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1 I Quaderni di Viadellebelledonne INSOMMA, LA NOTTE Febbraio 2008 “…credo che ci sia molto da dire sulla notte. e senza scadere nel banale. ci sono testi di canzoni, bellissime poesie, riflessioni personali. ricreare la notte con i sui tanti significati, il suo ricco mondo di metafore, esperienza fisica e dell’anima.. insomma, la notte.” Margherita Gadenz http://viadellebelledonne.wordpress.com [email protected]

insomma, la notte

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poesia, antologia poetica

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I Quaderni di Viadellebelledonne

INSOMMA, LA NOTTE

Febbraio 2008

“…credo che ci sia molto da dire sulla notte. e senza scadere nel banale. ci sono testi di canzoni, bellissime poesie, riflessioni

personali. ricreare la notte con i sui tanti significati, il suo ricco mondo di metafore, esperienza fisica e dell’anima.. insomma, la

notte.”

Margherita Gadenz

http://viadellebelledonne.wordpress.com

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La notte n. 1 – Antonella Pizzo - Salvatore Adamo

Gennaio 5, 2008

Chi si ricorda di Salvatore Adamo, anzi di Adamo, il cantante italo-belga bello e con una voce dolcissima? credo tutti. Il padre, emigrato nel 47 in Belgio per andare a lavorare nelle miniere della Vallonia, era orginario della provincia di Ragusa, precisamente di Comiso (quella zona che gli americani hanno definito poco popolata e quindi buona per installarci i missili Cruise - Comiso, il paese di Gesualdo Bufalino, di Salvatore Fiume!). Salvatore ha una bella voce e voglia di cantare così partecipa a un concorso radiofonico di Radio Lussemburgo e vince la finale a Parigi. Il primo successo arriva nel 1963 con Sei qui con me, nel 1964 si trasferisce a Parigi dove l’album di debutto “63/64″ con “Tombe la neige” e ” Vous permettez, Monsieur? ” lo trasforma in una celebrità mondiale. Pubblica i suoi dischi anche in Italia, raccogliendo anche qui il successo con Cade la neve - Vous permettez Monsieur - Perduto amor - Non voglio nascondermi - La notte - Amo - Una ciocca di capelli - Se mai - Non mi tenere il broncio - Lei - Il nostro romanzo - La mia vita - Insieme - Inch’Allah - La tua storia e una favola - Accanto a te l’estate - Felicità - ecc, ecc. Ha venduto in tutto il mondo 95 milioni di dischi. Alla fine degli anni 60 aprì a Marina di Ragusa, proprio di fronte al mare, un night favoloso che si chiamava “La notte” come la sua canzone di successo. Qui, in provincia, un night non l’avevamo mai visto, chi c’era andato raccontava di un locale unico, magico, fantastico, da sogno, da mille e una notte, appunto. C’erano porte che si aprivano da sole, l’acqua che usciva dai rubinetti non appena ci avvicinavi le mani e altre diavolerie mai viste, pare che sui piatti ci fosse scritto:«Se il giorno posso non pensarti, la notte maledico te». La gente arrivava da tutta la Sicilia solo per provare quelle porte che si favoleggia s’aprissero da sole, alla apriti sesamo, e andavano in bagno per vedere se era vero che non appena avvicinavi le mani al rubinetto t’usciva l’acqua. Anch’io, ogni tanto, di sabato sera ci andavo con l’amica mia del cuore, avevo 15 anni o forse meno, ci portavano sua cugina e il fidanzato a bordo di una mini minor grigia e bassa, nei sedili strette e strette nei nostri vestiti lunghi un po’ floreali e

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ingenui. Io mettevo un vestito lungo nero a fiorellini con taglio impero, svasatura e rouche al collo. Il night era il regalo che Adamo aveva fatto alla sua terra: “La notte” il favoloso grande night, che il grande cantante Adamo aveva costruito da noi, a Ragusa, e non in un altro posto. Poi un giorno d’estate il padre di Adamo mangiò troppo e subito dopo fece un bagno nel mare antistante, allo scalo trapanese, e morì annegato. In seguito il night fu chiuso, la villa venduta e Adamo non si vide più. Ho saputo che il 30 aprile di quest’anno sarà inaugurato ufficialmente l’aeroporto di Comiso e che tra gli eventi che terranno a battesimo l’infrastruttura ci sarà anche un suo grande concerto. Spero di andarci. Buona notte!

La notte di Salvatore Adamo

Se il giorno posso non pensarti La notte maledico te E quando infine spunta l’alba C’è solo vuoto intorno a me

La notte tu mi appari immensa Invano tento di afferrarti Ma ti diverti a tormentarmi La notte tu mi fai impazzire

La notte Mi fa impazzire Mi fa impazzire

E la tua voce fende il buio Dove cercarti non lo so Ti vedo e torna la speranza Ti voglio tanto bene ancora

Per un istante riappari Mi chiami e mi tendi le mani Ma il mio sangue si fa ghiaccio Quando ridendo ti allontani

La notte Mi fa impazzire Mi fa impazzire

Il giorno splende in piena pace E la tua immagine scompare Felice tu ritrovi l’altro Quell’altro che mi fa impazzire

La notte Mi fa impazzire Mi fa impazzire Mi fa impazzire.

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La notte n.2 - Viola Amorelli

Gennaio 6, 2008

All’orlo

Così la notte lucido velluto e il silenzio scialle di calore e le palpebre chiuse due persiane e l’attesa un avorio che affondava tra le falene cieche, oh benedette le ignote senza luce, l’oblio della partenza generosa come l‘arrivo, lampo d’impercetto nel sonno cancellato di ogni io.

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La notte n. 3 - Gisella Catuogno

Gennaio 7, 2008

Notturno marino

Dorme il mare: stasera lo culla l’algida luna. Tace il vento anch’esso assopito: nel suo silenzio si spengono i rumori del giorno. I gabbiani abbracciati alle ali sognano acque feconde e viatico di vento propizio a voli più audaci. Vegliano gli uomini distratti dal brusìo dei pensieri in vana ricerca di quiete.

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Nel sonno, nei sogni

Sono qui ad ascoltare la vita che sfoglia lenta la corolla dei giorni che mi è stata assegnata, regalando ricordi da deporre ogni sera sul comodino, accanto all’abat-jour rosalbicocca.

Saranno i folletti irrequieti delle mie notti profumate d’infanzia, quando la vita appariva perla nascosta da liberare e far risplendere al sole. Oh, quelle corse nei campi fioriti di lavanda e rosmarino e la trepida attesa di un innocente incanto!

E poi il tempo dei torrenti d’amore blu pervinca mentre il verde accarezza la sponda e la riva, vestita di luce, leviga i sassi. E quei mirtilli da cogliere in punta di dita e da assaporare piano, come i baci del primo ragazzo, promessa di scrigno prezioso da dividere insieme per gioire del bagliore di gemme mai còlte.

I ricordi s’intrecciano ai sogni che mordono il frutto proibito

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fugato dalla chiarità dell’alba e nel torpore delle ore notturne, vegliate da una luna ruffiana, tutto sembra possibile e vero: gli antichi o insospettati amori reclamano barlumi di vita, abbracci e nuovi sussurri stillano da inedita sorgente.

E sono lontani i quotidiani assilli, i grani di ansie, doveri, attenzioni, con cui cingere il collo e le braccia; maschere e ruoli, torti e ragioni sono spazzati dal vento in mulinelli remoti di foglie appassite.

E mi sveglio creatura nuova nella nudità dell’anima senza nome, paese ed età.

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La notte n. 4 – Sandra Palombo - Le gemelle Kessler

Gennaio 10, 2008

Per chi, come me, è nato assieme alla Tv, le Kessler fanno parte dei sabati dell’infanzia quando, come i grandi, si poteva stare alzati dopo “Carosello” per seguire “ Studio Uno” e rimanere incantati dalle famose gemelle che scendevano le scale con le piume in testa e i guanti lunghi mentre cantavano e ballavano “Dadaumpa”. Le trasmissioni televisive iniziavano alle 17,30 del pomeriggio con “La Tv dei ragazzi” e la Gallina Tric e Trac….e le notti erano serene e piene di stelle come non mai.

Sandra Palombo

La notte è piccola

La notte è piccola per noi, troppo piccolina c’è poco tempo per ballar e per cantar se il giorno è lungo da passar la notte vola

La notte è piccola per noi, troppo piccolina ma per chi canta come noi, insieme a noi per mille ore durerà un’ora sola

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La notte è tenera, tenera giovane, giovane splendida, splendida bella da morir

La notte è piccola per noi, troppo piccolina ma cosa stiamo ad aspettar, vieni a ballar arriva l’ora prima o poi che ci innamora

La notte è piccola per noi, troppo piccolina ma per chi canta come noi, insieme a noi per mille ore durerà un’ora sola

La notte è tenera, tenera giovane, giovane splendida, splendida bella da morir

La notte è piccola per noi, troppo piccolina ma cosa stiamo ad aspettar, vieni a ballar il tempo qui si fermerà, qui si fermerà tutto resterà, tutto resterà splendido così, splendido così solo per noi, per noi, per noi

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La notte n.5 - di Lucetta Frisa

Gennaio 12, 2008

La notte

Ama la notte e la sua insonnia che tende i nervi al culmine con l’occhio fermo sul muro e il cuore batte ritmico su un punto vuoto. Sente struccarsi le forze la sua ragione ragionare aguzza ma indolore nella vasta anestesia del buio. E’in equilibrio, la notte, come una dama del rinascimento eretta nel ritratto o un filosofo che ha i pensieri da spartire in geometrie e cristallo e gira il suo compasso prima in senso orario poi antiorario. Forse è il paradiso - lei pensa - questa notturna lentezza che fila trascinandoci muti sulla zattera senza nessuna angoscia fino all’alba dell’inferno.

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LA NOTTE n.6 di Villa Dominica Balbinot

Gennaio 13, 2008

E quando ci fu un ultimo respiro- una cesura operata da un bisturi affilato al massimo- la figlia ebbe un tempo azzerato per poterle dare un saluto decente, urlò ma non quanto avrebbe voluto, la baciò sulle labbra che erano rimaste ferme in un sospiro di liberazione, e lei e suo fratello se la videro portare immediatamente via da alcune infermiere silenziose, non c’era tempo, non c’era tempo: era ricoperta da un lenzuolo bianco, e doveva essere portata in uno spazio più idoneo, erano le tre di mattina, e la vecchia cattiva – oh, la sua faccia, oh la sua faccia schifiltosa, la sua faccia che sarebbe stata bene in un quadro delirante e maligno di bosch, in uno di quei suoi quadri stracolmi di volti impeciati, e ghignanti! - finalmente avrebbe potuto tornarsene a dormire come se niente fosse avvenuto nel lettuccio accanto al suo. E adesso, adesso i giorni continuavano ottusi a trascorrere e lei era lì nella sua camera da letto, e non riusciva a chiudere gli occhi.

Quel perdurante maniacale gocciolio nel bagno che era al di là della parete screpolata su cui era posizionata la testata del suo letto- gocciolo testardo e accompagnato come sempre da un alieno tremolio metallico che faceva vibrare l’apparato freddo delle scanalature vuote dell’intero edificio- le suggeriva l’azzardato paragone con una presunta deriva acustica di uno scintillio ipnotico di un cronometro inserito nel suo sistema uditivo, che doveva servire certo a preavvertirla della spietatezza del tempo, che dopo la morte della madre aveva assunto una caratura diversa.

Ora lei sentiva- vedeva anche – il millemetrico fluire degli istanti, quasi fosse in grado di percepire ogni secondo come se dovesse fronteggiare una disseminazione anemofila che avvenisse in una tetra atmosfera pressurizzata, per non permetterle alcuno scampo. A lei sembrava di stare ammalandosi, forse – oltre alle cellule dell’ipotalamo bruciate dall’incurabile morbo detto dell’insonnia mortale, morbo della famiglia dei prioni, gli stessi che portavano alla pazzia le mucche- stava incubando in contemporanea i sintomi della cosidetta febbre terzana e subito a questo pensiero le venivano in mente strani termini spezzettati senza senso compiuto, li ricordava vagamente come se fossero avvolti da una nebulosa. Dicevano, dicevano suppergiù quei versi spezzati e avvolti da un qualcosa di opaco, ecco quello che ricordava, almeno credeva “ in quanto segno acqueo, muove la pituita alla febbre terzana, e molto spesso duplice e con eccesso di putredine, significa inoltre il veleno,ogni genere di…” e questo era solo un accenno di quei tanti termini scoordinati, tratti da antiche pagine di uno dei primi trattati di astrologia, che affermavano che a ogni segno corrispondevano determinate malattie e organi, preannunciando con quel linguaggio esoterico che certo le persone appartenenti a quel segno erano destinate a ammalarsi di quei particolari morbi, morbi incurabili e fatali.

Lei ricordava anche - e questa volta con precisione- “ freddo e caldo sento che mi piglia,Qho la febbre terzana, tremano le budella, il cuore e l’anima si assottigliano ”. Questi erano invece- e lo sapeva perchè le erano rimasti impressi, erano versi dotati di forza come un grido- erano i graffiti lasciati sui muri di prigioni sotterranee dalle femmine acccusate di maleficio ai tempi dell’inquisizione… E lei scottava, e si rivoltava nel letto, e non riusciva a prendere sonno, vinta da un contaminante alieno, e tossico, come da un demone.

E allora, in un ultimo tentativo che sentiva già vano, accendeva la radio e cercava una programmazione sulla quale fermarsi per un po’, e spesso su un tappeto di onde

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elettromagnetiche emesse da una stazione che sapeva pure dove era ubicata, ascoltava voci assertive- e un po’ troppo melliflue per i suoi gusti- che volevano convincerla della giustezza del cristianesimo, unica dottrina fatta di parole capaci di lenire. Introdotti da musichette ibride ( commistioni abnormi di canti liturgici classicheggianti malamente inframezzati da note che parevano troppo simili ai modelli standard delle colonne sonore di filmoni poco meno che hollywoodiani ) sul cui fondo voci senza età e dai timbri assessuati richiedevano l’ unione spasmodica con l’unico e solo, dopo una vita di mali e perdizioni , ( oddio mio, oddio mio) ecco che un alternarsi magnetico di voci maschili e femminili si dava il cambio per le preghiere dette della compieta, le ultime della giornata, tutte le preghiere della sera fino al nunc dimittis. Niente, nulla da fare quella liturgia dogmatica che in ogni frase (oh, come quella loro tonalità era assurdamente dolce, dolce fino allo sfinimento, lei era irretita, o meglio tramortita, tramortita da vibrazioni sinusoidali di radiazioni random che la tenevano stesa immobile sul suo letto, ne era superficialmente stordita come le capitava le prime volte in cui aveva usato l’acqua ragia per pulire i pennelli, o come quando la madre usava le sue trieline e tutti quei composti chimici pericolosi da usarsi in casa) quella liturgia che in ogni frase alludeva a una colpa incancellabile che si doveva scontare con tormenti variegati, la faceva stare ancora più pervicacemente abbarbicata come un parassita al suo stato di dolore, e il risultato di quell’ascolto era antitetico ai suoi desideri, se ne stava poi ancora più sveglia, a rimuginare pensieri che le si incuneavano sotto pelle- esattamente intorno al pericardio - come i chiodini di ottone a testa rotonda conficcati a tenere fermo il cuoio verde delle loro belle sedie antiche.

E allora pensava pensava, e le veniva alla mente la visione di quei favi incollati alle bianche listarelle interne delle persiane della casa di campagna, che lei tentava vanamente di eliminare , e che ogni volta, da lì a poco,si riformavano, e si riformavano negli stessi posti inospitali. Erano dei favi grigiastri, composti di alveoli essiccati il cui materiale di formazione aveva l’aspetto di fogli di carta in decomposizione, e le cellette erano del tutto vuote, eppure, eppure in una celletta semichiusa e in sfaldamento erosivo, c’era sempre una ape solitaria e di non si sa che sesso- quasi certamente era un’ape operaia, sterile forse- che rimaneva vanamente lì a pulsare con il suo addome gonfio, nell’inutile tentativo fantasmatico di succhiare linfa vitale da inesistenti incrostazioni di miele mai fatto oppure svanito e divorato da altri, per potere sopravvivere in quegli inverni senza fine, sopravvivere purchessia

#brano estrapolato da un racconto più lungo

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Di questa notte, ti parlerò - La notte n. 7 di Teresa Ferri

Gennaio 14, 2008

Di questa notte che mastica fiori di colchico e goccia veleno che imperla il silenzio ti parlerò e dei suoi occhi bistrati a perforare l’anima rincantucciata nell’angolo più caldo del suo sonno indotto.

Di questa notte che sa di fiere ammuffite e di polvere di circo dove giocolieri lanciano in aria metafore e iperboli per accecare ogni senso e disegnare fumosi paesaggi di amore

ti parlerò

insonne vestale di verità marcite chiuse nel pugno a difendere tesi antitesi sintesi di vita randagia da. Dal torrione un aquilone bianco graffia il nero d’onice e il sonno scende a cancellare ogni urlo.

Sì, ti parlerò di come il tutto può vestirsi di nulla se con pazienza abbottoni il gilet d’intenzioni sdrucite alle grandi braccia che pendono dal cielo a contenere l’ira dell’arcobaleno impazzito d’azzurri che gli divorano l’anima dalle mille emozioni.

Questa notte che ancora arriva a decalcificare le ossa che gemono di tarli operosi ti parlerò del buio che acceca ogni sogno neonato fumante d’incredulità subito, al primo morire di veglia scheggiata.

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Ti parlerò, sì. Di questa notte che mai non declina e di stelle livide, livide, sì, checché ne dicano i poeti che le dipingono complici.

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La notte n. 8 - Guido Tedoldi

Gennaio 15, 2008

La notte è una scelta. È questo che me l’ha sempre resa (da che mi ricordi) preferibile al giorno.

Di giorno è facile. C’è la luce naturale, ci sono i negozi aperti, c’è gente in giro. Magari non sono proprio tutti svegli, ma simulano di esserlo in maniera plausibile. Perfino telefonano, e rispondono al telefono quando li si chiama.

Il giorno poi consente la vita di gregge, l’essere tanti insieme nello stesso posto (che sia una strada intasata di traffico o la piazza fittizia di un centro commerciale). Di giorno devi essere in giacca e cravatta, devi essere «decoroso». Poi vedi la tv che mostra un sacco di uomini che si dichiarano «perbene» e che invece sono criminali efferati; l’unica cosa che li tiene separati dal carcere è il loro tanto denaro, e un esercito di avvocati «perbene» pure loro vestiti in giacca e cravatta.

La notte, invece, è proprio tutta tua. Se telefoni a qualcuno sai che gli rompi le scatole, e allora non lo fai, e ricevi per sonnolento accordo lo stesso trattamento. Di notte si parla solo con chi si sa che c’è, e sentirsi allora diventa la condivisione di un bel momento. Di notte non c’è rumore. Non ci sono ingorghi di traffico. L’aria è diversa.

Di notte il computer è un amico, un’entità evidentemente complice che consente di volare in giro per il mondo.

Guardalo di giorno, lo stesso computer. Freddo, efficiente, ostile. Uno strumento di lavoro, evidentemente incarognito proprio per quella cosa lì, il lavoro. Sarà pure un macchinario, ma non piace nemmeno a lui.

Di notte si rilassa, siete rilassati tutti e due, e questo cambia le cose. Davanti al computer, di notte, la giacca e la cravatta te le sei tolte. A meno che non siano una tua scelta, naturalmente.

Dalla notte, scrivendo, scivoli nel giorno.

Peccato.

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La notte n. 9 di Vincenzo Celli

Gennaio 16, 2008

Foto di Paola Pluchino

una notte come tante

ho appena finito di bere una notte come tante

una notte che a tutti s’è data e nulla ha chiesto in cambio ho infilato una strada qualunque come un calzetto spaiato

zoppica l’occhio oltre la trave oltre quella porta che nella testa sbatte

blatera il giorno la sua vergogna di mostrarsi nudo

e davanti a questo mare preoccupato continuo a ferirmi le labbra con un pezzo di cielo.

Vincenzo Celli (cino720)

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ladro di notti

In cento case ho abitato senza un rimpianto e camminato gli orli di cento strade

come un ladro di notti che calpestano il mare.

Vincenzo Celli (cino720)

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La notte n. 10 – Rina Accardo - Bruno Vilar

Gennaio 17, 2008

Amo la notte, perché la notte mi toglie ogni benda e questo mi appaga. Diversi anni fa mi ritrovai, a forza quasi, a coadiuvare nella presentazione del programma radiofonico “Quando la notte è Poesia” Bruno Vilar, poeta che contribuì a diffondere la poesia in Italia attraverso instancabili postazioni in radio da ogni parte della Penisola. Di quelle trasmissioni mi è rimasto un nastro vecchio stampo (che tra l’altro ..non riesco a trovare..) e un’audiocassetta con poesie da lui lette. Oggi ricambio da queste pagine la sua dedica A Rina con affetto sostituendo al mio il suo nome.

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Dal sito http://www.nonsoloparole.com

BRUNO VILAR: L’UOMO - IL POETA tra i giovani poeti apparsi negli anni Settanta, ha tracciato una sua strada e costruito un suo mondo Il 28 giugno 1978, aveva 36 anni 3 mesi e 25 giorni quando, forse per un colpo di sonno,

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l’auto su cui viaggiavano lui, Bruno Vilar e sua moglie Paola Borboni, rubò la vita a lui e rese invalida la donna che gli aveva ispirato i più bei versi d’amore:

«Nei tuoi occhi - come allora -

biancheggia la luna ma non sono più gli stessi

Quante notti sotto questo cielo infinito

ho stretto la tua anima selvaggia»

Si erano incontrati «per l’infinito spazio del cuore», lei sola con i personaggi che l’hanno resa celebre, lui, un Uomo complesso, difficile, introverso, oscuro, inafferrabile; ma capace di caricare i suoi versi di una forza intensa, «a volte, angosciosamente sofferta», in cui i rapporti si mitizzano come espressioni bibliche. I rapporti con l’amore, con le persone care, si caricano di suggestioni religiose in cui la pregnanza poetica si eleva a vera preghiera, mentre dalla musica dei versi si leva il grido angoscioso di un Uomo che chiede solo amore, che vuole donare amore. Durante questo processo interiore, il cui discorso viene rigorosamente mantenuto sotto il controllo stilistico e la coscienza si apriva alla realtà, incontrò la donna che lo avrebbe capito, compreso, amato come Lui voleva essere amato; come Lui intendeva l’amore: nuovo e vero ogni giorno «per non morire inutilmente». Un amore che è diventato eterno, nel ricordo di Lui in lei, «finché essa stessa vivrà» e negli altri, attraverso la Sua Poesia.

Le radio libere di tutta Italia, da Milano alla Sicilia, se lo contendevano, e Lui era felice di correre, di essere lì, davanti al microfono, non per “gigionismo» ma per altruismo, puro altruismo. Noi lo ricordiamo a Radio Anna, dai cui microfoni, oltre alle sue poesie, donava tutto se stesso; aveva una parola d’amore per tutti, una parola di sollievo per tutti i sofferenti, una parola di amicizia per tutte le persone sole. Il suo dettato di Amore Evangelico non finiva quando lasciava i microfoni ma continuava anche da casa. Era sempre disponibile, in ogni ora del giorno. Negli ultimi tempi della Sua vita terrena, aveva preso l’abitudine di incontrare i suoi ascoltatori (era il momento del boom delle radio libere), almeno due volte al mese, organizzando simposi durante i quali si facevano conoscenze, e persone sole, per merito Suo, non lo erano più. La parte più bella di quest’Uomo, era proprio chiusa in questo Suo atteggiamento. La Sua eredità continua tuttora, ma nessuno ha il coraggio di ammetterlo. Nessuno dei conduttori che oggi siede davanti ad un microfono ha la Sua umanità, anche se si «picca» di scrivere versi (che poi risultano essere stati scopiazzati - meglio dire rubati - a questo o quel poeta celebre).

Il Poeta «Era tempo di guerra il 3 marzo 1942 allora nascevo a Gravellona Toce in provincia di Novara…»

La pregnanza poetica dei versi di Bruno Vilar, anche se ricorda quella religiosità mediterranea delle poesie di Alvaro è molto più vicina nella forma - versi smozzati, tagliati e pungenti - a Federico Garcia Lorca con il quale si sente una unione spirituale, non solo, ma anche la comunione della esaltazione panica: la paura della morte. La vena poetica che sgorga dai versi è permeata di dolore, di gioia, tormento; è autentica

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poesia perchè si avvertono tutte le ansie comprese le gioie della giovinezza. Vi è la policromia delle sensazioni trasfigurate in forma poetica, non scevra di squisita sensibilità. Dice Carlo Terron: «E’ un Uomo del nostro tempo che - non assume atteggiamenti da intellettuale ribelle - vive credendo in una futura migliore società». Fonte dell’ispirazione è l’amore; quell’amore che Lui sentiva urgergli dentro, con tutta la forza accumulata dall’esperienza. Una esperienza carica di umanità, e perché era autodidatta e per l’attività di attore e per quella di conduttore di colloqui con gli uomini, attraverso i microfoni.

La voce poetica di Bruno Vilar è voce autentica perché è, prima di ogni altra cosa, voce intima che diviene canto aperto, a pieni polmoni, in quanto diventa poesia. Ha detto Montale di lui che: «ha sensibilità e predisposizione alla poesia e che deve, però anche maturare». Molti poeti, oggi, cercano di imbrogliare le carte a furia di morfemi e stilemi per rendersi molto importanti. Vilar, invece, è chiaro e stringato, il suo stile è dinamico e nervoso, ecco perché, abbiamo detto che avverte molto la vicinanza di Garcia Lorca.

Ma a differenza di Lorca, lui risolve le sue composizioni, per lo più, in pochi versi, e dice benissimo ciò che vuole trasmetterci.

La sua prima opera Solo nella sera veniva presentata al pubblico con un brano tratto da Questo è il prologo di Garcia Lorca.

Ha detto di Lui, Davide Lojola: “…è Poeta che ha il cuore pieno di sentimenti e di aspirazioni, li scrive in poesia come se gli bruciassero sulle labbra” e Vittorio G. Rossi: «se la poesia non arriva ai bambini, non è poesia. Ho letto con molto piacere i suoi versi giovani e lisci, senza giochi di parole come s’usa fare adesso». Mentre il francese Jean Pierre Jouvet, scriveva compiaciuto: «L’Estate brucia la malinconia (la seconda opera di Bruno Vilar) è una lirica che non concede nulla al compiacimento: severa, talvolta persino spietata, al di là della sua raffinata seduzione».

Queste poche righe di critica nei confronti della poesia di Bruno Vilar ci dicono che essa è veramente - come afferma Giuseppe Piccoli - «alla portata delle piazze, delle strade, dei negozi. E’ poesia che tocca i problemi umani senza retorica, senza polemica, egli scrive le sue poesie come epistole senza destinatario, cronaca del rendiconto, informazione di emozioni e di ispirazioni, sorvegliato documento della vita dei miseri, dei solitari; pieno di quel riguardo e di quella pietà per la vita».

Emozionati non possiamo che dire: «Grazie Bruno, di essere stato, di averci lasciato un tesoro tanto immenso».

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A BRUNO VILAR il Poeta della Notte

il mio ricordo

…amichi, e si rise. Ne hai scaldato il profondo col tuo sorriso velato,

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e seppur breve fu il tempo due gocce d’azzurro vivono ancora.

Rina Accardo

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La notte n. 11 – Margherita Rimi - Antonello Venditti

Gennaio 18, 2008

Notte prima degli esami

Io mi ricordo, quattro ragazzi con la chitarra e un pianoforte sulla spalla. Come pini di Roma, la vita non li spezza, questa notte è ancora nostra. Come fanno le segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati? Le bombe delle sei non fanno male, è solo il giorno che muore, è solo il giorno che muore. Gli esami sono vicini, e tu sei troppo lontana dalla mia stanza. Tuo padre sembra Dante e tuo fratello Ariosto, stasera al solito posto, la luna sembra strana sarà che non ti vedo da una settimana. Maturità ti avessi preso prima, le mie mani sul tuo seno, è fitto il tuo mistero. Il tuo peccato è originale come i tuoi calzoni americani, non fermare ti prego le mie mani sulle tue cosce tese chiuse come le chiese, quando ti vuoi confessare. Notte prima degli esami, notte di polizia certo qualcuno te lo sei portato via. Notte di mamma e di papà col biberon in mano, notte di nonno alla finestra, ma questa notte è ancora nostra. Notte di giovani attori, di pizze fredde e di calzoni, notte di sogni, di coppe e di campioni. Notte di lacrime e preghiere, la matematica non sarà mai il mio mestiere. E gli aerei volano in alto tra New York e Mosca, ma questa notte è ancora nostra, Claudia non tremare non ti posso far male, se l’amore è amore. Si accendono le luci qui sul palco ma quanti amici intorno, mi viene voglia di cantare. Forse cambiati, certo un po’ diversi ma con la voglia ancora di cambiare, se l’amore è amore, se l’amore è amore, se l’amore è amore, se l’amore è amore, se l’amore è amore.

(Antonello Venditti)

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La notte n. 12 - Sandra Palombo

Gennaio 20, 2008

Il quadrato che racchiude - Enrico Sirello - 2007

Notti nuove

Novello nunzio, non negarmi nessun nettare, non neghiamoci nella nebbia notturna, nove nenie ninneranno nuvole nevose nei nidi, narcisi nasceranno, ninfe, nespole nutriranno nitide note narreranno noi, neonati, nante nostre nudità.

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Nostalgia

Nessuna notizia, nessuna novella, neanche negativa.

Niente. Nulla.

Nella notte nasce nostalgia.

da “Tautogrammi d’amore e d’amarore”,Genova, Liberodiscrivere, 2005

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La notte n. 13 - José Grilli

Gennaio 21, 2008

C’è un sobborgo sommerso in fondo alla via nell’incedere cauto pare sia meta Nel parlare continuo rami spogli si mostrano. La primavera è assente. Taci tumulto di frequenze reclama la notte il suo silenzio.

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La notte n. 14 - Annamaria Ferramosca

Gennaio 22, 2008

Notte taranta

Anche se quell’aia è lontana e l’eco dei tamburelli si perde resta un’essenza ritmica di grano l’impronta danzante di una mano Anche se tutto il male di stelle che doveva piovere è piovuto la notte regala ancora lumi fuochi fatui di timpani che ondeggiano ancora note sul ciglio della morte fiati sul collo della serpe passi che sollevano ondate sospingono il buio nella rete

Si sale inconsapevoli su fili tesi tra terra e luna già l’eco fossile canta allo spazio la rivincita sul ragno il pane ha battuto il ferro il sangue rientrato in vena

In alto il nostro suono indelebile oscilla quantica l’offerta di una mano

da CURVE DI LIVELLO, Annamaria Ferramosca, collana Elleffe, Marsilio, 2006.

L’illustrazione “Notte_Taranta_Rosa” e di Roberto Matarazzo.

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Superba è la notte (omaggio di Alivento ad Alda Merini): la notte n. 15

Gennaio 24, 2008

La cosa più superba è la notte quando cadono gli ultimi spaventi e l’anima si getta all’avventura. Lui tace nel tuo grembo come riassorbito dal sangue che finalmente si colora di Dio e tu preghi che taccia per sempre per non sentirlo come un rigoglio fisso fin dentro le pareti.

ليللا و� ربكتم ينيرم ادل� ةيلاطيإلا ةرعاشلل بيرغ ءامسأ ةمجرت

فوخ رخ� رثدني امدنع ةرماغملا ثيح ا�سفنب حورلا يقلت و اربكت رثكألا ءيشلا ليللا حبصي كفوج يف تكسي و� �صتما مدلا نأك و �للا نولب لبرستي دبألا ىلإ تمصي نأ نيعدت تنأ و خافتنا �نأك و �ب نيرعشت ال ىتح تباث ناردجلا قامعأ ىلإ ىتح لصي

da “Superba è la notte ” di Alda Merini

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S’indovina a sera (la notte n. 16) - di Silvia Molesini

Gennaio 25, 2008

S’indovina a sera

strale frizzante

lì tutto si spegne

lì tutto si perde

per questo resta sveglia

e attizza le sillabe

da dieci voci dieci

al sangue, al sangue.

Non l’ho vista più

diventarmi leggera

solo verso sera

se tutto si spegne

sembra vedersi meglio

magra d’incontri

e per poca carne

confondere sé e luce

dirottata dal tramonto

ridivenire arida

molte volte più povera

e potente del sonno.

E più grave del sonno.

E più stanca del sonno.

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La notte n° 17 – Blumy – Van Gogh

Gennaio 26, 2008

La notte stellata di Van Gogh e tanti altri suoi quadri a scorrere, e la bella voce di Don McLean* in sottofondo.

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La notte n. 18 - di Simone Lago

Gennaio 27, 2008

Tenera la notte e in equilibrio quando piove e ogni punto sulla mappa sembra il centro dello stare, nell’assenza di traiettorie luminose ed ombre, percepire l’acqua addosso che ci staglia in mille piccole esplosioni contro il corpo nel suo precipitare che fiorisce in un diagramma. Il nero della notte, la sua ristretta gamma noi due ridotti ad un presagio: la tua voce senza fonte, lo sfumare della guancia sullo sfondo, come fossi stata immersa, come stesse piano piano il tuo volto, i tuoi capelli inghiottendoseli il mare;

allora fu un prodigio percepire la presenza della mano -o forse come credo la propaggine dell’alba che avevi un tempo conosciuto e confidavi sarebbe un tempo ritornata. E quindi qualcosa d’altro da me è servito, una fiducia sostanziale -il bastarsi da sé è una menzogna senza alcuna attinenza col reale- per far scivolare questo nero senza strade, senza porti in un reticolo di stringhe illuminate dallo sguardo, il tuo, quando annodo le dita ai tuoi capelli e poi li sciolgo, quando chiudi gli occhi, senti il male e già prevedi il prossimo punto del mio precipitare.

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Ricordo di una notte - La notte n. 19 di Nicola Pecoraro

Gennaio 28, 2008

Quanno spónta la luna a Marechiaro, pure li pisce nce fanno a ll’ammore… Se revòtano ll’onne de lu mare: pe’ la priézza cágnano culore… Quanno sponta la luna a Marechiaro.

A Marechiaro ce sta na fenesta: la passiona mia ce tuzzuléa… Nu garofano addora ‘int’a na testa, passa ll’acqua pe’ sotto e murmuléa…

A Marechiaro ce sta na fenesta….

Quella notte di primissima estate, cielo stellato, luna piena, in una piazza assonnata e deserta quattro amici discutono distrattamente di massimi sistemi e sul sesso degli angeli discussioni leggere dopo il loro impegno politico per cambiare il mondo. Improvvisa echeggia la voce di Vincenzo Occorre qualche minuto di carburazione poi le sue parole escono di botto per non perdere la sequenza Ragazzi vogliamo spostarci a Marechiaro Andiamo a vedere la famosa finestrella E ad ascoltare il mare che in silenzio fa … sciaf…..sciaf…..sciaf…. sciaf….. sciaf Un’occhiata complice e saltiamo sulla Dyane verde di Francesco che, come sempre,

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ha poca benzina. Le nostre tasche vuote riescono a metter fuori giusto qualche spicciolo, il necessario per buscarci un’occhiata disgustata dal benzinaio di turno quella sera. Ci arrischiamo e partiamo. Canzoni a squarciagola, stonate, urlate e l’intensità del nostro stare bene insieme Nemmeno ci accorgemmo della strada percorsa Eravamo arrivati a Marechiaro, una leggera salitina e La finestrella sarebbe apparsa di fronte a noi. Decidemmo di arrivarci a piedi concedendo alla Dyane un meritato riposo. La luna illuminava i nostri passi cadenzati Tranne quelli di Vincenzo che rincorso da un cane arrivò sotto la finestrella in un baleno! Lo raggiungemmo e ci sedemmo su un muretto Ad ascoltare il suono dolce delle onde del mare Interrotto dalle nostre voci chiassose e festose. sciaf…..sciaf…..sciaf…. sciaf….. sciaf…..sciaf Il viso di Sergio con un sorrisino di circostanza lasciò il posto a parole sarcastiche ………. Vincè …. e adesso………. Lascialo stare replicò Giorgio osservando la faccia estasiata di Vincenzo….. non riesce nemmeno a parlare tanta è l’emozione che gli da quel garofano che addora ‘int’a la testa. Quale emozione ……. con quella faccia da corno … E giù continuando con lazzi e storie tra quattro amici che dividevano tutto tranne il sonno ….. perché si dormiva poco! Drrrrrrrr……. Drrrrrrrrr…… Drrrrrrrrrrrr …………. Drrrrrrrrrr La voce di Francesco ci portò alla realtà : ragà non c’è benzina! Ancora una volta la Dyane aveva colpito, senza la spia del rosso! O la spingiamo oppure ci godiamo questa bella notte al chiaro di luna. Sotto la luna piena e quell’acqua che sotto murmuléa… Si continuò a discutere di massimi sistemi e sul sesso degli angeli soprattutto con tanta voglia di cambiare il mondo. L’alba ci sorprese …. eravamo quattro amici pieni di ideali Siamo rimasti quattro amici pieni di ideali ……… Ideali rimasti là ……. sospesi in quella notte calda e serena ….. Con la luna piena ……… E ll’acqua che passa pe’ sotto e murmuléa… sciaf…..sciaf…..sciaf…. sciaf….. sciaf…..sciaf

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Caronte-la-notte (quasi un poemetto) - La notte n. 20 di Teresa Ferri

Gennaio 30, 2008

Caronte-la-notte

(Caronte-la-notte traghetta i ricordi sulle acque di piombo del lago che gonfia le onde man mano poi tace)

I metafisica della distanza sul filo dei sensi

Distanze siderali tra me e te (auscultata presenza di un battito d’ala) e il punto di domanda stenta a esclamare meraviglia (odora di timo e di lavanda il tuo fiato di neve sul cuscino). Forse a notte ti leggerò stella agghiacciata da tremiti d’improbabile riflessa su vetro o cometa d’un sogno che ha labbra fanciulle per crescere vero

- senza voce il tuo farti vicino a piccoli passi in bemolle su tappeti d’ore arse dall’afa -.

C’è solo vuoto, né un ponte a lanciarci tra palme odorose di zenzero e sole e la pelle s’ustiona se tu…

II voce di memoria, fuori campo ad accendere

Era la notte, la notte dei fuochi e gigli nel cielo

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sfogliavano angeli senza volto né nome.

E poi trombe a squillare di luce.

E paradisi danteschi.

E il prato bianco di meraviglia tastiera vorace di passi quasi in volo

e nostalgie tattili nell’aria sfrondava il mandorlo in petali d’ombre

e larve sfilacciate i pensieri sul prato

e fiato di sogni dalle acque del lago in crespe di sorrisi

le tue parole

sapevano di gelsi mori sulle mie labbra aperte a catturare sfolgorio di miti

notturne rapsodie dalle tue mani leggere

in fame di me.

III a morsi, irricordati istanti parlati al plurale

Fosforescenze d’occhi felini piovono le nostre parole nella notte una dietro l’altra con la lentezza molle dell’abbandono e sul cuscino capovolte primavere a irridere le rughe che ci raccontiamo noi, inesauribili filologi di noi stessi e delle speranze incartapecorite che ancora stringiamo strette

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nei pugni chiusi alti levati al Cielo, in un bestemmiar d’amore lungo quanto la vita quanto il sognare insieme d’inferni e d’indulgenze estreme.

IV per voce sola, a denti stretti

È pesante la notte, questa notte che mi piove pesante il suo bagnato sulle spalle e non ho panni a coprirle ma brina acre di porcospini in fuga sotto terra da dove maniradici sbucano ricordi.

Notte che non conosce lune né ermellini ma solo buio di occhi slavati dalla mente che testa e contesta astrologie chiromanzie carte del cielo da scettici maneggi sfigurate e da letture senza occhiali. Ali. Ali a smisurare spazi.

Notte che ride specchiata nel cammeo e sfrontatamente si pettina le chiome lungo le strade scapigliate e grida e clacson di ubriaca gente che tra gli astri affoga bestemmie giorno per giorno senza.

Più leggera la notte questa notte che mi goccia bianca di sogni sul guanciale e non ha ombrello a riparare il cuore dai cristalli ma solo calco impenetrabile di gesso (sgranato forse il tuo domani negli occhi cupi del rosario).

Forse un gelo di astri con cura maniacale seminato su calvizie di memorie sorseggiate tra bolle di Cartize o col Cinzano. Silenzio stride acuto sui cardini della mente

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trigonometrie imperfette a lacerare a lembi - bui - il tuo silenzio.

Quello Quello che sfolgora impavido di tutti i colori del dire.

V Cantato propiziatorio

Voce che annotti di nebbie tra rovi di stelle e bestemmie covate tra piume e cristalli, t’increspi di onde smeraldo ti vesti di tulle e d’organza ad affiochire il tuo buio popolato di eriche e gufi che d’eco in eco ti lacerano fino a stridere i cardini dove più secca la gola strozza in parola tua muta e sparisce ogni tono ogni accento scandito sul filo di un “forse” accaduto su labbra che sanno di sandalo e alghe a ricoprire l’amaro di un ridere insulso la vita e i suoi “Basta!”.

Tu cicatrici nascondi tra rughe, tra schegge di un dire in ottave lo strazio di primavere arrochite dall’uso che lasciano orme sbiadite di soli, a straziare l’urlo nero murato di poveri amanti tra pareti che grondano malta dove l’occhio non smette di piangere sempreverde il suo lutto di aceri rossi nell’ombra spiovente da tetti e grondaie.

(Catatonia languida di maschere smesse, dolcezza d’aneto e di miele il silenzio che non mente sfinito i suoi oracoli spenti foglia per foglia di Pizia

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la pena di essersi morti e mancare)

E tu, voce, luna per luna assopita in notturni di cera, esangue ti manchi sfinita e poi cadi come bruma di autunni aranciati o come neve tu cadi e sprofondi in tonfi sempre più lievi laggiù nel tuo oltre, dove nessuno ti ascolta altrove presenza, laggiù dove tra acque e tra cigni ritorni senza scorie d’inganni.

VI A ritroso di luce

Scoppia negli occhi la notte luminosa di efelidi e promesse mancate.

Cielo brullo d’amianto s’apre su sogni impastati d’afa e in calligrammi nebbiosi colano gli anni e non fanno rumore.

Un odore di marcio e di stelle s’insinua subdolo a colorare le pietre.

Gocce di piombo (pianto d’angeli in forse?) su quadrato d’asfalto e su anima reclina a sopportare il peso di ormefossili d’inganni.

Consumati sul filo di albe baciate da impudiche orme di ieri.

Chiuso nella stia d’oro barocco battito nero d’ali al passo con il cuore balbetta ansima soffoca impietrito

stare restare resistere vorace imperativo, la vita.

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Nomade - La notte n. 21 di Daniela Raimondi

Febbraio 3, 2008

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Il gelso nudo contro il cielo segna il profilo di un inverno che non ha porti, o foci.

Dentro le case si agitano i sogni dei bambini. Il latte è fermo nel bicchiere, l’inchiostro rovesciato sul quaderno.

Lei sola, così inutilmente bella. Cammina nella notte, accende fuochi grandi sulla neve. Domani verranno a chiederle dov’era chi ha amato, quale segreto stringesse nelle mani. Verranno a chiederle cosa cercasse con quello sguardo strano, con la sua bocca muta. Risponderà che stava nell’anima più segreta delle cose: nel guscio di una ghianda, nel coraggio dei lupi. Dirà che non è mai uscita, che è sempre stata nel sogno dei suoi figli, nel fascio di luce che ancora le brilla sulla gola.

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Tutto riprenderà nel canto malinconico dei galli, sotto gli occhi di un dio mai fatto uomo appeso alla parete. Ma ora il mondo tace sulle finestre bianche. Il gelo rode i muri di cotone, i rami vivi contro l’inferriata.

Nemmeno un rumore stanotte. Nemmeno una voce.

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Non canto alla luna. La notte n.22 di Sara Ferraglia

Febbraio 7, 2008

Stanotte una luna sfacciata e beffarda Si sporge dal cielo per farsi ammirare Si fa più vicina all’umano dolore Lo sfiora, sorride ma non la riguarda Le piace esser musa e far sospirare Chi alza lo sguardo al suo freddo chiarore.

O luna stregata tu no, non m’inganni Non canto nel coro d’amanti e poeti Tu pallida luna, tu luna d’argento Tu, diva adorata nel corso degli anni Tu, scrigno prezioso per mille segreti O luna, sei sola nel gran firmamento.

Non levo lo sguardo, lo vedi? T’ignoro Non cedo ad effimeri slanci del cuore Accelero il passo, proseguo il cammino Ho altro da fare, pensieri e lavoro Frammenti affannosi di un giorno che muore Ritagli di tempo aspettando il mattino.

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Amore furtivo - La notte n. 23 di Francesco De Girolamo

Febbraio 10, 2008

Amore furtivo, svanisci tra le ombre di questa notte di vetro e velluto, dai colori sprezzanti dell’iride, dove l’onore smascherato combatte timore e ritegno e senza pompa strappa i lisi veli dell’ingloriosa vanità del giorno.

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La notte n.24, di Alessandra Pigliaru

Febbraio 12, 2008

Un ponte sospeso sull’angolo della notte. Si ripete quattro volte quella del sognatore di Dostoevskij. E sussurra di una luce crepuscolare che teme il mattino. Certo perché le notti bianche a Pietroburgo, nello scenario onirico di Visconti, hanno tutto il sapore della rifrazione dello spirito. Gettato nel baratro dell’edulcorato futuro, il sognatore fissa la sua fine. La fine del sogno che si sparge lenta all’interno di sé come a fagocitare la dimensione temporale dell’esitazione. Esile respiro che passa dagli occhi e che pervade l’agire di ognuno. In un istante. Eppure lui sa vedere, nel sogno lucido della dea fantasia. E ode tutto. Anche Nasten’ka, di spalle che, scucita la spilla, osserva porte chiuse. ***** Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! E’ forse poco per colmare tutta la vita di un uomo

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La notte n. 25 di Salvo Pizzo

Febbraio 13, 2008

Com’è difficile che l’acqua si unisca all’olio, l’inverno alla primavera e il giorno alla notte. Si, è difficile, direi impossibile, eppure forse vorrebbero che ciò avvenisse; lo vuole l’olio, che vorrebbe unirsi all’acqua per essere fresco, trasparente, limpido, e non capisce perchè non può, in fondo basta cosi poco c’è una sottile barriera tra di loro, un’affinità, un’attrazione, sono liquidi, seguono gi stessi percorsi, camminano insieme si tengono per mano ma qualcosa ne impedisce l’unione. Sì, certo, i grassi, i lipidi. Sappiamo tutto scientificamente, ma l’emozione allora non conta? Lo stare vicini non è un legame? Camminare insieme sentire il battito del cuore, riconoscere il passo, la voce , il calore, il profumo. E l’inverno? Che tristezza, aspettare la primavera. Non poterla vedere, dovere andare via, magari immaginando i suoi capelli con i riflessi rossi, gli occhi colore del mare, i suoi vestiti colorati, le sue sciarpe, le sue calze. La primavera è il colore, la vita, l’amore, e lui deve andare via per legge divina, per ordine superiore, perché è giusto cosi, perché altrimenti cosa succederebbe agli uomini? Stupiti DALL’AMORE tra l’inverno e la primavera, un caos, un cataclisma, un’apocalisse. Meglio di no caro inverno, resta un attimo ancora, ma poi vai via.

E il giorno? Cosa dire del giorno, che resiste fino al tramonto, fino all’ultimo barlume di luce per vedere le stelle, scoprirne la lucentezza, la profondità della notte, la bellezza del buio, dove ognuno rivive la propria storia rivive i momenti più belli. Cosa darebbe il giorno per scoprire la notte, ma niente può dare per avere la notte, né la luce, né i ritmi frenetici della città, i rumori, la vita, la gente, alla notte non basta questo, semplicemente non vuole il giorno, niente potrà mai farle cambiare idea. Le basta una poesia letta a lume di candela, la luna piena, un riflesso sull’acqua ed è felice, non cerca altro o forse ciò che cerca non è nel giorno.

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Hanno raccontato la notte:

Antonella Pizzo e Salvatore Adamo – pag. 2

Viola Amorelli – pag. 4

Maria Gisella Catuogno – pag. 5

Sandra Palombo e le Gemelle Kessler pag. 8

Lucetta Frisa – pag. 10

Villa Dominica Balbinot – pag. 11

Teresa Ferri – pag. 13

Guido Tedoldi – pag. 15

Vincenzo Celli e Paola Pluchino - pag. 16

Rina Accardo e Bruno Vilar – pag. 18

Margherita Rimi e Antonello Venditti – pag. 22

Sandra Palombo – pag. 23

Josè Grilli – pag. 25

Annamaria Ferramosca e Roberto Matarazzo – pag. 26

Alivento e Asma Gherib e Alda Merini – pag. 27

Silvia Molesini – pag. 28

Blumy e Van Gogh e Don McLean – pag. 29

Simone Lago – pag. 30

Nicola Pecoraio – pag. 31

Teresa Ferri – pag. 33

Daniela Raimondi – pag. 38

Sara Ferraglia – pag. 40

Francesco De Girolamo – pag. 41

Alessandra Pigliaru – pag. 42

Salvo Pizzo – pag. 43