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INDAGINE QUALITATIVA SULLA PROPENSIONE ALL’ATTIVITÀ FISICA
IN CHI HA AFFRONTATO UN TRAPIANTO D’ORGANO
a cura di
FRANCESCA CONTI, FEDERICA MANZOLI, DANIELE PIROZZI – formicablu S.r.l.
MANUELA TREROTOLA, DANIELA STORANI, FRANCESCA PUOTI, LIA BELLIS, ALESSANDRO
NANNI COSTA – Centro Nazionale Trapianti
31 gennaio 2017
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2
Indice
Introduzione
1. Metodologia e campione
2. Risultati: il punto di vista dei medici
3. Risultati: il punto di vista dei pazienti
4. Conclusioni e indicazioni operative
5. Executive Summary
Bibliografica
Appendice 1 – Traccia di intervista ai medici
Appendice 2 – Traccia di intervista ai pazienti trapiantati
Trapianti e attività fisica
Percezione, vissuto e attitudini dei pazienti trapiantati e dei loro medici
Studi scientifici dimostrano che l’attività fisica nei pazienti trapiantati migliora la
qualità della vita e la sopravvivenza dell’organo. È quindi fondamentale comunicare in
modo efficace ai pazienti la necessità di fare movimento e fornire loro gli strumenti utili
per poter accedere ai servizi.
3
Introduzione
Da dove nasce l’esigenza di indagare: percezione, vissuto e attitudine dei pazienti
trapiantati e dei loro medici sul tema “Trapianti e attività fisica”.
Un adeguato stile di vita, una dieta equilibrata e un’attività fisica costante sono
fondamentali per la prevenzione di malattie cardiocircolatorie, metaboliche,
degenerative e tumorali e migliorano la qualità della vita.
Oggi esistono evidenze scientifiche sull’efficacia dell’esercizio fisico sia nella
popolazione generale sia nei soggetti affetti da patologie specifiche (Cartabellotta et al.
2016). Promuovere la cultura dell’attività fisica e dello sport e l’adozione di abitudini
salutari aiuta a motivare i cittadini e i pazienti a mantenersi attivi durante tutta la vita e
a raggiungere il proprio benessere fisico e psichico.
A livello nazionale, le Istituzioni e le Regioni sono sempre più orientate a prescrivere
l’attività fisica per prevenire l’insorgere di patologie e migliorare la qualità di vita dei
cittadini. Il Centro Nazionale Trapianti (CNT) è in prima linea nella promozione del
tema Sport e Trapianti. In particolare il CNT ha avviato nel 2008 il progetto
“Trapianto... e adesso Sport”, promosso in collaborazione con l’Istituto Superiore di
Sanità, il Centro Studi Isokinetic, l’Università di Bologna e le Associazioni di settore con
l’obiettivo di coinvolgere i soggetti trapiantati d’organo, sportivi e non, invitandoli a
partecipare a iniziative sportive e a praticare un’attività fisica controllata.
Nel 2010 il CNT ha disegnato un Protocollo di Ricerca per dimostrare scientificamente
gli effetti dell’attività fisica sul trapiantato d’organo e l’importanza dell’esercizio fisico
come “terapia” post trapianto. È partito così il Protocollo di Ricerca “Trapianto… e
adesso sport” che è stato il primo studio scientifico disegnato per misurare gli effetti
dell’attività fisica nel paziente con trapianto di organo solido.
L’obiettivo principale dello studio è stato quello di verificare il miglioramento dei
parametri biologici e la condizione fisica del trapiantato e migliorare la sopravvivenza
dell’organo trapiantato. Un effetto non secondario dello studio è stato quello di
motivare i pazienti coinvolti al ritorno a una vita piena e soddisfacente, inducendoli a
modificare e migliorare il proprio stile di vita per accettare il cambiamento e il
4
trapianto. Inoltre, sono state prodotte delle linee guida riconosciute e adottabili dal
Sistema Sanitario Nazionale.
I risultati dello studio hanno confermato l’ipotesi che l’esercizio fisico si configura
come un vero e proprio farmaco.
Nel 2012 è nato il progetto “Novecolli Life” con l’obiettivo di verificare l’andamento
fisiologico della funzionalità renale in un gruppo di soggetti trapiantati a confronto con
un gruppo di soggetti non trattati in relazione a una granfondo di ciclismo.
I gruppi sono stati analizzati il giorno prima, subito dopo e il giorno seguente alla
granfondo. I dati raccolti dal 2012 al 2014 hanno dimostrato che i soggetti trapiantati
in buone condizioni di allenamento, ossia che nel corso dell’anno svolgano gli
allenamenti necessari ad affrontare una gara agonistica, sono in grado di sopportare lo
sforzo richiesto e hanno una funzione renale del tutto sovrapponibile a quelli di
sportivi non trapiantati.
Le evidenze scientifiche emerse nell’ambito del progetto “Trapianto... e adesso Sport”
vanno a questo punto tradotte in prodotti di comunicazione utili a informare i
pazienti trapiantati della possibilità e dell’importanza di praticare attività fisica.
La ricerca che descriviamo in questo documento nasce dalla necessità di impostare una
strategia di comunicazione efficace, realizzabile solo partendo dall’ascolto delle
esigenze del target al quale ci si rivolge.
I risultati saranno utilizzati per realizzare prodotti di comunicazione mirati a far
conoscere l’importanza terapeutica dell’attività fisica in fase riabilitativa e nel
trattamento delle malattie metaboliche nei pazienti trapiantati.
Nel corso dello studio, la qualità del lavoro sul campo e dei dati raccolti hanno portato
ad andare oltre a questo obiettivo: l’analisi condotta vale non solo come base per la
comunicazione del CNT, ma anche come ricognizione sulla situazione italiana in tema
di trapianti e attività fisica, utile per tutti gli stakeholder del settore.
Infine, la scarsità di studi di tipo qualitativo in letteratura (van Adrichem E. J. 2016),
verificata prima e durante la progettazione e la realizzazione della presente ricerca,
dimostra non solo il valore funzionale, ma anche quello scientifico di questo report.
5
1. Metodologia e campione
I cittadini trapiantati sono un gruppo sempre più numeroso che necessita di
mantenere e migliorare la qualità della propria vita. Perché chi ha affrontato un
trapianto possa tornare a fare movimento servono motivazione, informazioni e
comunicazioni corrette.
A partire da questo assunto, è stata condotta una ricerca disegnata e realizzata per
indagare la percezione, il vissuto e le attitudini dei pazienti trapiantati e dei loro medici
in merito alla pratica dell’attività fisica.
Per la progettazione dell’indagine sul campo e l’analisi dei risultati si è tenuto conto
delle necessità di:
1. costruire un quadro della percezione di alcuni medici trapiantologi e dello sport
che hanno partecipato al progetto “Trapianti e… adesso sport” e di alcuni pazienti
trapiantati su esperienze e idee legate a una buona comunicazione dell’argomento
2. isolare gli elementi salienti per costruire una buona comunicazione.
Per le finalità di approfondimento della ricerca, si è privilegiato il metodo qualitativo,
applicato attraverso la tecnica dell’intervista individuale semi‐strutturata (stesse
domande aperte per tutti gli intervistati, cfr. Bauer e Gaskell 2000).
Complessivamente, nel periodo aprile ‐ settembre 2016, sono state realizzate 23
interviste rivolte rispettivamente a un campione di 7 medici e 16 cittadini trapiantati.
I pazienti sono stati selezionati in relazione al trapianto di tre organi solidi: rene, fegato
e cuore. La scelta della tipologia di trapianto è stata fatta in accordo con il CNT ed è
stata dettata dalla maggiore frequenza di intervento rispetto ad altri trapianti d’organo
solido.
1.1 Il campione dei medici e gli obiettivi conoscitivi
Per il reclutamento dei medici si è tenuto conto della necessità di coinvolgere
trapiantologi, medici dello sport e psicologi già attivi nell’ambito del protocollo di
ricerca “Trapianti e… adesso sport”. In questo modo è stato possibile analizzare le
esperienze di chi da anni lavora nel campo a stretto contatto con i pazienti e porta una
conoscenza approfondita della pratica non solo medica, ma anche comunicativa ‐ verso
e dal paziente e all’interno della comunità scientifica stessa.
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Di seguito l’elenco dei medici intervistati:
MEDICO SPECIALIZZAZIONE CENTRO DI APPARTENENZA
dott. Vincenzo Tursi Chirurgo Cardiologo Centro Trapianti cuore Udine
dott.sa Patrizia Burra Chirurgo Epatologo Centro Trapianti fegato Padova
dott. Marco Senzolo Complicanze malattie del fegato
U. O. Gastroenterologia Ospedale di
Padova
dott. Giovanni Mosconi Chirurgo Nefrologo Ospedale di Forlì
dott. Gianluigi Sella Medico dello Sport AUSL di Ravenna
dott. Massimo Boffini Chirurgo Cardiologo
Città della Salute e della Scienza di
Torino
prof. Andrea Ermolao Medico dello sport Università degli Studi di Padova
dott.sa Clara Travaglini Psicologa Centro Trapianti cuore Udine
Tab. 1: Campione di medici intervistati
Consolidati gli obiettivi di ricerca, è stata formulata la traccia di intervista, discussa in
presenza e via conference call fra il CNT e le ricercatrici di formicablu. Le bozze sono
state commentate e modificate dal gruppo di lavoro, fino ad arrivare alla versione
definitiva riportata in appendice 1 (traccia di intervista ai medici).
Il flusso degli argomenti trattati parte da un’introduzione sul tema di trapianti e sport
nell’esperienza professionale dell’intervistata/o, con un focus particolare
sull’opportunità di parlare di “sport” o “attività fisica”; affronta, in termini prima
generali e poi specifici, i vantaggi e gli ostacoli nella pratica dell’attività fisica nei
pazienti (dall’attività del centro trapianti secondo il protocollo di monitoraggio post‐
trapianto alla presenza di strutture idonee, dal ruolo dei famigliari e delle associazioni
alle variabili psicologiche implicate); arriva all’approfondimento di cosa e come
comunicare ai pazienti, in modo efficace, per rendere più diffusa e praticata questa
forma di terapia.
In questo documento sono riportate le citazioni dei momenti più significativi delle varie
interviste. Si è scelto di non indicare da quale voce in particolare sono espresse idee,
opinioni e suggerimenti. Il motivo è la sostanziale coerenza degli argomenti raccolti
nelle interviste, che non hanno rilevato posizioni diverse a seconda del tipo di
specializzazione. Unica eccezione è la psicologa intervistata, che ha mostrato una
7
prospettiva differente e di grande importanza nell’affrontare il tema, soprattutto in
relazione all’evoluzione emotiva dei pazienti.
1.2 Il campione dei pazienti e gli obiettivi conoscitivi
I risultati emersi da questa prima parte dell’indagine sono stati poi utilizzati per la
definizione della traccia delle interviste per i pazienti. La traccia definitiva
dell’intervista ai pazienti è riportata in appendice 2 (traccia di intervista ai pazienti).
Per la costruzione del disegno di ricerca relativo ai pazienti si è tenuto conto della
popolazione complessiva (Fig. 1) di pazienti trapiantati di rene, fegato o cuore e delle
seguenti variabili:
provenienza geografica: regione di residenza (Nord, Centro, Sud).
genere: uomo, donna
fascia di età: 18‐30 anni; 31‐50 anni; 51‐70 anni
tipologia di trapianto effettuato: rene, fegato, cuore.
Tutti i pazienti selezionati per l’indagine hanno affrontato il trapianto da almeno tre
anni. Il reclutamento dei pazienti è stato effettuato dal CNT in collaborazione con i
Centri Trapianto regionali di: Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna,
Abruzzo, Lazio e Sicilia. Al fine di individuare i possibili partecipanti al progetto il CNT,
in accordo con formicablu, ha definito i criteri e le variabili di selezione, chiedendo al
Centro Trapianti di riferimento di verificare la disponibilità a partecipare al progetto
dei pazienti in cura. Il nominativo dei pazienti che hanno espresso il proprio consenso a
partecipare all’indagine conoscitiva, nonché il proprio consenso al trattamento dei dati
personali, è stato trasmesso al CNT, che ha trasferito il nominativo a formicablu per
poter contattare i pazienti e intervistarli.
I dati personali dei pazienti che hanno partecipato all’indagine non saranno resi
pubblici.
8
Fig. 1 Trapianti da donatore – Dati ISTAT 2015
Di seguito il campione di pazienti intervistati:
CODIFICA PROVENIENZA GEOGRAFICA GENERE ETÀ TIPOLOGIA DI
TRAPIANTO
Paziente 1 Lombardia Uomo 18‐30 Rene
Paziente 2 Friuli Venezia Giulia Uomo 31‐50 Rene
Paziente 4 Emilia Romagna Uomo 51‐70 Rene
Paziente 5 Abruzzo Uomo 51‐70 Rene
Paziente 6 Sicilia Uomo 51‐70 Rene
Paziente 7 Friuli Venezia Giulia Donna 31‐50 Rene
Paziente 8 Emilia Romagna Donna 51‐70 Rene
Paziente 9 Sicilia Donna 51‐70 Rene
Paziente 10 Lombardia Uomo 31‐50 Fegato
Paziente 12 Friuli Venezia Giulia Uomo 51‐70 Fegato
Paziente 13 Lazio Uomo 51‐70 Fegato
Paziente 14 Emilia Romagna Uomo 18‐30 Fegato
9
Paziente 15 Sicilia Donna 51‐70 Fegato
Paziente 16 Sicilia Uomo 18‐30 Cuore
Paziente 17 Abruzzo Uomo 51‐70 Cuore
Paziente 18 Lombardia Donna 31‐50 Cuore
Tab. 2: Campione di pazienti intervistati*
*In un caso, l’intervista si è svolta con la partecipazione del padre di un giovane paziente che ha risposto
al telefono al suo posto ed è intervenuto frequentemente nell’intervista prendendo parola.
Il flusso degli argomenti trattati è iniziato da una parte introduttiva utile a
contestualizzare l’argomento dell’attività fisica e capire “come ci si prende cura di sé
dopo il trapianto”.
In seguito, i ricercatori hanno approfondito i significati che i pazienti attribuiscono al
concetto di attività fisica, facendo attenzione a far emergere la differenza fra “attività
fisica” e “sport” che potrebbero essere fraintesi in sede di comunicazione pubblica. Di
seguito, è stata indagata la storia “sportiva” degli intervistati, facendo attenzione al
periodo di vita precedente al trapianto e a quello successivo. Sono stati esplorati i
motivi per praticare e non praticare l’attività fisica, con attenzione particolare agli
ostacoli e ai modi per superarli. È stata testata la reazione nei confronti di una
prescrizione da parte del medico, alla pari delle terapie farmacologiche. Infine, è stato
chiesto quali modalità di comunicazione sono usate e potrebbero incoraggiare i
pazienti con trapianto a svolgere attività fisica, sia dal punto di vista dei contenuti da
ribadire, sia delle forme (app, siti web, opuscoli).
1.3 Analisi delle interviste
Tutte le interviste sono state registrate con il consenso degli intervistati, trascritte e
analizzate tramite il software ATLAS.ti (http://atlasti.com/) che permette l’analisi di
dati qualitativi segmentando i testi in base a categorie di significato date.
I gruppi di risposte corrispondenti alle domande di ricerca sono stati creati secondo
“etichette”, attribuite ai segmenti di testo corrispondenti.
In seguito, i concetti emersi sono stati interpretati e commentati alla luce di fattori
importanti per la buona comunicazione dell’argomento, secondo il seguente schema
interpretativo:
10
Fig. 2 Schema interpretativo delle interviste a medici e pazienti trapiantati
Mentre le citazioni dei medici non sono seguite dall’identificazione del rispondente, per i
pazienti – così da rimarcare le differenze fra le diverse tipologie – è stata usata la seguente
classificazione:
numero
organo
età
sesso
zona geografica.
Es. 13_Fegato_51‐70_U‐Centro
11
2. Risultati: il punto di vista dei medici
2.1 L’esperienza dei medici intervistati sull’argomento trapianti e attività fisica
I medici che hanno partecipato a questa indagine hanno tutti maturato esperienza
nell’ambito del protocollo di ricerca “Trapianti… e adesso sport” e sono sostenitori e
testimoni dell’importanza della pratica dell’attività fisica sotto il profilo clinico.
La scelta del loro profilo e il loro dichiarato impegno orientano evidentemente la
lettura di opportunità e problemi legati alla pratica dell’attività fisica. D’altra parte, in
quanto profondi conoscitori del panorama, il loro punto di vista esperto ha permesso
di articolare le interviste in modo efficace e mirato all’individuazione di problemi e
soluzioni per promuovere al meglio l’AF, all’interno e all’esterno della comunità
medica.
Un aspetto che caratterizza da subito i loro discorsi è la necessità di
istituzionalizzazione della pratica sportiva sui pazienti trapiantati, e in generale nei
pazienti cronici.
È questo il motivo che li ha spinti a credere in un progetto strutturato che comporta
l’elaborazione di risultati scientifici ed è gestito a livello nazionale dal CNT.
“Il progetto “Trapianti… e adesso sport” rappresenta un’opportunità per far conoscere al
paziente e al personale medico, specialmente ai miei giovani collaboratori, l’utilità
dell’attività fisica post trapianto. Sono convinta che l’esercizio fisico debba sempre più
essere considerato una prescrizione medica al pari di una terapia farmacologica per i
pazienti trapiantati.”
“Nel nostro centro abbiamo arruolato quattro pazienti con questo studio, con ottimi
risultati in termini di calo ponderale, qualità della vita e miglioramento degli esami bio‐
umorali.”
“Con il CNT abbiamo aderito al progetto ‘Trapianto… e adesso sport’, ed è un qualcosa
che avevamo voluto fortemente tutti quanti, o meglio un certo gruppo di medici
specialisti e patologi dei trapianti. Abbiamo cercato di formulare qualcosa che fosse
strutturato. Il fatto che l’attività fisica finalmente entri anche nel concetto di uno studio,
che venga randomizzato e dia risultati gestibili dal punto di vista scientifico, è un salto di
qualità notevole nel mondo dei trapianti. Ci attendiamo dei risultati.”
12
“Per noi questo progetto è stata una grossa opportunità perché ha poi innescato,
soprattutto in Emilia Romagna, la messa a punto di un modello che è stato recepito per
essere applicato poi in altri ambiti specialistici (cardiologia, diabetologia) in cui l’attività
fisica è risultata come un beneficio vero e proprio per l’evoluzione della malattia dei
pazienti.”
2.2 Sport e attività fisica: per una cultura della terapia post‐trapianto
È ampiamente dimostrato che le persone sottoposte a trapianto d‘organo possono
recuperare una buona qualità di vita e l’attività fisica rappresenta un percorso di
recupero e benessere, ma anche un mezzo per testimoniare l‘efficacia del trapianto.
Riappropriarsi della funzionalità del proprio corpo dopo un trapianto d‘organo
rappresenta una tappa fondamentale.
Fin dalla prima intervista a un medico pioniere della promozione dell’attività fisica per
pazienti trapiantati è emerso come, dal punto di vista medico, non sia opportuno
parlare di “sport”, ma sia meglio riferirsi ad “attività fisica”.
Nel parlare comune, in ogni caso, “fare sport” significa anche “fare movimento”, senza
implicare necessariamente l’aspetto di una pratica complessa o agonistica.
Questo concetto è stato in seguito approfondito nelle interviste ai colleghi, così da
entrare nella tematica in modo costruttivo e riflettere sulla sua definizione in modo
approfondito.
“Ci portiamo dietro il termine “sport” anche per il tipo di nome che abbiamo dato al
programma "Trapianti... e adesso sport". Noi non vogliamo che i pazienti facciano sport,
ma attività fisica, quello che dobbiamo contrastare è la sedentarietà. È un concetto che
nasce da un errore metodologico. Dall'attività fisica si può poi arrivare a fare sport, ma
bisogna prima di tutto risolvere l'errore. In linea di massima, l'attività fisica regolare può
essere fatta dalla stragrande maggioranza dei pazienti. Pazienti con problemi
cardiologici in atto o importanti limitazioni articolari. Per il resto tutti possono fare
attività.”
“Parliamo sempre di attività fisica e non sportiva perché “sport” è una parola non
adeguata a quello che vogliamo fare. È vero che esistono le Olimpiadi dei trapiantati, le
gare ciclistiche e di sci dei trapiantati, quindi è vero che c’è un’attività sportiva nel
mondo del trapianto, a tutti i livelli nazionali e internazionali, ma ciò su cui puntiamo a
13
livello di medici che continuamente vedono pazienti in ambulatorio e reparto prima e
dopo il trapianto, quello che deve entrare nella mentalità del medico che li segue, è
parlare di attività fisica…
“Il primo step dovrebbe essere quello dell’attività fisica, cioè far comprende alle persone
cosa dovrebbero fare per mantenere il peso, insieme a un’alimentazione adeguata.
Mentre pochi possono chiaramente dedicarsi all’attività sportiva, che è diversa.”
“Noi qui dobbiamo parlare di attività fisica e non sport perché lo sport è già un’attività
fisica fatta in maniera organizzata, seguendo delle regole secondo una certa disciplina.
Invece noi intendiamo attività fisica in generale quindi qualsiasi movimento del nostro
corpo che prevede l’aumento del consumo di ossigeno.”
“Va superata la sedentarietà, fattore di rischio molto importante per lo sviluppo di
patologie cardio‐vascolari perché i trapiantati hanno esperienza importante su questo;
l'attività fisica regolare sia per la popolazione generale che per pazienti con patologie
croniche ha risultati che si correlano a una migliore qualità di vita e aspettativa di vita.
Per quello che riguarda la qualità di vita c'è una percezione dello stato di benessere e una
riduzione dei fattori di rischio come le infiammazioni croniche tipiche dei pazienti
trapiantati. Non dimentichiamo che questi pazienti assumono terapie farmacologiche
che portano ad alterazioni metaboliche e l'attività fisica regolare migliora le loro
condizioni.”
In fase spontanea, accanto a differenziare fra le due terminologie, i medici
sottolineano come le persone che sono state sottoposte a trapianto d‘organo hanno
dovuto rinunciare, spesso per lunghi periodi, a molti impegni della vita quotidiana e tra
questi anche all’attività fisica. D’altra parte, spesso i pazienti trapiantati soffrono della
sindrome metabolica e l’attività fisica è il mezzo efficace e meno invasivo per
contrastare molte disfunzioni.
“La sindrome metabolica si manifesta in un’elevata percentuale di pazienti post
trapianto, con un interessamento dell’organo trapiantato nel 20‐30% dei casi. Tale
prevalenza sarà destinata ad aumentare ulteriormente, in relazione all’incremento dei
trapianti per steatoepatite e per neoplasie del fegato correlate a NASH. Attualmente non
vi sono terapie farmacologiche universalmente raccomandate per la steatosi e la
steatoepatite, specie nei pazienti sottoposti a trapianto di fegato, tranne la
combinazione tra dieta e attività fisica. Per tali motivi, ritengo che la correlazione tra
trapianto e attività sportiva debba essere sempre più incoraggiata.”
14
“Si parte dall'attività di base che le linee guida mondiali danno, cioè un'attività di tipo
aerobico, come la camminata almeno 30‐40 minuti al giorno almeno tre volte alla
settimana, come per i pazienti diabetici. Attività di tipo aerobico. Quest’attività aerobica
può essere anche danza. Il progetto su cui noi abbiamo insistito negli ultimi anni è stato
quello che associare all'attività aerobica anche esercizi di potenziamento muscolare che
fanno parte , e devono far parte, di progetti inseriti in un network di collaborazione fra
centri trapianto e centri di medicina dello sport e palestre certificate.”
Dopo un trapianto d‘organo l‘obiettivo da perseguire non è semplicemente
“sopravvivere” ma “vivere”, il che comporta riacquistare una buona qualità di vita.
Uno dei problemi più frequenti è l’aumento di peso, che comporta una maggior
esposizione al rischio cardiovascolare e può causare l’insorgere di malattie croniche
come l’ipertensione o il diabete. La pratica dell’attività fisica comporta diversi vantaggi
e non è sostituibile da pratiche farmacologiche. I risultati e i vantaggi però si misurano
su tempi lunghi e analizzando un campione significativo di pazienti.
“Il paziente con il trapianto è un paziente in cui abbiamo superato la malattia, abbiamo
cambiato qualcosa nella storia naturale della malattia del fegato perché è stato
sostituito un organo. Tutto il resto dell’organismo ne trae beneficio, ma non
necessariamente ritorna a essere una persona che non ha dei problemi. Quindi il rischio
di complicanze anche se minime chiaramente persiste. Ecco che l’attività fisica diventa
non soltanto la necessità per un concetto di salute che dobbiamo promuovere a tutti i
livelli, ma una terapia che noi dovremmo indicare al paziente trapiantato. Abbiamo la
percentuale del 30% dei trapiantati che aumenta di peso, il 40% sviluppa pressione
arteriosa che prima non aveva, un altro 40% sviluppa la sindrome metabolica, un 15%
sviluppa il diabete. È assurdo, dopo che salviamo la vita a un paziente con la cirrosi del
fegato, che egli – un po’ per colpa dei farmaci e un po’ perché non segue le nostre
indicazioni – aumenti di peso, diventi sedentario, sviluppi il diabete e diventi iperteso.
Ecco allora che non abbiamo ottenuto un ottimo risultato. Quindi il nostro è un
problema medico e un problema sociale.”
“Tutti dovrebbero fare attività fisica. Tutti dovrebbero godere di uno stato di salute che è
legato a una corretta alimentazione. Che è legato al fatto di non aumentare di peso e di
non sviluppare delle patologie che sono conseguenti a questo. E questo è un livello che
vale per i trapiantati come per un normale cittadino, la persona che non ha patologie. In
aggiunta, chiaramente, il paziente con il trapianto è un paziente in cui abbiamo superato
la malattia, abbiamo cambiato qualcosa nella storia naturale della malattia del fegato
perché è stato sostituito un organo, e tutto il resto però dell’organismo ne trae beneficio
ma non necessariamente ritorna a essere una persona che non ha dei problemi.”
15
“Nel trapianto di fegato quello che si rischia è che nelle complicanze che si possono
sviluppare insorga qualcosa che prima non c’era. Quindi la comparsa di ipertensione
arteriosa, diabete, striatosi del fegato, aumento del colesterolo, aumento di peso. Tutti
questi fattori, che prima non c’erano, ci preoccupano molto. Ecco perché a questo punto
diventa un obbligo medico prescrivere un’attività fisica che, al momento attuale, è
l’unica terapia che abbiamo. Cioè se ci fosse un farmaco in grado di risolvere questa
complicanza, paradossalmente potremmo dire ‘va bene non è necessario puntare su
un’altra terapia’. Ma in questo caso l’attività fisica e il calo ponderale è l’unica arma
che abbiamo.”
“Un paziente trapiantato tende a crescere di peso e avere parametri di massa
grassa/magra alterati. Il riuscire a verificare che il passaggio dallo stato sedentario a
quello attivo migliora questo parametro può essere importante. Il problema vero è che
gli outcome più importanti che cerchiamo e desideriamo, cioè sopravvivenza del rene
trapiantato, sopravvivenza del paziente, incidenza di eventi cardiovascolari, cardiaci o
neurologici, li possiamo vedere solo a distanza di anni e si perdono nella valutazione del
singolo paziente. Questi sono solo discorsi che possono essere sviluppati nel lungo
periodo.”
Sebbene le evidenze scientifiche abbiano confermato l’importanza terapeutica
dell’attività fisica per il trattamento post‐trapianto, l’importanza del “fare movimento”
non è ancora percepita dalla gran parte dei medici come fondamentale. I medici
intervistati insistono sulla necessità di rinforzare la cultura dell’attività fisica e
suggeriscono che questa vada prescritta come un farmaco e non semplicemente
consigliata. Emergono chiaramente il desiderio di formazione e la richiesta di messa in
comune di messaggi e strumenti che dovrebbero essere forniti a tutti i medici.
Sottolineano inoltre che la sedentarietà è un problema che non riguarda solo i medici,
ma l’intera popolazione.
“Cominciamo da un dato statistico: il 30‐33% della popolazione generale riceve dal
proprio medico il consiglio di fare attività fisica. È una percentuale bassissima. Perché
fondamentalmente non esiste una cultura nel medico che riguarda la promozione di
stili di vita sani e soprattutto dell’attività fisica. Per il medico di medicina generale è più
semplice prescrivere una statina o un altro farmaco piuttosto che incentivare e
prescrivere l’attività fisica. È evidente che il consiglio ‘ah devi fare attività fisica’ non ha
un grande impatto, quando lo dicono. Bisognerebbe fare qualcosa di più organico, cioè
proprio fare una prescrizione. Servono prescrizioni più che consigli.”
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“A livello del medico la questione è culturale. Non è che uno possa essere contro l’attività
fisica. È una questione di educazione del medico, quindi anche il medico deve seguire
determinati corsi formativi su quello che deve comunicare al paziente. Non sempre i
medici sono capaci di comunicare. Possono avere anche in mente questa cosa, ma non
sempre sanno come comunicarla. Quindi, se arriva a livello nazionale il CNT e dice ‘voi
tutti internisti, cardiologi, patologi, nefrologi ecc, avete un’informazione comune che
dovete tenere in considerazione: qualsiasi trapiantato è più a rischio del cittadino
normale di sviluppare questa sindrome...’ quindi è informazione e educazione del
medico.”
“Quando si sa che un paziente è trapiantato, gli allenatori delle palestre si spaventano.
Quindi l’impatto del trapianto di cuore è anche su chi deve gestire l’attività sportiva. Si
riscontrano difficoltà ad avere un certificato medico perché molto spesso i pazienti non
sono residenti nel posto dove vengono operati e i loro cardiologi non sono abituati
rilasciare un certificato medico per l’attività sportiva.”
2.3 I pazienti trapiantati
Generalmente i pazienti arrivano al trapianto in condizioni di grave debilitazione fisica.
Dopo il trapianto si può riprendere padronanza del proprio corpo, riacquisire
un’autonomia a cui spesso era stato necessario rinunciare. Il paziente è al centro di
tutto, accompagnarlo perché possa riacquisire una buona qualità della vita è una
priorità etica.
“Noi abbiamo a che fare con pazienti che arrivano al trapianto in condizioni veramente
provate e quindi dopo il trapianto riprendono una vita praticamente normale e quindi
anche loro sono abbastanza stupiti del fatto che ci sia una ripresa così importante.
L’idea che l’attività fisica non venga rifiutata, ma incentivata viene colta come un
aspetto estremamente positivo.”
Ritornare a uno stile di vita attivo, non significa necessariamente fare sport, ma evitare
uno stile di vita sedentario. La struttura di personalità dei pazienti è determinante ai
fini delle possibilità di recupero post trapianto. È su questo fattore che si colloca il
problema della gestione della comunicazione al paziente, argomento sul quale spesso i
medici non sono formati e sui quali prodotti di comunicazione che aiutino i pazienti –
così come la comunità medica – devono essere pianificati.
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“L'ostacolo deriva moltissimo dalla struttura di personalità del paziente. Io non posso
dire che c'è una situazione sovrapponibile a un'altra. Ognuno di loro ha un suo modo di
affrontare la malattia, il trapianto e il post. Il lavoro da fare è assolutamente
personalizzato.”
“Chiaramente, avendo la possibilità di conoscere la persona, con una valutazione pre‐
trapianto, dal punto di vista psicologico, possiamo nel seguito far leva sui fattori
positivi. Lavorando su quelli si riesce a superare gli ostacoli che sono causati
principalmente dal fatto di avere vissuto un periodo di malattia importante, a volte
un'insorgenza improvvisa del problema cardiaco, assolutamente mai sospettata. Nel
momento in cui il problema di malattia viene risolto, allora si lavora sulla ripresa e il
recupero di una qualità di vita ottimale sotto tutti i punti di vista, compreso quello
lavorativo. Una persona che tende a essere passiva, lo è anche nel percorso di cura e
anche in quello ha bisogno di essere stimolata.”
Quando non ci sono ostacoli di tipo psicologico, i trapiantati tendono a tornare alle
abitudini che avevano prima della malattia. Al contrario può accadere che i pazienti
provati dalle difficoltà della malattia, dopo il trapianto si lascino andare e sviluppino
malattie che prima non avevano.
2.4 Ostacoli clinici, prima e dopo il trapianto
Gli ostacoli che derivano dal quadro medico del paziente, così come l’età, sono
determinanti nel promuovere il tipo e la quantità di attività fisica nei pazienti
trapiantati. L’abitudine prima del trapianto e l’età si confermano i principali fattori.
In genere è più facile attivare un programma di sport con chi già lo praticava prima del
trapianto. La possibilità di riprendere le attività che si facevano prima della malattia
può essere una leva su cui puntare per contrastare la sedentarietà, ma soprattutto la
possibilità di tenere sotto controllo le conseguenze del trapianto (farmaci) è un
argomento molto efficace.
“Di solito per le persone che facevano attività fisica o sportiva prima del trapianto è
molto più semplice, nel senso che sono loro che chiedono quanto tempo dopo il trapianto
possono riprendere. Noi ci siamo dati delle linee di comportamento: un paziente che ha
un trapianto perfettamente riuscito senza complicanze, dopo sei mesi dal trapianto, per
noi può riprendere con l’attività sportiva; a due anni da un trapianto senza complicanze il
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paziente può fare quello che vuole. Può riprendere l’attività sportiva e fare attività
agonistica, se non ha avuto complicanze.”
“È evidente che dal paziente di 60 anni, che è arrivato provato al trapianto e che dopo il
trapianto sta bene, non si può pretendere che faccia una grande attività. Comunque
dopo il trapianto queste persone stanno mediamente bene e quindi cercano di
ritornare a una vita normale. Sotto casa mia abita un trapiantato di 22 anni che è
tutt’altro che uno sportivo ma comunque fa di tutto: va a raccogliere i funghi…”
I medici, e in particolare la psicologa, intervistati sottolineano la necessità di non
relegare i cittadini trapiantati in una categoria omogenea: i pazienti provengono da
storie cliniche differenti e hanno età diverse. È importante tenere conto delle storie dei
singoli.
“Il nostro centro offre trapianti fino al settantesimo anno di età. Vediamo invecchiare la
nostra popolazione e l’età non facilita sicuramente, inoltre i pazienti, usando cortisone,
non sempre hanno un sistema osteo‐articolare perfetto. Ci sono anche pazienti che
arrivano in una situazione terminale prima del trapianto importante, quindi
ricominciano piano piano.”
“Il trapianto di fegato viene vissuto dal paziente con un’intensa carica emozionale. La
buona riuscita del trapianto, il recupero di una buona qualità di vita riduce la
motivazione a intraprendere attività fisica post‐trapianto. In più a volte le complicanze
post trapianto (recidiva della malattia di base, complicanze biliari, rigetto, neoplasie)
possono in parte distogliere il paziente dalle problematiche dell’aumento ponderale e
della dislipidemia.”
Inoltre, per ciò che riguarda gli ostacoli alla ripresa o all’avvio dell’attività fisica, la
rilevanza del fattore psicologico è indubbia. In questo ambito rientrano due argomenti
fondamentali: la necessità di riconquistare fiducia nel proprio corpo e la difficoltà a
rendersi conto di non essere più malato.
È il piano delle emozioni a contare di più e su questo devono essere creati messaggi e
strumenti che le affrontino e le utilizzino. L’attività fisica è l’occasione, secondo i
medici intervistati, per aggiungere all’esperienza del trapianto un benessere attivo,
oltre la cura farmacologica.
“Nell'arco del primo anno, i colloqui sono frequenti, si lavora sul ricostruire un buon
equilibrio generale. Ci sono tanti aspetti importanti, come la ripresa dell'attività sessuale.
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Anche su questo bisogna lavorare perché sono molto timorosi, pensano di star male. Per
potergli far ritrovare la sicurezza di poter fare tutto bisogna lavorare molto su aspetti
di personalità e carattere di ciascuno. Non posso dire che per ognuno si segua lo stesso
percorso. Ci sono quelli più positivi e molto più ottimisti di natura, mentre ci sono
pazienti che tendono ad avere un atteggiamento più passivo e hanno bisogno di essere
stimolati e accompagnati di più.”
“Molti trapiantati si sentono, cioè vengono ritenuti, persone ancora malate, fragili, che
necessitano di essere custodite, soprattutto nel caso dei bambini (da parte dei genitori).
E questo naturalmente frena. Non possono frequentare posti troppo affollati per il
problema delle infezioni dovuti al loro stato di immunosoppressione.”
“La paura di fare sport dopo il trapianto per non peggiorare la funzione d’organo può
essere limitante per il paziente. In questo contesto, il manuale dell’allenamento dello
sportivo trapiantato che è stato redatto dalla dottoressa Totti, edito dal CNT, è un ottimo
strumento per guidare il paziente a fare un corretto esercizio.
In alcuni casi si hanno delle complicanze legate al trapianto, una controindicazione è se
hanno magari ernie da ferita chirurgica, se hanno dovuto rioperare l’addome e lo sforzo
fisico può avere delle complicanze. Ma questi casi non sono molti. Dopo un anno
dall’intervento non ci sono grosse controindicazioni dal punto di vista medico.”
A questi ostacoli si aggiungono problemi di ordine economico e logistico. Sebbene sia
dimostrata l’efficacia terapeutica della pratica dell’attività fisica in fase post‐trapianto,
questa non è ancora prescrivibile come terapia passata dal sistema sanitario nazionale
(ticket), quindi i pazienti che vogliono praticare sport devono farsi carico di tutti i costi.
“Il paziente che non ha mai fatto attività fisica fa un po’ di fatica a capire che deve farla
come terapia. Nel momento in cui decidiamo di fargli fare attività fisica e il paziente lo
comprende, subentra un problema di tipo economico. Nel senso che non abbiamo una
disponibilità dell’USL che dà questo come terapia. Per questo parlavo di codice. Se il
codice ci fosse e l’attività fisica venisse riconosciuta come una terapia, allora il servizio
pubblico dovrebbe fornire questo con un ticket. Allora il paziente paga il ticket come lo
paga per la fisioterapia e può fare attività fisica in palestra, nelle palestre convenzionate
con l’USL o dell’USL. Siccome questo manca ancora ripieghiamo sulle palestre private che
possono andare benissimo, nel senso che hanno professionisti e laureati in medicina
dello sport, ma il costo è decisamente più alto.”
20
2.5 La ripresa dell’attività fisica: cosa si fa, dove si vive
Il luogo dove vivono i pazienti non è considerato argomento particolarmente rilevante
dai medici, mentre è molto articolato nel racconto dei pazienti. I singoli molto motivati
riescono in ogni caso a trovare le soluzioni, ma per molti la logistica e le difficoltà
legate alla gestione del tempo sono fattori limitanti.
“I maggiori ostacoli sono di tipo organizzativo nel senso che i nostri pazienti possono
essere in età lavorativa e quindi devono conciliare la ripresa di un’attività normale che
comprende anche il lavoro con la possibilità di praticare dello sport. Da parte del
paziente c’è un’eccessiva preoccupazione nella possibilità di fare, il programma sport ha
facilitato la comprensione del fatto che questi pazienti possono, più o meno liberamente,
fare un po’ quello che vogliono.”
“Di solito il freno è costituito dalla lontananza del luogo dove effettuare attività fisica.
Perché volendoci una certa regolarità questo presuppone che 2‐3 volte a settimana la
persona possa accedere alla struttura dove lavorano professionisti che conoscono le
criticità delle persone trapiantate. Questa è una criticità perché non tutti abitano in una
località in cui ce n’è una.”
“Se il paziente è determinato a seguire il consiglio di fare dell'attività fisica, trova la
possibilità anche senza avere una palestra vicina. Se il paziente vuole, entra in gioco la
volontà del singolo. Le strutture non possono essere sulla porta di casa. I nostri pazienti
vivono anche in piccoli paesi, in realtà dove strutture sportive importanti non ci sono.
Cosa fanno allora, cercano di trovare delle alternative o si spostano, fanno qualche
chilometro in più.”
Oltre alla differenza fra centri abitati grandi e piccoli, una sostanziale disparità si
verifica fra il nord e il centro/sud dell’Italia: la disponibilità di strutture non è distribuita
in modo omogeneo.
I centri di eccellenza per i trapianti sono concentrati nelle regioni del Nord così come i
medici che afferiscono al progetto “Trapianti e… adesso sport”. I pazienti che abitano
nel Centro e Sud Italia hanno meno accesso al supporto di medici e strutture che
agevolino in modo continuativo la pratica dell’attività controllata. Qui può risultare
difficile anche solo ottenere un certificato medico per fare sport.
Per quanto riguarda l’attività fisica, invece, i medici intervistati ritengono di poter dare
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indicazioni semplici e concrete perché i trapiantati di tutta Italia possano essere
incentivati a fare movimento, indipendentemente dal luogo di residenza.
Dare un’indicazione su cosa fare e con quale intensità è molto importante per i
pazienti, ma spesso non è sufficiente. Certamente le evidenze riportano la maggiore
efficacia dei percorsi seguiti dalla medicina dello sport.
La soluzione proposta, allora, potrebbe essere la prescrizione, affiancata da verifiche
periodiche.
“Per superare le difficoltà legate alla presenza di strutture è comunque possibile fornire
indicazioni pratiche per fare attività fisica anche in assenza di un tutoraggio. In questi
casi possiamo prescrivere un’attività svolta al di fuori delle strutture quindi possiamo dire
‘camminata di 30 minuti 5 volte a settimana’, dicendo e spiegando l’intensità. Questo ci
permette di coinvolgere più persone. A seguito della nostra valutazione facciamo la
prescrizione di un’attività. Individuiamo determinate frequenze e intensità di lavoro e
facciamo delle prescrizioni con durata, intensità e frequenza settimanale. Poi ci teniamo
in contatto con la persona per adeguare il programma alle condizioni del singolo.”
“Io consiglio a tutte le persone che ho intorno di fare movimento, cosa che è estesa a
tutti, comuni, province, regioni. Cosa diversa è conciliare, prescrivere un esercizio fisico
supervisionato, sotto la egida della medicina dello sport e palestre certificate, che
richiede un’organizzazione logistica per cui oggi in Italia, sei o sette regioni ce l'hanno
e le altre no.”
“Il problema più grosso è quello di passare da un setting di cura supervisionato, che in
letteratura internazionale è quello che comporta i migliori risultati a breve, medio e
lungo termine, rispetto ad altri approcci metodologici che prevedono la prescrizione
ma non supervisionata e non in palestra che vada ai pazienti. Le singole
raccomandazioni del tipo "guarda che ti devi muovere un po'" sembrerebbero non
efficaci in questo contesto. Quindi bisognerà individuare nei prossimi anni un passaggio
di setting di trattamento da una supervisionata a una prescritta, verificata
periodicamente presso centri trapianti o strutture correlate con i CT. La supervisionata è
la migliore, ma costa, richiede un entourage organizzativo notevole. Bisogna cercare di
capillarizzare questo attraverso prescrizioni che il paziente può fare a casa, con attività
di tipo aerobico, sempre meglio della sedentarietà che caratterizza questa
popolazione.”
Testata l’efficacia della pratica, i medici sottolineano l’esigenza di passare dalla fase
progettuale a quella programmatica. In base alle evidenze emerse bisognerebbe,
infatti, intraprendere azioni concrete per offrire ai pazienti trapiantati su larga scala
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la possibilità di praticare attività fisica con il supporto del personale medico. Le
soluzioni sono già presenti in alcune realtà come quella dell’Emilia‐Romagna.
“È importante effettuare il passaggio da progetto a programma. Finora il nostro è
stato uno studio sugli effetti che l’attività fisica poteva avere sui trapiantati. I risultati
sono stati ottimi. Abbiamo visto che il metodo funziona, bisogna applicarlo su larga
scala. Ecco allora che in Emilia‐Romagna stiamo introducendo la prescrizione di attività
fisica nei trapiantati in quello che è la normale attività dei centri di medicina dello sport
per cui senza più i vincoli dello studio, però con una libertà di scelte e soprattutto
prevedendo tre percorsi: uno è quello dell’invio in palestra dei soggetti più a rischio e
fragili; un secondo con attività fatte in autonomia per quelle persone per le quali non
esistono quei fattori di rischio e ci siano limitazioni nella disponibilità delle strutture; e un
indirizzo di tipo sportivo, anche agonistico, a quelle persone che vogliono e possono
svolgere attività di sport vero e proprio.”
La frammentazione delle politiche e delle condizioni lavorative nelle varie aree si
manifesta nelle citazioni qui sotto, provenienti da medici di regioni diverse e
fortemente contraddittorie:
“Il nostro malessere è che non possiamo guardare avanti, cioè quello che facciamo viene
fatto sempre con dei finanziamenti che sono molto limitati nel tempo. Ragioniamo a
livello di piano regionale di prevenzione che va dal 2014 al 2018, quindi non possiamo
guardare più avanti del 2018. Quindi in questa situazione abbiamo coinvolto figure
professionali (laureati in scienze motorie) che oggi giorno sono indispensabili però non
possiamo coinvolgerle senza dare uno sbocco nel futuro… Chiediamo di poter contare su
un personale che sia qualificato e che è un plus valore che dobbiamo mantenere.”
“Non vedo un blocco nei confronti delle proposte. Siamo noi che dobbiamo essere
proattivi nelle richieste. La nostra regione sostiene l’attività dei trapianti. Quindi se ci
fosse qualcosa ad un costo non esorbitante non vedo motivazioni per cui non possa
sostenere un progetto del genere.”
2.6 Il contesto sociale e famigliare
Qualità della vita è anche poter tornare a svolgere per quanto possibile tutte le attività
che si praticavano prima del manifestarsi della malattia. Dopo il trapianto, inizia il
percorso di reinserimento nella società, che è diverso da persona a persona e che
cambia nel corso della vita. In questa fase può essere importante trasformare la
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propria esperienza di vita in una testimonianza da portare nelle scuole per
sensibilizzare le nuove generazioni.
“L’ambiente sociale è fondamentale. Distinguiamo gli adolescenti dagli adulti. Per i
primi vale il mondo della scuola. Per gli adulti c’è l’ambiente lavorativo. Quindi diventa
fondamentale fare in modo che il paziente ritorni alla sua attività lavorativa, è un
obiettivo che rientra nel concetto della qualità di vita. Ci sono poi le diverse dinamiche.
La signora che ha fatto la casalinga deve poter tornare a fare la casalinga come prima,
non solo, deve sviluppare delle attività proprie di vita quotidiana che la riportino
possibilmente a una condizione di pre‐malattia. Quando ha decretato la definizione della
qualità della vita, l’OMS ha sottolineato che non è un concetto assoluto, ma relativo a
quelle che sono le aspettative delle singole persone o categorie di persone. Quindi per
noi è importante cercare di far recuperare quello che le persone hanno perso durante
gli anni in cui erano in lista d’attesa a causa della malattia, valutando categoria per
categoria quali sono le necessità per la società e quali sono le necessità personali:
adolescenti, giovani adulti e adulti, maschi e femmine hanno attese diverse. Per gli
anziani, ad esempio, che erano già in fase di pensionamento, chiaramente non è
importante l’inserimento nel mondo del lavoro, ma avere una produttività intellettuale o
cognitiva che gli permetta comunque di vivere bene per altri vent’anni dopo il trapianto.”
“È fondamentale, il recupero della vita di società fatta al di fuori dall'ospedale dopo
tanto tempo, la gente cambia dal giorno alla notte. Poterli aiutare a raggiungere livelli
di integrazione buoni è fondamentale. Noi abbiamo tantissimi volontari che vanno nelle
scuole, portano la loro esperienza, è terapeutico anche per loro perché elaborano ancora
meglio. Bisogna farli raccontare, trasformare il loro messaggio in una speranza, un
messaggio positivo. Il fatto di avere un'invalidità, limita sul mondo del lavoro. Per loro
sono tante le difficoltà, ad esempio per i frequenti rinnovi della patente. Chi non è
autonomo negli spostamenti, muore di inerzia. La cosa fondamentale è dargli la
possibilità di raccontare a diversi livelli. Dal personale medico a chi non sa nulla di
trapianti, come gli studenti di scuola.”
I familiari si confermano essere profondamente implicati nelle dinamiche che
riguardano la salute del paziente e hanno un ruolo determinante dopo l’intervento.
“La famiglia è fondamentale in tutto il percorso. Ci serve molto sia come riferimento che
come sostegno perché si lavora insieme su diversi aspetti. Può essere di sostegno per i
rischi, per i problemi, sull'incoraggiamento. Lavorare con persone sole è molto più
difficile. La famiglia viene coinvolta in tutte le parti del percorso. Si fanno degli incontri e,
quando il paziente entra in lista, viene comunicata anche ai familiari l'esistenza del
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servizio psicologico, in modo che possano sempre fare riferimento a noi per risolvere i
problemi.”
Anche per quanto riguarda la pratica dell’attività fisica, il supporto del gruppo familiare
è determinante per motivare e sostenere i pazienti che a volte faticano a trovare del
tempo per se stessi. La componente culturale è fondamentale, la pratica di attività può
essere ritenuta pericolosa o declassata al livello di sfizio. Per questo è importante
promuovere l’efficacia terapeutica dell’attività sportiva in senso culturale più ampio.
“Il paziente, insieme ai famigliari, tende a credere che l'attività fisica possa comportare
del danno, sia all'organo trapiantato che all'equilibrio ha raggiunto faticosamente nel
contesto di una malattia cronica. Questo è un ostacolo grosso che impatta con un centro
di riferimento trapiantologico che non aiuta particolarmente a cambiare lo stile di vita.”
“La famiglia ha un ruolo importante perché deve sostenere la persona in queste sue
attività e quindi a volte può avere anche un ruolo negativo quando adotta un
atteggiamento troppo protettivo per cui il paziente viene vissuto come malato e delicato.
Però diventa basilare quando il paziente decide di intraprendere un’attività fisica e/o
sportiva per fargli da supporto. Noi abbiamo dei pazienti che fanno le gare di gran fondo
in bicicletta e le famiglie sono sempre presenti. Sono esperienze alle quali partecipa tutta
la famiglia.”
“Poiché fare attività fisica in modo regolare richiede tempo, bisogna che nell’ambito
della famiglia trovino l’aiuto a ritagliarsi momenti per praticare. E soprattutto è
importante che la famiglia capisca l’importanza che questo stile di vita ha nella salute
della persona. Cioè è importante che capisca che non è uno sfizio ma è qualcosa che dà
aiuto al paziente.”
“Il discorso che abbiamo impostato per la cultura dell'attività fisica, che si sta
diffondendo nella popolazione generale, se questa cultura sfocia in comportamenti
corretti, allora anche le famiglie dei trapiantati miglioreranno. Finché non è
completamente così, il ruolo del medico deve compensare. Il movimento è visto come
pericolo se non ci credono.”
25
2.7 Il ruolo delle associazioni
Le associazioni di pazienti hanno un ruolo importante nell’accompagnare i pazienti nel
periodo post‐trapianto da diversi punti di vista: organizzativo (presenza sul territorio,
risorse da occupare in attività ed eventi), consultivo (portano avanti una
comunicazione tra pari evidentemente efficace), del messaggio (possiedono la
competenza derivante dall’esperienza condivisa). Inoltre, le associazioni potrebbero far
pressione a livello politico per il riconoscimento dello sport come terapia non
farmacologica prescrivibile dal sistema sanitario nazionale.
“Le associazioni dei pazienti hanno un ruolo importantissimo perché sono dei veicoli di
promozione perché quando si mobilitano ecco che l’informazione passa e il discorso
dell’attività fisica come strumento di terapia riesce a essere comunicato. Poi
l’associazione è importante per l’aspetto organizzativo cioè il fatto di coinvolgere più
pazienti trapiantati.”
“La trasmissione del messaggio da parte dei pazienti è molto importante. Si potrebbe
addirittura già anticipare il messaggio a chi è in lista e dire ‘guarda che quando verrai
trapiantato non è finita dovrai prendere questi farmaci, fare i controlli e fare attività
fisica per stare bene e mangiare bene’. Quindi i pazienti e le associazioni potrebbero
avere un impatto a livello sociale e politico molto più forte di noi medici. Il politico e
l’Istituzione che si trova a dover decidere di prescrivere l’attività fisica è molto più
sensibile al paziente che a noi professionisti, quindi sarebbe una forza enorme. Con
istituzioni mi riferisco al sistema sanitario e quindi ai governatori del sistema sanitario
che potrebbero modificare a livello regionale soprattutto. Potrebbe essere un’iniziativa a
livello regionale che poi si fa promotrice di questo e porta l’esempio ad altre regioni,
arrivando a inserire nelle prescrizioni del post trapianto l’attività fisica.”
“L’associazione cardio‐trapianti è molto di aiuto anche perché sono abituati a
organizzare due volte all'anno conferenze e piccoli convegni a tema, dove chiamano
relatori esperti, quasi sempre figure mediche e anche psicologi. Si tengono molto
aggiornati e informati, una volta alla settimana vengono per aiutare i nuovi pazienti
trapiantati. Sicuramente per noi è un valido aiuto. Oltretutto è stimolante per loro
perché la stessa associazione li coinvolge, li aiuta ad avvicinarsi al mondo dello sport.
Prendono loro i contatti e motivano il coinvolgimento.”
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2.8 Il ruolo del medico di famiglia
La comunicazione tra centri specialistici e medici di famiglia come attori importanti per
la promozione dell’attività fisica nei pazienti trapiantati presenta ampie aree di
miglioramento. Centrale è la necessità di promuovere una cultura dell’importanza
dell’attività fisica a livello terapeutico. Il medico dovrebbe essere formato e informato
per poter assumere una funzione rafforzativa rispetto al suggerimento di praticare
l’attività fisica che viene dai CT.
“Il medico di famiglia dovrebbe essere importante, però non viene sempre considerato
tale. Il paziente inizia un percorso nel nostro ambito – valutazione, palestra – e il medico
dovrebbe essere messo a conoscenza di questo perché dovrebbe avere anche una
funzione rafforzativa. Se creassimo una rete con i medici di base avremmo un
interlocutore che rafforza quello che diciamo in un ambiente specialistico. Quindi
dovremmo avere un’integrazione più forte con il medico di medicina generale, il quale è
in rapporto con la famiglia. Quindi questo sarebbe il network che dovrebbe crearsi e ora
non c’è.”
“Il medico ha un'importanza notevole. Il problema è che nei tempi che ha a disposizione
deve già guardare i farmaci, la glicemia, non sempre può avere l'attenzione per gli
aspetti dell'attività fisica. Dovrebbe essere preso l'esempio del fumo: come il medico dice
ai suoi pazienti di smettere di fumare, dovrebbe consigliare la pratica dell'attività
fisica.”
2.9 Verso una comunicazione efficace dell’attività fisica
Nella narrazione mirata alla promozione dell’attività fisica che vede coinvolti medici,
cittadini con trapianto, famiglie e associazioni, gli elementi emersi finora non mostrano
specifici aspetti innovativi, ma di certo permettono di inquadrare l’argomento in modo
organico, utile a sviluppare una strategia di comunicazione efficace.
E proprio su questo si è concentrata l’ultima parte delle interviste.
I risultati si articolano su diversi livelli, a partire dal fatto che la buona comunicazione
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parte dal dialogo che si sviluppa dall’interno delle equipe mediche che seguono i
pazienti.
Si mostrano più problematici gli aspetti che riguardano la comunicazione nella
comunità medica più ampia, dove ancora manca una visione culturale diffusa su
trapianti e attività fisica. O forse, meglio, manca l’abitudine del medico di
raccomandare l’attività fisica come forma di vera e propria terapia.
Infine, le parole‐chiave emerse alla domanda “Qual è il messaggio principale da
veicolare per promuovere l’attività fisica?” mostrano una grandissima variabilità da
medico a medico, e dai medici alla psicologa intervistata.
Questo accade perché accanto all’importanza di tenere in considerazione la
soggettività del paziente, non bisogna dimenticare la soggettività dei caregivers, medici
specialisti e famiglie inclusi.
D’altra parte, se le loro esperienze singole riescono a confluire in una storia comune,
l’efficacia della comunicazione sarà rafforzata. I risultati di questa ricerca dovrebbero a
nostro parere essere promossi non solo tra i pazienti per incoraggiare la loro attività,
ma anche fra i caregiver stessi.
2.9.1 La comunità medica: istituzioni e lavoro di gruppo
“La comunicazione interna e la sensibilizzazione tra equipe e tra vari gruppi di ricerca sta
progressivamente migliorando, anche in relazione ai buoni risultati raggiunti dai pazienti
e alla sensibilizzazione della comunità scientifica.”
La promozione di stili di vita corretti nei pazienti trapiantati parte dal lavoro
dell’equipe che li segue. Se la comunicazione interna al gruppo è efficiente, anche
l’aderenza a pratiche come l’attività fisica mostra di avere più successo. Questo vale
per tutti coloro che partecipano al processo di cura e recupero: medici, infermieri,
psicologi, famigliari e associazioni: la catena degli attori.
Il punto di partenza si trova a livello strutturale nella collaborazione fra centri trapianti
e centri di medicina dello sport ed è la base sulla quale costruire il concetto di attività
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fisica come cura e quindi poterla promuovere diffusamente attraverso lo sviluppo di
reti, metodi di valutazione e rafforzamento delle linee guida:
“Quello che abbiamo fatto per facilitare, in questi anni, è creare collaborazioni fra centri
trapianti e centri di medicina dello sport, come misura strutturale. Questo modello è
sicuramente interessante e da ampliare alla scala nazionale.”
“Forse un domani dare anche negli audit del CNT un punteggio relativo a quello che il
CT ha fatto per impostare una rete organizzativa per facilitare l'attività fisica sul
territorio potrebbe essere un vantaggio. È altrettanto chiaro che non è il medico
trapiantologo che deve prescrivere l'attività fisica, i banali consigli di cercare di fare
movimento devono essere poi osservati in un protocollo, accanto a tutti gli altri
parametri e le problematiche che purtroppo ci possono essere.”
“Bisogna lavorare sulle linee guida, che devono diventare ancora più stringenti in questo
ambito. Se un domani la cultura sfonda, non è escluso che si possano fare anche nei
controlli sull’attività fisica al pari di quelli che si fanno regolarmente presso i centri
trapianti. Oltre alla pressione e alla frequenza cardiaca si potrà valutare anche il livello
dell'attività fisica che si fa. Oggi non ci siamo ancora, ma può essere uno strumento,
anche per il CNT, per valutare l'aderenza e l'indicazione alle linee guida più avanzate su
questo.”
Sempre a livello strutturale, un argomento fondamentale è quello dell’integrazione fra
gli esperti delle diverse discipline: la condivisione delle conoscenze assicura infatti
l’efficacia della comunicazione interna e tutta la filiera ne trae vantaggio. L’ostacolo
maggiore, così come avviene in tutti gli ambiti complessi, riguarda la buona riuscita di
una vera e propria condivisione. “Il messaggio deve essere uniforme”:
“La gestione del trapiantato deve essere multidisciplinare, quindi l’integrazione deve
essere prima tra specialisti, cioè tra diverse discipline. È impensabile ritenere che solo
uno specialista sia in grado di gestire il post trapianto. È importante credere
nell’integrazione delle diverse discipline: chirurgo, nefrologo, cardiologo, anestesista. “
“Poi se arriviamo alla nostra, quella che chiamiamo epatologo dei trapianti, e le sarei
grata se riportasse questo nome, ha questo compito di integrare se stesso come
disciplina con le altre discipline. Ogni medico comunica nel suo modo, però il messaggio
deve essere uniforme. Certo costa fatica perché vuol dire che ognuno deve lavorare per
se stesso, riportare al gruppo quello che fa, ridiscutere alcune metodologie, elaborare
documenti.”
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Si arriva qui al ruolo di coordinamento, mediazione, comunicazione istituzionale che il
CNT svolge e che ha bisogno di sostegno, conoscenza e attività di comunicazione
capillare su tutto il territorio nazionale:
“Il mezzo più efficace secondo me è una sinergia di tutti gli operatori e professionisti
coinvolti nella gestione di questi pazienti. Cioè se il messaggio che parte dal centro
nazionale trapianti, viene ribadito dal centro di medicina dello sport, questo è basilare.
Ha autorevolezza se a me paziente viene detto dal CNT e ribadito dal centro medicina
dello sport. Quindi l’autorevolezza del CNT che ti dice ‘con l’attività puoi ridurre gli effetti
negativi dei farmaci, vedrai che starai meglio,’ allora il paziente trova nel CNT
un’istituzione che crede in queste attività per cui una sua azione ce l’ha, nel vedere
come si impegna, come si organizza (manifestazioni), che sia presente nei giochi
nazionali dei trapiantati.”
“E ci sono differenze tra pazienti provenienti da centri trapianto diversi. Pensi che molti
pazienti si sono accostati all’attività fisica per sentito dire. Pazienti che parlando con
l’associazione hanno sentito parlare del progetto ‘Trapianti… e allora sport’, lo hanno
detto al centro trapianti di riferimento che solo in questo modo ne è venuto a
conoscenza.”
2.9.2 La comunicazione verso il paziente: mezzi e luoghi
Alla domanda “Quali sono i mezzi più efficaci per promuovere l'attività fisica nei
pazienti che hanno avuto un trapianto?”, le risposte sono molto varie a seconda di:
momento del percorso clinico già da prima del trapianto è necessario preparare
il paziente a cosa verrà dopo attraverso il rapporto face‐to face
stato psicologico i pazienti necessitano di comunicazione prima di tutto chiara,
priva di evocazioni e simbolismi e basata su metafore
background culturale per comprendere la varietà di fasce di età ed esperienze di
vita diverse, bisogna adottare modalità di comunicazione miste, dal face‐to‐face
con gli esperti nel primo anno, fino a strumenti cartacei ed elettronici che veicolino
tutti lo stesso messaggio di efficacia dell’attività fisica.
“Senza dubbio la comunicazione frontale, nel breve periodo, è il momento in cui
30
esprimere dubbi, paure e, dal mio punto di vista, la possibilità di spiegare a fondo cosa
significa fare attività fisica e dare tempo di acquisire l'importanza della pratica fisica.”
“Anche un discorso di più stretta comunicazione è quello della brochure dove dare
indicazioni specifiche su ogni ambito per chi si trova nella loro situazione. Per loro è
importantissimo perché la traccia negativa che lascia la malattia li frena nel riprendere
coraggio. Loro vengono da un'esperienza che li ha fatti stare sul filo. Dopo sono molto
più protetti sia dalla famiglia sia da loro stessi. Fanno le cose se vengono rassicurati con
chiarezza e hanno risposte a tutti i loro dubbi: solo allora si mettono in gioco.”
“Nella mia palestra cambiano dei nomi scritti in grande sul muro così che ogni volta ci
sia un messaggio. Come una volta c’era ‘ogni scusa è buona’ e mi è rimasta impressa.
Bisogna trovare qualcosa, a mio avviso, non soltanto di comunicazione verbale. Il
volantino con tante informazioni forse resta al 20%. Quindi farei un cartoncino con una
scritta, come mettono i nostri istruttori per noi che ogni volta troviamo una scusa. Una
parola sul cartoncino da consegnare al paziente.”
I luoghi e mezzi privilegiati dove diffondere l’informazione sono variabili a seconda
dell’età e della fascia culturale dei pazienti, dalle sale di attesa, ai siti web, alle
applicazioni per smartphone:
“Le sale di attesa sono un ricettacolo di informazioni che possono essere sia positive che
negative. Sicuramente lo spirito giusto di un gruppo si vede anche in una sala d'attesa. È
questa la comunicazione in cui il paziente crede di più.”
“Può essere importante avere applicazioni che misurino la capacità del soggetto a
intraprendere questa attività, ma soprattutto possono essere strumenti che lo
incoraggiano a mettere in pratica quello che gli è stato consigliato. Inoltre, attraverso il
monitoraggio che si può fare attraverso queste applicazioni possiamo passare da un
monitoraggio del paziente che va oltre ai questionari che gli si sottopongono ai
controlli, molto meno efficaci; in secondo luogo sono di stimolo perché si vedono i
progressi in diretta, ci si sente monitorati e controllati.”
“Prendendo il CNT come fonte di informazione migliore, un sito di informazione può
essere bene per alcuni pazienti, ma insieme a materiale informativo cartaceo e alla
pubblicità in TV e alla stampa locale. Questi ultimi mezzi funzionano molto soprattutto
per i pazienti più avanti con l’età, più che dirgli di guardare un sito o dargli il fogliettino
informativo. Sono quasi tutti pazienti sopra i 55 anni e trapiantiamo fino ai 70.”
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Questi dati sono da incrociare con i dati che riguardano la penetrazione degli strumenti
di comunicazione nella popolazione.
Nel leggere i discorsi dei pazienti e dei medici sui mezzi che meglio si adattano alla promozione dell’AF nella particolare fascia di pubblico che sono i cittadini con trapianto, è bene infatti tenere conto di alcuni dati sull’utilizzo di computer e smartphone come veicoli di contenuti. Come emerge dai dati riassunti qui di seguito, la penetrazione di questi strumenti, nelle diverse fasce di età, richiama la necessità di mantenere attivi sia strumenti in presenza, come il dialogo diretto con i medici (che a sua volta richiama la necessità di costruire politiche di formazione e scambio continuo); sia minimi supporti cartacei da garantire presso i CT e le sale di attesa in particolare; sia occasioni di promozione in TV. La comunicazione via internet si mostra in crescita in tutte le famiglie italiane. È quindi necessario costruire una comunicazione differenziata nei mezzi e coerente nel messaggio. In questo senso, la costruzione di “rime” narrative da sviluppare in racconti adatti ai diversi mezzi è fondamentale. Secondo l’ultimo rapporto ISTAT su “Cittadini e nuove tecnologie” (2014):
il bene tecnologico maggiormente posseduto è il cellulare (93,6% sull’intera popolazione)
ha accesso a Internet il 64% della popolazione, con una sostanziale differenza fra le diverse fasce di età:
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Secondo il rapporto citato: “il web si sta trasformando sempre più̀ in una piattaforma applicativa condivisa, dove le informazioni possono essere non solo distribuite ma anche create ed elaborate collettivamente. Rispetto al 2013 cresce l’uso del wiki per ottenere informazioni su qualsiasi argomento (dal 58,7% al 60,8%) mentre decresce la consultazione di siti o di pagine web per avere informazioni su merci o servizi (dal 58% al 51,7%) o per cercare informazioni sanitarie (dal 49,6% al 42%). Considerando l’età degli utenti, l’uso del wiki prevale nelle fasce giovanili di 15‐24 anni, anche se incrementi consistenti si sono registrati nella fascia di età più adulta dei 35‐44enni (+2,9 punti percentuali)”.
A questo dato è da aggiungere quello sul mezzo attraverso il quale si accede a internet e ai suoi servizi. Il più recente Eurobarometro sull’argomento (Special Eurobarometer 423. Cybersecurity, 2015 – dati 2014) riporta una notevolissima percentuale nell’utilizzo degli smartphone (68% in Italia, con una crescita del 41% rispetto al 2013).
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2.9.3 Incentivare la pratica dell’attività fisica, elementi di contenuto
Ai medici intervistati è stato richiesto di immergersi in una situazione fittizia, nella
quale l’intervistatrice è una paziente trapiantata ostile all’attività fisica e che deve
essere incoraggiata a intraprenderla.
Emergono discorsi molto diversi l’uno dall’altro, una varietà di soluzioni che testimonia
la possibilità di approcci e soluzioni di grandissima utilità per estrarre gli elementi del
racconto che verranno poi tradotti in prodotti di comunicazione.
I principali elementi di contenuto sono:
La quotidianità
“Tutti gli aspetti della quotidianità, della vita sociale del paziente, della ripresa del
lavoro e del movimento fisico devono essere spigati, collocati nella giornata. All'inizio i
pazienti sono trattenuti dal fatto di non esagerare perché ancora timorosi, quando la
traccia della malattia è molto viva, ma se li si aiuta, prendono fiducia e coraggio e fanno
tutto, basta lavorarci insieme.”
“Le chiederei come si sente durante il giorno, quanto attiva è, se esce, si muove o se sta a
casa in divano. Comincio dallo stato di salute e dal sapere cosa fa il paziente durante il
giorno, come si sente, come va. ‘signora ha preso un po’ di peso? Mi raccomando che
non va bene dopo il trapianto, infatti dall’ecografia si vede che il fegato è un po’ grasso,
questo può alterare la sua funzione’. Poi consiglierei di andare fuori, fare delle
passeggiate. Qualche volta glielo scrivo. Qualche volta prescrivo ‘esercizio
cardiovascolare con frequenza 60‐70% 3‐4 volte a settimana quaranta minuti’, poi
spiego.”
“Attività fisica non è andare in palestra, non voglio mandarti in palestra perché magari
hai dei figli, una famiglia, hai mancanza di tempo sei tornata nella vita di tutti i giorni.
Però bisogna che tu in questa tua giornata ti ritagli una mezz’ora di tempo per fare
attività fisica.”
Il farmaco buono
“L’attività fisica è uno stile di vita che è basilare per mantenere uno stato di salute sia
nella persona normale e ancora di più nel paziente trapiantato che ha un rischio
maggiore di contrarre delle complicanze di tipo cardiovascolare.”
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“Il punto sul quale batterei molto è il fatto che tutte le medicine che stai prendendo ti
aiutano nell’evitare il rigetto. Sono medicine che dovrai prendere per tutta la vita ma,
come tutte le medicine, hanno effetti collaterali anche molto seri che possono portarti
alle modificazioni del tuo assetto che diventano un grosso rischio cardiovascolare. Se
vuoi far sì che questi effetti siano ridotti il più possibile devi fare attività fisica di tipo
regolare.”
La presentazione di modelli
“Inizialmente le spiegherei tutti i benefici di questo in maniera chiara. Una volta che
vedo che la resistenza rimane, la porterei a vedere come altri hanno fatto un percorso
virtuoso. Vedendo altri che hanno fatto lo stesso tipo di percorso di cura i pazienti si
rassicurano.”
La provocazione
“Che lei ha deciso di correre un rischio importante che andava corso perché bisognava
risolvere un problema gravissimo, che è fortunata perché non tutti riescono ad avere
quest’opportunità e che per una questione solo di suo interesse deve riprendersi la sua
vita normale perché altrimenti non avrebbe avuto senso fare tutto quello che è stato
fatto.”
“Ha fatto tanto finora, lei sa quello che ha passato, cerchiamo di non rovinare il fegato
nuovo.”
La possibilità di fare quello che prima non si poteva
“Poi ci sono altri vantaggi, che forse sono anche più immediati per il paziente: il paziente
sta meglio, aumenta l’autostima. Ci sono pazienti che, nella stragrande maggioranza dei
casi, arrivano da anni e anni di malattia che li ha costretti a una vita che dal punto di
vista dell’attività fisica ne era completamente priva. Per cui il praticare attività fisica è
fare cose che prima non si potevano fare.”
La salute a partire dai dati. E dal crederci
“Le mostro i suoi esami e le dico che se riesco a farla muovere posso migliorare
determinati parametri che riguardano il suo rene, la sua qualità di vita, cerco di farla
parlare con persone che credono in questo e che lo fanno già. Però lottiamo tutti i
giorni con pazienti che non fanno quello che viene consigliato. Si parte dai dati, si parla
di dati oggettivi. Le dico: guarda che questo in letteratura mondiale si correla con uno
stato di salute e benessere generale così.”
Fit‐Tracker
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“Ci sono delle applicazioni per il conteggio calorico, per i conta passi, i tracker da
utilizzare per le persone non sportive che vogliono fare attività fisica. Potresti dirgli ‘noi
abbiamo un progetto, ti diamo il fit‐tracker, guarda quanto potrebbe essere una buona
idea per quelle persone che possono usare questi strumenti’. Potrebbe essere utile.”
Il medico comunica il miglioramento
“Bisogna comunicare il miglioramento, non lasciare che siano i pazienti da soli a vedere
che stanno migliorando. gli specialisti glielo devono spiegare.”
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3. Risultati: il punto di vista dei pazienti
Dopo il trapianto i pazienti sono sottoposti a terapie farmacologiche e controlli
costanti. Gestire il post‐trapianto richiede un impegno importante anche sotto il
profilo psicologico. Accettare la donazione di un organo è complesso.
Nello schema interpretativo che guida la lettura dei risultati delle interviste ai pazienti,
il fattore motivazione, radicato proprio sul piano psicologico, è stato collocato
all’esterno delle cinque caselle che servono a suddividere gli elementi della narrazione
su trapianti e attività fisica.
Questa scelta e le diverse modifiche fatte allo schema interpretativo stesso nel corso
della creazione del data set dei pazienti sono il frutto dell’elaborazione dei dati raccolti
durante le interviste ai medici e, in particolare, durante l’intervista alla psicologa.
L’elemento motivazionale è stato approfondito durante tutto il corso delle interviste.
In particolare, emerge nella fase “di riscaldamento”, a inizio dei colloqui, nella fase che
abbiamo chiamato “stare bene dopo il trapianto” e che si è tradotta nella domanda
“mi dica tre cose che fa per mantenersi in salute”.
Inoltre, il fattore motivazionale è stato approfondito attraverso le domande riguardanti
i benefici derivanti dall’attività fisica e in quelle che riguardano il messaggio che gli
intervistati considerano importante per promuovere l’attività fisica nelle persone che
come loro devono affrontare o hanno appena affrontato il trapianto.
Cominciamo dall’analisi della prima domanda “di riscaldamento”.
3.1 L’esperienza dei pazienti: mantenersi in salute dopo il trapianto
“Il paziente trapiantato ha mille sfaccettature, nel senso che io mi reputo fortunata
perché ho una bella famiglia, un bel lavoro, un insieme di cose che mi realizzano. Ma c'è
gente che ha grandi problemi. Ecco a livello psicologico non sono caduta in depressione,
ma conosco tanta gente che lo è. Ogni trapiantato ha una storia alle spalle, ha un
contatto con il trapianto diverso. Perché non è facile accettare il trapianto, è una cosa
bellissima però è difficile da gestire. Io un giorno ero con le mie colleghe, stavamo
scherzando 'eh attenzione, attenzione siamo solo femmine', e io dico 'attenzione
attenzione siamo … (incomprensibile ma riferito al trapianto)' quindi ci scherzavo su.
Però ho visto che la cosa le ha un po’ scosse, quindi si figuri e loro sapevano benissimo
che sono trapiantata. Però questa cosa le ha stranite…” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
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“Anche perché psicologicamente è forte avere un trapianto, non è una cosa così che si
dice ‘faccio il trapianto e sto bene’. Devi accettarlo anche mentalmente. All’inizio io non
lo accettavo perché pensavo a quest’organo estraneo che avevo dentro. Poi con l’aiuto
del dott. Volpe, numero uno per me perché è stato un aiuto psicologico, si sedeva sul mio
letto e diceva ‘lei sta bene, lei deve uscire perché lei è stata incinta. Quando aveva suo
figlio se lo sentiva suo, e così deve sentirsi l’organo’. E oggi dico che è stato un angelo dal
cielo che mi ha fatto stare bene. Poi anche qui a Canicattì ho avuto l’aiuto psicologico del
mio patologo che mi diceva ‘signora lei ce la farà, starà bene’. Io grazie a Dio sto bene.
Oggi sono diventata nonna, faccio qualunque cosa: vado al mare, tutto, vado a ballare,
non ho problemi di niente. Il decorso è stato difficile, però poi è andato tutto bene.”
(15_Fegato_51‐70_D_Sud)
Alimentazione e movimento sono i fattori citati quando si parla di cosa bisogna fare
per mantenersi in forma dopo l’intervento. Accanto alla consapevolezza condivisa
dell’importanza attribuita a questi fattori emergono il senso di soddisfazione o
sconfitta in relazione a ciò che il paziente riesce a fare.
“Mangiare bene, bere molto e fare movimento, attività fisica, che sono poi l’abc del vivere bene di qualsiasi persona.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
“Sto attento un po’ a mangiare a bere, un po’ a tutto ecco. Si adesso mi hanno messo
anche un po’ a dieta perché sto ingrassando un po’ troppo. Sono un pensionato ma ogni
tanto faccio qualcosa, faccio il lavoro nelle vigne così per passare un po’ di tempo.”
(4_Rene_51‐70_U_Nord)
“Partiamo dal presupposto che non seguo alla lettera le cose che dovrei fare. So che
sbaglio però cerco un po’ di non farmene troppo appesantire la cosa, la condizione. So
che c’è gente che prende la cosa molto rigidamente e seriamente. Io non è che la prendo
alla leggera però comunque cerco ogni tanto di togliermi qualche sfizio. Comunque
sicuramente le cose principali sono il mangiare bene, il mangiare giusto, gli alimenti che
servono…” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
“Faccio pilates due volte la settimana, giocavo a tennis ma recentemente ho un po’
rallentato. Però le premetto che oltre al trapianto sono stata operata di laparocele e
questo un pochino mi limita di più rispetto al trapianto… Naturalmente evito gli sport
traumatici, ho sempre sciato ma adesso evito comunque. Poi vado a camminare tutti i
giorni, non credo sia considerato uno sport. Poi nuoto ma non in piscina per il problema
delle infezioni, quindi evito le piscine.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
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La struttura psichica del paziente ha un ruolo determinante rispetto alla capacità di
rispondere in modo positivo all’esperienza di vita della malattia. La possibilità di
tornare a un’esperienza di vita completa incide qualitativamente sul suo mondo
interiore e in questo senso il recupero dell’attività lavorativa ha un ruolo molto
importante.
“Ho dovuto usufruire della legge del prepensionamento. Lo Stato aiuta perché ti dà il
bonus per andare in pensione prima, ma non lavorare più, essere inattivo è terribile.
Anche se hai un figlio che ha un’attività commerciale non lo puoi aiutare perché ti fanno
una multa. Non posso nemmeno lavorare in una onlus. Fare volontariato.
Psicologicamente sarebbe un toccasana.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)
“Sarà sfortuna ma ho trovato sempre dei diffidenti perché dicono ‘tu non sei al cento per
cento quindi non mi puoi rendere come uno che mi sta bene. Non sei sempre disponibile
perché magari hai visite, controlli, stai un po’ male ogni tanto.” (17 Cuore_51‐
70_U_Centro)
3.2 “Muoversi” – significati, valori nell’esperienza dei pazienti
L’argomento dell’attività fisica per ciò che riguarda il suo significato calato
nell’esperienza dei pazienti, in termini di conoscenza e valori è stato indagato
chiedendo loro cosa significa fare sport e cosa praticare attività fisica.
Mettendo a confronto le risposte di tutti gli intervistati, la distinzione tra le due
pratiche emerge in maniera piuttosto chiara. In modo altrettanto evidente affiora un
punto comune tra sport e attività fisica ed è rappresentato dal beneficio che si ottiene
quando si riesce a fare movimento.
Sport e attività fisica
La differenza appare chiara ai pazienti, che confermano di essere più propensi all’AF
che allo “sport”.
“Fare attività fisica e sport sono cose diverse. Devo fare attività fisica per tenere l’organo
allenato. Continuo a fare sci da fondo ed escursionistico, ma sempre in compagnia di
amici perché da solo non vado.” (17 Cuore_51‐70_U_Centro)
“Fare sport mi viene in mente una società sportiva, un gruppo di persone, mentre fare
attività è più facile pensare al singolo che fa qualcosa.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)
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“Fare sport ha significato sempre sport a livello agonistico. Attività fisica è attività per
cercare di mantenere un po’ in forma il corpo ma nient'altro.” (6_Rene_51‐70_U_Sud)
Il lavoro come attività fisica
Avere svolto lavori pesanti prima del trapianto, in professioni come il muratore e la casalinga, vale come attività fisica “reale” secondo i rispondenti.
Benefici
I maggiori benefici si trovano nell’area del benessere più che della salute. Fare
movimento è sentirsi bene con sé stessi, “normali”:
“Fare sport significa stare bene con me stessa e con gli altri. Unita al movimento e quindi
lo scarico di tensione ecc.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
“Al di là per la salute, fare sport vuol dire anche stare bene con se stessi.” (18_Cuore_31‐
50_D_Nord)
“…Un rapporto solo con me stessa e la natura, non con gli altri. Ho bisogno di staccare
dagli altri, ho bisogno di un momento con me stessa. Ho bisogno di fare qualcosa per me
e con me, avere un momento solo per me.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
“Quando faccio attività fisica, nonostante tutta la fatica e il soffrire facendo determinati
esercizi, ad esempio in palestra, una volta che finisco torno a casa e mi sento bene e
appagato sia dal punto di vista fisico che morale.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
“Ti senti proprio in forma. Un esempio stupido di oggi: sono andato in un negozio dove
c’erano due rampe di scale. Le ho fatte senza problemi e il ragazzo che era con me aveva
il fiatone.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord)
“Benefici fisici sinceramente… sono più mentali i benefici. Cioè io dallo sport traggo
beneficio mentale, nel senso che mi sfogo, mi piace farlo. Mi dà sensazioni positive”.
(8_Rene_51‐70_D_Nord)
“Intanto a livello di ripresa di tono muscolare, di fiato. E poi soprattutto a livello
psicologico, mi sono risentito una persona quasi normale. Il mio desiderio forse era
determinato da voler tornare come prima, alla normalità”.(13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
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3.3 Cosa fanno i pazienti prima e dopo il trapianto
La propensione allo sport si conferma molto legata alle abitudini che il paziente aveva
prima della malattia. L’attività fisica più praticata è il camminare. La propensione al
muoversi è spesso associata alla pratica di hobby.
“Adesso che ho il bambino corro tutto il giorno perché è nella fase del camminare, del
correre… Dopo il trapianto la vita sicuramente è migliorata perché ho quattro rampe di
scale per arrivare a casa e se prima le facevo in due volte, ora le faccio anche con le
borse della spesa. Si andava in montagna, poi sono rimasta incinta, nel 2014, quindi le
camminate in montagna sono diminuite perché non è che vai con un bambino di due
anni, però io sono sempre stata sportiva.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
“Ho ricominciato con la bicicletta subito. Andavo in bicicletta anche prima di fare il
trapianto e non stavo bene… però ripeto quella più che sport era attività. La usavo per
fare un giretto, per fare movimento. E poi (dopo il trapianto) piano piano sempre con la
bicicletta. E poi ho voluto iniziare a correre e piano piano ho fatto prima piccole parti del
lungo mare, poi sempre di più finché sono riuscito a farlo tutto intero. Poi mi sono
comprato la bici da corsa per andare anche sulle colline del paese.” (14_Fegato_18‐
30_U_Nord)
“Onestamente ostacoli non ne ho avuti. Al di là che sono sempre stato uno sportivo,
quindi nella mia testa è sempre stata un’attività ricreativa di mia preferenza.
Naturalmente dopo il trapianto ero debilitato e mentre nella testa pensavo di poter
riprendere più velocemente mi sono accorto che dovevo andare un po’ più calmo. Però è
stata l’unica cosa. E poi lo sport è attività sana, fa bene allo spirito, all’animo. Poi se
alcune persone non sono mai state sportive, o qualcuno è obeso o non ama la fatica,
sono casi che esistono ma non è il mio. (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
“Devo farla come profilassi, abitudine consigliata dopo il trapianto. Prima non ne
facevo perché lavoravo ed ero troppo impegnato. Ora faccio un’ora di tappeto al
giorno. Invece altri giorni faccio bicicletta e quando il tempo è bello faccio passeggiate a
passo svelto. Fare sport è farlo con passione, fare cose che si sono sempre
desiderate.”(17 Cuore_51‐70_U_Centro)
“Durante la giornata, siccome mi hanno regalato un cane, lo porto a passeggio. E’
questo il mio passatempo. Lo porto in giro. Camminate lunghe assai. Non mi stanco. E
poi lavoro, mi accompagna mio padre in macchina. Le camminate le faccio certe volte
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con il cane e certe volte con gli amici. Poi amo il mare, ma non nuoto molto.”
(16_Cuore_18‐30_U_Sud)
“Ma io essendo che mi muovo a casa, mi sento sempre con energia. Anche ho una
casetta in campagna, impasto, faccio il pane, le pizze, mi piace. All’inizio del trapianto ho
avuto problemi alle gambe, poi però mi sono ripresa bene.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)
3.4 Gli ostacoli alla pratica dell’attività fisica In fase spontanea, i maggiori ostacoli individuati dagli intervistati si raccolgono in quattro aree principali, correlate fra di loro. Blocco interiore I primi ad emergere sono gli ostacoli di tipo psicologico, l’atteggiamento difficile da modificare, ma interessante dal punto di vista della costruzione del messaggio da veicolare per incoraggiare i pazienti. Nonostante il nostro campione non sia significativo e possa soltanto indicare una tendenza nella popolazione dei cittadini trapiantati, i meno motivati a causa di un “blocco interiore” e di una mancanza profonda di motivazione, addirittura con radici “genetiche” (“non è nel mio DNA”), sembra che siano soprattutto i rispondenti più anziani e comunque chi abita al Sud, senza differenze rilevanti fra uomini e donne.
“Un ostacolo può essere una sorta di blocco interiore nella persona, ed è forse il più grande ostacolo. Anche come ti senti in quel momento, come stai.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Fisicamente si sta bene ma magari qualcosa rimane. Gli ostacoli possono essere solo quelli. Ci si lascia andare psicologicamente, ‘non ce la faccio’, ci si lascia andare con la mente. L’apatia di una persona.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)
“Comunque lo sport secondo me giova moltissimo perché fa circolare il sangue. Solo che non me la sento, è inutile. Io me ne accorgo subito quando sto fermo il diabete mi va su, invece camminando mi si abbassa notevolmente. Allora dovrei fare nuoto, adesso che è estate, ho la barchetta. Ma tutti gli sport vanno bene, solo che bisogna metterli in pratica, solo che manca l’input.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord)
“È più a livello psichico. Certo gli immunosoppressori sono pesanti ma è più a livello psichico.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
“Il nefrologo mi aveva detto appena trapiantata la prima volta, nella primissima visita di controllo ‘guarda per te andrebbe benissimo fare ginnastica’. Anche perché a causa del
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cortisone ci si gonfia. E allora io dicevo ‘sto peso, mi pesa, l’unica è andare a fare ginnastica’. Però tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “No, non mi piace. Solo a piedi. Il medico mi dice di fare tranquillamente ma a me non va tanto.” (16_Cuore_18‐30_U_Sud) “Se io avessi avuto per la testa di fare attività fisica mi sarebbe giovato tanto è solo che sono un po’ poltrone. Infatti ogni volta che vado dal dottore mi dice sempre ‘cammina cammina’ e poi esco fuori e non cammino più. Mi ha detto ‘ma non lo vedi che pancia hai?’ E allora cosa devo fare. Piuttosto mi tengo la pancia.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord) “Il mio medico me l’ha detto un sacco di volte ‘vada in palestra’ perché sono ingrassata un po’ anche a causa dei farmaci. Purtroppo dopo il trapianto ho preso qualche chilo ma sono i farmaci, non ci posso fare niente.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) “Non è nel mio DNA.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord)
L’età Il secondo fattore evidentemente discriminante è l’età, non soltanto per gli intervistati più anziani, ma anche per i giovani che hanno conosciuto altre persone con trapianto nella fase più vicina all’evento e sottolineano loro stessi questo fattore. Si tratta insomma di un fattore non modificabile, ma sopravvalutato alla luce delle evidenze scientifiche. Io non rischio (di più) Il terzo gruppo di ostacoli risiede nella paura di incorrere in incidenti, limitatamente ad alcune attività. Anche in questo caso, l’esperienza del singolo e soprattutto l’abitudine precedente a praticare una determinata attività fisica giocano un ruolo rilevante.
“Quello che non riesco a fare come sport perché ho paura delle cadute è la bicicletta, di rompermi il femore. Può avvenire anche con lo sci di fondo ma in quello riesco a livello psicologico. Dopo una malattia entriamo tutti in un’altra fase. Quello che succede a una persona “normale”, dopo un trapianto diventa tutto più complicato. Aspetto che ci siano belle giornate, senza vento. Altrimenti non vado. Qualsiasi raffreddore spaventa e non c’è molta forza come prima.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Avrei la bicicletta ma non mi fido in paese perché sono dei guidatori selvaggi.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Fondamentalmente la variazione della terapia nel caso dover essere operata… La variazione della terapia non è mai una bella cosa. Non sono sicura ma mi sembra di aver capito che nel momento in cui vai a variare la terapia rischi anche, ci sono dei rischi concreti, quindi questo si mi blocca. Non farei mai sport traumatici per mettermi a rischio. La piscina loro mi hanno detto che dal punto di vista igienico non è indicata quindi la evito.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
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“So che ho un organo che mi garantisce al 90 per cento una vita degna di essere vissuta, so quanto ho penato per averlo... La bicicletta stessa, può provocare irritazione. C'è un insieme di cose che non fai.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
“A me è successo quando ero molto giovane, avevo 25 anni. Magari una persona di una certa età, non intendo per forza anziana. Uno che ha 45‐50 anni con una famiglia non va a rischiare. A me hanno sempre detto ‘mi raccomando, non cadere’. Può succedere, però a 30 anni sono solo e non mi voglio chiudere in casa. Una persona, invece, che ha 10‐15 anni più di me dice ‘chi me lo fa fare a rischiare’.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Sono stata leggermente più sfortunata, o fortunata, sono stata trapiantata abbastanza giovane. Io vedo che ci sono molte persone che non hanno la mia età, che sono un po’ più anziane quindi lì secondo me diventa più complicato.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Uno scopo nella vita Infine, più complesso è il legame fra lo stato emotivo e di salute che può frenare l’attività fisica e gli aspetti sociali che influiscono sulla vita dei pazienti quali l’inattività lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al benessere e richiama negli intervistati la necessità, da parte delle istituzioni, di investire su questo fattore. Ancora una volta, questo dato viene sottolineato da due pazienti del Centro‐Sud.
“Sono d'accordo sulla necessità di fare attività fisica, anche se penso che un trapiantato dovrebbe prima avere il lavoro, essere impegnato con qualcosa. Perché moltissimi non hanno uno scopo nella vita. Se hanno uno scopo nella vita allora l'attività fisica è la ciliegina, può completare la cosa. Certo lo sport aiuta moltissimo a tornare a essere se stessi però è essenziale il lavoro o comunque uno scopo reale.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
3.4.1 Ostacoli clinici Gli ostacoli clinici dichiarati dai pazienti con trapianto sono quelli elencati dai medici. Nel racconto dei primi, però, la contestualizzazione nella vita privata produce una narrazione che aiuta a intravedere soluzioni e a raccontarle con le loro stesse parole. I gruppi di ostacoli clinici individuati sono tre: Effetti delle cure e stanchezza In questo gruppo rientrano gli effetti dei farmaci che sono fra le ragioni sostanziali della nostra ricerca: se da una parte vi è la necessità di mitigare gli effetti secondari delle medicine assunte dai pazienti trapiantati, dall’altra le loro controindicazioni sono dichiarate essere la causa del non‐fare attività fisica. La conseguenza più marcata, unitamente allo stile di vita dovuto alla routine quotidiana e agli impegni è la stanchezza:
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“L’unico ostacolo che mi viene in mente è alcune volte la pigrizia dettata dalla fatica. Magari visto che tra le varie cose della malattia c’è un’anemia di sottofondo che porta a una fatica… e questo a volte magari abbassa un po’ lo stimolo a fare qualcosa. Quando però si riesce a superare questa cosa si può entrare in un’abitudine di attività.” (2_Rene_31‐50_U_Nord)
“La palestra qui in paese c'è, ma non ci vado perché quando prendo le medicine mi danno sonnolenza. Alle 8 del mattino e della sera le prendo e mi viene sonnolenza e non mi riesce alle volte di andare in giro. Delle volte mi addormento sul tavolo.” (4_Rene_51‐70_U_Nord) “Benefici fisici quand’ero giovane c’erano, adesso un po’ meno. È più faticoso adesso avere benefici fisici. Cioè la tonalità muscolare che ho perso facendo per 7 anni una dieta ipoproteica si vedono.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Un po’ per gli orari e un po’ per mancanza di energia, non riesco. Nel senso che alla sera sono stanco.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) “L'iniziare a muoversi è antipatico, sono lenta nei movimenti perché sono sempre stanca. Questa è una cosa che ho da dopo il trapianto, non solo io ma anche altri, siamo stanchi più degli altri, cioè mi alzo stanca, quindi iniziare a muovermi è un po’ antipatico, mi scoccio. Però dopo dai, è bello.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
Ostacoli fisici In generale, e in sintonia con i risultati delle interviste ai medici, i pazienti più giovani e quelli con esperienza di attività fisica prima del trapianto non riportano ostacoli fisici particolari, mentre per quelli più anziani e non praticanti prima della malattia, gli ostacoli clinici rappresentano l’impossibilità totale di fare attività.
“Camminare non posso tanto perché mi fa male il ginocchio. A lavorare non posso lavorare... giro un po’, niente di particolare. Lavorare non ce la faccio. Se faccio un lavoretto in piedi mi stanco subito. Siccome ho perso pure l’allenamento. da 5‐6 anni, da quando sono andato in pensione. Prima facevo il muratore, un mestiere pesante. Sono andato in pensione nel 2013. Ho un ginocchio che non funziona. Operarmi non posso perché il dottore ha detto che non posso rischiare per il trapianto.” (5_Rene_51‐70_U_Centro) “Non faccio attività perché le ginocchia non mi reggono, mi hanno operato in una e mi hanno messo la protesi e vado avanti fin tanto che posso.” (4_Rene_51‐70_U_Nord) “La paura. Sì, quella sì perché negli ultimi 12 anni ne ho viste di brutte a parte il trapianto. Sono stato operato per un aneurisma cerebrale prima del trapianto, nel 2004. Il trapianto è stato nel febbraio 2013. Dal 2004 al 2013 come sport attivo, mi dedicavo con mio figlio alle gare radiocomandate. Dopo l'intervento di aneurisma durante il quale
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ho perso la vista da un occhio per un anno non riuscivo a dormire disteso, terribile. Adesso ho recuperato.”(6_Rene_51‐70_U_Sud)
Altre malattie Non solo le conseguenze fisiche di un trapianto, per il quale vengono segnalate differenze che influenzano la pratica dell’AF in accordo con quanto già analizzato nei discorsi dei medici, ma anche comorbidità come il laparocele possono limitare la tipologia di attività. Questo fattore può essere limitante ma, di nuovo, fattori motivazionali come una situazione personale di particolare responsabilità come l’essere genitori o forti passioni sportive antecedenti al trapianto, giocano da facilitatori dell’impegno fisico:
“Allora un ostacolo alla ripresa… a parte che ho avuto un virus, ma no, non ce ne sono stati perché sono da mettere in conto gli acciacchi del primo anno. Perché dicono che è normale, praticamente dicono che tutti i virus in giro li becchi tu. Io li ho presi, quindi all’inizio non è stato un avvio molto facile, dopo invece siamo partiti e siamo andati alla grande. La prova è che abbiamo un bimbo di due anni che non doveva esserci.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Anche il ballo latino, è sempre stata la mia passione e continuo a farlo. Dopo il trapianto ho chiesto il permesso al medico e ho iniziato a giocare a tennis. Avevo un amico che era disponibile, abbiamo iniziato piano piano, mi divertivo. Poi vabbè è subentrato il laparocele. Quelle cose lì pongono naturalmente dei limiti, no cavallo o sci, perché mi rendo conto che se mi faccio male, devo sospendere la terapia, prendere il cortisone, ecc.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Le conseguenze si sono sentite un po’ più in là, perché ho un laparocele per cui ho lasciato lo yoga e ho preferito le camminate in attesa di fare un intervento perché questa cosa non mi permette di muovermi bene.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Il nuoto mi sono proposta di farlo però ho sempre la paura che l'acqua contenga microbi, batteri. Perché c'è gente prima e dopo. Sono andata moltissime volte nella piscina qui vicino ma non mi sono mai sentita tranquilla al cento per cento. Il mare idem. La ginnastica con animali quindi lo sport con cavalli, anche qui i batteri fanno un po’ da padroni per cui è un po’ problematica la cosa. Allora cerchi il posto dove magari non ci sono tutti questi problemi, cerchi uno sport in sicurezza e non è sempre facile tra l'altro. Io sono con gli immunosoppressori molto forti e questo mi blocca parecchio.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
3.4.2 Ostacoli di tipo organizzativo La mancanza di tempo dovuta all’attività lavorativa è il maggiore ostacolo alla pratica dell’attività fisica. Un secondo fattore rilevante è la vicinanza di una palestra, che in
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condizioni come quelle di pazienti con lavori impiegatizi e in località meno servite, sembra influire. Come per il resto, sono i pazienti più avanti con l’età e al Centro Sud ad addurre l’organizzazione come ostacolo. Avere acquisito l’importanza dell’attività fisica come terapia diventa allora un ricordo superficiale di quando si è stati consigliati dal medico di praticarla. Su questo è necessario lavorare in termini di comunicazione efficace, basandola sul dato e sull’autorevolezza dell’emittente. “Basta sapersi organizzare”, dice un intervistato:
“Basta sapersi organizzare. È molto semplice come risposta però io ritengo che se uno fa un lavoro come il mio, abbastanza impegnativo, praticamente non ho orari. Ma io se una mattina non voglio andare a lavorare sto a casa. Naturalmente per un impiegato è più difficile. Perciò avere delle strutture, delle palestre vicino casa è molto positivo. Poi ci sono quelli che la mattina si svegliano presto e vanno a correre, per questo dico sapersi organizzare.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) “Ho visto dei volantini ma io per primo so che mi farebbe bene fare attività fisica. Sono il primo a dirlo ma non riesco a praticarla. L’unico problema è che devo lavorare. I primi anni siamo anche riusciti a uscire quell'oretta a camminare però da tre anni abbiamo ritirato quest'attività, l’edicola, ed è tre anni che non riusciamo, pochissimo. Lavoriamo dalla mattina alla sera, senza giorni di riposo. E non ci sono strutture vicine né a casa né al lavoro. Magari più avanti. È sempre un discorso di organizzazione.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) “Se io avessi tempo andrei in palestra. Ma mi manca perché la mattina devo pulire, il pomeriggio magari c’è mio marito e andiamo fuori. Preferisco stare in famiglia che andarmene in palestra.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) “Non riesco a lasciare quel carico di lavoro a mia moglie per staccarmi e andare a fare sport. Mi sento in colpa, è più una cosa di questo tipo.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) “Io sono fortunato perché mediamente almeno metà pomeriggio sono libero quindi riesco a svolgere attività fisica facilmente. Per chi magari ha orario spezzato e una famiglia diventa più difficile.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Sono una pensionata e ho tempo. Le persone più giovani lavorano e sono più occupate di me (difficoltà a trovare persone per tennis). C’ho pensato di iscrivermi nei circoli e lo farò.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Soltanto in un caso, viene lamentato il timore da parte del personale di una palestra, rientrato grazie ai certificati medici portati dalla paziente:
“Prima c'è stato lo yoga. Io frequentavo il centro yoga ma non mi volevano accettare perché l'idea del trapiantato fa un po’ paura. Perché possono succedere delle cose, vieni visto come un diverso, in senso positivo trattato con i guanti gialli. Ma ho spiegato, ho
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portato certificati che dicevano che potevo fare queste cose e mi hanno accettato.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
3.5 Il luogo dove si vive e l’offerta del territorio Il luogo dove vivono gli intervistati è considerato importante; il peso che viene dato a questo fattore è comprensibilmente maggiore di quello riferito dai medici. Rilevanti rimangono le differenze dell’età: mentre per i più giovani questa variabile conta di meno, i più anziani lamentano maggiormente la carenza di strutture. Notevole è la differenza fra chi vive in una città grande o nelle vicinanze e nei centri più piccoli e isolati.
“Se si abita in un centro un po’ più grande, vai fuori cammini ma se non c’è il parco vicino devi adeguarti a camminare mezz’ora in macchina. In quel caso l’unica è la palestra. Io abito in un paesino. Qui ci sono dei campi, vai dentro in una stradina ed esci dall’altra. È importante dove abiti. In un paesino come il mio hai tutti i posti per muoverti e camminare.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Dove abito io mi verrebbe difficile perché comunque abito in un paese e magari non ci sono i posti adatti piuttosto che se abitassi in centro a Milano con parchi e zone pedonali/ciclabili.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “La palestra, non è tanto lontana, ma comunque bisognava prendere l’auto. E forse, la non costanza è dovuta anche a quello perché ogni volta che ti dovevi muovere dovevi prendere la macchina e arrivare al paesetto qui vicino. Io ho sempre guidato. Non è che sia un ostacolo è che dopo un po’ la strada ti blocca, ti annoia stare li ‘mi devo cambiare, preparare, monta in auto, vai in palestra’.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)
La presenza di risorse naturali, come nel caso della montagna o del mare, così come la presenza di palestre accessibili si confermano essere facilitatori, complementari al lavoro di base svolto dai CT, dai medici e dai caregiver.
“Dipende sempre dalla persona. Se hai lo stimolo basta poco per superare la barriera dello spazio. Quindi magari io esco di casa, vicino ho una pista ciclabile. È una questione di volontà. Quindi il luogo aiuta ma se c’è la volontà si fa comunque.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “I vantaggi di vivere in montagna sono tanti, l’aria è pura. Però è lontano da tutto, per andare alla palestra più vicina ti devi organizzare, fare chilometri. Per questo ho comprato un tappeto, una cyclette. Devi fare sport in maniera isolata. Non c’è il tennis. Devi andare a trenta chilometri per farlo. Però puoi fare passeggiate, corse. Ci sono sentieri tracciati bene.” (17 Cuore_51‐70_Centro)
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“Appena mi hanno dato l’ok siamo andati subito. Dopo se parliamo di andare in palestra, io vivo in un paesino di montagna sperduto… ma torno a dire che se vuoi fare ginnastica anche se fai le scale dieci volte è come se facessi lo step in palestra. Cioè se uno vuole fare sport non ci sono scuse, si trova un modo. Sicuramente uno in città è obbligato ad andare in palestra o cercare dei posti diversi. Io qua invece apro la porta e…” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Le piscine me le hanno sconsigliate. Pista ciclabile fantastica. Sì, non solo per me, anche mia mamma tutti i giorni prende la bicicletta e va a Modena. Va anche in palestra mia madre, si vicino casa. Poi io faccio pilates a qualche chilometro da qui. Sì, mi sposto con l’auto.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Forse la motivazione vera è solo una, un grandissimo amore del mare.” (6_Rene_51‐70_U_Sud) “Se io vivessi in città morirei completamente. Io vivo in un piccolo borgo, abbastanza attrezzato, con aria respirabile, diciamo che ho un po’ tutto. Anche se il piccolo borgo magari non mi offre la palestra buona ho una piscina soltanto, magari con più piscine potrei avere più possibilità. Diciamo che dipende.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Io so un po’ isolato perché vivo in un paesino a 1300 metri, in Abruzzo, predomina la stagione invernale. Se c’è troppo freddo non esco perché ho paura di ammalarmi.”(17 Cuore_51‐70_Centro)
Si rileva anche la consapevolezza del ruolo dei Centri trapianti, che sono i più riconosciuti dal punto di visto medico ma mai indicati come responsabili di compiti organizzativi per ciò che riguarda l’AF. I riferimenti, in questo caso, sono Asl e Comune.
“Noi pazienti proveniamo da regioni diverse. Secondo me è proprio la persona che deve trovare la voglia di fare. Il centro trapianti ti può invogliare, ti può dare dei suggerimenti su cosa fare ma non può organizzare tutto; possono frequentare la palestra solo quelli che abitano vicini.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Tipo di servizi offerti dal territorio. Sinceramente non sono mai andata a vedere. Dall’Asl, essendo fuori dal mondo, non lo cerco. Lo cerchi dove vuoi con chi vuoi, con i tuoi tempi.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
“Penso sia più il comune. Magari fare una palestra in ogni comune sarebbe ottimale senza dover passare nel paesetto a fianco. La piscina anche. Mi piaceva [andare in palestra], però comunque 15‐20 km da fare avanti indietro, magari d’inverno...” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Modena è molto attiva da questo punto di vista. L’Emilia‐Romagna da questo punto di vista ha molto da donare, basta solo volerlo fare. Io dove vivo sono molto fortunata.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
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3.6 Il ruolo della famiglia Nei racconti delle esperienze di trapianto, il ruolo della famiglia è prioritario, come ricordano anche i medici e la psicologa intervistati nella prima fase della ricerca. Nel periodo post‐trapianto, per tutta la vita del paziente, il ruolo della famiglia nel benessere generale dei pazienti continua a incidere anche nell’incoraggiare alla pratica dell’attività fisica. Viene sottolineato il lavoro di preparazione al trapianto svolto dai CT e dal personale medico in generale. Per questo, ricollegandosi agli interventi dei medici, è importante svolgere un’azione di preparazione all’attività fisica post‐trapianto anche con i famigliari.
“Quando ti mettono in lista ti chiedono com’è la famiglia, se vai d’accordo, perché serve dopo il trapianto, quando ti fa male tutto e hai bisogno. Poi se sei un tipo che reagisce ok, altrimenti hai bisogno di qualcuno che ti tira su. Perché comunque il dolore è forte e hai bisogno di qualcuno che ti dica ‘dai alzati, muoviti’ altrimenti staresti sdraiato.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Per quanto in ospedale sia stato trattato bene, stare a casa è diverso. Chiaramente a casa ho creato un po’ di confusione, dovevo mangiare in un certo modo, per andare in bagno dovevo essere accompagnato. Ma io credo che rientrare in famiglia abbia un effetto terapeutico.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
Le caratterizzazione di come la famiglia incida nella pratica dell’attività fisica è stata suddivisa per tendenze, a seconda delle condizioni materiali e del peso attribuito al ruolo delle persone vicine. Lo faccio per voi e con voi La pratica dell’attività fisica viene svolta essendo incoraggiati dai famigliari o per incoraggiarli di fronte a una situazione emotiva difficile:
“Quando sono andata al trapianto i miei figli piangevano e io gli dicevo ‘non vi preoccupate perché io torno’. Sapevo tutto il decorso della malattia, ho lavorato come tecnico di laboratorio analisi, perciò sapevo quando gli esami andavano male. Conoscevo la mia malattia. La mia famiglia mi ha dato tanto aiuto perché erano sempre vicino a me. Questo ti aiuta molto. Perciò quando tu ti imponi di stare bene, io ora faccio tutto, anche lo sport.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) “Ho mio marito che è un vigile del fuoco e ha molto tempo libero: usciamo e andiamo a fare passeggiate. Anche in riva al mare mi faccio delle lunghe passeggiate con mio marito. Anche lui mi invoglia, usciamo, andiamo per negozi.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud)
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Guarda che ti controllo Trasversalmente al luogo, la funzione di controllo dei famigliari è importante sia nel facilitare, sia nell’ostacolare l’attività fisica. Per ciò che riguarda l’età, anche in questo caso si nota una corrispondenza fra quanto già analizzato nei discorsi dei medici e nei racconti dei pazienti: per i più giovani i genitori possono essere di ostacolo, mentre nel caso dei più anziani sono altri i fattori che incidono, come per esempio la compagnia di un coniuge o dei figli durante l’attività fisica.
“La mia famiglia è super apprensiva. Quando ho preso la lavatrice non la potevo spostare, mia madre: ‘no tu non devi, sei stato male’. Sono molto apprensivi e non vogliono che faccia sport. Quando la dottoressa mi ha detto che dovevo dimagrire andavo da solo a correre, poi ora ho iniziato ad andare con un vicino di casa. Ma anche la bicicletta l’ho fatta sempre da solo. Un mio amico va in palestra ma io non sono da palestra. Non mi va di stare lì a tirare su un peso dieci volte. Secondo me lo sport è altro.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Quando non spinge al movimento, quando tiene tutto sotto una campana di vetro 'no non fare questo perché altrimenti'… ecco in quel caso fanno un danno enorme e creano degli handicappati, dei trapiantati che non si godranno assolutamente la vita.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “I miei famigliari mi incoraggiano e vengono con me. Anche mia moglie è appassionata di passeggiate. Io prima pensavo solo a lavorare, e ora… Mio figlio telefona ogni giorno per sapere se ho fatto attività, per tenere allenato l’organo.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Mio padre mi controllava a occhio il peso, e poi mi sono comprata una bicicletta perché il nefrologo era fissato con le biciclette che però non uso da un po’ per il laparocele, ma forse perché mi sono fissata anch'io.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
Nessuna influenza Quando non viene dichiarata alcuna influenza da parte della famiglia, ritorna la prevalenza del fattore psicologico, di spinta individuale al non‐fare; l’assenza della famiglia o la presenza di una struttura parentale dove l’individuo è in qualche modo marginalizzato sono fattori disincentivanti.
“Magari sì, ti spronano a fare qualcosa ma è comunque una cosa che è sempre partita da me.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
“Anche con mia figlia abbiamo cominciato qualche volta a camminare ma poi ho mollato, poi ripreso, poi ho mollato un’altra volta. Ma ho altro da fare piuttosto. Quando passa e mi dice ‘mamma andiamo a farci un giro a piedi’, le dico ‘mi dispiace non posso, devo fare altro’. A me piacerebbe camminare. Ho fatto tanti anni di camminate dalla
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stazione all’ospedale avanti indietro. Solo che adesso un po’ per il dolore, un po’ che faccio tanta fatica, mi blocco.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “C'ho mia mamma e nove fratelli, tutti qui in zona. Ma lavorano tutti, poi sono sposati.” (4_Rene_51‐70_U_Nord)
È nel mio DNA Il parere di chi fa attività fisica e afferma che fare movimento è “nel proprio DNA” è perfettamente complementare quello di chi si dichiarava non portato “per natura”, motivo che mette in tutta evidenza l’influenza di cosa è sentito “naturale” o “innaturale” nella nostra cultura. La presenza di famigliari che hanno contribuito all’educazione al movimento è allora di peso.
“No, nel senso che credo di essere autonoma. Non credo di avere avuto bisogno della famiglia per fare sport. Sicuramente mi avrebbero incoraggiato perché mia madre ha 75 anni e va in palestra. Forse è nel Dna. Ero già auto motivata, anzi da giovane ho fatto molte attività.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Lo sport non è mai stata una cosa di famiglia.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord) “Se ti ritrovi in un contesto familiare in cui tutti sono salutisti e ci tengono al proprio benessere, fanno attività.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Mio marito pesa 130 kg, l’ho messo a dieta. Non bisogna mai lasciarsi andare nella vita. Possiamo controllare alimentazione, muoversi, sport. I miei figli fanno ginnastica, vanno in palestra.” ((15_Fegato_51‐70_D_Sud)
3.7 Il ruolo delle associazioni Le associazioni non sembrano influire nella pratica dell’attività fisica. In questo caso i racconti dei pazienti non corrispondono all’importanza data a questo stakeholder nel discorso dei medici. Grande peso ha invece la variabile geografica. Soprattutto al Sud o nei centri più piccoli e isolati viene lamentata la mancanza di un contatto con altri pazienti nelle stesse condizioni per condividere problemi e opportunità.
“No, non sono entrato in contatto con altri pazienti. Cioè, se era, era proprio qualcosa di casuale che capitava al momento. Però non mi sono mai rapportato con qualcuno al di fuori dell’ambito ospedaliero. Penso che, considerato che quando mi sono ammalato ero molto giovane, credo sarebbe stato molto utile approcciarsi con altri coetanei.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
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“No, no, non ne conosciamo e non ne frequentiamo”. E al Centro trapianti gliene hanno parlato? “No”. (16_Cuore_18‐30_U_Sud) “Qui non si organizza assolutamente niente. Non esistono completamente. Non siamo molti trapiantati, non c'è contatto tra di noi. Io li incontro gli altri trapiantati al centro trapianti quando vado a farmi il controllo, ma anche lì non c'è molto contatto.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Non sono entrato in contatto. Quando vado a fare i controlli incontro più o meno gli stessi pazienti, però non sono mai entrato in contatto, non ne conoscevo l’esistenza.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
Indipendentemente dalla regione di residenza, la lontananza dalla sede è la motivazione per non frequentare associazioni e gruppi di pazienti.
“Quando ero in ospedale ho conosciuto il responsabile [dell’associazione] ma noi abbiamo un’ora e mezza per arrivare a Bergamo e quindi non partecipo a tutte le riunioni. Leggo magari quando vado a fare la visita tutto quello che c’è stampato, ma non partecipo perché sono lontana.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
“Ho conosciuto una signora. Le avevo proposto ‘facciamo insieme’, solo che lavora in casa per il marito e non ha tempo libero. Anche lei è di qualche paese più in là. Qua non conosco nessuno che sia stato trapiantato.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “In Abruzzo è carente. Io sono iscritto a quello di Roma, sono organizzati molto bene, ma sono quattro ore di macchina. Qui associazioni di malati non ce ne sono, mentre potrebbe aiutare. Vedo che loro fanno molte attività per la promozione delle donazioni, anche nelle scuole.” (17 Cuore_51‐70_Centro)
Rimane, per tutti, la necessità di azioni, eventi, gruppi che facilitino la condivisione.
“Associazioni dei pazienti… Non l’ho mai cercata, non ho mai detto ‘ho bisogno’. Pensando in generale sicuramente potrebbe avere un ruolo positivo per quelle persone a cui manca un certo stimolo da sé a fare qualcosa.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Mia moglie cerca sempre di convincermi ad andare in parrocchia, ma le dico di lasciarmi in pace.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Anche solo il fatto di vedersi oltre al contesto ospedaliero che non dev’essere per forza il fatto di fare l’attività fisica. Quindi più dal punto di vista del morale [sostegno emotivo] sarebbe positivo.” (1_Rene_18‐30_U_Sud)
“Sono socia di un’associazione... un paziente della dialisi ha fondato quest’associazione per aiutare i pazienti, per avere agevolazioni. Però no, non mi sono interessata, non ho parlato.” Se vicino a lei ci fosse un’associazione con altri pazienti potrebbe invogliarla?
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“Si magari un gruppetto con gli stessi problemi, dove ti puoi confrontare”. (7_Rene_31‐50_D_Nord)
3.8 Il ruolo dei medici Nel corso delle interviste sono stati approfonditi sia il ruolo dei medici specialisti nella pratica dell’attività fisica sia quello dei medici di medicina generale, per capire quale ruolo hanno e potrebbero rivestire e quali sono i punti di forza e di debolezza nella relazione tra loro e con i pazienti. Il ruolo che i medici specialisti rivestono nel guidare i pazienti alla pratica dell’attività fisica è risultato fondamentale, sono la loro competenza e autorevolezza a guidare sia coloro che non avevano esperienza di attività fisica prima del trapianto, sia i più intraprendenti, già motivati ed esperti. Un fattore di successo della collaborazione è l’avere affrontato il tema dell’attività fisica già in fase di preparazione al trapianto.
“Queste cose le avevo chieste al professore che mi aveva fatto l'intervento. Questa era una discussione che avevamo già fatto nel primo trapianto, avevamo già discusso delle paure e lui mi aveva detto che non c'era nessun problema e che potevo anche andare a cavalcare volendo senza nessun problema. Mi diceva non ti preoccupare perché sarà una vita normale.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Quando ho qualche problema mi rivolgo direttamente per qualsiasi cosa ai medici dell’ospedale del trapianto. Per qualsiasi cosa ecco, nel dubbio, so che sono competenti. Il medico di base mi serve per le ricette, per qualche impegnativa, piccole cose. Quando c’è qualcosa di un po’ più impegnativo mi rivolgo direttamente in ospedale.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)
Decisamente non rilevante è il ruolo dei medici di medicina generale, che per tutti gli intervistati non sono punto di riferimento per l’attività fisica. Il motivo principale è la mancanza di competenza specifica loro attribuita: poiché a livello strutturale il loro ruolo deve essere generalista, la possibilità e l’opportunità di praticare l’attività fisica per un paziente “speciale” come quello trapiantato esulano dal loro compito. Questa evidenza è da ricollegare ai risultati delle interviste ai medici, che mettono l’accento sull’aspetto culturale attorno a questo tipo di terapia: se al MMG è affidata la prescrizione dei farmaci per tutta la popolazione dei pazienti, inclusi quelli “speciali” come i pazienti cronici trapiantati, questo dimostra che il concetto che l’attività fisica sia un vero e proprio farmaco non è ancora penetrato nella sua comunità. I pazienti, dal canto loro, lo confermano riflettendo – e giustificando – questa mancanza (culturale) di competenza.
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“È difficile conoscere il paziente trapiantato, cioè non è una cosa di tutti i giorni che permette al medico di famiglia di avere una memoria… Magari tra vent'anni sarà diverso, avremo più possibilità e studi. Il lavoro che sta facendo lei magari un medico su dieci lo leggerà e si farà le ossa, quindi avrà una memoria non storica ma si baserà su quella per poter lavorare con un paziente. Altrimenti è difficile dire delle cose che poi non si sa cosa può succedere. Fra i vari specialisti centra ben poco a parte scrivere ricette perché quando io ho bisogno di qualcosa ho bisogno sempre del medico che mi ha trapiantato o del nefrologo. Il medico di base ha una formazione non completa per me. Anche quando mi prescrive qualsiasi cosa, anche un antidolorifico o antibiotico, so che prima di prenderlo devo chiedere se posso allo specialista.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Il medico di base? Il medico specialista? Io devo dire più dal punto di vista dello specialista perché dal mio medico di base vado se ho l’influenza ma se ho bisogno di altro vado dal nefrologo. Il nefrologo sì, può aiutare a dare una spinta.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Con il medico di famiglia dopo che sono stato male non c’ho avuto più niente a che fare. Secondo me i medici di famiglia ormai non servono più a nulla. Non sanno neanche loro chi sei. Quindi non credo possano darti una mano. Non vorrei essere troppo brutale nella mia affermazione.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “ll medico del paese non era specializzato nel seguirmi. Siamo pazienti un po’ particolari e mi ha sempre dirottato a Roma, dove c’è un ottimo day hospital, anche con supporto psicologico. A livello di medico di base no, invece.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “l medico di famiglia non lo sento quasi mai perché a parte il problema specifico, di cui parlo con il nefrologo, non ne ho quindi, a parte le ricette mediche, non lo sento quasi mai. Con il nefrologo ho la visita regolare una volta al mese, facciamo controlli ed esami.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Ci vado se mi viene l’influenza così, che capisco che è un’infezione normale, altrimenti il riferimento è sempre l’ambulatorio trapianti e anche lì diciamo che c’è un bel turn‐over. Vanno tutti in pensione, però so che se avessi bisogno ci sono.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Consolidato il fatto che il parere dello specialista supera quello del medico generico, la relazione con i pazienti risulta particolarmente efficace fra coloro che dichiarano una maggiore abitudine allo sport prima del trapianto e fra più giovani; in altri casi, il ruolo attivo può essere proprio del paziente stesso e lo specialista valida le sue proposte. Al contrario, l’autorevolezza dello specialista, in mancanza di una cultura del movimento, rimane senza effetto.
“Tanto però conta di più la testa del paziente. Loro sono bravissimi, ti dicono, ti spiegano il motivo, ti invogliano anche però dopo se il paziente decide per non fare o per stare a
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casa a non fare niente, allora in quel caso è la testa del paziente.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Dopo il trapianto ho chiesto il permesso al medico e ho iniziato a giocare a tennis.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Ero io che chiedevo i permessi e mi venivano concessi. Diciamo che per l’effetto dei medicinali che portavano aumento di peso ma anche glicemia e colesterolo, veniva consigliato assolutamente il movimento. Però camminate così, non attività sportiva. Cioè loro si limitavano a dire di camminare molto durante la settimana, di fare cyclette o tapis roulant, ma non di andare a tennis. Erano i miei interessi personali che poi saltavano fuori e chiedevo il permesso.” (8_Rene_51‐70_D_Nord) “Io meno vedo l’ospedale e meglio sto. Prendo, toccata e fuga. Lui mi dice ‘hai fatto questo, hai fatto quello’ io dico non ho fatto niente, non mi interessa. È come il motore della macchina. Se uno lo tocca ogni cinque minuti non andrà mai, lascia che faccia la sua strada no?” (12_Fegato_51‐70_U_Nord)
3.8.1 Prescrizione Legato all’argomento del ruolo dei medici è quello della prescrizione dell’attività fisica. Una domanda su questo è stata formulata in particolare per ascoltare la voce dei partecipanti sull’utilità e l’efficacia di questa modalità, considerata da alcuni dei medici intervistati come la soluzione per consolidarla definitivamente, alla luce delle evidenze scientifiche, come terapia. Nonostante non esista al momento la possibilità di prescrizione vera e propria, circa la metà dei pazienti (senza la possibilità di una chiara identificazione di caratteristiche come l’età, la residenza, o l’esperienza pregressa) racconta di documenti scritti in cui l’attività fisica viene consigliata dallo specialista.
“Ha ricevuto una prescrizione? Sì perché dopo il trapianto mi sono ritrovato in un periodo in cui non facevo nulla e avevo messo su del peso che non mi faceva bene.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Mi dicevano di camminare anche se quando facevo delle visite c’era scritto passeggiare o fare quello che mi sentivo.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
La seconda metà, invece, dichiara di non avere ricevuto alcuna indicazione cartacea.
“Non ho avuto una prescrizione perché conoscendomi sapeva che avrei fatto… gli unici consigli erano di non esagerare, mi diceva di non affaticarmi perché l’organo è nuovo per me e per l’organismo.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
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“No questo tipo di indicazione scritta non l’ho mai avuta. Quando mi chiedevano ‘cosa fai’ spiegavo loro le varie cose e dicevano ‘bene bene’.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “No scritta non l’ho avuta, una cosa verbale. ‘Un’oretta di camminata al giorno’.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)
Interessante notare che il riferimento a uno scritto lasciato dal medico non emerga in fase spontanea. Causa potrebbe essere quella dell’abitudine a ricevere prescrizioni o promemoria da parte di qualsiasi medico. Certo è che la cultura dell’attività fisica come terapia si conferma assente anche da questo punto di vista. Quando sollecitati, gli intervistati ne riconoscono l’utilità per una migliore aderenza, pazienti “resistenti” a parte:
Secondo lei sarebbe utile una prescrizione da parte del medico di cosa può fare in termini di attività fisica (ad esempio una certa quantità di camminata al giorno)? “Ah sì, questo sì.” (5_Rene_51‐70_U_Centro) “Sì, credo che alla fine sarebbe molto utile perché presenterebbe in maniera più pressante la necessità di fare attività presentandola come parte della terapia.” (6_Rene_51‐70_U_Sud) “Magari lo farei per i primi giorni. Mi dispiace per me perché non riesco a mettermi in mente che andrebbe meglio fare qualcosa.” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Carlo [il medico specialista di riferimento dell’intervistato] me lo dice sempre, sa come sono fatto e conoscendomi sa di parlare con il vento. Ogni volta che vado a farmi la visita il medico ospedaliero mi scrive sempre sulla carta ‘mezz’ora di camminata veloce’. Durante la visita che faccio mi danno tre fogli: l’ultimo sono le medicine, il primo cosa ho avuto, il secondo è come sto. Ogni volta c’è scritto che dovrei fare camminate mezz’ora al giorno. Ma io cammino ma mica calcolo quanto. Sono sempre in movimento comunque tutto il giorno. Quando mi muovo mi va giù la glicemia, sto bene.” (12_Fegato_51‐70_U_Nord)
3.9 Le fonti informative oggi Nell’analizzare quali sono le fonti informative utilizzate fino al momento dell’intervista, il medico specialista si conferma essere risorsa primaria in quanto soggetto competente e depositario della fiducia del paziente. Ne deriva la necessità di rafforzare le risorse attorno alla comunità medica, supportando misure di comunicazione e rafforzando il sostegno ai centri trapianti – che seguono i pazienti e li possono guidare in questo tipo di pratica – anche dal punto di vista di cosa e come comunicano. In secondo luogo, e all’opposto nel quadro degli attori e delle modalità di comunicazione, si trovano la televisione, che su un gruppo di pazienti in una fascia
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di età alta costituisce un punto di riferimento importante nel panorama mediatico. Minore riferimento, e con una differenza tendenziale fra pazienti che vivono in centri grandi e piccoli, viene fatto a Internet, eventi e materiale cartaceo. Il medico come prima fonte Coerentemente con quanto rilevato a proposito del rapporto fra pazienti e specialisti, la base di fiducia e il rapporto personale risultano le ragioni perché, nella narrazione su trapianti e attività fisica, il medico rimanga di riferimento prioritario.
Quali sono le fonti attraverso le quali è venuto a conoscenza dell’argomento trapianti e attività fisica? “Il medico specialista. Sinceramente non sono venuto a scoprire queste cose da opuscoli o altro.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Il medico, il nefrologo. Il ruolo del medico secondo me è fondamentale.” (5_Rene_51‐70_U_Centro) “Medici? Sì, la cyclette e il tappeto me l’hanno consigliato loro. Mi hanno detto mezz’ora di tappeto e la cyclette un’ora. Lo faccio regolarmente. Quando c’è bel tempo esco e faccio passeggiate molto lunghe.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Il medico sicuramente, sia il mio nefrologo che il medico della struttura dove ho fatto il trapianto. Il medico di base non tanto. Il mio nefrologo era un amante dello sport attivo quindi sapeva di cosa parlava.” (6_Rene_51‐70_U_Sud) “ll nefrologo era fissato con le biciclette che però non uso da un po’ per il laparocele, ma forse perché mi sono fissata anch'io. E mi spingevano a muovermi e a non avere una vita sedentaria.” (9_Rene_51‐70_D_Sud) “Quando c’hanno chiamato per partecipare alla festa della mamma, allora siamo scesi. Ma per le piccole riunioni non vai. Poi io quando scendo a Bergamo faccio sempre un salto a salutare, per cui se c’è qualcosa vengo a saperlo dai dottori e dalle infermiere.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
La televisione Nel contesto di un paese che si affida ancora grandemente alla televisione come mezzo di comunicazione (l’ultimo rapporto Auditel disponibile riporta un totale di quasi 26.000.000 di spettatori in fascia serale nel mese di ottobre 2016: http://www.auditel.it/media/filer_public/24/b6/24b68739‐6c4d‐4045‐b334‐e9a8e1d0attività fisicad5/sintesi_mensile_10_ottobre_2016.pdf), la pervasività di questo mezzo è dimostrata anche dai racconti dei pazienti con trapianto. Come dimostrano le citazioni scelte e riportate qui sotto, l’efficacia sta sia nel tipo di informazione (i contenuti scientifici in trasmissioni dedicate, soprattutto per il pubblico maschile), sia nelle modalità di trasmissione (ad esempio, le testimonianze di pazienti trapiantati che raccontano delle loro esperienze sportive).
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“Dell’attività fisica anche attraverso la tv quando vedi alcuni, la ragazza che dopo il trapianto è andata alla maratona. Quindi già ancora prima di essere messa in lista sai che dopo il trapianto puoi… certo se uno lo fa a sessant’anni uno magari dice ‘aspetta’ ma se lo fai da giovane uno prova a fare tutto quello che prima non ha fatto. Altre fonti no.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Ho seguito molte trasmissioni scientifiche perché erano diversi anni che sapevo che il mio fegato non stava bene.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) “Molto la televisione, seguo i programmi scientifici.” (5_Rene_51‐70_U_Centro) “Io devo dire che in tv, non ero ancora trapiantata, ho scoperto che esiste anche la nazionale dei trapiantati di diversi sport. Hanno intervistato una signora che era nella nazionale di pallavolo di trapiantati. Poi non mi sono mai informata più di tanto.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Internet e Social network Nelle dichiarazioni dei pazienti alla domanda “dove ha sentito parlare di trapianti e attività fisica finora?”, il riferimento a internet è scarso, ma rilevante soprattutto per chi abita fuori dai centri cittadini e per i più giovani
“Per conto mio, un po’ sul Web. Quando ho fatto il primo trapianto mi hanno dato delle indicazioni generali scritte. C’era scritto un po’ di tutto, dalla dieta… qualcosa parlava anche di attività fisica.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Ci sono molte esperienze di trapiantati. Ci sono varie associazioni. Dove trovo molto riscontro sono i social, ci scambiamo idee. Ho visto anche persone che fanno attività sportiva molto forte. C’è un amico che abita a trenta chilometri, non l’ho mai conosciuto di persona ed è meglio così per non rischiare di dirsi sempre le stesse cose. Lui riesce a fare attività molto impegnative. Il trapianto non lo blocca, dipende molto dal paziente.” (17 Cuore_51‐70_Centro)
Materiale cartaceo Soltanto in un caso viene fatto riferimento a dépliant e volantini per promuovere attività quali passeggiate, biciclettate, mentre la presenza di materiale cartaceo nelle sale di attesa, snello e da tenere sotto mano è particolarmente apprezzata.
“Quando ero in ospedale ho visto dei volantini per delle passeggiate in montagne e mi sembra un’ottima cosa. Poi ho visto i volantini della biciclettata, da fare tutti insieme.” (10_Fegato_31‐50_U_Nord)
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3.10 Per una comunicazione efficace: i mezzi Una volta ascoltata l’esperienza degli intervistati per ciò che riguarda le loro fonti informative sull’attività fisica, si è rivolta a loro la domanda su cosa è auspicabile per rafforzare la comunicazione in questo ambito. Nuovamente, è importante il contatto con il Centro trapianti e i medici specialisti, ma emergono nettamente le attività di gruppi e associazioni, così come i social network. Il contatto fra pari è il mezzo di comunicazione migliore. Non si fa mai riferimento a Internet in senso generico, mentre rimane forte il riferimento alla tv, ma sempre per ascoltare le storie e le interviste a medici e pazienti. Ciò che emerge come più efficace è infine la necessità di un’integrazione ragionata fra i vari mezzi. Dalle citazioni emerge, infatti, che ogni mezzo di comunicazione ha potenzialità da cogliere. Anche alla luce dei dati sull’utilizzo dei mezzi di comunicazione spiegati è il legame fra le varie forme della comunicazione a meritare una riflessione e a portare a una proposta finale, come mostrato nelle conclusioni di questo capitolo. Social network Il riferimento a questo tipo di contenitore mediatico è presente fra i più giovani (ma è in crescita nelle fasce di età più elevate come dimostrato dalle più recenti rilevazioni ISTAT e dall’Eurobarometro, come rilevato in 2.9.2) ed è particolarmente utile per entrare in contatto con i pari e conoscere eventi e iniziative.
“Penso siano quelle le cose più efficaci (social media) e poi tramite social media organizzare delle giornate o incontri in cui si fa dell’attività tutti insieme con persone che hanno avuto problemi di vario tipo. O magari solo con trapiantati di rene così si ha modo di rapportarsi con persone che hanno la tua stessa esperienza. Il mezzo della tv sta perdendo credibilità perché ormai, ad esempio, una volta si parlava in due di cucina ora sono 40mila. Per cui un giorno uno ti dice non mangiare la carne, poi un altro giorno no il latte... La tv sta perdendo un po’ di credibilità. Un messaggio su Facebook, se fatto da una pagina certificata, è credibile. Dev’essere qualcosa con credibilità.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Credo che ormai la soluzione più rapida a tutto sia internet. Credo possa aiutare a divulgare queste informazioni con i social, ad esempio Facebook e Instagram sono le vie più rapide adesso.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Sempre più persone usano social media, siti web. Ci sono pagine su Facebook, dove si trovano, chiedono consigli, si scambiano esperienze.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Io ho creato un gruppo su Facebook dove i trapiantati parlano di se stessi, conta parecchia gente. Quando l'ho fatto io era il primo, poi man mano ne sono sorti altri che parlano bene o male della stessa cosa, il trapianto come argomento principale. Ci sono anche associazioni che entrano a far parte ma il gruppo è libero nel senso che si può
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instaurare qualsiasi discussione. Ma è un gruppo vecchio perché ha 6 anni. Ci sono altri gruppi nuovi. Non ha più la valenza che aveva cinque anni fa.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
Il gruppo Grandissimo consenso fra i pazienti più avanti con l’età ottiene la possibilità di scambio in presenza, indipendentemente da altri fattori quali l’abitare in una città grande o piccola o vivere in una regione del Nord, Centro o Sud. Il gruppo costituisce un importante fattore motivazione alla pratica dell’AF e, nella dinamica della condivisione, risulta una evidente area di opportunità. Questo risultato apre la riflessione su cosa i Centri trapianti, così come le istituzioni locali, possono fare per facilitare questi incontri.
“Parlare delle proprie esperienze. Io ogni tanto quando vado a fare le visite di controllo e trovo altri pazienti, posso promuovere quello che faccio, far vedere che sono una persona che ha vissuto e sta vivendo questo tipo di attività e che sono uno di quelli che ne trae beneficio. Perché sa, ci scambiamo le nostre esperienze.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) “Secondo me bisogna creare dei gruppi di ritrovo dove fare attività di sport, anche all’interno del centro trapianti. Non so se c’è ancora. Era una convenzione fra l’Asl di Roma e un centro trapianti. E poi bisognerebbe intervistare i trapiantati. Si devono sentire i trapiantati, soprattutto per chi non può più lavorare come me.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Io direi un gruppetto di persone che si trovano, che fanno la loro attività fisica, dopodiché magari ritrovarsi a parlare.!” (7_Rene_31‐50_D_Nord) “Stamattina ero in ambulatorio e sentivo parlare i signori trapiantati di recente che anche loro sottolineavano molto l’importanza di andare a camminare.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Risultato è che l’area di maggiore opportunità non si colloca nella scelta di un mezzo o dell’altro, ma nella possibilità della loro integrazione. Ricalcando la narrazione dei medici e dei pazienti, la strategia mediatica più efficace si colloca nella possibilità di partire dai medici e dai centri trapianti, attraverso informazioni sintetiche, rafforzando la presenza di materiali già esistenti sui siti istituzionali, facilitando la partecipazione a gruppi di scambio sia in presenza (eventi e iniziative), sia attraverso i social network.
“Magari anche una volta che ha fatto un trapianto nell’ambito delle visite, tramite i dottori dare dei depliant o dei siti dove andare a leggere.”(18_Cuore_31‐50_D_Nord) “L’attività fisica dovrebbe essere insegnata come terapia. Io so che devo prendere due compresse e un'ora di questo tipo d'esercizio e quello. E a fine mese bisogna dire quali esercizi, raccontandoli o registrandoli. Dopodiché a questo punto le associazioni con
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gare, che coinvolgono trapiantati e famiglie. Perché sappiamo benissimo che se ci sono gare vengono coinvolte moltissime persone. Quindi utilizzare il centro trapianti che nel post trapianto comincia con la terapia e poi andare avanti.” (9_Rene_51‐70_D_Sud)
3.11 Per una comunicazione efficace 2: i messaggi Coerentemente con le interviste ai medici, per capire insieme ai pazienti quali sono le leve comunicative migliori per trasmettere il messaggio dell’utilità e della fattibilità dell’attività fisica, l’ultima parte delle interviste a questi ultimi è stata introdotta con le domande: “Qual è il tipo di messaggio più adatto per veicolare l’esigenza di praticare l’attività fisica in pazienti come lei?” e “Se dovesse raccomandare a un/a suo/a amico/a che ha avuto un trapianto che è importante l’attività fisica, cosa gli/le direbbe?”. Le risposte si concentrano attorno ad alcuni filoni narrativi, qui dispiegati, che mettono l’accento su diversi attori e tempi delle storie personali: Il percorso di ognuno di noi Raccontare la varietà di storie, mostrare diverse persone di età e genere diversi, su “sfondi” diversificati (una grande città, una montagna, una camminata sulla spiaggia). Molti intervistati trovano nel racconto della loro esperienza, spesso segnata da un “prima” e da un “dopo”, il messaggio da portare per incoraggiare all’AF. Gli esempi riportati qui sotto sono la base per i percorsi narrativi da realizzare nelle diverse forme, dai video ai testi scritti, per promuoverla. La soggettività di ciascuno è usata per mettere in comune esperienze che vanno tutte dalla malattia alla possibilità di rinnovamento.
“Non riesco a capire cosa possa provare una persona che non ha avuto quello che ho avuto io, cioè credo che le cose bisogna viverle in prima persona altrimenti immaginiamo, supponiamo, crediamo...” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro) “Non nascondo il fatto che al mio primo tentativo di corsa ho avuto i lacrimoni perché mi sono sentito normale. Mi sono sentito una persona normale. I goccioloni non li ho avuti quando ho ricominciato a mangiare ma quando ho ripreso a muovermi. Lo sport conta eccome.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Già prima di essere messa in lista sai che dopo il trapianto puoi... certo se uno lo fa a sessant’anni magari dice ‘aspetta’, ma se lo fai da giovane uno prova a fare tutto quello che prima non ha fatto. I dottori dal momento che vedono che va tutto bene… in reparto c’era una cyclette e mi dicevano ‘quando vuoi vai a pedalare, quando vuoi cammina’. Ti sforzavano subito loro a camminare e fare movimento. Quindi già da quando ero in ospedale ti facevano camminare loro… i giri che ho fatto in quel reparto. Quindi sono loro che ti stimolano subito a muoverti anche perché ti devi abituare… ad esempio per me questo cuore nuovo batteva forte per come ero abituata con il mio. Quindi ho dovuto camminare per abituarmi al nuovo battito.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
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“Quando fai un trapianto e sei in un letto, vedi che sei un corpo inerme. Allora questo dovete dire alle persone, ‘quando siete a letto, avete un corpo, delle gambe che devono camminare, perciò lo sport vi può aiutare in questo’. Tu sei morta e sei rinata. Con il trapianto di fegato è tutto diverso. Io sono cambiata in alcune cose, in meglio. Magari prima avevo problemi a parlare con delle persone che mi intimorivano, ora no sono molto schietta. Forse perché appunto sono rinata. Ho una nuova vita, è una nuova vita. Sono entrata in ospedale che avevo gli ultimi due giorni di vita e mi sono resa conto che stavo morendo. Quando una passa da ‘sto morendo’ poi arriva l’organo, allora rifletti ‘ma io ho le gambe per camminare, devo reagire’. Perciò questo dovete dire alle persone trapiantate, che si devono muovere, si devono riattivare, che il loro corpo non è morto ma è rinato.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) “Correre, fare sport ti farebbe ritornare la persona che eri. È brutto dire normale perché non siamo persone normali, però torneresti la persona di prima. Io vabbè non bevo più alcol però tutto quello che facevo prima lo faccio anche adesso. È proprio per sentirsi normali.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Riappropriarsi di un po’ di sicurezza perché all’inizio si è un po’ bloccati. E quindi lì l’informazione è fondamentale e importante. È importante che arrivi questo messaggio, ma soprattutto dai medici. Perché all’inizio si è molto cauti. La fiducia la si acquista nel tempo.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Evidenze: i benefici Confermando le evidenze e il messaggio portato dai materiali prodotti dal CNT, in molte delle risposte dei cittadini trapianti, emerge la necessità di unire gli effetti benefici a livello fisico con quelli a livello psicologico. Il movimento diventa allora sia terapia “fisica”, sia motivazione per recuperare su diversi fronti della vita personale.
“Con un po’ di attività fisica la vita è decisamente migliore. Se io sono un impiegato, non facendo attività fisica, sto molto seduto e sento la differenza tra quando non faccio niente e quando riesco a fare attività fisica. La differenza si sente subito.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Subito dopo il trapianto c’è un beneficio psicologico, da quando riesci a stare meglio dal punto di vista motorio, ti senti più sciolto, un benessere. Peccato si possa fare solo col bel tempo. Quando non posso fare all’aperto uso la cyclette, il tappeto, ma è più noioso rispetto all’aria aperta. Il beneficio è soprattutto psicologico. Nello sport si può trovare una motivazione perché alla mia età, ho sessant’anni, mi hanno fatto lasciare il lavoro perché implicava un’attività fisica che non mi è più permessa. Allora si recupera con quello che faccio ora che sono a casa.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “È importante arrivare a prendere meno farmaci possibili e l’attività fisica ci dà questa grossa possibilità, e poi diventa un modo anche per non sentirsi diversi, handicappati, per recuperare un po’ di sé. Perché la dialisi è veramente devastante sia dal punto di
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vista fisico che psichico. Nel momento in cui hai questa grandissima fortuna di avere un organo per il trapianto, è un’opportunità che non va sprecata. E l’attività fisica c’aiuta moltissimo, sia nei primi tempi in cui prendi farmaci in quantità industriale, per contrastare farmaci ed effetti negativi, che dopo per migliorare l’umore e riappropriarsi piano piano delle proprie capacità fisiche.” (8_Rene_51‐70_D_Nord)
Il limite: corpo e tempo Un tema ricorrente, già ampiamento esplorato nella letteratura, è il superamento dei limiti posti dalla malattia prima del trapianto.
“Dopo tutto quello che una persona ha passato, dopo tanti divieti e limiti che ci danno sia nel modo di mangiare sia nel modo di fare, comunque dopo un po’ arriva il bisogno diciamo che parte dentro sé.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “È sempre qualcosa che deve partire da dentro la persona, è una cosa che va oltre il parere medico. Deve sempre partire da dentro, cioè non bisogna darsi dei limiti.” (1_Rene_18‐30_U_Sud) “Sono sempre stata una che se ci impiego due ore impiego due ore, se ce ne impiego quattro ne impiego quattro. Sono sempre stata abituata a fare tutto logicamente con i miei tempi. Credo che ti venga anche la curiosità di voler vedere fino a che limite arrivi adesso, almeno per me è stato così. Penso che tutte le persone che fanno un trapianto vogliano vedere fino a dove si possono spingere.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord) “Ci sono state anche cose che da malata di cuore non ho potuto fare, invece adesso con il trapianto nessuno me lo vieta. Faccio l’esempio stupido, se prima un gioco di Gardaland non potevo farlo, ora posso. Cioè, nel senso uno può essere stato condizionato da piccolo, ‘no tu non giochi a pallavolo perché…’, dopo il trapianto dici ‘adesso ci provo’. Cioè, è vero che lo sport aiuta soprattutto chi da piccolino è sempre stato limitato. Invece avendo un cuore che funziona può provare a fare cose che prima non riusciva.” (18_Cuore_31‐50_D_Nord)
I modelli e gli esempi: vieni con me In diversi casi, gli intervistati spostano l’efficacia della comunicazione dal contenuto del messaggio all’emittente, sia esso il gruppo dei pari o un modello di sportivo che viene da un’esperienza di malattia simile:
Cosa direbbe a una persona trapiantata per convincerla a praticare attività fisica? “Vieni con me. Cercherei non di straparlare ma di convincerlo un po’ a provare quantomeno. E credo che potrebbe sortire un certo effetto perché sono una persona che ha vissuto la stessa esperienza.” (13_Fegato_51‐70_U‐Centro)
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“Poi c’è stato un calciatore trapiantato di fegato e subito dopo è andato a giocare. Più testimonianza di lui. Quando ho sentito di questo ragazzo sono stata felicissima, perché subito si ritorna alla vita.” (15_Fegato_51‐70_D_Sud) “Ho visto come un calciatore, Abidal, è riuscito addirittura a tornare a giocare nel Barcellona quindi non una squadretta.” (14_Fegato_18‐30_U_Nord) “Gli direi, più importante è per te, per mantenerti in forma: più si ha cura di noi, più si va avanti perché le medicine che prendiamo, se non le bilanci con una buona attività fisica, sono controproducenti. Bisogna fare dei paragoni, per portare la persona a volersi bene senza mai forzare. Gli esempi servono per non forzare la persona stessa. L’attività deve essere fatta per star bene, diventa controproducente forzare e voler pretendere.” (17 Cuore_51‐70_Centro) “Direi di provare e di farsi aiutare da qualcuno perché magari in gruppo è più facile riuscire a fare qualcosa. “Cerca la motivazione con qualcuno vicino”. L’associazione dei pazienti, o sportiva, qualcuno che conosce che fa attività.” (2_Rene_31‐50_U_Nord) “Guarda più movimento fai più lavori di muscoli, il sangue gira meglio e veramente funziona. Starai meglio. Direi subito ‘guarda mi aggiungo anch’io, andiamo insieme’.” (7_Rene_31‐50_D_Nord)
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4. Conclusioni: costruire una narrazione su trapianti e attività fisica per
diffonderne la pratica
4.1 Sport e attività fisica due concetti distinti un solo risultato: tornare a stare bene
Le evidenze scientifiche dimostrano che l’esercizio fisico si configura come un vero e
proprio farmaco. Le interviste realizzate a medici e pazienti sottolineano l’importanza
di promuovere l’attività fisica intesa come “fare movimento” e non necessariamente
come “sport” che può assumere il significato di una pratica complessa o agonistica.
La predisposizione allo sport è particolarmente evidente in pazienti che già lo
praticavano prima della malattia per chi invece, e sono la maggioranza, non era
abituato a fare attività il riuscire a esercitare uno sport è più difficile. Di contro la
possibilità di praticare attività fisica è potenzialmente alla portata di tutti, per questo è
necessario insistere sull’importanza di fare movimento. I pazienti meno propensi
all’esercizio fisico sono proprio quelli che più necessitano di azioni di comunicazione
mirate.
Dalla narrazione di medici e pazienti affiora in modo molto evidente un punto comune
tra sport e attività fisica ed è il beneficio che si ottiene quando si riesce a fare
movimento.
4.2 Gli attori principali
L’emittente più accreditato nella fiducia dei pazienti sono i medici specialisti. La
promozione di stili di vita corretti nei pazienti trapiantati parte dal lavoro dell’equipe
che li segue. Se la comunicazione interna al gruppo è efficiente, anche l’aderenza a
pratiche come l’attività fisica mostra di avere più successo.
La cultura dell’attività fisica come forma di vera e propria terapia non è ancora
sufficientemente diffusa nella comunità medica più ampia. I medici intervistati
manifestano il desiderio di formazione richiedono la messa in comune di messaggi e
strumenti che dovrebbero essere forniti a tutti i medici. Sottolineano inoltre che la
sedentarietà è un problema che non riguarda solo i pazienti trapiantati, ma l’intera
popolazione.
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Altra fonte di riferimento importante per i pazienti è lo scambio di testimonianze tra
pari, i messaggi provenienti da chi ha vissuto in prima persona l’esperienza del
trapianto sono particolarmente efficaci.
Nel periodo post‐trapianto, per tutta la vita del paziente, il ruolo della famiglia nel
benessere generale dei pazienti continua a incidere anche nell’incoraggiare la pratica
dell’attività fisica. Quando i familiari sono molto apprensivi possono essere di ostacolo
alla pratica dell’attività fisica.
Le associazioni sono importanti per le azioni di lobby che possono portare avanti.
Un’alleanza con le associazioni di pazienti potrebbe essere utile per fare pressione a
livello politico affinché la pratica sportiva possa essere riconosciuta come una vera e
propria terapia, prescrivibile dal sistema sanitario nazionale.
4.3 Fattori motivanti e demotivanti
Il fattore motivante più significativo per i pazienti consiste nella possibilità di tornare a
riappropriarsi del proprio corpo e riacquisire una buona qualità della vita. La pratica
dell’attività fisica per tenere sotto controllo le conseguenze del trapianto (farmaci) è
l’argomento più efficace.
Per ciò che riguarda gli ostacoli alla ripresa o all’avvio dell’attività fisica, la rilevanza del
fattore psicologico è indubbia.
In questo ambito rientrano due argomenti fondamentali: la necessità di riconquistare
fiducia nel proprio corpo e la difficoltà a rendersi conto di non essere più malati. È il
piano delle emozioni a contare di più e su questo devono essere creati messaggi e
strumenti che le affrontino e le utilizzino. L’attività fisica è l’occasione, secondo i
medici intervistati, per aggiungere all’esperienza del trapianto un benessere attivo,
oltre la cura farmacologica.
In fase spontanea, i maggiori ostacoli individuati dai pazienti intervistati si raccolgono
in tre aree principali, correlate fra di loro. La prima riguarda un ostacolo di tipo
psicologico, il più difficile da modificare, ma anche il più interessante dal punto di vista
del messaggio da veicolare per incoraggiare la pratica. Nonostante il nostro campione
non sia significativo e possa soltanto indicare una tendenza nella popolazione dei
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cittadini trapiantati, i meno motivati a causa di un “blocco interiore” e di una
mancanza profonda di motivazione (“non è nel mio DNA”) sembra che siano
soprattutto i rispondenti più anziani e comunque chi abita al Sud, senza differenze
rilevanti fra uomini e donne. In questo gruppo di ostacoli rientrano gli effetti dei
farmaci che sono fra le ragioni sostanziali della nostra ricerca: se da una parte vi è la
necessità di mitigare gli effetti secondari delle medicine assunte dai pazienti
trapiantati, dall’altra le loro controindicazioni sono dichiarate essere la causa del non‐
fare attività fisica. La conseguenza più marcata, unitamente allo stile di vita dovuto alla
routine quotidiana e agli impegni è la stanchezza.
Il secondo gruppo di ostacoli risiede nella paura di incorrere in incidenti, limitatamente
ad alcune attività. Anche in questo caso, l’esperienza del singolo e soprattutto
l’abitudine precedente a praticare una determinata attività fisica giocano un ruolo
rilevante.
Il terzo fattore evidentemente discriminante è l’età, non soltanto per gli intervistati più
anziani, ma anche per i giovani che hanno conosciuto altre persone con trapianto nella
fase più vicina all’evento e sottolineano loro stessi questo fattore. Si tratta insomma di
un fattore non modificabile, largamente condiviso, ma sopravvalutato alla luce delle
evidenze scientifiche.
Più complesso è il legame fra lo stato emotivo e di salute che può frenare l’attività
fisica e gli aspetti sociali che influiscono sulla vita dei pazienti quali l’inattività
lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al
benessere e richiama negli intervistati la necessità di investire in pianificazione e
risorse su questo argomento.
In generale, e in sintonia con i risultati delle interviste ai medici, i pazienti più giovani e
quelli con esperienza di attività fisica prima del trapianto non riportano ostacoli fisici
particolari, mentre per quelli più anziani e non praticanti prima della malattia, gli
ostacoli clinici rappresentano l’impossibilità totale di fare attività. Avere svolto lavori
pesanti prima del trapianto, in professioni come il muratore e la casalinga, vale come
attività fisica “reale” secondo i rispondenti.
La mancanza di tempo dovuta all’attività lavorativa è il maggiore ostacolo. Un secondo
fattore rilevante è la vicinanza di una palestra, che in condizioni come quelle di pazienti
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con lavori impiegatizi e in località meno servite, sembra influire. Come per il resto,
sono ancora i pazienti più avanti con l’età e al Centro Sud ad addurre l’organizzazione
come ostacolo.
Il luogo dove vivono gli intervistati è considerato importante; il peso che viene dato a
questo fattore è comprensibilmente maggiore di quello riferito dai medici.
Rilevanti rimangono le differenze dovute all’età: mentre per i più giovani questa
variabile conta di meno, i più anziani lamentano maggiormente la carenza di strutture.
Notevolissima è la differenza fra chi vive in una città grande o nelle vicinanze e nei
centri più piccoli e isolati.
La presenza di risorse naturali, come nel caso della montagna o del mare, così come la
presenza di palestre accessibili si confermano essere facilitatori, complementari al
lavoro di base svolto dai Centri Trapianto, dai medici e dai caregiver.
Oltre alla differenza fra centri abitati grandi e piccoli, una sostanziale disparità si
verifica fra il Nord e il Centro/Sud dell’Italia: la disponibilità di strutture non sembra
essere distribuita in modo omogeneo.
4.4 Costruire una comunicazione efficace – indicazioni operative
È necessario costruire una comunicazione differenziata nei mezzi e coerente nel messaggio. In questo senso, la costruzione di “rime” narrative da sviluppare in racconti adatti ai diversi mezzi è fondamentale.
Elementi di contenuto Gli elementi di contenuto sui quali lavorare sono riferibili a linee narrative che sono
state costruite unendo gli stimoli tratti dalle interviste ai medici e dai racconti e
suggerimenti dei pazienti.
Emerge in modo evidente che l’attività fisica più praticata e accessibile a tutti è il
camminare. Bisogna camminare, fare movimento ritagliandosi qualche minuto per
arrivare a far diventare l’attività fisica un’abitudine e un piacere.
La quotidianità: è la tematica che fa leva più di tutte sui fattori organizzativi, prioritari
per coloro che tendono a non trovare la spinta necessaria a inserire l’AF nella loro
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giornata. In questo senso, “istruzioni per l’uso” chiare e operative date dal medico
nella fase post‐trapianto e durante le visite di controllo, rafforzate da altri strumenti
comunicativi quali siti web, video, pagine Facebook, App per smartphone, possono in
primis chiarire ai pazienti cosa possono e devono fare e dare loro una cadenza.
Il farmaco buono: grazie alle evidenze scientifiche che collocano l’attività fisica fra le
terapie non farmacologiche, il messaggio degli effetti della stessa sui parametri
biomedici e il come si possono ottenere è un argomento prioritario.
I modelli: spostando l’efficacia della comunicazione dal contenuto del messaggio
all’emittente, sia esso il gruppo dei pari o un modello di sportivo che viene da
un’esperienza di malattia simile, rassicurano i pazienti. La logica del simile del quale ci
si può fidare prevale.
Le evidenze: i medici le portano – e le devono portare ‐ con numeri e statistiche,
spiegando le performance dei pazienti non solo come consiglio per stare bene, ma
come riscontro che mostra in modo chiaro il miglioramento (o il peggioramento); i
pazienti le portano con la loro esperienza (si torna qui ai modelli), che unisce gli effetti
benefici a livello fisico con quelli a livello psicologico. Il movimento diventa allora sia
terapia “fisica”, sia motivazione per recuperare la propria individualità su diversi fronti
della vita personale, sia in termini qualitativi (cosa si è tornati a fare, cosa si è
ottenuto), sia in termini quantitativi (quanto si sta meglio in termini di parametri
biomedici.
Il limite e la normalità
Un tema ricorrente, già ampliamento esplorato nella letteratura, è il superamento dei
limiti posti dalla malattia prima del trapianto.
I maggiori benefici si trovano nell’area del benessere più che della salute. Fare
movimento significa per i pazienti raggiungere un benessere che va oltre i parametri
medici e significa “ritorno alla normalità”.
Fit tracker: un modo efficiente di visualizzare i dati, le evidenze, i propri progressi sono
le applicazioni per smartphone, mezzo in crescita e sempre più diffuso anche nelle
fasce di età medie. Una applicazione approvata e promossa dal Centro Nazionale
Trapianti potrebbe costituire un buon mezzo per facilitare l’aderenza a praticare
attività fisica.
70
I target della comunicazione
Il paziente trapiantato è al centro
Il target che ha più bisogno della comunicazione è quello dei pazienti trapiantati e in
particolare il gruppo rappresentato dalle persone che non erano abituate a fare sport
prima della malattia, è soprattutto a loro che bisogna comunicare l’importanza
terapeutica del praticare attività fisica
La comunità medica
Coerentemente con i discorsi raccolti nelle altre parti delle interviste, la buona
comunicazione per promuovere l’aderenza all’attività fisica nei pazienti trapiantati
parte dal dialogo che si sviluppa dall’interno delle equipe mediche che seguono i
pazienti e che viene loro restituito nel rapporto personale diretto, face‐to‐face.
Il fattore più problematico in questa area è, secondo i medici intervistati, la mancanza
di una visione culturale diffusa su trapianti e attività fisica. O forse, meglio, manca
l’abitudine del medico di raccomandare l’attività fisica come forma di vera e propria
terapia.
Argomento prioritario è quello dell’integrazione fra gli esperti delle diverse discipline:
la condivisione delle conoscenze assicura, infatti, l’efficacia della comunicazione
interna e tutta la filiera ne trae vantaggio. Il messaggio, perciò, deve essere uniforme
ed esteso a tutta la comunità.
Per questo che i risultati di questa ricerca dovrebbero a nostro parere essere promossi
non solo tra i pazienti per incoraggiare la loro attività, ma anche fra i caregiver stessi.
Dal medico al paziente
Il momento dove la comunicazione più efficace si realizza è quella fra medico e
paziente, tenendo in considerazione:
momento del percorso clinico già da prima trapianto è necessario preparare il
paziente a cosa verrà dopo
stato psicologico necessitano di comunicazione prima di tutto chiara, pulita da
evocazioni e simbolismi e basata piuttosto su metafore semplici
background culturale per comprendere la varietà di fasce di età ed esperienze di
71
vita diverse, bisogna adottare modalità di comunicazione miste, dal face‐to‐face con il
personale specializzato nel primo anno dopo il trapianto, fino a strumenti cartacei ed
elettronici che veicolino tutti lo stesso messaggio di efficacia dell’attività fisica nel
periodo in cui il contatto con il paziente si riduce e si entra nella fase di
“mantenimento”.
L’emittente
Per ciò che riguarda l’emittente privilegiato della comunicazione, si conferma il ruolo di
coordinamento, mediazione, comunicazione istituzionale che il Centro Nazionale
Trapianti svolge e che ha bisogno di sostegno, conoscenza e attività di comunicazione
capillare su tutto il territorio nazionale.
I mezzi e gli strumenti della comunicazione
I luoghi e mezzi privilegiati dove diffondere l’informazione sono variabili a seconda
dell’età e della fascia culturale dei pazienti, dalle sale di attesa, ai siti web, alle
applicazioni per smartphone.
L’efficacia sta sia nel tipo di informazione (i contenuti scientifici in trasmissioni
televisive dedicate, soprattutto per il pubblico maschile), sia nelle modalità di
trasmissione (ad esempio, le testimonianze di pazienti trapiantati che raccontano delle
loro esperienze sportive).
La strategia più efficace è la necessità di un’integrazione ragionata fra i vari mezzi.
Dalle interviste emerge, infatti, che ogni mezzo di comunicazione ha potenzialità da
cogliere.
È il legame fra le varie forme della comunicazione a dover essere integrata in
un’unica narrazione che diventi trama comune.
Nella definizione della strategia di comunicazione bisogna tenere sempre presente la
frammentarietà della situazione sanitaria a livello nazionale e quindi è opportuno
privilegiare i mezzi di comunicazione con diffusione capillare capaci di raggiungere i
cittadini indipendentemente dalla regione di residenza. La televisione e internet
rappresentano in questo senso i canali da privilegiare.
72
Executive Summary Incentivare la pratica dell’attività fisica nella crescente popolazione dei cittadini
trapiantati è una sfida necessaria che coinvolge quattro attori principali: i pazienti, i
medici e i caregiver che li seguono e il Centro Nazionale Trapianti.
Nell’ambiente dove si incontrano, si frequentano e si lasciano questi gruppi di attori è
necessario progettare e allestire la sceneggiatura della buona comunicazione.
Da qui è nata la ricerca su “Percezione, vissuto e attitudini dei pazienti trapiantati e dei
loro medici”, concepita per indagare gli elementi della narrazione sull’attività fisica e
da questi pianificare i contenuti e le azioni della comunicazione. Una comunicazione
efficace non può infatti prescindere dall’ascolto delle esperienze e delle proposte del
target al quale ci si rivolge.
Nel corso dello studio, la qualità del lavoro sul campo e dei dati raccolti hanno
permesso di andare oltre questo obiettivo: l’analisi condotta vale non solo come base
per la comunicazione del CNT, ma anche come ricognizione della situazione italiana in
tema di trapianti e attività fisica, utile per tutti gli stakeholder del settore.
I risultati dimostrano l’urgenza di intraprendere azioni per la promozione dell’attività
fisica come attività praticabile dalla grande maggioranza dei pazienti trapiantati, alla
luce delle due maggiori aree di opportunità individuate:
un rafforzamento della comunicazione verso i pazienti in modo integrato, dalla
modalità face‐to‐face ‐ a partire dalla preparazione pre‐trapianto, alla
valorizzazione delle attività fra pari condotta dalle associazioni, ai mezzi di
comunicazione generalisti e attraverso modalità customer‐driven come le
applicazioni per smartphone
una migliore gestione della comunicazione interna alla comunità dei caregivers,
che porti a una maggiore diffusione della cultura dell’attività fisica a partire dal
fatto che ne sono loro i primi promotori.
Il ruolo del Centro Nazionale Trapianti rimane fondamentale per il coordinamento di
queste azioni di comunicazione.
73
Struttura della ricerca
Per approfondire percezione, vissuto e attitudini dei pazienti trapiantati e dei loro
medici in relazione alla pratica dell’attività fisica si è privilegiato un metodo di ricerca
qualitativo, applicato attraverso la tecnica dell’intervista individuale semi‐strutturata.
Complessivamente, nel periodo aprile ‐ settembre 2016, sono state realizzate 23
interviste rivolte rispettivamente a un campione di 7 medici e 16 pazienti. I risultati
delle interviste ai medici trapiantologi e dello sport, condotte per prime, hanno portato
al consolidamento della traccia di intervista ai pazienti, selezionati a seconda del tipo di
trapianto ricevuto: rene, fegato e cuore. Un’ulteriore intervista a una psicologa di un
Centro trapianti ha arricchito il campione.
I risultati evidenziano cinque aree di interesse, come rappresentato nello schema
interpretativo che ha guidato la lettura dei risultati qui sotto.
La narrazione su trapianti e attività fisica, nella sua declinazione in forme e contenuti,
ha come protagonisti pazienti, medici, famigliari, associazioni di volontariato e si fonda
su temi che determinano i fattori “materiali”, quali il tipo di trapianto e la condizione
generale del paziente, le differenze geografiche, gli aspetti organizzativi come la
presenza di strutture nel territorio per agevolare la pratica o la prescrizione da parte
dello specialista.
Sul livello emotivo, il fattore motivazionale guida l’aderenza o meno alle indicazioni dei
medici.
Dal mix di questi fattori derivano le aree di opportunità e gli ostacoli.
74
La scarsità di studi come quello che leggete, verificata prima e durante la progettazione
e la realizzazione della ricerca (van Adrichem E. J. 2016), così come la solidità del suo
disegno e la coerenza dei suoi risultati, dimostrano non solo il valore funzionale alla
preparazione di attività concrete di comunicazione di questo report, ma anche il suo
valore scientifico.
75
TEMI
Attività fisica e trapianti: significati e azioni
Il punto di vista dei medici: cultura e procedure Il tema della diffusione di una pratica come quella dell’AF come terapia non ha una matrice meramente bio‐medica, ma anche sociale: mentre lo studio dei parametri medici non lascia dubbi sulla sua efficacia, le variabili organizzative e culturali, sia all’interno della comunità medica che negli assetti regionali e di diffusione della cultura del movimento, devono diventare tema di politiche multisettoriali efficaci. I medici affermano la necessità di istituzionalizzazione della pratica dell’attività fisica per i pazienti trapiantati, e in generale per i pazienti cronici, alla luce degli effetti secondari dei farmaci immunosoppressori e della comparsa di ipertensione, diabete, aumento del colesterolo, aumento di peso, che compromettono lo sforzo dei centri trapianti e dei cittadini trapiantati stessi.
Ecco perché a questo punto diventa un obbligo medico prescrivere un’attività fisica che, al momento attuale, è l’unica terapia che abbiamo. Se ci fosse un codice e l’attività fisica venisse riconosciuta come una terapia, allora il servizio pubblico dovrebbe fornire questo con un ticket. (medico trapiantologo)
Emergono chiaramente il desiderio di formazione e la richiesta di condividere messaggi e strumenti fra tutti i medici, medici di medicina generale inclusi. Così come in molti altri settori della sanità, si conferma la disomogeneità fra Nord e Centro‐Sud Italia.
Il punto di vista dei pazienti: l’individuo e la sua esperienza L’età, la struttura di personalità dei pazienti, la loro abitudine all’attività fisica precedente al trapianto e il loro status socio‐culturale sono la base della motivazione a praticarla o meno. I pazienti esplicitano la necessità di riconquistare fiducia nel proprio corpo, come risposta alla difficoltà a rendersi conto di non essere più malati e, allo stesso tempo, di costituire un’eccezione. Alimentazione e movimento sono i fattori citati quando si parla di cosa bisogna fare per mantenersi in forma dopo l’intervento. L’attività fisica è l’occasione per aggiungere all’esperienza del trapianto un benessere attivo, da legarsi al piano delle emozioni dell’individuo e in base al quale devono essere attivati strumenti e creati messaggi che le affrontino e le utilizzino. L’attività fisica più praticata è il camminare. La propensione al muoversi è spesso associata alla pratica di hobby, elemento che richiama la necessità di meglio comunicare la funzione di vera e propria terapia che l’attività fisica costituisce. Gli intervistati riconoscono l’utilità della prescrizione per una migliore aderenza, ma il riferimento a uno scritto lasciato dal medico non emerge in fase spontanea: la cultura dell’attività fisica come terapia si conferma assente anche da questo punto di vista.
76
Attività fisica o sport?
I medici tendono a dare molta importanza alla differenza tra i due modi di chiamare la
stessa necessità di promuovere il movimento come terapia non farmacologica.
Comunicare in modo univoco è infatti importante perché tutta la comunità scientifica
svolga un’azione coordinata nella sua promozione.
Se l’attività fisica è terapia che può essere praticata dalla maggior parte della
popolazione dei trapiantati, la normalità che deve ad essa essere legata stride con
l’accezione agonistica dello “sport”, meno adatto a pazienti piuttosto avanti con l’età e
con esperienze disuniformi in termini di educazione al movimento.
Diversi tipi di trapianti
Il tipo di trapianto non sembra pesare particolarmente fra i fattori motivazionali che
spingono i pazienti a praticare o meno l’attività fisica.
In alcuni casi, nei racconti dei pazienti, emergono ostacoli di tipo fisico propri di
trapianti diversi e in ogni caso superabili se il fattore motivazionale prevale.
ATTORI
I medici
Quando la comunicazione interna al gruppo di cura è efficiente, anche l’aderenza a
pratiche come l’attività fisica mostra di avere più successo. Questo vale per tutti coloro
che partecipano al processo di cura e recupero, medici, infermieri, psicologi, famigliari
e associazioni: la catena degli attori.
Il ruolo che i medici specialisti rivestono nel promuovere l’adesione alla pratica
dell’attività fisica da parte pazienti trapiantati è fondamentale, sono la loro
competenza e autorevolezza a guidare sia coloro che non avevano esperienza di
attività fisica prima del trapianto, sia i più intraprendenti, già motivati ed esperti. I
medici specialisti e lo staff dei centri trapianti sono i primi comunicatori.
Decisamente non rilevante è il ruolo dei medici di medicina generale, che per tutti gli
intervistati non sono punto di riferimento per l’attività fisica.
Il motivo principale è la mancanza di competenza specifica loro attribuita: poiché a
livello strutturale il loro ruolo deve essere generalista, la possibilità e l’opportunità di
praticare l’attività fisica per un paziente “speciale” come quello trapiantato esulano
dalla loro valutazione e dai loro consigli.
77
Prescrizione
Legato all’argomento del ruolo dei medici è quello della possibilità che l’AF sia
oggetto di prescrizione. Mentre i medici intervistati sono propensi a
considerarla soluzione “strutturalmente” utile per incentivare all’aderenza, i
pazienti non riportano esperienze in merito, ma confermano che sarebbe di
sicura guida nell’incentivarli o regolare le loro abitudini in questo ambito di
cura.
Le associazioni
Fra gli altri attori, le associazioni si mostrano più rilevanti nel racconto dei medici che in
quello dei pazienti. Grande peso sembra avere la variabile geografica: soprattutto al
Sud o nei centri più piccoli e isolati viene lamentata la mancanza di un contatto con
altri pazienti nelle stesse condizioni per condividere problemi e opportunità.
I medici sottolineano invece come, all’interno delle associazioni e grazie a loro, i
pazienti possano diventare cittadini attivi nel chiedere politiche che li tutelino.
Quindi i pazienti e le associazioni potrebbero avere un impatto a livello sociale e
politico molto più forte di noi medici. Il politico e l’istituzione che si trova a dover
decidere di prescrivere l’attività fisica è molto più sensibile al paziente che a noi
professionisti, quindi la posizione delle associazioni avrebbe una forza enorme.
La famiglia
Il supporto del gruppo familiare è determinante per motivare e sostenere i pazienti.
La matrice culturale di provenienza è fondamentale: la pratica di attività può essere
ritenuta pericolosa o declassata al livello di hobby o addirittura pericolosa e per questo
è importante promuovere l’efficacia terapeutica dell’attività sportiva in senso ampio,
condividendo evidenze e inserendo esplicitamente i famigliari nei contenuti dei
prodotti comunicativi.
78
Ostacoli alla pratica dell’attività fisica
I fattori che ostacolano la motivazione dei pazienti nell’aderire alla pratica dell’attività
fisica si articolano su diversi livelli: organizzativo, psicologico, fisico e sociale.
Rendere conto dei primi è utile per costruire le leve di comunicazione utili a
incoraggiare a trovare lo spazio “quotidiano” per fare attività fisica.
Isolare e analizzare i secondi, a livello psicologico, serve a individuare punti focali sui
quali concentrare l’attenzione del messaggio da veicolare in fase di pianificazione e
gestione della comunicazione.
Restituire come gli ostacoli di carattere fisico vengono raccontati dai pazienti stessi
aiuta a integrare il racconto specialistico dei medici.
Riportare gli ostacoli di carattere sociale serve a individuare soluzioni di indirizzo
politico che non sono oggetto diretto di questo rapporto, data anche la limitatezza del
campione preso in esame, ma che sono invece da tenere in debita considerazione per
la pianificazione futura del Centro Nazionale Trapianti.
Aspetti organizzativi
La mancanza di tempo dovuta al lavoro è il maggiore ostacolo alla pratica dell’attività
fisica. Ulteriore fattore rilevante è la vicinanza/lontananza di una palestra, che sembra
influire in condizioni come quelle di pazienti con lavori impiegatizi e in località meno
servite. Come per le altre variabili, sono gli intervistati più avanti con l’età e residenti al
Centro‐Sud ad addurre l’organizzazione come ostacolo effettivo.
Notevole è la differenza fra chi vive in una città grande o nelle sue vicinanze e chi nei
centri più piccoli e isolati, dove sono le risorse naturali (sentieri, mare) ad offrire il
setting elettivo. Inoltre, la frammentazione delle politiche di incentivo e le condizioni
lavorative nelle varie regioni è dichiarato come fattore più o meno critico dai medici e
si manifesta, indirettamente, nei racconti dei pazienti.
Blocco interiore
Per ciò che riguarda gli ostacoli di tipo psicologico i meno motivati a causa di un
“blocco interiore” e di una mancanza profonda di motivazione (“non è nel mio DNA”,
dichiara più di un intervistato) sembra siano soprattutto i rispondenti più anziani e
comunque chi abita al Sud, senza differenze rilevanti fra uomini e donne.
79
Ostacoli fisici
Per ciò che riguarda gli ostacoli di tipo fisico, un gruppo consistente di intervistati cita
la paura di incorrere in incidenti. Anche in questo caso, l’esperienza del singolo e
soprattutto l’abitudine precedente a praticare una determinata attività fisica giocano
un ruolo rilevante.
Un ostacolo consistente è l’età. Anche se si tratta di un fattore non modificabile, è
evidente la possibilità di calibrare l’attività fisica a seconda delle caratteristiche di tutti
gli individui. In questo senso si può concludere che il pericolo di incidenti sia
decisamente sopravvalutato dai pazienti intervistati più avanti con l’età.
Inoltre, sempre dal punto di vista degli ostacoli fisici citati, l’assunzione di farmaci e
uno stato complessivo di debolezza sono argomenti forti nei racconti di alcuni.
Base culturale
Gioca sicuramente un importante ruolo il livello socio‐culturale.
Non avendo informazioni dettagliate sotto questo profilo per ciò che riguarda il nostro
campione, comunque troppo limitato per trarre conclusioni definitive, è utile tenere in
considerazione i dati disponibili sulla popolazione estesa. Il più recente rapporto ISTAT,
sugli "Aspetti della vita quotidiana" (2014) dichiara che la popolazione che pratica
attività fisica in età adulta e in particolare nella fascia di età più interessante per i
trapianti (45‐64) è rappresentata da laureati per il 42%, da diplomati per il 29,4%, da
possessori di licenza media il 17,7%. Più basso è il livello di scolarizzazione meno
vengono considerati prioritari fattori come l’attività fisica.
Inattività lavorativa
Più complesso è il legame fra lo stato emotivo e di salute che può frenare l’attività
fisica e gli aspetti sociali che influiscono sulla vita dei pazienti quali l’inattività
lavorativa dopo un trapianto. Questa mancanza è vissuta come un ostacolo generale al
benessere e richiama la necessità di investire in attenzione e risorse su questo fattore.
L’Italia divisa in due
Le differenze fra le politiche regionali si delinea netta. Nonostante il nostro studio
qualitativo possa solo costruire tendenze, la rispondenza rispetto ai parametri di
valutazione della qualità di vita, della partecipazione e dell’efficienza dei servizi nelle
diverse aree del nostro paese trova riscontro nelle interviste fatte sia ai medici che ai
pazienti per ciò che riguarda le strutture di supporto ai malati cronici.
80
Conclusioni: costruire contenuti e forme di comunicazione efficaci Per una comunicazione efficace, differenziata nei mezzi e coerente nel messaggio, è necessario distinguere fra i due piani del contenuto e della forma e concentrarsi sulle peculiarità degli attori, destinatari ed emittenti.
Elementi di contenuto Gli elementi di contenuto sui quali lavorare sono riferibili a linee narrative costruite
unendo gli stimoli tratti dalle interviste ai medici e ai pazienti:
Camminare: emerge in modo evidente come l’attività fisica più praticata e
accessibile.
Quotidianità: è la tematica che fa leva più di tutte sui fattori organizzativi,
prioritari per coloro che tendono a non trovare la spinta necessaria a inserire
l’AF nella loro giornata. In questo senso, “istruzioni per l’uso” chiare e operative
date dal medico nella fase post‐trapianto e durante le visite di controllo,
rafforzate da altri strumenti comunicativi quali siti web, video, pagine
Facebook, App per smartphone, possono in primis chiarire ai pazienti cosa
possono e devono fare e dare loro una “cadenza”.
Farmaco buono: grazie alle evidenze scientifiche che collocano l’attività fisica
fra le terapie non farmacologiche, il messaggio degli effetti della stessa sui
parametri biomedici e il come si possono ottenere è un argomento prioritario.
Modelli: spostando l’efficacia della comunicazione dal contenuto del messaggio
all’emittente, sia esso il gruppo dei pari o un modello di sportivo che viene da
un’esperienza di malattia simile, i modelli rassicurano i pazienti. La logica del
simile del quale ci si può fidare prevale.
Evidenze: i medici le portano – e le devono portare ‐ con numeri e statistiche,
spiegando le performance dei pazienti non solo come consiglio per stare bene,
ma come riscontro che mostra in modo chiaro il miglioramento (o il
peggioramento); i pazienti le portano con la loro esperienza (si torna qui ai
modelli), che unisce gli effetti benefici a livello fisico con quelli a livello
psicologico. Il movimento diventa allora sia terapia “fisica”, sia motivazione per
recuperare la propria individualità su diversi fronti della vita personale, in
81
termini qualitativi (cosa si è tornati a fare, cosa si è ottenuto) e in termini
quantitativi (quanto si sta meglio in termini di parametri biomedici).
Limite e normalità: un tema ricorrente, già ampliamento esplorato nella
letteratura, è il superamento dei limiti posti dalla malattia prima del trapianto. I
maggiori benefici si trovano nell’area del benessere più che della salute. Fare
movimento significa per i pazienti raggiungere un benessere che va oltre i
parametri medici e significa “ritorno alla normalità”.
Fit tracker: un modo efficiente di visualizzare i dati, le evidenze, i propri
progressi sono le applicazioni per smartphone, mezzo in crescita e sempre più
diffuso anche nelle fasce di età medie. Un’applicazione approvata e promossa
dal Centro Nazionale Trapianti potrebbe costituire un buon mezzo per
facilitare l’aderenza a praticare attività fisica.
82
Catena di attori
Il paziente trapiantato è al centro
Il target che ha più bisogno della comunicazione è quello dei pazienti trapiantati
e in particolare il gruppo rappresentato dalle persone che non erano abituate a
fare sport prima della malattia, è soprattutto a loro che bisogna comunicare
l’importanza terapeutica del praticare attività fisica
La comunità medica
Coerentemente con i discorsi raccolti nelle altre parti delle interviste, la buona
comunicazione per promuovere l’aderenza all’attività fisica nei pazienti
trapiantati parte dal dialogo che si sviluppa dall’interno delle equipe mediche
che seguono i pazienti e che viene loro restituito nel rapporto personale
diretto, face‐to‐face.
Il fattore più problematico in questa area è, secondo i medici intervistati, la
mancanza di una visione culturale diffusa su trapianti e attività fisica. O forse,
meglio, manca l’abitudine del medico di raccomandare l’attività fisica come
forma di vera e propria terapia.
Argomento prioritario è quello dell’integrazione fra gli esperti delle diverse
discipline: la condivisione delle conoscenze assicura, infatti, l’efficacia della
comunicazione interna e tutta la filiera ne trae vantaggio. Il messaggio, perciò,
deve essere uniforme ed esteso a tutta la comunità.
Per questo i risultati di questa ricerca dovrebbero a nostro parere essere
promossi non solo tra i pazienti per incoraggiare la loro attività, ma anche fra i
caregiver stessi.
Dal medico al paziente
Il momento dove la comunicazione più efficace si realizza è quella fra medico e
paziente, tenendo in considerazione:
‐ momento del percorso clinico già da prima trapianto è necessario
preparare il paziente a cosa verrà dopo
‐ stato psicologico i pazienti necessitano di comunicazione chiara, pulita da
evocazioni e simbolismi e basata piuttosto su strategie retoriche semplici
(metafore e paragoni comunemente in uso)
‐ background culturale per comprendere la varietà di fasce di età ed
esperienze di vita diverse, bisogna adottare modalità di comunicazione
miste, dal face‐to‐face con il personale specializzato nel primo anno dopo
83
il trapianto, fino a strumenti cartacei ed elettronici che veicolino tutti lo
stesso messaggio di efficacia dell’attività fisica nel periodo in cui il contatto
con il paziente si riduce e si entra nella fase di “mantenimento”.
L’emittente: si conferma il ruolo di coordinamento, mediazione,
comunicazione istituzionale che il Centro Nazionale Trapianti svolge e che
ha bisogno di sostegno, conoscenza e attività di comunicazione capillare su
tutto il territorio nazionale.
84
La forma: mezzi e strumenti
I luoghi e mezzi privilegiati dove diffondere l’informazione sono variabili a seconda
dell’età e della fascia culturale dei pazienti, dalle sale di attesa, ai siti web, alle
applicazioni per smartphone.
Altro fattore fondamentale è la frammentarietà della situazione sanitaria a livello
nazionale, che richiama la necessità di privilegiare i mezzi di comunicazione con
diffusione capillare, capaci di raggiungere i cittadini indipendentemente dalla regione
di residenza.
In questa diversità, per definire in modo efficace la strategia di comunicazione del CNT,
è necessario che le varie forme della comunicazione possano veicolare un’unica
narrazione, diventando trama comune.
Le forme di comunicazione attraverso le quali adattare questa trama e che si
suggeriscono a conclusione di questa analisi sono:
‐ individuale, attraverso attraverso un’app dedicata a marchio CNT in cui trovare
informazioni di base e tenere monitorata la propria attività fisica
‐ generale, attraverso la televisione e internet, per le quali è possibile continuare
il discorso cominciato con i protagonisti del webdoc “Di nuovo in pista” e
utilizzare i suoi personaggi costruendo un dialogo con storie “meno eccezionali”
ma proprio per questo efficaci nel diffondere l’idea che l’attività fisica è cura.
85
Bibliografia Bauer, M. e Gaskell, G. (eds.), 2000. Qualitative Researching with Text, Image and Sound. A
Practical Handbook, Sage, London Cartabellotta et al. (2016). Efficacia dell’esercizio fisico nei pazienti con patologie croniche, Evidence 8(9) EU (2015). Special Eurobarometer 423. Cybersecurity (dati 2014). ISTAT (2014). “Aspetti della vita quotidiana", indagine http://www.istat.it/it/files/2014/12/Cittadini_e_nuove_tecnologie_anno‐2014.pdf?title=Cittadini+e+nuove+tecnologie+‐+18%2Fdic%2F2014+‐+Testo+integrale.pdf Van Adrichem et al. (2016). Perceived Barriers to and Facilitators of Physical Activity in Recipients of Solid Organ Transplantation, a Qualitative Study. Plos One, http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0162725
86
Appendice 1
Traccia di intervista ai medici trapiantologi e dello sport
Obiettivo di questa parte è di introdurre l’argomento trapianti e sport secondo l’esperienza
singola dell’intervistato
Mi racconta in un minuto la sua esperienza professionale nell’ambito dei trapianti e
l’argomento sport?
È importante che l’intervistatrice segni le parole chiave che vengono da questo racconto su un
foglio durante la risposta: durante tutta l’intervista si potranno usare i “ganci” derivanti per
approfondire le varie sezioni della traccia.
Riprendere il racconto approfondendo i seguenti punti:
Nel corso dell’intervista ritorneremo sugli argomenti sui quali le chiedo un riscontro ora, ma
per introdurre le chiedo, in sintesi:
Quali sono i maggiori vantaggi che derivano dal praticare movimento/sport nei suoi pazienti?
Quali sono i maggiori ostacoli?
Quali sono i protagonisti (es. il personale medico, il paziente stesso e la sua esperienza
pregressa, i famigliari)?
Parte 2: I fattori di influenza 30 min.
Questa parte ha l’obiettivo di capire quali sono gli ostacoli alla pratica sportiva nei vari tipi di
pazienti a seconda della loro esperienza pregressa, del luogo dove vivono, del tipo di servizi
ai quali hanno accesso, della rete famigliare e di tutte le altre variabili emerse nella parte
precedente. A partire dagli ostacoli e dai motivi di resistenza: come superarli?
In generale
Riprendendo quanto mi ha sintetizzato sopra, vorrei approfondire con lei quali sono gli ostacoli
alla pratica dello sport nei pazienti trapiantati e quale invece il modo di superarli è così
promuoverla efficacemente
l’intervistatrice scrive su un foglio tutti gli ostacoli che emergono e tiene l’elenco pronto per
la domanda alla sezione 3
87
Come influiscono i seguenti fattori
per ciascun elemento seguente, l’intervistatrice approfondisce il ruolo e il modo di influire
PER CIASCUNA RISPOSTA VANNO CHIESTI SEMPRE UN ESEMPIO POSITIVO E UNO NEGATIVO
Ostacoli clinici (nei suoi pazienti, quali sono i casi in cui NON si può fare sport e qual è la scala
di attività che si possono intraprendere)
Pratica dello sport prima del trapianto
Luogo: ci sono differenze fra i pazienti che vivono in regioni diverse?
Quali sono gli ostacoli dal punto organizzativo? Ad esempio la vicinanza strutture alla propria
abitazione, al proprio lavoro, tempi a disposizione diversi fra chi lavora e chi è disoccupato
lasciare libero l’intervistato di aggiungere fattori organizzativo‐logistici ed approfondire.
Tipo di servizi offerti dal territorio (se risposte tipo “nessuno”, o emergono poche evidenze,
chiedere come l’intervistato si immagina il processo di avvicinamento del paziente alla pratica
sportiva tramite gli enti/servizi regionali)
Associazioni dei pazienti
La famiglia (dopo avere approfondito tutti gli elementi che emergono spontaneamente,
chiedere come si fa, nella pratica, a sensibilizzare i famigliari)
In particolare, che ruolo ha il medico nell’incoraggiare (o scoraggiare) alla pratica sportiva/al
movimento?
Parte 3: Comunicare trapianti e sport 20 minuti
In questa parte si esplorano attori, contenuti e modalità della comunicazione per diffondere
una migliore cultura dell’attività sportiva fra i pazienti trapiantati e, in secondo luogo, nella
comunità scientifica e nelle istituzioni
Obiettivo di quest’ultima parte dell’intervista è capire come promuovere, attraverso la
comunicazione, la cultura dell’attività sportiva fra i pazienti trapiantati e, in secondo luogo, fra i
suoi colleghi medici.
88
Comunicazione interna
Partiamo proprio dalla comunicazione interna, fra medici, quali sono secondo lei i modi in cui si
potrebbe diffondere maggiormente (l’esempio negativo è il fatto che, durante i convegni
specialistici sui trapianti, si tenda a disertare le sessioni su trapianti e sport).
1a. Come intitolerebbe un suo intervento a un convegno su trapianti, sport e COMUNICAZIONE
dove, per una volta, i suoi colleghi medici italiani affollano la sala.
Istituzioni
Cosa fanno oggi e cosa potrebbero fare le istituzioni (regioni, assessorati) nel proporre l’attività
sportiva come terapia non farmacologica?
Pazienti
3a. Quali sono i mezzi più efficaci, secondo lei, per promuovere l’attività fisica nei pazienti
trapiantati (fatte salve le cautele dovute agli ostacoli clinici)?
3b. Qual è il messaggio principale da veicolare?
3c. Per ultima cosa, provi a immaginare che io sia un paziente trapiantato che non ne vuole
sapere di fare sport a causa dei diversi ostacoli individuati prima (riprendere l’elenco scritto
all’inizio della sezione 2 della traccia). Per ciascuno mi convinca che devo fare sport.
89
Appendice 2
Traccia delle interviste individuali ai pazienti trapiantati
Introduzione – 5 min.
Presentazione da parte di chi conduce l’intervista: lavoro in un’agenzia che si occupa di comunicazione scientifica. Io e i miei colleghi ci occupiamo molto di salute sotto vari aspetti e in questi mesi collaboriamo con il Centro Nazionale Trapianti per conoscere l’esperienza di medici e pazienti trapiantati per ciò che riguarda l’argomento “Trapianti e attività fisica”. Abbiamo scelto persone con esperienza di trapianto per capire meglio quali sono le idee, le abitudini, i suggerimenti che hanno a proposito e per questo siamo arrivati a lei. Chiarire che alla base sono stati individuati criteri come l’età o il tipo di trapianto e casualmente lui/lei è rientrato in questa selezione. Vorrei audio‐registrare l’intervista che stiamo per fare. So che ha già dato il suo consenso a farlo. L’intervista rimarrà anonima e i dati che useremo serviranno solo ai fini della ricerca. Non ci sarà alcun giudizio su quello che dirà, né valutazione per ciò che riguarda il suo stato di salute. La mia intervista serve a capire a fondo cosa significa per una persona che ha avuto un trapianto di … (specificare il tipo di trapianto) che cosa significa per lei l’argomento dell’attività fisica, per rendere il messaggio che riguarda l’opportunità di praticarla efficace e ben comunicato. Partiamo… Parte 1: “Muoversi” – significati, valori 20‐25 min.
Obiettivo di questa parte è di inquadrare l’argomento dell’attività fisica per ciò che riguarda il suo significato calato nell’esperienza del paziente, in termini di conoscenza e valori
1.1 Mi dica tre cose che fa per mantenersi in salute
1.2 Cosa significa per lei “fare sport?”?
Lasciare l’intervistata/o libera/o di esprimersi. Quando gli argomenti spontanei sono esauriti, chiedere:
1.3 E cosa significa per lei “fare attività fisica”?
1.3. Approfondire eventuali elementi emersi in modo incompleto, facendo attenzione a far emergere la differenza fra “attività fisica” e “sport”
1.4 Aveva un’esperienza di attività fisica prima del trapianto?
TENERE IN CONSIDERAZIONE CHE CI SONO RILEVANTI DIFFERENZE FRA I DIVERSI TIPI DI TRAPIANTO: mentre i pazienti con trapianto di cuore difficilmente hanno avuto esperienza di attività fisica, più probabilità c’è per quelli di rene e
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fegato. Stessa attenzione per le persone anziane, che difficilmente hanno un passato “sportivo”.
1.5 Per chi pratica attività fisica:
1.5a Mi racconti come ha ricominciato dopo il trapianto 1.5b Quali sono i maggiori benefici che ha notato praticando?
Fare attenzione ai seguenti elementi PER RIPRENDELI POI NELLA SEZIONE SUCCESSIVA
attori (indicazione del medico specialista, del medico di base, supporto di parenti e amici)
questioni organizzative (es. presenza di una palestra vicina, di un gruppo al quale unirsi per camminare, ecc.)
presenza di una indicazione scritta da parte del medico 1.6 All’inizio mi ha detto che non pratica attività fisica. Cosa la trattiene? (eventualmente ribadire all’intervistata/o che non è questione di giudizio!)
Anche in questo caso, fare attenzione ad elementi quali:
questioni organizzative (es. presenza di una palestra vicina, di un gruppo al quale unirsi per camminare, andare in bici, ecc.)
attori (mancanza di indicazioni da parte dei medici)
supporto di parenti/amici (es. “nessuno in famiglia pratica sport”) PER RIPRENDELI POI NELLA SEZIONE SUCCESSIVA.
FARE ATTENZIONE ALLE DIFFERENZE FRA PAZIENTI CON DIVERSI TIPI DI TRAPIANTI!
Parte 2: Driver e ostacoli 20 min.
Questa parte ha l’obiettivo di approfondire cosa frena e cosa potrebbe incoraggiare la pratica dell’attività fisica nei pazienti
Ora le leggo una frase pubblicata sul sito del Centro Nazionale Trapianti e sulla quale vorrei che ragionassimo insieme [se intervista in presenza, stampare in carattere leggibile prima dell’intervista e tenerlo sotto:
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Oggi è ampiamente dimostrato che gli individui che sono stati sottoposti a trapianto di organo possono recuperare una buona qualità di vita e da sempre l’attività fisica rappresenta, per molti trapiantati, un percorso di recupero e benessere, ma anche un mezzo per testimoniare l’efficacia del trapianto. Riappropriarsi della funzionalità del proprio corpo dopo un trapianto d’organo rappresenta una tappa fondamentale e praticare un’attività fisica contribuisce notevolmente a raggiungere questo obiettivo. Lo sport può, quindi, fungere da terapia ed è fondamentale anche per sentirsi meglio a livello psichico. Esistono numerose attività che possono essere praticate per svago dai trapiantati, come il nuoto, il jogging, la ginnastica, lo sci di fondo.
2.1 Riprendendo quanto mi ha detto finora, vorrei approfondire con lei quali sono gli ostacoli alla pratica dell’attività fisica per lei e quale invece il modo di superarli è così promuoverla efficacemente l’intervistatrice scrive su un foglio tutti gli ostacoli che emergono e tiene l’elenco pronto per la domanda alla sezione 3 2.2 Come influiscono i seguenti fattori
per ciascun elemento seguente, l’intervistatrice approfondisce il ruolo e il modo di influire PER CIASCUNA RISPOSTA VANNO CHIESTI SEMPRE UN ESEMPIO POSITIVO E UNO NEGATIVO
a. Ostacoli clinici
b. Luogo dove si abita [qui notare se ci sono differenze fra i pazienti che vivono in
regioni diverse]
c. Ostacoli organizzativi? Ad esempio la vicinanza strutture alla propria abitazione, al proprio lavoro, tempi a disposizione diversi fra chi lavora e chi è disoccupato lasciare libero l’intervistato di aggiungere fattori organizzativo‐logistici ed approfondire.
d. Tipo di servizi offerti dal territorio (se risposte tipo “nessuno” o emergono poche
evidenze, chiedere come l’intervistato si immagina il processo di avvicinamento del paziente alla pratica sportiva tramite gli enti/servizi regionali)
e. Associazioni dei pazienti
f. La famiglia
g. In particolare, che ruolo hanno: a. il medico specialista b. Il medico di famiglia
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nell’incoraggiare (o scoraggiare) alla pratica sportiva/al movimento?
Per chi pratica: ha avuto una prescrizione da parte del medico?
Per chi non pratica: sarebbe utile una prescrizione da parte del medico di cosa può fare in termini di attività fisica (ad esempio una certa quantità di camminata al giorno)?
Parte 3: La comunicazione 15 min
Questa parte serve a convogliare i risultati raccolti nelle due fasi precedenti in ottica di promozione dell’attività fisica attraverso canali e contenuti appropriati
a. Quali sono le fonti attraverso le quali è venuta/o a conoscenza dell’argomento trapianti e
attività fisica? (medico trapiantologo, psicologo, medico di base, materiali forniti dal Centro Trapianti – CT, siti web, associazioni di pazienti)
b. Quali sono i mezzi più efficaci, secondo lei, per promuovere l’attività fisica nei pazienti trapiantati (fatte salve le cautele dovute agli ostacoli clinici)? E per lei in particolare?
3.3. Qual è il messaggio principale da veicolare? 3.4 Per ultima cosa, se dovesse raccomandare a un/a suo/a amico/a che ha avuto un trapianto che è importante l’attività fisica, cosa gli/le direbbe?