Internazionalizzazione delle imprese italiane

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    Sintesi dei lavori che saranno presentati alla conferenzaInternazionalizzazione delle imprese italiane (Roma, 27 febbraio 2014)

    Il primo gruppo di lavori (Le fonti statistiche e le principali evidenzesullinternazionalizzazione in Italia) fornisce un inquadramento del fenomenodellinternazionalizzazione produttiva, delle principali tendenze e degli andamenti recenti.

    Il lavoro Geografia delle statistiche sullinternazionalizzazione a cura di Chiara Bentivogli,Giacomo Oddo e Valeria Pellegrinipresenta un quadro delle statistiche disponibili, sia quelleufficiali (investimenti diretti esteri, attivit delle affiliate estere, commercio con lestero etavole input-output), sia, per lItalia in particolare, quelle di altra fonte (Reprint, Invind,EFIGE, altri database commerciali). Le statistiche ufficiali hanno unampia coperturageografica e rispettano standard di comparabilit internazionale, tuttavia, per loro naturanon sono adatte a recepire rapidamente i mutamenti istituzionali, contrattuali e strategicidel fenomeno e questo giustifica il ricorso ad altre pi specifiche basi dati. Nelconfronto tra le fonti emerge per lItalia un quadro abbastanza omogeneo nella descrizionee misurazione dellinternazionalizzazione e dei fenomeni a questa legati. Sia per i datiufficiali sia per quelli non ufficiali la disponibilit di microdati allo stato attuale scarsa,sebbene vi sia un condiviso orientamento, anche a livello internazionale, nel potenziarne lafornitura e la disponibilit a scopo di studio e di analisi.

    Il lavoroGli investimenti diretti esteri e le multinazionali

    a cura diAlessandro Borin e

    Riccardo Cristadoro fornisce un quadro di insieme dellinternazionalizzazione eglobalizzazione delle produzione cos come emerge dai dati di Unctad ed Eurostat sugliIDE. Discute i mutamenti nella geografia degli IDE intervenuti grazie allemergere dinuovi protagonisti globali quali la Cina e documenta il ritardo dellItalia, sia comeinvestitore sia come paese di destinazione degli IDE. Per lItalia, grazie al ricorso a datimicro (Reprint, EFIGE, Invind) si traccia un quadro analiticamente pi dettagliato dellacrescita della presenza delle multinazionali nel mondo nellarco dellultimo ventennio.Viene, in particolare, individuata una differenza tra una prima fase (anni 90) che ha vistointernazionalizzarsi soprattutto imprese del made in Italy nei paesi a noi pi vicini, e una

    seconda, pi recente, che, insieme a un nuovo aumento delle multinazionali di piccoledimensioni, ha visto crescere linteresse delle nostre imprese per i mercati emergenti pidinamici. Nel confronto con i maggiori paesi europei le multinazionali italiane sono diminori dimensioni, pi concentrate nei paesi limitrofi e della UE e prediligono modalit diinternazionalizzazione soft, ad esempio attraverso accordi di outsourcinginternazionale.

    Il lavoro Structure and activity of foreign affiliates: evidence on Italian multinationalfirms, a cura di Stefano Federico ed Enrico Tosti, analizza lattivit svolta da quasi 6 milaimprese estere controllate da oltre 900 societ italiane. Si basa su una rilevazionecampionaria effettuata dalla Banca dItalia nel triennio 2007-2009 nellambito delle

    Foreign affiliates statistics (FATS). Dal confronto tra i settori di appartenenza delle casemadri e quelli delle affiliate estere si osserva che in linea con i risultati della letteratura gli IDE di tipo orizzontale, motivati dallobiettivo di accedere ai mercati di sbocco,

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    appaiono prevalenti rispetto a quelli di tipo verticale, effettuati con il principaleobiettivo di abbattere i costi di produzione. Lapplicazione dei modelli gravitazionalistandard tende a rafforzare tale conclusione, in particolare per le affiliate estereappartenenti al settore dei servizi; solo per le affiliate appartenenti al settoremanifatturiero limportanza della motivazione legata alla riduzione dei costi apparesignificativa. La distanza,proxydei costi del trasporto e delle differenze di tipo giuridico,linguistico e culturale, ha un impatto negativo sia sul numero delle affiliate estere(margine intensivo) sia sulla loro dimensione media (margine intensivo), mentre il PIL delpaese di destinazione esercita uninfluenza positiva su entrambi.

    Il tema dellinternazionalizzazione approfondito dal secondo gruppo di lavori (Lecaratteristiche strutturali delle imprese internazionalizzate e le reazioni alla crisi), incui lutilizzo di dati di impresa consente di mettere in luce le principali caratteristiche delleimprese internazionalizzate nonch il loro comportamento durante la crisi.

    Il lavoro INVIND e linternazionalizzazione delle imprese italiane a cura di RiccardoCristadoro e Leandro DAurizio studia linternazionalizzazione delle imprese italianebasandosi sui dati del campione di imprese della manifattura e dei servizi interpellateannualmente dalla Banca d'Italia (Invind) arricchiti e integrati con il ricorso ad altreinformazioni (CeBi, FATS, Bureau Van Dijk1). La principale domanda che si pone il lavoro se e in che misura le multinazionali italiane siano diverse dalle imprese che servono soloil mercato interno o che esportano continuando a produrre solo in Italia. Sono confermati anche quantitativamente diversi fatti stilizzati documentati dalla letteratura che guardaalle caratteristiche specifiche delle singole imprese come determinanti delle loro scelte diproduzione: le multinazionali sono pi grandi, maggiormente orientate allinnovazione epi produttive non solo delle imprese che non esportano, ma anche dei puri esportatori (ilvantaggio di produttivit rispetto a questi ultimi pari a circa il 15% misurato sia intermini di TFP sia in termini di valore aggiunto per addetto). La stessa banca dati permetteanche di analizzare sia le motivazioni addotte dalle imprese per spiegare la scelta diinvestire allestero dove preminente la ricerca di mercati dinamici siail giudizio dellestesse imprese sul supporto fornito dalle istituzioni pubbliche, giudicato insoddisfacente,e gli ostacoli incontrati in tale percorso. Infine, si osservano anche i comportamenti delleimprese durante la lunga crisi avviatasi nel 2007-8 e si mostra che le multinazionalihanno avuto andamenti migliori anche rispetto a quante esportano in termini non solo

    di utili e fatturato, ma anche di occupazione.Il contributo Effetti dellinternazionalizzazione delle imprese sul mix di fattoriproduttivi e lintensit tecnologica. Le reazioni alla crisi a cura diSilvia Fabiani e GiordanoZevianalizza gli effetti sul sistema produttivo dellevoluzione verso forme pi sofisticatedi esposizione ai mercati esteri di una parte delle imprese italiane nel corso della lungafase di crisi economica avviatasi nel 2008. In particolare, sfruttando i microdatidellindagine Invind e quelli della Centrale dei Bilanci, analizza la relazione fra il mix difattori produttivi impiegati da ciascuna impresa (addetti e loro composizione per qualifica,investimenti e stock di capitale), i risultati ottenuti in termini di fatturato, occupati e

    produttivit e le decisioni relative al grado di integrazione delle aziende nei mercati1La banca dati stata creata da Borin e Mancini (si veda oltre) ed stata messa a disposizione a tutti i partecipanti al

    gruppo di lavoro.

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    Il lavoro Global value chains and the Great Recession: evidence on Italian and Germanfirms a cura diAntonio Accetturo e Anna Giuntaprendele mosse dai profondi cambiamentiintercorsi nella divisione internazionale del lavoro che hanno visto crescere outsourcing, off-shoring e, in generale, la globalizzazione dei mercati dei prodotti intermedi, con laformazione delle cosiddette Global Value Chains. Questi sviluppi comuni nascondonoeterogeneit tra paesi relative al grado e al modo di coinvolgimento nelle GVC e traimprese, in funzione della posizione assunta nella divisione internazionale del lavoro(subfornitura, assemblaggio ecc.). Grazie alla lente offerta dalla crisi, il lavoro comparalesperienza delle imprese italiane e tedesche coinvolte nelle GVC, concludendo che leimprese fornitrici di beni intermedi sono state maggiormente colpite dalla crisi e che ildiverso posizionamento allinterno delle GVC pu contribuire a spiegare il divario dicrescita tra Italia e Germania negli ultimi anni.

    Il contributo IDE e performance d impresa: unanalisi empirica basata su un campionedi imprese italiane a cura di Alessandro Borin e Michele Mancini studia gli effetti degliinvestimenti esteri (IDE) sulla produttivit sia quella totale dei fattori (TFP) sia quella dellavoro e sulloccupazione nella casa-madre. Lanalisi si basa su un nuovo datasetcostruito incrociando le informazioni provenienti da diverse banche dati su un ampiocampione di imprese manifatturiere italiane per il periodo 1988-2011. La stima degli effettiex-post degli IDE si basa sulla metodologia delpropensity score matching, per tener conto dipossibili problemi di identificazione dovuti allautoselezione delle imprese che investonoallestero. I risultati mostrano che le imprese che si internazionalizzano ottengonoguadagni occupazionali e di produttivit negli anni successivi al primo investimentoestero, a indicare che richiesta una riorganizzazione complessiva dei processi diproduzione per beneficiare appieno dellinvestimento allestero. Questi guadagni sonosuperiori per le imprese che si localizzano nei paesi avanzati o nelle aree emergenti pilontane. Limpatto positivo sulloccupazione guidato dalla componente dei white collars,coerentemente con il mantenimento dei servizi di headquarter in Italia, ma in media non vi

    sono effetti negativi neanche sulloccupazione dei blue collarsnella casa-madre.Il terzo gruppo di lavori (Internazionalizzazione, appalti internazionali e leinfrastrutture nei paesi emergenti) si concentra su un settore, quello degli appaltipubblici delle banche multilaterali di sviluppo nei principali paesi emergenti, in cui lapresenza delle imprese italiane incontra notevoli ostacoli, pur a fronte di notevoliopportunit di sviluppo.

    Il lavoro Gli investimenti in infrastrutture nei principali paesi emergenti, a cura di LucaAntonelli, Leonardo Bencivelli, Annalisa Bucalossi, Luigi Concistr, Raffaele De Marchi, Giorgio

    Merlonghi, Valeria Rolli e Giorgio Trebeschi, passa in rassegna la situazione presente eprospettica del settore delle infrastrutture in sette grandi paesi emergenti (Brasile, Cina,India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia), basandosi anche sulle informazioni raccolte

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    dalla Rete estera della Banca dItalia. Tali paesi sono accomunati dalla notevoledimensione del mercato interno, effettivo o potenziale, e dallelevato fabbisogno diinvestimenti in infrastrutture. Tuttavia, dallattivit di analisi e dalle interviste conoperatori del settore emergono alcuni elementi oggettivi che ostacolano la penetrazionedelle imprese italiane nei mercati considerati. Nella maggior parte dei casi, il mercato degliappalti pubblici per opere civili opaco, soprattutto a livello sub-nazionale, penalizzandole imprese straniere meno abituate a confrontarsi con le procedure e i termini delle gare.Le poche imprese italiane di costruzioni che riescono a operare in questo contesto,tendono a entrare in consorzio con imprese gi introdotte (prevalentemente locali), chehanno maggiori probabilit di aggiudicarsi le gare di appalto (presentandosi comecapofila) e sono in grado di reperire pi facilmente la manovalanza locale. Detenere unatecnologia allavanguardia costituisce generalmente il fattore decisivo per cui limpresaitaliana viene scelta da un socio locale.

    Il lavoro Imprese di costruzione e domanda estera: il procurementdella Banca mondialea cura di Michele Benvenuti e Luca Casolaro indaga loperativit delle imprese italiane nelcontesto dei bandi di gara per appalti pubblici (procurement) relativi a progetti finanziatidalla Banca Mondiale. Dopo un forte calo nella prima parte dello scorso decennio, ilvolume dei contratti aggiudicato a imprese italiane ha registrato un notevole incrementotra il 2007 e il 2012. Le aggiudicazioni si sono concentrate nei mercati limitrofi (Europa eAsia Centrale) e nel settore delle reti di trasporto. Tale evoluzione riflette una strutturadella partecipazione italiana fortemente concentrata su un numero molto limitato digrandi imprese, altamente specializzate e internazionalizzate, in grado di aggiudicarsiprogetti di ammontare elevato e tecnicamente complessi, dove minore la pressionecompetitiva delle imprese locali. Pi contenuta invece loperativit delle imprese italianepresso le altre banche multilaterali di sviluppo, in particolare presso quella asiatica einteramericana.

    Il lavoro Processo di revisione del procurementdella Banca mondiale a cura di TindaroPaganini e Umberto Viviani sottolinea i riflessi per lattivit delle imprese italiane dellaprofonda revisione delle regole delprocurementavviata dalla Banca mondiale. Tale riformariduce alcune rigidit dellattuale sistema, prevedendo che le procedure possano meglioadattarsi al contesto locale. Sebbene i principi guida della riforma siano condivisibili e inlinea con le diverse consultazioni effettuate, si rilevano potenziali elementi di criticit,

    derivanti da un possibile indebolimento delle regole e un minore controllo nei processi diaggiudicazione, che potrebbe rappresentare un ostacolo per la partecipazione delleimprese italiane e degli altri paesi avanzati alle gare.

    Il lavoro I Fondi Fiduciari dellItalia presso la Banca Mondialea cura di Tindaro Paganini,fornisce un quadro esaustivo e aggiornato dei fondi fiduciari dellItalia e individua linee diintervento per il miglioramento della loro gestione e allocazione. Dallanalisi dei dati sievince una dispersione dei contributi che va a detrimento della loro efficacia e, accanto aun ruolo importante dellItalia, pur se decrescente, come contributore, uno meno rilevantedelle nostre imprese nelpublic procurementinternazionale.

    Il quarto gruppo di lavori (Evidenze provenienti dallindagine sulle affiliate estere diimprese italiane) si basa sulle interviste effettuate dalla Rete estera della Banca dItalia

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    presso aziende italiane insediate allestero e istituzioni italiane e straniere, nonch sualcuni approfondimenti su alcune aree geografiche.

    Il lavoro Interviste della Rete estera e opinioni delle imprese sul sistema paese a cura diAnna Marrapresenta i risultati principali dellindagine. Le risposte fornite dalle impresetracciano un quadro assai complesso dellinternazionalizzazione e, accanto ad alcuneconferme di fatti noti, forniscono elementi nuovi di riflessione. Secondo le impreseintervistate linternazionalizzazione un processo di crescita aziendale che comporta unaprofonda trasformazione organizzativa. In questo ambito le aziende hanno evidenziato treprincipali fattori di successo: (i) lesigenza di conciliare il controllo da parte della casa-madre sui processi decisionali pi delicati con lautonomia dellaffiliata per individuare lestrategie pi idonee alla piazza di insediamento; (ii) la disponibilit ad accettarecambiamenti anche rilevanti nella struttura organizzativa e di governance; (iii) la capacitdi adattarsi alle caratteristiche dei vari mercati, con tradizioni e usi molto diversi, e dimantenere il controllo sulla qualit della produzione. Le imprese sono relativamente pocoinformate degli strumenti messi a loro disposizione dal pubblico per sostenerelinvestimento estero e forniscono valutazioni non univoche sullefficacia del supportopubblico.

    Gli approfondimenti sulla presenza delle imprese italiane nei principali paesi emergentifanno emergere un quadro diversificato. In Brasile (Giorgio Trebeschi) gli investimentidiretti italiani sfruttano legami storici profondi, come dimostrano gli insediamenti dilunga data di imprese quali Pirelli (presente da pi di ottanta anni) e FIAT (tra i principaliproduttori di auto del paese da quasi quaranta anni). Nel periodo recente alle presenzestoriche si sono affiancate altre aziende, attratte dalle buone prospettive di crescita delladomanda interna, dalla possibilit di utilizzare il Brasile come piattaforma per forniregli altri paesi dellAmerica latina e infine dalla vicinanza a importanti clienti italiani.Laccesso al mercato di sbocco e un costo del lavoro contenuto costituiscono le principalideterminanti degli investimenti diretti italiani in Turchia(Giorgio Merlonghi). A differenzadi altre aree, qui le imprese italiane hanno spesso scelto di ricorrere a partnership con unsocio locale, di norma attraverso la creazione di joint venturetendenzialmente paritetiche,in cui il socio turco spesso uno dei grandi gruppi industriali e finanziari che fanno capoalle potenti famiglie delloligarchia imprenditoriale locale (ad esempio, la famiglia Ko,partner di Unicredit, Pirelli, Fiat e Iveco). La presenza italiana in Cina (Carmine Porello)

    cresciuta molto rapidamente nello scorso decennio, grazie allampiezza del mercato e alcosto del lavoro moderato. Permangono diversi ostacoli alla penetrazione del mercatocinese, che riflettono non solo le peculiarit della struttura produttiva italiana ma anche leforti specificit del mercato locale, le difficolt nellaccesso alle commesse pubbliche e irischi di trasferimento tecnologico a favore di partner locali non sempre affidabili nel casodijoint ventures.

    Anche nelle aree geograficamente pi vicine si riscontrano rilevanti differenzenellevoluzione e nella struttura dellattivit allestero delle imprese italiane. Per quantoriguarda i Balcani (Simone Auer e Andrea Colabella) si possono individuare due fasi: una

    prima, negli anni novanta, con protagoniste imprese di piccole e medie dimensionispecializzate in produzioni tradizionali, quali il tessile e labbigliamento e con attivit inconto terzi e subfornitura. Nello scorso decennio invece cresciuta la presenza nellarea di

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    imprese di grandi dimensioni, in particolare nei settori finanziario, dello sfruttamentodelle fonti di energia e in quelli delle infrastrutture e delle costruzioni. Pi di recente, unsettore di rilevo per le grandi imprese quello legato alla produzione degli autoveicoli inSerbia. Tra i paesi del Nord Africa (Riccardo Settimo) la presenza delle imprese italiane siconcentra soprattutto in Marocco, dove si sono localizzate molte aziende del settore tessilee dellabbigliamento, e in Egitto, in cui sono presenti controllate operanti nelle costruzionie nei servizi. Linstabilit politica attraversata da questi paesi dagli inizi del 2011 e, pi ingenerale, nellarea del Mediterraneo analizzata in un apposito lavoro sulla primaveraaraba (Angela di Maria e Carmela Sorrenti). In alcuni paesi si assistito a un cambio diregime (Egitto, Tunisia, Libia e Yemen), mentre la Siria affronta un complesso conflittocivile dagli esiti incerti e alcune monarchie (Giordania e Marocco) hanno adottato unaserie di riforme politiche ed economiche nella direzione di una maggiore apertura; altripaesi, prevalentemente produttori di petrolio (monarchie del Golfo e Algeria) hannoattuato misure di politica economica basate su un incremento della spesa pubblicafunzionale ad alleviare le montanti tensioni sociali. Nel breve periodo limpatto economicosulla regione stato profondo: interruzione dellattivit produttiva, calo dei flussi turisticie degli investimenti, instabilit e incertezza sullesito dei processi di transizione che hannoprodotto una forte recessione in uno scenario di crisi globale.

    Il quinto gruppo di lavori (Internazionalizzazione e finanza) dedicato al ruolo dellafinanza nei processi di internazionalizzazione.

    Il lavoro Trade and finance: is there more than just trade finance? Evidence frommatched bank-firm data, a cura di Silvia Del Prete e Stefano Federico contribuisce allaletteratura che investiga il ruolo dei fattori finanziari nel crollo degli scambi internazionalidopo il fallimento di Lehman Brothers (trade collapse). A differenza della letteraturaesistente, che generalmente si limita a proxy settoriali di dipendenza finanziaria, il lavoroutilizza dati per singola impresa e singola banca sulle relazioni banca-impresa tratti dallaCentrale dei Rischi, con un dettaglio sulla finalit del prestito che consente di distinguerese i crediti di cassa o di firma siano specificamente destinati allattivit di esportazione, diimportazione ovvero ad altre attivit. Stime econometriche su un campione di circa 7.800imprese esportatrici nel settore manifatturiero italiano tra il 2007 e il 2010 indicano che leimprese che prendevano a prestito da banche pi esposte al calo della raccolta esterahanno avuto un tasso di crescita delle esportazioni pi basso rispetto a quante prendevano

    a prestito da banche meno esposte allo shock. La riduzione dellofferta di credito da partedelle banche esposte ha inciso per su tutte le varie tipologie di prestiti e in misurainferiore su quelli alle esportazioni; ci pu essere spiegato con il fatto che si trattageneralmente di operazioni che intervengono nella fase conclusiva del processoproduttivo, di durata molto breve e con un limitato rischio di controparte.

    Il lavoro Bank Internationalization and Firm Exports: Evidence from Matched Firm-Bank Data, a cura di Raffaello Bronzini e Alessio DIgnazioverifica lipotesi che le impreseclienti di una banca internazionalizzata abbiano una maggiore probabilit di iniziare aesportare nel paese in cui la banca ha proprie filiali. Sul piano teorico, il legame tra

    mercato di destinazione delle esportazioni e quello di internazionalizzazione delle banche giustificato dalla presenza di barriere informative. La trasmissione delle informazioni sulpaese estero dalle banche alle imprese consentirebbe, a queste ultime, di superare tali

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    barriere, ridurre i costi di ingresso in nuovi mercati di sbocco e internazionalizzarsi. Irisultati mostrano che la probabilit di iniziare a esportare in un dato paese positivamente influenzata dalla presenza, nello stesso paese, di una filiale di una bancafinanziatrice dellimpresa. La relazione di causalit tra paese di destinazione delleesportazioni e paese di internazionalizzazione della banca stata sottoposta ad alcuniesercizi di robustezza. In particolare sono state verificate le seguenti ipotesi: a) che siano lebanche a seguire allestero i loro clienti; b) che le imprese intenzionate a esportare in uncerto mercato scelgano una determinata banca proprio in quanto i servizi da questa offertiallestero favoriscono la penetrazione commerciale delle imprese. Gli esercizi condottisuggeriscono come entrambe le ipotesi siano poco plausibili.

    Nel sesto gruppo di lavori (Attrattivit e investimenti dallestero in Italia) si guardaallaltro aspetto dellinternazionalizzazione, quella cosiddetta passiva.

    Il contributo Gli IDE in entrata dellItalia: Caratteristiche delle imprese a controlloestero a cura di Elena Mattevi descrive le caratteristiche delle controllate estere in Italiasulla base dei dati dellindagine Invind, rilevandone le differenze rispetto al complessodelle imprese domestiche e investigando lesistenza di una selezione ex ante delle impreseoggetto di operazioni di investimento dallestero. Ne emerge che le partecipazioni esteredi controllo sono concentrate tra le imprese pi grandi, pi presenti sui mercati esteri, epi produttive. I risultati suggeriscono inoltre che le controllate estere impiegano unamaggior quota di addetti white-collar, anche tenendo conto del settore di appartenenzadellimpresa. Pur fornendo una quota rilevante degli investimenti in ricerca e sviluppototale, le controllate estere realizzano una minor spesa in tali attivit, se misurata inrapporto al fatturato. Molte di questa caratteristiche sembrano pre-esistire alloperazionedi acquisizione: studiando le caratteristiche ex ante delle imprese oggetto di operazioni diM&A si trova che le societ target di tali operazioni si distinguono per una dimensionerilevante e una maggiore presenza sui mercati esteri gi prima dellacquisto.

    Il lavoro Lattrattivit dei territori: i fattori di contesto a cura di Chiara Bentivogli, LucaCherubini e Giovanni Iuzzolinomostra che la localizzazione delle imprese estere in Italia non omogenea fra le diverse aree geografiche e che la distribuzione di capitali stranieri molto concentrata territorialmente, assai pi di altre misure quali PIL od occupati. Perspiegare questo fenomeno si guarda allimportanza relativa delle determinanti di

    contesto dellattrattivit dei territori per gli investimenti esteri e in particolare alpotenziale attrattivo dato dalla qualit dellambiente istituzionale e sociale. Naturalmentenel fare ci si tiene anche conto dei fattori classici di attrattivit degli investimenti direttiquali il costo del lavoro e la vicinanza ai mercati di sbocco. Lanalisi utilizza i dati dellaBanca dItalia sugli investimenti diretti esteri in Italia disponibili dal 2007 con unadisaggregazione sub-regionale. Pur con le cautele dovute alla forte correlazione e allaridotta variabilit nel tempo delle misure dei fattori di contesto, le stime attestano un lororuolo non secondario nellattrarre gli investitori esteri. In particolare, fra i fattoriterritorialmente pi rilevanti rientrano la presenza di agglomerazioni di grandi imprese,una forza lavoro istruita, amministrazioni locali efficienti, una giustizia funzionante, un

    elevato capitale sociale e unalta offerta di servizi sociali.

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    Il lavoro Investimenti diretti e qualit delle istituzioni a cura di Alessandro Borin,Riccardo Cristadoro ed Elena Mattevi analizza il contributo dato dalla qualit delleistituzioni in unottica cross-country, utilizzando gli indicatori costruiti dalla BancaMondiale nellambito del progetto Doing Business (DB). Linterpretazione delle relazionistimate tra IDE e DB presenta gli usuali e ben noti problemi di identificazione di nessicausali tra variabili il cui legame potrebbe dipendere da fattori non osservati. Con questocaveat, i risultati sembrano avvalorare la tesi che esista una relazione positiva esignificativa tra IDE e indicatori DB, anche tenendo conto dellinfluenza delle tradizionalivariabili gravitazionali e di altri fattori quali la tassazione e la qualit della manodoperae anche cercando di controllare per lendogeneit delle variabili con stime GMM. Emergeun elemento originale dallanalisi, dato dalla possibilit di scomporre la misura dellaqualit delle istituzioni in fattori di costo e fattori legati ai tempi e alla complessit delleprocedure. I primi sembrerebbero avere un importanza trascurabile nellorientare gliinvestimenti esteri, mentre il potenziale attrattivo di procedure burocratiche pi rapide eregole pi chiare significativo in quasi tutte le specificazioni. Concentrandosi sullemisure di rapidit e trasparenza delle pratiche e analizzando i singoli istituti e le diversefattispecie considerate nella costruzione dellindicatore aggregato di qualit delleistituzioni fin qui considerato, si trova che lefficacia nella risoluzione di controversiecontrattuali e fallimentari e la protezione dei creditori sono tra le determinanti piimportanti dellattrattivit.

    Il lavoro Inward greenfield foreign direct investment and innovation propensitya curadiRoberto Antonietti (Univ. Padova), Raffaello Bronzini e Giulio Cainelli (Univ. Padova), guardaalleffetto degli IDE in entrata sullattivit innovativa nei settori e nelle regioni interessate.Lanalisi si giova della combinazione di diverse banche dati e concerne le province italianetra il 2003 e il 2008. La stima del panel con tecniche count data effettuata regredendo ilnumero di brevetti in ciascuna provincia e settore su una serie di variabili che misurano lapresenza di IDE e la loro intensit sia finanziaria sia reale. I risultati mostrano unarelazione positiva tra IDE e brevetti solo nel caso del settore terziario e quando si tengaconto dellintensit degli IDE; la relazione, in linea con le attese, pi forte nei cosiddettiknowledge-intensive business services, anche controllando per effetti fissi a livello diprovincia e settore.

    Il settimo gruppo di lavori (Politiche di sostegno allinternazionalizzazione) dedicato

    alle politiche e alle istituzioni pubbliche rivolte al sostegno dellinternazionalizzazione.Il lavoro Il Sistema Paese a promozione dellinternazionalizzazione a cura di Filippo

    Vergara Caffarelli e Giovanni Veronese si propone innanzitutto di descrivere il complessosistema del sostegno pubblico allinternazionalizzazione (Sistema Paese) in Italia.Dapprima propone una rassegna degli argomenti teorici pro e contro lintervento pubblicoin questo ambito e presenta i principali risultati empirici circa la sua efficacia. Quindidescrive larchitettura istituzionale del Sistema Paese in Italia e ne mostra larchitetturaancora assai complessa e potenzialmente poco efficiente, nonostante lopera di riformarecentemente intrapresa. Infine propone un confronto tra lItalia e la Germania, la Francia

    e il Regno Unito al fine di individuare le best practices e di comparare costi e aspettiarchitetturali.

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    Il lavoro Gli strumenti della Simest a sostegno dellinternazionalizzazione: unanalisisui microdati dimpresa a cura di Luisa Carpinelli, Marco Mutinelli (Univ. Brescia), FilippoVergara Caffarellie Giovanni Veronese, descrive lattivit istituzionale di Simest e ne studia iprincipali ambiti di operativit. A tal fine sfrutta le informazioni relative alle singoleaziende beneficiarie del supporto all'internazionalizzazione fornito da Simest, nellambitodella Legge 100/1990 nonch i dati anonimi sullattivit di erogazione del creditoagevolato per le esportazioni e linternazionalizzazione delle imprese. cos possibileesaminare la distribuzione dei beneficiari per dimensione, settore di attivit economica,grado iniziale di internazionalizzazione e complessit organizzativa. Al contempopossono essere anche confrontati con le altre imprese internazionalizzate. Nel complesso,Simest risulta solida sia dal punto economico sia da quello finanziario. Dallesame delleaziende beneficiarie degli interventi ex l. 100/10, si rileva unelevata eterogeneit delleimprese coinvolte: tra queste ve ne sono numerose di dimensione medio-grande e giampiamente internazionalizzate, pertanto difficilmente classificabili come PMI ocomunque come aziende bisognose di supporto pubblico per linternazionalizzazione. Laselezione di tali imprese non pare nemmeno giustificata da unesigenza di diversificazionedel rischio onde supportare la redditivit di Simest. Lanalisi del conto economico rivelainfatti che oltre la met dei ricavi provengono dai contributi pubblici per la gestione deifondi per il credito agevolato.

    Il lavoro Lattivit di SACE per linternazionalizzazione delle imprese: unanalisi sumicrodati a cura di Antonio Accetturo, Matteo Bugamelli e Andrea Lamorgese, fornisce unadescrizione dellattivit di sostegno allexport in Italia utilizzando sia i dati a livello diimpresa forniti da SACE e relativi a tutte le operazioni di assicurazione dei creditiallexport realizzate tra il 2006 e il 2012 sia i dati EFIGE relativi a un campione di impresemanifatturiere europee (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna) per effettuaredei confronti internazionali. Secondo i dati di fonte SACE, tra il 2006 e il 2012 sono stateconcesse quasi 16.000 garanzie con un impegno finanziario di 81 miliardi di euro; i settorimaggiormente interessati in termini di risorse finanziarie impiegate sono stati quellipetrolifero, delle infrastrutture e costruzioni, cantieristico, metallurgico e bancario. Intermini di caratteristiche di impresa, lattivit di SACE si rivolge soprattutto alle impresedi media dimensione, che nel 2012 hanno assorbito quasi due terzi delle risorse investiteda SACE. Secondo i dati EFIGE, la percentuale di imprese che dichiara di avere beneficiatodi assicurazioni allexport pi bassa in Italia, rispetto agli altri principali paesi europei;tale percentuale cresce con la dimensione di impresa, con lintensit dellattivit diesportazione, soprattutto nei mercati extra UE, con la presenza di managers esterni allafamiglia proprietaria e dotati di precedenti esperienze in imprese esportatrici.