbagliamenti dell’operatore, disponendo la postazione di lavoro in funzione dell'ubicazione delle fonti di luce naturale e artificiale (in particolare tutte le postazioni sono state posizionate in modo da avere la luce naturale di fianco, come indicato nelle figure 2 e 3);

si è tenuto conto della posizione di finestre, pareti trasparenti o traslucide, pareti e attrezzature di colore chiaro che possono determinare fenomeni di abbagliamento diretto e/o indiretto e/o riflessi sullo schermo;

ove necessario, le finestre sono munite di un opportuno dispositivo di copertura regolabile per attenuare la luce diurna che illumina il posto di lavoro.

Lo sguardo principale dell’operatore deve essere parallelo alla finestra.

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La postazione di lavoro deve trovarsi possibilmente in una zona lontana dalle finestre oppure sul lato del posto di lavoro lontano dalle finestre.

DISTANZA VISIVA Con gli schermi comunemente in uso è consigliabile una distanza visiva compresa tra 50 e 70 cm (vedi figura 1). Per gli schermi molto grandi, è consigliabile una distanza maggiore. RUMORE Il rumore emesso dalle attrezzature appartenenti al/ai posto/i di lavoro è stato preso in considerazione al momento della sistemazione delle postazioni di lavoro e dell’acquisto delle attrezzature stesse, in particolare al fine di non perturbare l'attenzione e la comunicazione verbale (punto 2, lettera d), Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08). PARAMETRI MICROCLIMATICI Le condizioni microclimatiche non saranno causa di discomfort per i lavoratori e le attrezzature in dotazione al posto di lavoro, di buona qualità, non producono un eccesso di calore che possa essere fonte di discomfort per i lavoratori (punto 2, lettera e), Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08). RADIAZIONI Tutte le radiazioni, eccezione fatta per la parte visibile dello spettro elettromagnetico, devono essere ridotte a livelli trascurabili dal punto di vista della tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori (punto 2, lettera f), Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08).

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Gli schermi piatti non emettono radiazioni pericolose e anche quelli tradizionali attualmente in commercio non destano preoccupazioni. In base alle conoscenze attuali, essi non rappresentano un pericolo per la salute, neppure per le donne in gravidanza. L’impiego di speciali filtri allo scopo di ridurre le radiazioni è stato, quindi, ritenuto inutile. IRRAGGIAMENTO TERMICO Sia gli schermi che le unità centrali producono calore che poi deve essere smaltito aerando adeguatamente i locali. L’elevata presenza di schermi in un locale impone quindi una maggiore ventilazione. Occorre tenere presente che anche l’unità centrale produce calore. Poiché il calore prodotto da uno schermo piatto è circa un terzo di quello emesso da uno schermo tradizionale, ai fini del miglioramento delle condizioni di lavoro, si prevede la progressiva sostituzione dei monitor tradizionali con schermi piatti. I lavoratori addetti dovranno provvedere a: aerare regolarmente i locali di lavoro. In inverno sarà sufficiente tenere le finestre aperte

per pochi minuti in modo da cambiare l’aria in tutto il locale. In estate può bastare un piccolo ventilatore per dare ristoro.

UMIDITA’ Il calore generato dai VDT può rendere l'aria asciutta, ed alcuni portatori di lenti a contatto provano disagio per tale circostanza. Si farà in modo, quindi, di ottenere e mantenere un'umidità soddisfacente per garantire il confort generale dei lavoratori ed il fastidio possibile per i portatori di lenti a contatto. INTERFACCIA ELABORATORE-UOMO All'atto dell'elaborazione, della scelta, dell'acquisto del software, o allorchè questo venga modificato, come anche nel definire le mansioni che implicano l'utilizzazione di unità videoterminali, si terrà conto dei seguenti fattori (punto 3), Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08): il software dovrà essere adeguato alla mansione da svolgere e di facile uso adeguato al

livello di conoscenza e di esperienza dell'utilizzatore; nessun dispositivo di controllo quantitativo o qualitativo verrà utilizzato all'insaputa dei

lavoratori; il software dovrà essere strutturato in modo tale da fornire ai lavoratori indicazioni

comprensibili sul corretto svolgimento dell’attività; i sistemi devono fornire l’informazione di un formato e ad un ritmo adeguato agli operatori; i principi dell’ergonomia devono essere applicati in particolare all’elaborazione

dell’informazione da parte dell’uomo.

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Attrezzatura di lavoro L'utilizzazione in sè del VDT non sarà fonte di rischio per i lavoratori addetti che disporranno, come precisato nel seguito, di schermi moderni e adatti alle attività lavorative, così come di arredi stabili, facilmente pulibili e soprattutto regolabili, in modo da poter adattare la postazione di lavoro alle proprie caratteristiche fisiche. Agli operatori addetti viene garantito di: poter lavorare anche in piedi; poter utilizzare occhiali adeguati, se necessario; poter fare delle pause e rilassarsi;

Gli operatori dovranno segnalare eventuali malfunzionamenti o situazioni difformi da quanto specificato nel seguito.

SCHERMO Come prescritto dall’Allegato XXXIV del D.Lgs. 81/08, gli schermi del VDT in dotazione possiedono le seguenti caratteristiche minime (punto 1, lett. b, Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08): la risoluzione dello schermo è tale da garantire una buona definizione, una forma chiara,

una grandezza sufficiente dei caratteri e, inoltre, uno spazio adeguato tra essi; l'immagine sullo schermo risulta stabile; esente da farfallamento, tremolio o da altre forme

di instabilità; la brillanza e/o il contrasto di luminanza tra i caratteri e lo sfondo dello schermo risultano

facilmente regolabili da parte dell'utilizzatore del videoterminale e facilmente adattabili alle condizioni ambientali;

lo schermo è orientabile ed inclinabile liberamente per adeguarsi facilmente alle esigenze dell'utilizzatore;

è possibile utilizzare un sostegno separato per lo schermo o un piano regolabile.; sullo schermo non devono essere presenti riflessi e riverberi che possano causare disturbi

all'utilizzatore durante lo svolgimento della propria attività; lo schermo deve essere posizionato di fronte all’operatore in maniera che, anche agendo

su eventuali meccanismi di regolazione, lo spigolo superiore dello schermo sia posto un pò più in basso dell’orizzontale che passa per gli occhi dell’operatore e ad una distanza degli occhi pari a circa 50-70 cm, per i posti di lavoro in cui va assunta preferenzialmente la posizione seduta.

Il lavoratore addetto potrà: in caso di problemi con le dimensioni dei font del sistema, modificare le impostazioni del

sistema operativo.

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TASTIERA E DISPOSITIVI DI PUNTAMENTO Come prescritto dal D.Lgs. 81/08, la tastiera ed il mouse facenti parte del VDT in dotazione possiedono le seguenti caratteristiche minime (punto 1, lettera c, Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08): la tastiera è separata dallo schermo, è facilmente regolabile ed è dotata di meccanismo di

variazione della pendenza onde consentire al lavoratore di assumere una posizione confortevole e tale da non provocare l'affaticamento delle braccia e delle mani,

lo spazio sul piano di lavoro è tale da consentire un appoggio degli avambracci davanti alla tastiera nel corso della digitazione, tenendo conto delle caratteristiche antropometriche dell’operatore;

la tastiera possiede una superficie opaca onde evitare i riflessi; la disposizione della tastiera e le caratteristiche dei tasti ne agevolano l'uso. I simboli dei

tasti presentano sufficiente contrasto e risultano leggibili dalla normale posizione di lavoro; il mouse in dotazione alla postazione di lavoro viene posto sullo stesso piano della tastiera,

in posizione facilmente raggiungibile e dispone di uno spazio adeguato per il suo uso. Il lavoratore addetto potrà: in caso di problemi o dolori ai polsi, richiedere al datore di lavoro di prevedere l’acquisto di

tastiere speciali e/o mouse ergonomici. PIANO DI LAVORO

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Come previsto dal D.Lgs. 81/08, il piano di lavoro possiede le seguenti caratteristiche minime (punto 1, lettera d, Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08): superficie a basso indice di riflessione, struttura stabile e di dimensioni sufficienti a

permettere una disposizione flessibile dello schermo, della tastiera, dei documenti e del materiale accessorio, come indicato nella figura 4, che riporta le misure standard;

l’altezza del piano di lavoro fissa o regolabile deve essere indicativamente compresa fra 70 e 80 cm. Lo spazio a disposizione deve permettere l’alloggiamento e il movimento degli arti inferiori, nonché l’ingresso del sedile e dei braccioli se presenti;

la profondità del piano di lavoro deve essere tale da assicurare una adeguata distanza visiva dallo schermo;

il supporto per i documenti, ove previsto, deve essere stabile e regolabile e deve essere collocato in modo tale da ridurre al minimo i movimenti della testa e degli occhi.

SEDILE DI LAVORO Come previsto dal D.Lgs. 81/08, il sedile di lavoro possiede le seguenti caratteristiche minime (punto 1, lettera e, Allegato XXXIV, D.Lgs. 81/08):

il sedile di lavoro risulta stabile e permette all'utilizzatore libertà nei movimenti, nonché

l’assunzione di una posizione comoda. Il sedile possiede altezza regolabile in maniera indipendente dallo schienale e dimensioni della seduta adeguate alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore;

lo schienale è adeguato alle caratteristiche antropometriche dell’utilizzatore ed è dotato di regolazione dell’altezza e dell’inclinazione. Nell’ambito di tali regolazioni l’utilizzatore potrà fissare lo schienale nella posizione selezionata;

lo schienale e la seduta possiedono bordi smussati. I materiali, facilmente pulibili, presentano un livello di permeabilità tale da non compromettere il comfort del lavoratore;

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il sedile è dotato di un meccanismo girevole per facilitare i cambi di posizione e può essere spostato agevolmente secondo le necessità dell’utilizzatore;

un poggiapiedi sarà messo a disposizione di coloro che lo desiderino per far assumere una postura adeguata agli arti inferiori. Il poggiapiedi sarà tale da non spostarsi involontariamente durante il suo uso.

Stress psicofisico I lavoratori addetti all’utilizzo di videoterminali a volte accusano disturbi da stress. Ciò deriva, molto spesso , da un incremento del ritmo di lavoro o da pressioni esterne per soddisfare determinate scadenze di lavoro, e non dall’utilizzo in se delle attrezzature munite di videoterminali. Per alcuni lavoratori addetti al VDT si riscontra, al contrario, una riduzione dello stress, in quanto il videoterminale rende il loro lavoro più facile o più interessante. Nel lavoro al videoterminale è possibile riscontrare una certa difficoltà degli operatori a seguire adeguatamente il continuo aggiornamento dei software. L'attività al videoterminale richiede pertanto che essa sia preceduta da un adeguato periodo di formazione all'uso dei programmi e procedure informatiche. Si raccomanda ai lavoratori, al riguardo: di seguire le indicazioni e la formazione ricevuti per l'uso dei programmi e delle procedure

informatiche; di utilizzare parte del tempo per acquisire le necessarie competenze ed abilità; di rispettare la corretta distribuzione delle pause; di utilizzare software per il quale si è avuta l'informazione necessaria, ovvero facile da usare.

In caso di anomalie del software e delle attrezzature l'operatore potrà riferire al RLS per la soluzione del problema. Infine, si ricorda che la conoscenza del contesto in cui si colloca il risultato del lavoro al videoterminale, è un elemento utile per l'attenuazione di uno dei possibili fattori di affaticamento mentale. Affaticamento visivo Si tratta di un sovraccarico dell’apparato visivo. I sintomi sono bruciore, lacrimazione, secchezza oculare, senso di corpo estraneo, fastidio alla luce, dolore oculare e mal di testa, visione annebbiata o sdoppiata, frequente chiusura delle palpebre e stanchezza alla lettura. Sono disturbi che si manifestano in chi è sottoposto a stress visivo e possono causare vere e proprie malattie. Oltre al corretto posizionamento della postazione ed ai requisiti già descritti per l’attrezzatura di lavoro, per ridurre al minimo l’affaticamento visivo degli addetti all’utilizzo del VDT, verranno osservate le seguenti misure di prevenzione:

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non avvicinarsi mai troppo al video per migliorare la visibilità dei caratteri (tenere presenti le corrette distanze già indicate); aumentare piuttosto il corpo dei caratteri od ingrandire la pagina sullo schermo. Soprattutto nel caso si adoperino lenti multifocali (progressive), è utile mantenere i testi cartacei alla medesima altezza rispetto al monitor, utilizzando un leggìo portadocumenti posizionato il più vicino possibile al video e sempre di fronte all’operatore;

per i portatori di occhiali : gli oggetti riflettenti dell’ambiente, ma soprattutto il monitor, originano riflessi sia sulla superficie esterna sia su quella interna degli occhiali. Questi riflessi si sovrappongono sulla retina alle immagini visive e creano degli aloni fastidiosi. È buona norma utilizzare lenti trattate con filtri antiriflesso. Anche talune lenti colorate possono essere utili per ridurre la luce dello sfondo e migliorare il contrasto;

Effettuare le previste pause: il D.Lgs. 81/08, all’art. 175, comma 3, prevede 15 minuti di pausa ogni 120 minuti di applicazione continuativa al VDT, durante la quale è consigliabile sgranchirsi le braccia e la schiena, senza impegnare gli occhi. Gli effetti più benefici si hanno quando, durante le pause, si rivolge lo sguardo su oggetti lontani, meglio se fuori dalla finestra.

Postura non corretta Per prevenire l’insorgenza di disturbi muscolo-scheletrici i lavoratori dovranno: assumere la postura corretta di fronte al video, con piedi ben poggiati al pavimento e schiena

poggiata allo schienale della sedia nel tratto lombare, regolando l'altezza della sedia e l'inclinazione dello schienale. A tale scopo sono disponibili le diverse regolazioni (fig. 1);

posizionare lo schermo del video di fronte in maniera che, anche agendo su eventuali meccanismi di regolazione, lo spigolo superiore dello schermo sia posto un po' più in basso dell'orizzontale che passa per gli occhi dell'operatore e ad una distanza dagli occhi pari a circa 50-70 cm. (fig. 1);

disporre la tastiera davanti allo schermo (fig. 1 e fig. 4) ed il mouse, od eventuali altri dispositivi di uso frequente, sullo stesso piano della tastiera ed in modo che siano facilmente raggiungibili;

eseguire la digitazione e utilizzare il mouse evitando irrigidimenti delle dita e del polso, curando di tenere gli avambracci appoggiati sul piano di lavoro in modo da alleggerire la tensione dei muscoli del collo e delle spalle;

evitare, per quanto possibile, posizioni di lavoro fisse per tempi prolungati. Nel caso ciò fosse inevitabile si raccomanda la pratica di frequenti esercizi di rilassamento (collo, schiena, arti superiori ed inferiori).

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Lavoratrici in stato di gravidanza L’unico problema per le lavoratrici gestanti è legato all’assunzione di variazioni posturali legate alla gravidanza che potrebbero favorire l'insorgenza di disturbi dorso-lombari atti a giustificare la modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro. Studi specialistici hanno infatti dimostrato che il lavoro al VDT non comporta rischi o problemi particolari sia per la lavoratrice. Sia per il nascituro. Pertanto, a seguito della suddetta valutazione, sono state individuate le seguenti misure di prevenzione e protezione da adottare: alle lavoratrici gestanti saranno concesse maggiori pause di riposo (15 minuti ogni 60 minuti di

lavoro al VDT) al fine di consentire cambiamenti posturali atti a prevenire la possibile insorgenza di disturbi dorsolombari;

verranno modificati i ritmi lavorativi, in modo che essi non siano eccessivi e, che non comportino una posizione particolarmente affaticante per la lavoratrice;

se richiesto dal medico competente, si predisporrà una modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro.

Misure di prevenzione e protezione ed istruzioni per gli addetti Le caratteristiche delle apparecchiature ed in particolare dei videoterminali, dei sedili, dei sistemi di illuminazione sono studiati da tempo e ciò ha permesso di definire standard, norme e indicazioni preventive. In questo senso si è indirizzato anche il D.Lgs 81/08, nel quale si precisa che ambienti, posti di lavoro e videoterminali siano sottoposti a verifiche e che siano effettuati controlli periodici di alcune variabili come quelle posturali, quelle microclimatiche, illuminotecniche ed ambientali generali. A tale proposito, l’allegato XXXIV dello stesso D.Lgs. 81/08, fornisce i requisiti minimi delle attrezzature di lavoro, che sono stati rispettati. È inoltre stato previsto un adeguato piano di sorveglianza sanitaria con programmazione di un'accurata visita preventiva eventualmente integrata da una valutazione oftalmologica estesa a tutte le funzioni sollecitate in questo tipo di attività. Di grande importanza sono le indicazioni correttive degli eventuali difetti visivi formulate dallo specialista in oftalmologia. I lavoratori addetti ai videoterminali saranno sottoposti a sorveglianza sanitaria periodica, per valutare l'eventuale comparsa di alterazioni oculo-visive o generali riferibili al lavoro con videoterminali. Di fondamentale importanza, infine, la prevista informazione e formazione dei lavoratori addetti, nonché il previsto controllo periodico degli operatori, al fine di individuare difetti di postura o modalità operative e comportamentali difformi dai contenuti del presente documento.

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7. DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (D.P.I.)

Come indicato all’art. 74 del D.Lgs. 81/08, si intende per Dispositivo di Protezione Individuale, di seguito denominato DPI, qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. Come indicato nelle diverse attività lavorative oggetto del presente documento di valutazione dei rischi, e come previsto dall’art. 75 del D.Lgs. 81/08, è stato disposto l’impiego obbligatorio dei DPI quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro. I DPI saranno conformi alle norme di cui al D.Lgs. 4 dicembre 1992 n. 475, e sue successive modificazioni e saranno: adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore; adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro.

Essi, inoltre: terranno conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore; potranno essere adattati all'utilizzatore secondo le sue necessità.

In caso di rischi multipli che richiedono l'uso simultaneo di più DPI, come indicati nelle schede di sicurezza riportate nel seguito, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell'uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti. Ai fini della scelta dei DPI, il datore di lavoro: ha effettuato l'analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi; ha individuato le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi

stessi, tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI; ha valutato, sulla base delle informazioni e delle norme d'uso fornite dal fabbricante a corredo

dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le ha raffrontate con le caratteristiche individuate nella scelta degli stessi;

provvederà ad aggiornare la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione.

Anche sulla base delle norme d'uso fornite dal fabbricante, sono state individuate, come indicato nell’art. 77, comma 2 del D.Lgs. 81/08, le condizioni in cui i DPI devono essere usati, specie per quanto riguarda la durata dell'uso, in funzione di:

a) entità del rischio; b) frequenza dell'esposizione al rischio; c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore; d) prestazioni del DPI.

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Sarà cura del Datore di lavoro: mantenere in efficienza i DPI e assicurarne le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione,

le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante;

provvedere a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante;

fornire istruzioni dettagliate, ma comprensibili per i lavoratori; destinare ogni DPI ad un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l’uso di uno

stesso DPI da parte di più persone, prendere misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;

informare preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge; rendere disponibile nell’azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI; stabilire le procedure aziendali da seguire, al termine dell’utilizzo, per la riconsegna e il

deposito dei DPI; assicurare una formazione adeguata e organizzare uno specifico addestramento circa l’uso

corretto e l’utilizzo pratico dei DPI. Particolare addestramento verrà effettuato in caso di utilizzo dei DPI di protezione dell’udito e dei seguenti DPI rientranti in terza categoria: gli apparecchi di protezione respiratoria filtranti contro gli aerosol solidi, liquidi o contro i gas

irritanti, pericolosi, tossici o radiotossici; gli apparecchi di protezione isolanti, ivi compresi quelli destinati all'immersione subacquea; i DPI che assicurano una protezione limitata nel tempo contro le aggressioni chimiche e contro

le radiazioni ionizzanti; i DPI per attività in ambienti con condizioni equivalenti ad una temperatura d'aria non inferiore

a 100 °C, con o senza radiazioni infrarosse, fiamme o materiali in fusione; i DPI per attività in ambienti con condizioni equivalenti ad una temperatura d'aria non

superiore a -50 °C; i DPI destinati a salvaguardare dalle cadute dall'alto; i DPI destinati a salvaguardare dai rischi connessi ad attività che espongano a tensioni

elettriche pericolose o utilizzati come isolanti per alte tensioni elettriche.

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8. SEGNALETICA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO

L’articolo 15 del D. Lgs. 81/08 prevede l’obbligo, a carico del datore di lavoro, di utilizzare segnali di avvertimento e di sicurezza per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. La segnaletica di sicurezza è regolamentata da D.Lgs. n. 81/08 al Titolo V, articoli da 161 a 164, nonché negli allegati XXIV, XXVIII e XXXII del medesimo provvedimento legislativo, che definisce le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza, includendo in essa anche le segnalazioni verbali e gestuali, per tutte le attività lavorative sia pubbliche o private alle quali siano addetti i lavoratori dando attuazione alla Direttiva CEE n. 92/58 del 24/07/1992. Definizioni a) segnaletica di sicurezza e di salute sul luogo di lavoro: una segnaletica che, riferita ad un

oggetto, ad una attività o ad una situazione determinata, fornisce una indicazione o una prescrizione concernente la sicurezza o la salute sul luogo di lavoro, e che utilizza, a seconda dei casi, un cartello, un colore, un segnale luminoso o acustico, una comunicazione verbale o un segnale gestuale;

b) segnale di divieto: un segnale che vieta un comportamento che potrebbe far correre o causare un pericolo;

c) segnale di avvertimento: un segnale che avverte di un rischio o pericolo; d) segnale di prescrizione: un segnale che prescrive un determinato comportamento; e) segnale di salvataggio o di soccorso: un segnale che fornisce indicazioni relative alle uscite di

sicurezza o ai mezzi di soccorso o di salvataggio; f) segnale di informazione: un segnale che fornisce indicazioni diverse da quelle specificate alle

lettere da b) ad e); g) cartello: un segnale che, mediante combinazione di una forma geometrica, di colori e di un

simbolo o pittogramma, fornisce una indicazione determinata, la cui visibilità è garantita da una illuminazione di intensità sufficiente;

h) cartello supplementare: un cartello impiegato assieme ad un cartello del tipo indicato alla lettera g) e che fornisce indicazioni complementari;

i) colore di sicurezza: un colore al quale è assegnato un significato determinato; j) simbolo o pittogramma: un'immagine che rappresenta una situazione o che prescrive un

determinato comportamento, impiegata su un cartello o su una superficie luminosa; k) segnale luminoso: un segnale emesso da un dispositivo costituito da materiale trasparente o

semitrasparente, che è illuminato dall'interno o dal retro in modo da apparire esso stesso come una superficie luminosa;

l) segnale acustico: un segnale sonoro in codice emesso e diffuso da un apposito dispositivo, senza impiego di voce umana o di sintesi vocale;

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Codice Segnali di Divieto Informazione

SD01

Vietato usare fiamme libere

SD06

Divieto di spegnere con acqua

SD07

Divieto di accesso alle persone non autorizzate

SD08

Vietato fumare

SD11

Non toccare

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Codice Segnali di Avvertimento Informazione

SA05 Pericolo generico (con eventuale cartello supplementare)

SA06 Sostanze velenose

SA07 Materiale infiammabile o alta temperatura

SA08 Tensione elettrica pericolosa

SA21 Sostanze nocive irritanti

Codice Segnali di Prescrizione Informazione

SP06

Obbligo generico (con eventuale cartello supplementare)

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Codice Segnali Antincendio Informazione

ANT01

Lancia Antincendio

ANT02

Scala

ANT03

Estintore

ANT04

Telefono per gli interventi antincendio

ANT05

Direzione da seguire (cartelli da aggiungere a quelli che precedono)

ANT06

Direzione da seguire (cartelli da aggiungere a quelli che precedono)

ANT07

Direzione da seguire (cartelli da aggiungere a quelli che precedono)

ANT08

Direzione da seguire (cartelli da aggiungere a quelli che precedono)

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Codice Segnali di Salvataggio Informazione

SS01

Direzione da seguire (segnali di informazione addizionali ai pannelli che seguono)

SS02

Direzione da seguire (segnali di informazione addizionali ai pannelli che seguono)

SS03

Direzione da seguire (segnali di informazione addizionali ai pannelli che seguono)

SS04

Direzione da seguire (segnali di informazione addizionali ai pannelli che seguono)

SS05

Pronto Soccorso

SS06

Lavaggio degli occhi

SS07

Barella

SS08

Telefono per salvataggio e pronto soccorso

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Informazione e formazione Il datore di lavoro provvede affinché: il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed i lavoratori siano informati di tutte le misure

da adottare riguardo alla segnaletica di sicurezza impiegata all'interno dell'impresa ovvero dell'unità produttiva;

i lavoratori ricevano una formazione adeguata, in particolare sotto forma di istruzioni precise, che deve avere per oggetto specialmente il significato della segnaletica di sicurezza, soprattutto quando questa implica l'uso di gesti o di parole, nonché i comportamenti generali e specifici da seguire.

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9. PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO

I fattori di rischio presenti nei luoghi di lavoro, in conseguenza dello svolgimento delle attività lavorative, possono essere suddivisi in tre categorie:

1. rischi per la sicurezza, di natura infortunistica; 2. rischi per la salute, di natura igienico-ambientale; 3. rischi trasversali, di natura psicologico ed organizzativo del lavoro.

Rischi per la sicurezza I rischi per la sicurezza, o rischi infortunistici si riferiscono al possibile verificarsi di incidenti/infortuni, ovvero di danni o menomazioni fisiche (più o meno gravi) subite dai lavoratori in conseguenza di un impatto fisico/traumatico di diversa natura (meccanica, elettrica, chimica, termica, ecc.). Di seguito sono riportati alcuni esempi di tali rischi: rischi da carenze strutturali dell’ambiente di lavoro (illuminazione normale e di emergenza,

pavimenti, uscite, porte, locali sotterranei, ecc.); rischi da carenza di sicurezza su macchine e apparecchiature (protezione degli organi di

avviamento, di trasmissione, di comando, protezione nell’uso di ascensori e montacarichi, uso di apparecchi a pressione, protezione nell’accesso a vasche, serbatoi e simili);

rischi da manipolazione di agenti chimici pericolosi (infiammabili; corrosivi, comburenti, esplosivi, ecc.);

rischi da carenza di sicurezza elettrica; rischi da incendio e/o esplosione (presenza di materiali infiammabili, carenza di sistemi

antincendio e/o di segnaletica di sicurezza). Rischi per la salute I rischi per la salute, o rischi igienico-ambientali, sono responsabili del potenziale danno dell’equilibrio biologico e fisico del personale addetto ad operazioni o a lavorazioni che comportano l’esposizione a rischi di natura chimica, fisica e biologica. Di seguito sono riportati alcuni esempi di tali rischi: rischi di esposizione connessi con l’impiego di sostanze/preparati chimici pericolosi (per

ingestione, contatto cutaneo inalazione di polveri, fumi, nebbie, gas e vapori); rischi da agenti fisici:

rumore (presenza di apparecchiatura rumorosa durante il ciclo operativo) con propagazione dell’energia sonora nel luogo di lavoro;

vibrazioni (presenza di apparecchiatura e strumenti vibranti) con propagazione delle vibrazioni a trasmissione diretta o indiretta;

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ultrasuoni; radiazioni ionizzanti; radiazioni non ionizzanti (presenza di apparecchiature che impiegano radiofrequenze,

microonde, radiazioni infrarosse e ultraviolette, luce laser); microclima (temperatura, umidità, ventilazione, calore radiante, condizionamento); illuminazione (carenze nei livelli di illuminamento ambientale e dei posti di lavoro, non

osservanza delle indicazioni tecniche previste in presenza di videoterminali); rischi di esposizione connessi all’impiego e manipolazione di organismi e microrganismi

patogeni e non, colture cellulari, endoparassiti umani. Rischi trasversali Tali rischi, sono individuabili all’interno della complessa articolazione che caratterizza il rapporto tra il dipendente e l’organizzazione del lavoro con interazioni di tipo ergonomico, ma anche psicologico ed organizzativo. Di seguito sono riportati alcuni esempi di tali rischi: organizzazione del lavoro (sistemi di turni, lavoro notturno ecc.); fattori psicologici (intensità, monotonia, solitudine, ripetitività del lavoro, ecc.); fattori ergonomici (ergonomia dei dispositivi di protezione individuale e del posto di lavoro).

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9.1 Movimentazione manuale dei carichi Il D.Lgs. 81/08 al Titolo VI (art. 167, 168, 169) e all’Allegato XXXIII disciplina la tutela dei lavoratori nello svolgimento di attività che comportano l’uso della forza manuale per spostare dei carichi. Le norme del decreto si applicano “alle attività che comportano la movimentazione manuale dei carichi con i rischi, tra l’altro, di lesioni dorso-lombari per i lavoratori durante il lavoro”. Per Movimentazione Manuale dei Carichi (M.M.C.) s’intendono azioni od operazioni comprendenti, non solo quelle più tipiche di sollevamento, ma anche quelle, rilevanti, di spinta, traino e trasporto di carichi. Gli effetti dannosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti ad un’impropria movimentazione manuale dei carichi sono: traumi e malattie muscolo scheletriche in particolare del rachide lombare; schiacciamenti degli arti, mani e piedi, infortuni in genere; affezioni cardiache, vascolari e nervose.

Oltre al peso del carico, per valutare l'insorgere di un rischio per la salute dei lavoratori è necessario prendere in considerazione anche i seguenti elementi: le dimensioni, la forma e le caratteristiche del carico; l'altezza di sollevamento, la distanza da percorrere, la possibilità o meno di ripartire il carico; le caratteristiche dell'ambiente di lavoro (quanto spazio si ha a disposizione, dove spostare i

carichi, il percorso da fare); il tipo di mansione svolta dal lavoratore (se è temporanea, oppure ripetitiva con pause più o

meno previste, oppure se è un lavoro normale e continuo). Al fine di eliminare i rischi connessi alla Movimentazione Manuale dei Carichi, il datore di lavoro dovrà in primo luogo adottare le misure necessarie ad evitarla. Nel caso in cui ciò non sia possibile, egli dovrà adottare le misure necessarie per ridurre il più possibile i rischi, procedendo nel modo seguente: valutare le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione, tenendo

particolarmente conto delle caratteristiche del carico (peso, forma, dimensioni) e fornendo ai lavoratori informazioni al riguardo;

fornire ai lavoratori adeguata formazione (relativa alle corrette modalità di Movimentazione Manuale), mezzi ausiliari appropriati e dispositivi di protezione individuali (DPI) adeguati;

sottoporre i lavoratori a sorveglianza sanitaria. Per i lavoratori addetti alla movimentazione manuale dei carichi, sono state valutate attentamente le condizioni di movimentazione e, con la metodologia del NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health), sono stati calcolati sia i pesi limite raccomandati, sia gli indici di sollevamento. In funzione dei valori di questi ultimi sono state determinare le misure di tutela.

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Livelli di rischio e relative misure di prevenzione

Livelli di rischio (IS = Indice Sintetico di rischio)

Misure di prevenzione

IS > 1,25 Controlli sanitari semestrali. Informazione e formazione dei lavoratori esposti al rischio.

0,75 < IS < 1,25 E’ consigliata l’informazione e la formazione dei lavoratori esposti al rischio. Controlli sanitari ogni 2 anni.

IS < 0,75 Nessuna misura specifica.

Quando l’indice sintetico di rischio è compreso tra 0,75 e 1, la situazione si avvicina ai limiti, una quota della popolazione (stimabile tra l’1% e il 10% di ciascun sottogruppo di sesso ed età) può essere non protetta e pertanto occorrono cautele anche se non è necessario uno specifico intervento. Laddove è possibile, si dovrà ridurre ulteriormente il rischio con interventi strutturali. Il rischio è tanto più elevato quanto maggiore è l’indice. Vi è necessità di un intervento immediato per situazioni con indice maggiore di 3, in quanto la situazione può comportare un rischio notevole per quote crescenti di popolazione. Misure tecniche organizzative In determinati ambiti lavorativi, non è possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi, quindi occorre adottare sistemi ed accorgimenti nel corso delle operazioni di trasporto e di sollevamento. Dovendo sollevare un carico, maggiore è l’inclinazione del tronco e maggiore risulta il carico dei muscoli dorsali e dei dischi intervertebrali, per cui anche pesi leggeri possono risultare pericolosi se sollevati con il tronco inclinato in avanti. In generale, si dovranno tenere in considerazione le seguenti indicazioni: essere in posizione stabile; afferrare il carico con sicurezza e possibilmente sempre con entrambe le mani; tenere il carico il più vicino possibile al corpo; non depositare o prelevare materiali al di sopra dell’altezza delle spalle o direttamente sul

pavimento; evitare la torsione del busto girando tutto il corpo e muovendo i piedi;

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tenere la schiena ben eretta e distesa, mai piegare la schiena; in caso di sollevamento di oggetti posti in basso è necessario piegare le ginocchia;

sia in piedi che seduti la schiena non deve mai essere curva; il piano di lavoro deve essere ad un altezza tale da poter tenere i gomiti ad angolo retto; per lavorare seduti il tavolo deve lasciare sufficiente spazio alle gambe, i piedi devono essere

appoggiati sul pavimento o su di un poggiapiedi; è sempre bene cambiare con una certa frequenza la posizione del corpo.

Sarà necessario gestire l’organizzazione del lavoro ad esempio, prima di iniziare a spostare un oggetto è indispensabile valutare: il percorso da compiere (la lunghezza del tragitto, la presenza di spazi ristretti, di scale, di

pavimenti sconnessi o scivolosi, la temperatura ambiente ecc.); la necessità di altri operatori (meglio trasportare il carico in due) o di ausili meccanici; le caratteristiche del contenitore (forma, dimensioni, baricentro, afferrabilità e stabilità) e del

contenuto (sostanze infiammabili, corrosive ecc.); evitare che i periodi in cui si sollevano i carichi siano concentrati nella giornata, alternarli con

altri lavori meno gravosi; evitare di spostare oggetti troppo ingombranti tali da impedire la visibilità; suddividere i carichi eccessivi in più carichi di peso minore. Se non si può dividere il carico è

bene utilizzare un mezzo di trasporto. La regola di suddividere il carico vale anche in caso di pesi leggeri e di percorso lungo, infatti, se il tragitto da percorrere è lungo anche il trasporto di un peso leggero può diventare faticoso.

Anche le modalità di immagazzinamento sono importanti: le scaffalature e gli armadi devono essere solidamente ancorati per evitarne il ribaltamento; i ripiani non devono essere caricati oltre misura; è vietato arrampicarsi sugli scaffali o armadi per prelevare o deporre materiali, è obbligatorio

servirsi di scale a norma; non lanciare gli oggetti da riporre in alto; il materiale deve essere disposto in modo da non presentare sporgenze pericolose e da non

intralciare il passaggio e le uscite; evitare lo stoccaggio di materiali pesanti al di sopra dell’altezza delle spalle o sul pavimento;

mettere i materiali più pesanti a 60-80 cm da terra; evitare di formare cataste o pile soprattutto su scaffali alti.

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9.2 Rumore Il D.Lgs. 81/08 al Titolo VIII, Capo II disciplina la tutela dei lavoratori esposti al rumore durante il lavoro. S’intende per rumore un suono che provoca una sensazione sgradevole, fastidiosa o intollerabile. Il suono è un’oscillazione di pressione che si propaga in un mezzo elastico sia esso gassoso, liquido o solido. Un suono che si trasmette in aria non provoca un suo spostamento, ma la vibrazione d’ogni sua molecola intorno ad una posizione di equilibrio. Si determinano, così, piccole variazioni di pressione rispetto alla pressione media, che si propagano come onde e giungono all’orecchio producendo la sensazione sonora. Gli effetti nocivi del rumore sull’uomo si dividono in: uditivi diretti sull’organo dell’udito; extra uditivi che possono interessare vari organi ed apparati.

Gli effetti uditivi, per esposizione protratta al rumore, possono sintetizzarsi in modificazioni irreversibili (sordità da rumore) e in modificazioni reversibili per trauma acustico acuto. Un’esposizione ad un rumore estremamente intenso può anche lacerare il timpano, producendo una perdita uditiva molto accentuata, mentre un rumore meno elevato, ma intenso, determinerà una lesione alle strutture dell’orecchio interno che non riusciranno più a trasmettere in modo completo gli impulsi al cervello. Gli effetti extrauditivi, possibili anche per esposizioni inferiori a quelli considerate dannose per l’udito, si manifestano anche sulla base di una maggiore o minore sensibilità individuale, possono colpire il sistema nervoso, l’apparato gastrointestinale, l’apparato respiratorio e l’apparato cardio-circolatorio, con aumento della frequenza cardiaca, costrizione dei vasi periferici, aumento della pressione arteriosa. Inoltre, si potranno avere disturbi sul carattere, eccitazione, depressione, nevrosi, disturbi sessuali. Come conseguenza, quindi, si determinano disturbi nella vita di relazione con conseguenze negative sull’attività lavorativa e con notevole incremento del rischio di infortunio. L’art. 189 del D.Lgs. 81/08 definisce i seguenti valori limite di esposizione ed i valori di azione, in relazione al livello di esposizione giornaliera al rumore e alla pressione acustica di picco: valori limite di esposizione, rispettivamente LEX = 87 dB(A) e ppeak = 200 Pa (140 dB(C)

riferito a 20 μPa); valori superiori di azione, rispettivamente LEX = 85 dB(A) e ppeak = 140 Pa (137 dB(C)

riferito a 20 μPa); valori inferiori di azione, rispettivamente LEX = 80 dB(A) e ppeak = 112 Pa (135 dB(C)

riferito a 20 μPa).

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Ai sensi dell’art. 190 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rumore, durante le effettive attività lavorative, considerando in particolare: il livello, il tipo e la durata dell’esposizione, ivi inclusa ogni esposizione a rumore impulsivo; i valori limite di esposizione ed i valori di azione di cui all’art. 189; tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore; gli effetti sulla salute e sicurezza dei lavoratori derivanti dalle interazioni tra rumore e sostanze

ototossiche connesse all’attività svolta e fra rumore e vibrazioni, seguendo attentamente l’orientamento della letteratura scientifica e sanitaria ed i suggerimenti del medico competente;

le informazioni sull’emissione di rumore fornite dai costruttori delle attrezzature impiegate, in conformità alle vigenti disposizioni in materia;

l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre l'emissione di rumore; il prolungamento del periodo di esposizione al rumore oltre l'orario di lavoro normale; le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle

reperibili nella letteratura scientifica; la disponibilità di dispositivi di protezione dell'udito con adeguate caratteristiche di

attenuazione. La valutazione e le misurazioni sono programmate ed eseguite con cadenza almeno quadriennale (da ripetersi in occasione di notevoli mutamenti che potrebbero renderla superata o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne mostrino la necessità) da personale adeguatamente qualificato nell'ambito del servizio di prevenzione e protezione.

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Classi di rischio e relative misure di prevenzione

Livelli di esposizione (Classi di Rischio)

Misure di prevenzione

RISCHIO 0

LEX,8h ≤ 80 dB(A) Ppeak ≤ 135 dB(C)

Nessuna azione specifica. Nel caso in cui il Livello di esposizione sia pari a 80 dB(A) verrà effettuata la Formazione ed informazione in relazione ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore.

RISCHIO 1

80 dB(A) < LEX,8h ≤ 85 dB(A) 135 dB(C) < Ppeak ≤ 137 dB(C)

INFORMAZIONE E FORMAZIONE: formazione ed informazione in relazione ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore. DPI: messa a disposizione dei lavoratori dei dispositivi di protezione individuale dell’udito (art. 193 D.Lgs. 81/08, comma 1, lettera a). VISITE MEDICHE: solo su richiesta del lavoratore o qualora il medico competente ne confermi l’opportunità.

RISCHIO 2

85 dB(A) < LEX,8h ≤ 87 dB(A) 137 dB(C) < Ppeak ≤ 140 dB(C)

INFORMAZIONE E FORMAZIONE: formazione ed informazione in relazione ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore; adeguata informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da ridurre al minimo la loro esposizione al rumore. DPI: scelta di DPI dell'udito che consentano di eliminare il rischio per l'udito o di ridurlo al minimo, previa consultazione dei lavoratori o dei loro rappresentanti (Art. 193, comma 1, lettera c, del D.Lgs. 81/08). Il Datore di Lavoro esige che vengano indossati i DPI dell’udito (art. 193 D.Lgs. 81/08, comma 1, lettera b). VISITE MEDICHE: obbligatorie. MISURE TECNICHE ORGANIZZATIVE: vedere paragrafo successivo.

RISCHIO 3

LEX,8h > 87 dB(A) Ppeak > 140 dB(C)

INFORMAZIONE E FORMAZIONE: formazione ed informazione in relazione ai rischi provenienti dall’esposizione al rumore; adeguata informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da ridurre al minimo la loro esposizione al rumore. DPI: imposizione dell’obbligo di indossare DPI dell’udito in grado di abbassare l’esposizione al di sotto del valore limite, salvo richiesta e concessione di deroga da parte dell’organo di vigilanza competente (art. 197, comma 1, D.Lgs. 81/08). Verifica dell’efficacia dei DPI e che gli stessi mantengano un livello di rischio uguale od inferiore ai livelli inferiori di azione. VISITE MEDICHE: obbligatorie. MISURE TECNICHE ORGANIZZATIVE: vedere paragrafo successivo.

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Misure tecniche organizzative Per le Classi di Rischio 2 e 3, verranno applicate le seguenti misure tecniche ed organizzative volte a ridurre l'esposizione al rumore: adozione di altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione al rumore; scelta di attrezzature di lavoro adeguate, tenuto conto del lavoro da svolgere, che emettano il

minor rumore possibile, inclusa l'eventualità di rendere disponibili ai lavoratori attrezzature di lavoro conformi ai requisiti di cui al titolo III, il cui obiettivo è di limitare l'esposizione al rumore;

progettazione della struttura dei luoghi e dei posti di lavoro; adeguata informazione e formazione sull'uso corretto delle attrezzature di lavoro in modo da

ridurre al minimo la loro esposizione al rumore adozione di misure tecniche per il contenimento del rumore trasmesso per via aerea, quali

schermature, involucri o rivestimenti realizzati con materiali fonoassorbenti; adozione di misure tecniche per il contenimento del rumore strutturale, quali sistemi di

smorzamento o di isolamento; opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, del luogo di lavoro e dei

sistemi sul posto di lavoro; riduzione del rumore mediante una migliore organizzazione del lavoro attraverso la limitazione

della durata e dell'intensità dell'esposizione e l'adozione di orari di lavoro appropriati, con sufficienti periodi di riposo.

Nel caso in cui, data la natura dell'attività, il lavoratore benefici dell'utilizzo di locali di riposo messi a disposizione dal datore di lavoro, il rumore in questi locali sarà ridotto a un livello compatibile con il loro scopo e le loro condizioni di utilizzo

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9.3 Vibrazioni meccaniche Il D.Lgs. 81/08 al Titolo VIII, Capo III disciplina la tutela dei lavoratori esposti a vibrazioni meccaniche durante il lavoro. Le vibrazioni sono oscillazioni meccaniche generate da onde di pressione che si trasmettono attraverso corpi solidi. In funzione degli effetti fisiopatologici sull'uomo, le vibrazioni vengono suddivise in base a tre principali bande di frequenza: oscillazioni a bassa frequenza, generate dai mezzi di trasporto (terrestri, aerei, marittimi),

comprese fra 0 e 2 Hz; oscillazioni a media frequenza, generate da macchine ed impianti industriali, comprese fra i 2

e i 20 Hz; oscillazioni ad alta frequenza, oltre i 20/30 Hz, generate da una vasta gamma di strumenti

vibranti. Oltre che dalla frequenza, le vibrazioni sono caratterizzate da altri parametri, in stretta relazione fra loro: l'ampiezza dello spostamento (espressa in metri); la velocità (espressa in m/sec); l'accelerazione (espressa in m/sec2).

Le parti del corpo più frequentemente esposte a vibrazioni sono le mani, quando si manovrano utensili o si opera su macchinari che vibrano ed il corpo intero, quando il soggetto è alla guida di un automezzo o si trovi in postura eretta su una superficie in movimento o su una piattaforma vibrante. Come definito dall’art. 200 del D.Lgs. 81/08, l’esposizione umana a vibrazioni si divide in: Vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio, indicate con acronimo inglese HAV (Hand

Arm Vibration). Si riscontrano in lavorazioni in cui s’impugnano utensili vibranti o materiali sottoposti a vibrazioni o impatti. Le vibrazioni meccaniche trasmesse al sistema mano-braccio nell'uomo comportano un rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare disturbi vascolari, osteoarticolari, neurologici o muscolari.

Vibrazioni trasmesse al corpo intero, indicate con acronimo inglese WBV (Whole Body

Vibration). Si riscontrano in lavorazioni a bordo di mezzi di movimentazione usati nell’industria ed in agricoltura, mezzi di trasporto ed in generale macchinari industriali vibranti che trasmettono vibrazioni al corpo intero; questo tipo di vibrazioni comportano rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, in particolare lombalgie e traumi del rachide

Le sollecitazioni vibratorie possono avvenire sia in senso verticale che orizzontale, in modo lineare o rotatorio, continuo o discontinuo, comunque, la componente verticale delle vibrazioni è nell'attività lavorativa, quella d’ampiezza maggiore rispetto agli altri assi.

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Oltre all’effetto vibratorio, sarà da considerare l'effetto degli scuotimenti amplificato dal fenomeno della risonanza, dalle posture viziate, dalla contrazione muscolare eccessiva. L’art. 201 del D.Lgs. 81/08 definisce i seguenti valori limite di esposizione e valori di azione:

1. per le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio:

il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 5 m/s2, mentre su periodi brevi è pari a 20 m/s2;

il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, che fa scattare l'azione, è fissato a 2,5 m/s2;

2. per le vibrazioni trasmesse al corpo intero:

il valore limite di esposizione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 1,0 m/s2, mentre su periodi brevi è pari a 1,5 m/s2;

il valore d'azione giornaliero, normalizzato a un periodo di riferimento di 8 ore, è fissato a 0,5 m/s2.

Ai sensi dell’art. 202 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione alle vibrazioni considerando in particolare: il livello, il tipo e la durata dell’esposizione, ivi inclusa l’esposizione a vibrazioni intermittenti o

ad urti ripetuti; i valori limite di esposizione ed i valori di azione; gli eventuali effetti sulla sicurezza e sulla salute di lavoratori particolarmente sensibili al

rischio; gli eventuali effetti indiretti sulla sicurezza dei lavoratori risultanti da interazioni tra le vibrazioni

meccaniche e l’ambiente di lavoro o altre attrezzature; le informazioni fornite dal costruttore; l’esistenza di attrezzature alternative progettate per ridurre il rischio; il prolungamento del periodo di esposizione; le condizioni di lavoro particolari, come le basse temperature, il bagnato, l’elevata umidità o il

sovraccarico biomeccanico degli arti superiori e del rachide; le informazioni raccolte dalla sorveglianza sanitaria, comprese, per quanto possibile, quelle

reperibili nella letteratura scientifica.

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Livelli di rischio e relative misure di prevenzione PER IL SISTEMA MANO-BRACCIO:

Livelli di rischio Misure di prevenzione

A(8) > 5 Sostituzione immediata dell’attrezzo/apparecchiatura.

2,5 < A(8) < 5 Informazione/Formazione dei lavoratori esposti al rischio. Controlli sanitari periodici. Misure per abbattere il rischio.

A(8) ≤ 2,5 Nessuna misura specifica. E’ consigliata, comunque, l’informazione/formazione dei lavoratori esposti al rischio.

PER IL SISTEMA CORPO INTERO:

Livelli di rischio Misure di prevenzione

A(8) > 1 Sostituzione immediata della macchina/apparecchiatura.

0,5 < A(8) < 1 Informazione/Formazione dei lavoratori esposti al rischio. Controlli sanitari periodici. Misure per abbattere il rischio.

A(8) ≤ 0,5 Nessuna misura specifica. E’ consigliata, comunque, l’informazione/formazione dei lavoratori esposti al rischio.

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Misure tecniche organizzative Al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo, saranno applicate le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo: ricorso a metodi di lavoro che richiedono una minore esposizione a vibrazioni meccaniche; scelta di attrezzature di lavoro che siano progettate nel rispetto dei principi ergonomici e della

minimizzazione del livello di vibrazioni trasmesse; scelta di attrezzature o sistemi accessori per ridurre i rischi da vibrazioni (sedili che attenuano

efficacemente le vibrazioni trasmesse al corpo intero, maniglie o guanti per le vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio);

interventi di manutenzione specifica sulle attrezzature di lavoro; interventi di miglioramento dei luoghi e dei sistemi di lavoro; progettazione ed organizzazione dei luoghi e dei posti di lavoro; informazione e formazione dei lavoratori sull'uso corretto e sicuro delle attrezzature di lavoro,

in modo da ridurre al minimo la loro esposizione a vibrazioni meccaniche; limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione anche mediante l'organizzazione di

orari di lavoro appropriati e la fornitura di dispositivi di protezione individuale. Se, nonostante i provvedimenti adottati, il valore limite di esposizione verrà superato, si prenderanno misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto di tale valore, individuandone le cause e adattando di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento.

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9.4 Campi elettromagnetici Il Titolo VIII, Capo IV del D.Lgs. 81/08 determina i requisiti minimi per la tutela dei lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici durante il lavoro. Le disposizioni in esso contenute, sono relative alla prevenzione e protezione dai rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti agli effetti nocivi a breve termine conosciuti nel corpo umano derivanti dalla circolazione di correnti indotte, dall'assorbimento di energia, nonché da correnti di contatto. Non si applicano invece alla protezione da eventuali effetti a lungo termine e non riguarda i rischi derivanti dal contatto con i conduttori in tensione. Si prevede l'obbligo per il datore di lavoro di effettuare, nell'ambito della valutazione dei rischi di cui all'art. 28 del D.Lgs. n. 81/2008, una valutazione specifica - se del caso - con una misurazione o calcolo del livello di esposizione dei lavoratori ai campi elettromagnetici. L'Allegato XXXVI riporta i valori limite di esposizione ed i valori di azione per i campi elettromagnetici. Ai sensi dell’art. 209 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione ai campi elettromagnetici considerando in particolare: il livello, lo spettro di frequenza, la durata e il tipo dell'esposizione; i valori limite di esposizione e i valori di azione di cui all'articolo 208; tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rischio; qualsiasi effetto indiretto quale:

interferenza con attrezzature e dispositivi medici elettronici (compresi stimolatori cardiaci e altri dispositivi impiantati);

rischio propulsivo di oggetti ferromagnetici in campi magnetici statici con induzione magnetica superiore a 3 mT;

innesco di dispositivi elettro-esplosivi (detonatori); incendi ed esplosioni dovuti all'accensione di materiali infiammabili provocata da scintille

prodotte da campi indotti, correnti di contatto o scariche elettriche; l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione ai

campi elettromagnetici; la disponibilità di azioni di risanamento volte a minimizzare i livelli di esposizione ai campi

elettromagnetici; per quanto possibile, informazioni adeguate raccolte nel corso della sorveglianza sanitaria,

comprese le informazioni reperibili in pubblicazioni scientifiche; sorgenti multiple di esposizione; esposizione simultanea a campi di frequenze diverse.

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Misure tecniche organizzative Se dalla valutazione dei rischi risulta il superamento dei valori limite, saranno applicate le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo, al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo: scelta di altri metodi di lavoro che implicano una minore esposizione ai campi elettromagnetici; scelta di attrezzature che emettano campi elettromagnetici di intensità inferiore, tenuto conto

del lavoro da svolgere; misure tecniche per ridurre l'emissione dei campi elettromagnetici, incluso se necessario l'uso

di dispositivi di sicurezza, schermature o di analoghi meccanismi di protezione della salute; appropriati programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle

postazioni di lavoro; struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro; limitazione della durata e dell'intensità dell'esposizione; disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale.

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9.5 Radiazioni ottiche artificiali Il Titolo VIII, Capo V del D.Lgs. 81/08 determina i requisiti minimi per la tutela dei lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione a radiazioni ottiche artificiali durante il lavoro. Nell'ambito della valutazione dei rischi di cui all'articolo 181, il datore di lavoro valuta e, quando necessario, misura e/o calcola i livelli delle radiazioni ottiche a cui possono essere esposti i lavoratori. La metodologia seguita nella valutazione, nella misurazione e/o nel calcolo rispetta le norme della Commissione elettrotecnica internazionale (IEC), per quanto riguarda le radiazioni laser, le raccomandazioni della Commissione internazionale per l'illuminazione (CIE) e del Comitato europeo di normazione (CEN) per quanto riguarda le radiazioni incoerenti. L'Allegato XXXVII riporta i Valori limite di esposizione per le radiazioni. Ai sensi dell’art. 216 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione a radiazioni ottiche artificiali considerando in particolare: il livello, la gamma di lunghezze d'onda e la durata dell'esposizione a sorgenti artificiali di

radiazioni ottiche; i valori limite di esposizione di cui all'articolo 215; qualsiasi effetto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori appartenenti a gruppi

particolarmente sensibili al rischio; qualsiasi eventuale effetto sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori risultante dalle

interazioni sul posto di lavoro tra le radiazioni ottiche e le sostanze chimiche foto-sensibilizzanti;

qualsiasi effetto indiretto come l'accecamento temporaneo, le esplosioni o il fuoco; l'esistenza di attrezzature di lavoro alternative progettate per ridurre i livelli di esposizione alle

radiazioni ottiche artificiali; la disponibilità di azioni di risanamento volte a minimizzare i livelli di esposizione alle radiazioni

ottiche; per quanto possibile, informazioni adeguate raccolte nel corso della sorveglianza sanitaria,

comprese le informazioni pubblicate; sorgenti multiple di esposizione alle radiazioni ottiche artificiali; una classificazione dei laser stabilita conformemente alla pertinente norma IEC e, in relazione

a tutte le sorgenti artificiali che possono arrecare danni simili a quelli di un laser della classe 3B o 4, tutte le classificazioni analoghe;

le informazioni fornite dai fabbricanti delle sorgenti di radiazioni ottiche e delle relative attrezzature di lavoro in conformità delle pertinenti direttive comunitarie.

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Misure tecniche organizzative Se dalla valutazione dei rischi risulta il superamento dei valori limite, saranno applicate le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo, al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo: scelta di altri metodi di lavoro che comportano una minore esposizione alle radiazioni ottiche; scelta di attrezzature che emettano meno radiazioni ottiche, tenuto conto del lavoro da

svolgere; misure tecniche per ridurre l'emissione delle radiazioni ottiche, incluso, quando necessario,

l'uso di dispositivi di sicurezza, schermatura o analoghi meccanismi di protezione della salute; opportuni programmi di manutenzione delle attrezzature di lavoro, dei luoghi e delle postazioni

di lavoro; struttura dei luoghi e delle postazioni di lavoro; limitazione della durata e del livello dell'esposizione; disponibilità di adeguati dispositivi di protezione individuale.

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9.6 Sostanze e preparati pericolosi – Agenti chimici L'art. 222 del Titolo IX, Capo I del D. Lgs. 81/08 definisce:

agenti chimici: tutti gli elementi o composti chimici, sia da soli sia nei loro miscugli, allo stato naturale o ottenuti, utilizzati o smaltiti, compreso lo smaltimento come rifiuti, mediante qualsiasi attività lavorativa, siano essi prodotti intenzionalmente o no e siano immessi o no sul mercato; agenti chimici classificati come sostanze pericolose ai sensi del decreto legislativo 3 febbraio 1997, n. 52, e successive modifiche, nonchè gli agenti che corrispondono ai criteri di classificazione come sostanze pericolose di cui al predetto decreto. Sono escluse le sostanze pericolose solo per l'ambiente; agenti chimici classificati come preparati pericolosi ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65e successive modifiche, nonchè gli agenti che rispondono ai criteri di classificazione come preparati pericolosi di cui al predetto decreto. Sono esclusi i preparati pericolosi solo per l'ambiente; agenti chimici che, pur non essendo classificabili come pericolosi, in base ai punti precedenti, possono comportare un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa di loro proprietà chimico-fisiche chimiche o tossicologiche e del modo in cui sono utilizzati o presenti sul luogo di lavoro, compresi gli agenti chimici cui è stato assegnato un valore limite di esposizione professionale.

Le vie attraverso le quali gli agenti chimici si possono introdurre nell'organismo sono:

Inalazione: le conseguenze più o meno gravi dipendono dalla dimensione delle particelle inalate e si possono limitare ad infezioni delle vie respiratorie superiori (particelle di dimensioni superiori a 10 micron) oppure raggiungere i polmoni (particelle di dimensioni inferiori a 10 micron). Le particelle con dimensioni inferiori a 0,5 micron non sono trattenute dal sistema respiratorio. Penetrazione attraverso la cute o le mucose: si possono avere fenomeni di irritazione, dermatiti, ustioni chimiche e contaminazioni. Il contatto interessa la parte del corpo esposta all'agente chimico, ma nel caso di sostanze facilmente assorbite, si possono diffondere nell'organismo umano e dare fenomeni di intossicazione. Ingestione: l'ingestione può avvenire attraverso l'esposizione ad aria inquinata da polveri o fumi, oppure per contaminazione delle mani e del viso o del cibo e delle bevande. In questo caso si può avere intossicazione con danni anche gravi.

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Ai sensi dell’art. 223 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione ad agenti chimici considerando in particolare: le proprietà pericolose degli stessi (il fornitore o il produttore è tenuto a fornire al datore di

lavoro acquirente tutte le ulteriori informazioni necessaire per la completa valutazione del rischio);

le informazioni sulla salute e sicurezza, comunicate dal produttore/fornitore tramite la relativa scheda di sicurezza predisposta ai sensi del D.Lgs. n. 52 del 03/02/1997 e D.Lgs. n. 65 del 14/03/2003 e successive modifiche;

il livello, il modo e la durata dell’esposizione; le circostanze in cui viene svolto il lavoro in presenza di tali agenti tenuto conto della quantità

delle sostanze e dei preparati che li contengono o li possono generare; i valori limite di esposizione professionale o i lavori limite biologici; gli effetti delle misure preventive e protettive; se disponibili, le conclusioni tratte da eventuali azioni di sorveglianza sanitaria già intraprese.

In caso di utilizzo, manipolazione e/o stoccaggio di agenti chimici, ricordarsi che:

Ogni recipiente contenente un prodotto pericoloso deve essere etichettato da chi l'ha riempito. Il fornitore deve predisporre una scheda con i dati sulla sicurezza e deve trasmetterla all'utilizzatore. Una priorità assoluta è rappresentata dal censimento dei prodotti pericolosi per limitarne l'impiego e cercare prodotti sostitutivi meno pericolosi, soprattutto per quelli cancerogeni. Far conoscere la composizione dei prodotti o delle preparazioni pericolose (etichettatura chiara, informazione verbale o scritta, se necessario). Informare sistematicamente in anticipo ogni lavoratore sui rischi che presentano per la sua salute o la sua sicurezza, prima di utilizzarli e sulle modalità operative oltre che sulle condizioni e le precauzioni per l'uso. Limitare il numero dei lavoratori esposti all'azione dei prodotti pericolosi, controllare e rispettare i livelli di esposizione regolamentari, tener conto dei valori raccomandati (i valori limite di esposizione e i valori medi sono stati definiti per un grande numero di sostanze). Sviluppare i mezzi di protezione collettiva (captazione alla fonte, aerazione, purificazione dei locali, mezzi di rilevamento, ecc.) o quando ciò non sia possibile, utilizzare i dispositivi di protezione individuale. Predisporre una nota informativa con le avvertenze per ogni posto di lavoro che espone i lavoratori a prodotti pericolosi, per informarli sui rischi e le precauzioni da prendere.

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Attività interessate Risultano interessate tutte le attività lavorative nelle quali vi sia la presenza di prodotti, originati da una reazione chimica voluta e controllata dall’uomo, potenzialmente pericolosi per l’uomo stesso.

Prima dell’attività tutte le lavorazioni devono essere precedute da una valutazione tesa ad evitare l’impiego di

sostanze chimiche nocive e a sostituire ciò che è nocivo con ciò che non lo è o lo è meno; prima dell’impiego della specifica sostanza occorre consultare l’etichettatura e le istruzioni per

l’uso al fine di applicare le misure di sicurezza più opportune (il significato dei simboli, le frasi di rischio ed i consigli di prudenza sono di seguito riportati);

la quantità dell’agente chimico da impiegare deve essere ridotta al minimo richiesto dalla lavorazione;

tutti i lavoratori addetti o comunque presenti devono essere adeguatamente informati e formati sulle modalità di deposito e di impiego delle sostanze, sui rischi per la salute connessi, sulle attività di prevenzione da porre in essere e sulle procedure anche di primo soccorso da adottare in caso di emergenza.

Durante l’attività è fatto assoluto divieto di fumare, mangiare o bere sul posto di lavoro; è indispensabile indossare l’equipaggiamento idoneo (guanti, calzature, maschere per la

protezione delle vie respiratorie, tute etc.) da adottarsi in funzioni degli specifici agenti chimici presenti.

Dopo l’attività

tutti gli esposti devono seguire una scrupolosa igiene personale che deve comprendere anche il lavaggio delle mani, dei guanti, delle calzature e degli altri indumenti indossati;

deve essere prestata una particolare attenzione alle modalità di smaltimento degli eventuali residui della lavorazione (es. contenitori usati).

Primo soccorso e misure di emergenza Al verificarsi di situazioni di allergie, intossicazioni e affezioni riconducibili all’utilizzo di agenti chimici è necessario condurre l’interessato al più vicino centro di Pronto Soccorso. Dispositivi di protezione individuale obbligatori In funzione delle sostanze utilizzate, occorrerà indossare uno o più dei seguenti DPI marcati “CE” (o quelli indicati in modo specifico dalle procedure di sicurezza di dettaglio): guanti; calzature; occhiali protettivi; indumenti protettivi adeguati; maschere per la protezione delle vie respiratorie.

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Riconoscimento delle sostanze pericolose nei prodotti chimici Le norme impongono di riportare sulla confezione di tali sostanze determinati simboli e sigle e consentono, per gli oltre mille prodotti o sostanze per le quali tali indicazioni sono obbligatorie, di ottenere informazioni estremamente utili. Analoghe informazioni sono riportate, in forma più esplicita, nella scheda relativa al prodotto pericoloso che è fornita o può essere richiesta al fabbricante. Prodotti non soggetti all’obbligo di etichettatura non sono considerati pericolosi. Specie le informazioni deducibili dall’etichettatura non sono di immediata comprensione in quanto vengono date tramite simboli e sigle che si riferiscono ad una ben precisa e codificata “chiave” di lettura. Al di là del nome della sostanza o del prodotto, che essendo un nome “chimico” dice ben poco all’utilizzatore, elementi preziosi sono forniti: dal simbolo; dal richiamo a rischi specifici; dai consigli di prudenza.

Nuova classificazione delle sostanze secondo il Regolamento CE 1272/2008 Il Regolamento CLP (Regolamento CE n. 1272/2008 del 16 dicembre 2008), relativo alla classificazione, all’etichettatura e all’imballaggio delle sostanze e delle miscele, modifica ed abroga le direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e reca modifica al Regolamento (CE) n. 1907/2006. Il Regolamento CLP, entrato in vigore dal 20/01/2009, ha previsto un periodo transitorio per la classificazione delle sostanze: dal 20/01/2009 sino al 01/12/2010 era obbligatorio adottare il vecchio sistema della Direttiva

67/548/CEE ed era facoltativo adottare il nuovo sistema CLP; dal 01/12/2010 al 01/06/2015 era obbligatorio utilizzare contestualmente sia il vecchio sistema

sia il nuovo sistema CLP; a partire dal 01/06/2015 è obbligatorio adottare esclusivamente il nuovo sistema CLP.

Tale Regolamento definisce i criteri armonizzati di classificazione ed etichettatura e pone le basi e detta la regole per uniformare la vecchia classificazione a quella armonizzata e riconosciuta nell’ambito delle Nazioni Unite. La Tabella 3.1 dell’Allegato VI riporta la classificazione delle sostanze secondo il nuovo criterio del Regolamento. In esso sono presenti le seguenti informazioni: Numero indice: numero identificativo sostanza secondo l’Allegato VI parte 3 del Regolamento CE 1272/2008 e successivi aggiornamenti (corrisponde in generale a quello dell’Allegato I della vecchia classificazione); Identificazione chimica internazionale: si riferisce al nome della sostanza (riportata in inglese nel Regolamento, anche nella sua versione in italiano);

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Numero CE e numero CAS; Classificazione: codici di classe e di categoria di pericolo: stringa che tramite codici rappresenta la

classificazione della sostanza secondo ciò che è indicato nella sezione 1.1.2.1.1. del Regolamento CE 1272/2008;

codici di indicazioni di pericolo: codici che cominciano per H seguita da tre cifre; possono essere presenti lettere aggiuntive per le indicazioni di pericolo supplementari; tali codici sono indicati nella sezione 1.1.2.1.2. del Regolamento CE 1272/2008;

Etichettatura: pittogrammi, codici di avvertenza: immagini riportate con un codice composto da GHS e una cifra

da 0 a 9; può essere presente anche un codice di avvertenza che può essere “Wng” o “Dgr”; codici di indicazioni di pericolo; codici di indicazioni di pericolo supplementari: rappresentate con un codice EUH.

I nuovi Codici di classe e di categoria di pericolo con le loro specifiche e la loro relativa avvertenza sono stati estrapolati dall’Allegato IV, Tabella 1.1 del Regolamento e vengono di seguito riportati:

Codice della classe e categoria

di pericolo Specifica Avvertenza

Acute Tox. 1 Tossicità acuta Categoria di pericolo 1 Pericolo

Acute Tox. 1 (*) Tossicità acuta Categoria di pericolo 1 (classificazione minima; va riservata un'attenzione particolare) Pericolo

Acute Tox. 2 Tossicità acuta Categoria di pericolo 2 Pericolo

Acute Tox. 2 (*) Tossicità acuta Categoria di pericolo 2 (classificazione minima; va riservata un'attenzione particolare) Pericolo

Acute Tox. 3 Tossicità acuta Categoria di pericolo 3 Pericolo

Acute Tox. 3 (*) Tossicità acuta Categoria di pericolo 3 (classificazione minima; va riservata un'attenzione particolare) Pericolo

Acute Tox. 4 Tossicità acuta Categoria di pericolo 4 Attenzione

Acute Tox. 4 (*) Tossicità acuta Categoria di pericolo 4 (classificazione minima; va riservata un'attenzione particolare) Attenzione

Aquatic Acute 1 Pericoloso per l’ambiente acquatico - pericolo acuto, categoria 1 Attenzione

Aquatic Chronic 1 Pericoloso per l’ambiente acquatico - pericolo cronico, categoria 1 Attenzione

Aquatic Chronic 2 Pericoloso per l’ambiente acquatico - pericolo cronico, categoria 2 -

Aquatic Chronic 3 Pericoloso per l’ambiente acquatico - pericolo cronico, categoria 3 -

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Codice della classe e categoria

di pericolo Specifica Avvertenza

Aquatic Chronic 4 Pericoloso per l’ambiente acquatico - pericolo cronico, categoria 4 -

Asp. Tox. 1 Pericolo in caso di aspirazione Categoria di pericolo 1 Pericolo

Carc. 1A Cancerogenicità Categoria di pericolo 1A Pericolo

Carc. 1B Cancerogenicità Categoria di pericolo 1B Pericolo

Carc. 2 Cancerogenicità Categoria di pericolo 2 Attenzione

Expl. **** Esplosivo instabile (pericolo fisico da confermare con prove)

Expl. 1.1 Esplosivo instabile Divisione 1.1 Pericolo

Expl. 1.1 (****) Esplosivo instabile Divisione 1.1 (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Expl. 1.2 Esplosivo instabile Divisione 1.2 Pericolo

Expl. 1.2 (****) Esplosivo instabile Divisione 1.2 (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Expl. 1.3 Esplosivo instabile Divisione 1.3 Pericolo

Expl. 1.3 (****) Esplosivo instabile Divisione 1.3 (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Expl. 1.4 Esplosivo instabile Divisione 1.4 Attenzione

Expl. 1.5 Esplosivo instabile Divisione 1.5 Pericolo

Expl. 1.6 Esplosivo instabile Divisione 1.6 -

Eye Dam. 1 Lesioni oculari gravi/irritazione oculare Categoria di pericolo 1 Pericolo

Eye Irrit. 2 Lesioni oculari gravi/irritazione oculare Categoria di pericolo 2 Attenzione

Flam. Aerosol 1 Aerosol infiammabile Categoria di pericolo 1 Pericolo

Flam. Aerosol 2 Aerosol infiammabile Categoria di pericolo 2 Attenzione

Flam. Gas 1 Gas infiammabile Categoria di pericolo 1 Pericolo

Flam. Gas 2 Gas infiammabile Categoria di pericolo 2 Attenzione

Flam. Liq. 1 Liquido infiammabile Categoria di pericolo 1 Pericolo

Flam. Liq. 2 Liquido infiammabile Categoria di pericolo 2 Pericolo

Flam. Liq. 3 Liquido infiammabile Categoria di pericolo 3 Attenzione

Flam. Sol. 1 Solido infiammabile Categoria di pericolo 1 Pericolo

Flam. Sol. 2 Solido infiammabile Categoria di pericolo 2 Attenzione

Lact. Tossicità per la riproduzione Categorie di pericolo relativa agli effetti sull’allattamento o attraverso la lattazione -

Met. Corr.1 Sostanza o miscela corrosiva per i metalli Categoria di pericolo 1 Attenzione

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Codice della classe e categoria

di pericolo Specifica Avvertenza

Muta. 1A Mutagenicità sulle cellule germinali Categoria di pericolo 1A Pericolo

Muta. 1B Mutagenicità sulle cellule germinali Categoria di pericolo 1B Pericolo

Muta. 2 Mutagenicità sulle cellule germinali Categoria di pericolo 2 Attenzione

Org. Perox. A Perossido organico Tipo A Pericolo Org. Perox. A (****) Perossido organico Tipo A (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Org. Perox. B Perossido organico Tipo B Pericolo Org. Perox. B (****) Perossido organico Tipo B (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Org. Perox. C Perossido organico Tipo C Pericolo Org. Perox. C (****) Perossido organico Tipo C (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Org. Perox. CD Perossido organico Tipo C e D Pericolo

Org. Perox. D Perossido organico Tipo D Pericolo Org. Perox. D (****) Perossido organico Tipo D (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Org. Perox. E Perossido organico Tipo E Attenzione

Org. Perox. EF Perossido organico Tipo E e F Attenzione

Org. Perox. F Perossido organico Tipo F Attenzione

Org. Perox. G Perossido organico Tipo G -

Ox. Gas 1 Gas comburente Categoria di pericolo 1 Pericolo

Ox. Liq. 1 Liquido comburente Categoria di pericolo 1 Pericolo

Ox. Liq. 2 Liquido comburente Categoria di pericolo 2 Pericolo

Ox. Liq. 3 Liquido comburente Categoria di pericolo 3 Attenzione

Ox. Sol. 1 Solido comburente Categoria di pericolo 1 Pericolo

Ox. Sol. 2 Solido comburente Categoria di pericolo 2 Pericolo

Ox. Sol. 2 (****) Solido comburente Categoria di pericolo 2 (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Ox. Sol. 3 Solido comburente Categoria di pericolo 3 Attenzione

Ozone Pericoloso per lo strato di ozono

Press. Gas Gas sotto pressione (capitolo 2.5) Attenzione

Press. Gas Gas compresso Attenzione

Press. Gas Gas liquefatto refrigerato Attenzione

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di pericolo Specifica Avvertenza

Press. Gas Gas liquefatto Attenzione

Press. Gas Gas sotto pressione (Gas compressi/Gas liquefatti/Gas liquefatti refrigerati/Gas disciolti) Attenzione

Press. Gas (*)

Gas sotto pressione (Gas compressi/Gas liquefatti/Gas liquefatti refrigerati/Gas disciolti)(*) V. nota U in 1.1.3. del Regolamento 1272/2008: Al momento dell'immissione sul mercato i gas vanno classificati «Gas sotto pressione» in uno dei gruppi pertinenti gas compresso, gas liquefatto, gas liquefatto refrigerato o gas dissolto. Il gruppo dipende dallo stato fisico in cui il gas è confezionato e pertanto va attribuito caso per caso.

Attenzione

Pyr. Liq. 1 Liquido piroforico Categoria di pericolo 1 Pericolo

Pyr. Sol. 1 Solido piroforico Categoria di pericolo 1 Pericolo

Repr. 1A Tossicità per la riproduzione Categoria di pericolo 1A Pericolo

Repr. 1B Tossicità per la riproduzione Categoria di pericolo 1B Pericolo

Repr. 2 Tossicità per la riproduzione Categoria di pericolo 2 Attenzione

Resp. Sens. 1 Sensibilizzazione respiratoria Categoria di pericolo 1 (delle vie respiratorie) Pericolo

Self-heat. 1 Sostanza o miscela autoriscaldante Categoria di pericolo 1 Pericolo

Self-heat. 2 Sostanza o miscela autoriscaldante Categoria di pericolo 2 Attenzione

Self-heat. 2 (****) Sostanza o miscela autoriscaldante Categoria di pericolo 2 (pericolo fisico da confermare con prove) Attenzione

Self-react. A Sostanza o miscela autoreattiva Tipo A Pericolo

Self-react. B Sostanza o miscela autoreattiva Tipo B Pericolo

Self-react. C Sostanza o miscela autoreattiva Tipo C Pericolo

Self-react. C (****) Sostanza o miscela autoreattiva Tipo C (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Self-react. C **** Sostanza o miscela autoreattiva Tipo C (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Self-react. D Sostanza o miscela autoreattiva Tipo D Pericolo

Self-react. D (****) Sostanza o miscela autoreattiva Tipo D (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Self-react. D **** Sostanza o miscela autoreattiva Tipo D (pericolo fisico da confermare con prove) Pericolo

Self-react. E Sostanza o miscela autoreattiva Tipo E Attenzione

Self-react. EF Sostanza o miscela autoreattiva Tipo E e F Attenzione

Self-react. F Sostanza o miscela autoreattiva Tipo F Attenzione

Self-react. G Sostanza o miscela autoreattiva Tipo G -

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di pericolo Specifica Avvertenza

Skin Corr. 1A Corrosione/irritazione cutanea Categoria di pericolo 1A Pericolo

Skin Corr. 1B Corrosione/irritazione cutanea Categoria di pericolo 1B Pericolo

Skin Corr. 1C Corrosione/irritazione cutanea Categoria di pericolo 1C Pericolo

Skin Irrit. 2 Corrosione/irritazione cutanea Categoria di pericolo 2 Attenzione

Skin Sens. 1 Sensibilizzazione cutanea Categoria di pericolo 1 (della pelle) Attenzione

STOT RE 1 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione ripetuta Categoria di pericolo 1 Pericolo

STOT RE 2 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione ripetuta Categoria di pericolo 2 Attenzione

STOT RE 2 (*) Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione ripetuta Categoria di pericolo 2 (classificazione minima) Attenzione

STOT RE 2 * Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione ripetuta Categoria di pericolo 2 (classificazione minima) Attenzione

STOT SE 1 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola Categoria di pericolo 1 Pericolo

STOT SE 2 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola Categoria di pericolo 2 Attenzione

STOT SE 3 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola Categoria di pericolo 3 Attenzione

STOT SE 3 Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola Categoria di pericolo 3 Attenzione

Unst. Expl. Esplosivo instabile Pericolo

Water-react. 1 Sostanza o miscela che a contatto con l’acqua libera gas infiammabile Categoria di pericolo 1 Pericolo

Water-react. 2 Sostanza o miscela che a contatto con l’acqua libera gas infiammabile Categoria di pericolo 2 Pericolo

Water-react. 3 Sostanza o miscela che a contatto con l’acqua libera gas infiammabile Categoria di pericolo 3 Attenzione

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I Codici di indicazioni di pericolo derivano dall’Allegato III, Tabella 1.1 e, per quelli supplementari (quelli che possiedono oltre al codice a 3 cifre anche lettere aggiuntive), dal paragrafo 1.1.2.1.2 nell’Allegato IV, e vengono riportati di seguito con le loro specifiche:

Codice Specifica

H200 Esplosivo instabile

H201 Esplosivo; pericolo di esplosione di massa

H201 Esplosivo; pericolo di esplosione di massa

H202 Esplosivo; grave pericolo di proiezione.

H202 Esplosivo; grave pericolo di proiezione.

H203 Esplosivo; pericolo di incendio, di spostamento d'aria o di proiezione.

H203 Esplosivo; pericolo di incendio, di spostamento d'aria o di proiezione.

H204 Pericolo di incendio o di proiezione.

H205 Pericolo di esplosione di massa in caso d'incendio. H220 Gas altamente infiammabile.

H221 Gas infiammabile.

H222 Aerosol altamente infiammabile.

H223 Aerosol infiammabile.

H224 Liquido e vapori altamente infiammabili.

H225 Liquido e vapori facilmente infiammabili.

H226 Liquido e vapori infiammabili.

H228 Solido infiammabile.

H228 Solido infiammabile.

H240 Rischio di esplosione per riscaldamento.

H240 Rischio di esplosione per riscaldamento.

H240 Rischio di esplosione per riscaldamento. H241 Rischio d'incendio o di esplosione per riscaldamento.

H241 Rischio d'incendio o di esplosione per riscaldamento.

H241 Rischio d'incendio o di esplosione per riscaldamento.

H242 Rischio d’incendio per riscaldamento.

H250 Spontaneamente infiammabile all'aria.

H251 Autoriscaldante; può infiammarsi.

H252 Autoriscaldante in grandi quantità; può infiammarsi.

H260 A contatto con l'acqua libera gas infiammabili che possono infiammarsi spontaneamente.

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Codice Specifica

H261 A contatto con l'acqua libera gas infiammabili.

H270 Può provocare o aggravare un incendio; comburente.

H271 Può provocare un incendio o un'esplosione; molto comburente. H272 Può aggravare un incendio; comburente.

H280 Contiene gas sotto pressione; può esplodere se riscaldato.

H281 Contiene gas refrigerato; può provocare ustioni o lesioni criogeniche.

H290 Può essere corrosivo per i metalli.

H300 Letale se ingerito.

H301 Tossico se ingerito.

H302 Nocivo se ingerito.

H304 Può essere letale in caso di ingestione e di penetrazione nelle vie respiratorie.

H310 Letale a contatto con la pelle.

H311 Tossico per contatto con la pelle.

H312 Nocivo per contatto con la pelle.

H314 Provoca gravi ustioni cutanee e gravi lesioni oculari. H315 Provoca irritazione cutanea.

H317 Può provocare una reazione allergica della pelle.

H318 Provoca gravi lesioni oculari.

H319 Provoca grave irritazione oculare.

H330 Letale se inalato.

H331 Tossico se inalato.

H332 Nocivo se inalato.

H334 Può provocare sintomi allergici o asmatici o difficoltà respiratorie se inalato.

H335 Può irritare le vie respiratorie.

H336 Può provocare sonnolenza o vertigini.

H340 Può provocare il cancro (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun’altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo)

H341 Sospettato di provocare alterazioni genetiche (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H350 Può provocare il cancro (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo rischio).

H350i Può provocare il cancro se inalato.

H351 Sospettato di provocare il cancro (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H360 Può nuocere alla fertilità o al feto (indicare l'effetto specifico, se noto) (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

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Codice Specifica

H360D Può nuocere al feto.

H360Df Può nuocere al feto. Sospettato di nuocere alla fertilità.

H360F Può nuocere alla fertilità. H360FD Può nuocere alla fertilità. Può nuocere al feto.

H360Fd Può nuocere alla fertilità. Sospettato di nuocere al feto.

H361 Sospettato di nuocere alla fertilità o al feto (indicare l'effetto specifico, se noto) (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H361d Sospettato di nuocere al feto.

H361f Sospettato di nuocere alla fertilità

H361fd Sospettato di nuocere alla fertilità Sospettato di nuocere al feto.

H362 Può essere nocivo per i lattanti allattati al seno.

H370 Provoca danni agli organi (o indicare tutti gli organi interessati, se noti) )indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H371 Può provocare danni agli organi (o indicare tutti gli organi interessati, se noti) (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H372 Provoca danni agli organi (o indicare tutti gli organi interessati, se noti) in caso di esposizione prolungata o ripetuta (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H373 Può provocare danni agli organi (o indicare tutti gli organi interessati, se noti) in caso di esposizione prolungata o ripetuta (indicare la via di esposizione se è accertato che nessun'altra via di esposizione comporta il medesimo pericolo).

H400 Altamente tossico per gli organismi acquatici.

H411 Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.

H412 Nocivo per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.

H413 Può essere nocivo per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.

** indicazione di pericolo generale; non è specificata la via di esposizione, in mancanza delle necessarie informazioni

*** indicazioni di pericolo generali sugli effetti per la fertilità e per lo sviluppo; secondo i criteri, l’indicazione di pericolo generale può essere sostituita da un’indicazione di pericolo specificante la natura del pericolo, ove fosse dimostrata l’irrilevanza degli effetti o sulla fertilità o sullo sviluppo

**** pericolo fisico da confermare con prove

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I Pittogrammi e codici di avvertenza I pittogrammi ed il codice di avvertenza «Dgr» per «pericolo» (Danger) e «Wng» per «attenzione» (Warning), derivano dall’Allegato V. Nella tabella seguente vengono riportati i pittogrammi con i loro corrispondenti codici e la specifica classificazione per la quale devono essere riportati.

Pittogramma Codice Classificazione

GHS01 Sezione 2.1 - Esplosivi instabili; Esplosivi delle divisioni 1.1, 1.2, 1.3 e 1.4 Sezione 2.8 - Sostanze e miscele autoreattive, tipi A e B Sezione 2.15 - Perossidi organici, tipi A e B

GHS02

Sezione 2.2 - Gas infiammabili, categoria di pericolo 1 Sezione 2.3 - Aerosol infiammabili, categorie di pericolo 1 e 2 Sezione 2.6 - Liquidi infiammabili, categorie di pericolo 1, 2 e 3 Sezione 2.7 - Solidi infiammabili, categorie di pericolo 1 e 2 Sezione 2.8 - Sostanze e miscele autoreattive, tipi B, C, D, E, F Sezione 2.9 - Liquidi piroforici, categoria di pericolo 1 Sezione 2.10 - Solidi piroforici, categoria di pericolo 1 Sezione 2.11 - Sostanze e miscele autoriscaldanti, categorie di pericolo 1 e 2 Sezione 2.12 - Sostanze e miscele che a contatto con l’acqua emettono gas

infiammabili, categorie di pericolo 1, 2 e 3 Sezione 2.15 - Perossidi organici, tipi B, C, D, E, F

GHS03 Sezione 2.4 - Gas comburenti, categoria di pericolo 1 Sezione 2.13 - Liquidi comburenti, categorie di pericolo 1, 2 e 3 Sezione 2.14 - Solidi comburenti, categorie di pericolo 1, 2 e 3

GHS04 Sezione 2.5 - Gas sotto pressione: Gas compressi; Gas liquefatti; Gas liquefatti refrigerati; Gas disciolti.

GHS05 Sezione 2.16 - Corrosivo per i metalli, categoria di pericolo 1 Sezione 3.2 - Corrosione cutanea, categorie di pericolo 1A, 1B e 1C Sezione 3.3 - Gravi lesioni oculari, categoria di pericolo 1

GHS06 Sezione 3.1 - Tossicità acuta (per via orale, per via cutanea, per inalazione),

categorie di pericolo 1, 2 e 3

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Pittogramma Codice Classificazione

GHS07

Sezione 3.1 - Tossicità acuta (per via orale, per via cutanea, per inalazione), categoria di pericolo 4 Sezione 3.2 - Irritazione cutanea, categoria di pericolo 2 Sezione 3.3 - Irritazione oculare, categoria di pericolo 2 Sezione 3.4 - Sensibilizzazione cutanea, categoria di pericolo 1 Sezione 3.8 - Tossicità specifica per organi bersaglio – esposizione singola,

categoria di pericolo 3 Irritazione delle vie respiratorie Narcosi

GHS08

Sezione 3.4 - Sensibilizzazione delle vie respiratorie, categoria di pericolo 1 Sezione 3.5 - Mutagenicità sulle cellule germinali, categorie di pericolo 1A, 1B e 2 Sezione 3.6 - Cancerogenicità, categorie di pericolo 1A, 1B, 2 Sezione 3.7 - Tossicità per la riproduzione, categorie di pericolo 1A, 1B e 2 Sezione 3.8 - Tossicità specifica per organi bersaglio – esposizione singola,

categorie di pericolo 1 e 2 Sezione 3.9 - Tossicità specifica per organi bersaglio – esposizione ripetuta,

categorie di pericolo 1 e 2 Sezione 3.10 - Pericolo in caso di aspirazione, categoria di pericolo 1

GHS09

Sezione 4.1 Pericoloso per l’ambiente acquatico – pericolo acuto, categoria 1 – pericolo cronico, categorie 1 e 2

****

pericolo fisico da confermare con prove

Non è necessario un pittogramma

Sezione 2.1: Esplosivi della divisione 1.5 Sezione 2.1: Esplosivi della divisione 1.6 Sezione 2.2: Gas infiammabili, categoria di pericolo 2 Sezione 2.8: Sostanze e miscele autoreattive, tipo G Sezione 2.15: Perossidi organici, tipo G Sezione 3.7: Tossicità per la riproduzione, effetti sull’allattamento o attraverso

l’allattamento, categoria di pericolo supplementare

Dgr pericolo

Wng attenzione

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Consigli di prudenza I consigli di prudenza sono descritti nell’Allegato IV (Tabelle 6.1, 6.2, 6.3, 6.4 e 6.5) e sono di 5 tipi:

1) Consigli di prudenza di carattere generale (Tabella 6.1) 2) Consigli di prudenza – Prevenzione (Allegato IV, Tabella 6.2) 3) Consigli di prudenza – Reazione (Allegato IV, Tabella 6.3) 4) Consigli di prudenza – Conservazione (Allegato IV, Tabella 6.4) 5) Consigli di prudenza – Smaltimento (Allegato IV, Tabella 6.5)

Di seguito vengono riportate le tabelle relative ai Consigli di prudenza, con le loro specifiche. 1 – Consigli di prudenza di carattere generale (Tabella 6.1): Codice Specifica

P101 In caso di consultazione di un medico, tenere a disposizione il contenitore o l'etichetta del prodotto.

P102 Tenere fuori dalla portata dei bambini. P103 Leggere l’etichetta prima dell’uso.

2 – Consigli di prudenza – Prevenzione (Allegato IV, Tabella 6.2) Ciascun codice è stato associato alla sua specifica ed è associato nella classificazione alle corrispondenti Classi di pericolo e categorie di pericolo; per alcuni di essi vengono anche specificate le Condizioni d'uso. Codice Specifica P201 Procurarsi le istruzioni prima dell’uso. P202 Non manipolare prima di avere letto e compreso tutte le avvertenze.

P210 Tenere lontano da fonti di calore/scintille/fiamme libere/superfici riscaldate - Non fumare. (Fonti di accensione da precisarsi dal fabbricante/fornitore; Liquidi comburenti, Solidi comburenti, specificare: Tenere lontano da fonti di calore)

P211 Non vaporizzare su una fiamma libera o altra fonte di accensione.

P220 Tenere/conservare lontano da indumenti/…/materiali combustibili. (Materiali incompatibili da precisarsi dal fabbricante/fornitore; Liquidi comburenti, Solidi comburenti, Specificare: Tenere lontano da indumenti e da altri materiali incompatibili.)

P221 Prendere ogni precauzione per evitare di miscelare con sostanze combustibili/…(Materiali incompatibili da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

P222 Evitare il contatto con l’aria.

P223 Evitare qualsiasi contatto con l’acqua. Pericolo di reazione violenta e di infiammazione spontanea.

P230 Mantenere umido con …[Materiale appropriato da precisarsi dal fabbricante. Se l’essiccazione aumenta il pericolo di esplosione, tranne se è necessaria per processi di fabbricazione o di funzionamento (per es. nitrocellulosa)].

P231 Manipolare in gas inerte.

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Codice Specifica P232 Proteggere dall’umidità.

P233 Tenere il recipiente ben chiuso. Per Tossicità acuta - per inalazione, Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola; irritazione delle vie respiratorie, Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola; narcosi: Tenere il recipiente ben chiuso se la volatilità del prodotto è tale da generare un’atmosfera pericolosa.

P234 Conservare soltanto nel contenitore originale. P235 Conservare in luogo fresco.

P240

Mettere a terra/a massa il contenitore e il dispositivo ricevente. Per Esplosivi: se l’esplosivo è sensibile all’elettricità statica. Per Liquidi infiammabili: se un materiale sensibile all’elettricità statica deve essere ricaricato; se la volatilità del prodotto è tale da generare un’atmosfera pericolosa. Per Solidi infiammabili: se un materiale sensibile all’elettricità statica deve essere ricaricato.

P241 Utilizzare impianti elettrici/di ventilazione/d’illuminazione a prova di esplosione. Per Liquidi infiammabili: Altri apparecchi da precisarsi dal fabbricante/fornitore. Per Solidi infiammabili: Altri apparecchi da precisarsi dal fabbricante/fornitore se possono formarsi nubi di polvere.

P242 Utilizzare solo utensili antiscintillamento. P243 Prendere precauzioni contro le scariche elettrostatiche. P244 Mantenere le valvole di riduzione libere da grasso e olio.

P250 Evitare le abrasioni/gli urti/…/gli attriti (Tipo di manipolazione da precisarsi dal fabbricante/fornitore)

P251 Recipiente sotto pressione: non perforare né bruciare, neppure dopo l’uso.

P260

Non respirare la polvere/i fumi/i gas/la nebbia/i vapori/gli aerosol. Condizioni applicabili da precisarsi dal fabbricante/fornitore. Per Corrosione cutanea, Tossicità per la riproduzione - effetti sull’allattamento o attraverso l’allattamento, specificare: Non respirare le polveri o le nebbie; se particelle inalabili di polveri o nebbie possono liberarsi durante l’uso.

P261 Evitare di respirare la polvere/i fumi/i gas/la nebbia/i vapori/gli aerosol (Condizioni applicabili da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

P262 Evitare il contatto con gli occhi, la pelle o gli indumenti. P263 Evitare il contatto durante la gravidanza/l’allattamento.

P264 Lavare accuratamente … dopo l’uso (Parti del corpo da lavare dopo la manipolazione da precisarsi dal fabbricante/fornitore).

P270 Non mangiare, né bere, né fumare durante l’uso. P271 Utilizzare soltanto all’aperto o in luogo ben ventilato. P272 Gli indumenti da lavoro contaminati non dovrebbero essere portati fuori dal luogo di lavoro. P273 Non disperdere nell’ambiente (se questo non è l’uso previsto)

P280

Indossare guanti/indumenti protettivi/Proteggere gli occhi/Proteggere il viso. Tipo di dispositivo da precisarsi dal fabbricante/fornitore. Per Esplosivi precisare: proteggere il viso. Per Liquidi infiammabili, Solidi infiammabili, Sostanze e miscele autoreattive. Liquidi piroforici, Solidi piroforici, Sostanze e miscele autoriscaldanti, Sostanze e miscele che, a contatto con l'acqua, liberano gas infiammabili, Liquidi comburenti, Solidi comburenti, Perossidi organici, precisare: indossare guanti protettivi e proteggere gli occhi/il viso. Per Tossicità acuta - per via cutanea precisare: indossare guanti/indumenti protettivi. Per Corrosione cutanea, Precisare: indossare guanti/indumenti protettivi e proteggere gli occhi/il viso. Per Irritazione cutanea, Sensibilizzazione della pelle, Precisare: indossare guanti protettivi. Per Gravi danni oculari/irritazione oculare, Irritazione oculare, Precisare: proteggere gli occhi/il viso.

P281 Utilizzare il dispositivo di protezione individuale richiesto.

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Codice Specifica P282 Utilizzare guanti termici/schermo facciale/Proteggere gli occhi. P283 Indossare indumenti resistenti al fuoco/alla fiamma/ignifughi. P284 Utilizzare un apparecchio respiratorio. (Apparecchio da precisarsi dal fabbricante/fornitore)

P285 In caso di ventilazione insufficiente utilizzare un apparecchio respiratorio. (Apparecchio da precisarsi dal fabbricante/fornitore)

P231 + P232 Manipolare in gas inerte. Tenere al riparo dall’umidità.

P235 + P410 Tenere in luogo fresco. Proteggere dai raggi solari.

3 – Consigli di prudenza – Reazione (Allegato IV, Tabella 6.3) Codice Specifica P301 IN CASO DI INGESTIONE: P302 IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE: P303 IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE (o con i capelli): P304 IN CASO DI INALAZIONE: P305 IN CASO DI CONTATTO CON GLI OCCHI: P306 IN CASO DI CONTATTO CON GLI INDUMENTI: P307 IN CASO DI ESPOSIZIONE: P308 In caso di esposizione o di possibile esposizione: P309 In caso di esposizione o di malessere: P310 Contattare immediatamente un CENTRO ANTIVELENI o un medico. P311 Contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico. P312 In caso di malessere, contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico. P313 Consultare un medico. P314 In caso di malessere, consultare un medico. P315 Consultare immediatamente un medico.

P320 Trattamento specifico urgente (vedere … su questa etichetta). Riferimento a istruzioni supplementari di pronto soccorso, se è necessaria la somministrazione immediata di un antidoto.

P321

Trattamento specifico (vedere … su questa etichetta). Per Tossicità acuta - per via orale: Riferimento a istruzioni supplementari di pronto soccorso se è necessaria la somministrazione immediata di un antidoto. Per Tossicità acuta - per inalazione, Tossicità specifica per organi bersaglio - esposizione singola: Riferimento a istruzioni supplementari di pronto soccorso se sono necessari interventi immediati. Per Sensibilizzazione della pelle, Corrosione cutanea, Irritazione cutanea: Riferimento a istruzioni supplementari di pronto soccorso, il fabbricante/fornitore può specificare, se del caso, un prodotto di pulizia.

P322 Interventi specifici (vedere … su questa etichetta). Riferimento a istruzioni supplementari di pronto soccorso, se sono consigliati interventi (immediati) quali l’uso di un prodotto di pulizia particolare.

P330 Sciacquare la bocca. P331 NON provocare il vomito.

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Codice Specifica P332 In caso di irritazione della pelle: P333 In caso di irritazione o eruzione della pelle: P334 Immergere in acqua fredda/avvolgere con un bendaggio umido. P335 Rimuovere dalla pelle le particelle. P336 Sgelare le parti congelate usando acqua tiepida. Non sfregare la parte interessata. P337 Se l’irritazione degli occhi persiste: P338 Togliere le eventuali lenti a contatto se è agevole farlo. Continuare a sciacquare.

P340 Trasportare l'infortunato all’aria aperta e mantenerlo a riposo in posizione che favorisca la respirazione.

P341 Se la respirazione è difficile, trasportare l'infortunato all’aria aperta e mantenerlo a riposo in posizione che favorisca la respirazione.

P342 In caso di sintomi respiratori: P350 Lavare delicatamente e abbondantemente con acqua e sapone. P351 Sciacquare accuratamente per parecchi minuti. P352 Lavare abbondantemente con acqua e sapone. P353 Sciacquare la pelle/fare una doccia.

P360 Sciacquare immediatamente e abbondantemente gli indumenti contaminati e la pelle prima di togliersi gli indumenti.

P361 Togliersi di dosso immediatamente tutti gli indumenti contaminati. P362 Togliersi di dosso gli indumenti contaminati e lavarli prima di indossarli nuovamente. P363 Lavare gli indumenti contaminati prima di indossarli nuovamente. P370 In caso di incendio: P371 In caso di incendio grave e di grandi quantità:

P372 Rischio di esplosione in caso di incendio. Tranne se gli esplosivi sono MUNIZIONI 1.4S E LORO COMPONENTI.

P373 NON utilizzare mezzi estinguenti se l’incendio raggiunge materiali esplosivi.

P374 Utilizzare i mezzi estinguenti con le precauzioni abituali a distanza ragionevole. Se gli esplosivi sono MUNIZIONI 1.4S E LORO COMPONENTI.

P375 Rischio di esplosione. Utilizzare i mezzi estinguenti a grande distanza. P376 Bloccare la perdita se non c’è pericolo.

P377 In caso d’incendio dovuto a perdita di gas, non estinguere a meno che non sia possibile bloccare la perdita senza pericolo.

P378 Estinguere con …(Agenti appropriati da precisarsi dal fabbricante/fornitore, se l’acqua aumenta il rischio)

P380 Evacuare la zona. P381 Eliminare ogni fonte d’accensione se non c’è pericolo. P390 Assorbire la fuoriuscita per evitare danni materiali. P391 Raccogliere la fuoriuscita.

P301 + P310 IN CASO DI INGESTIONE: contattare immediatamente un CENTRO ANTIVELENI o un medico.

P301 + P312

IN CASO DI INGESTIONE accompagnata da malessere: contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico.

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Codice Specifica P301 + P330 + P331

IN CASO DI INGESTIONE: sciacquare la bocca. NON provocare il vomito.

P302 + P334

IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE: immergere in acqua fredda/avvolgere con un bendaggio umido.

P302 + P350

IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE: lavare delicatamente e abbondantemente con acqua e sapone.

P302 + P352 IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE: lavare abbondantemente con acqua e sapone.

P303 + P361 + P353

IN CASO DI CONTATTO CON LA PELLE (o con i capelli): togliersi di dosso immediatamente tutti gli indumenti contaminati. Sciacquare la pelle/fare una doccia.

P304 + P340

IN CASO DI INALAZIONE: trasportare l'infortunato all’aria aperta e mantenerlo a riposo in posizione che favorisca la respirazione.

P304 + P341

IN CASO DI INALAZIONE: se la respirazione è difficile, trasportare l'infortunato all’aria aperta e mantenerlo a riposo in posizione che favorisca la respirazione.

P305 + P351 + P338

IN CASO DI CONTATTO CON GLI OCCHI: Sciacquare accuratamente per parecchi minuti. Togliere le eventuali lenti a contatto se è agevole farlo. Continuare a sciacquare.

P306 + P360

IN CASO DI CONTATTO CON GLI INDUMENTI: sciacquare immediatamente e abbondantemente gli indumenti contaminati e la pelle prima di togliersi gli indumenti.

P307 + P311 In caso di esposizione, contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico.

P308 + P313 In caso di esposizione o di temuta esposizione, consultare un medico.

P309 + P311 In caso di esposizione o di malessere, contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico.

P332 + P313 In caso di irritazione della pelle, consultare un medico.

P333 + P313 In caso di irritazione o eruzione della pelle, consultare un medico.

P335 + P334

Rimuovere dalla pelle le particelle. Immergere in acqua fredda/avvolgere con un bendaggio umido.

P337 + P313 Se l’irritazione degli occhi persiste, consultare un medico.

P342 + P311 In caso di sintomi respiratori, contattare un CENTRO ANTIVELENI o un medico.

P370 + P376 In caso di incendio, bloccare la perdita, se non c’è pericolo.

P370 + P378

In caso di incendio, estinguere con …(Agenti appropriati da precisarsi dal fabbricante/fornitore, se l’acqua aumenta il rischio)

P370 + P380 Evacuare la zona in caso di incendio.

P370 + P380 + P375

In caso di incendio, evacuare la zona. Rischio di esplosione. Utilizzare i mezzi estinguenti a grande distanza.

P371 + P380 + P375

In caso di incendio grave e di grandi quantità, evacuare la zona. Rischio di esplosione. Utilizzare i mezzi estinguenti a grande distanza.

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4 – Consigli di prudenza – Conservazione (Allegato IV, Tabella 6.4) Codice Specifica

P401 Conservare … in conformità alla regolamentazione locale/regionale/nazionale/internazionale (da specificare).

P402 Conservare in luogo asciutto.

P403 Conservare in luogo ben ventilato. (se la volatilità del prodotto è tale da generare un’atmosfera pericolosa)

P404 Conservare in un recipiente chiuso. P405 Conservare sotto chiave.

P406 Conservare in recipiente resistente alla corrosione/provvisto di rivestimento interno resistente. (Altri materiali compatibili da precisarsi dal fabbricante/fornitore)

P407 Mantenere uno spazio libero tra gli scaffali/i pallet. P410 Proteggere dai raggi solari.

P411 Conservare a temperature non superiori a … °C/…°F. (Temperatura da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

P412 Non esporre a temperature superiori a 50 °C/122 °F.

P413 Conservare le rinfuse di peso superiore a … kg/… lb a temperature non superiori a … °C/…°F. (Massa e temperatura da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

P420 Conservare lontano da altri materiali. P422 Conservare sotto … (Liquido o gas inerte da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

P402 + P404 Conservare in luogo asciutto e in recipiente chiuso.

P403 + P233

Tenere il recipiente ben chiuso e in luogo ben ventilato, se la volatilità del prodotto è tale da generare un’atmosfera pericolosa.

P403 + P235 Conservare in luogo fresco e ben ventilato.

P410 + P403 Conservare in luogo ben ventilato e proteggere dai raggi solari.

P410 + P412 Proteggere dai raggi solari. Non esporre a temperature superiori a 50 °C/122 °F.

P411 + P235

Conservare in luogo fresco a temperature non superiori a … °C/… °F. (Temperatura da precisarsi dal fabbricante/fornitore.)

5 – Consigli di prudenza – Smaltimento (Allegato IV, Tabella 6.5) Codice Specifica

P501 Smaltire il prodotto/recipiente in … (in conformità alla regolamentazione locale/regionale/nazionale/internazionale (da specificare).

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Disposizioni particolari relative all'etichettatura e all'imballaggio di talune sostanze e miscele Nella tabella di seguito riportata, estrapolata dall’Allegato II, vengono riportati le Indicazioni supplementari che sono rappresentate con un codice EUH e la sua relativa descrizione.

Codice Specifica EUH001 Esplosivo allo stato secco. EUH006 Esplosivo a contatto o senza contatto con l’aria. EUH014 Reagisce violentemente con l'acqua. EUH018 Durante l'uso può formarsi una miscela vapore-aria esplosiva/infiammabile. EUH019 Può formare perossidi esplosivi. EUH029 A contatto con l'acqua libera un gas tossico. EUH031 A contatto con acidi libera un gas tossico. EUH032 A contatto con acidi libera un gas altamente tossico. EUH044 Rischio di esplosione per riscaldamento in ambiente confinato. EUH059 Pericoloso per lo strato di ozono. EUH066 L'esposizione ripetuta può provocare secchezza e screpolature della pelle. EUH070 Tossico per contatto oculare. EUH071 Corrosivo per le vie respiratorie.

EUH201 Contiene piombo. Non utilizzare su oggetti che possono essere masticati o succhiati dai bambini.

EUH201A Attenzione! Contiene piombo.

EUH202 Cianoacrilato. Pericolo. Incolla la pelle e gli occhi in pochi secondi. Tenere fuori dalla portata dei bambini.

EUH203 Contiene cromo (VI). Può provocare una reazione allergica. EUH204 Contiene isocianati. Può provocare una reazione allergica. EUH205 Contiene componenti epossidici. Può provocare una reazione allergica.

EUH206 Attenzione! Non utilizzare in combinazione con altri prodotti. Possono formarsi gas pericolosi (cloro).

EUH207 Attenzione! Contiene cadmio. Durante l'uso si sviluppano fumi pericolosi. Leggere le informazioni fornite dal fabbricante.Rispettare le disposizioni di sicurezza.

EUH208 Contiene <denominazione della sostanza sensibilizzante>. Può provocare una reazione allergica.

EUH209 Può diventare facilmente infiammabile durante l'uso. EUH209A Può diventare infiammabile durante l'uso. EUH210 Scheda dati di sicurezza disponibile su richiesta. EUH401 Per evitare rischi per la salute umana e per l'ambiente, seguire le istruzioni per l'uso.

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Livelli di esposizione e relative misure di prevenzione

Valori di Rischio (R) Classificazione e Misure di prevenzione

Ris

chio

irril

evan

te

per l

a sa

lute

0,1 ≤ R < 15 Rischio irrilevante per la salute. Si applicano le misure e principi generali per la prevenzione dei rischi di cui al comma 1 dell’art. 224 del D.Lgs. 81/08.

15 ≤ R < 21

Intervallo di incertezza. È necessario, prima della classificazione in rischio irrilevante per la salute, rivedere con scrupolo l’assegnazione dei punteggi, rivedere le misure di prevenzione e protezione adottate e consultare il medico competente.

Ris

chio

sup

erio

re

all’i

rrile

vant

e pe

r la

salu

te 21 ≤ R ≤ 40

Rischio superiore al rischio chimico irrilevante per la salute. Si applicano gli artt. 225, 226, 229 e 230 del D.Lgs. 81/08.

40 < R ≤ 80 Rischio elevato.

R > 80

Rischio grave. Riconsiderare il percorso dell’identificazione delle misure di prevenzione e protezione ai fini di una loro eventuale implementazione. Intensificare i controlli quali la sorveglianza sanitaria, la misurazione degli agenti chimici e la periodicità della manutenzione.

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Misure tecniche organizzative Se dalla valutazione dei rischi risulta il superamento dei valori limite, saranno applicate le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo, al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo: progettazione e organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro; fornitura di attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di manutenzione

adeguate; riduzione al minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti; riduzione al minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione; misure igieniche adeguate; riduzione al minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle

necessità della lavorazione; metodi di lavoro appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella

manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti chimici.

Il datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 223, provvede affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti o processi che, nelle condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la salute dei lavoratori. Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione, il datore di lavoro garantisce che il rischio sia ridotto mediante l’applicazione delle seguenti misure da adottarsi nel seguente ordine di priorità: progettazione di appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature e

materiali adeguati; appropriate misure organizzative e di protezione collettive alla fonte del rischio; misure di protezione individuali, compresi i dispositivi di protezione individuali, qualora non si

riesca a prevenire con altri mezzi l’esposizione; sorveglianza sanitaria dei lavoratori a norma degli articoli 229 e 230.

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9.7 Agenti cancerogeni Il Titolo IX, Capo II del D.Lgs. 81/08 disciplina le attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, il rischio di esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni a causa della loro attività lavorativa. Ai sensi dell’art. 236 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione ad agenti cancerogeni considerando in particolare: le caratteristiche delle lavorazioni, la loro durata e la loro frequenza; i quantitativi di agenti cancerogeni o mutageni prodotti ovvero utilizzati, la loro concentrazione

e la capacità degli stessi di penetrare nell'organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione al loro stato di aggregazione e, qualora allo stato solido, se in massa compatta o in scaglie o in forma polverulenta e se o meno contenuti in una matrice solida che ne riduce o ne impedisce la fuoriuscita;

tutti i possibili modi di esposizione, compreso quello in cui vi è assorbimento cutaneo. Se nel ciclo produttivo vengono impiegate sostanze cancerogene, il datore di lavoro ha l'obbligo, nell'ambito di quanto tecnicamente possibile: di sostituire tali sostanze; di ridurre l'esposizione a tali sostanze (es. verificando se è possibile eseguire la lavorazione in

un sistema chiuso). Registro di esposizione Il datore di lavoro deve istituire un registro ed inviarne copia allo SPSAL. Comunicazione allo SPSAL Se si verificano eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare una esposizione anomala dei lavoratori, il datore di lavoro: adotta quanto prima le misure appropriate per identificare e rimuovere la causa dell'evento; fa evacuare l'area interessata; invia comunicazione all'ISPESL e allo SPSAL indicando le misure attuate per ridurre al minimo

le conseguenze.

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Misure tecniche organizzative Al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo, il datore di lavoro applica le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo: assicura, applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle varie operazioni

lavorative sono impiegati quantitativi di agenti cancerogeni o mutageni non superiori alle necessità delle lavorazioni e che gli agenti cancerogeni o mutageni in attesa di impiego, in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori alle necessità predette;

limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni o mutageni, anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i segnali "vietato fumare", ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree è fatto divieto di fumare;

progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni o mutageni nell'aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l'eliminazione degli agenti cancerogeni o mutageni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell'articolo 18, comma 1, lettera q). L'ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato sistema di ventilazione generale;

provvede alla misurazione di agenti cancerogeni o mutageni per verificare l'efficacia delle misure di cui al punto precedente e per individuare precocemente le esposizioni anomale causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con metodi di campionatura e di misurazione conformi alle indicazioni dell'ALLEGATO XLI del D.Lgs. 81/08;

provvede alla regolare e sistematica pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti; elabora procedure per i casi di emergenza che possono comportare esposizioni elevate; assicura che gli agenti cancerogeni o mutageni sono conservati, manipolati, trasportati in

condizioni di sicurezza; assicura che la raccolta e l'immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei

residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni, avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile;

dispone, su conforme parere del medico competente, misure protettive particolari con quelle categorie di lavoratori per i quali l'esposizione a taluni agenti cancerogeni o mutageni presenta rischi particolarmente elevati.

Inoltre, il datore di lavoro: assicura che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati ed adeguati; dispone che i lavoratori abbiano in dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti

separati dagli abiti civili; provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati,

controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi o deteriorati, prima di ogni nuova utilizzazione.

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9.8 Agenti biologici Il Titolo X del D.Lgs. 81/08 disciplina le attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, il rischio di esposizione ad agenti biologici a causa della loro attività lavorativa. Ai sensi dell’art. 271 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta il rischio di esposizione ad agenti biologici considerando in particolare: tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell'agente biologico ed alle modalità

lavorative; la classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la

salute umana quale risultante dall'ALLEGATO XLVI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all'articolo 268, commi 1 e 2;

informazione sulle malattie che possono essere contratte; i potenziali effetti allergici e tossici; la conoscenza di una patologia della quale è affetto un lavoratore, che è da porre in

correlazione diretta all'attività lavorativa svolta; le eventuali ulteriori situazioni rese note dall'autorità sanitaria competente che possono influire

sul rischio; il sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.

Comunicazione allo SPSAL Quando nel ciclo produttivo vengono impiegati agenti biologici, classificati nei gruppi 2, 3 e 4 dell'Allegato XLVI del D.Lgs 81/2008 che possono causare malattie nell'uomo, deve essere data comunicazione almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori (nella comunicazione deve essere indicato il nome e l'indirizzo dell'azienda, il nome del titolare, il documento di valutazione dei rischi). Nel caso dovessero verificarsi incidenti che possono provocare dispersione nell'ambiente di agenti biologici pericolosi per l'uomo. Registro degli esposti Per i lavoratori di attività che comportano l'uso di agenti biologici che possono causare gravi malattie per l'uomo, classificati nei gruppi 3 e 4 dell'Allegato XLVI del D.Lgs 81/2008, il datore di lavoro deve istituire un registro ed inviarne copia all'ISPESL e allo SPSAL.

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Classificazione degli agenti biologici

GRUPPO 1 Agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani.

Nessuna incombenza salvo l’osservanza dei principi generali di igiene e sicurezza.

GRUPPO 2

Agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Comunicazione preventiva all’organo di vigilanza.

GRUPPO 3

Agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l'agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Comunicazione preventiva all’organo di vigilanza.

GRUPPO 4

Agente che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Autorizzazione MdS e comunicazione preventiva all’organo di vigilanza.

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Misure tecniche organizzative Al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo, il datore di lavoro applica le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo: evita l'utilizzazione di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo consente; limita al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici; progetta adeguatamente i processi lavorativi; adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia

possibile evitare altrimenti l'esposizione; adotta misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un

agente biologico fuori dal luogo di lavoro; usa il segnale di rischio biologico, rappresentato nell'ALLEGATO XLV, e altri segnali di

avvertimento appropriati; elabora idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed

animale; definisce procedure di emergenza per affrontare incidenti; verifica la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico

primario, se necessario o tecnicamente realizzabile; predispone i mezzi necessari per la raccolta, l'immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in

condizioni di sicurezza, mediante l'impiego di contenitori adeguati ed identificabili eventualmente dopo idoneo trattamento dei rifiuti stessi;

concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all'interno del luogo di lavoro.

Inoltre, il datore di lavoro: assicura che i lavoratori dispongano di servizi sanitari adeguati provvisti di docce con acqua

calda e fredda, nonché, se del caso, di lavaggi oculari e antisettici per la pelle; dispone che i lavoratori abbiano in dotazione indumenti protettivi od altri indumenti idonei, da

riporre in posti separati dagli abiti civili; provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano controllati, disinfettati e puliti

dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi prima dell'utilizzazione successiva;

dispone che gli indumenti di lavoro e protettivi che possono essere contaminati da agenti biologici vengano tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, conservati separatamente dagli altri indumenti, disinfettati, puliti e, se necessario, distrutti.

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9.9 Amianto Il Titolo IX, Capo III del D.Lgs. 81/08 disciplina le attività lavorative che possono comportare, per i lavoratori, il rischio di esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, nonché bonifica delle aree interessate. Tale disciplina: abbassa il valore limite d'esposizione dei lavoratori, per tutti i tipi di amianto, a 0,1 fibre per

centimetro cubo di aria, misurato in rapporto a una media ponderata nel tempo di riferimento di 8 ore (TWA);

chiarisce che per garantire tale valore va effettuata regolarmente una misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria;

impone l'adozione, il più presto possibile, di appropriate misure qualora venga superato tale valore limite.

Il decreto definisce, inoltre, le modalità con cui eseguire i lavori di demolizione o rimozione dell'amianto, le competenze delle imprese di bonifica, le novità per la notifica delle attività, le deroghe dagli obblighi in caso di esposizioni sporadiche e i contenuti della formazione/informazione ai lavoratori. Sono infine fissate le frequenze con cui i lavoratori sono sottoposti a sorveglianza sanitaria (prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta l'esposizione, all'atto della cessazione dell'attività comportante l'esposizione e comunque almeno ogni tre anni o con periodicità fissata dal medico competente). Nel caso in cui negli ambienti di lavoro sia presente materiale contenente amianto (ACM), il datore di lavoro deve verificare periodicamente il suo stato, secondo un apposito programma di controllo e manutenzione. Gli ACM devono essere bonificati o rimossi quando siano degradati, con presenza di fessurazioni, rotture, ecc. Deve essere nominato un responsabile per le attività di controllo e manutenzione degli ACM (punto 4-a, All. D.M. 06.09.94). Ai sensi dell’art. 249 del D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro valuta i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali contenenti amianto, al fine di stabilire la natura e il grado dell’esposizione e le misure preventive e protettive da attuare.

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Nei casi di esposizioni sporadiche e di debole intensità ed a condizione che risulti chiaramente dalla valutazione dei rischi che il valore limite di esposizione all’amianto non è superato nell'aria dell'ambiente di lavoro, non si applicano gli articoli 250 (Notifica), 251 comma 1, 259 (Sorveglianza sanitaria) e 260 comma 1 (Registro di esposizione e cartelle sanitarie e di rischio), nelle seguenti attività: brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo

su materiali non friabili; rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono

fermamente legate ad una matrice; incapsulamento e confinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato; sorveglianza e controllo dell’aria e prelievo dei campioni ai fini dell'individuazione della

presenza di amianto in un determinato materiale. Misure tecniche organizzative Se dalla valutazione dei rischi risulta il superamento dei valori limite, saranno applicate le seguenti misure di carattere tecnico ed organizzativo, al fine di eliminare i rischi alla fonte e/o ridurli al minimo: il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti alla polvere proveniente

dall'amianto o da materiali contenenti amianto deve essere limitato al numero più basso possibile;

i lavoratori esposti devono sempre utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) delle vie respiratorie con fattore di protezione operativo adeguato alla concentrazione di amianto nell’aria. La protezione deve essere tale da garantire all’utilizzatore in ogni caso che la stima della concentrazione di amianto nell’aria filtrata, ottenuta dividendo la concentrazione misurata nell’aria ambiente per il fattore di protezione operativo, sia non superiore ad un decimo del valore limite indicato all’articolo 254;

l’utilizzo dei DPI deve essere intervallato da periodo di riposo adeguati all’impegno fisico richiesto dal lavoro, l’accesso alle aree di riposo deve essere preceduto da idonea decontaminazione di cui all’articolo 256, comma 4, lettera d);

per la protezione dei lavoratori addetti alle lavorazioni previste dall’art. 249, comma 3, si applica quanto previsto al comma 1, lettera b), del presente articolo;

i processi lavorativi devono essere concepiti in modo tale da evitare di produrre polvere di amianto o, se ciò non è possibile, da evitare emissione di polvere di amianto nell'aria;

tutti i locali e le attrezzature per il trattamento dell'amianto devono poter essere sottoposti a regolare pulizia e manutenzione;

l'amianto o i materiali che rilasciano polvere di amianto o che contengono amianto devono essere stoccati e trasportati in appositi imballaggi chiusi;

i rifiuti devono essere raccolti e rimossi dal luogo di lavoro il più presto possibile in appropriati imballaggi chiusi su cui sarà apposta un'etichettatura indicante che contengono amianto. Detti rifiuti devono essere successivamente trattati in conformità alla vigente normativa in materia di rifiuti pericolosi.

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Inoltre, il datore di lavoro provvede affinché: i luoghi in cui si svolgono tali attività siano:

chiaramente delimitati e contrassegnati da appositi cartelli; accessibili esclusivamente ai lavoratori che vi debbano accedere a motivo del loro lavoro

o della loro funzione; oggetto del divieto di fumare;

siano predisposte aree speciali che consentano ai lavoratori di mangiare e bere senza rischio di contaminazione da polvere di amianto;

siano messi a disposizione dei lavoratori adeguati indumenti di lavoro o adeguati dispositivi di protezione individuale;

detti indumenti di lavoro o protettivi restino all'interno dell'azienda. Essi possono essere trasportati all'esterno solo per il lavaggio in lavanderie attrezzate per questo tipo di operazioni, in contenitori chiusi, qualora l'impresa stessa non vi provveda o in caso di utilizzazione di indumenti monouso per lo smaltimento secondo le vigenti disposizioni;

gli indumenti di lavoro o protettivi siano riposti in un luogo separato da quello destinato agli abiti civili;

i lavoratori possano disporre di impianti sanitari adeguati, provvisti di docce, in caso di operazioni in ambienti polverosi;

l'equipaggiamento protettivo sia custodito in locali a tale scopo destinati, sia controllato e pulito dopo ogni utilizzazione e siano prese misure per riparare o sostituire l'equipaggiamento difettoso o deteriorato prima di ogni utilizzazione.

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9.10 Legionellosi Le legionelle sono presenti negli ambienti acquatici naturali e artificiali: si riscontrano nelle sorgenti, comprese quelle termali, nei fiumi, laghi, vapori, terreni. Da questi ambienti esse risalgono a quelli artificiali come le condotte cittadine e gli impianti idrici degli edifici, come i serbatoi, le tubature, le fontane e le piscine (sono state rilevate anche in fanghi di fiume o torrente, o argilla per manufatti in terracotta). Le condizioni più favorevoli alla proliferazione sono: condizioni di stagnazione; presenza di incrostazioni e sedimenti; biofilm; presenza di amebe.

I batteri, inoltre, possono sopravvivere con una temperatura dell'acqua compresa tra i 5,7 e i 55°C, mentre hanno il massimo sviluppo con una temperatura dell’acqua compresa tra i 25 e i 42°C. Da evidenziare la loro capacità di sopravvivenza in ambienti acidi e alcalini, sopportando valori di pH compresi tra 5,5 e 8,1. Trasmissione L’uomo contrae l’infezione attraverso aerosol, cioè quando inala acqua in piccole goccioline (1-5 micron) contaminata da una sufficiente quantità di batteri; quando questa entra a contatto con i polmoni di soggetti a rischio, insorge l'infezione polmonare. Finora non è stata dimostrata la trasmissione interumana diretta. L’infezione da legionella può dare luogo a due distinti quadri clinici: la febbre di Pontiac e la legionellosi. La febbre di Pontiac ha un periodo di incubazione di 24-48 ore e si risolve in 2-5 giorni. È accompagnata da malessere generale e cefalee seguiti da febbre. La legionellosi ha un periodo di incubazione medio di 5-6 giorni ed è molto più grave: oltre a malessere, cefalee e tosse, possono essere presenti sintomi gastrointestinali, neurologici e cardiaci e complicanze varie; nei casi più gravi può addirittura essere letale. Una polmonite da legionella non si distingue da altre forme atipiche o batteriche di polmonite, ma è riconoscibile dalle modalità di coinvolgimento degli organi extrapolmonari. I principali fattori di rischio che favoriscono l’acquisizione della legionellosi sono: età avanzata; il fumo; immunodeficienza; sesso maschile; patologie cronico-degenerative;

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Impianti critici Le installazioni che producono acqua nebulizzata, come gli impianti di condizionamento, le reti di ricircolo acqua calda negli impianti idrico-sanitari, costituiscono dei siti favorevoli per la diffusione del batterio. Considerato che l'intervallo di proliferazione del batterio va dai 15 °C a 50 °C (fino a 22 °C il batterio esiste ma è inattivo), esistono delle zone critiche negli impianti idrosanitari: all'interno delle tubazioni, specialmente se obsolete e con depositi all'interno, o anche in tratti chiusi, nei serbatoi di accumulo, nei bollitori, nei soffioni della doccia e nei terminali di distribuzione; anche i sistemi idrici di emergenza, come le docce di decontaminazione, le stazioni di lavaggio per gli occhi e i sistemi sprinkler antincendio possono essere luogo di proliferazione. La legionella è stata rilevata anche in vasche e piscine per idromassaggio. Questi impianti usano acqua calda (in genere tra 32 e 40 °C) e iniettano getti di acqua o aria a grande velocità: i batteri possono essere rilasciati nell’aria dalle bolle che risalgono o con un fine aerosol. Alcuni casi di legionellosi sono stati associati alla presenza di fontane decorative in cui acqua viene spruzzata in aria o fatta ricadere su una base. Le fontane che funzionano a intermittenza presentano un rischio più elevato di contaminazione. Gli altri impianti dove il rischio legionella è elevato sono le torri di raffreddamento a circuito aperto e a circuito chiuso, laddove nelle vicinanze ci sia la presenza di canalizzazioni di ripresa o aspirazione d'aria. Da considerare anche gli impianti di condizionamento dell’aria, come gli umidificatori/raffrescatori a pacco bagnato, i nebulizzatori, i sistemi a spruzzamento. Un'ulteriore fonte di rischio sono gli accumulatori, normalmente presenti negli impianti solari per la produzione di ACS (acqua calda sanitaria), la cui temperatura normale di esercizio si aggira attorno ai 50 °C. La nebulizzazione avviene nei miscelatori di erogazione presenti all'interno della casa, ad esempio quelli della doccia o del bagno. Misure di prevenzione e controllo Le strategie per combattere la proliferazione della legionella nascono innanzitutto dalla prevenzione da effettuarsi in sede di progetto e da una gestione/manutenzione accurata. Per quanto riguarda gli impianti idrici, si raccomanda di: evitare tubazioni con terminali ciechi o senza circolazione; evitare formazione di ristagni; evitare lunghezze eccessive di tubazioni; evitare contatti tra acqua e aria o accumuli in serbatoi non sigillati; prevedere una periodica e facile pulizia; scegliere con cura i materiali (è stato rilevato che le tubazioni di rame inibiscono la

proliferazione della legionella); evitare la scelta impiantistica di torri evaporative in favore di soluzioni alternative,

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I trattamenti da effettuare una volta constatata la proliferazione vanno valutati caso per caso; in genere i più comuni sono: trattamento termico, in cui si mantiene l’acqua a una temperatura superiore ai 60 °C,

condizione in cui si inattiva la legionella; shock termico: si eleva la temperatura dell’acqua, generalmente per mezzo di scambiatori di

calore, fino a 70-80 °C per almeno 30 minuti al giorno per tre giorni, fino ai rubinetti; iperclorazione continua: si introduce cloro nell’impianto sotto forma di ipoclorito di calcio o di

sodio, fino a che la concentrazione residua del disinfettante sia compresa tra 1 e 3 mg/l; iperclorazione shock: si mantiene una concentrazione di 50 mg/l per un’ora oppure 20 mg/l per

due ore; biossido di cloro: consente una disinfezione continua, con valori modesti di cloro residuo,

mantenendo la potabilità dell'acqua, rimuove il biofilm (habitat naturale della legionella) e costituisce un'azione molto prolungata sia nel tempo sia nella distanza dal punto di iniezione; i valori consigliati sono di 0,2-0,4 mg/l; non produce sottoprodotti (tipo i THM), viene prodotto in loco con appositi generatori con capacità di produzione adeguate all'impianto da disinfettare; con le concentrazioni sopra dette non produce aggressioni alle tubazioni;

monoclorammina: le monoclorammine sono più stabili del cloro libero, hanno un maggior potere residuo, non danno origine a trialometani e penetrano meglio nel biofilm. Dosaggi ottimali per l'eradicazione della legionella sono 2-3 mg/l;

raggi ultravioletti: la luce UV (254 nm), generata da speciali lampade, uccide i batteri; ionizzazione rame-argento: si producono ioni generati elettroliticamente fino a una

concentrazione di 0,02-0,08 mg/l di Ag e 0,2-0,08 mg/l di Cu; perossido di idrogeno e argento: si sfrutta l’azione battericida e sinergica tra l’argento e una

soluzione concentrata di perossido di idrogeno (acqua ossigenata); ozono: l'attività germicida dell'ozono si fonda sulla elevata capacità di ossidante diretto; grazie

a questa qualità, tutte le strutture macromolecolari delle cellule (muffe, batteri acetici, eterolattici, lieviti apiculari, ecc.) vengono profondamente alterate e inattivate;

filtri terminali: applicati direttamente al punto di prelievo, formano una barriera meccanica (0,2 μm) al batterio ma devono essere sostituiti con una certa periodicità. Solitamente vengono applicati in abbinata al biossido di cloro, nei punti ad altissimo rischio (docce per grandi ustionati, docce per neonatologia, ecc.).

Analisi del rischio

Quando si esegue una valutazione del rischio, tra i fattori da considerare si ricordano: la fonte di approvvigionamento dell'acqua dall'impianto; i possibili punti di contaminazione dell'acqua all'interno dell'edificio; le caratteristiche di normale funzionamento dell'impianto; le condizioni di funzionamento non usuali, ma ragionevolmente prevedibili (ad esempio le

rotture); le prese d'aria per gli edifici (che non dovrebbero essere situate vicino agli scarichi delle torri

di raffreddamento).

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Nomina di un responsabile

Ogni struttura deve individuare una persona responsabile per l'identificazione e l'applicazione delle misure di controllo del rischio potenziale d’infezione. Fattori di rischio.

Il rischio di acquisizione della legionellosi dipende da un certo numero di fattori. Tra questi si ricordano quelli più importanti:

1) la presenza e la carica di Legionella; 2) le condizioni ideali per la moltiplicazione del microrganismo (ad esempio: temperatura

compresa tra 20 e 50°C, presenza di una fonte di nutrimento come alghe, calcare, ruggine o altro materiale organico);

3) la presenza di tubature con flusso d'acqua minimo o assente; 4) l'utilizzo di gomma e fibre naturali per guarnizioni e dispositivi di tenuta; 5) la presenza di impianti in grado di formare un aerosol capace di veicolare la legionella (un

rubinetto, un nebulizzatore, una doccia, una torre di raffreddamento, ecc.); 6) la presenza (e il numero) di soggetti sensibili per abitudini particolari (es. fumatori) o

caratteristiche peculiari (età, patologie croniche, ecc.). Ispezione della struttura

Una corretta valutazione del rischio correlato ad una struttura deve partire dall'analisi di uno schema aggiornato (se disponibile) dell'impianto, per individuarne i punti critici. In base alla mappa si può prevedere quali siano le sezioni dell'impianto che possono presentare un rischio per le persone presenti all’interno dell’edificio. L'ispezione della struttura deve essere accurata per poter evidenziare eventuali fonti di rischio e valutare l'intero impianto, non solamente i singoli componenti. A questo deve seguire la valutazione dell'uso delle varie sezioni o parti dell'impianto, alla ricerca di bracci morti, o soggetti a ristagno d’acqua, o ad un suo defluire intermittente. Particolare attenzione va posta nel valutare l'utilizzo delle differenti aree, o ali, della struttura in funzione di una loro possibile bassa occupazione, che potrebbe favorire la proliferazione del batterio. Periodicità.

L'analisi del rischio deve essere effettuata regolarmente (almeno ogni 2 anni) e ogni volta che ci sia motivo di pensare che la situazione si sia modificata. L'analisi deve, comunque, essere rifatta ad ogni segnalazione di un possibile caso di legionellosi. Registro degli interventi

Ogni struttura deve istituire un registro per la documentazione degli interventi di valutazione del rischio e di manutenzione, ordinari e straordinari, sugli impianti idrici e di climatizzazione. Tutti gli interventi devono essere approvati e firmati dal responsabile.

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Punti a rischio

La valutazione dei punti a rischio, a cura del Responsabile, si propone di identificare eventuali potenziali fonti di rischio e deve considerare non solo i componenti (serbatoi, pompe, tubature, bracci morti, parti dell’impianto usate ad intermittenza) ma tutto l’impianto nella sua interezza. La valutazione deve interessare anche quelle parti del sistema idrico che non sono usate abitualmente.

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9.11 Stress lavoro-correlato La valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004. Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. In pratica non tutti i luoghi di lavoro e non tutti i lavoratori ne sono necessariamente interessati. Considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme. Lo stress è uno stato, che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. L’individuo è capace di reagire alle pressioni a cui è sottoposto nel breve termine e queste possono essere considerate positive (per lo sviluppo dell’individuo stesso), ma di fronte ad una esposizione prolungata a forti pressioni egli avverte grosse difficoltà di reazione. Inoltre, persone diverse possono reagire in modo diverso a situazioni simili e una stessa persona può, in momenti diversi della propria vita, reagire in maniera diversa a situazioni simili. Lo stress non è una malattia, ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute. Lo stress indotto da fattori esterni all’ambiente di lavoro può condurre a cambiamenti nel comportamento e ridurre l’efficienza sul lavoro. Tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non vanno considerate causate dal lavoro stesso. Lo stress da lavoro può essere causato da vari fattori quali il contenuto e l’organizzazione del lavoro, l’ambiente di lavoro, una comunicazione “povera”, ecc. I sintomi dell’insorgenza di problemi di stress possono essere raggruppati in tre classi: 1) Manifestazioni di alterazione della salute personale.

Si tratta di un vasto elenco di sindromi psicosomatiche, come ad esempio: disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia); disturbi gastroenterici (ulcera e colite); disturbi cardiocircolatori (ipertensione, ischemia); disturbi respiratori (asma bronchiale); disturbi urogenitali (alterazioni mestruali, incontinenza); disturbi sessuali (impotenza); disturbi locomotori (dolori lombari, reumatismo psicogeno, cefalee da contrazione muscolare); disturbi dermatologici (la pelle è anche espressione delle emozioni: sudore, pallore,

arrossamento); disturbi del sonno.

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2) Alterazioni del comportamento con riguardo a: tabagismo; alcolismo; consumo di droghe e stupefacenti; dipendenza da farmaci; insoddisfazione; riduzione livelli di aspirazione; irritabilità.

3) Manifestazioni di problemi organizzativi come: assenteismo; turn over; conflittualità; bassa qualità.

I fattori che causano stress possono essere: lavoro ripetitivo ed arido; carico di lavoro e di responsabilità eccessivo o ridotto; rapporto conflittuale uomo – macchina; conflitti nei rapporti con colleghi e superiori; fattori ambientali (rumore, presenza di pubblico, ecc.); lavoro notturno e turnazione.

Occorre provvedere alla tutela, in particolare, della salute psichica lesa o messa in pericolo dalla cattiva organizzazione delle risorse umane, la tutela del rischio specifico da stress lavorativo di una particolare categoria di lavoratori che in ragione delle peculiarità della prestazione lavorativa sono i soggetti più esposti alla sindrome in esame. Ed è in quest’ottica che verranno effettuati adeguati controlli periodici sui lavoratori, in quanto solo attraverso i singoli controlli è possibile acquisire quelle conoscenze sulla base delle quali il datore di lavoro è in grado di evitare il rischio specifico dello stress lavorativo (ad esempio non assegnare turni notturni una persona che ha già manifestato e magari curato sindromi depressive) con una diversa organizzazione del personale, secondo il normale criterio del prevedibile ed evitabile. Ai tradizionali fattori di rischio inoltre si affiancano oggi "nuovi fattori", legati al rapporto persona-lavoro, agli aspetti relazionali e motivazionali, alla disaffezione, all'insoddisfazione, al malessere collegato al ruolo del singolo lavoro, alle relazioni con i colleghi ed i capi, alle vessazioni morali e sessuali, al rapporto con le tecnologie e con le loro continue evoluzioni. Il fenomeno del disagio lavorativo sta assumendo sempre maggiore rilevanza ed esprime il cedimento psicofisico del lavoratore-lavoratrice nel tentativo di adattarsi alle difficoltà del confronto quotidiano con la propria attività lavorativa.

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Lo stress può causare problemi di natura fisica e mentale quando le pressioni e le richieste diventano eccessive e assillanti, con effetti negativi per i lavoratori e le aziende. Lo stress dipende dal contesto di lavoro (organizzazione, ruolo, carriera, autonomia, rapporti interpersonali) e dal contenuto del lavoro (ambiente, attrezzature, orario, carico-ritmi, formazione, compiti). Esso si può prevenire attraverso una valutazione del rischio simile a quella applicata a tutti gli altri rischi sul posto di lavoro, coinvolgendo i lavoratori e le lavoratrici ed i loro rappresentanti, gli RLS. Il mobbing produce stress e lo stress facilita l'insorgere di situazioni di mobbing. E' importante distinguerli, perché diverse sono le cause e diversi i rimedi. In particolare il mobbing si configura come l'insieme di azioni personali e impersonali aggressive, violente, ripetute, immotivate, individuali o di gruppo che incidono in modo significativo sulla condizione emotiva e psicofisica di un individuo o di un gruppo di individui. Che cosa è lo STRESS Lo stress è la risposta non specifica dell’organismo umano di fronte a qualsiasi sollecitazione e stimolo si presenti, innestando una normale reazione di adattamento che può arrivare ad essere patologica in situazioni estreme. Quindi lo stress si manifesta quando l’organismo deve rispondere a qualsiasi stimolo del mondo esterno e questa risposta consiste in un adattamento del comportamento e in un’attivazione dei sistemi biologici (psico-neuro-endocrini) che permettono di affrontare e risolvere la situazione in modo tale da evitare possibili conseguenze negative e permettere di sviluppare forme di adattamento nel caso non sia possibile risolvere la situazione. Quindi, una cosa importante da tenere a mente è che lo stress non è di per sè sempre un fattore negativo, in quanto esiste uno stress positivo chiamato eustress che ci rende più capaci di adattarci positivamente alle situazioni, ma esiste poi uno stress negativo chiamato distress quando la situazione richiede uno sforzo tale di adattamento da superare le nostre capacità di realizzarlo, e quindi si instaura un logorio progressivo che porta al superamento delle nostre difese psicofisiche. Dal momento in cui il nostro organismo viene stimolato e deve rispondere a questa sollecitazione, esso mette in moto alcuni meccanismi specifici che stanno alla base dello stress e più precisamente in questa risposta si individua: una coppia “stimolo- risposta”, uno sforzo di adattamento, per rispondere in modo adeguato ed efficace allo stimolo, un alto consumo “energetico” (psichico e fisico) per realizzare questo sforzo di adattamento.

Ora in base alle modalità con cui gli stimoli esterni si presentano, il nostro organismo risponderà in modo diverso e più precisamente attraverso due modalità distinte in: 1) Stress acuto: quando gli eventi stressanti si presentano in modo acuto e la risposta dell’organismo si gioca ed esaurisce nel giro di pochi minuti o ore (ad esempio una notizia luttuosa); 2) Stress cronico: quando gli eventi stressanti si protraggono per giorni, settimane, mesi e la risposta dell’organismo deve essere mantenuta per tutto quel tempo (ad esempio un rapporto di lavoro problematico).

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Oggetto di valutazione da parte del datore di lavoro è il distress cioè la parte negativa dello stress la cui sindrome si caratterizza per: una prima fase di “allarme” una seconda fase di “resistenza” una terza fase di “esaurimento funzionale

Dopo una prima fase di allarme cioè di aumentata attenzione e tensione l’organismo cerca di contrastare la situazione stressante, acuta o cronica che sia, opponendo una resistenza agli effetti che questa situazione produce sul proprio equilibrio, ma ad un certo punto, nel tentativo di contrastarla, va in esaurimento perché il costo della resistenza è più forte delle capacità di cui dispone il nostro organismo che con il passare del tempo si esaurisce facendo così emergere gli effetti dello stress da lavoro. I fattori stressanti sul lavoro Si possono dividere i fattori stressanti sul lavoro in tre grandi gruppi:

a) fattori materiali, b) fattori organizzativi in senso classico, c) fattori immateriali e psicosociali

Tutti questi possono contribuire a creare una condizione di stress. Relativamente ai fattori materiali, spesso si pensa che lo stress sia soltanto frutto di un disordine psicologico o relazionale. Certamente lo stress è principalmente un fatto psicologico e relazionale, ma anche gli aspetti materiali contano; un ambiente di lavoro molto rumoroso, le vibrazioni, gli inquinanti aerei, le basse temperature e gli sbalzi di temperatura, la movimentazione di carichi pesanti, posture viziate e stancanti, sono tutti elementi che contribuiscono a creare stress. Più interessanti sono i fattori organizzativi: i principali sono gli orari di lavoro, i turni in particolare quelli con forte rotazione e il lavoro notturno, i carichi di lavoro, i ritmi di lavoro, la ripetitività e la monotonia; tutti questi possono essere fattori causali o concausali di stress. L’ultimo gruppo di fattori chiamato psicosociali relativi al contesto lavorativo riguardano il rapporto con l’ambiente di lavoro e il contenuto del lavoro (se piace oppure no), aspetti quindi molto contigui ai fattori organizzativi visti in precedenza. In particolare, i fattori psicosociali legati al contesto lavorativo sono dovuti all’eventuale carenza di cultura organizzativa, motivazionale e comunicativa dell’azienda; un’azienda che non sa motivare, che non trasmette le informazioni, che non sviluppa un buon sistema di relazioni è un’azienda in cui la possibilità di andare incontro a stress è molto maggiore. Altri aspetti sono il ruolo che si ha nell’ambito dell’organizzazione: sono chiari, ad esempio, i compiti e il mandato? Può evolvere la carriera? Quale il controllo sul proprio lavoro? Il livello di responsabilità è troppo elevato o viceversa si è deresponsabilizzati? Questi sono tutti elementi che ogni giorno incidono sul vissuto rispetto al lavoro.

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Altri fattori potenzialmente stressanti sono i rapporti interpersonali, orizzontali e verticali, i conflitti sul lavoro e i conflitti lavoro-famiglia, in quanto il mondo del lavoro è aperto e comunicante con il mondo della vita quotidiana, gli aspetti legati al contenuto del lavoro; quante volte, per esempio, ci accorgiamo che il lavoro che ci viene affidato non è congruo rispetto alle nostre capacità e rispetto alle nostre competenze. Se il lavoro è troppo difficile ci mette in ansia, se è troppo facile ci dà un senso di frustrazione, in quanto potremmo usare meglio le nostre risorse, infatti lo stress è legato ad un eccesso di stimolazione, ma anche ad un difetto di stimolazione, se ci si trova ad operare dietro ad uno sportello con 300 persone nervose davanti questo è un momento stressante, ma se si è chiusi in un ufficio senza niente da fare anche questo è un fattore stressante. Non percezione del senso e della utilità del proprio lavoro, tempi e risorse che sono assegnate che non sono congrue al lavoro ed ai compiti che vengono affidati, eccessiva flessibilità, sono tutte condizioni che non si può pensare che passino senza lasciare il segno, senza intaccare il nostro vissuto ed il nostro benessere non solo mentale, ma anche fisico. Misure di prevenzione In linea generale si provvederà a: dare ai singoli lavoratori la possibilità di scegliere le modalità di esecuzione del proprio lavoro; diminuire l’entità delle attività monotone e ripetitive; aumentare le informazioni concernenti gli obiettivi; sviluppare uno stile di leadership; evitare definizioni imprecise di ruoli e mansioni; distribuire/comunicare efficacemente gli standard ed i valori dell’organizzazione a tutti i livelli

organizzativi, per esempio tramite manuali destinati al personale, riunioni informative, circolari; fare in modo che gli standard ed i valori dell’organizzazione siano noti ed osservati da tutti i

lavoratori dipendenti; migliorare la responsabilità e la competenza del management per quanto riguarda la gestione

dei conflitti e la comunicazione; stabilire un contatto indipendente per i lavoratori; coinvolgere i dipendenti ed i loro rappresentanti nella valutazione del rischio e nella

prevenzione dello stress psicofisico e del mobbing.

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9.12 Lavoratrici in gravidanza La normativa di riferimento è costituita dal D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, la cui entrata in vigore ha abrogato la legislazione preesistente in materia, costituita essenzialmente dal D. Lgs. 645/1996, che recepiva la direttiva dell'Unione Europea 92/85/CEE, e la legge 30 dicembre 1971, n. 1204 sulla Tutela delle lavoratrici madri. La gravidanza è un aspetto di vita quotidiana della maggior parte delle donne, non deve essere considerata una malattia, quindi risulta naturale che la salute delle lavoratrici sia oltremodo tutelata nel luogo di lavoro durante la gestazione, nel post-partum e nel periodo di allattamento. La lavoratrice, accertato lo stato di gravidanza, lo comunica al Datore di Lavoro con un certificato medico di gravidanza rilasciato a firma del suo ginecologo. Il Datore di Lavoro: informa la lavoratrice ed il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sulle attività che

devono essere evitate, le precauzioni ed i dispositivi di protezione individuale (DPI) da utilizzare, sulle procedure aziendali esistenti a tutela della salute e della sicurezza della stessa e del nascituro, sulle norme di tutela di tipo amministrativo e contrattuale (astensione anticipata, astensione obbligatoria, facoltativa, congedi parentali, rientro al lavoro, ecc.);

richiede ai Dirigenti o preposti, con la collaborazione del Medico Competente, del Servizio di Prevenzione e Protezione e del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, una valutazione delle attività che possono comportare un rischio per la gravida ed il nascituro per verificare il possibile mantenimento della lavoratrice presso la unità operativa, con limitazioni o cambio della mansione, o predisporre il trasferimento presso altra mansione;

nell’impossibilità di adibire la lavoratrice all’interno dell’Azienda in attività non a rischio, lo segnala alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) che può disporre, sulla base di accertamento medico avvalendosi dei competenti organi, l'interdizione dal lavoro per uno o più periodi (astensione per lavoro a rischio).

La ripresa dell'attività lavorativa può avvenire in diversi momenti: nei primi 7 mesi dopo il parto la lavoratrice non può essere esposta a lavori a rischio per il

puerperio o l'allattamento; nei primi 12 mesi dopo il parto la lavoratrice non può svolgere la propria attività in turno

notturno (dalle ore 24:00 alle ore 6:00); periodi di riposo: durante il 1° anno di vita del bambino la lavoratrice ha diritto a due periodi di

riposo di un ora ciascuno. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. I periodi di riposo sono considerati ore lavorative anche agli effetti della retribuzione e comportano il diritto della lavoratrice ad uscire dall'Azienda. In caso di parto plurimo i periodi di riposo sono raddoppiati;

allattamento oltre al 7° mese: in questo caso é consigliabile richiedere una certificazione del pediatra di libera scelta, rinnovabile periodicamente, da inviare al Medico Competente per la formulazione di un giudizio di idoneità che preveda la non esposizione ad attività lavorative a rischio per l’allattamento e che copra la durata dello stesso. Alla sospensione la lavoratrice verrà sottoposta a controllo sanitario per modificare il giudizio di idoneità.

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Astensione dal lavoro Astensione anticipata

Deve essere richiesta alla Direzione Provinciale del Lavoro, entro i tre mesi antecedenti alla data presunta del parto, nel caso in cui si svolgano lavori ritenuti gravosi e/o pregiudizievoli in relazione all’avanzato stato di gravidanza. La DPL può, verificata la presenza delle condizioni citate, disporre l’astensione dal lavoro a partire da 3 mesi prima del parto.

Astensione obbligatoria

Ha una durata di cinque mesi, che possono essere così distribuiti: due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo la data del parto; un mese prima della data presunta del parto e quattro mesi dopo il parto (flessibilità

dell'astensione obbligatoria). Questa opzione può essere richiesta dalla lavoratrice nel settimo mese di gravidanza consegnando un certificato rilasciato dal ginecologo. Per le attività sottoposte a sorveglianza sanitaria il Medico Competente dovrà attestare l'assenza di controindicazioni lavorative;

in caso di attività a rischio per l'allattamento questo periodo è prolungato sino a sette mesi dopo il parto (prolungamento del periodo di astensione obbligatoria). La donna può inoltrare la domanda al datore di lavoro entro il terzo mese di vita del bambino. Il datore di lavoro, in caso di impossibilità ad adibire la lavoratrice ad altra mansione, ne informa la DPL.

L’art.12, comma 1, del D.lgs. 151/2001 ha introdotto la facoltà, per le lavoratrici dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati, di utilizzare in forma flessibile il periodo dell’interdizione obbligatoria dal lavoro di cui all’art.4 della Legge 1204/71 (due mesi prima del parto e tre mesi dopo il parto), posticipando un mese dell’astensione prima del parto al periodo successivo al parto. Per poter avvalersi di tale facoltà, la lavoratrice gestante dovrà presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’ente erogatore dell’indennità di maternità (INPS), corredata da certificazione del medico ostetrico-ginecologo del SSN o con esso convenzionato la quale esprima una valutazione, sulla base delle informazioni fornite dalla lavoratrice sull’attività svolta, circa la compatibilità delle mansioni e relative modalità svolgimento ai fini della tutela della salute della gestante e del nascituro e, qualora la lavoratrice sia adibita a mansione comportante l’obbligo di sorveglianza sanitaria, un certificato del Medico Competente attestante l’assenza di rischi per lo stato di gestazione Esami clinici in gravidanza La lavoratrice ha diritto di assentarsi dal lavoro per l’effettuazione di accertamenti medici. La lavoratrice, salvo casi di urgenza provvederà a comunicare l’assenza con un congruo anticipo (almeno 3 gg) al proprio responsabile, indicando la durata stimata dell’assenza. Successivamente fornirà documentazione giustificativa concernente data, orario di effettuazione e attestazione relativa alla necessità di svolgimento durante l’orario di lavoro.

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Principali rischi I pericoli e le situazioni correlate cui si possono trovare esposte le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento sono i seguenti:

1. Condizioni di lavoro

Orari ed organizzazione del lavoro. L’affaticamento mentale e psichico, in genere, aumenta durante la gravidanza e nel periodo post natale a causa dei diversi cambiamenti, fisiologici e non, che intervengono. A causa della crescente stanchezza che avvertono, alcune donne gestanti o che allattano possono non essere in grado di effettuare turni irregolari o serali, lavoro notturno, straordinario. L’organizzazione dell'orario di lavoro (compresi gli intervalli di riposo, la loro frequenza e i tempi stabiliti) può ripercuotersi sulla salute di una donna incinta e del nascituro, sul suo recupero dopo il parto o sulla sua capacità di allattare e può inoltre aumentare i rischi di stress e di patologie da stress. Inoltre, considerati i mutamenti della pressione sanguigna che possono verificarsi durante e dopo la gravidanza e il parto, la tipologia normale di pause sul lavoro può non essere adatta per le lavoratrici madri.

Carichi posturali. La fatica derivante dallo stare in piedi e da altre attività fisiche è stata spesso considerata tra le cause di aborti spontanei, parti prematuri e neonati sotto peso. Mutamenti fisiologici nel corso della gravidanza (maggiore volume sanguigno e aumento delle pulsazioni cardiache, dilatazione generale dei vasi sanguigni e possibile compressione delle vene addominali o pelviche) favoriscono la congestione periferica durante la postura eretta. Mentre se le lavoratrici in gestazione siedono a lungo immobili il riempimento venoso nelle gambe aumenta notevolmente e può provocare una sensazione di dolore e un edema. Inoltre, è potenzialmente pericoloso lavorare in posti di lavoro ristretti e non sufficientemente adattabili, in particolare nelle ultime fasi della gravidanza, al crescente volume addominale. Ciò può determinare stiramenti o strappi muscolari e vengono in tal modo limitate la destrezza, l'agilità, il coordinamento, la velocità dei movimenti, la portata e l'equilibrio delle lavoratrici, con un rischio accresciuto d'infortunio.

Stress professionale. Le lavoratrici gestanti e puerpere possono risentire in modo particolare dello stress professionale per vari motivi: durante e dopo la gestazione intervengono mutamenti ormonali, fisiologici e psicologici, in

rapida successione, che possono accrescere la sensibilità allo stress, l'ansietà o la depressione in singole persone;

una certa insicurezza finanziaria, emotiva e l'incertezza del posto di lavoro possono derivare dai cambiamenti nella situazione economica determinati dalla gravidanza, in particolare se ciò si rispecchia nella cultura del posto di lavoro;

può essere difficile conciliare vita lavorativa e privata, in particolare in presenza di orari di lavoro lunghi, imprevedibili o che precludono una vita sociale oppure in presenza di altre responsabilità familiari.

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l'eventuale esposizione a situazioni che comportano violenza sul posto di lavoro. Un ulteriore stress da lavoro può verificarsi se una donna ha avuto problemi nel corso di precedenti gravidanze (aborti spontanei, mortinatalità o altre anomalie) la sua paura potrebbe essere aumentata a causa della pressione dei colleghi di lavoro o di altre pressioni esercitate sul posto di lavoro. Stando ad alcuni studi, allo stress è possibile fare risalire una più alta incidenza di aborti spontanei e una ridotta capacità di allattamento.

2. Agenti fisici

Colpi, urti e vibrazioni. L'esposizione regolare a colpi, urti improvvisi contro il corpo o vibrazioni a bassa frequenza può accrescere il rischio di un aborto spontaneo. Mentre un'esposizione prolungata a vibrazioni che interessano il corpo intero possono accrescere il rischio di parto prematuro o di neonati sotto peso.

Rumore. L'esposizione prolungata a rumori forti può determinare un aumento della pressione sanguigna e un senso di stanchezza. Studi sperimentali hanno evidenziato che un'esposizione prolungata del nascituro a rumori forti può avere un effetto sulle sue capacità uditive dopo la nascita e che le basse frequenze sono maggiormente suscettibili di provocare danno.

Radiazioni ionizzanti. Un'esposizione alle radiazioni ionizzanti comporta elevati rischi soprattutto per il nascituro. Sostanze contaminanti radioattive inalate o ingerite dalla madre possono passare nel latte e, attraverso la placenta, nel nascituro oppure determinare un'esposizione indiretta del bambino, tramite il contatto con la pelle della madre.

Sollecitazioni termiche. Durante la gravidanza le donne sopportano meno il calore ed è più facile che svengano o risentano di stress termici, anche l'allattamento può essere pregiudicato a causa della disidratazione da calore. Analogamente temperature molto fredde possono essere pericolose per le gestanti e i nascituri. 3. Agenti biologici

Molti agenti biologici che rientrano nei tre gruppi di rischio possono interessare il nascituro in caso di infezione della madre durante la gravidanza. Essi possono giungere al bambino per via placentare mentre questo è ancora nell'utero oppure durante e dopo il parto nel corso dell'allattamento, a seguito dello stretto contatto fisico tra madre e bambino. Agenti tipici che possono infettare il bambino in uno di questi modi sono il virus dell’epatite B, quello dell'epatite C, l'HIV (il virus dell'AIDS), l'herpes, la tubercolosi, la sifilide, la varicella e il tifo.

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La rosolia e la toxoplasmosi possono danneggiare il nascituro che può essere colpito anche da altri agenti biologici, ad esempio il citomegalovirus (un'infezione diffusa nella collettività umana) e la clamidia presente negli ovini. Per la maggior parte dei lavoratori il rischio d'infezione non è più elevato sul posto di lavoro che nella vita quotidiana, ma in certe occupazioni l'esposizione alle infezioni è più probabile.

4. Agenti chimici Sono vietate le sostanze etichettate con le seguenti frasi di rischio: R40: possibilità di effetti irreversibili; R45: può provocare il cancro; R46: può provocare alterazioni genetiche ereditarie; R49: può provocare il cancro per inalazione; R61: può provocare danni ai bambini non ancora nati; R63: possibile rischio di danni ai bambini non ancora nati; R64: possibile rischio per i bambini allattati al seno.

Analogamente per i preparati, quando essi contengano una sostanza a concentrazione maggiore, etichettata con le suddette frasi di rischio. Alcuni agenti chimici inoltre possono penetrare attraverso la pelle ed essere assorbiti dal corpo con ripercussioni negative sulla salute, i rischi quindi, dipendono dal modo in cui esse sono utilizzate oltre che dalle loro proprietà pericolose. L’assorbimento attraverso la pelle può avvenire a seguito di una contaminazione localizzata, ad esempio nel caso di uno schizzo sulla pelle o sugli indumenti, o, in certi casi, dall’esposizione a elevate concentrazioni di vapore nell’aria. Mercurio e suoi derivati.

I composti organici del mercurio possono avere effetti nocivi sul nascituro. Da studi effettuati sugli animali e dall'osservazione di pazienti umani risulta che l’esposizione a mercurio durante la gravidanza può rallentare la crescita del nascituro, perturbare il sistema nervoso e determinare l’avvelenamento della madre e del nascituro in quanto il mercurio organico passa dal sangue al latte.

Piombo e suoi derivati. Tradizionalmente si associa l'esposizione delle gestanti al piombo con aborti e mortinatalità, ma non vi sono indicazioni del fatto che ciò valga ancora in presenza degli attuali standard di esposizione. Vi sono forti segnali del fatto che l'esposizione al piombo, sia intrauterina che post parto, determina problemi nello sviluppo, soprattutto a danno del sistema nervoso e degli organi emopoietici. Le donne. i neonati e i bambini in tenera età sono maggiormente sensibili al piombo che gli adulti maschi. Il piombo passa dal sangue al latte. Questo fenomeno può costituire un rischio per il bambino nell'ipotesi in cui una donna subisca una forte esposizione prima della gravidanza e durante la stessa.

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5. Movimentazione manuale dei carichi La movimentazione manuale di carichi pesanti è rischiosa per la gravidanza in quanto può determinare lesioni al feto e un parto prematuro. Il rischio dipende dallo sforzo, dal peso del carico, dal modo in cui esso viene sollevato e dalla frequenza con cui avviene il sollevamento durante l'orario di lavoro. Con il progredire della gravidanza una lavoratrice incinta è esposta a un rischio maggiore di lesioni, Ciò è causato dal rilassamento ormonale dei legamenti e da problemi posturali ingenerati dalla gravidanza avanzata. Vi possono essere inoltre rischi per le puerpere, ad esempio, dopo un taglio cesareo che può determinare una limitazione temporanea delle capacità di sollevamento e di movimentazione. Le madri che allattano possono trovarsi a disagio a causa del maggiore volume dei seni e della loro maggiore sensibilità.

6. Lavori ai videoterminali I livelli di radiazione elettromagnetica che possono essere generati dai videoterminali non costituiscono un rischio significativo per la salute. Non occorrono quindi misure protettive speciali per tutelare la salute delle persone da tali radiazioni. Sono stati effettuati diversi studi scientifici e non è emersa nessuna correlazione tra gli aborti o le malformazioni dei neonati e l'attività svolta al videoterminale. Il lavoro ai videoterminali può comportare, quindi, solo rischi ergonomici e posturali. Valutazione dei rischi e misure tecniche organizzative La valutazione dei rischi deve comprendere almeno tre fasi: identificazione delle categorie delle lavoratrici (gestanti, puerpere, in periodo di allattamento,

madri adottive e/o affidatarie) e della mansione cui sono adibite; identificazione dei pericoli (agenti fisici, chimici e biologici; attività svolte; movimenti e posture;

fatica psicofisica, ecc.); valutazione del rischio in termini qualitativi e quantitativi.

Tale valutazione prende in esame tutti gli aspetti dell’attività lavorativa per identificare pericoli e probabili cause di lesioni o danni e stabilire in quale modo tali cause possono essere rimosse, in maniera tale da eliminare o ridurre i rischi. Una volta identificati i rischi, sarà necessario stabilire se essi rientrano tra quelli considerati pregiudizievoli per la salute della donna e del bambino. Se tali rischi sono compresi nell’allegato A e B del D.Lgs. 151/01, rientrano tra quelli vietati, mentre se sono compresi nell’allegato C devono essere oggetto di una valutazione in termini quali-quantitativi.

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A seguito della valutazione, il Datore di Lavoro informa adeguatamente la lavoratrice dei rischi connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa e, nel caso si rivelino necessarie, esegue le modifiche temporanee alle condizioni, all'organizzazione ed all'orario di lavoro, per evitare che la gestante o puerpera sia esposta a rischi sul lavoro. Qualora non fosse possibile effettuare alcuna modifica nell'organizzazione e/o nell'orario di lavoro, il datore di lavoro deve assegnare la lavoratrice ad altre mansioni. Se nemmeno l'assegnazione ad altre mansioni fosse possibile, le lavoratrici sono dispensate in anticipo dal lavoro (rispetto al periodo obbligatorio di due mesi prima e tre mesi dopo il parto), così come previsto dal Testo unico sulla maternità. Tutte le lavoratrici ed i loro rappresentati per la sicurezza sono informati dei risultati della valutazione dei rischi e sulle conseguenti misure di prevenzione e protezione adottate, in particolare per il primo trimestre di gravidanza. In effetti vi è un periodo che va dai 30 ai 45 giorni dal concepimento in cui una lavoratrice può essere ancora non consapevole del suo stato e di conseguenza non può darne tempestivamente comunicazione al datore di lavoro. Alcuni agenti, in particolare fisici e chimici, possono nuocere al nascituro proprio in questo periodo e pertanto la consapevolezza della presenza di rischi in ambiente di lavoro, per una donna che abbia programmato una gravidanza, può permetterle di tutelarsi il più precocemente possibile.

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9.13 Lavoro notturno Il Decreto Legislativo n. 66 dell’8 aprile 2003 individua il “periodo notturno” come un periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino. Il medesimo Decreto definisce il “lavoratore notturno”: qualsiasi lavoratore che durante il periodo notturno svolga almeno tre ore del suo tempo di

lavoro giornaliero impiegato in modo normale; qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di

lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga per almeno tre ore lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all'anno; il suddetto limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale.

Si riporta il Titolo IV del D.Lgs. 66/03, come modificato dalla Legge 133/08, che disciplina il lavoro notturno: Art. 11 – Limitazioni al lavoro notturno 1. L'inidoneità al lavoro notturno può essere accertata attraverso le competenti strutture sanitarie pubbliche. 2. I contratti collettivi stabiliscono i requisiti dei lavoratori che possono essere esclusi dall'obbligo di effettuare lavoro notturno. È in ogni caso vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno: a) la lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa; b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a 12 anni; c) la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni. Art. 12 – Modalità di organizzazione del lavoro notturno e obblighi di comunicazione 1. L'introduzione del lavoro notturno deve essere preceduta, secondo i criteri e con le modalità previsti dai contratti collettivi, dalla consultazione delle rappresentanze sindacali in azienda, se costituite, aderenti alle organizzazioni firmatarie del contratto collettivo applicato dall'impresa. In mancanza, tale consultazione va effettuata con le organizzazioni territoriali dei lavoratori come sopra definite per il tramite dell'associazione cui l'azienda aderisca o conferisca mandato. La consultazione va effettuata e conclusa entro un periodo di sette giorni. Art. 13 – Durata del lavoro notturno 1. L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore in media nelle 24 ore, salva l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite.

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2. È affidata alla contrattazione collettiva l'eventuale definizione delle riduzioni dell'orario di lavoro o dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni. Sono fatte salve le disposizioni della contrattazione collettiva in materia di trattamenti economici e riduzioni di orario per i lavoratori notturni anche se non concesse a titolo specifico. 3. Entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro per la funzione pubblica per quanto coinvolge i pubblici dipendenti, previa consultazione delle organizzazioni sindacali nazionali di categoria comparativamente più rappresentative e delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro, viene stabilito un elenco delle lavorazioni che comportano rischi particolari o rilevanti tensioni fisiche o mentali, il cui limite è di otto ore nel corso di ogni periodo di 24 ore. Il predetto decreto, per le materie di esclusivo interesse dei dipendenti pubblici, è adottato dal ministro per la funzione pubblica, di concerto con il ministro del lavoro e delle politiche sociali. 4. Il periodo minimo di riposo settimanale non viene preso in considerazione per il computo della media quando coincida con il periodo di riferimento stabilito dai contratti collettivi di cui al c. 1. 5. Con riferimento al settore della panificazione non industriale la media di cui al comma 1 del presente articolo va riferita alla settimana lavorativa. Art. 14 – Tutela in caso di prestazioni di lavoro notturno 1. La valutazione dello stato di salute dei lavoratori notturni deve avvenire a cura e a spese del datore di lavoro, o per il tramite delle competenti strutture sanitarie pubbliche di cui all'articolo 11 o per il tramite del medico competente di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, attraverso controlli preventivi e periodici, almeno ogni due anni, volti a verificare l'assenza di controindicazioni al lavoro notturno a cui sono adibiti i lavoratori stessi. 2. Durante il lavoro notturno il datore di lavoro garantisce, previa informativa alle rappresentanze sindacali di cui all'articolo 12, un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno. 3. Il datore di lavoro, previa consultazione con le rappresentanze sindacali di cui all'articolo 12, dispone, ai sensi degli articoli 40 e seguenti del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, per i lavoratori notturni che effettuano le lavorazioni che comportano rischi particolari di cui all'elenco definito dall'articolo 13, comma 3, appropriate misure di protezione personale e collettiva. 4. I contratti collettivi di lavoro possono prevedere modalità e specifiche misure di prevenzione relativamente alle prestazioni di lavoro notturno di particolari categorie di lavoratori, quali quelle individuate con riferimento alla legge 5 giugno 1990, n. 135, e alla legge 26 giugno 1990, n. 162. Art. 15 – Trasferimento al lavoro diurno 1. Qualora sopraggiungano condizioni di salute che comportino l'inidoneità alla prestazione di lavoro notturno, accertata dal medico competente o dalle strutture sanitarie pubbliche, il lavoratore verrà assegnato al lavoro diurno, in altre mansioni equivalenti, se esistenti e disponibili. 2. La contrattazione collettiva definisce le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al comma precedente e individua le soluzioni nel caso in cui l'assegnazione prevista dal comma citato non risulti applicabile.

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9.14 Assunzione di bevande alcoliche e superalcoliche Negli ultimi anni la normativa relativa alla prevenzione e sicurezza sul lavoro è andata modificandosi, affrontando gli aspetti legati al rischio aggiuntivo di comportamenti individuali scorretti come l'assunzione di alcolici. Occorre fare riferimento al D.Lgs. n. 81/2008 per stabilire gli obblighi di sorveglianza sanitaria in materia di rischi collegati all'alcol. In particolare l'art. 41, ove viene espressamente indicato che le visite mediche che seguono il protocollo di sorveglianza sanitaria "sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcoldipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti “nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento". Tali casi e condizioni sono individuabili in due disposizioni in vigore nell’attuale Ordinamento e precisamente: La Legge 30 marzo 2001 n. 125, ovvero legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol

correlati, che nell'art. 15 cita le disposizioni secondo cui "nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza e l'incolumità o la salute dei terzi, individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche".

Il Provvedimento del 16 marzo 2006 che contiene l'intesa in materia di individuazione delle attività lavorative ai fini del divieto di assunzione e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, emanata ai sensi del 1° comma dell'art. 15 della suddetta legge 125/2001.

Questi i punti fissi della normativa in materia di alcol e problemi alcol correlati: pertanto il datore di lavoro deve valutare il rischio legato all'assunzione di alcolici all'interno del proprio luogo di lavoro, richiedendo in particolare la collaborazione del medico competente se presente. Il problema lavoro / alcol resta ancora oggi estremamente dibattuto. Numerose sono le problematiche, comprese le implicazioni etiche connesse ai "controlli alcolimetrici" previsti dall'art.15 della Legge 125/2001, quali, ad esempio, la tipologia di test da eseguire, la modalità ed il momento di esecuzione degli stessi. Manca ancora di fatto ad oggi una normativa ad hoc che disciplini la verifica e le conseguenze dello stato di etilista cronico. Inoltre il comma 4 bis del succitato art. 41 del Testo Unico aggiunge che è "prevista, con Accordo da ratificare in Conferenza Stato Regioni, una rivisitazione delle modalità di accertamento dell'alcol dipendenza". In attesa di tale accordo, molti enti locali hanno emanato istruzioni operative per identificare il ruolo e le responsabilità dei diversi attori in gioco nella prevenzione degli infortuni, con l'obiettivo di fornire indicazioni procedurali per dare un orientamento ai datori di lavoro, ai medici competenti nonché per la valutazione dei rischi correlati al consumo di sostanze alcoliche, le misure di prevenzione da adottare e l'effettuazione della sorveglianza sanitaria.

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Particolarmente interessanti quelle in merito agli atti del convegno "Alcol e lavoro. Analisi della situazione attuale e proposte per una normativa migliore" tenutosi il 14 giugno 2010 a Firenze, organizzato dall'Azienda Sanitaria di Firenze in collaborazione con la Regione Toscana e il Coordinamento tecnico interregionale della prevenzione nei luoghi di lavoro. Atti pubblicati sul sito della Società Nazionale Operatori della Prevenzione (SNOP). Viene in questa sede presentato un idoneo approccio alla valutazione e alla gestione del rischio, partendo dall'analisi delle lavorazioni e dalla verifica della "presenza di quelle previste nel documento relativo all'Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006". Essenziale è un'idonea informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti, dei Rappresentanti dei lavoratori e dei lavoratori stessi; vengono qui proposte alcune indicazioni in merito alle disposizioni e istruzioni da impartire quali: "nota formale ai lavoratori affinché non assumano alcolici neppure prima di iniziare il lavoro o

durante le pause pranzo, in quanto ciò comporta un rischio aggiuntivo; ribadire in tale documento che il medico competente ha facoltà di effettuare controlli

alcolimetrici e che il riscontro di livelli elevati di alcol può comportare un allontanamento dalla mansione a rischio."

Viene inoltre ricordato che: la sicurezza relativa al consumo di alcol sul luogo di lavoro è una parte del complesso

problema della sicurezza sul lavoro aziendale che deve essere garantita in tutti i suoi aspetti; l'assunzione di alcolici è un rischio aggiuntivo, di tipo comportamentale, che può incidere in

modo significativo sulla salute e sicurezza dei lavoratori e di terze persone; il rischio di andare incontro ad infortuni sul lavoro legati al consumo di bevande alcoliche è

proporzionale ai livelli di alcolemia ed aumenta in maniera notevole soprattutto in situazioni di “alcolemia elevata”.

Il consumo di bevande alcoliche rientra nella valutazione dei rischi; pertanto "in presenza di attività lavorative che rientrano nell'allegato dell'intesa del 16 marzo 2006, il Datore di lavoro obbligatoriamente deve aggiornare tale valutazione con questo rischio aggiuntivo. In particolare la valutazione dei rischi "dovrà analizzare complessivamente le lavorazioni svolte e dovrà valutare se nel luogo di lavoro sia presente o meno il rischio aggiuntivo legato alla condizione di bere a rischio o di alcoldipendenza dei lavoratori addetti e se vi possano essere conseguenze per i lavoratori interessati o per soggetti terzi (lavoratori e non)". Le attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l'incolumità o la salute dei terzi, per le quali si fa divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, ai sensi dell'art. 15 della legge 30 marzo 2001, n. 125, sono le seguenti: 1) attività per le quali è richiesto un certificato di abilitazione per l'espletamento dei seguenti lavori pericolosi:

a) impiego di gas tossici (art. 8 del regio decreto 9 gennaio 1927, e successive modificazioni); b) conduzione di generatori di vapore (decreto ministeriale 1° marzo 1974); c) attività di fochino (art. 27 del decreto del Presidente della Repubblica 9 marzo 1956, n. 302);

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d) fabbricazione e uso di fuochi artificiali (art. 101 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635); e) vendita di fitosanitari,(art.23 del decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001,n.290); f) direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari (decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1970, n. 1450, e successive modifiche); g) manutenzione degli ascensori (decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1999, n. 162);

2) dirigenti e preposti al controllo dei processi produttivi e alla sorveglianza dei sistemi di sicurezza negli impianti a rischio di incidenti rilevanti (art. 1 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334); 3) sovrintendenza ai lavori previsti dagli articoli 236 e 237 del decreto dei Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547; 4) mansioni sanitarie svolte in strutture pubbliche e private in qualità di: medico specialista in anestesia e rianimazione; medico specialista in chirurgia; medico ed infermiere di bordo; medico comunque preposto ad attività diagnostiche e terapeutiche; infermiere; operatore socio-sanitario; ostetrica caposala e ferrista; 5) vigilatrice di infanzia o infermiere pediatrico e puericultrice, addetto ai nidi materni e ai reparti per neonati e immaturi; mansioni sociali e socio-sanitarie svolte in strutture pubbliche e private; 6) attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado; 7) mansioni comportanti l'obbligo della dotazione del porto d'armi, ivi comprese le attività di guardia particolare e giurata; 8) mansioni inerenti le seguenti attività di trasporto:

a) addetti alla guida di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria B, C, D, E, e quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione professionale per la guida di taxi o di veicoli in servizio di noleggio con conducente, ovvero il certificato di formazione professionale per guida di veicoli che trasportano merci pericolose su strada; b) personale addetto direttamente alla circolazione dei treni e alla sicurezza dell'esercizio ferroviario; c) personale ferroviario navigante sulle navi del gestore dell'infrastruttura ferroviaria con esclusione del personale di carriera e di mensa; d) personale navigante delle acque interne; e) personale addetto alla circolazione e alla sicurezza delle ferrovie in concessione e in gestione governativa, metropolitane, tranvie e impianti assimilati, filovie, autolinee e impianti funicolari aerei e terrestri; f) conducenti, conduttori, manovratori e addetti agli scambi di altri veicoli con binario, rotaie o di apparecchi di sollevamento, esclusi i manovratori di carri ponte con pulsantiera a terra e di monorotaie; g) personale marittimo delle sezioni di coperta e macchina, nonché il personale marittimo e tecnico delle piattaforme in mare, dei pontoni galleggianti, adibito ad attività off-shore e delle navi posatubi; h) responsabili dei fari; i) piloti d'aeromobile; l) controllori di volo ed esperti di assistenza al volo; m) personale certificato dal registro aeronautico italiano; n) collaudatori di mezzi di navigazione marittima, terrestre ed aerea; o) addetti ai pannelli di controllo del movimento nel settore dei trasporti; p) addetti alla guida di' macchine di movimentazione terra e merci;

9) addetto e responsabile della produzione, confezionamento, detenzione, trasporto e vendita di esplosivi;

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10) lavoratori addetti ai comparti della edilizia e delle costruzioni e tutte le mansioni che prevedono attività in quota, oltre i due metri di altezza; 11) capiforno e conduttori addetti ai forni di fusione; 12) tecnici di manutenzione degli impianti nucleari; 13) operatori e addetti a sostanze potenzialmente esplosive e infiammabili, settore idrocarburi; 14) tutte le mansioni che si svolgono in cave e miniere. Approccio alla valutazione e alla gestione del rischio Effettuare l’analisi/descrizione delle lavorazioni e la verifica della "presenza di lavorazioni

previste nel documento relativo all'Intesa Stato-Regioni del 16 marzo 2006" e della "presenza di un rischio potenziale, legato ad eventuali condizioni di alcoldipendenza od abuso alcolico dei lavoratori, consistente nella possibilità di verificarsi di potenziali eventi" infortunistici.

Effettuare l’"analisi retrospettiva degli incidenti (c.d. ‘eventi mancati') e degli infortuni occorsi, con potenziale attribuzione (anche parziale, come cofattore) al rischio legato ad eventuali condizioni di alcoldipendenza od abuso alcolico dei lavoratori. Analizzare la loro tipologia (es. ‘ripetitività' per singolo lavoratore).

Richiedere il contributo del medico competente, sulla base delle anamnesi raccolte e dei risultati degli accertamenti svolti nell'ambito della sorveglianza sanitaria (in forma anonima, collettiva).

Individuare le figure del Sistema di Gestione e Sicurezza del Lavoro (SGSL), formate, referenti per il problema, definendo gli strumenti della loro specifica attività e la tracciabilità delle loro azioni.

Effettuare l'informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti, dei Rappresentanti dei lavoratori e dei lavoratori stessi.

Disporre la proibizione in azienda dell'assunzione, somministrazione, distribuzione e vendita di alcolici, dandone informazione a tutti i lavoratori".

Senza dimenticare di valutare, nell'ambito delle lavorazioni presenti in azienda, "oltre che quelle a rischio anche quelle potenzialmente non a rischio (se presenti), al fine di collocarvi utilmente i lavoratori che risultassero portatori di problemi alcol-correlati". Per la gestione del rischio, necessita soffermarsi anche sull'articolo 18 del D.Lgs. 81/2008 e sugli obblighi di datori di lavoro e dirigenti. Ad esempio in merito: alla nomina del medico competente per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi

previsti dal decreto; all'affidamento dei compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro capacità e condizioni; alla necessità di richiedere l'osservanza delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali e di

adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento. In particolare è necessario vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.

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Si precisa inoltre che in virtù dell'articolo 41 del D.Lgs. 81/2008 (nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento le visite sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti) e del fatto che l'alcol per i suoi effetti è una sostanza psicotropa, "il medico competente può quindi, nell'ambito della sorveglianza sanitaria, effettuare anche il rilievo dell'alcolemia in funzione del rischio segnalato dal datore di lavoro o dal dirigente". Tale accertamento deve essere effettuato sulla base di un protocollo stabilito dal medico competente. Riguardo ai controlli alcolimetrici è "necessaria una specifica procedura, condivisa, che preveda che la richiesta di intervento del medico competente possa essere effettuata dal Datore di lavoro o da un dirigente, delegato e formato, sulla base di criteri derivanti da linee guida, o almeno discussi con gli SPSAL e i Servizi di Alcologia della Regione di appartenenza, oltre che con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza". Disposizioni e istruzioni da impartire nel luogo di lavoro Emanare "nota formale ai lavoratori affinché non assumano alcolici neppure prima di iniziare il

lavoro o durante le pause pranzo, in quanto ciò comporta un rischio aggiuntivo. Ribadire in tale documento che il medico competente ha facoltà di effettuare controlli

alcolimetrici e che il riscontro di livelli elevati di alcol può comportare un allontanamento dalla mansione a rischio.

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9.15 Assunzione di sostanze stupefacenti e psicotrope Negli ultimi anni la normativa relativa alla prevenzione e sicurezza sul lavoro è andata modificandosi, affrontando gli aspetti legati al rischio aggiuntivo di comportamenti individuali scorretti come l'assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Occorre fare riferimento al D.Lgs. n. 81/2008 per stabilire gli obblighi di sorveglianza sanitaria in materia di rischi collegati all'assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. In particolare l'art. 41, ove viene espressamente indicato che le visite mediche che seguono il protocollo di sorveglianza sanitaria "sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcoldipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti “nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento". Tali casi e condizioni sono individuabili in tre disposizioni in vigore nell’attuale Ordinamento e precisamente:

il DPR 9 ottobre1990, n.309, ovvero “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”.

l’intesa Stato Regioni 30 ottobre 2007, ovvero “Intesa, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di accertamenti di assenza di tossicodipendenza”.

l’accordo del 18 settembre2008, ovvero “Accordo, ai sensi dell'articolo 8, comma 2 dell'Intesa in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza, perfezionata nella seduta della Conferenza Unificata del 30 ottobre 2007 (Rep. Atti n. 99/CU), sul documento recante «Procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di terzi». (Rep. Atti n. 178/CSR). (G.U. Serie Generale n. 236 del 8 ottobre 2008)”.

Questi i punti fissi della normativa in materia di sostanze psicotrope e stupefacenti: pertanto il datore di lavoro, qualora ne ricorrano le condizioni, deve attivare nel luogo di lavoro le “Procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di terzi” Posto che le sostanze psicotrope che possono essere indagate dal medico competente sono per legge solo le anfetamine e non altre presenti anche in taluni farmaci, le procedure da attivarsi sono le seguenti: Il datore di lavoro deve comunicare al medico-competente per iscritto i nominativi dei lavoratori

da sottoporre ad accertamento, i controlli dovranno avvenire almeno una volta all’anno. Gli accertamenti vanno effettuati “solo” per le mansioni a rischio, e comunque prima

dell’affidamento della mansione a rischio, periodicamente, quando sussiste un ragionevole dubbio di assunzione di sostanze illecite, dopo un incidente avvenuto durante il lavoro.

Al medico competente spetta di organizzare le visite ed i controlli dando notizia al lavoratore

della data di visita con un preavviso di non più di un giorno.

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In sede di visita di primo livello il medico deve effettuare una visita medica “orientata” ed uno dei test tossicologico-analitico di primo livello (prelievo di un campione di urina).

Nel caso di negatività del test il lavoratore viene dichiarato idoneo da parte del medico

competente. In caso di positività, il test deve essere ulteriormente confermato da un esame di laboratorio

più approfondito e se ancora positivo il lavoratore dovrà essere giudicato “temporaneamente inidoneo alla mansione” (però può effettuare altre mansioni).

Il costo dell’esame tossicologico richiesto dal lavoratore che ritenga non corretto il risultato di

quello effettuato in azienda (falsi positivi ecc) è a carico del lavoratore e il lavoratore ha dieci giorni di tempo per richiederlo (dalla data in cui gli viene comunicata la positività).

Se confermata la positività, anche dopo la revisione, il lavoratore (secondo livello di

accertamento) viene inviato al SERT per accertare se si è in presenza di consumatore che fa uso sporadico o di tossicodipendente.

In caso di lavoratore per il quale il SERT NON formuli un giudizio di dipendenza, il medico

competente deve effettuare controlli periodici per almeno 6 mesi e con una frequenza che deve essere almeno mensile. Dopodiché il lavoratore che sia risultato sempre negativo può riprendere la sua mansione.

Se il SERT invece accerta la dipendenza il lavoratore è inviato (pena il licenziamento) a

sottoporsi ad un percorso di cura e riabilitazione al termine del quale riceverà una certificazione di fine trattamento.

Seguirà da parte del medico aziendale un ulteriore periodo di monitoraggio per altri sei mesi

che includeranno o l'esonero definitivo (se il lavoratore risulta positivo in questo lasso di tempo) o la riammissione alla mansione (se risulta sempre negativo).

E’ ancora da ricordare che: Ove nel lavoratore venga accertata la tossicodipendenza, lo stesso sarà posto dal medico

competente in temporanea non idoneità alla mansione ed adibito dal datore di lavoro a mansioni diverse da quelle di cui all’all. I, fermo restando il diritto alla conservazione del posto di lavoro, sempre che il lavoratore sia stato assunto a tempo indeterminato.

Per persistente positività per tossicodipendenza, permarrà il giudizio del medico competente di

non idoneità temporanea alla mansione a rischio con l’adibizione da parte del datore di lavoro a mansioni diverse e la conservazione del posto di lavoro, sempre che il lavoratore sia stato assunto a tempo indeterminato ed acceda a un programma terapeutico riabilitativo specifico per il tempo necessario alle cure e, comunque per un periodo non superiore ai 3 anni, tale da rendere possibile un successivo inserimento nell’attività lavorativa a rischio anche nei confronti di terzi.

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Per il lavoratore che, senza giustificato motivo, non si sottopone all’accertamento di assenza di tossicodipendenza, il medico competente non potrà esprimere il giudizio e quindi il lavoratore non potrà essere adibito a quella mansione. Pertanto il datore di lavoro lo farà cessare dalle mansioni di cui all’allegato I fino a che non venga accertata l’assenza di tossicodipendenza, potendolo adibire a mansioni diverse senza che intervenga l’automatica risoluzione del rapporto di lavoro. In tale situazione di rifiuto il lavoratore può essere sanzionato con l’arresto fino a un mese o con un’ammenda da 200 a 600 euro ex art. 59 comma 1 lett. a) D.Lgs. 81/08. Al datore di lavoro che in tale situazione non avesse disposto l’allontanamento del lavoratore dalla mansione a rischio di cui all’allegato I sarà applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da 1000 a 4500 euro ex art. 55, comma 5 lett. g) D.Lgs 81/08.

L'assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti rientra nella valutazione dei rischi; pertanto "in presenza di attività lavorative che rientrano nell'allegato dell'intesa del 30 ottobre 2007, il datore di lavoro obbligatoriamente deve aggiornare tale valutazione con questo rischio aggiuntivo. In particolare la valutazione dei rischi “dovrà analizzare complessivamente le lavorazioni svolte e dovrà valutare se nel luogo di lavoro sono presenti le attività che determinano l’avvio delle “Procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di tossicodipendenza o di assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope in lavoratori addetti a mansioni che comportano particolari rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di terzi”. Le mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute proprie e di terzi, anche in riferimento ad un’assunzione solo sporadica di sostanze stupefacenti, sono, oltre a quelle inerenti attività di trasporto, anche le seguenti individuate nell’Allegato I all’”Intesa Stato Regioni 30 ottobre 2007”: 1) Attività per le quali è richiesto un certificato di abilitazione per l’espletamento dei seguenti lavori pericolosi:

a) impiego di gas tossici (articolo 8 del regio decreto 1927, e successive modificazioni); b) fabbricazione e uso di fuochi di artificio (di cui al regio decreto 6 maggio 1940, n. 635) e posizionamento e brillamento mine (di cui al DPR 19 marzo 1956 n. 302); c) Direzione tecnica e conduzione di impianti nucleari (di cui al DPR 30/12/1970 n. 1450 e s.m.);

2) Mansioni inerenti le attività di trasporto: a) conducenti di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria C, D, E, e quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione professionale per la guida di taxi o di veicoli in servizio di noleggio con conducente, ovvero il certificato di formazione professionale per guida di veicoli che trasportano merci pericolose su strada; b) personale addetto direttamente alla circolazione dei treni e alla sicurezza dell’esercizio ferroviario che esplichi attività di condotta,verifica materiale rotabile, manovra apparati di sicurezza, formazione treni, accompagnamento treni, gestione della circolazione, manutenzione infrastruttura e coordinamento e vigilanza di una o più attività di sicurezza; c) personale ferroviario navigante sulle navi del gestore dell’infrastruttura ferroviaria con esclusione del personale di camera e di mensa; d) personale navigante delle acque interne con qualifica di conduttore per le imbarcazioni da diporto adibite a noleggio; e) personale addetto alla circolazione e a sicurezza delle ferrovie in concessione e in gestione governativa, metropolitane, tranvie e impianti assimilati, filovie, autolinee e impianti funicolari, aerei e terrestri;

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f) conducenti, conduttori, manovratori e addetti agli scambi di altri veicoli con binario, rotaie o di apparecchi di sollevamento, esclusi i manovratori di carri ponte con pulsantiera a terra e di monorotaie; g) personale marittimo di I categoria delle sezioni di coperta e macchina, limitatamente allo Stato maggiore e sottufficiali componenti l'equipaggio di navi mercantili e passeggeri, nonché il personale marittimo e tecnico delle piattaforme in mare, dei pontoni galleggianti, adibito ad attività off-shore e delle navi posatubi; h) controllori di volo ed esperti di assistenza al volo; i) personale certificalo dal Registro aeronautico italiano; l) collaudatori di mezzi di navigazione marittima, terrestre ed aerea; m) addetti ai pannelli di controllo del movimento nel settore dei trasporti; n) addetti alla guida di macchine di movimentazione terra e merci;

3) Funzioni operative proprie degli addetti e dei responsabili della produzione,del confezionamento, della detenzione, del trasporto e della vendita di esplosivi. Approccio alla valutazione e alla gestione del rischio Effettuare l’analisi/descrizione delle lavorazioni e la verifica della "presenza di lavorazioni

previste nel documento relativo all'Intesa Stato-Regioni del 30 ottobre 2007" e della "presenza di un rischio potenziale, legato ad eventuali condizioni di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti da parte dei lavoratori, consistente nella possibilità di verificarsi di potenziali eventi" infortunistici.

Effettuare l’"analisi retrospettiva degli incidenti (c.d. ‘eventi mancati') e degli infortuni occorsi, con potenziale attribuzione (anche parziale, come cofattore) al rischio legato ad eventuali condizioni di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti da parte dei lavoratori. Analizzare la loro tipologia (es. ‘ripetitività' per singolo lavoratore).

Richiedere il contributo del medico competente, sulla base delle anamnesi raccolte e dei risultati degli accertamenti svolti nell'ambito della sorveglianza sanitaria (in forma anonima, collettiva).

Individuare le figure del Sistema di Gestione e Sicurezza del Lavoro (SGSL), formate, referenti per il problema, definendo gli strumenti della loro specifica attività e la tracciabilità delle loro azioni.

Effettuare l'informazione e formazione dei dirigenti, dei preposti, dei Rappresentanti dei lavoratori e dei lavoratori stessi.

Disporre in azienda la proibizione di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti dandone informazione a tutti i lavoratori".

Senza dimenticare di valutare, nell'ambito delle lavorazioni presenti in azienda, "oltre che quelle a rischio anche quelle potenzialmente non a rischio (se presenti), al fine di collocarvi utilmente i lavoratori che risultassero portatori di problemi connessi all’assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti".

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Per la gestione del rischio, necessita soffermarsi anche sull'articolo 18 del D.Lgs. 81/2008 e sugli obblighi di datori di lavoro e dirigenti. Ad esempio in merito: alla nomina del medico competente per l'effettuazione della sorveglianza sanitaria nei casi

previsti dal decreto; all'affidamento dei compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro capacità e condizioni; alla necessità di richiedere l'osservanza delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali e di

adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento. In particolare è necessario vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l'obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità. Si ricorda inoltre che in virtù dell'articolo 41 del D.Lgs. 81/2008, nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento, le visite sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. Disposizioni e istruzioni da impartire nel luogo di lavoro Emanare "nota formale ai lavoratori affinché non assumano sostanze psicotrope e

stupefacenti in quanto ciò comporta un rischio aggiuntivo. Ribadire in tale documento che le visite effettuate dal medico competente sono altresì

finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti “nei casi ed alle condizioni previste dall'ordinamento".

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9.16 Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro sono il tema centrale delle linee guida del Coordinamento tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome del 1° giugno 2006, redatto in collaborazione con l'ISPESL. Il testo delle linee guida si articola in tre parti:

Nella prima parte vengono trattati gli ambienti termici moderati, ambienti severi caldi e freddi, la aerazione naturale e la ventilazione forzata, l'illuminazione naturale, artificiale e d'emergenza. Sono anche richiamati gli aspetti fisiologici, le patologie correlate e le implicazioni per la salute e la sicurezza sul lavoro, nonché la qualità delle condizioni ambientali e le possibilità di intervento per il loro miglioramento.

Nella seconda parte, dopo una ricognizione sui vincoli e sulle opportunità legate ai temi del

contenimento energetico, sono raccolti, commentati e portati a sintesi i requisiti e gli standard progettuali di aerazione, ventilazione, microclima e illuminazione nelle principali tipologie produttive, con una particolare attenzione ai locali adibiti a pubblico spettacolo, ad attività commerciali, a quelli destinati all'attività scolastica e ospedaliera, agli ambienti industriali, ai locali ausiliari e agli uffici.

La terza parte è dedicata alle indicazioni operative. Sono proposti approfondimenti sulla

valutazione del rischio, sulla strumentazione e sulle modalità di misura, sulla gestione e manutenzione degli impianti aeraulici, sui dispositivi di protezione individuale per gli ambienti termici severi, sul controllo sanitario dei lavoratori e sulla valutazione dei progetti di nuovi insediamenti produttivi.

Negli allegati alle linee guida, vengono descritti, infine, i principali inquinanti indoor , la bibliografia e i siti web , la legislazione e la normativa tecnica, il glossario, le unità di misura e le grandezze utilizzate nel testo, al fine di offrire la più ampia panoramica sulla materia. Le linee guida del 1° giugno 2006, che si intendono qui integralmente richiamate, ad oggi rappresentano il migliore riferimento al quale attenersi per ogni quesito in ordine all’applicazione della problematica in argomento. Comunque qui di seguito, sinteticamente, si riportano: normativa di riferimento, definizioni, termini di valutazione e misure preventive relativi a microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro.

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Il D.Lgs. 81/08 e s.m.i. all’allegato IV recita: 1.9 Microclima (arresto da tre a sei mesi o ammenda da 1.000 a 4.800 euro per il datore di lavoro e il dirigente)

1.9.1. Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi 1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione. 1.9.1.2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori. 1.9.1.3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell'aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d'aria fastidiosa. 1.9.1.4. Gli stessi impianti devono essere periodicamente sottoposti a controlli, manutenzione, pulizia e sanificazione per la tutela della salute dei lavoratori. 1.9.1.5. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all'inquinamento dell'aria respirata deve essere eliminato rapidamente. 1.9.2. Temperatura dei locali 1.9.2.1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all'organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori. 1.9.2.2. Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si deve tener conto della influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità ed il movimento dell'aria concomitanti. 1.9.2.3. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il personale di sorveglianza, dei servizi igienici, delle mense e dei locali di pronto soccorso deve essere conforme alla destinazione specifica di questi locali. 1.9.2.4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro. 1.9.2.5. Quando non è conveniente modificare la temperatura di tutto l'ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione. 1.9.2.6. Gli apparecchi a fuoco diretto destinati al riscaldamento dell'ambiente nei locali chiusi di lavoro di cui al precedente articolo, devono essere muniti di condotti del fumo privi di valvole regolatrici ed avere tiraggio sufficiente per evitare la corruzione dell'aria con i prodotti della combustione, ad eccezione dei casi in cui, per l'ampiezza del locale, tale impianto non sia necessario. 1.9.3 Umidità 1.9.3.1 Nei locali chiusi di lavoro delle aziende industriali nei quali l'aria è soggetta ad inumidirsi notevolmente per ragioni di lavoro, si deve evitare, per quanto è possibile, la formazione della nebbia, mantenendo la temperatura e l'umidità nei limiti compatibili con le esigenze tecniche.

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1.10 Illuminazione naturale ed artificiale dei luoghi di lavoro (arresto da tre a sei mesi o ammenda da 1.000 a 4.800 euro per il datore di lavoro e il dirigente)

1.10.1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un'illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere di lavoratori. 1.10.2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d'illuminazione previsto non rappresenti un rischio di infortunio per i lavoratori. 1.10.3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell'illuminazione artificiale, devono disporre di un'illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità. 1.10.4. Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di pulizia e di efficienza. 1.10.5. Gli ambienti, i posti di lavoro ed i passaggi devono essere illuminati con luce naturale o artificiale in modo da assicurare una sufficiente visibilità. 1.10.6. Nei casi in cui, per le esigenze tecniche di particolari lavorazioni o procedimenti, non sia possibile illuminare adeguatamente gli ambienti, i luoghi ed i posti indicati al punto 1.10.5, si devono adottare adeguate misure dirette ad eliminare i rischi derivanti dalla mancanza e dalla insufficienza della illuminazione. 1.10.7. Illuminazione sussidiaria 1.10.7.1. Negli stabilimenti e negli altri luoghi di lavoro devono esistere mezzi di illuminazione sussidiaria da impiegare in caso di necessità. 1.10.7.2. Detti mezzi devono essere tenuti in posti noti al personale, conservati in costante efficienza ed essere adeguati alle condizioni ed alle necessità del loro impiego. 1.10.7.3. Quando siano presenti più di 100 lavoratori e la loro uscita all'aperto in condizioni di oscurità non sia sicura ed agevole; quando l'abbandono imprevedibile ed immediato del governo delle macchine o degli apparecchi sia di pregiudizio per la sicurezza delle persone o degli impianti; quando si lavorino o siano depositate materie esplodenti o infiammabili, l’illuminazione sussidiaria deve essere fornita con mezzi di sicurezza atti ad entrare immediatamente in funzione in caso di necessità e a garantire una illuminazione sufficiente per intensità, durata, per numero e distribuzione delle sorgenti luminose, nei luoghi nei quali la mancanza di illuminazione costituirebbe pericolo. Se detti mezzi non sono costruiti in modo da entrare automaticamente in funzione, i dispositivi di accensione devono essere a facile portata di mano e le istruzioni sull'uso dei mezzi stessi devono essere rese manifeste al personale mediante appositi avvisi. 1.10.7.4. L'abbandono dei posti di lavoro e l'uscita all'aperto del personale deve, qualora sia necessario ai fini della sicurezza, essere disposto prima dell'esaurimento delle fonti della illuminazione sussidiaria. 1.10.8. Ove sia prestabilita la continuazione del lavoro anche in caso di mancanza dell’illuminazione artificiale normale, quella sussidiaria deve essere fornita da un impianto fisso atto a consentire la prosecuzione del lavoro in condizioni di sufficiente visibilità.

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Microclima Si definisce microclima il complesso dei parametri fisici ambientali che caratterizzano l'ambiente locale (ma non necessariamente confinato) e che, assieme a parametri individuali, quali l'attività fisica e l'abbigliamento, determinano gli scambi termici fra l'ambiente stesso e gli individui che operano in queste zone spaziali circoscritte, sia al chiuso sia all'aperto, adibite a luoghi di vita o di lavoro. In condizioni fisiologiche, nell'organismo umano la temperatura corporea interna (o del nucleo) rimane relativamente costante malgrado le ampie variazioni termoigrometriche ambientali, e questa condizione può essere mantenuta solo se esiste un equilibrio tra il calore generato internamente e quello ceduto/assorbito nei confronti dell'ambiente circostante. L'equilibrio termico è garantito dall'ipotalamo, a partire da informazioni relative alla temperatura corporea ricevute da ricettori sensibili al caldo e al freddo. In presenza di un discostamento dalle condizioni di comfort termico vengono attivate una sequenza di procedure per lo smaltimento del calore in eccesso (aumento della circolazione sanguigna, sudorazione), o per la produzione di ulteriore calore (brividi, aumento del tono muscolare, attività). Quando questi meccanismi non sono più sufficienti, si manifestano fenomeni via via più gravi, sino al colpo di calore o a episodi di assideramento e, all'estremo, la morte. Da evidenziare, inoltre, che il malessere provocato da cattive condizioni microclimatiche è causa di una riduzione della percezione di altri fattori di rischio e favorisce il verificarsi di infortuni sul lavoro. Negli ambienti di lavoro i rischi da microclima sono particolarmente rilevanti in alcuni settori dell'industria, ove le caratteristiche del layout o il lavoro all'aperto impongono ai lavoratori condizioni tali da impegnare i meccanismi di adattamento e di accomodazione ai limiti delle possibilità fisiologiche, ma spesso riguarda anche situazioni che derivano da cattiva progettazione, incuria, maldestra concezione del risparmio energetico a danno del comfort o della salute dei lavoratori. Gli ambienti termici nei quali specifiche e ineludibili esigenze produttive (vicinanza a forni ceramici o fusori, accesso a celle frigo o in ambienti legati al ciclo alimentare del freddo ecc.) o condizioni climatiche esterne in lavorazioni effettuate all'aperto, in agricoltura, in edilizia, nei cantieri di cava, nelle opere di realizzazione e manutenzione delle strade ecc.) determinano la presenza di parametri termoigrometrici stressanti vengono definiti "severi". Negli altri casi, nei quali è comunque sempre perseguibile l'ottenimento del comfort termoigrometrico, si parla di ambienti "moderati".

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Per la valutazione del rischio si ricorre a indici distinti per ambienti severi caldi o freddi: al primo tipo di ambienti fanno riferimento il WBGT e la procedura PHS (procedura più

dettagliata, che consente il calcolo del tempo massimo di esposizione); per il secondo tipo di ambienti si ricorre alla determinazione dell'indice Ireq (isolamento

dell'abbigliamento richiesto) per confronto con Icl come indice del raffreddamento globale ed alla determinazione del WCItch come indice del raffreddamento localizzato.

Il comfort termico viene valutato, invece, sulla base degli indici PPD e PMV, come indici di discomfort generale, e PD per correnti d'aria, differenza verticale di temperatura, temperatura del pavimento e asimmetria radiante come indici di discomfort localizzato. Qualità dell’aria indoor - outdoor L’espressione “ambiente indoor” è riferita agli ambienti confinati di vita e di lavoro non industriali, ed in particolare, a tutti i luoghi confinati adibiti a dimora, svago, lavoro e trasporto. Secondo questo criterio, il termine “indoor” comprende: le abitazioni, gli uffici pubblici e privati, le strutture comunitarie (ospedali, scuole, uffici, caserme, alberghi, banche, etc.), i locali destinati ad attività ricreative e/o sociali (cinema, bar, ristoranti, negozi, strutture sportive, etc.) ed infine i mezzi di trasporto pubblici e/o privati (auto, treno, aereo, nave, etc.). Alcuni inquinanti indoor possono provenire dall’esterno e sono legati all’inquinamento atmosferico, ma la maggior parte di essi sono prodotti all’interno degli edifici stessi. I livelli di concentrazione che gli inquinanti raggiungono all’interno degli edifici generalmente sono uguali o superiori a quelli dell’aria esterna e soprattutto le esposizioni indoor sono maggiori di quelle outdoor. Molti studi di settore hanno dimostrato, infatti, che i livelli indoor sono maggiori rispetto a quelli outdoor per molte classi di inquinanti, in particolar modo per i VOC (Composti Organici Volatili). I materiali da costruzione e da arredo, i mobili, le moquettes, le tappezzerie, i collanti usati per la loro installazione, le macchine da ufficio e un grande numero di prodotti di consumo, compresi quelli per le pulizie, nonché il fumo di sigaretta, liberano VOC nell’aria interna. Sorgenti di inquinamento indoor Gli inquinanti indoor sono numerosi e possono essere originati da diverse sorgenti; le concentrazioni sono molto variabili nel tempo a seconda delle sorgenti presenti nell'edificio, della ventilazione e delle abitudini degli occupanti. Le sorgenti di inquinamento interno che rilasciano inquinanti nell’aria costituiscono la causa primaria dei problemi relativi alla qualità dell’aria indoor.

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Le principali fonti sono l’uomo e le sue attività, i materiali da costruzione gli arredi, i sistemi di trattamento dell’aria. Molte attività degli occupanti contribuiscono ad inquinare l’aria degli ambienti chiusi. Uno dei fattori più importanti è sicuramente il fumo di tabacco, oltre ai processi di combustione di petrolio, gas, cherosene, carbone e legno. Altre possibili fonti di inquinamento sono i prodotti per la pulizia e la manutenzione della casa, i prodotti antiparassitari e l'uso di colle, adesivi, solventi etc. Possono determinare una emissione importante di sostanze inquinanti l'utilizzo di strumenti di lavoro quali stampanti, plotter e fotocopiatrici e prodotti per l'hobbistica (es. colle). Un'altra importante fonte di inquinamento indoor sono i materiali utilizzati per la costruzione (es. isolamenti contenenti amianto) e l'arredamento (es. mobili fabbricati con legno truciolare o trattati con antiparassitari, moquettes, rivestimenti). Il malfunzionamento del sistema di ventilazione o una errata collocazione delle prese d'aria in prossimità di aree ad elevato inquinamento (es. vie ad alto traffico, parcheggio sotterraneo, autofficina) possono determinare un'importante penetrazione dall'esterno di inquinanti. I sistemi di condizionamento dell'aria possono inoltre diventare terreno di coltura per muffe e altri contaminanti biologici e distribuire tali agenti in tutto l'edificio. Inquinanti chimici negli ambienti indoor Gli inquinanti che possono essere presenti negli ambienti confinati non-industriali sono molto numerosi. In particolare si possono individuare tre categorie inquinanti: chimici, fisici e biologici. 1 - Ossidi di azoto (NO2,Nox): Le principali fonti indoor di ossidi d'azoto sono costituite da radiatori a cherosene, da stufe e radiatori a gas privi di scarico e dal fumo di tabacco. I valori più elevati vengono generalmente rilevati nelle cucine. I livelli di NO2 durante la cottura di cibi con stufe a gas o durante l'uso di stufe a cherosene possono essere superiori a 1.000 μg/m3. In presenza di stufe e fornelli a gas il valore più frequente del rapporto tra concentrazione indoor e outdoor è tra 2 e 3 (intervallo 1.1 - 4.8), e raggiunge circa 5 nel caso di riscaldamento e fornelli a gas con ventilazione e scarico all'esterno inefficienti. La presenza di sorgenti interne può portare a livelli anche di 7 volte maggiori negli ambienti indoor.

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Una campagna di monitoraggio recentemente condotta in Italia, a Milano, in ambienti indoor (abitazioni ed uffici), ha mostrato, su un tempo medio di 8 ore, concentrazioni medie di NOx da 39.4 ug/m3 (estate) a 73.3 ug/m3 (inverno), con picchi massimi negli uffici di 162 ug/m3 e di 127 ug/m3 in abitazioni dotate di cucina a gas. Sempre per quanto riguarda le esperienze italiane, in Tabella 1 vengono riportati i risultati di indagini epidemiologiche condotte a Pisa e nel Delta del Po; le concentrazioni sono risultate in generale più elevate durante l’inverno. Tabella 1 – Concentrazioni “indoor” di NO2 (ppb)^ terminate nelle indagini epidemiologiche effettuate nell’area di Pisa e nel Delta del Po PISA DELTA DEL PO N°. abitazioni (n°=290) (n°=140) Estate Inverno Estate Inverno

Casa 18 21*** 14 21***

Cucina 22 29*** 20 32***

Soggiorno 17 20*** 16 22***

Camera da letto 16 15 13 16**

^ Valori medi settimanali delle concentrazioni “indoor” ** Significativa differenza tra estate e inverno (p<0.01) *** Significativa differenza tra estate e inverno (p<0.001) 2 - Ossidi di zolfo (SO2): Le principali fonti di SO2 negli ambienti indoor sono costituite da radiatori a cherosene, da stufe e radiatori a gas privi di scarico e dal fumo di tabacco; valori elevati superiori a 250 μg/m3 si riscontrano nelle abitazioni riscaldate con stufe a cherosene. Le stufe a cherosene possono emettere anche grandi quantità di aerosol acidi. 3 - Monossido di carbonio (CO): Uno studio che ha caratterizzato l'esposizione a CO in varie tipologie di edifici ha rilevato livelli compresi tra 1,5 e 3 mg/m3 nelle abitazioni, tra 3 e 4,5 mg/m3 in ambienti pubblici quali uffici, negozi e ristoranti e livelli superiori a 5 mg/m3 in ambienti particolari quali box, autofficine e garage pubblici. I livelli di CO sono significativamente influenzati dalla presenza di processi di combustione, quali sistemi di riscaldamento e cottura senza ventilazione o con scarsa ventilazione e fumo di tabacco; in questi casi le concentrazioni interne possono superare quelle esterne.

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In case con cucina a gas sono stati misurati livelli sino a 60 mg/m3. In uno studio su 14 case con una o più stufe a gas senza ventilazione esterna sono stati rilevati livelli medi indoor di CO da 0.7 a 11 mg/m3, con variazioni dipendenti dall’uso, a fronte di concentrazioni medie esterne da 0.3 a 1.8 mg/m3. Sono stati misurati livelli di picco su brevi intervalli di tempo da 1 ppm a 100 mg/m3 dovuti a sistemi vari di riscaldamento. L’uso intermittente di cucine a gas può portare a picchi di concentrazione sino a 10 mg/m3 e più, mentre le medie a lungo termine (ad esempio, su 24 ore) sono molto minori (dell’ordine di 1 mg/m3). La vicinanza di sorgenti outdoor (ad esempio, strade a levato traffico, garage e parcheggi) possono avere un impatto significativo sulle concentrazioni all’interno di edifici. Le concentrazioni indoor rilevate in queste condizioni hanno spesso superato i 10 mg/m3. 4 – Ozono (O3): La quota proveniente dall’esterno rappresenta generalmente la maggior parte dell’ozono presente nell’aria interna, tuttavia, in un ambiente confinato può essere emesso in maniera significativa da strumenti elettrici ad alto voltaggio, quali motori elettrici, stampanti laser e fax, da apparecchi che producono raggi ultravioletti, da filtri elettronici per pulire l’aria non correttamente installati o senza adeguata manutenzione. In seguito ad esposizioni prolungate nel tempo si è osservato in soggetti esposti un aumento di infezioni batteriche delle vie respiratorie, alterazioni del tessuto polmonare e disturbi al sistema nervoso centrale. 5 - Particolato aerodisperso: Negli ambienti indoor il particolato è prodotto principalmente dal fumo di sigaretta, dalle fonti di combustione e dalle attività degli occupanti. La composizione del particolato da combustione varia in base al tipo di combustibile e alle condizioni in cui avviene la combustione. L’esame di particolato fine raccolto all’interno ed all’esterno di abitazioni ed edifici ha consentito di verificare la presenza di n-alcani, acidi grassi (palmitico e stearico), esteri ftalati in particolato indoor. Il rapporto tra le concentrazioni di queste sostanze nel particolato indoor e in quello outdoor è superiore a 90 per molti idrocarburi (n-alcani),e, sia pure a minor livello per altre sostanze organiche (dibutilftalato e di (2-etilexil)ftalato), indicando la presenza di sorgenti interne di considerevole rilievo. Nella tabella 2 vengono riportate le concentrazioni indoor di PM10 rilevate in diversi edifici ad uso ufficio in Milano.

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Sempre per quanto riguarda le esperienze italiane, i risultati di alcune indagini epidemiologiche condotte a Pisa, nel Delta del Po hanno evidenziato una forte associazione tra la presenza di fumatori ed elevati livelli di particolato; tali concentrazioni sono risultate direttamente proporzionali alla quantità di tabacco consumato e in generale si sono mantenute più elevate durante l’inverno. Tabella 2 – Concentrazioni indoor di PM10 in edifici ad uso ufficio in Milano PM10 μg/m3

Estate Inverno

Edificio n. mediana range n. mediana range

Privato, vent. Mecc 14 31.0 (21-52) 14 54.5 (43-72)

Privato, vent. Mecc 18 24.5 (15-58) 18 16.5 (12-31)

Privato, vent. Mecc 6 35.5 (24-105) 6 44.5 (36-52)

Privato, vent. Mecc - - - 6 27.3 (24-50)

Privato, vent. Mecc 60 47.0 (15-210) 60 57.6 (29-97)

Pubblico, vent. mecc 38 42.5 (28-66) 16 64.5* (22-116)

Pubblico, vent. natur 43 87.0 (13-181) 38 127.5* (5-234)

Pubblico, vent. natur 6 42.0 (28-135) 12 107.5* (10-701)

* Differenza inverno-estate statisticamente significativa. Concentrazioni indoor di PM2.5 e PM10 sono state determinate a Roma, in due indagini mediante campionamenti giornalieri consecutivi per un mese (Marconi et al., 2000). La prima indagine è stata effettuata in due stanze dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) a differente altezza (piano terra e sesto piano), ove si svolgeva normale attività d’ufficio per otto ore al giorno; la seconda, in tre abitazioni private, in assenza di fumatori e con gas come combustibile per la cucina.

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Contemporaneamente, venivano effettuate misure anche in ambiente esterno: nella prima indagine, presso l’edificio stesso dell’ISS, mediante due campionatori la cui altezza sul piano stradale corrispondeva a quella dei prelievi indoor; nel corso della seconda indagine (nelle case private), i dati esterni sono stati ottenuti presso due siti nell’area urbana, uno stradale e l’altro all’interno di un parco. Le concentrazioni indoor, ed i relativi rapporti indoor/outdoor, sono riportati in tabella 3 Tabella 3 – Concentrazioni indoor di PM2.5 e PM10 misurate a Roma (1999) PM2.5 PM10

Indoor Indoor

Sito Periodo n (μg/m3)a I/Oa,b (μg/m3)a,b I/O

ISS piano terra aprile - maggio 30 20 0.8 28 0.6

6° piano “ 30 19 0.8 22 0.6

Abitazione A maggio -giugno 30 26 1.4-1.7

Abitazione B “ 30 25 1.4-1.6

Abitazione C “ 30 24 1.3-1.5 N: numero di campioni; I/O: Indoor/outdoor. a : Valore medio dei 30 prelievi giornalieri. b : Nell'indagine relativa alle abitazioni, il rapporto è riportato relativamente alla strada e a quello nel parco urbano. 6 - Composti organici volatili: Varie sono le sorgenti di inquinamento di VOC nell'aria degli ambienti indoor. Gli occupanti un ambiente sono fonte di inquinamento dell'aria indoor in quanto numerosi VOC vengono emessi attraverso la respirazione e la superficie corporea. VOC vengono emessi da prodotti cosmetici o deodoranti e da abiti trattati recentemente in lavanderie. Negli uffici importanti fattori sono sicuramente il fumo di sigaretta e gli strumenti di lavoro quali stampanti e fotocopiatrici.

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Altre importanti fonti di inquinamento sono i materiali di costruzione e gli arredi (es. mobili, moquettes, rivestimenti) che possono determinare emissioni continue durature nel tempo (settimane o mesi); importanti concentrazioni di VOC sono riscontrabili in particolare nei periodi immediatamente successivi alla posa dei vari materiali o alla installazione degli arredi. Possono determinare una emissione importante, anche se di breve durata nel tempo, il funzionamento di dispositivi di riscaldamento e l'uso di materiali di pulizia e di prodotti vari (es. colle, adesivi, solventi). Un'errata collocazione delle prese d'aria in prossimità di aree ad elevato inquinamento (es. vie ad alto traffico, parcheggio sotterraneo, autofficina) possono determinare una importante penetrazione di VOC dall'esterno. I VOC vengono rilasciati dalla quasi totalità dei prodotti da costruzione, ma in misura maggiore dai prodotti di finitura (rivestimenti, vernici) e da quelli intermedi per la posa (adesivi, sigillanti); il più importante contributo alla concentrazione di VOC nell’aria interna è comunque dato dai prodotti per la pulizia, dai disinfettanti e dagli insetticidi (Tab. 4). Tabella 4 – Emissioni di VOC da prodotti edilizi, per l’arredo e la pulizia Prodotti μg/m2 . h Prodotti μg/m2 . h

MATERIALI PRIMARI PRODOTTI PER LA POSA

-Getti di cemento < 5 -Colla per tappezzerie (dopo 24 ore) 270.000 -Cartongesso 30 -Polistirolo espanso nuovo 200 -Adesivo per moquettes (dopo 24 ore)

-Sigillante siliconico (dopo 10 ore) 100.000 13.000

PAVIMENTI FINITURE -Moquette posata (dopo 1 ora) 400 -Pittura acrilica 430 -Pavimento vinilico posato 22.000 -Vernice poliuretanica per legno 9.000 (dopo 1h) -Vernice per pavimenti 4.700 -Linoleum posato -Legno di pino non trattato, in opera

600 215

-Tappezzeria vinilica 100

ARREDI PRODOTTI PER L’IGIENE -Partizioni con HCHO (a 48 37 -Detergente/disinfettante per 35.000 ore) pavimenti -Poltrona da ufficio 1.060 -Lucidante per mobili 27.000 -Pannello truciolare con elevata conc. di formaldeide.

2.000

-Insetticida 14.000.000

Rilevazioni effettuate da diversi ricercatori e riportate da H. Levin, 1992.

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Per ridurre la consistenza delle concentrazioni è stata sollecitata l’immissione sul mercato di prodotti edili “basso-emissivi” ovvero di prodotti le cui emissioni sono al di sotto di soglie stabilite e garantiscono un livello accettabile per la concentrazione di VOC nell’aria 7- benzene: Le caratteristiche chimico-fisiche del benzene comportano un’elevata volatilizzazione di questa sostanza, che tende a migrare verso l’atmosfera dai liquidi che la contengono, con un “pattern” di esposizione inalatoria di rilievo. Per quanto concerne specificamente gli ambienti interni degli edifici (indoor), le sorgenti di maggior rilievo sono prodotti di consumo, come adesivi, materiali di costruzione e vernici. Il fumo di una sigaretta contiene un quantitativo di benzene significativo e considerevolmente variabile, misurato nell’intervallo da 6 ug/m3 a 73 ug/m3. L’emissione da prodotti di consumo, materiali di costruzione, vernici, è funzione della temperatura e, in particolare nel caso di vernici e materiali, decresce con il tempo. La determinazione dei parametri di questi processi è piuttosto complessa. In ambienti cittadini, in assenza di significative sorgenti indoor, sono citati livelli medi e/o esposizioni personali medie all’interno di edifici dell’ordine di frazioni dei livelli misurati immediatamente all’esterno (ad esempio, circa il 60%), mentre nel caso di presenza di sorgenti significative interne la concentrazione e/o l’esposizione media indoor può raggiungere valori anche considerevolmente superiori rispetto a quelli misurati all’esterno. Numerosi studi indicano che il contributo di sorgenti indoor di benzene, non ultimo il fumo di tabacco, ma anche il rilascio da materiali, da prodotti di consumo e l’impatto di parcheggi interni agli edifici può essere rilevante, e nei termini da alcuni μg/m3 sino alla decina e più di μg/m3, con i valori più elevati attribuibili in linea di massima ad elevata quantità di fumo di tabacco. 8 – Formaldeide: Negli ambienti indoor i livelli sono generalmente compresi tra 10 e 50 μg/m3. Concentrazioni particolarmente elevate sono state osservate in certe situazioni quali in case prefabbricate ed in locali con recente posa di mobili in truciolato o moquette. 9 - Idrocarburi aromatici policiclici (IPA): Le sorgenti principali sono le fonti di combustione (es. caldaie a cherosene) ed il fumo di sigaretta. I dati di letteratura disponibili sull’esposizione indoor ad IPA sono piuttosto scarsi e, in maggioranza, si riferiscono a situazioni ambientali non confrontabili con quelle italiane per le differenze nei combustibili per il riscaldamento e la cucina.

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Si riportano i risultati degli studi italiani disponibili. A Pavia, in periodo invernale, è stato condotta un’indagine su otto soggetti che per una settimana hanno indossato due campionatori personali, funzionanti alternativamente quando il soggetto si trovava in ambiente esterno od indoor: l’esposizione indoor media a BaP (0,1 ng/m3) è risultata circa 10 volte inferiore a quella misurata all’esterno (Minoia et al., 1997). L’esposizione conseguente all’uso delle stufe a legna è stata valutata in due piccoli centri urbani nelle province di Pavia e Genova (Valerio et al., 1996): tale forma di riscaldamento ha comportato livelli indoor di BaP superiori a quelli esterni, con concentrazioni indoor fino a 23 ng/m3 misurati in condizioni di cattiva manutenzione della canna fumaria. 10 - Fumo di tabacco ambientale (ETS): Il fumo di tabacco ambientale (environmental tobacco smoke o ETS) è una miscela complessa di 3800 composti chimici la cui fonte primaria è appunto il fumo di sigaretta. Il fumo presente nell'ambiente risulta costituito da una componente detta "mainstream smoke-MS" e da una detta "sidestream smoke-SS". Il mainstream è il fumo inalato dai fumatori, filtrato dai polmoni e quindi espirato. Il sidestream è invece l'aerosol derivato direttamente dalla combustione della sigaretta, tra un puff e l'altro; il sidestream è il più importante dei due, perchè rappresenta il principale costituente dell'aerosol e di circa la metà della porzione corpuscolata dell'ETS. Le principali sostanze tossiche del fumo liberate nell'ambiente sono: il monossido di carbonio (CO), gli idrocarburi aromatici policiclici (come il benzoapirene), numerosi VOC, l'ammoniaca e le ammine volatili, l'acido cianidrico e gli alcaloidi del tabacco. Nel fumo di sigaretta si trova anche una frazione particolata, costituita da sostanze presenti in fase solida, tra le quali il catrame e diversi composti poliaromatici. Circa 300-400 dei 3800 composti presenti nel fumo, sono stati isolati nel sidestream; tra questi alcuni riconosciuti cancerogeni sono presenti in concentrazioni superiori rispetto al maistream (N-nitrosoammine concentrate nel sidestream da 6 a 100 volte di più rispetto al mainstream). 11 - Fumo di legna: In alcune regioni del nostro paese è diffuso l’uso di caminetti: il loro non ottimale utilizzo può incrementare notevolmente i livelli di particelle respirabili all’interno del microambiente durante la stagione invernale. 12 – Antiparassitari: Sono presenti in prodotti usati per eliminare zanzare, mosche, blatte ed altri insetti. Gli antiparassitari penetrano all'interno degli edifici, anche quando vengono applicati all'esterno, tramite soluzioni di continuità e fessure presenti nelle fondazioni e negli scantinati.

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Un settore particolare di applicazione di questi composti è il trattamento antimuffa del legno. Una rilevante esposizione cronica ad antiparassitari (in particolare pentaclorofenolo) è stata documentata in soggetti che abitano ambienti ove vi è presenza di superfici di legno trattate, che rilasciano lentamente e per anni tali composti nell'aria ambientale. 13 – Amianto: Nei decenni passati l’amianto è stato ampiamente usato nell’industria meccanica, edile e navale per le sue notevoli qualità di isolamento termico e di materiale resistente alle alte temperature e alla frizione. Con la legge 257 del 22/3/1992 l’Italia ha dichiarato fuori legge l’amianto; esso, infatti non può essere più estratto nè utilizzato per produrre manufatti. La liberazione di fibre di amianto all'interno degli edifici può avvenire per lento deterioramento dei materiali costitutivi, per danneggiamento diretto degli stessi da parte degli occupanti o per interventi di manutenzione. 14 - Fibre minerali sintetiche (MMMF): Sono fibre minerali prodotte artificialmente: fibre vetrose (lana di vetro e di roccia), fibre ceramiche, fibre di carbonio e numerose altre che sono andate nel tempo a sostituire le fibre di amianto. Agenti fisici negli ambienti indoor Radon Il radon, gas radioattivo, classificato dalla IARC come agente cancerogeno è considerato la seconda causa per cancro polmonare dopo il fumo di sigaretta. Si stima che l’esposizione domestica al radon sia responsabile del 5-20% dei tumori polmonari. Le principali sorgenti di provenienza del radon indoor sono il suolo sottostante l’edificio ed i materiali da costruzione. Il radon prodotto nel suolo viene spinto verso l’esterno dalla differenza di pressione o per diffusione e penetra negli edifici, tramite le molte fessure anche piccolissime che vi sono nelle fondamenta e si concentra nell’aria interna. L’acqua ed il gas per uso domestico sono sorgenti di importanza generalmente molto minore, con alcune eccezioni relative ad alcune acque di pozzo. In Italia, l’esposizione della popolazione è stata valutata tramite un’indagine nazionale promossa e coordinata dall’ Istituto Superiore di Sanità e dall’ANPA e realizzata negli anni 1989-1996 in collaborazione con le Regioni su un campione di oltre 5000 abitazioni.

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L’indagine ha permesso di stimare la distribuzione della concentrazione di radon nelle abitazioni: il valore medio è risultato di 70-75 Bq/m3, a cui corrisponde, secondo una stima preliminare, un rischio individuale sull’intera vita dell’ordine di 0.5%. In circa l’1% di abitazioni è stata misurata una concentrazione di radon superiore a 400 Bq/m3 e in circa il 4% di esse (800 mila) la concentrazione è risultata superiore a 200 Bq/m3. Dall’insieme delle indagini effettuate finora emerge che le regioni coi valori medi più alti sono Lazio, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Campania e Sardegna. Tuttavia anche in altre regioni (Umbria, Veneto, Toscana e Piemonte) sono state trovate zone più o meno estese con valori di concentrazione di radon particolarmente elevati. Contaminanti microbiologici negli ambienti indoor Le principali fonti di inquinamento microbiologico degli ambienti indoor sono gli occupanti (uomo ed animali), la polvere, le strutture ed i servizi degli edifici. Altre possibili sorgenti di microrganismi sono gli umidificatori ed i condizionatori dell'aria, dove l'elevata umidità presente e l'inadeguata manutenzione facilitano l'insediamento e la moltiplicazione dei microrganismi che poi vengono diffusi negli ambienti dall'impianto di distribuzione dell'aria. In particolare, diversi studi hanno evidenziato che gli umidificatori di impianti centralizzati sono idonei terreni di coltura per batteri termofili e termoresistenti e serbatoi di endotossine batteriche. Negli umidificatori domestici è stata riscontrata la presenza di batteri termofili e funghi mesofili. Altri siti che possono costituire serbatoi di contaminanti biologici sono le torri di raffreddamento degli impianti di condizionamento ed anche i serbatoi e la rete distributiva dell'acqua ad uso domestico. Le principali patologie causate da agenti biologici comprendono malattie infettive, effetti da azione tossica diretta e reazioni allergiche per esposizione ad allergeni; quest’ultimo gruppo di agenti è molto importante e merita una specifica trattazione. Gli allergeni indoor: I principali allergeni all'interno degli edifici sono dovuti solitamente agli acari, agli animali domestici e a microrganismi come funghi e batteri. La condizione ambientale che ne favorisce la crescita è l’elevata umidità, dell’aria e delle murature.

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1 – Acari Gli acari vivono nella polvere, ma per il loro sviluppo sono necessarie condizioni di elevata umidità, anche a medie temperature; per il D. pteronyssynus le condizioni ottimali sono 25°C e umidità relativa 70-80%, ma diventano abbondanti già quando l’umidità relativa interna supera il 65% per alcune settimane e la temperatura supera i 22°C e, perciò, nei nostri climi la loro presenza raggiunge il culmine alla fine dell’estate. Per contro si è dimostrato sufficiente mantenere l’umidità relativa all'interno della casa su valori inferiori al 45%, per un periodo di almeno un mese all'anno, per limitare la crescita di questi artropodi, che anche per questo, in generale non proliferano in alta montagna. Negli ambienti, il numero di acari può arrivare a oltre 1000/g di polvere; predominano soprattutto nei materassi e nelle camere da letto, indi negli imbottiti, tappeti e, per quanto riguarda i prodotti di finitura, nelle moquettes che rilasciano lentamente l’acqua assorbita e che mantengono l’umidità ambientale a livelli più alti, ma è sbagliato credere che sia sufficiente sostituire questo rivestimento con altri - compatti e lavabili - per eliminare gli acari, perché polvere e umidità ambientale elevata possono essere causati anche da altri elementi e caratteristiche costruttive. In generale vengono considerati come elementi di incidenza: la porosità e la friabilità dei materiali e il loro contenuto di umidità (a causa dell’umidità trattenuta gli imbottiti costituiscono un ricovero per gli acari), ogni profilatura orizzontale, mensola o controsoffitto; lo zoccolino avvitato o inchiodato e il pavimento sopraelevato. 2 - Gli allergeni degli animali domestici Gli allergeni prodotti dagli animali domestici sono presenti nei peli, nella forfora, nella saliva e nell’urina. I biocontaminanti prodotti da animali domestici sono facilmente trasportabili dalle persone (tramite gli indumenti), pertanto si diffondono anche in ambienti in cui solitamente non ci sono animali. Negli ambienti in cui questi sono vissuti, dopo il loro allontanamento ci vogliono sei mesi per riportare i livelli di concentrazione ai valori delle case in cui l’animale non è presente. 3 - Muffe e Funghi Errori di costruzione o di manutenzione degli edifici possono comportare alti livelli di umidità negli elementi costruttivi (U.R. >55%) e nell’aria interna (U.R.>65%); l’umidità, oltre a favorire - come si è visto - la riproduzione degli acari, causa la formazione e la proliferazione di funghi e di altri microorganismi. Il ruolo che l’esposizione ai funghi, nelle case, svolge nello sviluppo di sintomi respiratori è meno chiaro che per gli acari, ma vi è una discreta evidenza epidemiologica riguardo la frequenza di disturbi respiratori in bambini e adulti in associazione con la presenza di umidità in edifici contemporanei. Gli apparati per la pulizia dell’aria, proprio perché operano sugli inquinanti aerodispersi, possono diventare fonte di inquinamento a causa dei funghi trattenuti sui filtri o dei batteri alimentati dalle riserve di acqua: i batteri, che crescono meglio nell’acqua abbondante, dominano la popolazione microbica nelle bacinelle di acqua stagnante; molti funghi, invece, che richiedono ossigeno gassoso, preferiscono depositarsi e riprodursi su filtri e condotte. Le colonie di funghi evidenziate sui filtri interni appartengono in genere alle seguenti specie, delle quali è conosciuto il potenziale allergico:Cladosporium spec., Penicillium spec., Potrytis spec., Aspergillus spec.,Fusarium spec. (in ordine decrescente di presenza, dall’80% del Cladosporium, all’1% del Fusarium) .Le griglie delle prese dell’aria esterna possono essere contaminate da escrementi o penne di volatili che contengono funghi patogenici quali Cryptococcus neoformans. Spesso sono contaminate da Aspergillus fumigatus.

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4 - Allergeni outdoor Va infine ricordato che negli ambienti indoor, nei periodi stagionali, si possono accumulare quantità non indifferenti di allergeni outdoor (es. pollini) in grado di persistere a lungo nell'ambiente come gli altri allergeni più propriamente definiti indoor. Effetti sulla salute dell’inquinamento indoor Alcune patologie associate o attribuite alla permanenza in edifici sono state appunto definite "Malattie associate agli edifici o Building-related illness (B.R.I.)": legionellosi, febbre da umidificatori, alveolite allergica, etc., con quadro clinico ben definito e per le quali può essere identificato uno specifico agente causale presente nell'ambiente confinato. Sono state, inoltre, segnalate sindromi diffuse, caratterizzate da effetti neurosensoriali che determinano condizioni di malessere, diminuzione del comfort degli occupanti e percezione negativa della qualità dell’aria. In questo contesto la Sindrome dell'edificio malato o Sick-Building Syndrome (S.B.S.)" viene definita come una sindrome diffusa, ad eziologia non definita e con sintomatologia non specifica. Mentre le B.R.I. colpiscono un limitatissimo numero di persone, nel caso della S.B.S. i sintomi vengono lamentati dalla maggior parte degli occupanti (fino al 50-60%) e scompaiono con l’abbandono dell’edificio. Si segnala, inoltre, un quadro patologico particolare: la "Sindrome da sensibilità chimica multipla o Multiple Chemical Sensitivity syndrome (M.C.S.)" che comprende una sindrome caratterizzata da reazioni negative dell'organismo ad agenti presenti a concentrazioni generalmente tollerate dalla maggioranza dei soggetti. Particolare attenzione è stata recentemente rivolta al possibile rischio di tumori legato alla presenza negli ambienti indoor di composti con dimostrata evidenza di cancerogenicità (fumo di sigaretta, radon, amianto). E’ stato ipotizzato che anche la presenza di VOC (formaldeide, benzene) nell’aria indoor possa costituire un significativo rischio cancerogeno per i soggetti che trascorrono molto tempo negli ambienti confinati e contribuisca in modo significativo al rischio cancerogeno complessivo della popolazione generale. 1 - Malattie respiratorie: L’apparato respiratorio rappresenta la porta d’ingresso di vari contaminanti aerei presenti nell’aria degli ambienti confinati. Nella tabella 5 sono descritti gli effetti sull’apparato respiratorio in relazione ai principali inquinanti indoor.

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INQUINANTE FONTI EFFETTI SULLA SALUTE Bambini Adulti Fumo di tabacco ambientale (ETS)

Fumo di tabacco Incremento della frequenza di sintomi respiratori cronici.

Incremento della frequenza di episodi infettivi acuti.

Iperreattività bronchiale (aumentato rischio di sviluppare patologia asmatica).

Malattia più severa nei soggetti asmatici.

Ridotto sviluppo della funzione respiratoria ventilatoria.

Probabile aumento della frequenza di sintomi respiratori cronici.

Probabile decremento della funzione respiratoria ventilatoria

Particolato totale sospeso (TPS)

Fumo di tabacco Sistemi di

riscaldamento Inquinamento

esterno Combustione di

legna

Incremento della frequenza di sintomi respiratori cronici

Probabile decremento della funzione respiratoria ventilatoria

Biossido di azoto (NO2)

Cucine a gas Stufe a gas Caldaie Autoveicoli posti

nelle vicinanze

Probabile abbassamento della soglia di sensibilizzazione a vari allergeni

Incremento della frequenza di sintomi respiratori cronici

In soggetti asmatici: incremento del numero di episodi broncospastici e ridotta risposta alla terapia antiasmatica

Incremento della frequenza di sintomi respiratori cronici

Incerto l’effetto sulla funzione respiratoria ventilatoria

Fumo di legna Caminetti Stufe a legna

Incremento della frequenza di sintomi respiratori cronici (notevole produzione di particolato)

Aumentato rischio per lo sviluppo di BPCO

Formaldeide Materiali da costruzione

Forniture e prodotti per la casa

Fumo di tabacco Processi di

combustione

Possibili fenomeni broncoreattivi in soggetti asmatici

Possibili fenomeni broncoreattivi in soggetti asmatici

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Nel 1995 in Italia è stato condotto uno studio epidemiologico multicentrico SIDRIA (Studi italiani sui disturbi respiratori nell’infanzia e l’ambiente) realizzato nell'ambito di una iniziativa internazionale ISAAC (International Study of Allergy and Asthma in Children) per stimare la prevalenza dei problemi respiratori e delle allergie tra i bambini e gli adolescenti in Italia e per approfondire il ruolo di numerosi fattori di rischio per l’asma bronchiale, rinocongiuntivite allergica e dermatite atopica. Lo studio è stato condotto su bambini delle scuole elementari e adolescenti delle scuole medie inferiori. L’indagine ha evidenziato che il primo e più importante fattore di rischio, specie perché prevenibile, è rappresentato dall’esposizione al fumo passivo. E’ stato riscontrato infatti, che più della metà dei bambini italiani vive in famiglie in cui almeno uno dei genitori è fumatore. In questi bambini è stato osservato un aumento dei casi di asma, o di malattie respiratorie in genere, proprio a causa del fumo dei loro genitori. L’indagine ha potuto stimare che il 15% dei casi di asma in Italia tra i bambini ed i ragazzi sono proprio attribuibili al fumo dei genitori. Questo risultato è di elevata importanza in sanità pubblica. Un lieve aumento di rischio di malattie respiratorie, infine, è stato riscontrato in bambini la cui abitazione è riscaldata con combustibile ad alto potenziale inquinante (legna, carbone, gas in bombole) ed, infine, è stata evidenziata una differenza di frequenza della malattia tra chi vive in strade ad alto traffico di mezzi pesanti e chi vive invece in strade lontane dal traffico. 2 - Effetti cancerogeni fumo passivo: I primi studi epidemiologici sulla relazione tra tumore polmonare ed esposizione a fumo passivo sono del 1981. Hirayama riportò i risultati di uno studio prospettico condotto su una coorte di 91.540 donne non fumatrici in Giappone: i rapporti standardizzati di mortalità (SMR) per tumore del polmone aumentavano in modo statisticamente significativo con la quantità di sigarette fumate dal coniuge. Nel 1986, sulla base delle evidenze epidemiologiche disponibili, vennero pubblicati tre rapporti che concludevano che il fumo passivo è una causa del tumore polmonare. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità concludeva che “il fumo passivo fa aumentare il rischio di cancro”. Nello stesso anno, anche due rapporti americani, rispettivamente del National Research Council e del Surgeon General, conclusero che il fumo passivo aumenta l’incidenza di tumore del polmone tra i non fumatori. Nel 1992, l’Environmental Protection Agency (EPA), sulla base di una meta-analisi degli studi pubblicati fino a quel momento, classificò il fumo passivo come carcinogeno di classe A, cioè un carcinogeno umano noto. Complessivamente, l’analisi trovò un rischio significativamente più elevato di tumore polmonare in donne non fumatrici sposate con uomini fumatori. Molti altri studi sono stati pubblicati negli Stati Uniti. Lo studio multicentrico di Fontham e coll. è il più grande rapporto americano ad oggi con 651 casi e 1253 controlli.

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Lo studio ha messo in evidenza un aumento significativo del rischio relativo complessivo (Odd Ratio, OR: 1.26; 95% IC: 1.04-1.54). Dallo studio risultò anche un rischio statisticamente significativo associato ad esposizione al fumo passivo in ambiente lavorativo. Infine, recentemente sono stati pubblicati i risultati di uno studio multicentrico condotto in Europa, coordinato dalla IARC, al quale ha partecipato l’Italia con tre centri (Torino, Veneto, e Roma), che ha confermato l’aumento di rischio per l’esposizione al fumo del coniuge (OR:1.16, 95% IC: 0.93-1.44) e l’esposizione al fumo passivo in ambienti di lavoro (OR:1.17, 95% IC:0.94-1.45). radon e suoi prodotti di decadimento: Il radon dà origine ad una serie di prodotti di decadimento, solitamente chiamati prodotti di decadimento del radon o figli del radon. Il radon ed suoi prodotti di decadimento sono stati classificati dallo IARC (International Agency for Research on Cancer, dell'Organizzazione Mondiale della Sanità) nel gruppo 1 dei cancerogeni, cioè nel gruppo di sostanze per le quali vi è evidenza sufficiente di cancerogenicità sulla base di studi su esseri umani, in questo caso sulla base degli studi su coorti di minatori. Quando il radon ed i suoi prodotti di decadimento vengono inalati, la maggiore dose al tessuto polmonare viene rilasciata dalle radiazioni alfa emesse dai figli del radon, soprattutto quelli liberi o attaccati a particelle di aerosol di piccole dimensioni, mentre il contributo del radon stesso è relativamente piccolo. Il radon, in sostanza, agisce soprattutto come trasportatore e sorgente dei suoi prodotti di decadimento. E’ stata evidenziata una relazione lineare tra l'esposizione ai prodotti di decadimento del radon ed eccesso di rischio per tumore polmonare, nonché un effetto sinergico tra esposizione a radon e fumo di sigaretta, la cui entità è alquanto incerta. Eventuali effetti sanitari del radon diversi dal tumore polmonare non sono sufficientemente comprovati. amianto e altre fibre minerali: E’ ormai noto alla comunità scientifica internazionale che l’esposizione a fibre di amianto produce un aumentato rischio di patologie polmonari come pneumoconiosi, cancro del polmone e mesotelioma. La IARC classifica l’amianto nel gruppo 1, cioè nel gruppo di sostanze per le quali vi è evidenza sufficiente di cancerogenicità nell’uomo. 3 - Malattie cardiovascolari Le esposizioni a monossido di carbonio (CO) ed a fumo passivo (Environmental Tobacco Smoke – ETS) sono state associate ad effetti cardiovascolari nell’uomo ed, in particolare, alla malattia ischemica del cuore (Coronary Heart Disease – CHD). La Environmental Protection Agency dello stato della California negli USA ha recentemente affermato che esiste un aumento del rischio (30%) per CHD associato all’esposizione al fumo passivo. L’American Heart Association’s Council on Cardiopulmonary and Critical Care ha concluso che il fumo di tabacco ambientale aumenta il rischio di malattia del miocardio ed è una importante causa prevenibile di malattia e di morte per malattie cardiovascolari. Queste conclusioni sono state confermate nel 1998 dallo Scientific Committee on Tobacco and Health degli USA. Le recenti linee guida della Organizzazione Mondiale della Sanità per la qualità dell’aria (Air Quality Guidelines, WHO, 1999) riconoscono un ruolo causale della esposizione al fumo ambientale nei riguardi della patologia coronarica.

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Molte persone sono esposte al fumo passivo e, poiché le malattie cardiovascolari sono una causa molto comune di morbilità e mortalità nel nostro Paese, anche se il rischio relativo di questi eventi associato al fumo passivo è piccolo, il numero di persone che ne possono essere affette è potenzialmente molto elevato. Data l’elevata prevalenza di fumatori, le conseguenze sociali e sanitarie del fumo passivo di sigaretta in relazione alla malattia ischemica del miocardio sono dunque importanti. 4 - Malattie da infezioni di origine indoor I dati italiani sulle infezioni causate dalla contaminazione microbiologica dell’aria e dei sistemi di ventilazione e climatizzazione sono relativamente scarsi e coincidono con quelli riportati in altri Paesi europei ed extraeuropei, spesso limitati ad indagini ristrette a particolari ambienti (ospedali, sale chirurgiche e di terapia intensiva, palestre, scuole) e limitatamente ad alcuni agenti infettivi. Tali studi hanno evidenziato come la contaminazione microbica sia legata a scarsa o, talvolta, assente idoneità delle condizioni igienico-edilizie dei locali presi in considerazione dagli studi, al sovraffollamento dei locali, alla scarsa manutenzione dei sistemi di climatizzazione. L’inquinamento microbiologico all’interno degli ambienti chiusi può essere considerato una fonte di trasmissione di numerose malattie infettive a carattere epidemico: influenza, varicella, morbillo, polmoniti pneumococciche, legionellosi, psittacosi-ornitosi, ecc. Queste patologie sono di grande rilevanza sociale sia per il grande numero di soggetti che viene coinvolto sia per le complicanze che possono sopraggiungere, rendendo più complesso il trattamento farmacologico con conseguenti ripercussioni sui costi. Particolare attenzione va rivolta alle infezioni trasmesse nell’ambito ospedaliero, dove la diffusione di microrganismi patogeni attraverso le condutture degli impianti di climatizzazione potrebbe rivestire un ruolo importante nella trasmissione delle infezioni nosocomiali. La possibilità di trasmissione di infezioni in comunità chiuse quali scuole, asili, carceri, caserme, uffici fa comprendere quanto importante sia condurre indagini rivolte a definire il rischio microbiologico, per poter prevenire con interventi igienico-ambientali l’insorgere di epidemie. 5 - Malattie da allergeni indoor L'aumentata propensione alle allergie ha reso pericolose alcune normali componenti biologiche del nostro ambiente di vita (un tempo innocue), quali gli acari della polvere, i derivati del pelo e della saliva degli animali domestici, alcuni pollini, alcune muffe. Per questi motivi, le malattie allergiche rappresentano, nell’ambito delle patologie influenzate dagli ambienti indoor, un settore che pone problematiche del tutto particolari. In questo caso, infatti, l'effetto potenzialmente nocivo delle sostanze presenti nell'ambiente non è riferibile alle loro proprietà intrinseche, ma ad una risposta anomala di una quota di popolazione che si sensibilizza nei confronti di sostanze allergizzanti.

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Gli allergeni non sono inquinanti, ma componenti "normali" dell'ambiente, privi di tossicità intrinseca. Pur non svolgendo alcun ruolo causale inducente, alcuni contaminanti dell’aria indoor possono svolgere un ruolo importante nell'aggravare malattie allergiche già avviate. Esistono, infatti, sostanze per le quali si sospetta un ruolo favorente ("adiuvanti") il processo di sensibilizzazione in soggetti predisposti, e altre, tra cui molti inquinanti veri e propri, che possono scatenare ("triggers") nuovi attacchi di sintomi in quei soggetti che già soffrano di allergie.

Le dimensioni del problema in Italia L’aumento della prevalenza dell’asma registrato negli ultimi anni è soprattutto a carico delle cosiddette forme perenni, i cui principali responsabili sono gli allergeni che si trovano negli ambienti indoor. Lo studio epidemiologico più esteso e standardizzato svolto in materia nel nostro Paese è quello realizzato nell'ambito del protocollo internazionale ISAAC (International Study of Allergy and Asthma in Children). Tra il 1994 ed il 1995, 13 centri Italiani hanno valutato la prevalenza attuale di asma bronchiale, rinocongiuntivite allergica e dermatite atopica tra gli studenti delle scuole medie inferiori. I valori osservati collocano il nostro Paese in una fascia di prevalenza intermedia nel panorama globale, (asma=8,9%, rinocongiuntivite allergica = 13.6%, dermatite atopica=5.5%). Oltre a forme classiche di asma bronchiale allergico, gli allergeni indoor possono essere responsabili di una sindrome di notevole interesse, definita "febbre da umidificatore". In alcuni episodi a carattere micro-epidemico è emerso il chiaro coinvolgimento dell'impianto di condizionamento, tuttavia l'agente eziologico coinvolto può rimanere sconosciuto, pur nell'ambito di allergeni, tossine batteriche, endotossine. Si segnala, infine, un'entità nosologica non trascurabile: l'alveolite allergica estrinseca; anche se l'impatto epidemiologico sulla popolazione italiana non è rilevante rispetto alle altre allergie respiratorie, tuttavia, essa riveste un notevole interesse in Medicina del Lavoro. Tale patologia consegue ad un'abnorme risposta immunitaria ad esposizioni ripetute a polveri organiche. Nei bambini viene osservata specialmente intorno ai 10 anni di età in forma prevalentemente subacuta. La cessazione dell'esposizione fa regredire il quadro clinico. 6 - Sindrome dell'edificio malato o Sick-Building Syndrome (S.B.S.) L'espressione S.B.S. indica un quadro sintomatologico abbastanza ben definito, descritto negli ultimi 20 anni, che si manifesta in un elevato numero di occupanti edifici moderni o recentemente rinnovati, dotati di impianti ventilazione meccanica e di condizionamento d'aria globale senza immissione di aria fresca dall'esterno ed adibiti ad uffici, scuole, ospedali, case per anziani, abitazioni civili. I reperti obiettivi sono limitati, probabilmente, ad una riduzione della stabilità del film lacrimale. Queste manifestazioni cliniche sono aspecifiche, insorgono dopo alcune ore di permanenza in un determinato edificio e si risolvono in genere rapidamente, nel corso di qualche ora o di qualche giorno (nel caso dei sintomi cutanei) dopo l'uscita dall'edificio. A volte la sintomatologia consiste in astenia e mancanza di concentrazione, altre volte, invece, comprende difficoltà nella respirazione, irritazione agli occhi o disturbi cutanei.

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Sebbene i sintomi siano di modesta entità, i casi di S.B.S. che si verificano in ambienti lavorativi possono avere un costo più elevato di alcune malattie gravi ed a prognosi peggiore, a causa del significativo calo della produttività. 7 - Intossicazione da monossido di carbonio Per concentrazioni di CO superiori all’80% si ha l’exitus per arresto cardiorespiratorio. Le statistiche ufficiali più recenti riportano 500-600 morti l’anno in Italia, in seguito ad intossicazione acuta da CO, di cui circa i 2/3 di origine volontaria. Tali cifre sicuramente sottostimano l’entità del problema poichè molti casi di intossicazione, soprattutto quelli accidentali o i casi non mortali, non vengono correttamente diagnosticati e registrati. Particolarmente sensibili all’azione dell’ossido di carbonio sono gli anziani, le persone con affezioni dell’apparato cardiovascolare e respiratorio, la donna gravida, il feto, il neonato e i bambini in genere. Molto si è discusso sull’esistenza di un quadro di intossicazione cronica da CO. In alcuni soggetti esposti per lungo tempo all’assorbimento di piccole quantità del tossico, è stata descritta una sintomatologia caratterizzata da astenia, cefalea, vertigini, nevriti, sindromi parkinsoniane ed epilettiche, aritmie, crisi anginose. 8 - Effetti da esposizione ad antiparassitari e insetticidi di uso domestico Questi composti sono tossici per definizione ed esercitano i loro effetti principalmente sul sistema nervoso, sul fegato e sull'apparato riproduttore. Taluni sono anche sensibilizzanti allergici. Per questo gruppo di sostanze non esistono dati sull'entità della esposizione della popolazione. 9 - Effetti irritativi e sul comfort della qualità dell’aria indoor Fra i diversi fattori che incidono sulla "qualità" degli ambienti in cui si vive e si lavora e quindi sul benessere delle persone, il microclima e l’inquinamento chimico rivestono una importanza fondamentale. Tra le patologie determinate dall'esposizione ad agenti indoor, le forme più frequenti sono quelle che comprendono quadri clinici caratterizzati da effetti irritativi e neurosensoriali che determinano condizioni di malessere, diminuzione del comfort degli occupanti e percezione negativa della qualità dell'aria. L'esposizione della cute o delle mucose di occhio, naso e gola a inquinanti aerodispersi può causare manifestazioni irritative nella sede di contatto. I principali composti chimici responsabili di reazioni irritative negli ambienti confinati sono: formaldeide e altre aldeidi, composti organici volatili (VOC) e sostanze presenti nel fumo di tabacco ambientale, fibre minerali artificiali.

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L'intensità della risposta dell'organismo all'effetto irritante dipende anche da alcuni parametri microclimatici, quali temperatura ed umidità. Anche le fibre minerali artificiali, in particolare la lana di vetro, possono essere responsabili di effetti irritativi cutanei. Epidemie di dermatiti da fibre minerali sono state osservate in edifici, specialmente in occasione di lavori di manutenzione su pannelli coibentanti, od a seguito di contaminazione delle condutture dell'aria forzata causate da rotture dei condotti e penetrazione del coibente nel quale erano avvolte. Infine, stime della Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che effetti sensoriali primari o secondari, espressione di disagio, si rilevano nei soggetti che risiedono nel 30% di tutte le nuove costruzioni. L’impatto degli inquinanti indoor sulla salute della popolazione italiana La valutazione quantitativa dell’impatto della esposizione agli inquinanti sulla popolazione in termini di effetti sanitari, di costi diretti per l’assistenza medica, di impatto economico generale -necessita di molte informazioni sui livelli di esposizione della popolazione, sui rischi individuali ad essi associati, sul costo unitario dell’attività assistenziale sanitaria, sul valore “economico” da assegnare agli anni di vita perduta. Tuttavia, vi sono poche applicazioni della analisi comparativa delle stime di impatto per il complesso degli inquinanti indoor in grado di fornire indicazioni operative sulla dimensione del fenomeno e utili per stabilire le priorità degli interventi di prevenzione. Una stima adeguata dell’impatto sanitario degli inquinanti indoor nel nostro Paese necessita di una molteplicità di dati ed informazioni (caratteristiche e frequenza delle esposizioni, coefficienti della relazione dose-risposta specifici per la popolazione italiana) che al momento sono disponibili in modo parziale e frammentario. Stime dell’impatto sanitario degli inquinanti indoor in Italia Uno dei capitoli senz’altro più rilevanti è rappresentato dalle malattie allergiche (asma bronchiale, rinite allergica, dermatite atopica) che colpiscono una quota rilevante della popolazione in età giovanile ed adulta. Gli allergeni indoor (acari della polvere, muffe, scarafaggi e forfore di animali domestici) sono estremamente diffusi e possono essere responsabili di una proporzione considerevole delle malattie allergiche. Il rischio di tumore polmonare da radon nelle abitazioni italiane può essere calcolato sulla base dei dati di esposizione stimati durante l'indagine nazionale sulla radioattività ambientale, che indica una esposizione media di popolazione pari a 75 Bq/m3.

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Allo stato attuale delle conoscenze, il rischio di tumore polmonare per l’intera vita, per una esposizione cronica ad una concentrazione di radon di 100 Bq/m3, è stimabile in circa l’1%, con un'incertezza complessiva probabilmente inferiore ad un fattore tre. Tenendo conto che ogni anno in Italia ci sono circa 30.000 decessi per tumore polmonare, si può stimare che da 1.500 a 6.000 casi possano essere attribuibili all'esposizione domestica al radon. Dal momento che molte persone sono esposte al fumo passivo, anche se il rischio relativo delle malattie esaminate associato al fumo passivo è basso, il numero di persone che ne possono essere affette è molto elevato. In particolare, la voce “infezioni respiratorie delle vie aeree superiori ed inferiori” comprende tutti quei casi (ad esempio otite) per i quali il fumo passivo rappresenta un fattore eziologico rilevante. Il benzene costituisce un inquinante degli ambienti chiusi per il quale la Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale ha stimato il rischio individuale di leucemia in Italia. Il numero dei casi attribuibili alla esposizione a benzene è compreso tra i 36 e i 190 casi all’anno. Infine, le intossicazioni da CO causano circa 500-600 morti l’anno e almeno un terzo sono attribuibili ad intossicazioni involontarie per fuoriuscita del gas da caldaie per il riscaldamento autonomo, scaldabagni, stufe, e cucine a gas. Aspetti strutturali e funzionali degli edifici connessi alla qualità dell’aria indoor 1 - Edilizia residenziale in Italia In Italia i fenomeni di accentuata urbanizzazione, alla fine del secolo scorso, hanno creato problemi legati al sovraffollamento, alla difesa termica, all’approvvigionamento idrico, all’allontanamento dei rifiuti liquidi e solidi, con la creazione dei cosiddetti “quartieri della tubercolosi”, cioè aree in cui il degrado abitativo e le conseguenti disagiate condizioni di vita erano una concausa della malattia, a quel tempo epidemica. Come conseguenza furono predisposti programmi di bonifica delle abitazioni ed emanate norme igieniche a cui ancora si ispira la legislazione attualmente vigente, in particolare i regolamenti sanitari ed i regolamenti edilizi comunali. Nel 1985, circa il 2% della popolazione in Italia viveva in case senza servizi igienici ed il 7, 5% non aveva docce o stanze da bagno (Avramov,1995). Nel 1993-1996, una media dell’11,8-16,7% di famiglie riferiva di vivere in case troppo piccole per le proprie necessità : la percentuale di case “troppo piccole” è più elevata nel Sud e nelle isole rispetto al Centro-Nord (ISTAT, 1998). Le condizioni abitative generali, sono percepite come peggiori nel Sud (7,9%) e nelle isole (9,7%) rispetto ad altre parti del Paese.

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Inoltre i dati indicano un miglioramento nel tempo delle condizioni abitative nel Nord-Ovest, Centro e Sud Italia, mentre un leggero deterioramento è rilevato nel 1996 rispetto al 1995 nel Nord-Est e nelle Isole. In generale l’ampiezza e l’altezza medie degli alloggi in Italia, superiori alle medie europee, consentono una discreta articolazione dei tagli abitativi; questa con l’aiuto del clima, favorisce la circolazione dell’aria e l’espulsione degli inquinanti. Nella maggior parte dei casi la cucina è usata come stanza abitabile, con i rischi espositivi che ne conseguono. 2 - Edifici non residenziali Come per gli edifici residenziali, i rischi di inquinamento dell’aria interna sono legati alle caratteristiche costruttive ed alle attività che vi si svolgono. Negli uffici, indipendentemente dal tipo edilizio, l’inquinamento dell’aria interna è favorito da alcune condizioni favorenti: scarsa igiene negli ambienti, trascurata manutenzione/pulizia degli impianti di climatizzazione, consistente presenza di scaffalature aperte, diffusa presenza di rivestimenti porosi che adsorbono e rilasciano gli inquinanti chimici presenti nell’aria, macchine fotocopiatrici, stampanti al laser (Ozono >0,1 mg/m3), mobili e pareti divisorie in legno truciolare, imbottiti con rivestimento plastico, ecc. (TVOC >0,5 mg/m3; formaldeide >0,10 mg/m3) e presenza di fumatori. Tabella 6 – Distribuzione degli uffici in differenti strutture edilizie: rischi correlati (rielaborazione da: Ministero dell’Ambiente, 1991)

TIPO EDILIZIO % CARATTERISTICHE PROBLEMI PRINCIPALI

Palazzi per uffici 15% Edifici alti, con corpo di fabbrica molto profondo; involucro a facciata continua, sigillato, talvolta totalmente vetrato. Impianto di climatizzazione.

Illuminazione naturale scarsa; artificialità e promiscuità degli spazi.

Palazzine adiacenti alle sedi produttive

20% Per lo più costruzioni prefabbricate, con scarsa qualità delle finiture e delle connessioni.

Inquinamento dell’aria esterna; problemi da condensa e vibrazioni.

Riutilizzo di ambienti residenziali o commerciali

65% Soluzioni di ripiego, inadeguate dal punto di vista distributivo e delle dotazioni impiantistiche.

Rischi derivati dall’uso di pareti leggere, rivestimenti, adesivi, sigillanti (VOC).

3 - Edifici scolastici Si è sempre ritenuto che la maggior fonte di inquinamento dell’aria, nelle scuole, fosse rappresentata dagli alunni. Ciò non è vero anche se in Italia numerosi edifici scolastici sono stati costruiti prima della seconda guerra mondiale e sono quindi caratterizzati da spesse pareti in muratura e ampie finestre.

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Il problema dell’inquinamento da materiali costruttivi si pone soprattutto durante gli interventi di manutenzione ordinaria/straordinaria di questi edifici, con elevate emissioni di VOC da vernici e adesivi e rilascio di particolato nelle fasi di demolizione e rimozione, ma questi lavori si svolgono, nella maggior parte dei casi, durante il periodo estivo. Rilevazioni condotte nella città di Milano hanno evidenziato concentrazioni medie di TVOC di circa 1800 mg/m3, superiori di 6 volte a quelle presenti nell’aria esterna e di circa 3 volte a quelle rilevate in edifici per uffici. Probabilmente sono da attribuire alle attività degli allievi (pittura) e all’uso di detergenti e disinfettanti. I plessi costruiti con tecniche prefabbricate dopo gli anni ’60 comportano inoltre i diversi rischi connessi con isolamento e inerzia termica inadeguati (ponti termici, umidità da condensa) e con la scarsa tenuta all’aria e all’acqua (infiltrazioni d’acqua, muffe). Per quanto riguarda il radon, indagini effettuate in oltre 2.000 scuole materne ed elementari di sei regioni italiane hanno messo in evidenza che anche in questa tipologia di edifici si riscontrano livelli equivalenti o superiori a quelli delle abitazioni, in quanto generalmente tali scuole si estendono principalmente al piano terra, che è più vicino alla principale sorgente del radon che è appunto il terreno sottostante. Valutazione delle Condizioni Microclimatiche e di aerazione L’indagine microclimatica viene svolta per verificare uno dei requisiti di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, così come previsto nel Titolo II Capo I dall’art.63 del D.Lgs. n°81 del 09/04/2008. Nell’allegato IV al paragrafo dedicato al microclima si riporta: Per quanto riguarda l’areazione dei luoghi di lavoro chiusi, al punto 1.9.1:

“1.9.1.1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente ottenuta preferibilmente con aperture naturali e quando ciò non sia possibile, con impianti di aerazione.”

“1.9.1.3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell’aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d’aria fastidiosa.”

Per quanto riguarda la temperatura dei locali, al punto 1.9.2:

“1.9.2.1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.”

“1.9.2.3. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il personale di sorveglianza, dei servizi igienici, delle mense e dei locali di pronto soccorso deve essere conforme alla destinazione specifica di questi locali.”

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“1.9.2.4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro.”

“1.9.2.5. Quando non è conveniente modificare la temperatura di tutto l’ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi di protezione.”

Per quanto riguarda l’umidità, al punto 1.9.3:

“1.9.3.1. Nei locali chiusi di lavoro delle aziende industriali nei quali l’aria è soggetta ad inumidirsi notevolmente per ragioni di lavoro, si deve evitare, per quanto possibile, la formazione della nebbia, mantenendo la temperatura e l’umidità nei limiti compatibili con le esigenze tecniche.”

Criteri e metodologie di analisi L’organismo umano tende a permanere in condizioni di equilibrio omeoterme, cioè a far si che:

la potenza termica ceduta attraverso la sua superficie corporea uguagli la potenza termica assorbita dall’ambiente sommata a quella generata dai processi metabolici;

la temperatura del nucleo corporeo si mantenga costante intorno a valori ottimali (indicativamente compresi nell’intervallo 36,7 ± 0,2 °C).

A tal fine, il corpo umano attiva determinati meccanismi di tipo fisiologico e di tipo comportamentale e può conseguire questo obbiettivo in condizioni ambientali anche estremamente diversificate e severe. Non sempre, tuttavia, le condizioni, di impegno fisico e di vestiario corrispondono ad un elevato livello di tutela dello stato di salute, di benessere e di prestazioni dell’individuo. L’indagine è, quindi, mirata a valutare se le condizioni di tutela dello stato generale di salute dei lavoratori sono salvaguardate. Le grandezze fondamentali per la determinazione della situazione termica dell’organismo nel suo complesso sono: 1) grandezze ambientali:

temperatura dell’aria ta; temperatura media radiante tr; umidità relativa rh; velocità dell’aria Va.

2) grandezze personali: dispendio energetico metabolico M; resistenza termica del vestiario Icl.

Le grandezze ambientali vengono misurate con una stazione microclimatica a cui sono collegate delle sonde opportune, mentre le grandezze personali sono dedotte da opportune tabelle di riferimento.

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Per i criteri di campionamento e di elaborazione dei dati si fa riferimento alle linee guida “Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro” redatte dal Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome in collaborazione con Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro (giugno 2006), ed inoltre alle seguenti norme tecniche:

UNI EN ISO 13731:2004 – Ergonomia degli ambienti termici – Vocabolario e simboli; UNI EN ISO 7726:2002 – Ergonomia degli ambienti termici – Strumenti per la misurazione

delle grandezze fisiche; UNI EN ISO 7730:2006 – Ergonomia degli ambienti termici – Determinazione analitica e

interpretazione del benessere termico mediante il calcolo degli indici PMV e PPD e dei criteri di benessere termico locale;

UNI EN ISO 8996:2005 – Ergonomia dell’ambiente termico – Determinazione del metabolismo energetico;

UNI EN 27243:1996 – Ambienti caldi. Valutazione dello stress termico per l’uomo negli ambienti di lavoro, basata sull’indice WBGT (temperatura a bulbo umido e del globotermometro);

UNI ENV ISO 11079:2001 – Valutazione degli ambienti freddi – Determinazione dell’isolamento richiesto dagli indumenti (IREQ).

Strumentazione utilizzata per le misurazioni Per l’esecuzione delle misure viene utilizzata una stazione microclimatica con le seguenti sonde per l’acquisizione dei parametri necessari ad una corretta valutazione delle caratteristiche microclimatiche presenti nelle aree di lavoro:

Multiacquisitore di grandezze ambientali; Sonda psicometrica a ventilazione forzata, costituita da due sensori Pt100, uno per la

misura della temperatura a bulbo secco e l’altro per la misura della temperatura di bulbo umido, e sensore per la misura dell’umidità relativa e punto di rugiada;

Sonda globotermometrica in rame nero opaco, per la misura della temperatura radiante (Tg);

Sonda per temperatura umida a ventilazione naturale, per la misura della temperatura di bulbo umido a ventilazione naturale (Tnw);

Sonda anemometria a fili caldo per turbolenze per la misura della velocità dell’aria (Va); Sonda a dispersione infrarossa per la misura della concentrazione di anidride carbonica (0-

3000 ppm). Tali sonde vengono sistemate, fissate ad un opportuno supporto, in posizioni rappresentative delle condizioni in cui i lavoratori rispettivamente lavorano e riposano, per un periodo di tempo di almeno 30 minuti ed ad un’altezza pari a quella del torace del lavoratore stesso.

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Valutazione delle emissioni di CO2, CO, NOx,O2, SOx Per le procedure di campionamento si fa riferimento al manuale Unichim n. 158/1988 “Strategie di campionamento e criteri di valutazione delle emissioni”, al manuale Unichim n. 122/1989 “Metodi di campionamento e di analisi per flussi gassosi convogliati” e al D.M. 25 agosto 2000 “Aggiornamento dei metodi di campionamento, analisi e valutazione degli inquinanti, ai sensi del decreto del presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203”. In particolare utilizzando i metodi seguenti:

Velocità, portata e temperatura dei flussi convogliati: Metodo Metodo UNI 10169:2001 “Determinazione della velocità e della portata di flussi gassosi convogliati per mezzo del tubo di Pitot”; determinazione della pressione differenziale mediante tubo di Pitot tipo “S” snodabile Cod.AC99-098-9900SP della lunghezza di 1,5 metri e della temperatura mediante termocoppia tipo “K” collegati a Manometro – Termometro digitale.

Monossido di carbonio: Metodo UNI EN 15058:2006 “Emissioni da sorgente fissa – Determinazione della concentrazione in massa di monossido di carbonio (CO)” – Metodo strumentale in continuo con rivelatore ad infrarosso non dispersivo. Si effettua un monitoraggio in continuo della durata di 165 minuti ciascuno, registrando un valore ogni 15 secondi ed esprimendo il risultato come media aritmetica delle misure. Prima di ogni ciclo di misure si procede alla taratura dello strumento mediante miscela standard contenente 60 ppm di Monossido di carbonio.

Ossidi di azoto (come NO2): Metodo UNI 10878:2000 “Misure alle emissioni – Determinazione degli ossidi di azoto (NO e NO2) in flussi gassosi convogliati – Metodi mediante spettrometria non dispersiva all’infrarosso (NDIR) e all’ultravioletto (NDUV) e chemiluminescenza” – Metodo in continuo con rivelatore a chemiluminescenza. Si effettua un monitoraggio in continuo della durata di 165 minuti ciascuno, registrando un valore ogni 15 secondi ed esprimendo il risultato come media aritmetica delle misure. Prima di ogni ciclo di misure si procede alla taratura dello strumento mediante miscela standard contenente 500 mg/Nm3 di Ossidi di azoto.

Ossidi di zolfo (come SO2): Metodo UNI 10393:1995 “Misure alle emissioni. Determinazione del biossido di zolfo nei flussi gassosi convogliati” – Metodo strumentale con campionamento estrattivo diretto con rivelatore ad infrarosso non dispersivo. Si effettua un monitoraggio in continuo della durata di 165 minuti ciascuno, registrando un valore ogni 15 secondi ed esprimendo il risultato come media aritmetica delle misure. Prima di ogni ciclo di misure si procede alla taratura dello strumento mediante miscela standard contenente 60 ppm di Ossidi di zolfo.

Ossigeno: Metodo UNI EN 14789:2006 “Emissioni da sorgente fissa – Determinazione della concentrazione in volume di ossigeno (O2)” – Metodo strumentale in continuo con rivelatore a paramagnetismo. Si effettua un monitoraggio in continuo della durata di 165 minuti ciascuno, registrando un valore ogni 15 secondi ed esprimendo il risultato come media aritmetica delle misure.

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Apparecchiatura utilizzata per i prelievi La linea di prelievo per i metodi UNI 10878:2000, UNI EN 15058:2006 e UNI EN 14789:2006 è costituita dalle seguenti unità principali:

Sonda di prelievo fumi riscaldata; Linea di prelievo in teflon autoregolata 150°C; Sistema refrigerante portatile con pompa a flusso costante 6 l/min.; Pompa a flusso costante a 0.4 l/min.

Apparecchiatura utilizzata per le analisi Analizzatore di gas portatile. Principali misure di prevenzione

Pericolo Misure primarie Misure secondarie

alte temperature mitigazione delle sorgenti di calore installazione di termostati e valvole termoregolatrici

alta umidità riduzione delle sorgenti, aumento della ventilazione

deumidificazione delle aree problematiche

ventilazione regolazione degli impianti di termoventilazione, adeguata filtrazione, manutenzione regolare

uso di finestre apribili, miglioramento delle modalità di circolazione dell'aria

funghi, muffe e batteri

riparare perdite, asciugare parti in miniatura, eliminare umidificatori, migliorare i condizionatori d'aria

ridurre l'umidità in estate e in inverno, pulire i serbatoi d'acqua almeno settimanalmente

VOC eliminazione delle sorgenti, incremento della ventilazione

rinnovamento dei materiali di costruzione e di arredamento

prodotti di combustione

sigillare correttamente i locali posti in prossimità di traffico veicolare

eliminare le emissioni da sorgenti con fiamme libere

fumo di sigaretta abolizione del fumo separazione dei fumatori dai non fumatori, riduzione dei materiali assorbenti

fotocopiatrici, stampanti laser

collocazione in appositi locali ben ventilati collocazione lontano dalle persone

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Illuminazione naturale e artificiale Quello che è definito "luce" sono le radiazioni elettromagnetiche che l'occhio umano è in grado di percepire e, precisamente, quelle che hanno una lunghezza d'onda compresa tra 400 e 780 nanometri (nm). La luce è, quindi, la sensazione soggettiva prodotta dall'interazione di queste radiazioni con l'apparato visivo. Molte delle impressioni sensoriali dell'uomo sono di natura ottica e necessitano della luce come veicolo di informazione; per questo ha una rilevanza fondamentale nella percezione del mondo e, dunque, nelle attività umane e influenza grandemente le relazioni fisiologiche, emozionali, psicologiche dell'uomo. L'atto del vedere si esplica in una complessa sequenza di fenomeni fisici, chimici e nervosi e si manifesta concretamente attraverso la percezione delle forme, del colore, del rilievo e del movimento degli oggetti. Nell'apparato della visione, l'occhio è l'elemento ricevitore e le radiazioni luminose stimolano le cellule fotosensibili della retina generando impulsi nervosi che, mediante il nervo ottico, giungono alla zona della corteccia cerebrale deputata alla trasformazione dei segnali in percezione visiva, vale a dire in una cosciente rappresentazione luminosa delle informazioni ricevute dal mondo esterno. L’illuminazione al pari del riscaldamento, della ventilazione, dello stato igrometrico, ecc. contribuisce a creare quelle condizioni di benessere che devono essere assicurate sia agli ambienti abitativi che lavorativi. Condizioni sub-ottimali di luce, a differenza di quanto accade per altri fattori microclimatici i cui valori ottimali rientrano in intervalli più o meno ristretti, non ingenerano effetti di disturbo immediato bensì a lungo termine, data la grande capacità dell’occhio di adattarsi a condizioni più o meno disagevoli di visione. Nel caso di illuminazione scarsa si è istintivamente portati a diminuire la distanza ottimale tra l’occhio e l’oggetto da osservare, stabilita intorno ai 30 - 35 cm. Nel caso di illuminazione intensa, cioè emessa da sorgenti di notevole intensità e che colpisce direttamente l’occhio, si verifica il fenomeno dell’abbagliamento. L'illuminazione di un ambiente di lavoro deve disporre di corretti sistemi di illuminazione naturale e artificiale per soddisfare esigenze fondamentali, quali:

buona visibilità: per svolgere correttamente una determinata attività, l'oggetto della visione deve essere percepito e inequivocabilmente riconosciuto con facilità, velocità e accuratezza;

comfort visivo: l'insieme dell'ambiente visivo deve soddisfare necessità di carattere fisiologico e psicologico;

sicurezza: le condizioni di illuminazione devono sempre consentire sicurezza e facilità di movimento e un pronto e sicuro discernimento dei pericoli insiti nell'ambiente di lavoro.

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L'illuminazione naturale è quella che si ottiene utilizzando la luce diurna, vale a dire quella parte di energia che il sole fornisce alla terra e che può essere diretta o riflessa dalla volta celeste e dalle varie superfici dell'ambiente esterno e interno. Nell'illuminazione degli ambienti, l'impiego della luce diurna è importante sia per la qualità della visione e le caratteristiche di gradevolezza e accettazione da parte degli occupanti, sia per ragioni connesse al risparmio energetico. Inoltre, il contributo della luce naturale nell'illuminazione degli interni va privilegiato in quanto la presenza, nell'involucro di un edificio, di aperture verso l'esterno permette di cogliere le modulazioni del ciclo della luce, cui sono legate importanti funzioni fisiologiche, e di mantenere un legame visivo col mondo circostante, che è un bisogno psicologico elementare dell'uomo. Per queste ragioni, l'illuminazione con luce naturale degli ambienti di lavoro deve essere adottata in tutti i casi in cui le attività o le lavorazioni non necessitano esplicitamente, per il loro stesso espletamento, di un'illuminazione naturale ridotta o assente. L'illuminazione artificiale è quella prodotta dai corpi illuminanti intenzionalmente introdotti per lo svolgimento dei compiti visivi richiesti, in quel determinato luogo, e per compensare la carenza o l'assenza di illuminazione naturale. Quindi, la progettazione di un impianto di illuminazione deve essere coerente con le caratteristiche dell'ambiente (dimensioni, forma, proprietà fotometriche delle superfici interne, presenza di luce diurna ecc.), con la sua funzione generale (commerciale, produttiva, sanitaria ecc.) e con i compiti visivi degli utilizzatori. L’ambiente luminoso può essere caratterizzato, da un punto di vista tecnico, da grandezze come:

Flusso luminoso : è la potenza luminosa emessa da una sorgente o ricevuta da una superficie, ed è espressa in lumen (lm).

Tabella 1 – Flusso luminoso di sorgenti tipiche

Tipo di sorgente luminosa Flusso luminoso (lm)

Lampada per bicicletta 2 W Lampada ad incandescenza 100 W Lampada fluorescente L 40 W Lampada vapori di Hg ad alta pressione 125 W Bulbo fluorescente 400 W Lampada alogenuri metallici 2000 W Lampada xenon arco lungo 20000 W

18 1250 3200 6300

23000 190000 500000

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Efficienza luminosa: è riferita a sorgenti luminose artificiali di tipo elettrico ed esprime il rapporto tra il flusso luminoso totale emesso da una sorgente e la potenza totale in ingresso alla sorgente stessa. Si esprime in lumen/watt.

Intensità luminosa I: esprime il flusso luminoso di una sorgente in una specifica direzione, per unità di angolo solido, ed è espressa in candele (=lumen/steradiante)

Illuminamento E: con riferimento ad una superficie illuminata, esprime il flusso luminoso che raggiunge l’unità di tale superficie. Si esprime in lux (= lumen/m2)

Tabella 2 – Valori tipici indicativi di illuminamento

Illuminamento (lux)

Giornata estiva soleggiata giornata estiva cielo coperto Vetrine Uffici Sale da pranzo Strade (notte) Notte di luna piena Notte serena senza luna

100000 20000 3000 500 200 30

0.25 0.01

Luminanza L: con riferimento ad un elemento di superficie che emetta (o rifletta) luce,

esprime il rapporto tra l’intensità luminosa prodotta in una determinata direzione e l’area della proiezione di questo elemento di superficie perpendicolarmente alla direzione prescelta. Si esprime in candele/m2 (=nit). La luminanza delle superfici contenute nel campo visivo è direttamente collegata sia ai fenomeni di abbagliamento che alla possibilità di percepire distintamente gli oggetti osservati.

Si definisce:

Rapporto di luminanza L2/L1: rapporto tra la luminanza L2 di un oggetto e la luminanza del suo fondo L1; esso è correlato agli effetti di abbagliamento.

Fattore di contrasto: esso risulta correlabile al grado di visibilità degli oggetti. Riflettanza: esprime il rapporto tra il flusso luminoso riflesso ed il flusso che incide sulla

superficie stessa; dipende dal tipo si superficie (colore, rugosità), dalla direzione della luce incidente, dalla direzione di osservazione dalla composizione spettrale della luce stessa.

Fattore di luce diurna: esprime il rapporto tra l’illuminamento prodotto dalla illuminazione naturale su un piano interno all’ambiente ed il livello di illuminamento prodotto sul piano stesso, dal cielo libero.

I fattori che incidono maggiormente sul livello di benessere visivo e quindi sulle prestazioni di un individuo sono il livello di illuminamento e la distribuzione delle luminanze nel campo del visivo; inoltre nel caso di utilizzazione di illuminazione naturale si considera anche il fattore di luce diurna.

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Il livello di illuminamento richiesto per lo svolgimento di una specifica attività dipende dal tipo di attività e viene scelto all’interno di un intervallo limitato sia inferiormente, per garantire possibilità di percezione distinta degli oggetti, sia superiormente per evitare fenomeni di abbagliamento. In Tabella 3 sono riportati alcuni valori di illuminamento per differenti compiti ed attività desunti dalla norma ISO 8995. I valori eccessivi di luminanza o eccessivi valori di differenza di luminanza tra oggetti contenuti nel campo visivo che vengono visti in rapida successione, provocano fenomeni di abbagliamento e possono quindi ostacolare la visione. Il rapporto tra l’oggetto e la zona circostante dovrebbe essere 3:1. La presenza di aperture (porte, finestre) verso l’ambiente esterno favorisce il benessere sia fisico che psicologico degli occupanti di un edificio, tuttavia la loro disposizione ed entità deve essere scelta in modo tale da minimizzare gli effetti negativi connessi alla loro presenza ed in particolare all’innalzamento potenzialmente eccessivo dei livelli di illuminamento, di luminanza, e nel caso di ingresso diretto dei raggi solari, dei carichi termici ambientali. Adottando opportune precauzioni è comunque possibile un buon fattore di luce diurno (DF). Uno schema di valutazione indicativo è il seguente:

DF < 0.3% insufficiente

0.3% < DF < 1% discreto

1% < DF < 4% buono

4 % < DF ottimo

Tabella 3 – Intervalli di illuminamento tipici per differenti compiti ed attività (da ISO 8995)

Intervalli di illuminamento

(lux) Aree - Compiti - Attività

20 - 30 - 50 50 - 100 - 150

100 - 150 - 200 200 - 300 - 500 300 - 500 - 750 500 - 750 - 1000

750 - 1000 - 1500 1000 - 1500 - 2000

> 2000

Aree esterne di circolazione Aree di circolazione, semplice orientamento, brevi visiteLocali non usati con continuità per scopi di lavoro Compiti con semplici requisiti visivi Compiti con requisiti visivi medi Compiti con requisiti visivi di precisione Compiti con requisiti visivi difficili Compiti con requisiti visivi speciali Svolgimento di compiti visivi molto precisi

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Valutazione del Grado di Illuminazione Le misure vengono svolte in ottemperanza al Titolo II, Capo I del Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Secondo quanto previsto dall’art. 63 e dall’allegato IV al D.Lgs. 81/08 comma 1.10.1, a meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità delle lavorazioni e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale. In ogni caso, tutti i predetti locali e luoghi di lavoro devono essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute ed il benessere del lavoratore. Valutazione dell’Illuminazione Per la valutazione dell’intensità luminosa, è utilizzato un luxmetro corredato di sonda con campo di misura da 0,1 a 200.000 LUX. La misurazione dell’illuminazione mediante luxmetro fornisce utili elementi di valutazione della quantità di luce che, provenendo direttamente o indirettamente dalle diverse sorgenti luminose, sia naturali che artificiali, è disponibile sui piani di lavoro. Tale quantificazione permette di valutare se l’illuminazione esistente consente di ottenere un adeguato equilibrio delle luminanze entro il campo visivo dell’operatore ai fini della riduzione dell’affaticamento visivo. Principali misure di prevenzione Vista la dimensione della problematica, per ogni ulteriore dettaglio e trattazione specifica si rimanda alla UNI 12464 Parte 1: Posti di lavoro in interni del 2004 e UNI 12464 Parte 2: Posti di lavoro in esterni del 2004.

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9.17 Fumo L’art. 51 della Legge n. 3/2003 prevede il divieto di fumare nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti od al pubblico (che concretamente si identificano solo con le abitazioni private) ed in quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati. Il comma 10 della legge dispone inoltre che rimangono ferme le disposizioni per le Pubbliche Amministrazioni; pertanto oltre alla norma generale vale anche la Direttiva del PCM 14/12/1995 che già da quella data imponeva per le amministrazioni pubbliche il divieto di fumare. Fermo restando che in forza del generalizzato divieto di fumo, la realizzazione di aree per fumatori non rappresenta un obbligo, ma una facoltà riservata ai datori di lavoro, qualora si ritenesse opportuno attrezzare locali riservati ai fumatori questi dovranno essere adeguati ai requisiti tecnici dettati dal DPCM 23/12/2003. E’ permesso fumare nei luoghi a cielo aperto ovvero nei piazzali esterni, nei cortili interni, sui terrazzi e sotto le pensiline aperte su tutti i lati. E’ stabilito il divieto assoluto di fumo in tutti i locali chiusi adibiti a sede di lavoro indipendentemente dalla presenza di pubblico ed utenti a prescindere dal tipo di attività lavorativa svolta compresi gli uffici dove presta servizio anche un solo dipendente fumatore, gli atri ed ingressi, corridoi, vani scale, pianerottoli, scantinati, ascensori, servizi igienici, sale di lettura, sale di riunione, sale di attesa, ed in prossimità delle finestre. Considerato che oltre alle norme generali di divieto (legge 3/2003; legge 584/75, DPCM 14/12/1995) vi è anche il D.Lgs. 81/08, allegato IV, punto 1.9, specifiche disposizioni prevenzionali di igiene del lavoro ne consegue che tutti coloro che svolgono mansione di Datori di lavoro, Dirigenti e Preposti sono tenuti anche in relazione a detta funzione ad assicurare a tutti i lavoratori condizioni igieniche adeguate (specificatamente per quanto attiene il fumo passivo e quindi i non fumatori che rappresentano i soggetti tutelati dalla legge) pertanto rispondono a differenza di altri soggetti (solo illecito amministrativo) anche penalmente in caso di accertata violazione da parte di personale dipendente. I riferimenti e documenti applicabili alla fattispecie di rischio sono: D.Lgs 81/08; Articolo 51 della legge 16/01/2003 n. 3 sulla tutela della salute dei non fumatori, pubblicata sul

S.O. alla G.U. n. 15 del gennaio 2003; DPCM 23/12/2003, decreto attuativo dell’art. 51 della legge 16/12/2004 pubblicato sulla G.U.

n. 303 del 28/12/2004; Circolare del Ministero della salute del 17/12/2004 pubblicata sulla G.U. n. 300 del

23/12/2004; A queste vanno aggiunte altre norme preesistenti tra cui si citano in particolare: Legge 11/11/1975 n. 584; Legge 21/11/1981 n. 689; Direttiva del PCM del 14/12/1995;

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Approccio operativo: Al datore di lavoro sono affidati i seguenti compiti: a) vigilare sul rispetto del divieto di fumare; b) individuare e designare il personale incaricato di contestare l’illecito amministrativo; c) provvedere di fronte a reiterate violazioni al richiamo per iscritto del soggetto; d) nel caso di ripetute violazioni segnalare all’autorità di vigilanza e di repressione il nominativo del contravventore per le iniziative e la verbalizzazione del caso. I datori di lavoro devono pertanto individuare con atto formale (ordine di servizio) i dirigenti a cui spetta vigilare sull’osservanza del divieto ed accertare e contestare le infrazioni. I dirigenti designati alle verifiche e controllo circa il rispetto del divieto di fumare devono: a) curare l’informazione ai lavoratori in materia di rischio da fumo passivo; b) curare l’affissione dell’apposita segnaletica di divieto; c) vigilare sulle aree di propria competenza; d) accertare le infrazioni contestando immediatamente al trasgressore la violazione ed in caso di reiterazione dovrà provvedere senza indugio alla verbalizzazione; e) redigere in triplice copia il verbale di contestazione una per il trasgressore, una per il Datore di lavoro e la terza copia per gli atti; il verbale deve contenere oltre agli estremi del trasgressore, della violazione compiuta, l’indicazione di eventuali deduzioni del trasgressore; f) provvedere alla consegna al trasgressore del verbale ovvero notificarlo, a mezzo posta interna (entro 90 giorni dall’accertamento); g) trasmettere copia al Servizio di Prevenzione e Protezione perché ne tengano conto ai fini di informare gli RLS ed i lavoratori sui rischi da fumo passivo. Sono di competenza dei dirigenti incaricati della vigilanza, tutte le aree occupate da: strutture, uffici, sale riunioni, corridoi, locali igienici, laboratori ed altri locali assimilabili facenti parte delle aree assegnate alla funzione. In caso di trasgressione del divieto la sanzione amministrativa va da € 27,50 a € 275,00. La misura della sanzione è raddoppiata qualora la violazione sia commessa in presenza di donna in evidente stato di gravidanza o di lattanti o bambini fino a 12 anni.

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9.18 Rischi connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi Differenze di genere e culturali Con riferimento alle differenze di genere la valutazione dei rischi deve focalizzarsi sull'organizzazione del lavoro, in modo da garantire pari opportunità tra uomini e donne, nonché una conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. L'obiettivo è quello di non vincolare la lavoratrice a mansioni e tipologie contrattuali con scarse prospettive professionali e di permettere, inoltre, un maggiore equilibrio tra responsabilità familiari e professionali. Particolare attenzione deve essere dedicata all'individuazione di quegli elementi che provocano effetti diversi a seconda del sesso e che pregiudicano la formazione, l'avanzamento professionale e di carriera, il trattamento economico e retributivo. Ulteriore punto da affrontare è rappresentato dai rischi di molestie riconducibili a condotte continuative che creano situazioni intimidanti, ostili e offensive; a tale studio deve affiancarsi l'individuazione di azioni e misure idonei alla risoluzione del problema. Inoltre, la valutazione dei rischi deve essere effettuata con riferimento ai rischi particolari cui sono esposti i lavoratori provenienti da altri Paesi. In tale caso, le problematiche sono legate alle difficoltà linguistiche, culturali e conoscitive, che possono essere affrontate mediante modelli di informazione, formazione, addestramento ad hoc, per consentire l'acquisizione di comportamenti sicuri. Giovani e over 55 Pari attenzione deve essere dedicata all'individuazione ed alla valutazione dei rischi cui sono soggetti i giovani ed i lavoratori maturi (oltre i 55 anni). Per quanto concerne i giovani lavoratori, non minorenni, occorre un intervento specifico in sede di informazione e formazione, al fine del raggiungimento di una maggiore e adeguata consapevolezza dei rischi. Con riguardo ai lavoratori più maturi, la misura su cui insistere è sicuramente la formazione, in modo da garantire un pieno recupero e aggiornamento delle competenze. A tali misure devono affiancarsi interventi sugli aspetti di adattamento ergonomico dei luoghi di lavoro alle esigenze e alle possibilità del lavoratore, nonché sugli orari e ritmi di lavoro in modo da rispondere alle diverse esigenze del lavoratore.

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9.19 Rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro Negli ultimi anni, a seguito dei mutamenti intervenuti all’interno della società, si è notevolmente sviluppato l’interesse intorno alla tematica della “flessibilità del lavoro”, dove per flessibilità si intende “il grado di adattabilità o adeguamento del sistema o dei suoi elementi al manifestarsi di mutamenti o al sorgere di determinati vincoli”. Hanno contribuito allo sviluppo di una elevata quota di flessibilità nel lavoro soprattutto i mutamenti nell'economia e nel mercato (ad esempio la volatilità dei mercati, l’esigenza di nuove produzioni nei luoghi di minor costo, la terziarizzazione), l’accresciuta importanza di fattori socio-culturali (ricerca di maggiori spazi per le esigenze di well being, la necessità di ridurre il pendolarismo), fattori di tipo organizzativo nell'impresa (la necessità di accedere a mutamenti produttivi rapidi, la convenienza di nuove tipologie produttive come il telelavoro), hanno infine concorso fattori legislativi (recepimento di indicazioni europee con normative sulla flessibilità). Da un punto di vista sociologico, il "lavoro subordinato standard" è caratterizzato da "integrazione gerarchica, organizzativa, spaziale e temporale dell'impresa, l'offerta della disponibilità temporale del lavoratore piuttosto che l'offerta di una prestazione specifica e l'esclusività del rapporto". Per "lavoro atipico" si può quindi intendere qualsiasi forma di rapporto di lavoro in cui manchi una o più di queste caratteristiche. Tuttavia, i lavori definiti un tempo “atipici” in quanto caratterizzati da alta flessibilità sono via via diventati sempre meno “atipici” con il crescente ricorso a tali tipologie da parte delle imprese e con la contrattualizzazione che ne è seguita. La flessibilità, principale caratteristica del lavoro atipico, può oggi assumere molte forme, alcune delle quali sono state oggetto di recente regolamentazione legislativa. Una di queste è la Somministrazione di lavoro introdotta dal D.Lgs. 276/03, in sostituzione del lavoro interinale fattispecie contrattuale attraverso la quale un soggetto (somministratore), preventivamente autorizzato, mette a disposizione di un altro soggetto (utilizzatore) lavoratori che prestano la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore stesso. Sono previsti due contratti distinti: il contratto di lavoro subordinato tra la agenzia di somministrazione e il lavoratore (a tempo

determinato o a tempo indeterminato); il contratto di somministrazione tra la agenzia di somministrazione e l’utilizzatore. Anche

questo contratto può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato; in questo ultimo caso prende il nome di staff leasing, ovvero il contratto commerciale tra le due aziende in cui i posti di lavoro possono essere ricoperti da lavoratori assunti dall’agenzia di somministrazione con una pluralità di contratti a termine.

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Il contratto subordinato si differenzia da quelli “tipici” per la scissione del potere direttivo (spettante all’utilizzatore) da quello disciplinare (spettante al somministratore). Il Dlgs 276 del 10.9.2003 ha introdotto una regolamentazione anche per il lavoro in appalto (art.29) e per il distacco (art.30), che si realizza se un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per la esecuzione di una determinata attività lavorativa. Anche il lavoro intermittente (art.33 e seg.), con le tipologie contrattuali a orario ridotto, modulato o flessibile , trova una adeguata collocazione giuridica con il D.Lgs. 276/2003 come lo job sharing ovvero il lavoro ripartito (art.41),speciale contratto mediante il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di una unica ed identica obbligazione lavorativa. Tra le altre forme di lavoro flessibile ricordiamo: il Part-time, (art.46) la forma di impiego meno “atipica” e più diffusa; (può essere articolato in

part-time orizzontale, con riduzione dell'orario su scala giornaliera; part-time verticale, con decurtazione dell'orario su scala annuale);

l’Apprendistato; il contratto di inserimento; il lavoro a progetto (in cui è confluita la maggior parte dei rapporti di collaborazione

coordinata e continuativa); il lavoro occasionale cioè le prestazioni rese appunto occasionalmente e non oltre 30 gg

nell’anno oppure con compenso non superiore a 3000 Euro nell’anno da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro o in procinto di uscirne se attinenti a piccoli lavori domestici, di assistenza ad anziani, o similari (insegnamento privato supplementare, piccoli lavori di giardinaggio o manutenzione di edifici o monumenti, attività di volontariato ecc).

Alcune tipologie di lavori flessibili non sono caratterizzate da una precisa definizione normativa ma si inseriscono tra quelle già esistenti come il week-end job in cui le prestazioni sono concentrate al sabato e domenica. Anche il lavoro notturno protratto è da alcuni considerata un’attività “atipica”. La disciplina del lavoro notturno contenuta nel D.Lgs. n.532 del 1999 è stata da ultimo modificata dal D.Lgs. n.66/2003 (artt.11-15). Vengono anche generalmente inclusi tra i lavori flessibili il lavoro all’estero, il Mobile - work (lavoro stanziale prolungato presso clienti ed il Pony express), gli stage, il lavoro stagionale che si svolge solo in certi periodi dell'anno, alcuni tipi di lavoro parasubordinato, come l’INAIL definisce i contratti di lavoro con rapporto continuativo ed a progetto, le attività svolte nei Callcenter all’interno di aziende ed enti o all’esterno, ma che per loro conto sviluppano servizi specializzati di interazione mediante telefono e/o altri media con diverse tipologie: Call center in house, Call center outsourcing, Call center sociali ed i Call center automatizzati, lavori socialmente utili (Lsu), lavori di pubblica utilità (Lpu), e naturalmente il telelavoro che può realizzarsi a domicilio Home-work, o in modalità mobile working-out.

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Tuttavia, occorre anche sottolineare che queste nuove forme contrattuali conducono al triste fenomeno della precarizzazione del rapporto di lavoro che geneticamente è mal conciliabile con la tutela del diritto alla salute del lavoratore che, viceversa, esige una stabilità soprattutto sotto il profilo della valutazione dei rischi professionali e dell’adempimento dell’obbligazione formativa; infatti, il ricorso a questi strumenti, definiti ancora oggi “atipici”, espone il lavoratore a rischi aggiuntivi rispetto al lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato come, per esempio, l’insufficiente conoscenza dei luoghi di lavoro, il possibile isolamento dei colleghi, la tendenza all’attribuzione di maggiori carichi di lavoro ecc. Pertanto, è necessario concentrare l’attenzione sulle principali criticità che caratterizzano l’obbligo gestionale della sicurezza nell’area del lavoro atipico e, soprattutto, comprendere l’esatta portata del nuovo adempimento introdotto dal D.Lgs. n. 106/2009, ossia la valutazione anche dei rischi connessi alla specifica tipologia di contratto di lavoro attraverso la quale è resa la prestazione. La tutela dei lavoratori atipici ex TU Proprio questo mutato quadro economico produttivo e normativo ha indotto il legislatore delegato a inserire all’interno del D.Lgs. n. 81/ 2008 una serie di principi fondamentali che hanno cercato di assicurare una pari dignità a tutti i lavoratori, attraverso una serie di meccanismi complessi. In primo luogo occorre richiamare la norma che dal 15 maggio 2008 ha definito il nuovo confine fondamentale della tutela prevenzionistica, ora incentrato non più sul modello tradizionale del contratto di lavoro subordinato, come faceva il D.Lgs. n. 626/1994, ma sul rispolverato modello del lavoro “sostanziale”, ossia del lavoro tutelato in quanto tale, indipendentemente dalla tipologia contrattuale o dal nomen juris del rapporto, ampliando in tal modo la platea dei lavoratori beneficiari e comprendendo chiunque svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, con la sola esclusione degli addetti ai servizi domestici e familiari (art. 2, comma 1). Inoltre, accanto a questa estensione applicativa con il D.Lgs. n. 81/2008 è stato anche finalmente codificato in modo inequivocabile il principio in base al quale l’obbligazione di sicurezza grava primariamente sul soggetto che beneficia concretamente della prestazione lavorativa. In tal senso occorre richiamare, in primo luogo, il comma 5, art. 3, in base al quale, nella fattispecie dei lavoratori occupati in virtù di un contratto di somministrazione di lavoro, di cui agli artt. 20 e successivi, D.Lgs. n. 276/2003, tutti gli obblighi di salute e di sicurezza sono a carico del datore di lavoro dell’impresa utilizzatrice, fermo restando che l’agenzia fornitrice è tenuta a verificare preliminarmente se presso l’azienda che ospiterà il prestatore di lavoro per la propria missione è stata effettuata o meno la prescritta valutazione dei rischi di cui agli artt. 17 e 28, D.Lgs. n. 81/2008, nonché, sempre l’agenzia fornitrice, è tenuta effettuare l’informazione di base e l’addestramento all’uso delle attrezzature di lavoro, salvo che sia diversamente disposto nel contratto.

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Questo meccanismo è stato riproposto anche per il distacco del personale disciplinato dall’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003, con il risultato che tutti gli obblighi di prevenzione e di protezione sono a carico del distaccatario, fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante d’informare e di formare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali lo stesso è distaccato (art. 3, comma 6). Inoltre, nella fattispecie del distacco del personale delle pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, che presta servizio con rapporto di dipendenza funzionale presso altre amministrazioni pubbliche, organi o autorità nazionali, gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008 sono a carico del datore di lavoro designato dall’amministrazione, organo o autorità ospitante. In questa direzione è stata orientata anche la tutela riformata per i lavoratori cosiddetti parasubordinati, ossia di coloro che effettuano una prestazione lavorativa resa autonomamente, senza vincolo di subordinazione, in modo continuativo e coordinato con il committente. Infatti, il successivo comma 7 ha previsto che, nel caso dei lavoratori a progetto di cui agli artt. 61 successivi, D.Lgs. n. 276/2003, e dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all’art. 409, comma 1, punto 3, cod. proc. civ., il committente è tenuto a osservare tutti gli obblighi previsti dal D.Lgs. n. 81/2008, sempreché la prestazione lavorativa sia resa nei luoghi di lavoro dello stesso. Questo regime, inoltre, è applicabile anche per il cosiddetto lavoro accessorio in cui il lavoratore effettua prestazioni occasionali ai sensi dell’art. 70, D.Lgs. n. 276/2003, con la sola esclusione dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l’insegnamento privato supplementare e l’assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili. La VdR connessa alla tipologia contrattuale Un ulteriore importante passo sulla strada della completa parificazione delle tutele, nel rispetto ovviamente delle peculiarità congenite di ciascuna tipologia di rapporto di lavoro, è stato realizzato grazie al D.Lgs. n. 106/2009. Infatti, attraverso l’art. 18, comma 1, lettera a), è stato finalmente codificato anche il principio secondo il quale, all’interno del processo di valutazione dei rischi, deve essere riservata una maggiore attenzione a «quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro» (art. 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008). Per effetto di questa nuova previsione è stato realizzato finalmente un corretto coordinamento tra il D.Lgs. n. 81/2008 e la disciplina in materia di lavori atipici (anche se sarebbe più corretto parlare di forme flessibili di lavoro) contenuta essenzialmente nel D.Lgs. n. 368/2001 e nel D.Lgs. n. 276/2003. I dati statistici resi noti negli ultimi anni dall’INAIL hanno testimoniato che sono proprio i lavoratori con rapporto a tempo determinato, in somministrazione e impiegati negli appalti a subire maggiormente infortuni sul lavoro ma, al tempo stesso, come rivelano alcune ricerche, sono anche fortemente esposti a rischi di natura psicosociale.

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Infatti, occorre considerare che la prestazione lavorativa è temporanea ed è svolta in ambienti di lavoro poco conosciuti, con conseguenti maggiori rischi nell’uso delle macchine e delle attrezzature, delle vie di transito e di fuga, nell’osservanza delle procedure di emergenza ecc. Inoltre, occorre anche tenere presente che appare diverso il grado di percezione dei rischi del lavoratore temporaneo e questo può determinare una situazione di stress; infatti, come evidenziato anche da una ricerca condotta nel 2005 dall’INCA Istituto confederale di assistenza, e realizzata dall’IRES Istituto ricerche economiche e sociali, il lavoratore tende a dare scarsa importanza ai rischi presenti nell’ambiente nel quale agisce e alle misure di sicurezza e su questo atteggiamento influisce molto la preoccupazione di perdere il lavoro. In altri termini, si è registrata la tendenza a dare molta più importanza alla sicurezza del posto che non alla sicurezza sul posto di lavoro. Non di secondaria importanza appare anche l’assoggettamento ai frequenti cambi d’unità produttiva che può portare il lavoratore a perdere la propria capacità di percezione del rischio lavorativo; questa capacità, infatti, matura nel tempo, con l’esperienza, ma si completa anche grazie alla costante frequenza di un determinato luogo di lavoro. Il tutto può anche essere aggravato dalla sussistenza di pregresse carenze nella valutazione dei rischi. Inoltre, un altro elemento che non deve essere trascurato sono le difficoltà d’adattamento organizzativo che possono condurre a un possibile isolamento del lavoratore temporaneo da parte dei lavoratori stabili che potrebbero vedere lo stesso come un intruso e portatore di un sistema (per esempio, la somministrazione di manodopera) che può far perdere il proprio posto di lavoro, con l’attuazione di possibili azioni mobbizzanti quali, per esempio, la limitazione della possibilità di esprimersi, l’isolamento, l’assoggettamento a continue critiche, il comportarsi come se l’altra persona non esistesse, l’imposizione di lavori aggiuntivi ecc. Pertanto, è possibile ritenere che il nuovo obbligo di valutazione consista essenzialmente nell’inquadrare le diverse tipologie di contratti di lavoro flessibili che si discostano dal modello del lavoro subordinato stabile, ossia a tempo pieno e indeterminato, che sono applicati in un determinato momento all’interno dell’unità produttiva o dei quali se ne prevede ragionevolmente un ricorso, stabilendo la dimensione (ossia il numero di occupati distinto per tipologia contrattuale) e identificando i rischi potenziali da flessibilità, ossia quei rischi che potrebbero essere generati direttamente o indirettamente dall’architettura di ciascuno schema contrattuale, ricavati sulla base della dottrina specialistica, al fine di adottare alcune misure di prevenzione di carattere essenzialmente organizzativo che consentano di garantire al lavoratore una maggiore tutela. In tal senso, pertanto, il nuovo adempimento non deve essere vissuto in chiave vessatoria come, invece, spesso capita di sentire, ma come un punto di partenza per riflettere sull’adeguatezza dei processi gestionali messi in atto per quanto riguarda, per esempio, la formazione, la sorveglianza sanitaria, la vigilanza tramite i preposti, i diversi meccanismi messi a punto nel sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (art. 30, D.Lgs. n. 81/2008) ecc.

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Senza dimenticare, inoltre, che l’omessa valutazione di questi rischi connessi alla specifica tipologia contrattuale determina un ricorso illegittimo ad alcune forme di lavoro come la somministrazione (art. 20, comma 5, D.Lgs. n. 276/2003), il lavoro intermittente (art. 34, D.Lgs. n. 276/2003) e il lavoro a tempo determinato (art. 3, D.Lgs. n. 368/ 2001) con gravi conseguenze per il datore di lavoro utilizzatore sul piano penale. La valutazione dei rischi La valutazione deve sempre tener conto della presenza di lavoratori temporanei, del loro numero, delle mansioni e dei rischi generici e specifici ai quali possono essere esposti. Deve anche considerare che l’inserimento di un numero variabile di questi lavoratori può comportare modifiche dell’assetto organizzativo e quindi essere un rischio aggiuntivo per l’insieme delle maestranze. Al fine di una corretta valutazione è indispensabile che il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) , il Medico Competente (MC) e il Rappresentante dei lavoratori per la Sicurezza (RLS) siano opportunamente informati dalla direzione aziendale dell’inserimento di lavoratori con contratti temporanei. In particolare i RLS devono ricevere sufficienti informazioni, al fine di svolgere la loro funzione di rappresentare tutti i lavoratori ( compresi quelli “atipici”). Alla valutazione complessiva del rischio deve seguire la messa in atto di idonee misure di prevenzione: gli strumenti sono molteplici e passano anche attraverso la formazione – assai delicata e di complessa attuazione verso questi lavoratori – nonché attraverso una corretta comunicazione/informazione. L’informazione e la formazione In tutte le situazioni di temporaneità dei rapporti di lavoro risultano di fondamentale importanza un’adeguata informazione e formazione dei lavoratori, ancora più necessarie in quanto si determinano cambiamenti frequenti di luoghi di lavoro, cicli produttivi, ambienti, mansioni, situazioni organizzative ecc. Il datore di lavoro si dovrà far carico di mettere in atto idonee modalità di informazione e formazione sui rischi specifici che il lavoratore può incontrare nello svolgimento delle mansioni alle quali verrà adibito, sulle procedure di lavoro che dovrà seguire e sulle caratteristiche dell’organizzazione interna che sono fondamentali per la sicurezza del lavoratore stesso (es. nominativo del MC, del RSPP, del RLS). E’ difficile, da un lato, reperire strumenti e modelli informativi e formativi standardizzati che facilitino il compito dei datori di lavoro, dall’altra è evidente la frammentarietà della registrazione di eventi formativi comunque seguiti dal lavoratore.

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A questo proposito una possibile risorsa può essere rappresentata dal libretto formativo definito in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni del 4 luglio 2005 e reso ufficiale con Decreto Interministeriale del 10/10/05. Il D.Lgs.276/03 lo definisce come lo strumento di registrazione delle “…competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto d’inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle Regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi dell’Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate…”. A prescindere da alcuni aspetti del modello definito che potrebbero essere resi di più semplice e immediata compilazione, mentre per altri potrebbe essere integrato (ad es. circa le lingue conosciute e parlate), il libretto formativo rappresenta senza dubbio un raccoglitore di informazioni aggregate ed in evoluzione delle competenze del lavoratore, con un compito anche di strumento omogeneo a livello nazionale e trasversale ai diversi sistemi che governano l’istruzione, la formazione e il lavoro nel nostro paese. Sarebbe auspicabile che una delle schede che costituiscono il libretto potesse riportare anche i corsi e gli eventi formativi relativi alla prevenzione nei luoghi di lavoro, per facilitarne la registrazione e evitare ripetizioni, o meglio agevolare i passaggi di assunzioni a breve termine e consentire l’ingresso di lavoratori adeguatamente preparati. Il documento tecnico allegato al decreto stabilisce che le Regioni e le Province autonome sono i soggetti titolari del rilascio del libretto formativo. Ciascuna Regione e Provincia autonoma dovrà individuare le tipologie di soggetti preposti a supportare la persona nella compilazione ed aggiornamento del libretto formativo garantendone, mediante idonee misure di controllo, la effettiva capacità e competenza a svolgere il servizio. In particolare esse dovranno garantire i seguenti requisiti minimi: che nell’attivazione del libretto i soggetti autorizzati ad assistere i singoli individui abbiano le

competenze professionali necessarie per instaurare una corretta relazione con gli stessi; che rispettino il carattere volontario dello strumento e, quindi, delle scelte che la persona

opera rispetto a ciò che intende mettere in trasparenza; che mantengano costantemente centrale la prospettiva di valorizzazione dell’individuo, anche

al fine di orientarlo nei progetti professionali e nelle scelte di vita, o indirizzarlo in percorsi per la successiva validazione delle competenze non ancora certificate.

Interessante è anche tutta la questione della certificazione delle competenze formative acquisite in quanto è attribuzione delle Regioni la definizione dei percorsi formativi in termini di contenuti e di metodologie didattiche. Al fine di consentire flessibilità ed adattabilità al sistema, in relazione alle esigenze territoriali, le Regioni possono ulteriormente integrare gli standard minimi nazionali.

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Questi a loro volta sono soggetti ad aggiornamento periodico, in particolare per rispondere a richieste avanzate dalle Regioni. La sorveglianza sanitaria In tutte quelle situazioni in cui il titolare del rapporto di lavoro non coincide con il datore di lavoro dell’azienda in cui il lavoratore presterà la sua opera, gli obblighi previsti dal DLGS nr. 81/2008 sono generalmente ripartiti fra il “fornitore” (obblighi generici) e “l’utilizzatore” (obblighi specifici) inclusa la sorveglianza sanitaria che, in quanto atto medico inscindibile dai rischi specifici presenti nell’azienda in cui il lavoratore opera, diventa di fatto, ove necessaria, un obbligo demandato all’utilizzatore. Al contrario, per i soci lavoratori di cooperative e per i lavoratori volontari tutti gli obblighi previsti dal D.Lgs. nr. 81/2008 sono a carico del datore di lavoro delle stesse cooperative o associazioni di volontariato anche se i lavoratori prestano la loro opera presso una ditta utilizzatrice. E’ opportuno ricordare che la categoria dei lavoratori temporanei è soggetta, oltre ai rischi “classici” per i quali sono da tempo note malattie professionali, anche a rischi responsabili di patologie lavoro correlate per le quali anche esposizioni di modesta entità e/o di breve durata, ma ripetute, possono divenire di tutto rilievo. Risulta fondamentale tenere traccia di tutte le esposizioni, per quanto possibile, attraverso strumenti informativi anche di semplice uso: la cartella sanitaria e di rischio deve essere consegnata al lavoratore al termine di ogni contratto, perché possa essere aggiornata in caso di nuovo lavoro dal MC. Non è opportuno proporre modelli standardizzati di cartella, stante la molteplicità di strumenti già prodotti, ma è assolutamente raccomandabile comprendere nella raccolta anamnestica i periodi di lavoro, contratti di assunzione, mansioni svolte, rischi lavorativi, infortuni e malattie professionali. E’ fondamentale infine riportare gli accertamenti effettuati con la relativa data. Ricordiamo peraltro, l’obbligo del datore di lavoro di consegnare al lavoratore la cartella sanitaria e di rischio al momento della risoluzione del rapporto di lavoro. In caso di esposizione ad agenti cancerogeni e chimici è altresì previsto l’invio di copia della cartella sanitaria all’ISPESL alla cessazione del rapporto di lavoro. Gli infortuni e le malattie professionali I dati relativi al fenomeno infortunistico hanno mostrato un andamento crescente nelle categorie di lavoratori con contratti temporanei. Le cause del fenomeno sono note: la brevità delle missioni, la scarsa formazione e addestramento, la poca conoscenza dell’ambiente, i ritmi di lavoro.

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Come principio generale è da ricordare che le aziende sono tenute alla registrazione di tutti gli infortuni che occorrono ai lavoratori, indipendentemente dal contratto di lavoro con il quale sono stati assunti. Il registro infortuni è stato infatti istituito per consentire ai referenti per la sicurezza e agli organi di vigilanza di verificare l’andamento infortunistico all’ interno di un luogo di lavoro allo scopo di individuare l’esistenza di specifici pericoli connessi e attuare adeguati programmi di prevenzione. Ne consegue che il datore di lavoro presso il quale è comunque avvenuto un infortunio, deve registrarlo nell’apposito registro, a prescindere dalla qualità del lavoratore infortunato, che sia o no lavoratore subordinato, apprendista, tirocinante o precario. Per quanto riguarda le malattie professionali, si potrebbero registrare difficoltà nella ricostruzione delle pregresse esposizioni, specialmente per la attribuzione del nesso di causalità. A tale problema si può almeno in parte ovviare attraverso una puntuale registrazione dei rischi, delle esposizioni e delle misure di prevenzione attuate nel corso della attività lavorativa. E’ opportuno rilevare che la discontinuità dei rapporti di lavoro, spesso in luoghi diversi, pone problemi anche in ordine alla ricomposizione e alla registrazione dei periodi lavorativi e dei rischi a questi associati. Tale problema è particolarmente evidente nel caso del lavoro somministrato. Pertanto, allo stato attuale, in attesa di migliori definizioni normative il lavoratore risulta di fatto, attraverso la conservazione della cartella sanitaria il principale custode della propria storia lavorativa. E’ altrettanto evidente che la registrazione di tali dati risponde anche alla esigenza del datore di lavoro di dimostrare di aver messo in atto tutte le misure richieste dalla normativa vigente. Da questo discende la necessità di conservare in azienda una copia della cartella sanitaria e di rischio.

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Analisi delle tipologie contrattuali Nella tabella seguente vengono indicate le principali tipologie contrattuali introdotte o modificate dal D.Lgs 276/03.

TITOLO III Capo I Somministrazione di lavoro

Capo II Appalto e distacco

TITOLO IV Capo I Lavoro intermittente

Capo II Lavoro ripartito

Capo III Lavoro a tempo parziale

TITOLO VI Capo I Apprendistato

Capo II Contratto inserimento

TITOLO VII Capo I Lavoro a progetto - Lavoro occasionale

Capo II Prestazioni occasionali di tipo accessorio

Il contratto a tempo determinato è disciplinato dal D.Lgs. 368/01

Il tirocinio è disciplinato dalla Legge196/97

Nelle pagine che seguono verranno riportati per singolo contratto i riferimenti legislativi e le principali indicazioni in merito alla tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

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Somministrazione di lavoro Tale tipologia contrattuale è stata introdotta dal D. Lgs. 276/03, in sostituzione del lavoro interinale. La somministrazione di lavoro è una fattispecie contrattuale attraverso la quale un soggetto (somministratore) mette a disposizione di un altro soggetto (utilizzatore) lavoratori che prestano la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore stesso. Prevede la stipula di due contratti distinti: a) un contratto di lavoro subordinato: tra la agenzia di somministrazione e il lavoratore. Può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato. In quest’ultimo caso è prevista una indennità “mensile di disponibilità” da parte del somministratore al lavoratore per il periodo nel quale quest’ultimo rimane in attesa di assegnazione. b) Il contratto di somministrazione: tra la agenzia di somministrazione e l’utilizzatore. Anche questo contratto può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato, in questo ultimo caso prende il nome di staff leasing (N.B: lo staff leasing è il contratto commerciale tra le due aziende. I posti di lavoro indicati in questo contratto possono essere ricoperti da lavoratori assunti dall’agenzia di somministrazione con una pluralità di contratti a termine). Il somministratore (agenzia di somministrazione) è un soggetto regolarmente autorizzato a svolgere l’attività e iscritto nell’apposita sezione dell’Albo delle Agenzie per il lavoro, istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. L’utilizzatore è il soggetto che, attraverso la stipula di un contratto con il somministratore, si avvale della prestazione dei lavoratori. Il lavoratore, dipendente del somministratore, svolge la propria attività per tutta la durata della somministrazione nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. Il contratto di lavoro è un contratto subordinato che si differenzia dai “tipici” per la scissione del potere direttivo (spettante all’utilizzatore) da quello disciplinare (spettante al somministratore). La condizione imprescindibile per la stipula del contratto di somministrazione è l’aver effettuato la valutazione dei rischi ai sensi della D.Lgs. 81/08 da parte dell’impresa utilizzatrice. Il contratto di somministrazione non può inoltre essere stipulato per la sostituzione di lavoratori in sciopero o licenziati nei sei mesi precedenti o in cassa integrazione. Il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) è ammesso per le attività esplicitate dal comma 3 dell’art 20 del D. Lgs 276/03. Il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato non può essere stipulato da una Pubblica Amministrazione.

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Riferimenti normativi: D.Lgs. 276/03 ( art.20-28), così come modificati dal D.Lgs. 251/04. Decreto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 10/3/04 (Indennità mensile di

disponibilità da corrispondere al lavoratore nell'ambito del contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato).

Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 25/04 (Agenzie per il lavoro). Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n.7/05. CCNL 23/9/02 per le società di lavoro temporaneo applicabile anche alla somministrazione

di lavoro, ai sensi dell’accordo 27/10/03. Contratto: Il contratto di somministrazione deve essere redatto in forma scritta e deve contenere una serie di elementi tra i quali:

estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; numero di lavoratori da somministrare; motivi per i quali si è fatto ricorso alla somministrazione; indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle

misure di prevenzione adottate; data d’inizio e durata del contratto.

In mancanza di forma scritta il contratto è nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore. Le informazioni sopra indicate devono essere comunicate per scritto al lavoratore da parte del somministratore all’atto della stipula del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio presso l’utilizzatore. Datore di lavoro - Somministratore (agenzia di somministrazione):

comunica al lavoratore per scritto la presenza di eventuali rischi e le misure di prevenzione adottate compreso l’obbligo di sottoporsi a sorveglianza sanitaria, e del nominativo del RSPP dell’utilizzatore;

informa il lavoratore sui rischi per la salute e sicurezza in generale e lo forma e lo addestra all’uso delle attrezzature di lavoro a meno che il contratto non preveda che tali obblighi siano a carico dell’ utilizzatore; in questo caso ne va fatta specifica menzione nel contratto con il lavoratore;

controlla l’avvenuta sorveglianza sanitaria tramite il certificato di idoneità alla mansione rilasciato dal medico competente dell’utilizzatore;

sottopone a sorveglianza sanitaria (se prevista dalla mansione) i lavoratori assunti a tempo indeterminato e ne custodisce la documentazione sanitaria;

registra gli eventi infortunistici sull’apposito registro infortuni completati dai dati identificativi della ditta utilizzatrice (luogo in cui si è verificato l’infortunio) e inoltra la denuncia all’INAIL.

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Utilizzatore: valuta i rischi correlati alla presenza di lavoratori somministrati; computa nell’organico il lavoratore somministrato per gli adempimenti relativi alla normativa

di sicurezza nei luoghi di lavoro (ad es. numero di addetti che rendono obbligatoria la riunione periodica o la stesura in forma scritta del documento di valutazione dei rischi);

fornisce al lavoratore i nominativi dei soggetti del sistema di prevenzione aziendale (RLS, MC, addetti all’emergenza, oltre all’RSPP) provvedendo altresì ad informare questi ultimi dell’avvio delle missioni;

informa e forma il lavoratore relativamente ai rischi connessi alla specifica mansione nonché verifica il possesso da parte del lavoratore delle informazioni e della formazione di carattere generale;

addestra il lavoratore alla specifica mansione; fornisce al lavoratore i dispositivi di protezione individuali (DPI) ed lo addestra ad utilizzarli; sottopone il lavoratore a sorveglianza sanitaria (nel caso di lavoro a tempo determinato); consegna copia del certificato di idoneità al somministratore; custodisce con le modalità prescritte dalla legge, la cartella sanitaria e di rischio relativa al

lavoratore somministrato; aggiorna il registro degli esposti a cancerogeni ogni volta che si realizzi tale condizione nei

confronti del lavoratore somministrato; invia, nel caso di esposizione ad agenti cancerogeni e/o chimici all’ASL/ASUR copia della

cartella sanitaria alla cessazione della missione; informa in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale il somministratore; registra, ai soli fini prevenzionistici, l’infortunio occorso al lavoratore somministrato nel

proprio registro infortuni. Lavoratore: Ha gli stessi diritti (nonché gli obblighi) dei dipendenti dell’utilizzatore in tema di salute e sicurezza (informazione, formazione, addestramento, DPI, sorveglianza sanitaria) previsti dalla legge e dai contratti collettivi. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP della ditta utilizzatrice deve:

essere informato dell’avvio delle missioni. nelle aziende di grandi dimensioni è opportuno che si relazioni con le strutture aziendali che gestiscono i rapporti con il personale per favorire lo scambio di informazioni. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS della ditta utilizzatrice deve:

essere informato tempestivamente dell’avvio delle missioni anche al fine di poter controllare il rispetto degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori somministrati.

Alla sua elezione ha diritto di partecipare anche il lavoratore somministrato.

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Medico Competente: Il medico competente ditta utilizzatrice:

deve essere rapidamente informato dell’avvio delle missioni in modo da poter esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;

è utile che prenda visione della cartella sanitaria compilata in precedenti missioni, anche da altri medici, per evitare duplicazioni di accertamenti ed esami;

consegna copia della cartella sanitaria e di rischio al lavoratore somministrato al termine della missione, in modo che lo stesso lavoratore possa farla visionare dal medico competente che lo visiterà in occasione di successive missioni;

osserva l’obbligo di referto, nel caso di sospetto di malattia professionale, inviandolo all’organo di vigilanza competente per territorio dell’utilizzatore;

Note: Il lavoratore somministrato ha diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte.

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Appalto Contratto con il quale un soggetto (committente) incarica un imprenditore (appaltatore) di compiere un'opera o un servizio a fronte di un corrispettivo in denaro. L'imprenditore (appaltatore), per compiere l'opera o il servizio commissionati, deve:

organizzare i mezzi necessari; dirigere i lavoratori alle proprie dipendenze senza che il committente possa interferire nelle

modalità concrete di svolgimento del lavoro stesso; assumere il rischio d’impresa; rispondere del risultato finale davanti al committente.

Gli elementi che distinguono il contratto d'appalto dalla somministrazione sono l'organizzazione dei mezzi necessari e l'assunzione dei rischi d'impresa. In assenza di questi elementi, il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del committente. L’organizzazione dei mezzi necessari può anche essere immateriale ma non deve limitarsi alla sola prestazione lavorativa, deve perciò essere evidente da parte dell’appaltatore una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo. In questo contratto è prevista obbligazione solidale tra il committente e l'appaltatore; i lavoratori dipendenti dell'appaltatore possono infatti rivolgersi al committente, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto per i trattamenti contributivi e retributivi dovuti. Riferimenti normativi:

Codice Civile art. 1655. Decreto Legislativo 276/03 (art. 29, così come modificato dal D.Lgs. 251/04). Decreto Legislativo 81/08 (art.26).

Contratto: La definizione di cui all’art. 29 non modifica la struttura del contratto di appalto, così come è regolato dall’art 1655 del codice civile; per il resto rimane valida la definizione del contratto nei suoi profili civilistici. Questo non toglie però che sia assai difficile nella pratica distinguere l’appalto di lavoro da altre forme di contratti precari. Datore di lavoro committente:

deve verificare i requisiti tecnico professionali dell’impresa appaltatrice; deve fornire all’appaltatore dettagliatamente le informazioni su:

o i rischi specifici dell’ambiente di lavoro: o la presenza di propri dipendenti durante l’esecuzione dei lavori; o l’eventuale collaborazione di propri dipendenti; o l’utilizzo di proprie attrezzature e servizi per l’esecuzione dei lavori;

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deve promuovere la cooperazione e il coordinamento con l’appaltatore nonché tra le diverse imprese presenti (art. 26 D.Lgs. 81/08).

Datore di lavoro appaltatore:

deve integrare le informazioni sui rischi fornitegli dal committente con quelle specifiche della propria attività cooperando con il committente;

è responsabile per i rischi specifici connessi con l’attività oggetto dell’appalto. I datori di lavoro (committente e appaltatore) cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione e coordinano gli interventi. Lavoratore: Ha i diritti e doveri di lavoratore subordinato dell’appaltatore. Da quest’ultimo deve ricevere informazioni sui rischi legati alla lavorazione svolta per conto del committente, idonea formazione, DPI. Ha diritto, inoltre, ad essere sottoposto a sorveglianza sanitaria da parte del medico competente della impresa appaltatrice. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP del committente e quello dell’appaltatore devono coordinarsi su tutti gli aspetti di prevenzione relativi all’appalto. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS dell’ impresa appaltatrice:

deve essere informato circa le caratteristiche del contratto di appalto in merito a salute e sicurezza;

ha accesso alle informazioni fornite dal committente all’appaltatore; può visitare gli ambienti di lavoro dove si svolge l’appalto anche se non rientra tra i

lavoratori ivi destinati. Il RLS del committente:

deve essere informato della presenza di lavoratori di una impresa appaltatrice; deve prendere visione della valutazione dei rischi integrata.

E’ fortemente consigliabile un coordinamento tra RLS del committente e delle imprese appaltatrici. Medico Competente: Il M.C. della ditta appaltatrice modifica il protocollo degli accertamenti sanitari sulla base delle integrazioni ricevute dal committente, può visitare gli ambienti di lavoro dove si svolge l’appalto.

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Distacco Contratto per il quale un datore di lavoro (distaccante), per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori (distaccati) a disposizione di un altro soggetto (distaccatario), per l’esecuzione di una attività lavorativa. Il lavoratore è temporaneamente inserito nel ciclo produttivo del distaccatario e deve osservare le direttive di lavoro impartite da quest'ultimo. Le caratteristiche principali sono la temporaneità della prestazione e l’interesse del distaccante che differenziano il distacco dalla somministrazione di lavoro. Il distacco può essere anche parziale (il lavoratore presta la sua attività in parte presso il distaccatario ed in parte presso il proprio datore di lavoro. Il distacco non può configurarsi come prestazione permanente a favore di un soggetto che non sia il datore di lavoro (distaccante); se il soggetto che utilizza la prestazione non ha concordato il termine di essa (per quantità di impegno o durata) viene pertanto a mancare uno dei requisiti essenziali per questo tipo di contratto. Riferimenti normativi:

D.Lgs 276/03 (art. 30). D.Lgs. 251/04 (art.7). Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 3 del 15/1/04 (“Distacco. Articolo

30 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276”). Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 7 del 22/2/05 (“Circolare in

materia di somministrazione di lavoro”). Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n 28/05 (“Distacco e cassa

integrazione”). Contratto: Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento ad una unità produttiva a più di 50 Km di distanza il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative o sostitutive. Datore di lavoro: Il datore di lavoro distaccante ha gli obblighi normativi e retributivi nei confronti del lavoratore. L’attribuzione temporanea di uno o più lavoratori presso un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa si svolge sotto la completa responsabilità del datore di lavoro il quale soddisfa un proprio interesse.

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Ne consegue che in caso di distacco il datore di lavoro resta responsabile non solo del trattamento normativo ed economico nei confronti del lavoratore, ma conserva anche tutte le responsabilità in ordine alla salute e sicurezza dei lavoratori distaccati. Il soggetto che utilizza la prestazione del lavoratore distaccato deve adottare comunque tutte le misure nonché le procedure di sicurezza cui il lavoratore deve attenersi. Lavoratore: Ha diritti e doveri di lavoratore subordinato del distaccante, che lo informa sui rischi in generale legati alla lavorazione svolta presso il distaccatario. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: I Responsabili dei SPP del distaccante e quello del distaccatario devono coordinarsi rispetto a tutti gli aspetti di prevenzione relativi al distacco. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS della ditta distaccataria deve essere informato della presenza di lavoratori distaccati. Medico Competente: Il medico competente del datore di lavoro (distaccante) ha in carico la sorveglianza sanitaria del lavoratore distaccato e deve adeguare il protocollo sanitario ai rischi specifici della azienda presso la quale il lavoratore svolge la sua prestazione.

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Lavoro intermittente (“a chiamata” o “job on call”) Contratto mediante il quale il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa. Può essere concluso:

da parte di soggetti con meno di 25 anni o da lavoratori con più di 45 anni di età; per prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (secondo quanto stabilito dai

contratti collettivi). Si distinguono due tipologie: con o senza obbligo di rispondere alla chiamata: nel primo caso viene corrisposta una indennità di disponibilità; non può essere concluso da imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi del D.Lgs. 81/08. Riferimenti normativi:

D.Lgs n. 276/2003 (art. 33 – 40) così come modificato dal D.Lgs. 251/04 (art. 10) nonché dalla Legge n.80/2005.

Decreto Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 10/3/04 (“Indennità mensile di disponibilità da corrispondere al lavoratore nell'ambito del contratto di lavoro intermittente”).

Decreto Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 23/10/04 (“Individuazione, in via provvisoriamente sostitutiva, della contrattazione collettiva dei casi di ricorso al lavoro intermittente”).

Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 4 del 3/2/05 (“Lavoro intermittente, Chiarimenti e indicazioni operative”).

Contratto: E’ stipulato in forma scritta e deve, tra l’altro, contenere le seguenti indicazioni:

la durata e le ipotesi che consentono la stipulazione del contratto; il luogo e le modalità di disponibilità del lavoratore, con il preavviso di chiamata che non

potrà essere inferiore ad un giorno lavorativo; il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore, compresa l’eventuale

indennità di disponibilità; le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta

in contratto. Datore di lavoro: Deve garantire a questi lavoratori le tutele in materia di salute e sicurezza e adempiere a tutti gli obblighi previsti dalla normativa specifica. Deve computare il lavoratore intermittente nell’organico dell’impresa ai fini dell’applicazione della normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. Lavoratore: Il lavoratore è da considerare subordinato, pertanto è completamente applicabile la normativa relativa alla materia dell’igiene e sicurezza sul lavoro.

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Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Deve essere informato della presenza di lavoratori intermittenti. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Deve essere informato della presenza di lavoratori intermittenti. Medico Competente: Ha in carico la sorveglianza sanitaria del lavoratore.

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Lavoro ripartito (“job sharing”) Contratto mediante il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa; ciascun lavoratore svolge una parte del lavoro, ma è responsabile della intera prestazione. I lavoratori possono decidere di sostituirsi tra di loro o di modificare la collocazione temporale della prestazione. Se uno dei due è impossibilitato a svolgere una parte o tutto il lavoro, l’altro lo deve sostituire. La sostituzione con terzi è possibile solo con il consenso del datore di lavoro. Riferimenti normativi:

D. Lgs. 276/03 (art. 41-45). Contratto: Stipulato in forma scritta deve contenere, tra l’altro, i seguenti elementi:

misura percentuale e collocazione temporale del lavoro (giornaliero, settimanale, mensile o annuale) che deve essere svolto da ciascuno dei lavoratori;

luogo di lavoro, trattamento economico e normativo spettante a ciascun lavoratore; eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in

contratto. Datore di lavoro:

deve effettuare la valutazione dei rischi specificando il ricorso al lavoro ripartito. deve provvedere alla informazione formazione addestramento sorveglianza sanitaria

consegna DPI nei confronti di entrambi i lavoratori. Lavoratore: I lavoratori sono da considerare subordinati, pertanto ad entrambi è completamente applicabile la normativa relativa alla materia dell’igiene e sicurezza sul lavoro. Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e di quella dell’altro lavoratore; il mancato adempimento degli obblighi di sicurezza da parte di un lavoratore non può ricadere anche sull’altro (dal punto di vista delle eventuali sanzioni da parte del datore di lavoro). Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP deve essere informato della presenza di lavoratori assunti con questa tipologia contrattuale. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Deve essere informato della presenza d lavoratori assunti con questa tipologia contrattuale intermittente. Alla sua elezione partecipano entrambi i lavoratori. Medico Competente: Deve sottoporre a visita medica, se necessaria, entrambi i lavoratori.

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Lavoro a tempo parziale (“part- time”) Contratto di lavoro caratterizzato da orario di lavoro ridotto rispetto a quello stabilito dalla legge o dai contratti collettivi. Si distinguono:

Part-time orizzontale: orario giornaliero inferiore a quello contrattuale, con lo stesso numero di giornate lavorate.

Part-time verticale: orario a tempo pieno ma con prestazione lavorativa limitata ad alcuni giorni della settimana o periodi del mese o anno.

Part-time misto: combinazione delle due precedenti. E’ anche questa una forma di lavoro subordinato e può riguardare sia il contratto di lavoro a tempo indeterminato che a termine, creando una molteplicità di combinazioni di contratti. Riferimenti normativi:

D. Lgs. 276/03 (art. 46). Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 9 del 18/3/04 (“Il lavoro a

tempo parziale”). Contratto: Il contratto di lavoro è stipulato in forma scritta e deve indicare la durata e la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno/settimana/mese/anno. Datore di lavoro: E’ tenuto al rispetto di tutti gli obblighi di sicurezza inerenti il lavoro subordinato. Lavoratore: Ha diritti e obblighi propri del lavoratore subordinato. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Deve essere informato dal datore di lavoro della presenza di personale con questo tipo di contratto. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Deve essere informato dell’assunzione di lavoratori con questa tipologia di contratto; all’elezione del RLS partecipano i lavoratori a tempo parziale. Medico Competente: Ha l’incarico di sottoporre a controllo sanitario il lavoratore part time ove tale controllo sia obbligatorio in relazione all’attività svolta.

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Apprendistato Contratto di lavoro subordinato mediante il quale il datore di lavoro si impegna, in cambio della prestazione lavorativa, oltre a corrispondere la retribuzione, ad assicurare al lavoratore la formazione necessaria per le finalità di seguito elencate e che definiscono le seguenti tipologie di contratto:

contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione: l’età minima per l’ assunzione è 15 anni; durata massima di 3 anni, monte ore per la formazione di 240 all’anno.

contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale: età compresa tra 18 e 29 anni; durata del contratto compresa fra 2 e 6 anni in base a quanto previsto dai contratti collettivi; monte ore per la formazione di 120 all’anno. La regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni alle Province autonome, d’intesa con le parti sociali e nel rispetto di determinati criteri e principi direttivi.

contratto di apprendistato per l’ acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione: età fra i 18 e i 29 anni; regolamentazione e durata sono rimesse alle Regioni, per i soli profili formativi in accordo con le Parti Sociali e alle Università e alle altre Istituzioni formative.

E’ prevista la presenza di un tutore aziendale per le prime due tipologie. Nelle Regioni che non hanno regolamentato i profili formativi dell’apprendistato professionalizzante la possibilità di disciplinarne l’utilizzo è rimessa ai contratti collettivi nazionali di categoria. Riferimenti normativi:

Legge 25/55. Legge 977/67; D.Lgs. 345/99; D.Lgs. 262/00. D.Lgs.276/03 (art. 47-53) così come modificato dal D.Lgs.251/04 (art. 11) e Legge n.80/05. Decreto Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 08/04/98 (“Disposizioni

concernenti i contenuti formativi delle attività di formazione degli apprendisti”). Decreto Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 179 del 20/5/99 (“Individuazione

dei contenuti delle attività di formazione degli apprendisti”). Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 40/04 (“Il nuovo contratto di

apprendistato”). Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 30/05 (“Apprendistato

professionalizzante”). Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 2/1/06 (“Apprendistato per

l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione”). Delibera G.R. Toscana n. 427 del 21/3/05 (“Avvio dell’apprendistato professionalizzante

nella Regione Toscana”).

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Contratto: Deve essere stipulato in forma scritta e deve contenere: indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, del piano formativo individuale nonché della qualifica che potrà essere acquisita al termine del rapporto di lavoro. Datore di lavoro: È tenuto all’adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza previsti nei confronti del lavoratore subordinato: informazione, formazione**, addestramento, sorveglianza sanitaria, consegna DPI. Lavoratore: Ha i diritti e gli obblighi del lavoratore subordinato. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP deve essere informato dal datore di lavoro della assunzione di apprendisti. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS deve essere informato dell’assunzione di lavoratori con questa tipologia di contratto. Medico Competente: Il M.C. deve sottoporre gli apprendisti a sorveglianza sanitaria (visite preventiva e periodiche) se sono presenti rischi che la prevedano. Deve sottoporre a visita l’apprendista minorenne se svolge una mansione prevista dall’allegato 1 del D.Lgs 345/99 (lavori vietati per i minori) previa autorizzazione in deroga della DPL. Note**: I profili formativi degli apprendisti che vengono gestiti dalle Province, prevedono, ai sensi del D.M. n 179/99, che siano rispettati alcuni obiettivi articolati in aree di contenuto a carattere trasversale oppure professionalizzante. Fra quelli a carattere trasversale è prevista la materia della sicurezza sul lavoro. Si tratta per lo più di una formazione di carattere generale che nulla toglie agli obblighi formativi propri del datore di lavoro. E’ auspicabile, anche attraverso accordi con le parti sociali, integrare le due tipologie di formazione (quella da parte della Provincia e quella a cura del datore di lavoro).

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Contratto di inserimento Contratto di lavoro subordinato diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, delle seguenti categorie di persone:

soggetti di età compresa fra 18 e 29 anni; disoccupati di lunga durata, da 29 sino a 32 anni di età; lavoratori con più di 50 anni di età, che siano privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderano riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per

almeno due anni; donne di qualsiasi età, residenti un una area geografica in cui il tasso di occupazione

femminile sia inferiore almeno del 20% di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10% quello maschile (per tale ipotesi vi è un divieto di sottoinquadramento salva diversa previsione contrattuale);

persone riconosciute affette da un grave handicap fisico, mentale o psichico. Esso sostituisce il contratto di formazione-lavoro nel settore privato. Può essere stipulato da:

enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; gruppi di imprese; associazioni professionali, socio-culturali, sportive; fondazioni; enti di ricerca pubblici e privati; organizzazioni e associazioni di categoria.

Riferimenti normativi:

D.Lgs. 276/03 (art. 54-59), così come modificato dalla Legge n. 80/05. Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 31 del 21/7/04 (“Contratti di

inserimento lavorativo”). Contratto: Il contratto deve:

essere redatto in forma scritta (pena la nullità dell’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato);

contenere l’indicazione del progetto individuale di inserimento lavorativo, definito con il consenso del lavoratore;

avere una durata, di norma, non inferiore a nove mesi e non superiore a diciotto (il contratto non è rinnovabile, le proroghe sono ammesse entro tale limite massimo di durata).

Per la disciplina del contratto di lavoro si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni sul contratto a termine (salva diversa previsione contrattuale).

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Datore di lavoro: È tenuto all’adempimento di tutti gli obblighi di sicurezza previsti nei confronti del lavoratore subordinato: informazione, formazione, addestramento, sorveglianza sanitaria, consegna DPI. Lavoratore: Ha i diritti e gli obblighi del lavoratore subordinato. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Deve essere informato dal datore di lavoro sulla presenza di lavoratori assunti con contratto di inserimento lavorativo, sia ai fini della valutazione che della formazione. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS deve essere informato dell’assunzione di lavoratori con questa tipologia di contratto. Medico Competente: Ha l’incarico di sottoporre a controllo sanitario il lavoratore ove tale controllo sia obbligatorio in relazione all’attività svolta.

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Tirocini formativi e di orientamento L’ art. 18 della Legge 196/97, comma 1 indica il fine dei tirocini formativi e di orientamento nel realizzare momenti di alternanza fra studio e lavoro e nell’agevolare le scelte professionali, a favore di soggetti che hanno già assolto l’ obbligo scolastico, ai sensi della Legge1859/62. I tirocini sono svolti sulla base di apposite convenzioni stipulate fra soggetti promotori (servizi pubblici per l’impiego, università e altri istituti scolastici, cooperative sociali, servizi di inserimento lavorativo per disabili ecc.) e datori di lavoro pubblici e privati. Alla convenzione deve essere allegato un progetto formativo e di orientamento per ciascun tirocinio. Il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro e come tale non è in alcun modo retribuito. Riferimenti normativi:

Legge n.196/97 (art. 18). D.M. n.142/98.

Contratto: I tirocini sono svolti sulla base di apposite convenzioni stipulate fra soggetti promotori e datori di lavoro pubblici e privati. Alla convenzione deve essere allegato un progetto formativo e di orientamento per ciascun tirocinio. Nel D.M. 142, in allegato, si possono trovare i modelli per la stipula della convenzione e del progetto formativo. Tali modelli non esplicitano gli obblighi sulla sicurezza e salute da parte dei contraenti la convenzione, esplicitano tuttavia l’obbligo del tirocinante al rispetto dei regolamenti aziendali e delle norme sulla sicurezza e salute. La circolare del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali n. 32 del 2/08/04, relativa ai tirocini estivi di orientamento,di cui all’art.60, d.lgs.n.276/03 (ora dichiarato illegittimo da Corte Cost.n. 50/05), indica fra i contenuti del progetto di orientamento, gli aspetti relativi alla tutela della salute e della sicurezza dei partecipanti e i rapporti e le responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nel percorso formativo. Si ritiene che queste ultime specifiche dovrebbero essere estese ai progetti di orientamento di tutti i tirocini. Gli enti promotori sono:

agenzie regionali per l’impiego; strutture di collocamento individuate dalle regioni; università e istituti di istruzione universitaria; provveditorati agli studi;

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scuole statali e non statali che rilascino titoli di studio con valore legale; centri pubblici di formazione e/o orientamento o centri a partecipazione pubblica o in

regime di convenzione con la Regione o la Provincia; comunità terapeutiche e cooperative sociali; servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da Enti pubblici delegati dalla Regione

Istituzioni formative private non aventi scopo di lucro specificatamente autorizzati dalla Regione.

La durata massima varia a seconda dei tipi di tirocinio e delle caratteristiche del beneficiario. Nel computo dei limiti di durata del tirocinio non si tiene conto dei periodi di astensione obbligatoria per maternità. Datore di lavoro: N.B. i rapporti che i datori di lavoro pubblici o privati intrattengono con i soggetti da essi ospitati non costituiscono rapporti di lavoro. I soggetti promotori devono:

assicurare i tirocinanti presso l’INAIL; garantire la presenza di un tutore come responsabile didattico-organizzativo delle attività.

Nel caso in cui i soggetti promotori siano le strutture pubbliche competenti in materia di collocamento e di politica attiva del lavoro, il datore di lavoro ospitante può assumere a proprio carico l’onere connesso alla copertura assicurativa INAIL. L’azienda ospitante ha l’obbligo di individuare un responsabile aziendale cui il tirocinante fa riferimento. Il datore di lavoro dell’azienda presso la quale viene svolto il tirocinio deve provvedere alla informazione, formazione, addestramento, sorveglianza sanitaria, consegna DPI al tirocinante. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Deve essere informato dal datore di lavoro della presenza di tirocinanti. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Deve essere informato della presenza di tirocinanti. Medico Competente: Ha l’incarico di sottoporre a controllo sanitario il tirocinante ove tale controllo sia obbligatorio in relazione all’attività svolta. Note: Infortuni e MP: in caso di incidente durante lo svolgimento del tirocinio il soggetto ospitante si impegna a segnalare l’evento, entro i tempi previsti dalla normativa vigente, agli istituti assicurativi ed al soggetto promotore.

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Lavoro a progetto Il contratto di lavoro a progetto ha per oggetto una collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa. Il progetto consiste in una attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione. Il programma di lavoro consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale; il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali. In assenza dell'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso il rapporto di lavoro è considerato di tipo subordinato e a tempo indeterminato fin dall’origine. Il lavoro a progetto prevede inoltre:

l’autonoma gestione del progetto o del programma: la definizione dei tempi di lavoro e delle relative modalità spetta al collaboratore.

il coordinamento: il lavoratore deve coordinare la propria prestazione con le esigenze e l’assetto organizzativo predisposto dal committente.

la disciplina del lavoro a progetto non si applica alle pubbliche amministrazioni, rispetto alle quali continua a restare operante quella sulle collaborazioni coordinate e continuative.

Riferimenti normativi:

D.Lgs. 276/03 (art. 61-69) così come modificato dal D.Lgs. n. 251/04 (art.15). Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 1 del 8/1/04 (“Oggetto: Disciplina

delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto.”). Contratto: E’ stipulato in forma scritta e deve contenere:

indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso; il corrispettivo, i tempi, le modalità di pagamento; le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente; le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.

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Datore di lavoro: Il datore di lavoro committente, qualora il collaboratore svolga la sua attività all’interno del luogo di lavoro (D.Lgs 276/03 art. 66 comma 4), deve:

considerare la presenza dei collaboratori a progetto nella valutazione dei rischi; fornire al lavoratore informazioni sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e di

emergenza adottate in relazione alla sua attività; provvedere alla formazione del lavoratore; fornire al lavoratore i dispositivi di protezione individuale; sottoporre il lavoratore a sorveglianza sanitaria ove necessario; computare nell’organico dell’impresa i lavoratori a progetto.

Lavoratore: Nei casi in cui il collaboratore svolga la propria attività nei luoghi di lavoro del committente ha gli stessi diritti degli altri lavoratori in tema di sicurezza e igiene del lavoro (informazione, formazione, addestramento, DPI, sorveglianza sanitaria). Nei casi in cui il collaboratore svolga la propria attività al di fuori dei luoghi di lavoro del committente si devono garantire le stesse tutele qualora il collaboratore utilizzi comunque attrezzature o strumenti forniti dal committente. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP deve essere informato dal datore di lavoro committente della presenza di lavoratori con contratto a progetto. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS deve essere informato dal datore di lavoro committente della presenza di lavoratori con contratto a progetto. Medico Competente: Il medico competente deve:

essere informato della presenza di lavoratori a progetto; ove necessario, sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori a progetto che svolgono

l’attività presso il luogo di lavoro del committente. Note: In casi di malattia o infortunio: il rapporto di lavoro rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo, e salva diversa previsione del contratto individuale, si estingue alla scadenza prevista. Il committente può recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata del contratto quando essa sia determinata o superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile.

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Contratto a termine Contratto di lavoro subordinato caratterizzato dall’apposizione di un termine di durata per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Non è ammesso da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. Riferimenti normativi:

D.Lgs. 368 del 06/09/01 (art. 1 – 12). Circolare Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 42 del 01/08/02 (“Decreto

legislativo n.368/2001, recante la nuova disciplina giuridica sul lavoro a tempo determinato. Prime indicazioni operative”).

Contratto: L’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni che lo giustificano (pena la trasformazione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato). La scrittura non è tuttavia necessaria quando la durata del rapporto di lavoro,puramente occasionale, non sia superiore a dodici giorni. Sotto il profilo della salute e sicurezza dei lavoratori il contratto a termine non differisce dal contratto a tempo indeterminato trattandosi pur sempre di un contratto di lavoro subordinato. Datore di lavoro: Deve provvedere alla informazione, formazione, addestramento, sorveglianza sanitaria, consegna DPI, come nei confronti dei lavoratori a tempo indeterminato. Lavoratore: E’ subordinato e pertanto è completamente applicabile la normativa relativa alla materia dell’igiene e sicurezza sul lavoro. Responsabile Servizio Prevenzione e Protezione: Il RSPP deve essere informato della presenza di lavoratori a termine. Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza: Il RLS deve essere informato della presenza di lavoratori a termine. Medico Competente: Ha l’incarico di sottoporre a controllo sanitario il lavoratore ove tale controllo sia obbligatorio in relazione all’attività svolta.

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Mappatura dei rischi del “lavoro flessibile” Nel 2002 la Fondazione Europea di Dublino ha indagato su rischi e sistemi di prevenzione attuati per alcune categorie di lavoratori, includendo nella disamina anche i lavori flessibili. Dalla ricerca, risultavano particolarmente penalizzati i lavoratori flessibili ed in particolare le donne, per le quali venivano denunciati con maggiore frequenza disturbi muscolo scheletrici (mal di schiena e disturbi al collo – spalla, alle braccia ed alle gambe), problemi cutanei, allergie e gastralgie, mentre gli uomini avrebbero segnalato con maggiore frequenza , oltre ai disturbi muscolo scheletrici, alle allergie ed alle patologie della cute, disturbi respiratori. I lavoratori temporanei infatti sono soggetti, oltre ai rischi “classici” per i quali sono da tempo note malattie professionali, a rischi responsabili di patologie lavoro correlate per le quali anche esposizioni di modesta entità e/o di breve durata, ma ripetute, possono divenire di tutto rilievo. Alcune forme di contratto temporaneo sono ormai correlate, da molti addetti ai lavori, a esiti avversi di natura psicosociale e sulla salute che dipendono dal tipo di contratto, dal sesso e dalla classe sociale. Gli indicatori di stress, risultano generalmente più elevati nei lavoratori atipici rispetto agli occupati stabili anche per la percezione della insicurezza dell’impiego e per le differenti condizione di lavoro. D’altra parte, vi può essere una sorta di selezione che può mascherare gli effetti dello stress e sembra anche che laddove la flessibilità del lavoro non sia lasciata all’organizzazione dell’individuo ci siano peggiori condizioni di salute e benessere. Disturbi ricorrenti sono: gastrointestinali, dolori muscolari, emicranie, stanchezza cronica, disturbi della vista, problemi cutanei, inappetenza, debolezza, disturbi respiratori, calo delle difese immunitarie, disturbi sessuali, alimentari e attacchi di panico. La formazione non adeguata per la propria professionalità, la scarsa autonomia decisionale, ricoprire ruoli marginali nell’azienda oppure un carico di lavoro molto alto (o molto basso) insieme alle caratteristiche del lavoro (pericolosità, scomodità degli orari, carico fisico o mentale e carattere routinario dell’attività), il debole supporto sociale da parte dei lavoratori a tempo indeterminato e la carenza di tutela sindacale sono indicati come fattori in gioco nella comparsa delle alterazioni dello stato di salute.

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Sotto il profilo anamnestico-clinico vengono prevalentemente segnalate situazioni di insoddisfazione, di stress e di problemi correlati allo scarso contenuto delle mansioni ed insoddisfazione anche per i seguenti fattori:

precarietà della prestazione lavorativa; durata breve del rapporto di lavoro con numerosi turni e difficoltà di integrazione nel

sistema di sicurezza aziendale (l’elemento del mancato o scarso inserimento nel contesto relazionale e comunicativo aziendale è uno dei punti critici più rilevanti e generalizzato al punto che secondo alcuni addetti ai lavori il sistema di prevenzione più efficace - definito “salvavita” - consisterebbe nell’esistenza di un sistema di comunicazione formalizzato , progettato e gestito in una vera ottica bidirezionale;

prevalente occupazione in settori a maggior rischio quali il metalmeccanico, l’edilizia, l’agricoltura;

rilevante presenza di immigrati con problemi di inserimento; basso profilo scolastico della manodopera; ridotte esperienze lavorative degli operatori; minore opportunità di formazione e livelli più bassi di formazione.

Emergono svariati aspetti del lavoro che possono influire negativamente sullo stato di salute. Le risposte alla domanda sulla percezione del proprio livello di equilibrio psico-fisico confermano che non sono affatto pochi quelli che avvertono una instabilità di equilibrio o si sentono in uno stato di ansia. Esempi di interventi migliorativi proposti dalle aziende, per tentare di risolvere le problematiche sopra citate sono i seguenti:

atipici assunti per periodi lunghi, anche per garantire formazione ed addestramento; accordi aziendali per gli atipici, mirati a prevenire disagi legati alla precarietà su (maternità,

ferie ecc..); potenziamento degli strumenti comunicativi interni alle aziende per rendere paritaria

l’informazione; integrazione della formazione con l’affiancamento; vincoli per il ricorso agli atipici nei contratti di appalto; affidamento di mansioni a rischio minore agli atipici.

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Schemi semplificativi su possibili rischi ed interventi di prevenzione collegati Considerando la complessità del fenomeno “lavoro flessibile” sotto l’aspetto della temporalità, variabilità della mansione ed aspecificità delle competenze, si riportano alcuni schemi semplificativi su possibili rischi ed interventi di prevenzione collegati.

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(°) Rischi “normati” oppure “valutati” adeguatamente dal MC

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La ripartizione degli obblighi di sicurezza nella somministrazione

Adempimento Agenzia Impresa utilizzatrice

Verifica dell'avvenuta valutazione dei rischi da parte dell'utilizzatore

X

Indicazione nel contratto di somministrazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza e le misure adottate (art. 21, comma 1, lettera d), D.Lgs. n. 276/2003)

X X

Informazione di base e addestramento all'uso attrezzature di lavoro, salvo che sia diversamente disposto nel contratto di somministrazione

X

Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni X

Inserimento del lavoratore temporaneo nel computo numerico ai fini delle norme prevenzionistiche, sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestate nell'arco di un semestre (art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008)

X

Valutazione dei rischi ai sensi dell'art. 28, D.Lgs. n. 81/2008 X

Informazione al lavoratore qualora le mansioni richiedano una sorveglianza medica speciale o comportano rischi specifici

X

Sorveglianza sanitaria X

Fornitura dei DPI X

Osservare tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti (è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi)

X

Informazione e formazione X

Direzione e controllo X

Comunicazione all'agenzia degli elementi necessari per l'esercizio del potere disciplinare

X

Esercizio del potere disciplinare X

Obbligo di presentazione della denuncia degli infortuni sul lavoro X

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9.20 Rischio sismico A seguito degli eventi sismici degli ultimi anni, in materia di sicurezza degli edifici esistenti, è diventato molto importante valutare la possibile risposta degli stessi ad accelerazioni al suolo quali quelle derivanti da un sisma. La legislazione italiana, negli ultimi 15 anni, ha cercato di definire in modo univoco le condizioni che rendono obbligatoria la verifica di sicurezza sismica per edifici esistenti, nelle modalità definite dal Decreto di Protezione Civile del 21/10/2003 e dal T.U 14 Gennaio 2008. E’ importante sottolineare che uno dei riferimenti principali è la zonazione sismica, mappatura del territorio in riferimento alle possibili accelerazioni al suolo che si possono presentare, in una scala a pericolosità decrescente da 1 a 4. Di seguito si riporta dunque una tabella di sintesi che descrive le condizioni che comportano l’obbligo di verifica di sicurezza sismica per edifici esistenti.

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Quanto sopra riportato è riferito a tutte le tipologie di edifici esistenti. Per quanto riguarda però quelli a destinazione produttiva e quelli comunque utilizzati come luoghi di lavoro, è necessario fare anche altre considerazioni. Infatti, gli edifici produttivi e quelli comunque utilizzati come luoghi di lavoro, oltre alla legislazione sulle costruzioni, fanno riferimento anche a quella sulla sicurezza dei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/08). In particolare, il Testo Unico per la salute e la sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/08) pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di garantire la sicurezza strutturale (anche sismica) degli ambienti di lavoro e quindi anche quella degli edifici che ospitano i lavoratori. Nella gestione della sicurezza degli edifici in questione, con riferimento alle strutture che comunque ospitano lavoratori, diventa dunque importante considerare anche l’evento sismico potenziale e le relative conseguenze, cercando di mitigarle il più possibile con misure adeguate (“Gli edifici che ospitano i luoghi di lavoro o qualunque altra opera e struttura presente nel luogo di lavoro devono essere stabili e possedere una solidità che corrisponda al loro tipo d’impiego ed alle

caratteristiche ambientali” punto 1.1.1, Allegato IV del D.Lgs 81/2008).

Pertanto, in conclusione, è quindi indispensabile che per gli edifici “luogo di lavoro” esistenti, anche se non rispondenti alle caratteristiche che rendono obbligatoria la verifica di sicurezza sismica nelle modalità descritte dal Decreto di Protezione Civile del 21/10/2003 e dal T.U 14 Gennaio 2008, sia effettuata la valutazione del rischio sismico. Il Datore di Lavoro dovrà reperire tutta la documentazione, per ciascun immobile, relativamente a: anno di costruzione, progetto strutturale e varianti, certificazioni di agibilità, collaudo statico, conformità sismica, verifica vulnerabilità sismica, ecc.

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10. SORVEGLIANZA SANITARIA

La responsabilità formale e sostanziale per l’applicazione della sorveglianza sanitaria è del datore di Lavoro, mentre è del Medico Competente il suo corretto espletamento ed i riferimenti normativi che la regolano sono contenuti nel Titolo I – Capo III - Sezione V del D.Lgs. 81/08 (Artt. 38 – 42 ). Il D.Lgs. 81/08 all’art. nr. 2 / Comma 1 – lettera m) definisce la sorveglianza sanitaria come: “l’insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa“. Pertanto, dalla stessa definizione ne consegue in modo molto chiaro che l’obiettivo della sorveglianza sanitaria è quello di tutelare da una parte lo stato di salute e di sicurezza dei lavoratori attraverso una valutazione della compatibilità tra condizioni di salute ed i compiti lavorativi assegnati (idoneità alla mansione specifica), l’individuazione di eventuali stati di ipersuscettibilità individuale ai rischi lavorativi e la verifica dell’efficacia delle misure di prevenzione dei rischi attuate e, dall’altra, anche di assicurare un idoneo livello di adeguatezza ambientale e sanitaria dei luoghi ove si svolgono le attività lavorative. I soggetti da sottoporre a sorveglianza sanitaria: Partendo dalla definizione di lavoratore come esposta all’art. nr. 2 / Comma 1 – lettera a) del D.Lgs. 81/08: “Persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari. Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell'ente stesso; l'associato in partecipazione di cui all'articolo 2549, e seguenti del codice civile; il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento di cui all'articolo 18della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui a specifiche disposizioni delle leggi regionali promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l'allievo degli istituti di istruzione ed universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l'allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; il volontario, come definito dalla legge 1° agosto 1991, n. 266; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il volontario che effettua il servizio civile; il lavoratore di cui al decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, e successive modificazioni“.

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e ricordando che:

il lavoro subordinato è caratterizzato da integrazione gerarchica, organizzativa, spaziale e temporale dell’impresa e l’esclusività del rapporto corrisponde all’offerta della disponibilità temporale del lavoratore piuttosto che all’offerta di una prestazione specifica;

per lavoro “atipico si intende qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato in cui manchi una o più delle caratteristiche sopra riportate. Forme di impiego che ricadono in questa definizione sono ad esempio il part-time, i contratti a termine, il lavoro interinale, i contratti di formazione lavoro, i lavori socialmente utili, le borse di lavoro, i tirocini formativi, i piani di inserimento professionale, il lavoro autonomo non tradizionale, le collaborazioni coordinate continuative, le prestazioni d’opera occasionali, il lavoro a domicilio ed il telelavoro;

per lavoro parasubordinato si intende una situazione intermedia e spesso ambigua tra

lavoro subordinato e lavoro autonomo in cui la forma del lavoro indipendente maschera rapporti che dovrebbero invece essere di tipo dipendente in quanto il lavoratore risulta di fatto completamente inserito nell’organizzazione dell’azienda (nda: conseguentemente in tale caso il lavoratore andrà sottoposto a sorveglianza sanitaria da parte del committente);

nel lavoro autonomo il lavoratore ha l’obbligo della prestazione di un’opera o di un servizio senza alcun vincolo di subordinazione nei confronti del committente;

l’art.3 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che gli adempimenti in predicato nello stesso vanno applicati a tutti i settori di attività, privati e pubblici, a tutte le tipologie di rischio ed a tutti i lavoratori e lavoratrici, subordinati e autonomi, nonché ai soggetti ad essi equiparati, ovvero a:

a) prestatori di lavoro nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro; b) lavoratori distaccati fatto salvo l’obbligo a carico del distaccante di informare e formare

il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali egli viene distaccato;

c) lavoratori a progetto; d) lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio; e) tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a

distanza, mediante collegamento informatico e telematico; f) lavoratori autonomi di cui all’articolo 2222 del codice civile si applicano le disposizioni di

cui agli articoli 21 e 26 del D.Lgs. 81/08.

l’art. 4 dello stesso D.Lgs. 81/08 stabilisce che ai fini della determinazione del numero di lavoratori dal quale il decreto legislativo fa discendere particolari obblighi non devono essere computati:

a) i collaboratori familiari; b) i soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento (ad es.

stagisti); c) gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e i partecipanti ai corsi di formazione

professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le attrezzature munite di videoterminali;

d) i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato;

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e) i lavoratori che svolgono prestazioni occasionali di tipo accessorio e non svolgano la loro attività in forma esclusiva a favore del committente;

f) i lavoratori a domicilio ove la loro attività non sia svolta in forma esclusiva a favore del datore di lavoro committente;

g) i lavoratori autonomi; h) i collaboratori coordinati e continuativi che non svolgano la loro attività in forma

esclusiva a favore del committente; i) i lavoratori a progetto che non svolgano la loro attività in forma esclusiva a favore del

committente; j) i lavoratori assunti a tempo parziale a progetto o per lavoro occasionale.

per le modalità di computazione del numero dei lavoratori dal quale il decreto fa discendere

obblighi particolari, le novità introdotte sono che nella definizione di lavoratore (art. nr. 2) rientrano ora anche gli "associati in partecipazione" ed i volontari. Quindi nel loro computo vanno considerati anche i lavoratori utilizzati mediante somministrazione e i lavoratori assunti a tempo parziale sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un determinato periodo.

Ne consegue che i soggetti che dovranno essere sottoposti a sorveglianza sanitaria e la responsabilità sostanziale per la sua effettuazione sono:

LAVORATORE OBBLIGHI A CARICO DI: Lavoratori subordinati, autonomi od ad essi equiparati

Datore di lavoro (art. nr. 3 / Comma 4 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori con contratto di somministrazione lavoro

Datore di lavoro del soggetto utilizzatore (art. nr. 3 / Comma 5 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori pubbliche amministrazioni Datore di lavoro dell’amministrazione, organo, ente od autorità (art. nr. 3 / Comma 4 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori distaccati Datore di lavoro distaccatario (art. nr. 3 / Comma 6 del D.Lgs. 81/08)

Dipendenti pubblici che prestano servizio con rapporto di dipendenza funzionale presso altre amministrazioni

Datore di lavoro designato dall’amministrazione, organo o autorità ospitante (art. nr. 3 / Comma 6 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio, esclusi i piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresi l'insegnamento privato supplementare e l'assistenza domiciliare ai bambini, agli anziani, agli ammalati e ai disabili.

Committente (art. nr. 3 / Comma 8 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori a progetto e co.co.co. se le prestazioni si svolgono presso il committente.

Committente (art. nr. 3 / Comma 7 del D.Lgs. 81/08)

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LAVORATORE OBBLIGHI A CARICO DI: Lavoratori subordinati a distanza mediante collegamento informatico e telematico

Datore di lavoro (art. nr. 3 / Comma 10 del D.Lgs. 81/08)

Lavoratori autonomi di cui all’art. 2222 del Codice Civile

Sorveglianza sanitaria facoltativa relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico con facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'art. nr. 41 del D.Lgs. 81/08 fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali; (art. nr. 3 / Comma 11 del D.Lgs. 81/08 con rimando all’art. 21 / Comma 2 dello stesso D.Lgs.)

Componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del Codice Civile, piccoli imprenditori di cui all'articolo 2083 del Codice Civile e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo

Sorveglianza sanitaria facoltativa relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico con facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all'art. nr. 41 del D.Lgs. 81/08 fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali; (art. nr. 3 / Comma 12 del D.Lgs. 81/08 con rimando all’art. 21 / Comma 2 dello stesso DLGS )

Lavoratori stagionali operanti nel settore agricolo ciascuno dei quali non superi 50 giornate lavorative/anno

Entro 90 giorni dall’entrata in vigore del TD.Lgs. 81/08 verranno emanate disposizioni per semplificare gli adempimenti (art. nr. 3 / Comma 13 del D.Lgs. nr.81/08)

Lavoratori volontari Datore di lavoro ospitante (art. nr. 3 / Comma 4 del D.Lgs. 81/08)

Pertanto, in tutte quelle situazioni in cui il titolare del rapporto di lavoro non coincide con il datore di lavoro dell’azienda in cui il lavoratore presterà la sua opera, gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08 sono generalmente ripartiti fra il “fornitore” (obblighi generici) e “l’utilizzatore” (obblighi specifici) inclusa la sorveglianza sanitaria che, in quanto atto medico inscindibile dai rischi specifici presenti nell’azienda in cui il lavoratore opera, diventa di fatto un obbligo demandato all’utilizzatore. Al contrario, per i soci lavoratori di cooperative e per i lavoratori volontari tutti gli obblighi previsti dal D.Lgs. 81/08 sono a carico del datore di lavoro delle stesse cooperative o associazioni di volontariato anche se i lavoratori prestano la loro opera presso una ditta utilizzatrice. Comunque nel caso specifico delle organizzazioni ed associazioni di volontariato di cui alla Legge 266 del 01.08.1991, il D.Lgs. 81/08 all’art. nr. 3 / Comma 2 precisa che le disposizioni previste , quindi implicitamente anche la sorveglianza sanitaria, sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, che comunque dovranno essere individuate entro e non oltre dodici mesi dalla data della sua entrata in vigore con specifici decreti emanati, ai sensi dell’art. nr. 17 comma 2 della Legge nr. 400 del 23.08.1988 dai

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Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Quindi a chiusura di questo paragrafo, risulta chiaro che tra le garanzie di tutela dei lavoratori in ambito prevenzionistico, a carico dell’organizzazione per conto della quale il lavoratore opera la sua prestazione, indipendentemente dal contratto che lo lega con essa, si colloca anche la sorveglianza sanitaria che risulta chiaramente a carico del datore di lavoro che ne beneficia e quindi gli obblighi correlati vengono estesi a quest’ultimo nei modi e nelle forme appena illustrate. Contenuti della sorveglianza sanitaria: In merito ai contenuti della sorveglianza sanitaria si ricorda quanto recita l’art. 41 del D.Lgs. 81/08 che ne descrive le modalità di applicazione, i contenuti e le forme, ovvero: 1. La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata dal medico competente nei seguenti casi:

a) nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle direttive europee nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6 (Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro);

b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.

2. La sorveglianza sanitaria deve comprendere:

a) visita medica preventiva intesa a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica;

b) visita medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica. La periodicità di tali accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita, di norma, in una volta l'anno. Tale periodicità può assumere cadenza diversa, stabilita dal medico competente in funzione della valutazione del rischio. L'organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente;

c) visita medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili di peggioramento a causa dell'attività lavorativa svolta, al fine di esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica;

d) visita medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l'idoneità alla nuova mansione specifica;

e) visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa vigente. Sulla base dei risultati degli accertamenti medici previsti in corso di sorveglianza sanitaria, il medico competente deve quindi esprimere un giudizi sull’idoneità alla mansione specifica con uno dei seguenti esiti:

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IDONEITA’ all’espletamento dell’attività lavorativa, senza la necessità di interventi correttivi sull’ambiente di lavoro e sull’organizzazione del lavoro nonché sullo stesso lavoratore

IDONEITA’ PARZIALE temporanea o permanente

con prescrizioni: quando l’esposizione ad alcuni rischi può essere consentita, in alcuni lavoratori che hanno particolare suscettibilità verso quei rischi, solo con particolari precauzioni, ad es. mediante l’uso di dispositivi di protezione individuale specifici (DPI)

▪ con limitazioni: quando vengono esclusi alcuni compiti previsti nella mansione

INIDONEITA’ temporanea o permanente

determinata da condizioni patologiche che impediscono lo svolgimento corretto e senza rischio per il lavoratore della mansione lavorativa

Note importanti sui giudizi espressi dal Medico Competente: (Rif.: artt. nr. 41 e 42 del D.Lgs. 81/08)

Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati da parte del medico i limiti temporali della sua validità.

Di ciascuno dei giudizi di cui sopra [da punto a) a punto d) compresi] il medico competente deve informare per iscritto il datore di lavoro e contestualmente il lavoratore stesso.

Il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge nr. 68 del 12.03.1999 in relazione ai giudizi attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un'inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, ad altra mansione compatibile con il suo stato di salute.

Il lavoratore che in relazione ai giudizi di inidoneità viene adibito a mansioni inferiori conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originaria. Se poi il lavoratore viene adibito a mansioni equivalenti o superiori si applicano le norme di cui all'articolo 2103 del codice civile, fermo restando quanto previsto dall'art. nr. 52 del D.Lgs. 165 del 30.03.2001.

Avverso il giudizio del medico competente è ammesso comunque ricorso da parte del datore di lavoro, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso Viene quindi esplicitamente previsto il ricorso anche in caso di giudizio di idoneità.

Viene quindi esplicitamente previsto il ricorso anche in caso di giudizio di idoneità.

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Le fasi e le modalità di applicazione della sorveglianza sanitaria: Può e/o deve essere eseguita nelle seguenti fasi del rapporto contrattuale con il lavoratore:

MOMENTO RIFERIMENTO LEGALE SOSTANZIALITA’ Fase preventiva * D.Lgs. 81/08 – Art. 41/2 – lettera a) Obbligatoria Fase periodica D.Lgs. 81/08 – Art. 41/2 – lettera b) Obbligatoria Fase di dismissione D.Lgs. 81/08 – Art. 41/2 – lettera e) Obbligatoria Cambio della mansione D.Lgs. 81/08 – Art. 41/2 – lettera d) Obbligatoria

Su richiesta del lavoratore D.Lgs. 81/08 – Art. 41/2 – lettera c)

Facoltativa (se ritenuta la stessa è ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.)

Su richiesta del medico competente ** D.Lgs. 81/08 – Art. 41/4

Facoltativa (se ritenuta necessaria dal medico competente attraverso esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio specifico)

* Per fase preventiva s’intende quella in cui il rapporto di lavoro con il dipendente è già stato formalizzato e quindi non va estesa piè pari anche ai lavoratori con cui s’intende instaurare un rapporto di collaborazione. ** Naturalmente rimangono esclusi tutti gli accertamenti sanitari non consentiti dalla legge. Le modalità e gli strumenti per l’esecuzione della sorveglianza sanitaria dovranno comparire nel protocollo sanitario definito dal medico competente in funzione dei rischi specifici presenti in azienda il quale, nella sua stesura, dovrà tenere in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati (vedi art. nr. 25 / Comma 1 - lettera b) del D.Lgs. 81/08). Comunque gli accertamenti sanitari per essere congrui devono essere:

sempre e comunque mirati al rischio effettivo; il meno invasivi possibili; a basso rischio per il lavoratore come chiaramente richiamato dall’art. 229 / Comma 4 del

D.Lgs. 81/08, in tema di sostanze pericolose; coerenti ai principi della medicina del lavoro e del codice etico della Commissione

internazionale di salute occupazionale (ICOH). A fronte di questi requisiti, ai fini di una corretta valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria, di contro il datore di lavoro deve comunicare al medico competente con tempestività i risultati relativi ai livelli di esposizione al rischio dei lavoratori (vedi art. nr. 25 / Comma 1 - lettera m) del D.Lgs. 81/08).

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Gli accertamenti sanitari il cui fine fondamentale, deve essere chiaro, è solo quello di esprimere un giudizio d'idoneità alla mansione specifica assegnata al lavoratore da parte del datore di lavoro, possono differenziarsi a seconda del livello di rischio e includendo:

Visite mediche specialistiche in medicina del lavoro; Questionari clinici; Esami strumentali; Indagini di laboratorio; Indagini diagnostiche; Consulenze specialistiche; Vaccinoprofilassi.

Le visite mediche specialistiche in medicina del lavoro comprendono una fase di raccolta dei dati personali, della storia lavorativa e clinica del lavoratore ed una fase di visita medica generale in cui il medico valuta con particolare attenzione gli apparati e gli organi che possono risultare potenziale bersaglio dei rischi occupazionali a cui il lavoratore è esposto. Premesso che il lavoratore deve ricevere da parte del datore di lavoro un’adeguata informazione sui rischi specifici cui è esposto in relazione all'attività svolta (art. nr. 36 / Comma 2 – lettera a) del D.Lgs. 81/08) e formazione sui rischi riferiti alla mansione (art. nr. 37 / Comma 1 – lettera b) del D.Lgs. 81/08), il medico competente, in corso di visita, informa il lavoratore sui rischi cui è esposto e sul significato e sui risultati degli accertamenti sanitari. Per la valutazione delle condizioni di salute del lavoratore in rapporto a particolari rischi lavorativi il medico può anche utilizzare appositi questionari clinici. La visita medica può anche prevedere l’esecuzione di esami strumentali quali ad esempio:

Esame audiometrico; Prova di funzionalità respiratoria (spirometria); Screening ergoftalmologico; Elettrocardiogramma; ecc…

effettuati sulla base dei rischi professionali a cui sono esposti i lavoratori ed individuati in collaborazione con il datore di lavoro ed il responsabile del servizio di prevenzione e protezione come esplicitamente richiesto dall’art. nr. 29 / Comma 1 del D.Lgs. 81/08. Se poi i lavoratori sono esposti anche al rischio chimico, cancerogeno o mutageno, il medico competente può richiedere, a spese del datore di lavoro, l’effettuazione di indagini di laboratorio funzionali al rischio individuato, definite anche con il termine di monitoraggio biologico. Il monitoraggio biologico, strumento essenziale nel controllo dell'esposizione, è la misura nei tessuti, nei liquidi biologici, nell’aria espirata dal soggetto esposto agli agenti presenti nel luogo di lavoro o la quantificazione dei loro metaboliti od ancora di indicatori del loro effetto biologico.

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La finalità è quella di valutare l’esposizione ed il rischio corrispondente per la salute in relazione ad appropriati riferimenti, noti anche come Indicatori Biologici di Effetto o di Esposizione (BEI). Il monitoraggio biologico risulta tra l’altro molto utile per la valutazione dello stato di salute dei lavoratori nel caso di esposizione a sostanze chimiche laddove sono consolidati i valori limite di esposizione fissati dalle maggiori agenzie internazionali (es: nichel, cromo, acido ippurico, acido metilppurico, ecc.). Dei risultati di tale monitoraggio viene informato il lavoratore interessato. Come riportato all’art. 229 / Comma 3 del D.Lgs. 81/08, i risultati di tale monitoraggio, in forma anonima, vengono allegati al documento di valutazione dei rischi e comunicati ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Il monitoraggio biologico diventa invece obbligatorio per i lavoratori esposti agli agenti per i quali è stato fissato un valore limite biologico. Attualmente risulta definito soltanto per la piombemia come indicato nell’allegato XXXIX del D.Lgs. 81/08. Per casi particolari, il medico competente, se lo ritiene necessario, può richiedere un approfondimento diagnostico ai fini di stabilire l’idoneità in rapporto ai rischi a cui il lavoratore è esposto, richiedendo l’effettuazione di indagini diagnostiche e/o di consulenze specialistiche, sostenute economicamente dal datore di lavoro (vedi art. nrr. 39 / Comma 5 del D.Lgs. 81/08). Il medico competente è il riferimento anche per la vaccinoprofilassi del rischio biologico presente nei luoghi di lavoro, ricordando qui che le vaccinazioni sono una delle misure di prevenzione da adottare per la tutela dei lavoratori esposti a tale rischio. Esistono vaccinazioni obbligatorie imposte dalla legge per alcune categorie di lavoratori, come ad esempio quella molto nota contro il tetano stabilita dalla Legge nr. 292 del 05.03.1963, ed altre di natura facoltativa, che generalmente vengono raccomandate dal medico o possono essere richieste dal lavoratore stesso previa approvazione del medico competente. Per le raccomandazioni sulle vaccinazioni da effettuare in caso di esposizione a rischio biologico si ricorda che il soggetto istituzionale a cui fare riferimento rimane il Servizio Vaccinazioni Internazionali delle Unità Sanitarie Locali competenti territorialmente. Infine, si ricorda che per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria in materia di lavoro notturno, gravidanza, disabili e minori si continua a far riferimento alle normative specifiche. In particolare nel caso di attività lavorative ove vengano impiegati minori, come previsto nel D.Lgs. 345 del 04.08.1999, abbiamo:

Devono essere sottoposti a visita medica preventiva da parte del medico competente solo quando risultino esposti a rischi comportanti l’obbligo di sorveglianza sanitaria;

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Se non sono esposti a rischi specifici e/o sono assunti presso imprese nelle quali non vige

l’obbligo di nomina del medico competente, le visite mediche preventive dovranno comunque essere effettuate e dovranno essere eseguite presso l’Azienda Sanitaria Locale competente territorialmente;

Nel caso di esposizione del minore a rischi lavorativi particolari vietati dalla normativa, il datore di lavoro dovrà ottenere un’apposita autorizzazione dalla Direzione Provinciale del Lavoro. La deroga al divieto viene concessa fondamentalmente nel caso di impieghi per motivi didattici o di formazione professionale purché siano svolti sotto la sorveglianza di un formatore competente in materia di sicurezza.

In sintesi andando a schematizzare le tipologie degli accertamenti abbiamo:

TIPOLOGIA QUANDO SCOPO Accertamenti medici preventivi

dopo l’assunzione formale, ma prima di adibire il lavoratore alla mansione

1. constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; 2. verificare la compatibilità della mansione affidata con specifiche condizioni di salute del soggetto in indagine

Accertamenti medici periodici

di norma annuali eseguiti con periodicità stabilita per legge fissati dal medico competente in funzione dei risultati della valutazione dei rischi

1. controllare nel tempo lo stato di salute dei lavoratori; 2. controllare l’insorgenza di eventuali modificazioni precoci dello stato di salute causati dall’esposizione a fattori specifici di rischio professionale; 3. esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica; 4. verificare l’efficacia delle misure di prevenzione e protezione dei rischi.

Accertamenti medici su richiesta del lavoratore

qualora sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi professionali o alle condizioni di salute del lavoratore suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta

rivalutare l’idoneità alla mansione specifica svolta dal lavoratore.

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TIPOLOGIA QUANDO SCOPO Accertamenti medici alla cessazione del rapporto di lavoro

in caso di esposizione a rischio chimico, rischio biologico (Gr. III e IV) , rischio da esposizione a cancerogeni e mutageni

1. valutare lo stato di salute del lavoratore; 2. fornire eventuali indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare; 3. fornire eventuali indicazioni sull’opportunità di sottoporsi a successivi accertamenti anche dopo la cessazione dell’esposizione.

Accertamenti medici in occasione del cambio della mansione

prima di adibire il lavoratore a nuovo profilo di rischio

valutare l’idoneità alla nuova mansione svolta dal lavoratore.

Una raccomandazione importante, seppure spesso non applicata e comunque non prevista dalla legge, è quella di effettuare accertamenti medici anche al rientro dal lavoro dopo un prolungato periodo di assenza dovuto a malattia comune, malattia professionale, infortunio sul lavoro o grave incidente, al fine di verificare il mantenimento dell’idoneità alla mansione specifica o per ricollocare il lavoratore in un’eventuale nuova mansione. Tali accertamenti dovranno comunque essere svolti solo su richiesta del lavoratore. Va ricordato che per quanto riguarda gli accertamenti medici periodici, l’organo di vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico competente, come stabilito all’art. 41 / Comma 2 - lettera b) del D.Lgs. 81/08. Limiti agli accertamenti sanitari: E’ fondamentale sottolineare che la sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente, nominato dal datore di lavoro, deve limitarsi a quanto previsto dalla legge e non può estendersi ad indagini diagnostiche che non siano esplicitamente richieste in termini legali. Tuttavia i lavoratori possono essere sottoposti anche ad accertamenti che comprendono esami clinici e biologici ed indagini diagnostiche mirate al rischio qualora siano previsti da norme specifiche oppure dal medico competente, ma sempre ed unicamente in relazione a specifici rischi. Mentre sono tassativamente escluse visite mediche (Comma 3 dell’art. 41 del D.Lgs. 81/08):

in fase preassuntiva; per accertare stati di gravidanza.

Inoltre, lo stesso comma riporta anche il divieto di visita “negli altri casi vietati dalla normativa vigente”, che sostanzialmente sono riconducibili a quanto stabilisce l’art. 5 della Legge nr. 300 del 20.05.1970 (nota anche come Legge Giugni o Statuto dei Lavoratori) , ossia:

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Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente;

Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richiede;

Il datore di lavoro ha facoltà di fare controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

Pertanto deve essere chiaro che Il datore di lavoro non può svolgere direttamente, neppure attraverso il medico competente dell’organizzazione, le attività appena esposte. Il protocollo sanitario: L’art. 25 del D.Lgs.81/08 (Obblighi del medico competente) al comma 1 – lettera b) stabilisce che il medico competente programmi ed effettui la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici piu' avanzati. Per avere una visone d’assieme di quali possano essere i contenuti e di quali siano le modalità di applicazione della sorveglianza sanitaria il medico competente deve fornire per il sito posto sotto la sua sorveglianza sanitaria un protocollo sanitario che dovrebbe rispettare precisi requisiti riportando le seguenti voci:

TEMA ESEMPIO 1. Ambito di applicazione. Sito od unità. 2. Durata/Periodo di copertura. Mensile, annuale, pluriennale, ecc. 3. Tipi di attività da svolgere. Visita, analisi, sopralluogo, attività

diagnostiche, ecc. 4. Riferimento giuridico a cui si rifanno. Art. 176 del D.Lgs. 81/08 (sorveglianza dei

lavoratori che utilizzano apparecchiature munite di videoterminali)

5. Frequenza/periodicità per singola attività di sorveglianza sanitaria.

nr. di volte/mese, nr. di volte/anno, ecc.

6. Gruppi o categorie di lavoratori a cui si applicano le distinte attività di sorveglianza sanitaria.

Videoterminalisti, Addetti alla movimentazione manuale dei carichi, ecc.

7. Segnalazione di sorveglianza sanitaria particolare per categorie protette o con limitazioni sul lavoro.

Portatori di handicap, lavoratrici gestanti, ecc.

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“FALCONE e BORSELLINO”

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TEMA ESEMPIO 8. Tipo di registrazioni individuali che vengono prodotte a seguito della sorveglianza sanitaria con il luogo di conservazione.

Cartelle sanitarie, cartelle di rischio, moduli di segnalazione, ecc.

9. Luogo di conservazione e custodia (Cartelle sanitarie, cartelle di rischio, moduli di segnalazione, ecc.) .

▪ Per organizzazioni con meno di 15 dipendenti in originale e sotto la propria responsabilità presso il proprio studio medico ▪ Per organizzazioni con più di 15 dipendenti concorda con il datore di lavoro un luogo specifico per la conservazione e la custodia in originale N.B.: comunque è raccomandabile che indipendentemente dalle dimensioni dell’organizzazione una copia venga conservata anche presso il suo studio medico

10. I costi individuali per ciascuna delle attività previste.

Costo/prestazione, costo pro capite, costo forfetario, ecc.

E’ importante ricordare che il protocollo sanitario va poi sostanzialmente considerato quale parte integrante del Documento di Valutazione dei Rischi come sottende l’art. nr. 29 / comma 1 del D.Lgs.81/08). Il protocollo una volta definito dal medico competente, oltre ad andare ad integrare il Documento di Valutazione dei Rischi, deve essere opportunamente indirizzato:

In originale al Datore di Lavoro dell’Organizzazione; In copia al RSPP; In copia al RLS.; In copia al Responsabile del SGSSL (se previsto).

NOTA AMMINISTRATIVA: oneri per la sorveglianza sanitaria: Le prestazioni sanitarie e l’attività di consulenza sono esenti da IVA ai sensi dell’art. 10 - Comma 1 e dell’art. 18 del DPR nr. 633/1972 e ss.mm. Gestione delle cartelle sanitarie e di rischio dei lavoratori: Per ogni lavoratore viene istituito e periodicamente aggiornato a cura del medico competente un documento sanitario dove sono annotate le sue condizioni psicofisiche, compresi i risultati degli accertamenti strumentali, di laboratorio e specialistici, eventuali livelli di esposizione professionale individuali forniti dal servizio di prevenzione e protezione, nonché il giudizio di idoneità. Tale documento viene anche chiamato “cartella sanitaria e di rischio” e deve soddisfare i requisiti minimi contenuti nell’allegato 3 A del D.Lgs. 81/08. Può essere predisposto sia su formato cartaceo che informatizzato secondo quanto previsto all’art. nr. 53.

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Requisiti della cartella sanitaria e di rischio: 1. Deve essere firmata sul frontespizio dal datore di lavoro (vedi Allegato 3 A del D.Lgs. 81/08) 2. Deve essere firmata dal lavoratore per presa visione dei dati anamnestici e clinici e del giudizio di idoneità alla mansione, delle informazioni relative alle modalità di conservazione della stessa o di eventuali accertamenti sanitari cui il lavoratore deve sottoporsi anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa (si veda il contenuto dell’allegato 3 A del D.Lgs. 81/08). 3. La tenuta e la gestione delle cartelle sanitarie e di rischio individuali, è stabilita dall’art. 25 / comma 1 del D.Lgs. 81/08 che prevede: Lettera c) Il medico competente aggiorna e custodisce, sotto la propria

responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria. N.B.: nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il medico competente deve concordare con il datore di lavoro il luogo di custodia.

Lettera d) Quando il medico competente cessa dal suo incarico deve consegnare al datore di lavoro la documentazione sanitaria in suo possesso, però, nel rispetto delle disposizioni previste dal D.Lgs. 196 del 30.06.2003 con salvaguardia del segreto professionale. N:B.: sarà poi onere dello stesso Datore di lavoro, sempre nel rispetto della tutela dei dati, passare tale documentazione al nuovo medico competente incaricato. Ciò, ovviamente, non toglie che poi tra il medico entrante e quello uscente intercorrano anche i dovuti contatti per un adeguato passaggio di consegne nel rispetto dei principi deontologici della professione.

Lettera e) Quando il lavoratore cessa il suo rapporto di lavoro il medico competente gli deve consegnare la documentazione sanitaria che lo riguarda e che è in suo possesso, fornendogli le dovute informazioni riguardo la necessità di conservazione da parte dello stesso.

Lettera f) Quando il lavoratore cessa il suo rapporto di lavoro il medico competente deve inviare all'ASL/ASUR, esclusivamente per via telematica, le cartelle sanitarie e di rischio solo nei casi nei casi previsti dal D.Lgs. 81/08, e nel rispetto delle disposizioni previste dal D.Lgs. 196 del 30.06.2003. Comunque è data facoltà al lavoratore interessato di chiedere copia delle predette cartelle all'ASL/ASUR anche attraverso il proprio medico di medicina generale.

Lettera h) Il medico competente a prescindere dall’obbligo di informazione nei riguardi di ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria, se questi lo richiede deve anche rilasciargli copia della documentazione sanitaria che lo riguarda.

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Infine, nel caso di lavoratori che, per qualsiasi motivo, non conservino la documentazione sanitaria consegnatali dal medico competente al momento della loro cessazione del rapporto lavorativo vi è anche la possibilità che il medico competente del nuovo datore di lavoro del lavoratore ne faccia richiesta, e quindi la cartella sanitaria gli verrà trasmessa a cura del medico competente nominato dal Datore di Lavoro precedente. Pertanto, alla luce di quanto esposto, per la tenuta di tale documentazione, in linea di massima, si può così riassumere: FORMA OBBLIGO DI CONSERVAZIONE

1

Presso il luogo di lavoro sotto responsabilità formale del datore di lavoro e responsabilità giuridica del medico competente.

in originale in busta chiusa.

Almeno 5 anni - NB: si raccomanda comunque la conservazione a tempo indeterminato.

2 Al lavoratore in dismissione. in copia. A sua discrezione.

3

Presso lo studio del medico competente dell’Organizzazione / sito presso cui prestava opera i lavoratore dimesso.

In copia. Almeno 5 anni - NB: si raccomanda comunque la conservazione a tempo indeterminato.

Nelle aziende in cui vi è il rischio di esposizione ad agenti pericolosi quali quelli cancerogeni, mutageni o biologici (gruppi III e IV) è previsto l’obbligo per il datore di lavoro di istituire ed aggiornare, tramite il medico competente, un registro dei lavoratori esposti, copia del quale va trasmessa all’organo di vigilanza competente per territorio. Nel caso di lavoratori esposti a tali agenti, alla cessazione del rapporto di lavoro o dell’attività dell’azienda, il datore di lavoro invia all’organo di vigilanza competente per territorio la cartella sanitaria e di rischio del lavoratore interessato unitamente alle annotazioni individuali contenute nel registro dei lavoratori esposti, sempre con salvaguardia del segreto professionale, consegnandone contestualmente copia al lavoratore stesso (per l’esposizione ad agenti cancerogeni e mutageni secondo le modalità contenute nel Decreto Ministeriale nr. 155 del 12.07.2007. Detto questo, preme sottolineare alcuni passaggi ritenuti importanti in relazione alle cartelle sanitarie associate a quei lavoratori che non hanno un rapporto subordinato continuativo: 1. È determinante il ruolo della cartella sanitaria e di rischio lavorativo che risulta essere lo strumento informativo fondamentale per dare continuità alla sorveglianza sanitaria effettuata in diversi ambienti di lavoro; 2. La cartella deve documentare l’esposizione ai rischi lavorativi e riportare la storia sanitaria del lavoratore; questa descrizione si ottiene tramite il contributo di tutti i medici competenti intervenuti nella formulazione dei giudizi di idoneità;

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3. Le informazioni raccolte devono riguardare sia i rischi che di volta in volta hanno esposto il lavoratore a possibili danni che le condizioni di salute del lavoratore (i giudizi di idoneità e di non idoneità parziale o totale); 4. È quindi ovvio prevedere che, alla fine del rapporto di lavoro con una impresa utilizzatrice, il medico competente della ditta consegni in busta sigillata allo stesso lavoratore della impresa fornitrice copia della sua cartella sanitaria e di rischio. È altrettanto opportuno che il medico competente identifichi la modalità di trasmissione dei giudizi di idoneità dei singoli lavoratori al Datore di Lavoro; 5. La cartella sanitaria e di rischio verrà consegnata al medico competente della successiva Impresa Utilizzatrice, su sua eventuale richiesta, prima dell’inizio del nuovo contratto di prestazione lavorativa (se è prevista la sorveglianza sanitaria); 6. È inoltre evidente che la cartella sanitaria e di rischio sia consegnata anche al lavoratore che è il soggetto maggiormente interessato alle notizie contenute nella stessa; 7. Nel caso che le lavorazioni effettuate nella Impresa Utilizzatrice prevedano la presenza del “Registro degli esposti” (come si verifica, ad esempio, nel caso di esposizione quotidiana personale a rumore superiore a 87 dBA) , in esso dovrà essere riportato anche il nominativo dei lavoratori con le relative altre informazioni necessarie a permettere di identificare l’entità della esposizione. La notizia dell’avvenuta iscrizione del lavoratore in tale registro deve essere riportata, a cura del medico competente, anche nella cartella sanitaria dello stesso lavoratore; 8. Le imprese fornitrici di lavoro temporaneo sono tenute ad assicurare i propri dipendenti presso l’INAIL e risultano contestualmente responsabili della denuncia all’istituto Assicuratore degli infortuni occorsi ai propri dipendenti e avvenuti nelle varie imprese utilizzatrici; 9. Il medico competente dell’impresa utilizzatrice provvederà altresì a segnalare i casi di malattia professionale ad entrambi i datori di lavoro anche se, come si è detto, è il datore di lavoro dell’impresa fornitrice che dovrà procedere a stendere ed inoltrare la denuncia all’INAIL.. Gestione delle cartelle sanitarie e di rischio dei lavoratori – Rapporti del medico competente con il Servizio Sanitario Nazionale: L’art. nr. 40 del D.Lgs. 81/08 ha introdotto il nuovo obbligo annuale per il medico competente di trasmettere ogni anno entro il primo trimestre dell'anno successivo all'anno di riferimento ed esclusivamente per via telematica, ai servizi competenti per territorio le informazioni, elaborate nel corso dell’anno di riferimento evidenziando le differenze di genere, relative ai dati aggregati sanitari e di rischio dei lavoratori, sottoposti a sorveglianza sanitaria secondo il modello in allegato 3B del D.Lgs. 81/08.

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La relazione sanitaria annuale: Tra i compiti del medico competente rientra anche quello indicato all’art. nr. 25 comma 1 – lettera i) del D.Lgs. 81/08 che prevede a suo carico una relazione scritta, denominata più comunemente relazione sanitaria annuale, destinata al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi ed al/ai rappresentante/i dei lavoratori per la sicurezza, che riporti i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata e fornisca indicazioni sul significato di detti risultati ai fini della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori. La sede opportuna dove presentare tale relazione si identifica naturalmente con la riunione periodica di cui all’art. nr. 35 del D.Lgs. 81/08 Di fatto, l’art. 35 al comma 2 - lettera b) esplicata chiaramente, seppure a carico del datore di lavoro, che nel corso della riunione lo stesso sottoponga all'esame dei partecipanti il documento di valutazione dei rischi, l'andamento degli infortuni e delle malattie professionali e della sorveglianza sanitaria effettuata. Di seguito sono riportati i fattori e le situazioni di rischio più frequenti che determinano l'obbligo di sorveglianza sanitaria. Movimentazione manuale dei carichi: i lavoratori addetti alla movimentazione manuale dei carichi, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico, che per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorsolombari devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41, sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio di cui all'allegato XXXIII D.Lgs. 81/08 (art. 168 D.Lgs. 81/08, lettera d). Utilizzo di attrezzature munite di videoterminali: è obbligatorio sottoporre a controllo sanitario il lavoratore che utilizza un'attrezzatura munita di videoterminali, in modo sistematico o abituale, per venti ore settimanali, dedotte le interruzioni di cui all'articolo 175 D.Lgs. 81/08. Salvi i casi particolari che richiedono una frequenza diversa stabilita dal medico competente, la periodicità delle visite di controllo è biennale per i lavoratori classificati come idonei con prescrizioni o limitazioni e per i lavoratori che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età; quinquennale negli altri casi (art. 176, comma 3 D.Lgs. 81/08). Rumore: la sorveglianza sanitaria è obbligatoria per i lavoratori la cui esposizione al rumore eccede i valori superiori di azione ossia il livello di esposizione personale settimanale (40 ore) pari o maggiore di 85 dB(A) in base all’art. 196 Capo II del D.Lgs. 81/08. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente. La sorveglianza sanitaria è estesa ai lavoratori esposti a livelli superiori ai valori inferiori di azione (80 dB(A)), su loro richiesta e qualora il medico competente ne confermi l'opportunità.

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Vibrazioni meccaniche: in base all’art. 204, del D.Lgs. 81/08, i lavoratori esposti a livelli di vibrazioni superiori ai valori d'azione sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria, rispettivamente: per il Sistema mano-braccio pari o maggiore a 2,5 m/s2, per il Sistema corpo intero pari o maggiore a 0,5 m/s2. La sorveglianza viene effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione. I lavoratori esposti a vibrazioni sono altresì sottoposti alla sorveglianza sanitaria quando, secondo il medico competente, si verificano una o più delle seguenti condizioni: l'esposizione dei lavoratori alle vibrazioni è tale da rendere possibile l'individuazione di un nesso tra l'esposizione in questione e una malattia identificabile o ad effetti nocivi per la salute ed è probabile che la malattia o gli effetti sopraggiungano nelle particolari condizioni di lavoro del lavoratore ed esistono tecniche sperimentate che consentono di individuare la malattia o gli effetti nocivi per la salute. Esposizione a campi elettromagnetici: in base all’art. 211, del D.Lgs. 81/08 la sorveglianza sanitaria viene effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità inferiore decisa dal medico competente con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori, tenuto conto dei risultati della valutazione dei rischi. Sono, comunque, tempestivamente sottoposti a controllo medico i lavoratori per i quali è stata rilevata un'esposizione superiore ai valori di azione di cui all'articolo 208, comma 2 del D.Lgs. 81/08 (i valori di azione sono riportati nell'allegato XXXVI, lettera B, tabella 2), a meno che la valutazione effettuata a norma dell'articolo 209, comma 2, dimostri che i valori limite di esposizione non sono superati e che possono essere esclusi rischi relativi alla sicurezza. Esposizione a radiazioni ottiche artificiali: in base all’art. 218, del D.Lgs. 81/08, la sorveglianza sanitaria viene effettuata periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità inferiore decisa dal medico competente con particolare riguardo ai lavoratori particolarmente sensibili al rischio, tenuto conto dei risultati della valutazione dei rischi. La sorveglianza sanitaria è effettuata con l'obiettivo di prevenire e scoprire tempestivamente effetti negativi per la salute, nonché prevenire effetti a lungo termine negativi per la salute e rischi di malattie croniche derivanti dall'esposizione a radiazioni ottiche. Sono tempestivamente sottoposti a controllo medico i lavoratori per i quali è stata rilevata un'esposizione superiore ai valori limite di cui all'articolo 215. Utilizzo di agenti chimici: se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che il rischio non è basso per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, sono sottoposti a sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti agli agenti chimici pericolosi per la salute che rispondono ai criteri per la classificazione come molto tossici, tossici, nocivi, sensibilizzanti, corrosivi, irritanti, tossici per il ciclo riproduttivo, cancerogeni e mutageni di categoria 3, (art. 229, D.Lgs. 81/08). La sorveglianza sanitaria sarà effettuata prima di adibire il lavoratore alla mansione che comporta l'esposizione; periodicamente, di norma una volta l'anno o con periodicità diversa decisa dal medico competente con adeguata motivazione, all'atto della cessazione del rapporto di lavoro.

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Agenti cancerogeni e mutageni: il medico fornisce agli addetti adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all'opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività lavorativa; provvede, inoltre, ad istituire e aggiornare una cartella sanitaria e di rischio per ciascun lavoratore (art. 243, comma 2 D.Lgs. 81/08). In considerazione anche della possibilità di effetti a lungo termine, gli esposti ad agenti cancerogeni e/o mutageni devono essere iscritti in un registro nel quale è riportata l'attività svolta, l'agente cancerogeno o mutageno utilizzato e, ove noto, il valore dell'esposizione a tale agente. Copia del registro va consegnata all'ISPESL e all'organo di vigilanza competente per territorio, anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro o di cessazione di attività dell'azienda. Esposizione all’amianto: ai sensi dell’art. 259 D.Lgs. 81/08, i lavoratori addetti alle opere di manutenzione, rimozione dell'amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e trattamento dei relativi rifiuti, prima di essere adibiti allo svolgimento dei suddetti lavori e periodicamente, almeno una volta ogni tre anni, o con periodicità fissata dal medico competente, devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria finalizzata anche a verificare la possibilità di indossare dispositivi di protezione respiratoria durante il lavoro. Inoltre saranno sottoposti ad una visita medica all'atto della cessazione del rapporto di lavoro. Agenti biologici: art. 279 D.Lgs. 81/08, il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente oppure l'allontanamento temporaneo del lavoratore. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sul controllo sanitario cui sono sottoposti e sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell'attività che comporta rischio di esposizione a particolari agenti biologici individuati nell'allegato XLVI nonché sui vantaggi ed inconvenienti della vaccinazione e della non vaccinazione.

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11. VALUTAZIONE DEI RISCHI

11.1 Generalità La valutazione dei rischi esamina in maniera sistematica tutti gli aspetti dei luoghi di lavoro, per definire le possibili od eventuali cause di lesioni o danni. La valutazione dei rischi è stata strutturata ed attuata in modo da consentire di: identificare i luoghi di lavoro (reparti, ambienti, postazioni di lavoro); identificare i pericoli e le fonti potenziali di rischio, presenti in tutte le fasi lavorative di ogni

area aziendale; individuare i soggetti esposti, direttamente o indirettamente, anche a pericoli particolari; stimare i rischi, considerando adeguatezza e affidabilità delle misure di tutela già in atto; definire le misure di prevenzione e protezione, atte a cautelare i lavoratori, secondo le

seguenti gerarchie ed obiettivi: - eliminazione dei rischi; - riduzione dei rischi (privilegiando interventi alla fonte);

programmare le azioni di prevenzione e protezione con priorità derivanti da: - gravità dei danni; - probabilità di accadimento; - numero di lavoratori esposti; - complessità delle misure di intervento (prevenzione, protezione, ecc.) da adottare.

Effettuare la valutazione dei rischi comporta una serie di azioni descritte nel seguente diagramma di flusso:

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11.2 Metodologie adottate METODOLOGIA A Nella presente metodologia, adottata per i PIANI DI MIGLIORAMENTO, la quantificazione e classificazione dei rischi deriva dalla stima dell’entità dell’esposizione e dalla gravità degli effetti. Per quanto riguarda la probabilità di accadimento si definisce una scala delle Probabilità, riferendosi ad una correlazione più o meno diretta tra la carenza riscontrata e la probabilità che si verifichi l’evento indesiderato, tenendo conto della frequenza e della durata delle operazioni/lavorazioni che potrebbero comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Di seguito è riportata la Scala delle Probabilità:

Livello Valori Criteri

IMPROBABILE 1 L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno solo in concomitanza con eventi poco probabili ed indipendenti.

POSSIBILE (ma non molto probabile) 2 L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno solo

in circostanze sfortunate di eventi.

PROBABILE 3 L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno anche se in modo non automatico e/o diretto.

INEVITABILE (nel tempo) 4 Esiste una correlazione diretta tra l’anomalia da eliminare

ed il verificarsi del danno ipotizzato. Per quanto concerne l’Entità dei Danni, si fa riferimento alla reversibilità o meno del danno. Di seguito è riportata la Scala dell’Entità del Danno:

Livello Valori Criteri

LIEVE 1 Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità temporanea breve e rapidamente reversibile. Esposizione cronica con effetti rapidamente reversibili.

MODESTO 2 Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità temporanea anche lunga ma reversibile. Esposizione cronica con effetti reversibili.

GRAVE 3 Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti di invalidità permanente parziale. Esposizione cronica con effetti irreversibili e/o parzialmente invalidanti.

GRAVISSIMO E/O MORTALE 4

Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti letali o di invalidità totale. Esposizione cronica con effetti letali e/o totalmente invalidanti.

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ISTITUTO COMPRENSIVO

“FALCONE e BORSELLINO”

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI (Art. 28 del D.Lgs. 81/2008)

Codice

Revisione N. 00

Data 27/11/2017

Parte normativa Pagina 227

STUDIO PIERMARINI – SERVIZI SULLA SALUTE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO

Via Piceno Aprutina n. 47, 63100 Ascoli Piceno – Tel./Fax 0736.254724 – Cell. 329.9698928 – [email protected]

Il valore normale del rischio è stato ottenuto moltiplicando il valore della Probabilità (P) per il valore dell’Entità del danno (D):

R = P x D utilizzando la seguente matrice a sedici cifre:

Valori normali del rischio

P

4 8 12 16

3 6 9 12

2 4 6 8

1 2 3 4

D Il peso del rischio reale è stato determinato assegnando ad ogni posizione della matrice un moltiplicatore, compreso tra 0,1 ed 1 per diversificare un medesimo risultato del valore del rischio normale in funzione del variare del peso della probabilità e del danno. Si vuole cioè dire che un peso del rischio pari ad 8 può essere generato sia dal prodotto della probabilità (P) 2 x il danno (D) 4 che dal prodotto della probabilità (P) 4 x il danno (D) 2, con risultato, evidentemente, di un diverso peso reale di rischio, come illustrato nel seguente schema esplicativo:

Moltiplicatori del rischio Valori normali

del rischio (R) Valori pesati del rischio (Rp)

P

0.2 0.6 1.0 1.0

P

4 8 12 16

P

0.8 4.8 12.0 16.0

0.2 0.6 0.8 1.0 3 6 9 12 0.6 3.6 7.2 12.0

0.2 0.4 0.8 1.0 2 4 6 8 0.4 1.6 4.8 8.0

0.1 0.4 0.8 1.0 1 2 3 4 0.1 0.8 2.4 4.0

D D D

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METODOLOGIA B Nella presente metodologia, adottata per le altre valutazioni, la quantificazione e classificazione dei rischi deriva dalla stima dell’entità dell’esposizione e dalla gravità degli effetti; infatti, il rischio può essere visto come il prodotto della Probabilità (P) di accadimento per la Gravità del Danno (D):

R = P x D Per quanto riguarda la probabilità di accadimento si definisce una scala delle Probabilità, riferendosi ad una correlazione più o meno diretta tra la carenza riscontrata e la probabilità che si verifichi l’evento indesiderato, tenendo conto della frequenza e della durata delle operazioni/lavorazioni che potrebbero comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Di seguito è riportata la Scala delle Probabilità:

Livello Criteri

NON PROBABILE L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno solo in concomitanza con eventi poco probabili ed indipendenti.

POSSIBILE L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno solo in circostanze sfortunate di eventi.

PROBABILE L’anomalia da eliminare potrebbe provocare un danno anche se in modo non automatico e/o diretto.

ALTAMENTE PROBABILE Esiste una correlazione diretta tra l’anomalia da eliminare ed il verificarsi del danno ipotizzato.

Per quanto concerne l’Entità dei Danni, si fa riferimento alla reversibilità o meno del danno. Di seguito è riportata la Scala dell’Entità del Danno:

Livello Criteri

LIEVE Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità temporanea breve e rapidamente reversibile. Esposizione cronica con effetti rapidamente reversibili.

MODESTO Infortunio o episodio di esposizione acuta con inabilità temporanea anche lunga ma reversibile. Esposizione cronica con effetti reversibili.

SIGNIFICATIVO Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti di invalidità permanente parziale. Esposizione cronica con effetti irreversibili e/o parzialmente invalidanti.

GRAVE Infortunio o episodio di esposizione acuta con effetti letali o di invalidità totale. Esposizione cronica con effetti letali e/o totalmente invalidanti.

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Combinando le due scale in una matrice si ottiene la Matrice Dei Rischi, nella quale ad ogni casella corrisponde una determinata combinazione di probabilità/entità dei danni. Di seguito è riportata la matrice che scaturisce dalle suddette scale:

Classe di Rischio Priorità di Intervento

Elevato

12 ≤ R ≤ 16

Azioni correttive immediate L’intervento previsto è da realizzare con tempestività nei tempi tecnici strettamente necessari non appena approvato il budget degli investimenti in cui andrà previsto l’onere dell’intervento stesso.

Notevole

6 ≤ R ≤ 9

Azioni correttive da programmare con urgenza L’intervento previsto è da realizzare in tempi relativamente brevi anche successivamente a quelli stimati con priorità alta.

Accettabile

3 ≤ R ≤ 4

Azioni correttive da programmare a medio termine Intervento da inserire in un programma di interventi a medio termine ma da realizzare anche in tempi più ristretti qualora sia possibile attuarlo unitamente ad altri interventi più urgenti.

Basso

1 ≤ R ≤ 2

Nessuna azione specifica A scopo preventivo e cautelativo, si consiglia l’informazione ai lavoratori sul rischio e sulle eventuali azioni migliorative da adottare.

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