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Il 10 novembre 2015, a Firenze, papa Francesco ha lanciato alla Chiesa caolica italiana, radunata in Convegno, la sfida per una “riforma missionaria”, invitandola ad essere inquieta, non ossessionata dal potere, vicina al popolo, dalla parte dei poveri e del dialogo: “Mi piace una Chiesa inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfei. Desidero una Chiesa lieta, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. Altrimenti, ha insistito Bergoglio, “non andiamo da nessuna parte”. E per spiegare meglio la sua “riforma”, Francesco ha citato la semplicità di don Camillo “che fa coppia con Peppone”, “un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soe e sa ridere con loro”. Per ripensare missionariamente la vita della Chiesa in Italia, il dossier parte da Paolo VI e dalla sua esortazione post-sinodale Evangelii nuntiandi (1975) – che assume con lucidità e maturità i grandi cambiamenti dell’epoca, in fedeltà al Concilio – e ritorna a Francesco e alla sua esortazione, con valore programmatico, Evangelii gaudium (2013), riproposta alla Chiesa italiana come orizzonte per la sua riforma missionaria. Lo strumento per aivare tale riforma non è una griglia di verità o valori da applicare, ma una nuova visione di Chiesa e di vita insieme, che non ha paura e innova con libertà. Conclude il dossier la presentazione del Progeo pastorale missionario della Chiesa di Brescia. A CURA DI MARIO MENIN Chiesa italiana? D OSSIER Inquieta e missionaria col volto di madre

Inquieta e missionaria col volto di madre · potere, vicina al popolo, dalla parte dei poveri e del dialogo: “Mi piace una Chiesa inquieta, ... mente già segnate. Si trattò perciò

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Page 1: Inquieta e missionaria col volto di madre · potere, vicina al popolo, dalla parte dei poveri e del dialogo: “Mi piace una Chiesa inquieta, ... mente già segnate. Si trattò perciò

Il 10 novembre 2015, a Firenze, papa Francesco ha lanciato alla Chiesa cattolica italiana, radunata inConvegno, la sfida per una “riforma missionaria”, invitandola ad essere inquieta, non ossessionata dalpotere, vicina al popolo, dalla parte dei poveri e del dialogo: “Mi piace una Chiesa inquieta, sempre piùvicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta, che comprende,accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”.Altrimenti, ha insistito Bergoglio, “non andiamo da nessuna parte”. E per spiegare meglio la sua“riforma”, Francesco ha citato la semplicità di don Camillo “che fa coppia con Peppone”, “un poveroprete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, chesoffre e sa ridere con loro”. Per ripensare missionariamente la vita della Chiesa in Italia, il dossier parteda Paolo VI e dalla sua esortazione post-sinodale Evangelii nuntiandi (1975) – che assume con lucidità ematurità i grandi cambiamenti dell’epoca, in fedeltà al Concilio – e ritorna a Francesco e alla suaesortazione, con valore programmatico, Evangelii gaudium (2013), riproposta alla Chiesa italiana comeorizzonte per la sua riforma missionaria. Lo strumento per attivare tale riforma non è una griglia di veritào valori da applicare, ma una nuova visione di Chiesa e di vita insieme, che non ha paura e innova conlibertà. Conclude il dossier la presentazione del Progetto pastorale missionario della Chiesa di Brescia.

A C U R A D I M A R I O M E N I N

Chiesa italiana?

D O S S I E R

Inquieta e missionaria col volto di madre

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I L T R A M O N T O D E L L A “ C R I S T I A N I TÀ ”

Il magistero di Paolo VI e dello stesso Vaticano II si eracollocato, fino a tutti gli anni ’60, all’interno di un pa-radigma di “cristianità”, cioè di civiltà cristiana da edi-

ficare: lo sforzo principale stava, dunque, nel costruire,propiziare, accelerare il passaggio dalle vecchie forme,ancora forti e radicate, di una cristianità ottocentesca, in-transigente, polemica e in battaglia contro il mondo, anuove, rinnovate e innovative forme di cristianità mo-derna, cioè di civiltà cristiana moderna, serena e umile,in simpatetico dialogo col mondo. Agiva l’influenza diJacques Maritain e del suo ideale storico concreto di unanuova cristianità, anche se sarebbe veramente riduttivoe, infine, fuorviante schiacciare il magistero conciliare ela stessa lezione montiniana unicamente sul maritaini-smo.

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Ma, insomma, portando a valore di indicazione pastoraleuniversale il progressivo rigoglio teologico dei decenniprecedenti, papa Montini aveva fiducia di poter giungerealmeno a profilare sul piano ideale le linee di fondo diuna civiltà cristiana moderna, aggiornando e sviluppandoil magistero sociale della Chiesa: a partire dalle indicazio-ni conciliari, soprattutto (ma non solo) della Gaudium etspes, per giungere, nel 1967, all’enciclica Populorum pro-gressio. Si doveva trattare di una civiltà democratica econ un’alta giustizia sociale: a questo fine dovevano la-vorare le organizzazioni cattoliche di massa come l’Azio-ne Cattolica e le associazioni di apostolato specializzatoad essa collegate o i movimenti sociali cattolici, come,per limitarci all’Italia, le Acli o perfino il partito della De-mocrazia Cristiana, visto come il partito dell’unità politica– democratica e sociale – dei cattolici.Ma, alla fine degli anni ’60, questo paradigma di “civiltàcristiana moderna” entrò in crisi. Fu probabilmente la for-te ondata di decolonizzazione – si pensi all’Africa – checominciò ad avviare un ripensamento profondo. I mis-sionari avevano portato nel mondo oltre al Vangelo an-che la “civiltà europea”: quest’opera di civilizzazione tal-volta era stata di appoggio al colonialismo europeo. Mabastava ora dire: non portiamo più la civiltà europea,portiamo una civiltà cristiana moderna? No, non bastava

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Ritornoall’Evangelii Nuntiandi

L’Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975) è stato l’ultimo, ampiodocumento magisteriale di Paolo VI, con un’importanza storicanotevolissima sia come segno e indicazione di cambiamentopastorale profondo sia per il vasto impatto universale che ebbe.

Fulvio De Giorgi è professore ordinario di Storiadell’educazione all’Università di Modena e Reggio Emilia,direttore del Centro di Studi e Ricerche “Antonio Rosmini”.Tra le sue pubblicazioni più recenti: Il brutto anatroccolo. Il laicato cattolico italiano (Paoline 2009); Mons. Montini (Il Mulino 2012); Paolo VI Il papa del Moderno(Morcelliana 2015).

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più. Quell’idea di civiltà cristiana moderna era comunqueun’idea europea. E del resto, in fin dei conti, era propriocompito del cristianesimo fondare civiltà? O piuttostol’annuncio cristiano doveva salvare, cioè liberare evan-gelicamente e in prospettiva ultra-terrena, le civiltà uma-ne? Ecco allora cominciare a farsi strada l’idea di unapriorità dell’inculturazione del Vangelo: anche se il ter-mine non era ancora usato e spesso si ricorreva ancoraal vecchio termine di “adattamento”. Inizialmente le dueprospettive procedettero fianco a fianco: civiltà cristianamoderna e inculturazione evangelica liberatrice. Ma poi,progressivamente, emerse l’incompatibilità, nel profon-do, delle due prospettive: con il lento declino della cri-stianità e la graduale coscienza di essere fuori dal tradi-zionale orizzonte di cristianità, cioè di civiltà cristiana.

I L FA L L I M E N T O D E L L A “ N U O VA C R I S T I A N I TÀ ”

Per secoli i cristiani europei erano vissuti in una civiltàsecolare che era complanare, per così dire, alla comunitàecclesiastica: tutti erano battezzati alla nascita, si sposa-vano in chiesa, seguivano i precetti generali della Chiesa(e forse meno le opere di misericordia), quando moriva-no erano tutti sepolti – con un funerale religioso – nelcamposanto. I peccati erano anche reati. E perfino dopo

l’avvio dei processi di laicizzazione, quando non c’era piùil “braccio secolare”, tuttavia i cristiani costituivano pursempre la gran maggioranza della popolazione e riti cri-stiani, feste cristiane, tempi e luoghi cristiani caratteriz-zavano la vita civile. Ma dalla fine degli anni ’60, e nonsolo in campo cattolico, ci si cominciò a rendere contoche non era più così: il cristianesimo tendeva a diventareminoranza ed era, per così dire, sfidato da due diversi in-terlocutori: l’ateismo, da una parte, e le altre religioni,dall’altra. Si pensi all’assemblea dell’Onu e alla forte pre-senza, in essa, non solo di posizioni ideali di marxismoateo o di irreligiosità lai-co-massonica, ma anche– dopo la decolonizza-zione – di molti Stati conpreminenza di religioninon cristiane.Ecco allora che conti-nuare sulla linea pasto-rale della “nuova cristia-nità” o della “civiltà cristiana moderna” poteva portare aforme ormai anacronistiche e preparare, così, un grandefallimento pastorale. Nei primi anni ’70 Paolo VI si avvide– anche con amara sorpresa e con qualche angoscia –che la cristianità stava tramontando e che c’era bisognodi un nuovo paradigma pastorale adeguato a raccogliereevangelicamente la sfida dei tempi nuovi.Si parla talvolta, in riferimento a questi anni, di un PaoloVI mesto e triste o anche incerto e indeciso, deluso o di-silluso della riforma conciliare, incline a ripiegamenti in-

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I CRISTIANICOSTITUIVANO PURSEMPRE LA GRANMAGGIORANZA DELLAPOPOLAZIONE

A sinistra: Roma, studenti di destra tentano di invadere la Facoltà di Lettere dell’Università, occupata dai militanti del movimento studentesco (marzo 1968).A destra: Roma, manifestazione a favore della legge sul divorzio (marzo 1974).

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cuna voglia, anacronistica e antistorica, di restaurazionedella cristianità. Paolo VI affermava: “Da una parte, si èobbligati a costatare nel cuore stesso di questo mondocontemporaneo il feno-meno che diviene quasila sua nota più sorpren-dente: il secolarismo. Noinon parliamo della seco-larizzazione, che è losforzo in sé giusto e legit-timo, per nulla incompa-tibile con la fede o con lareligione, di scoprire nella creazione, in ogni cosa o inogni evento dell’universo, le leggi che li reggono con unacerta autonomia, nell’intima convinzione che il Creatorevi ha posto queste leggi. Il recente Concilio ha affermato,

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timistici e a chiusure pastorali. Se così fosse stato nonavremmo avuto mai l’Evangelii nuntiandi. In realtà egliaffrontò allora, avendo superato i 70 anni d’età, una dif-ficile stagione di approfondimento e di ricerca di nuovevie, che non erano ovviamente precostituite né chiara-mente già segnate. Si trattò perciò di un travaglio vero efaticoso di ricerca. Egli avvertiva, con straordinaria luci-dità, il senso profondo dei cambiamenti in atto, così dal1974 egli cominciò ad intravedere alcuni tratti fonda-mentali del nuovo modello pastorale post-cristianità.

L’ E VA N G L I I N U N T I A N D I

L’Evangelii nuntiandi nel 1975 portò a organica formula-zione e compiuta consapevolezza questo nuovo orizzon-te pastorale dopo la fine della cristianità e senza più al-

UN NUOVO PARADIGMASPIRITUALE EPASTORALE

Nel discorso all’udienza generale del 3 luglio1974 Paolo VI affermò: “Uno dei temi

ricorrenti del pensiero cristiano nel temponostro è quello del rapporto fra la Chiesa e ilmondo. Ne abbiamo parlato anche noi tantevolte. E si spiega: da un lato la Chiesa afferma edapprofondisce la coscienza di sé; dall’altro lato ilmondo, cioè la vita degli uomini, si evolve sempredi più, si trasforma e si organizza, e tende araggiungere una concezione autonoma,autosufficiente, aliena da ogni relazione religiosa,si secolarizza in senso radicale e profano. Checosa avviene? Avviene che la Chiesa non trova

più nel mondo la considerazione che le competein virtù della sua essenza e della sua missione. […]Che cosa deve fare il cristiano in tale situazione?Straniarsi? Adattarsi? […] Tocchiamo uno deiproblemi più complessi e più gravi della storiadel cristianesimo, e specialmente della vitamoderna. […] Noi ora viviamo in un climaspirituale diverso, invitati come siamo,specialmente dal recente Concilio, ad una visioneottimistica sul mondo moderno, sui suoi valori,sulle sue conquiste. Possiamo guardare conamore, con simpatia all’umanità che studia, chelavora, soffre, progredisce; anzi siamo noi stessiinvitati a favorire lo sviluppo civile del nostrotempo, come cittadini che desiderano associarsiallo sforzo comune per un migliore e più diffusobenessere di tutti. La ormai celebre CostituzioneGaudium et Spes tutta ci conforta a questo nuovo(si può dire) atteggiamento spirituale. Ma a duecondizioni, che noi, tutto ora semplificando,ricordiamo. La prima condizione è quella dimantenere una linea di demarcazione fra la vitacristiana e la vita profana. Fra lo spirituale e iltemporale non può esistere quella comunione, omeglio confusione d’interessi e di costumi, chel’antica concezione unitaria della cristianitàrendeva più facile e abituale. E quanto più ilcristiano saprà mantenersi libero e poverorispetto al regno della terra, tanto più autenticasarà la sua personale qualifica religiosa, e piùefficace anche sarà la sua azione per dare o ridarea certi aspetti della vita, naturale e sociale un lorovalore spirituale e morale. La seconda condizione

New York (Usa), papa Paolo VIallo Yankee Stadium (1965).

LA DIFFERENZA ERA PIUTTOSTONELL’AMORE CAPACEDI ACCOGLIERE OGNIPIÙ PICCOLO BENE

NOI ORA VIVIAMO IN UN CLIMA

SPIRITUALE DIVERSO,INVITATI COME SIAMO,

SPECIALMENTE DAL RECENTE

CONCILIO, AD UNAVISIONE OTTIMISTICA

SUL MONDOMODERNO, SUI SUOI

VALORI, SULLE SUECONQUISTE

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Dopo Paolo VI, in realtà, c’è stato qualche tentativo diricostruire un’ipotesi di nuova cristianità e rialzarne ibastioni, attraverso la ricerca dell’egemonia sociale del-la Chiesa e di una compattezza identitaria, declinata suivalori cosiddetti non negoziabili e blindata con un nuo-vo centralismo gerarchico, e attraverso l’ipotesi di au-toreferenziali progetti culturali. Ma i risultati sono statimodesti e, soprattutto negli ultimi decenni di ascesa edominio del neo-liberalismo nichilista, si sono risoltinell’impotenza e in un fallimento pastorale di dimen-sioni notevoli: soprattutto nell’incapacità di trasmissio-ne della fede alle nuove generazioni. Ecco dunque, daqualche anno e con il pontificato di Bergoglio, la co-scienza della necessità di tornare a Paolo VI e all’Evan-gelii nuntiandi.

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in questo senso, la legittima autonomia della cultura eparticolarmente delle scienze. Noi vediamo qui un verosecolarismo: una concezione del mondo, nella qualequesto si spiega da sé senza che ci sia bisogno di ricor-rere a Dio, divenuto in tal modo superfluo ed ingom-brante. Un simile secolarismo, per riconoscere il poteredell’uomo, finisce dunque col fare a meno di Dio ed an-che col negarlo (n. 55).Secolarismo ateo e assenza di pratica religiosa (cfr. n. 56)si trovano presso gli adulti e presso i giovani, presso l’élitee nelle masse, in tutti i settori culturali, nelle antiche co-me nelle giovani Chiese. L’azione evangelizzatrice dellaChiesa, che non può ignorare questi due mondi né arre-starsi di fronte ad essi, deve cercare costantemente imezzi e il linguaggio adeguati per proporre o riproporreloro la rivelazione di Dio e la fede in Gesù Cristo.

di questa visione ottimistica è il perfezionamentocritico del giudizio morale cristiano […], traendocioè da questa posizione dialettica da un lato lanostra fedeltà a Cristo crocifisso, e dall’altro lanostra ammirata e generosa attitudine a viverein sapiente pienezza l’ora moderna”.Ecco allora delinearsi l’esito finale del processostorico con l’approdo a un nuovo paradigmaspirituale e pastorale, oltre ogni impossibile eillusoria nostalgia di cristianità. Già in questointervento montiniano si vedevano alcuniimportanti tratti fondamentali: l’ottimismoconciliare rimaneva la scelta di fondo, senzaaccenti rancorosi, polemici, di rimprovero severo,di disprezzo dei non-cristiani. Tale ottimismoaccoglieva in pieno la secolarizzazione, ma laconiugava con l’umile e però ferma affermazionedella “differenza cristiana”. Tale “differenza” nonstava in una separazione nemica del mondo, eperciò in crociata contro di esso, brandendo laclava dei valori cristiani come ideologiaintegralisticamente autoreferenziale. Ladifferenza era piuttosto nell’amore, capace diaccogliere ogni più piccolo bene dovunque essofosse e di curare con pietà ogni male,riconoscendolo certo come tale, dunque anche ilmale del secolarismo. La differenza cristianastava pertanto nella libertà e nella povertà econiugava la necessaria dimensione orizzontale eumana con la dimensione verticale del regno diDio, della coscienza escatologica, della radicalitàcontemplatrice. (f.d.g.)

In senso orario:Firenze, don Enzo Mazzi, estromessodalla parrocchia dell'Isolotto, raduna la sua gente in piazza (1969);corteo di giovani studenti della Comunità dell'Isolotto, durante unamanifestazione di protesta (1968);coppia di neo-sposi vota per il referendum sul divorzio(maggio 1974).

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I L P E N S I E R O D I PA O L O V I

Per quanto riguarda il pensiero di Paolo VI, farò ri-ferimento alla sua prima e programmatica enci-clica Ecclesiam suam e al suo ultimo importante

documento di magistero sociale Octogesima adveniens.Per quanto concerne invece gli eventi ecclesiali che sonoil necessario e fondamentale retroterra elaborativo del-l’Evangelii nuntiandi, ricorderò i due che mi sembranodecisivi. Il primo è ovvio ed è il Sinodo del 1974 sull’evan-gelizzazione nel mondo contemporaneo: l’Evangelii nun-tiandi è in effetti un’esortazione post-sinodale. Il secon-

do, meno noto e meno ovvio, ma a mio avviso molto im-portante, è la XXXII Congregazione Generale della Com-pagnia di Gesù, che pure visse momenti di tensione conil papa, poi però superati e risolti con piena soddisfazionedi tutti.Partiamo dall’Ecclesiam suam del 1964, giustamente ri-cordata come l’enciclica del dialogo, perché ad una Chie-sa che si fa dialogo era dedicata tutta la terza ed ultimaparte, con riflessioni che incisero sui lavori del VaticanoII, facendo sì che il dialogo diventasse una categoria pri-vilegiata ed un termine-chiave del magistero conciliare.Ma prima della parte sul dialogo, l’Ecclesiam suam davadue orientamenti prioritari per l’auspicato rinnovamentodella Chiesa. Spesso sono messi in secondo piano dallastoriografia, che insiste sul dialogo, ma sono invece de-cisivi per il nostro tema, in riferimento cioè al costituirsidel contesto ecclesiale che generò l’Evangelii nuntiandi. Tali orientamenti sono “lo spirito di povertà” e “lo spiritodi carità” (cfr. Ecclesiam suam 55-58), che possiamo cosìriassumere: primato della carità e spirito di povertà. Ciòvale sia sul piano ecclesiologico, della coscienza dellaChiesa, della dottrina della Chiesa, della verità della e sul-la Chiesa; sia sul piano della vita ecclesiale in tutti i suoiaspetti e in particolare del rinnovamento ecclesiale e

F U LV I O D E G I O R G I

Per una ChiesaPOVERAsul passo dei poveri

Quali aspetti del pensiero di Paolo VIe quali eventi ecclesiali vennero acostituire – nei loro reciprocirapporti – il contesto ecclesialeravvicinato, il grembo generatoredell’Evangelii nuntiandi?

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dell’Ecclesia semper reformanda; ma anche sul piano pa-storale, che tutti li riassume in sé.Del resto a questa riflessione ad intra si univa pure unacostante attenzione ai processi sociali ad extra, cioè aisegni dei tempi, con la necessità di una intelligente con-sapevolezza dei grandi cambiamenti storici in atto: nonquelli della cronaca politica, ma quelli periodizzanti sulpiano generale, visti cioè secondo quella che La Pirachiamava “storiografia del profondo”. Ecco allora che nelsuo ultimo documento di magistero sociale, l’Octogesi-ma adveniens del 1971, Paolo VI coglieva due grandi tra-sformazioni nella vita contemporanea: i giganteschi fe-nomeni di urbanizzazione, da una parte, e la sempre piùinvasiva e pervasiva presenza della tecnologia nella quo-

tidianità dei vissuti, con ilrischio di una potente eoppressiva tecnocrazia.In tale contesto le tradi-zionali forme dell’aposto-lato di massa potevanoriuscire inefficaci, mentreper rispondere con unapproccio di cura amore-vole ai mali e alle dinami-

che negative e disumanizzanti si richiedevano nuoviorientamenti (cfr. nn. 11-12 e 47). Si trattava, dunque, dell’indicazione di rapporti umanifaccia-a-faccia, di relazioni comunitarie, di animazionepersonalistica del tessuto sociale, tendente all’anonima-to, di una giustizia sociale che rivitalizzava la democrazia

con solidarietà dal basso, attive e vissute, che potesserocostituire un argine ed un contrappeso alla tecnocrazia.

X X X I I C O N G R E G A Z I O N E G E N E R A L E D E I G E S U I T I

Della XXXII Congregazione generale della Compagnia diGesù (ai cui lavori parteciparono, tra gli altri, p. Bartolo-meo Sorge, p. Carlo Maria Martini e p. Jorge Mario Ber-goglio) è da ricordare soprattutto il decreto 4, sulla dia-conia della fede e la promozione della giustizia: un testomolto ampio e che andrebbe letto e commentato perintero, anche per la svolta che rappresentò nella vita deiGesuiti. Approvato da Paolo VI, tale decreto raccoglieva

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DUE GRANDITRASFORMAZIONI

NELLA VITACONTEMPORANEA:

URBANIZZAZIONE E TECNOLOGIA

IL SINODOSULL’EVANGELIZZAZIONEA questa elaborazione del magistero montiniano, cheprogressivamente sviluppava l’alveo storico necessario per lamaturazione dell’Evangelii nuntiandi, si aggiungevano, come ho giàdetto, due eventi significativi: il Sinodo sull’evangelizzazione nel1974 e la XXXII Congregazione generale della Compagnia di Gesù,tra la fine del 1974 e l’inizio del 1975.Il Sinodo vide un dibattito vivo ed intenso, con un veroprotagonismo delle Chiese extra-europee e dunque con lapresentazione di una ricca messe di riflessioni e di propostepastorali. Non avendo, in questa sede, la possibilità di riprendere eriassumere i lavori di quel Sinodo, ricordo solo che il compito distendere un documento sintetico conclusivo fu affidato a KarolWojtyla. Ma la sua proposta non riuscì ad essere rappresentativa, inmodo soddisfacente, di tutte le sensibilità e non fu quindiapprovata dai padri sinodali. Fu perciò affidato al papa stesso ilcompito di tirare le fila di quel fecondo Sinodo. E Paolo VI,possiamo dire, ci riuscì mirabilmente: a giudicare dall’eco positivache universalmente accolse la sua esortazione apostolica. (f.d.g.)

In alto e a pag. 28:Roma, Catacombe di santa Domitilla.A destra: III Assemblea del Sinodo "L'evangelizzazione nel mondo moderno" (1974).

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sione religiosa nel campo cattolico, è quello dell’evange-lizzazione e della promozione umana, un tema che ac-quista proporzioni d’ordine generale, quando si pensa al-la questione fondamentale che esso solleva: vi è ancoraposto per la religione cattolica, per la Chiesa, diciamosemplificando e sintetizzando, per la nostra fede nelmondo moderno, nel mondo teso verso ogni forma disviluppo umano? […]. Noi abbiamo già detto come nonesista nella ragione profonda delle cose un’opposizioneradicale fra fede e progresso: una nostra enciclica Popu-lorum progressio, tra altre affermazioni consimili lo dimo-stra: fede e progresso, abbiamo detto, sono complemen-tari, non di per sé antitetici”. L’importanza storica della Evangelii nuntiandi e la sua per-manente attualità stanno in una lucida e matura assun-zione dei grandi cambiamenti d’epoca, che giungono finoa noi e ci comprendono, e nell’aver proposto una rispostapastorale all’altezza delle sfide, in fedeltà al Concilio, conuno stile evangelico di comunità vissuta e di liberazioneumana, da Chiesa povera, sul passo dei poveri.

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e sviluppava, possiamo dire, lo spirito montiniano, ap-profondiva la riflessione sulle dinamiche di secolarizza-zione in atto, indicava la necessità della “inculturazione”,esprimeva la convinzione che “La trasformazione dellestrutture in vista della liberazione sia spirituale che ma-teriale dell’uomo è […] strettamente legata all’opera dievangelizzazione” (n. 40). Nell’impossibilità di un’analisipiù ravvicinata di questo decreto 4, mi limito a rimandarealla lettura dei seguenti passaggi: nn. 16. 18. 32. 33.

AT T UA L I TÀ D E L L’ E VA N G E L I I N U N T I A N D I

In alcuni interventi successivi all’Evangelii nuntiandi PaoloVI collegò il tema del secolarismo e della fine della cri-stianità con lo stretto legame tra annuncio del Vangeloe liberazione, che egli allora riassunse nell’efficace en-diadi “evangelizzazione e promozione umana”. Sullosfondo vi era la tematica della “Civiltà dell’Amore” cheaveva sostituito l’orizzonte tradizionale della cristianità. Nell’udienza generale del 6 ottobre 1976 papa Montiniaffermò: “Il tema, che in questi giorni invade la discus-

UNO STILEECCLESIALE NUOVOCosì, nella Evangelii nuntiandi, Paolo VI posel’architrave della sua riflessione nel nesso,originario e costitutivo, tra annuncio dellasalvezza escatologica e liberazione umana:aprendo ad una fermentazione evangelicaliberatrice in ogni cultura, senza proporredall’esterno una compatta e deduttivavisione di civiltà cristiana, cioè l’ideologiadella “nuova cristianità”, ma chiamandotutti i battezzati ad una missione nel cuoredelle masse, con la libertà interiore perinterrogare le masse. E senza negare lacontinuazione delle forme tradizionalidell’apostolato di massa, egli apriva condecisione e con entusiasmo all’esperienza,tipica allora delle Chiese extra-europee,delle Comunità ecclesiali di base (cfr. n. 58). Non era certo un papa timoroso, pessimista,mesto e titubante quello che firmava questaesortazione apostolica. Emergeva una vocedi grande e forte spiritualità e di fresco equasi si direbbe giovanile entusiasmo: “Non

si tratta soltanto di predicare il Vangelo infasce geografiche sempre più vaste o apopolazioni sempre più estese, ma anche diraggiungere e quasi sconvolgere mediante laforza del Vangelo i criteri di giudizio, i valorideterminanti, i punti di interesse, le linee dipensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vitadell’umanità, che sono in contrasto con laParola di Dio e col disegno della salvezza”(n. 19). E ancora: “L’operadell’evangelizzazione supponenell’evangelizzatore un amore fraternosempre crescente verso coloro che eglievangelizza. […] Il primo [segno di questoamore] è il rispetto della situazione religiosae spirituale delle persone che vengonoevangelizzate. Rispetto del loro ritmo, chenon si ha diritto di forzare oltre misura.Rispetto della loro coscienza e delle loroconvinzioni, senza alcuna durezza” (n. 79).Era l’indicazione di uno stile ecclesialenuovo, misericordioso e attento ai bisognidel prossimo, agendo con la sollecitudine dichi vive il Vangelo, non con l’ipocrisiafarisaica dei falsi maestri, condannati invecedal Vangelo. (f.d.g.)

Dall’alto:Paolo VI e Pedro Arrupe, superiore generale dei gesuiti; p. Alex Zanotelli e mons. LuigiBettazzi, mentre rinnovano lafirma del Patto delle Catacombenel 50° anniversario.

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U N A Q U E S T I O N E D I M E T O D O

La proposta di Francesco sulla novità possibile apartire dal Vangelo ci pare sia, prima di tutto, unaquestione di metodo, nel senso di percorso di co-

noscenza, di vita e di approccio alla realtà. Il metodo diBergoglio è, in primo luogo, collegato a una valorizzazio-ne della teologia contestuale e della corrispondente mo-dalità di procedere. Si tratta dell’originaria prassi dellaGioventù operaia cristiana europea (Joc) – fatta propriadalla teologia e dalle Chiese dell’America latina – del “ve-dere, giudicare, agire”. Tale metodo è essenziale per unariflessione che cerchi di interpretare la realtà senza im-porle schemi – teologici, filosofici e anche pastorali –ideologizzati, irrigiditi, spesso fuori tempo e contesto.Un secondo aspetto riguarda la ricomprensione dei pro-blemi a partire da un’effettiva dis-locazione del centro edella periferia. “Papa Francesco sin dal primo giorno del

suo pontificato ha dato la sua interpretazione direi pro-fetica del Concilio e ha dato avvio a una nuova fase dellasua recezione. Lui ha cambiato l’agenda: in testa adessoci sono i problemi dell’emisfero Sud” (W. Kasper, “UnConcilio ancora in cammino”, in “L’Osservatore Romano”12 aprile 2013). Questo significa ripartire dalle periferiedel mondo e del nostro vivere sociale. Risulta molto si-gnificativo il titolo de “L’Osservatore Romano” (30 novem-bre 2015) successivo alla visita in Centrafrica, parlandodi Bangui come de “la capitale spirituale del mondo”, cosìcome il suo approccio “geopolitico” guidato dalla logicadel “periferico” che aiuta a ripensare il centro e il tutto(p. Antonio Spadaro). In tal senso – e si tratta di un terzo aspetto del suo me-todo – egli vuole delineare un orizzonte interpretativo edi azione, una sorta di logica di fondo più che determi-nazioni puntuali. Si tratta di un ripensamento in vista diun differente orizzonte interpretativo che susciti una ri-sposta – personale e collettiva – della Chiesa intesa co-me comunità partecipativa. Questo modo di procedereimplica un passaggio, un allargamento di orizzonte,un’uscita dalle “autolimitazioni”, una vera “rivoluzionedelle coscienze” (Omelia del 15 febbraio 2015). Anche leiniziative e le prassi sono, come una sorta di apprendi-

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Metodo e veritàStrumenti dellateologia di Bergoglio

“Gesù Cristo può anche rompere gli schemi noiosi nei qualipretendiamo di imprigionarlo e ci sorprende con la sua costantecreatività divina. Ogni volta che cerchiamo di tornare alla fonte erecuperare la freschezza originale del Vangelo spuntano nuovestrade, metodi creativi” (EG 11).

Fabrizio Mandreoli, prete bolognese, vicino alla comunitàmonastica dossettiana, già assistente nel carcere dellaDozza, docente alla Facoltà Teologica dell'Emilia Romagna,ha scritto: Appunti sul Vaticano II. Un modello di discernimento(San Lorenzo 2011); Giuseppe Dossetti, Il Margine, Trento 2015.

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cade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logi-che: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pe-ricolo allontanando la persona contagiata, e la logica diDio che, con la sua misericordia, abbraccia e accogliereintegrando e trasfigurando il male in bene, la condannain salvezza e l’esclusione in annuncio. Queste due logi-che percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginaree  reintegrare” (Omelia del 15 febbraio 2015).Il metodo è, dunque, costituito da un modo complessivodi vedere, sentire, scegliere e camminare insieme. Talemetodologia spirituale ed ecclesiale produce tre stru-menti teologici capaci di futuro: a) un modo rinnovatodi rappresentare e pensare la verità; b) una spiritualità euna prassi ecclesiale di immersione profetica nella realtà;c) una rinnovata percezione del camminare del popolodi Dio e dell’importanza del suo senso della fede. Trat-teggiamo e ricostruiamo qui, a modo di esempio, alcunecaratteristiche del primo punto.

C O M E R A P P R E S E N TA R E L A V E R I TÀ ?

Per Bergoglio – che in nulla si discosta dalla dottrina cat-tolica, come insinuato da alcuni osservatori – la verità èil discepolato missionario. Si tratta di una verità in via,non assolutista e non relativista, ma oggetto di discerni-mento (cfr. EG 20): la verità si colloca nella realtà, all’in-

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PER BERGOGLIO LA VERITÀ È IL DISCEPOLATO MISSIONARIO.

SI TRATTA DI UNA VERITÀ IN VIA, NON ASSOLUTISTA E NON RELATIVISTA,

MA OGGETTO DI DISCERNIMENTO

stato artigianale, un cantiere aperto, a servizio della co-struzione di un orizzonte che si delinea e allarga – pro-gressivamente – nel pensarlo e farlo insieme (Appelloall’Angelus del 6 settembre 2015).Per entrare in questo orizzonte è necessario – ed è unquarto elemento di metodo – un passaggio fatto di op-zioni e prassi che danno forma ad una “logica” di fondo,da comprendere, scegliere e far propria. Qual è questalogica? “Per Gesù ciò che conta, soprattutto, è raggiun-gere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reinte-grare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizzaqualcuno! […] Gesù non ha paura di questo tipo di scan-dalo! Egli non pensa alle persone chiuse che si scanda-lizzano addirittura per una guarigione, che si scandaliz-zano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo chenon entri nei loro schemi mentali e spirituali […]. Sonodue logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere isalvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi ac-

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terno delle polarità e tensioni della vita e, quindi, entranel concreto dell’esistenza in maniera “non gnostica” (Di-scorso al Convegno di Firenze, 10 novembre 2015). In tal senso si comprende l’insistenza sul “dialogo” come“apertura” strutturale del pensiero e del sentire, comeunica forma adeguata del riconoscimento della verità:è l’importanza – tutta bergogliana – di avere un “pen-siero incompleto”. Tale apertura al dialogo è frutto diuna percezione della verità nella sua forma evangelicache, quindi, “ha sempre la dinamica dell’esodo e del do-no, dell’uscire da sé” (EG 21), della trascendenza e delcammino verso i poveri e verso Dio. A questo senso del-la verità intesa come un esodo corrisponde la “Chiesain uscita” (EG 15) verso le periferie per sviluppare unaprassi, ma soprattutto “un’ermeneutica adeguata”. Nonè solo di prassi pastorale che si tratta, ma di un erme-neutica teologica e umana adeguate a leggere la rela-zione tra Vangelo e vita.

Ma come si sviluppa in concreto l’ermeneutica dellaChiesa? A partire dalla prospettiva di una Chiesa poveraper i poveri: “è un messaggio così chiaro, così diretto, cosìsemplice ed eloquente, che nessuna ermeneutica eccle-siale ha il diritto di relativizzarlo” (EG 194), infatti “la realtàsi capisce meglio dalle periferie, non dal centro” (Discor-so del 26 maggio 2013).

L A “ G E R A R C H I A D E L L E V E R I TÀ ”

In tale quadro, la verità viene intesa – in prospettiva tra-dizionale – come un insieme organico con un centro in-candescente, individuato nel Vangelo della misericordiadi Dio rivelata nella vicenda di Gesù, e delle verità secon-de correlate a tale centro in maniera più o meno diretta.Da questa comprensione organica deriva la valorizzazio-ne del principio conciliare ed evangelico della “gerarchiadelle verità” (EG 36-39) che permette di non cadere nel

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IL PRIMATODELLAMISERICORDIA

Da tale comprensione della verità si capisceil primato strutturale della misericordia

(EG 41) e quindi della Chiesa madre: “[occorre]ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta laChiesa in questo nostro tempo, che è proprio iltempo della misericordia” (Discorso ai parroci diRoma del 6 marzo 2014). E in termini simili: “Sullaconversione pastorale vorrei ricordare chepastorale non è altra cosa che l’esercizio dimaternità della Chiesa. Essa genera, allatta, facrescere, corregge, alimenta, conduce per mano…Serve allora una Chiesa capace di riscoprire leviscere materne della misericordia” (Discorso aivescovi del Brasile, 27 luglio 2013).È quindi insensato contrapporre misericordia everità, come se la misericordia indebolisse le altreverità o dispensasse dalla conversione; certo nonva confusa con una pseudo misericordia, con unaprassi di compiacimento, con un cristianesimolight non profetico: non si tratta della grazia abasso prezzo, del cosiddetto ”cristianesimo dapasticceria”, ma della rivelazione profetica – e

quindi esigente, giusta, risanante – della verità diDio all’interno della storia e delle vicendepersonali.La misericordia va, così, intesa come il principiodecisivo per l’interpretazione e l’applicazionedelle verità di fede e dello stesso diritto canonico:“Simone, il padrone di casa, il fariseo, alcontrario, non riesce a trovare la stradadell’amore. Tutto è calcolato, tutto pensato […]. È una cosa brutta, l’amore formale, non si

capisce. […] Simone si è limitato ad invitare Gesùa pranzo, ma non lo ha veramente accolto. Neisuoi pensieri invoca solo la giustizia e facendocosì sbaglia. Il suo giudizio sulla donna loallontana dalla verità e non gli permetteneppure di comprendere chi è il suo ospite”(Omelia del 13 marzo 2015). In altri termini,bisogna ripartire dal “primato” della misericordiaposto con grande vigore non solo etico, masoprattutto teologico. Si enuncia un criterio diinterpretazione e di azione irrinunciabile: ilVangelo vuole accostare ogni situazione, visitareogni condizione e portare l’annunzio dellasalvezza. Molte volte si può chiedere uncambiamento, e quindi una conversione. Ma quando ci si trova davanti ad una condizionenon modificabile, non si può rinunciare a donareil Vangelo a chi, così com’è, lo desidera.Qualunque sia la situazione del mio fratello, miofratello resta, e anzi: se la sua condizione è piùesposta, ancor più penso di dovergli passarequello che anch’io ho ricevuto senza essernedegno. Il Vangelo deve essere annunciato: qualifrutti porterà o non porterà, noi in ogni modoconsideriamo tutti nostri fratelli, e magari piùbisognosi di ricevere la buona notizia di Gesù (G. Nicolini). (f.m.)

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Dio: “La presenza di Dio accompagna la ricerca sincerache persone e gruppi compiono per trovare appoggio esenso alla loro vita. […]. Dio non si nasconde a coloro chelo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a ten-toni, in modo impreciso e diffuso” (EG 71).Proprio perché tale rappresentazione nasce da un’espe-rienza spirituale essa diviene criterio di autenticità e diverità (cfr. EG 195), un antidoto contro la sclerotizzazionedelle strutture/istituzioni e lo stimolo ad un vero rinno-vamento (cfr. Discorso alla curia romana, 22 dicembre2014). Afferma Bergoglio: “Non abbiamo paura di rive-derle [le prassi della Chiesa]. Allo stesso modo, ci sononorme o precetti ecclesiali che possono essere stati mol-to efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stes-sa forza educativa come canali di vita. S. Tommasod’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli

relativismo e di non irrigidirsi in una visione per cui lesingole leggi morali o i singoli precetti – spesso storica-mente e culturalmente molto condizionati – vengonoposti sullo stesso piano del nucleo della storia della sal-vezza ossia dell’offerta inaudita dell’amore – misericor-dioso ed esigente – di Dio a tutti. Per questa idea di veritànon è sufficiente la formulazione “ortodossa”, perché sipuò rispettare la lettera ma tradire lo spirito e il sentiredel nucleo evangelico (EG 41). A tale figura di verità – viva e dialogica – corrisponde lacultura del dialogo, dell’incontro, nella persuasione chela Chiesa cresce non per proselitismo o per legami dicontrollo sociale, ma per attrazione (EG 14). Una veritàche “persuade” perché tocca e interroga la libertà del-l’uomo e ha la figura – teorica e concreta – dell’incontro:“Poi il fratello Giovanni ha detto una cosa che condivido

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MA COME SI SVILUPPA IN CONCRETO L’ERMENEUTICA DELLA CHIESA?A PARTIRE DALLA PROSPETTIVA DI UNA CHIESA POVERA PER I POVERI

totalmente: la verità è un incontro, un incontro tra per-sone. La verità non si fa in laboratorio, si fa nella vita, cer-cando Gesù per trovarlo. […] A me, in spagnolo, piace di-re che il Signore ci primerea. È una parola spagnola: ciprecede, e sempre ci aspetta. Lui è prima di noi” (Discor-so ai pentecostali di Caserta del 28 luglio 2014).

P E R U N A G I R E C R I S T I A N O R I N N O VAT O

Va infine ricordato come tale comprensione del nessoevangelico di verità e misericordia ha radici essenzial-mente spirituali (cfr. EG 24). Radici che si trovano nel mo-dello ignaziano degli Esercizi Spirituali con il suo valore diguida teologica e spirituale nella comprensione della mi-sericordia di Dio, della verità di sé, della stessa riformadella Chiesa: la teologia e la pastorale “nascono” quindida una profonda esperienza spirituale della presenza di

apostoli al popolo di Dio ‘sono pochissimi’. Citando S.Agostino, notava che i precetti aggiunti dalla Chiesa po-steriormente si devono esigere con moderazione ‘pernon appesantire la vita ai fedeli’ e trasformare la nostrareligione in una schiavitù, quando ‘la misericordia di Dioha voluto che fosse libera’. Questo avvertimento, fattodiversi secoli fa, ha una tremenda attualità. Dovrebbe es-sere uno dei criteri da considerare al momento di pen-sare una riforma della Chiesa e della sua predicazioneche permetta realmente di giungere a tutti” (EG 43). È quasi superfluo aggiungere come tale modo di proce-dere – insieme agli altri strumenti del pensiero bergo-gliano (quali l’immersione nella realtà e la valorizzazionedel popolo di Dio) – possa, se fatto proprio dalle Chiesee dai singoli, aiutare in un profondo rinnovamento del-l’interiorità e dell’agire cristiano.

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