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Bimestrale dell’UAAR n. 6/2015 (103) 4,00 ISSN 1129-566X ECOPAPA UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti Bimestrale – Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Firenze n. 6/2015 (103) con Inserto speciale libri

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Bimestrale dell’UAARn. 6/2015 (103)€ 4,00

ISSN 1129-566X

ECOPAPAUAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici RazionalistiB

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2 n. 6/2015 (103)

In copertina: Altan (© Altan/Quipos)Nell’interno vignette di: pag. 4, 10, 15, 38, 44: Maurizio Di Bona (www.thehand.it); pag. 6: Ni-co Pillinini (http://nicopillinini.blogspot.com/); pag. 8: Vukic (http://vukicblog.blogspot.it/); pag. 12: Moise (www.flickr.com/photos/moisevivi/); pag. 13: PV (PietroVanessi, http://www.unavignettadipv.it); pag. 14: Mario Piccolo (http://www.satirareligiosa.it); pag. 16, 40, 46: fonte ignota; pag. 17, 19, 22, 25, 27-28, 31-32: Danilo Mainardi; pag.33: Giancarlo Colombo; pag. 35, 41: Gava (da gavavenezia.it); pag. 36: Dan Piraro (da www.bizarrocomics.com); pag. 43: Bandanax (https://it-it.facebook.com/VignetteBandanax).

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Almeno a partire dalla crisi dell’imperoromano, ben lo sappiamo, un libro su tut-ti ha avuto lo straordinario privilegio dicondizionare nel bene e nel male l’inte-ro mondo occidentale; un libro al qualeha fatto riferimento, quasi una sorta diproto-enciclopedia, la gran parte del sa-pere. Non a caso ogni summa delle co-noscenze in qualsivoglia specifico cam-po del sapere è ancora oggi definita: “labibbia …”.

Le “Verità” (gran bel parolone!) bibli-che, per nostra fortuna (e a merito delnon fermarsi del libero pensiero e del pro-gresso) tramontano una dopo l’altra, so-stituite da ben più consistenti “certez-ze” scientifiche (con la “c” minuscola, inquanto “falsificabili”, o, se preferite, “re-lative”). Cosa fanno allora gli uomini dichiesa? Da una parte tentano di mini-mizzare il preciso assunto biblico, ele-vandolo ad allegoria per anime semplici(tecnica sublime, che rende possibile adesempio ampliare ad ere geologiche i“giorni” della creazione), dall’altra sisforzano di “interpretarlo” nel modo piùconsono alla contemporaneità.

Analizziamo un primo esempio (sul qua-le sarà opportuno tornare in uno dei pros-simi numeri): la genealogia umana, allaluce del recentissimo ritrovamento del-l’uomo dinaledi, in Sudafrica, va fatta ri-salire a oltre due milioni e mezzo di an-ni: un colpo mortale per i biblisti; ed unaeresia per il papato (almeno fino ad uncinquantennio fa). Ma dopo avere so-stenuto fino all’indifendibile il monoge-nismo e dopo avere certificato per duemillenni una cronologia umana non su-periore ai 6000 anni, ecco che trionfa l’al-legoria, e la stampa cattolica sembra nonsolo accettare quasi senza battere cigliouna così lontana ascendenza, ma persi-no glissare sul poligenismo. Con buonapace di Adamo e del peccato originale!

Assodatodunqueche l’originedell’Homosapiensèsemprepiù“africanizzata”, chene resta ai cattolici del biblico giardinodell’Eden, creato da Dio fra il Tigri e l’Eu-frate? Papa Bergoglio ne ha un’idea pre-cisa: è la metafora dell’affidamento al-l’uomo del creato, argomento del qualeha trattato nella sua più recente encicli-ca. In molti (direi in troppi) hanno plau-dito all’eco-papa (come lo definiamo inquesto numero), ma ai più critici non èsfuggita la ovvietà di certi concetti (comescrive Fabio Fantini nel suo articolo) e lamancanza di concrete direttive operati-ve. In buona sostanza, poco più, per cer-ti versi (vedi l’articolo di Enrica Rota) diuna rimacinatura di concetti oramai am-

piamente sedimentati nella cultura piùresponsabile, ma ora rivestiti di una au-radi“nuovo”nel“vecchio”dellasalsabi-blica. E qui torniamo al giardino dell’E-den, che, com’è ben chiaro a chi leggesenza paraocchi la Bibbia, non è la “Ter-ra” in senso lato, ma piuttosto il giardi-no privato del signore Dio (ovvero dell’E-lohim che ha plasmato Adamo per suoservizio e compagnia); dunque ben di-stinto da tutto ciò che vi è d’intorno, interra ed in cielo. Non a caso, a partire daqueste premesse, il rispetto della natu-ra ha fatto solo fugaci apparizioni nellaconcettualità cristiana (Francesco d’As-sisi ne è un caso limite, quanto contrad-dittorio) nella quale invece ha quasi sem-pre prevalso il supporto ad una logicapredatoria, visto che la Provvidenza di-vina avrebbe poi comunque risolto ognisquilibrio e danno conseguente.

Mentre in troppi hanno esaltato la svol-ta ecologista bergogliana, quasi nessu-no cita a questo proposito documenti diben altra importanza: uno per tutti il ce-lebre “Rapporto sui limiti dello svilup-po”, commissionato dal MIT al Club diRoma, e pubblicato inizialmente nel1972. Del tanto che separa questo Rap-porto dalla Enciclica qui sottolineo solodue aspetti: l’impostazione realistica eper nulla ideologica, e la messa in primopiano del problema demografico, piut-tosto in ombra (come da tradizione) neldocumento papale.

Come ben si è visto, per una volta tan-to, un documento magisteriale ha co-munque suscitato forte interesse (anchese ben poco entusiasmo) pure fra i noncredenti. E non a caso: di salvaguardiadell’ambiente si dibatterà nel corso delCop21, la “Conferenza internazionale suicambiamenti climatici” in programma aParigi nel dicembre 2015, e dunque l’en-ciclica sembra quasi voler imporre unapriorità di merito su proposte che peral-tro appaiono abbastanza scontate, sen-za necessità di ricorrere all’ordine crea-turale disegnato da Dio; e comunque icattolici non sono i soli a richiamarsi aDio, giacché un analogo documento,sempre in previsione della conferenza diParigi, è stato elaborato durante un sim-posio, tenutosi il 17 e 18 agosto 2015 aIstanbul, che ha visto impegnati una ses-santina di rappresentanti del mondo isla-mico.Di ecologia cominciamo dunque ascrivere in questo numero, ma nei pros-simi proporremo certamente degli ap-profondimenti.

Tanto per restare sull’argomento papa,consentitemi pochi flash critici circa il

suo recente viaggio nelle Americhe. In-nanzitutto l’immagine ambigua del pa-pa “comunista”, terzomondista, e dei po-veri che alla fine lascia invece sdegnatoin Bolivia il crocifisso in legno con an-nessa falce e martello, eseguito su dise-gno del gesuita Luis Espinal, martire deipoveri, assassinato negli anni Ottantadalla dittatura militare. Poi, il papa “cu-bano”, osannato da una folla immensamentre attraversa un ampio viale dell’A-vana le cui case sono state per l’occa-sione ben riverniciate, dopo che a tuttigli attivisti locali è stato messo il bava-glio e dopo che una cosiddetta “opera-zione di pulizia sociale” ha allontanatodal centro della città i mendicanti, i ma-lati mentali, e le persone indifese e sen-za casa. Infine, l’indignazione (fra le quin-te) vaticana per l’invito fatto dal presi-dente Obama, in occasione del ricevi-mento ufficiale alla Casa Bianca, di per-sone non gradite all’establishment vati-cana (un ex vescovo dichiaratamentegay, una suora pro-abortista, un’attivistatransgender). In tutti e tre i casi, un de-ciso schiaffo all’immagine che si volevadare di quest’uomo!

Ma passiamo ad altro. Avete presentel’ostinazione di Ratzinger-BenedettoXVI contro il cosiddetto relativismo? Sene parla sempre meno, forse anche per-ché Bergoglio sembra (sembra!) a suomodo relativista (vedi l’apertura ai di-vorziati risposati e il “non giudizio” suigay); in compenso una oscura presenzainquieta i cattolici: il “gender”. Imma-gino che sappiate più o meno tutti di co-sa si tratta. Per alcuni di noi della Reda-zione l’argomento è una bufala di benscarso interesse, che fra l’altro si sta-rebbe sgonfiando; per altri merita inve-ce un approfondimento. Ne parleremoquasi sicuramente nel primo numero del2016, nel quale ci interesseremo anchedi comeComunicare l’evoluzione. E vi-sto che siamo in argomento, vediamocosa abbiamo in cantiere per i succes-sivi, a meno di ripensamenti in corso d’o-pera. Nel numero 2 parleremo di Reli-gione e violenza; nel 3 (e qui mi ricolle-go a quanto scritto sopra) di Sovrappo-polazioneeambiente; il n. 4 proseguiràla serie delle “arti”, con Fumetti senzadio; il n. 5 Chi diavolo è? sarà dedicatoa questo inquietante protagonista ditante religioni. Dulcis in fundo, l’ultimonumero dell’anno, 109° della serie, ce-lebrerà ilVentennale de LL’’AAtteeoo. Augu-ri a tutti noi!

Francesco D’Alpa [email protected]

3n. 6/2015 (103)

EDITORIALE

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4 n. 6/2015 (103)

ECOPAPA

Si è, come di consueto, molto parlato del-la cosiddetta svolta bergogliana control’antropocentrismo sancita con l’ultimaenciclica sull’ambiente Laudato si’ (sucui scrive con il solito acume anche En-rica Rota su questo numero de L’Ateo ealle cui considerazioni si rimanda). Cer-ta terminologia, in effetti, è abbastanzainedita in ambito cattolico nei documentiufficiali. Ci si riferisce, in particolare, al-l’espressione contenuta nell’enciclicasuddetta che recita: «Mossi da una spi-ritualità orientata alla conversione eco-logica».

Diversi mesi addietro, il cardinale Paro-lin, intervenendo al Summit ONU sul cli-ma (settembre 2014) aveva usato termi-ni che richiamavano la responsabilità del-le nazioni riguardo al pianeta. Il mes-saggio per la 10a Giornata per la custo-dia del creato (1° settembre 2015) eradello stesso tenore. Un ottimo viatico invista del vertice di Parigi delle NazioniUnite sui cambiamenti climatici che sisvolge dal 30 novembre all’11 dicembrementre noi andiamo in stampa. Si trat-ta, a ben vedere, di uno scostamento dinon poco conto rispetto alla tradizionecattolica prevalente laddove, a partiredai Padri della Chiesa e con il suo apicedurante il cristianesimo medievale, nonsi è mancato di sottolineare una conce-zione degradata della natura, una verasvalutazione del cosmo e del creato che,forte di riferimenti biblici che vanno dal-la Genesi fino a san Paolo, ha voluto in talmodo esaltare il valore redentivo del-l’incarnazione di Gesù Cristo.

Ma ancora non molto tempo fa, il Ma-gistero ecclesiastico si esprimeva contoni molto diversi. Alla fine, infatti, delseminario internazionale promosso inVaticano dal Pontificio consiglio dellaGiustizia e della Pace sui temi ambien-tali, alla presenza di esponenti del mon-do scientifico e della politica, svoltosi il26 e 27 settembre 2007, il presidentecardinale Martino scriveva nelle Con-clusioni:

«La natura è per l’uomo e l’uomo è perDio […]. L’uomo ha una indiscussa su-periorità sul creato e, in virtù del suo es-sere persona dotata di un’anima im-

mortale, non può essere equiparato aglialtri esseri viventi, né tantomeno consi-derato un elemento di disturbo dell’e-quilibrio ecologico naturalistico […] Nel-la considerazione delle problematicheconnesse ai cambiamenti climatici, si de-ve riconoscere che la dottrina sociale del-la Chiesa deve fare i conti con molteodierne forme di idolatria della naturache perdono di vista l’uomo».

Ennesima svolta bergogliana dunque opiù presumibilmente solita camaleonti-ca mimetizzazione dei vertici della Chie-sa Cattolica sempre bravi a fiutare l’ariache tira? Perché in fondo la perduranteostilità di Romana Chiesa verso l’ecolo-gismo, che in taluni ambienti fonda-mentalisti, dai teocon americani ai fana-ticelli di casa nostra (Radio Maria) rag-giungono toni parossistici, non nascon-de forse la preoccupazione di vedere inun eccessivo interventismo delle nazio-ni, la messa in discussione dei soliti tabù(controllo delle nascite, contraccezioneed aborto, educazione sessuale) sui qua-li ancora molto timido appare il papa ri-voluzionario?

Meno nota, forse, la svolta ambientali-sta che ha interessato uno dei più cele-bri protagonisti dello scontro che, neglianni Ottanta del secolo scorso, ha vistoda una parte il Vaticano e dall’altra lateologia della liberazione: Leonardo Boff.La sua teologia liberazionista nel corsodegli anni, e in particolare, dopo la suariduzione allo stato laicale, ha subito unvero e proprio processo di meticciato in-contrandosi sia con il pluralismo religio-so sia con l’ecologismo militante. Dellasua vasta produzione, il libro Ecologia –Grito da terra, grito dos pobres, del 1995segna una tappa decisiva verso la nuo-va prospettiva critica che fa appello aduno sviluppo sostenibile e per questo haincontrato il favore dei movimenti ter-zomondisti e dei forum sociali (dove Boffè stato lungamente di casa e arringato-re di folle).

È però in una serie di articoli pubblicatisulla rivista Concilium che Boff ha chia-rito in modo inequivocabile il supera-mento non solo dell’antropocentrismoma finanche del cristocentrismo riguar-

do al cosmo, alla natura, alla libertà uma-na, con toni inediti e, per certi versi, cla-morosi. Partendo dal processo di globa-lizzazione non solo come fenomeno eco-nomico e finanziario ma anche come unafase nuova per la terra e l’umanità, al-l’insegna dell’apertura dei vari sistemidi valori, tradizioni e saperi, Boff arrivaad auspicare che anche il cristianesimosi spogli dei suoi limiti spazio-temporalinon essendo «un fossile pietrificato nel-le sue formulazioni dottrinali e nelle sueespressioni storiche». La dimensione co-smica di Cristo, colta attraverso alcunipassaggi delle lettere paoline ai Colos-sesi e agli Efesini diventa una sorta dinuovo paradigma: la creazione stessaassurge a forma di auto-manifestazionedi Dio. Non più una creazione a perde-re, decaduta dalla quale strappare l’uo-mo affinché non sia travolto dal pecca-to ma una interdipendenza tra creato ecreatura. Sullo sfondo l’elemento cheBoff chiama cristico, evocazione del Cri-sto cosmico che in Gesù di Nazaret rag-giunge una manifestazione eccellentema non ne esaurisce la forza e la com-plessità. Questo elemento, per Boff, èpresente in molteplici figure storiche,ma anche «in ciascun essere, nella ma-teria, nel mondo subatomico e nelleenergie primordiali». La creazione tornaa Dio perché ne è imbevuta (unta); perquesto è sacra.

Delle due svolte olistiche, quella di Ber-goglio appare distonica rispetto alla tra-dizione e da mettere al vaglio dei fatti.Quella di Boff sembra invece più coe-rente: la teologia della liberazione che siestende dall’uomo all’universo, a quellacreazione che, in attesa della universa-le redenzione, ancora «geme e soffre fi-no ad oggi nelle doglie del parto», comescriveva Paolo di Tarso ai Romani.

Bergoglio e Boff: due svolte ambientaliste a confrontodi Stefano Marullo, [email protected]

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5n. 6/2015 (103)

ECOPAPA

C’era una volta un Papa che ne avevacombinate di tutti i colori … e che erastato talmente odioso, arrogante e pre-potente con i suoi avversari da meri-tarsi, pare, un sonoro ceffone, infertogliad Anagni dal poderoso guanto di fer-ro del suo arcinemico, certo GiacomoSciarra Colonna …

Questo Papa è rimasto famoso, oltre cheper il suddetto increscioso episodio, an-che per essere stato messo da Dante,senza tanti complimenti, all’inferno(Canto XIX – il famoso “Canto di Boni-facio”), per aver istituito il Giubileo eper aver scritto un’enciclica (la bolla«Unam Sanctam») che è un capolavorodi pensiero teocratico, ovvero: il potere“temporale” deve essere subordinatoal potere “spirituale”, quindi tutti i so-vrani devono obbedire alla chiesa, al difuori della quale non c’è salvezza ... epertanto è necessario, proprio ai fini del-la salvezza, che ogni creatura sia sot-tomessa al Santo Papa. Questo il “suc-co” della bolla «Unam Sanctam».

Ma eravamo nel lontano 1303 … il Me-dioevo non era ancora terminato e quin-di si capisce che certi Papi continuas-sero a smenarla con questa storia del-la teocrazia e della supremazia dellachiesa … Adesso i tempi sono cambia-ti, siamo nel XXI secolo e, sebbene i Giu-bilei vengano indetti tuttora (e non sol-tanto quelli ordinari, come ai tempi diBonifacio VIII, ma anche quelli straor-dinari!), la chiesa ha ormai rinunciatoalle sue pretese teocratiche e le enci-cliche dei Papi odierni sono ben diver-se da quelle del passato … Oppure no?

Prendiamo per esempio l’enciclica piùrecente, la pluri-laudata «Laudato si’»,datata 24 maggio 2015 e firmata “Fran-ciscus”, che ci presenta un Papa inno-vativo, un Papa ecologo che si preoc-cupa dei problemi ambientali del pia-neta, che bacchetta i potenti della ter-ra invitandoli a risolverli, e non solo …un Papa che, sulle orme del suo omoni-mo San Francesco d’Assisi, riconosce erivendica il valore dei poveri, dei dise-redati, degli “ultimi” di questo mondo,e finanche degli animali, dei quali si oc-cupa esplicitamente nell’enciclica. Ma

quale novità, ma che innovazione, maquanta differenza dai suoi predecesso-ri! O no?

Per poter dare una risposta vediamo al-lora un po’ che cosa scrive Papa Fran-cesco in questa enciclica.

Incominciamo dunque con il dover de-ludere, purtroppo, tutti coloro che han-no a cuore il benessere degli animali,siano essi vegetariani, vegani, aspeci-sti, anti-vivisezionisti o semplicementepersone dotate di sensibilità ed empa-tia: nell’enciclica non si parla degli ani-mali come di esseri senzienti e capaci disoffrire esattamente come gli uomini,non si rivendica per loro nessun diritto,non ci si preoccupa di tutelarli in ma-niera particolare e in sostanza, a partequalche affermazione molto genericasulla opportunità di non fare un “usodisordinato” della creazione e dunquedi non fare soffrire gli animali inutil-mente, si lascia più o meno all’uomo lalibertà di utilizzare il mondo animale co-me meglio gli pare. I movimenti anima-listi e aspecisti vengono rimproveratineanche tanto velatamente “di negarealla persona umana qualsiasi premi-nenza” dato che portano avanti “unalotta per le altre specie che non met-tiamo in atto per difendere la pari di-gnità tra gli esseri umani” (punto 90) eil Papa anzi non tralascia di sottolinea-re “l’incoerenza di chi lotta contro il traf-fico di animali in via di estinzione ma ri-mane del tutto indifferente davanti al-la tratta di persone, si disinteressa deipoveri, o è determinato a distruggereun altro essere umano che non gli è gra-dito” – e beccatevi questa stoccatinapure voi, cari aborzionisti! (punto 91).

La visione papale del rapporto uomo-animali non si discosta neanche di unmillimetro da quella solita dell’antro-pocentrismo cattolico, che vede unafondamentale differenza fra la specieumana e tutte le altre: si legge infattinell’enciclica (punto 81): “L’essere uma-no, benché supponga anche processievolutivi, comporta una novità non pie-namente spiegabile dall’evoluzione […]La capacità di riflessione, il ragiona-mento, la creatività, l’interpretazione,

l’elaborazione artistica ed altre capa-cità originali mostrano una singolaritàche trascende l’ambito fisico e biologi-co. La novità qualitativa implicata dalsorgere di un essere personale all’in-terno dell’universo materiale presup-pone un’azione diretta di Dio” (corsivimiei). Insomma, in poche parole, noi ab-biamo l’anima e i poveri animali no.Checché ne pensasse San Francescod’Assisi. E alla faccia della teoria dell’e-voluzione.

E perciò, cari animali, per quanto ri-guarda la chiesa il tempo del vostro ri-scatto è ancora di là da venire. Sicura-mente, però, non sarà così per i poveriche, come tutti sappiamo, a questo Pa-pa che ha scelto di portare proprio il no-me del “Poverello di Assisi” stanno mol-to a cuore. E dunque sarà proprio nellatrattazione dell’argomento “povertà”che questa enciclica si dimostrerà vera-mente originale e innovativa. O forse no?

Fiumi di parole vengono dedicati nel-l’enciclica alla questione della povertà.Il Santo Padre non manca di rilevare co-me i poveri siano coloro che fanno mag-giormente le spese dei cambiamenti cli-matici e dei problemi ambientali e per-ciò insiste sul fatto che un vero ap-proccio ecologico teso a risolvere i pro-blemi del pianeta non possa prescin-dere da un approccio sociale che tengaconto, oltre che del “grido della terra”,anche e soprattutto di quello dei pove-ri. Alcune sue affermazioni potrebberosembrare addirittura molto “spinte” equasi rivoluzionarie, come quando af-ferma il diritto di tutti all’uso dei benidella terra, come ad esempio l’acqua,l’accesso alla quale viene da lui defini-to come un diritto umano essenziale(punto 30), oppure quando, insieme aivescovi del Paraguay, riconosce ai con-tadini poveri il diritto “naturale” di pos-sedere un appezzamento di terra chepermetta loro di svolgere una vita di-gnitosa (punto 94).

Ma il Santo Padre non si spinge moltopiù in là di questo. Non si sogna nean-che lontanamente di mettere in discus-sione l’esistenza della proprietà privata,semplicemente afferma, insieme al suo

«Laudato si’» … una enciclica “innovativa”… ma anche nodi Enrica Rota, [email protected]

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ECOPAPA

predecessore Giovanni Paolo II e in per-fetto accordo con la millenaria dottrinadella chiesa, che “su ogni proprietà pri-vata grava sempre un’ipoteca sociale,perché i beni servano alla destinazionegenerale che Dio ha loro dato” (punto93), ovvero: voi ricchi non scordatevi difare la carità ai poveri, voi che consumatetante risorse del pianeta consumateneun po’ di meno e lasciatene anche un po’da consumare ai poveri. E che la conce-

zione papale del “riscatto” dei poverinon vada al di là del caritatevole assi-stenzialismo paternalistico così come for-mulato dalla Dottrina Sociale della chie-sa lo si vede molto bene subito dopo, alpunto 94, dove il nostro Francesco esor-disce in questo modo: “Il ricco e il pove-ro hanno uguale dignità, perché ‘il Si-gnore ha creato l’uno e l’altro’ (Pr 22,2)”:eccoci qua, ricchezza e povertà come ca-tegorie eterne, immutabili, volute addi-rittura da Dio. Nessun riscatto dalla po-vertà, nessuna “teologia della liberazio-ne”, nessuna (che Dio ce ne scampi!) lot-ta di classe. Per i poveri, soltanto il soli-to contentino della carità. Perciò, comegià per gli animali, anche il tempo dei po-veri è di là da venire. Moooltodi là da ve-nire: “La vita eterna sarà una meravigliacondivisa, dove ogni creatura, lumino-samente trasformata, occuperà il suo po-sto e avrà qualcosa da offrire ai poveridefinitivamente liberati” (punto 243).

Ma passiamo ora ai temi centrali di que-sta universalmente laudata enciclica,ovvero ambiente ed ecologia. Sarà si-curamente qui dove il nostro Francescosi mostra per quello che è: un Papa dav-vero moderno e innovativo. O magarianche no?

Vediamo. Si comincia con la solita pa-ternale: Ahi, ahi, ahi, bambini cattivi,che non trattate bene la casa comune,cioè la creazione! Insomma, per i doni

di Dio bisogna avere un po’ di rispetto!E dunque se Dio vi ha donato (o, per me-glio dire, “dato in custodia”, perché inrealtà il padrone è sempre Lui) la crea-zione, voi dovete trattarla con cura! Einvece che fate? Corrotti come siete dalpeccato [1], la maltrattate, la sfruttate,la inquinate, ne fate un uso irresponsa-bile! E guardate come avete ridotto ilpianeta (e qui il Santo Padre ci illustratutti i mali che abbiamo causato – in-quinamento, effetto serra, cambiamen-ti climatici, perdita di biodiversità, de-sertificazione, degrado generalizzato,ecc.), bambini cattivi cattivi che non ap-prezzate i doni di Dio!

Il nostro Franciscus passa poi a critica-re il capitalismo selvaggio, la finanzaaggressiva, il predominio della “tecno-crazia”, il consumismo sfrenato, il ma-terialismo e la globalizzazione … tuttimali della società “post-industriale”che sono secondo lui responsabili del-l’attuale degrado ambientale e che de-rivano fondamentalmente dal fatto chel’uomo si comporta come se fosse il pa-drone dell’universo dimenticandosi cheil vero padrone di tutte le cose è Dio.Occorre dunque un cambiamento di rot-ta e il Papa propone una “ecologia in-tegrale” che parta dal principio del “be-ne comune” e che veda tutti gli uominicollaborare fraternamente per la sal-vezza del pianeta attraverso la realiz-zazione di forme di vita e di sviluppo so-stenibili ed eco-compatibili. Queste lelinee-guida generali dell’enciclica.

Al di là del profluvio papale di parole,però, di soluzioni concrete ne vengonoproposte ben poche, o meglio soltantouna: l’esercizio della “sobrietà”, la ri-duzione dei consumi (che magari il Pa-pa sia segretamente un seguace di Ser-ge Latouche – o forse addirittura di Bep-pe Grillo?), perché alla messa in atto dieventuali politiche di controllo delle na-scite non si può neanche lontanamen-te pensare: questo il Santo Padre ce lospiega molto bene, al punto 50: non sitratta di ridurre le nascite ma il consu-mismo, visto che a suo parere sul pia-neta di risorse ce ne sarebbero abba-stanza per tutti, se tutti esercitassimouna maggiore moderazione nei consu-mi (“va riconosciuto che la crescita de-mografica è pienamente compatibilecon uno sviluppo integrale e solidale”– si legge al punto 50), e tra l’altro, pro-segue Francesco, attualmente circa unterzo del cibo prodotto viene sprecatoe basterebbe invece regalarlo ai pove-ri, perché “il cibo che si butta via è co-me se lo si rubasse dalla mensa del po-

vero” … insomma il Pontefice è cate-gorico: il problema da affrontare non èdi certo quello dell’aumento demogra-fico. E crepi il comune buon senso!

E del resto, il buon senso non è mai sta-to il punto forte della concezione catto-lica della vita e i Papi non si sono mai ab-bassati a ragionare sensatamente sul-le cose concrete ma hanno sempre vo-lato alto, occupandosi di questioni spi-rituali, di assoluti, di grandi valori, di fi-ni ultimi, di verità imprescindibili … eFrancesco non costituisce di certoun’eccezione. E quindi, al di là degliaspetti “materiali” della crisi in cui ver-sa il mondo attuale, al nostro eco-Papainteressano soprattutto quelli spirituali,le sue radici più profonde. L’attuale cri-si ecologica non è altro, secondo lui, che“una manifestazione esterna della crisietica, culturale e spirituale della moder-nità” (punto 119) e in ultima analisi de-riva dal fatto che oggigiorno non si rico-nosce più l’esistenza di “verità indiscu-tibili”, di orizzonti assoluti di riferimen-to, di valori ultimi e non-negoziabili. E in-doviniamo un po’ quale istituzione sa-rebbe portatrice di tutte queste verità,orizzonti e valori? “Nessuna salvezzafuori dalla chiesa”, diceva il nostro PapaBonifacio, in perfetta sintonia con il suoodierno successore.

Originale e innovativa, dunque, l’enci-clica «Laudato si’»? Ma no, proprio no,manco per niente, neanche un po’!

Per concludere, torniamo un attimo nellontano 1303: tempi gloriosi in cui c’eraancora chi aveva il coraggio di schiaf-feggiare i Papi. Ai nostri giorni, però, nonesiste più uno Sciarra Colonna che osi –non dico schiaffeggiare, non dico dareun pugno (che forse sarebbe più nellostile di questo Papa), non dico neanchedare un buffetto al Santo Padre – manemmeno criticarlo a parole. Una bella ti-ratina di orecchie, invece, io gliela darei:per aver cercato di darcela a bere di es-sere un ingenuo francescano quando inrealtà è uno scaltro gesuita; per fingeredi essere un Papa “alternativo” e inno-vativo quando in realtà è esattamentecome tutti i suoi predecessori; ed infineper averci annoiato con questa lunghis-sima (e veramente pallosa) enciclica!

Note

[1] Che poi non si capisce a che cosa è ser-vito che Cristo morisse sulla croce per sal-varci dal peccato se il peccato ce l’abbiamoancora addosso – ma non voglio qui entrarein complicatissime questioni teologiche!

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ECOPAPA

Faccio parte di quel gruppo di persone,che sospetto numericamente non irri-levante, secondo le quali va considera-ta con qualche scetticismo l’ipotesi chela scelta del Papa da parte dei Cardinaliriuniti in Conclave sia illuminata e gui-data dallo Spirito Santo. Ritengo piut-tosto che il voto dei Cardinali sia orien-tato da considerazioni approfondite sul-la situazione storica e sulla figura chemeglio potrebbe guidare la Chiesa nel-lo specifico contesto geopolitico.

Lontano dal pensare che il Collegio car-dinalizio sia formato da sprovveduti, sup-pongo che la scelta del Cardinale Ber-goglio come Papa sia nata da due ordinidi considerazioni. Da un lato il vuoto la-sciato dal crollo del socialismo: dopo ol-tre un secolo di prudente ritirata dal cam-po sociale, egemonizzato da posizioni ra-ramente amichevoli verso la Chiesa, siapre ora la possibilità per la Chiesa di oc-cupare gli spazi che la sinistra politicanon è più in grado di colmare e nei qua-li anzi appare in crescente difficoltà. Daun secondo lato deve avere pesato lacompetizione con l’islamismo, la religio-ne che in questo frangente storico haun’attrattiva senza pari per le masse didiseredati grazie alla capacità di proporsicome unica alternativa su scala globaleall’ideologia liberista.

Non sono in grado di capire se Bergo-glio sia uno smaliziato interprete di unruolo già programmato oppure un per-sonaggio sincero cui è stato malvolen-tieri affidato il ruolo di rimodellare unaChiesa più vicina alle istanze sociali epiù attenta ai rischi di catastrofi am-bientali. Gli do però atto di essere, al-meno a mia conoscenza, il primo Papacon una formazione culturale anchescientifica, cosa che mi ha incoraggia-to a leggere l’enciclica Laudato si’.

Trascuro la noia per i richiami dottrina-li, alcuni dei quali mi sono sembrati unprudente omaggio ai principii tradizio-nali e ai predecessori; trascuro anche ildiscreto fastidio causato dal frequentericorso alla retorica. La divergenza difondo con la mia visione del mondo stanella dichiarata aspirazione, tipica diogni ideologia assolutistica, di costrui-re una società ideale, statica perché per-fetta: i poveri avranno cibo, ciascun es-

sere vivente potrà realizzarsi secondola propria natura, ecc. Tutto molto bel-lo, però noi viviamo in un mondo fisicocaratterizzato dal cambiamento inces-sante dovuto alla continua competizio-ne per risorse limitate; sarebbe bene te-nerne conto e capire che non esistonoprogetti di società perfette eternamen-te validi.

C’è anche altro, però, nell’enciclica Lau-dato si’. Ad esempio, nelle prime pagi-ne del documento, compare questa fra-se: «Esiste un consenso scientifico mol-to consistente che indica che siamo inpresenza di un preoccupante riscalda-mento del sistema climatico». Constatocon piacere che il consenso scientifico èfinalmente elevato ad affidabile criteriodi riferimento per giudicare la validitàdi teorie che riguardano il funziona-mento del mondo. E poi, sembrerà unasciocchezza ma mi ha colpito, «biossidodi carbonio» e non «anidride carbonica»,con l’uso della nomenclatura IUPAC.Inoltre, ho letto con soddisfazione i fre-quenti riferimenti all’evoluzione dei vi-venti come un fatto scontato. È vero chepiù avanti si scrive «L’essere umano,benché supponga anche processi evo-lutivi, comporta una novità non piena-mente spiegabile dall’evoluzione di al-tri sistemi aperti». Intanto godiamociquesto inaspettato ingresso della ter-modinamica nei documenti della Chie-sa, consapevoli che l’unicità (suppongodella fase finale; oppure c’è una sorta dilinea germinale che affonda fino all’Ar-

cheano?) dei fenomeni evolutivi che ri-guardano la nostra specie è un espe-diente di breve respiro, l’ultima diga sucui si abbarbica la disperata difesa del-la eccezionalità della specie umana.

Questa enciclica contiene un trattatodivulgativo di principi di ecologia, co-niugati con i problemi economici e so-ciali. Suscita amichevole tenerezza leg-gere in un’enciclica papale l’invito (piùche condiviso, sia ben chiaro!) a usarei mezzi di trasporto pubblici, mentresolleva qualche perplessità il rifiuto dicitare esplicitamente come responsa-bile della crisi che l’umanità sta viven-do il modo capitalistico di produzionedelle merci, per mascherarlo dietro unmeno compromettente «paradigmatecnocratico». Però non si può averetutto e allora mi accontento dell’affer-mazione che «non possiamo fare a me-no di riconoscere che un vero approc-cio ecologico diventa sempre un ap-proccio sociale, che deve integrare lagiustizia nelle discussioni sull’ambien-te, per ascoltare tanto il grido della ter-ra quanto il grido dei poveri». (A pro-posito, immagino si parli di Terra e nondi terra, ma ho riportato la citazione fe-delmente). Si dirà che non ci voleva unPapa per scoprire l’acqua calda; il fattoperò che questa affermazione, non so-lo totalmente condivisibile ma anchedirimente per capire da che parte si stanelle discussioni sui problemi ambien-tali, figuri in un’enciclica papale è unsegnale di buon auspicio.

Purché non rimanga lettera morta ...di Fabio Fantini, [email protected]

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ECOPAPA

Laudato si’, mi’ Signore, cum tucte le tue creature

Come a tutti è noto, il romano ponteficeFrancesco I ha promulgato, il 24 maggiodi quest’anno, l’enciclica Laudato si’, inmerito alla quale i commenti appuntolaudativi si sono sprecati, specie per ciòche riguarda la presa di posizione sullequestioni ecologiche in essa contenute.

Una lettura meno superficiale e giorna-listica del testo, peraltro, induce a os-servare che, proprio rispetto a tali que-stioni, nulla si dice che non sia ormai ri-saputo e patrimonio d’idee condiviso datutti quanti abbiano mai studiato i cita-ti argomenti o anche semplicemente viabbiano riflettuto col loro semplice buonsenso. La novità consiste, dunque, nelfatto che finalmente la Chiesa cattolica,

per bocca del suo più autorevole espo-nente, fa proprie alcune idee rispetto al-le quali aveva sempre evitato di espri-mersi. Ancora una volta, insomma, sitratta di un prudente adeguamento a ciòche tutti dicono e sanno e nessuno piùrevoca in dubbio. Meglio tardi che mai,si potrebbe dire, ma è una presa di po-sizione da valutare positivamente, pro-prio perché può contribuire a legittima-re scelte generalmente condivise a pa-role, ma troppo spesso contraddette neifatti per motivazioni politiche e soprat-tutto economiche.

Anche a non voler porre l’accento suiprofili etici della questione, non ci si ren-de dunque conto che la zoofagia è unadelle principali cause del dissesto eco-logico (emissioni di gas serra degli al-levamenti, riduzione della biodiversità,eccesso di consumi idrici, deforestazio-ne e via elencando) e della fame nelmondo, per via dello spreco di risorsealimentari. Sul punto, peraltro, l’inse-gnamento della Chiesa cattolica non ap-pare più arretrato di quello proposto daaltre fonti che dovrebbero avere la mi-glior considerazione del problema. Pen-so, ad esempio, alla cosiddetta Carta diMilano, che rappresenta il documentoprogettuale frutto dell’elaborazione cul-turale di “Expo2015” in materia di ci-bo, con la finalità di migliorare la quan-tità e la qualità dell’alimentazione uma-na. In tale documento, infatti, si colgo-no solo vaghi accenni al benessere de-gli animali, che rileva comunque solo al

fine di un miglioramento della qualitàdel prodotto animale, mentre mancauna reale consapevolezza della gravitàdelle conseguenze di tale tipo di con-sumi nonché della necessità di un mu-tamento radicale degli stili alimentariumani.

Le ragioni politiche, economiche e so-prattutto commerciali di siffatta sceltasono semplicemente intuitive. Tuttavia,se questa inconsapevolezza, che nonsfiora neppure i profili etici della que-stione, già appare deludente in un do-cumento “laico”, la medesima inconsa-pevolezza e la disattenzione verso i pro-fili etici risultano sconcertanti in un do-cumento proveniente da un’autorità re-ligiosa, che dovremmo supporre som-mamente attenta all’etica delle scelte.

Sconcerto, ma non sorpresa. L’enciclica,infatti, si sofferma a lungo (§ 115 e se-guenti) sulla critica all’«antropocentri-smo deviato», che, more solito, sarebbeil frutto perverso del relativismo. Sicchéun retto antropocentrismo sarebbe daaccogliersi per legittimare la disatten-zione morale nei confronti degli animalinon umani.

(Da Criticaliberale, 29 settembre 2015).

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Valerio Pocar è presidente onorario UAAR dal2003 (vedi: http://www.uaar.it/uaar/presidenti_onorari#Pocar).

Non sono molto pratico delle usanze deiCattolici nei confronti delle encicliche,ma mi chiedo quali conseguenze ci sa-rebbero se una metà dei Cattolici nelmondo leggesse la Laudato si’ e unametà di questa metà riflettesse a fondosu frasi come «è arrivata l’ora di accet-tare una certa decrescita in alcune par-ti del mondo procurando risorse perchési possa crescere in modo sano in altreparti». Anche se la congruenza di com-portamento con i principi della propriareligione e con le raccomandazioni del-la massima autorità non è una caratte-ristica distintiva di tutti i Cattolici, for-se qualche scelta politica più attenta ai

problemi ambientali e sociali divente-rebbe possibile.

Nella mia ignoranza di materialista, ri-tenevo che le encicliche fossero comela Settimana Enigmistica, vale a direpubblicazioni praticamente esenti daerrori formali (di stampa o di altro ge-nere), perché riviste da uno stuolo di at-tentissimi correttori di bozze. E inveceno, che delusione! Oltre al nome del no-stro pianeta scritto con l’iniziale minu-scola, pertanto regolarmente confusocon il materiale incoerente e friabile for-mato dalla disgregazione delle rocce,ho notato un errore di concordanza di

numero tra soggetto e verbo, un paio dianacoluti (uno tratto da una citazionedi un documento di vescovi, per la ve-rità), la ripetuta presenza di una virgo-la tra soggetto e verbo; meno impor-tante, compare «diossido di zolfo» po-co dopo «biossido di carbonio»: è veroche entrambe le forme sono accettatenella nomenclatura chimica, ma un po’di coerenza, che diamine!

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Fabio Fantini è stato insegnante di Scienzee ha collaborato alla stesura di manuali sco-lastici con la Casa Editrice Italo Bovolenta.

Meglio tardi che mai di Valerio Pocar, [email protected]

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CONTRIBUTI

Settembre 2015. Dios llora. «Dio pian-ge», dice Francesco, rivolgendosi allasua platea americana con la consuetaestraniante banalità. «Piange quandosente le storie, le sofferenze e il doloredei minori che sono stati vittime degliabusi sessuali da parte di sacerdoti».

Ormai non c’è visita pastorale negli Sta-ti Uniti in cui un papa possa permettersidi sorvolare sulla purulenta questionedella pedofilia nel suo clero. Un decen-nio di scandali, risarcimenti da banca-rotta a migliaia di vittime, i media im-pietosi, le incessanti frecciatine negliepisodi dei Simpsons e di South Parkhanno indelebilmente portato ad asso-ciare, nell’immaginario collettivo nor-damericano, la figura del prete cattoli-co a quella di uno stupratore di bambi-ni. Ed è ormai noto a tutti che, lungi dal-l’essere un fenomeno limitato a poche“mele marce”, le più alte gerarchie ec-clesiastiche, papi inclusi, hanno graviresponsabilità nell’aver facilitato l’e-mergere di un sistema di impunità, au-toassoluzione e perpetuazione del de-linquere, in cui non c’è spazio per la giu-stizia e la compassione.

Se qualcuno avesse ancora avuto deidubbi, nel 2005 si è saputo per esem-pio che soltanto grazie all’immunità de-rivante dalla sua elezione al soglio pon-tificio, Ratzinger ha potuto declinarel’invito a presentarsi a un processo inTexas che lo vedeva imputato per ave-re intralciato la giustizia in un caso diabusi su minori, sulla base di due do-cumenti da lui siglati o implementatiquando era prefetto per la congrega-zione della dottrina della fede, il CrimenSollicitationis e il De Delictis gravioribus.Questi regolamenti istruivano il clerosu come comportarsi nei casi di pedofi-lia, sostanzialmente intimando a ve-scovi e sacerdoti, pena la scomunica, dinascondere questi fatti alle autorità ci-vili, sottraendo i colpevoli alla legge se-colare per occuparsene nel segreto del-le procedure ecclesiali.

Non tutti però ricorderanno esatta-mente come lo scandalo pedofilia è ini-zialmente emerso negli Stati Uniti, perpoi estendersi al resto del mondo. Spo-tlight, il film di Tom McCarthy a cui lagiuria UAAR ha assegnato il Premio

Brian alla 72esima mostra del cinemadi Venezia, ripercorre proprio le primetappe del processo investigativo che haportato alcuni giornalisti a scoperchia-re quel vaso di Pandora. Il prequel, inun certo senso, all’odierna fiction delle“lacrime di Dio”.

Settembre 2001. Negli Stati Uniti sta percomparire sulla stampa la notizia piùeclatante del secolo, una sconvolgenteverità che coglierà completamente disorpresa gli ignari cittadini americani.Peccato che all’improvviso la notizia piùeclatante diventi quella degli attacchiterroristici dell’11 settembre e ogni altradestabilizzante rivelazione venga tem-poraneamente accantonata dalle testa-te giornalistiche. Da tempo, il quotidia-no Boston Globe, avvalendosi di un teamdi giornalisti d’inchiesta denominatoSpotlight, ha iniziato a scavare in profon-dità per capire che cosa si celi dietro unaserie di fatti di cronaca locale finora trat-tati solo marginalmente dalla stampa. Siparla di abusi sessuali su minori perpe-trati da sacerdoti cattolici, un argomen-to piuttosto sensibile e disturbante, mache appare inizialmente limitato a spo-radici episodi individuali, e quindi di scar-so rilievo politico. Il nuovo direttore delquotidiano intuisce però l’importanzadella questione, in una città come Bo-ston dove la chiesa è fortemente radica-ta e legata ai poteri forti.

A suscitare le prime perplessità è il fat-to che i risarcimenti alle vittime di pe-dofilia siano piuttosto insignificanti, afronte della gravità dei crimini ricono-sciuti. Si scopre ben presto che gli avvo-cati a cui si sono rivolte le famiglie nonhanno agito nell’interesse dei clienti, mahanno loro consigliato di accettare irri-sori patteggiamenti direttamente con leautorità vaticane, comprando sostan-zialmente il loro silenzio a buon merca-to e intascandosi nel frattempo unaghiotta commissione. In questo modo,bypassando la macchina giudiziaria, lachiesa ha per anni evitato ogni scanda-lo pubblico, riuscendo a gestire il pro-blema in seno ai propri organismi inter-ni. Appare chiaro che si tratta di un si-stema già ben rodato che coinvolge, ol-tre agli avvocati e le autorità giudiziarie,molti più preti di quanti i giornalisti aves-sero inizialmente immaginato.

Nei colloqui con un ex sacerdote penti-to del suo passato, emerge un quadro in-quietante: la pedofilia, lungi dal rappre-sentare un problema statisticamente tra-scurabile, potrebbe anzi essere endemi-ca nel clero, potrebbe avere precise cau-se psicologiche legate a un ambienteomertoso e celibatario, e potrebbe coin-volgere una percentuale significativa ditutti i preti cattolici. Se già un’inizialeipotesi di 13 preti pedofili suonava comeuna sconvolgente enormità al team in-vestigativo, l’analisi dei registri ammi-nistrativi della curia di Boston sembraconfermare il dato postulato dall’ex sa-cerdote che in città siano in realtà attiviben 90 molestatori, come si evince dapretestuosi trasferimenti da una par-rocchia all’altra all’interno dell’arcidio-cesi. Nonostante il muro di gomma e lasegretazione di alcuni atti pubblici, ilteam di Spotlight riesce infine a dimo-strare che il cardinale Bernard Law, il piùalto rappresentante del clero cattolico diBoston, è sempre stato connivente, senon colluso, nella sistematica coperturadei preti pedofili nella sua diocesi. Quan-do la notizia finalmente ha basi suffi-cienti per essere pubblicata, e il primodi una serie di articoli sull’argomentoesce sul Boston Globe, la redazione sco-pre di avere in realtà soltanto scalfito lasuperficie del fenomeno, perché vieneimmediatamente sommersa da unastraordinaria quantità di telefonate daparte di vittime che vogliono denuncia-re il male subito. Se ne conteranno pre-sto a migliaia.

Spotlight è un film su cui si può ragio-nare senza timore di rovinare il finale,dal momento che l’esito della vicendanarrata è di pubblico dominio. Più chesvelare un grande segreto, il regista sipropone di raccontare come si è arrivatia svelare quel segreto. E fra le mille pos-sibilità di drammatizzazione, ha sceltoammirevolmente di non concedere nul-la ai pruriti moralistici o voyeuristici a cuila materia trattata si presterebbe facil-mente, per realizzare invece un film so-lido e rigoroso, che evita i sensazionali-smi al punto da rinunciare a qualsiasirappresentazione dei fatti in discussio-ne. E dal punto di vista dello spettatoreè doppiamente straordinario sentirsi tra-scinato con tanto coinvolgimento in unastoria fatta esclusivamente di perso-

Premio Brian 2015: Spotlight, di Tom McCarthydi Paolo Ferrarini, [email protected]

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CONTRIBUTI

naggi che parlano, telefonano, prendo-no appunti, bussano alle porte, intervi-stano e dibattono fra loro. A testimo-nianza della bravura degli attori e di unascelta cinematografica sapiente e co-raggiosa.

Questo è anche ciò che fa di Spotlightunfilm militante e politico, non concepitoper l’intrattenimento da pop corn, maper far riflettere e quindi per incidere sul-

l’opinione pubblica. La principale que-stione sollevata dal Boston Globe non èinfatti quella della pedofilia nel clero insé, una “malattia” che al limite spette-rebbe alla chiesa curare al suo interno,ma piuttosto la distorsione creata dal-l’ingerenza delle gerarchie cattolichenella società americana. L’indagine delgruppo Spotlight, che ha valso al gior-nale il Premio Pulitzer nel 2003, mette inevidenza quanto il potere clericale sia

pervasivo nel tessuto sociale di una cittàcome Boston, e come chi detiene quelpotere non perda mai l’occasione di pa-rassitare le istituzioni civili per accapar-rarsi tutti i privilegi possibili, anche al fi-ne di commettere illeciti, ogni qual vol-ta esista la possibilità di farla franca. Perfortuna, negli Stati Uniti la separazionefra Stato e Chiesa non viene presa allaleggera, e il film vuole essere un inno al-la libera ricerca della verità, senza com-promessi e al di fuori delle logiche di po-tere e autorità, riaffermando quel prin-cipio di laicità che è l’unico quadro di ri-ferimento possibile per garantire cosecome l’informazione e la giustizia. Spo-tlight è quindi una lezione di democra-zia, un esempio che può assumere an-cora più rilevanza per il pubblico italia-no che, forse più smaliziato di quelloamericano su ciò che può realmente suc-cedere dietro le porte degli oratori, nonè altrettanto abituato all’idea di andarefino in fondo e lottare perché certi fattivengano pubblicamente denunciati eperseguiti nella sola logica e nel pieno vi-gore della legge.

In questo senso suona sinistro e inquie-tantemente simbolico che il film si con-cluda con una nota sul destino del car-dinale Bernard Law, richiamato da Bo-ston al picco dello scandalo, e nel 2004nominato da Giovanni Paolo II arcipretedella Basilica di Santa Maria Maggiore aRoma. Dove si conclude una vicendaamericana, inizia una saga italiana.

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Paolo Ferrarini. È nato. Cerca di sfruttare almassimo l’opportunità che ha di esistere.Viaggia, studia le cose del mondo, fa espe-rienze, crea musica, video, fotografa, scrive,traduce. Morirà.

Alessandria d’Egitto, 391-392 d.C. L’Im-peratore romano d’Oriente, Teodosio,ispirato dai vescovi Ambrogio e Teofi-lo, proibisce qualsiasi tipo di culto pa-gano la cui osservanza sarebbe statapagata – molto cristianamente – con lamorte; Teofilo, non contento, ottieneanche la demolizione di quasi tutti itempli ellenici testimoni di un’epoca or-mai fagocitata dal cristianesimo. Infat-

ti, è il 380 quando il cristianesimo (o me-glio il cattolicesimo) diviene religioneufficiale dell’Impero con l’Editto di Tes-salonica. L’Impero romano d’Occiden-te era caduto nel 376 e i barbari si sta-vano già accomodando. Agostino di Ta-gaste e la sua visione del mondo si er-gono a punto di riferimento in materiafilosofica e teologica, Roma e Alessan-dria a sedi episcopali di lustro.

A passeggiare per le strade di un’Ales-sandria ferita troviamo Ipazia, donna in-telligente e affabile. Avrà una ventinad’anni ed è destinata a grandi cose. Fi-glia di Teone, celebre matematico, se-guirà le sue orme dedicandosi a mate-matica, astronomia e filosofia (si devonoa lei e a suo padre le edizioni delle ope-re di Euclide, Archimede e Diofanto), fi-no a prendere in mano la guida della

Un ostacolo chiamato Ipaziadi Stefano Scrima, [email protected]

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CONTRIBUTI

scuola d’Alessandria, baluardo del neo-platonismo e quindi di quel poco che ri-mamane di non cristiano – e con cristia-no intendiamo dogmatico e settario. Ilneoplatonismo del V secolo, tra l’altronon così lontano dalla visione cristianadi Dio, immagina una fusione di tutte lechiese in un’unica filosofia universale ein un unico organismo, anche se estra-neo a gerarchie di potere e imposizioniintellettuali e metafisiche. Il che lo atte-sta come credibile rivale di un cristiane-simo che invece pretende e ha semprepreteso il monopolio dello spirito.

Sinesio, l’allievo più devoto di Ipazia, ciparla della sua maestra, di cui non è ri-masto alcuno scritto, come di una donnasaggissima che dispensa il suo acume perle strade e le piazze della città. Tutti, perlei, hanno il diritto di accedere alla cono-scenza. Una novella Socrate, insomma,così in vista e ammirata da esser spessointerpellata dal prefetto romano dellacittà, Oreste, in merito alle decisioni pub-bliche. Di qui l’acrimonia del nuovo ve-scovo d’Alessandria, Cirillo, nipote di Teo-filo, nei confronti della filosofa. Questi, in-fatti, malato di potere temporale – una ma-lattia che, inspiegabilmente, ha semprecolpito gli ecclesiastici nel corso della sto-ria – dopo aver malamente espulso la co-

munità ebraica da Alessandria, si inimicaOreste, il quale non ha per niente graditol’exploit del patriarca cristiano – soprat-tutto perché si è beccato una sassata intesta da alcuni cristiani inferociti. E di chipotrà mai essere la colpa del malumore diOreste? Senz’altro anche di quella filoso-fa, che non solo si dedica a una sordida fi-losofia pagana corrompendo i suoi con-cittadini, ma per giunta è donna.

Si sa, ci vuole assai poco per fomentarechi si sente giustificato dalla fede. È l’8marzo del 415 – 1600 anni fa – e un belgiorno un gruppo di monaci parabolani ederemiti della Tebaide guidati da Pietro ilLettore, istigati dalle parole di Cirillo, de-cide che è ora di far fuori quell’ostacolochiamato Ipazia. La aspettano sulla stra-da, la tirano giù dal carro, la picchianocon dei cocci, la uccidono, la smembranoe la bruciano fuori da una chiesa – forseper farsi vedere meglio da Dio. Un omici-dio, ad ogni modo, rimasto impunito.Queste sono le radici del potere cristia-no ed ecclesiastico nella nostra cultu-ra, e Ipazia è – sicuramente suo mal-grado – martire di questo incedere irra-zionale e superbo.

Pur annoverando altre donne tra le filadei filosofi antichi, Ipazia, come rac-

conta anche l’affresco di Raffaello LaScuola di Atene, è colei a cui il mondooccidentale è più affezionato, di certoper il simbolo che rappresenta, per lasua immagine di essere umano costan-temente in dialogo e affamato di verità,la quale non può certo farsi valere conla soppressione di chi non la pensa co-me noi, bensì solo ed esclusivamentecon il ragionamento e le argomentazio-ni a suo supporto.

E se poi non siete disposti a darci ra-gione … non muore nessuno!

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Stefano Scrima (www.stefanoscrima.com), musicista, scrittore e filosofo, si èlaureato in Filosofia (laurea triennale) e inScienze filosofiche (laurea magistrale) all’U-niversità degli Studi di Bologna. Ha studiatoall’Universitat de Barcelona (Erasmus) ed èstato visiting student all’Universidad Autó-noma de Madrid (borsa di studio “Tesi all’e-stero”). Presso l’Università di Roma “La Sa-pienza” ha conseguito il titolo di master uni-versitario in Digital Heritage. Cultural Com-munication Through Digital Technologies.Collabora con numerose riviste e case editri-ci. Dal 2012 è redattore di Diogene Magazine.Ha scritto Esistere Forte. Ha senso esistere?Camus, Sartre e Gide dicono che …, Edizionidel Giardino dei Pensieri, Bologna 2013.

A Cesena si è svolto a settembre 2015un convegno straordinario di tre gior-ni del CICAP (www.cicap.org) in oc-casione dei suoi primi 25 anni di atti-vità. Il CICAP fa parte dell’“EuropeanCouncil of Skeptical Organizations” ein Italia vi aderiscono molti personag-gi del nostro scenario culturale, qual-che nome: Umberto Eco, Carlo Rubbia,Edoardo Boncinelli, Umberto Verone-si, Piero Angela, Danilo Mainardi, Pie-ro Bianucci, Piergiorgio Odifreddi, Ro-berto Vacca, Ennio Peres, Telmo Pie-vani. Dispone di una rivista, “Query”(www.queryonline.it), la dirige Lo-renzo Montali.

L’acronimo CICAP stava un tempo per“Comitato Italiano per il Controllo del-le Affermazioni sul Paranormale”, ades-so quell’ultima lettera, “P”, indica lePseudoscienze. «Questo perché» – spie-

ga Montali – «oggi lo spazio ai fenome-ni paranormali sui media si è molto ri-dotto. In compenso proliferano teoriepseudoscientifiche, in campo medico,alimentare, psicologico, oppure teoriedel complotto, che sono spesso co-struite su affermazioni di tipo pseudo-scientifico, come per esempio quellasulle scie chimiche. Ci siamo quindi re-si conto che la parola “paranormale”rappresentava una porzione ormai pic-cola dei temi di cui ci occupavamo e cheera necessario usare un termine più am-pio e più corrispondente alla sfera del-le nostre attività».

Lo slogan scelto per questo convegnoè “L’arte del disinganno”. Ben riassu-me lo smascheramento fatto dal CICAPdi tanti raggiri, il disvelamento di tantipseudo prodigi che suscitavano candi-de credulità.

Carl Sagan, astrofisico ed eminente fi-gura dello scetticismo metodologico, af-fermò: «La mente va tenuta ben aperta,ma non così tanto che il cervello ne ca-da fuori». È il frequentissimo rischio checorrono in tanti. Per fare un solo esem-pio dei nostri giorni si pensi a quanto ri-ferisce uno studio di Stefano Bigliardiper “Query” che dimostra come anchein Norvegia – un paese considerato co-me un baluardo del secolarismo e delprogresso sociale e materiale – la prin-cipessa Marta Luisa, persona dall’istru-zione d’alto livello, affermi di comuni-care con gli angeli e con i cavalli; ha per-fino aperto a Oslo un’apposita scuolaper insegnare queste abilità facendoconfinare (o sconfinare, fate voi) il divi-no con l’equino.

A tutti quelli che credono nel paranor-male a Cesena è stato ricordato che esi-

L’arte del disingannodi Armando Adolgiso, [email protected]

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ste un Premio di un milione di dollari –mai da nessuno finora incassato – mes-so in palio da James Randi destinato achiunque sia in grado di produrre unqualsiasi fenomeno paranormale pur-ché in condizioni di controllo.

Viviamo in un’epoca in cui lo scienzia-to Kevin Warwick studia l’integrazioneUomo-Macchina innestando chips nelproprio corpo e pensa a nuove tappe delCyborg Project dall’Università di Rea-ding; secondo alcuni studiosi in un tem-po meno lontano di quanto s’imma-gini impareremo codici capaci di sve-lare nuovi segreti della natura, pas-seremo la barriera dell’infinitamen-te piccolo, si dilaterà la concezionedi Spazio, saremo capaci di percepi-re nuovi stati e livelli di esistenza, lanostra coscienza-mente-identitàsarà più vasta e ne saremo consa-pevoli … eppure, eppure c’è chi vaa interrogare astrologhe e astrologi.

C’è di più, la tv pubblica, il mattino,accanto alla rubrica meteo, trasmet-te l’oroscopo come se si trattasse diun’equivalente previsione scientifi-ca (salvo, poi, sbagliare, come accadutoal Tg 1 Rai di Minzolini, i numeri estrat-ti il giorno prima del concorso Supere-nalotto). Circa gli oroscopi, invito chi nonl’avesse già fatto, a leggere un piccolosaggio di Adorno (“Stelle su misura”, Ei-naudi) che smonta il meccanismo psico-sociale degli oroscopi. Eccone un pas-saggio: «Forse si può considerare sim-bolico il fatto che, il filosofo Leibniz, ilquale fu il primo a introdurre il concetto

d’inconscio, fu anche quello che – nono-stante la sua mente tollerante e pacifica– provava un profondo disprezzo perquelle attività intellettuali che avevanoper fine l’inganno, e citava l’astrologiacome esempio principale di tali attività».

Perché tanta fede, che arriva al fanati-smo, nella telepatia, chiaroveggenza,premonizioni oniriche, vite passate,esperienze extracorporee? È la forza delmythos (discorso che non prevede di-mostrazione) al quale si contrappone il

lògos (cioè l’argomentazione razionale)che pare eserciti un minore fascino innoi umani. Ma oggi, fuori dalle analisiantropologiche sull’antichità e su epo-che anche più vicine, c’è da chiedersiquanto si faccia nella modernità per co-municare lògos. Poco. Tanto che si è de-terminata una nuova avversione allascienza, da un lato se ne sfruttano e go-dono i vantaggi e dall’altro s’invoca unnostalgico ritorno al passato, perché

non c’è un’effettiva consapevolezza diquanto si stia meglio, rispetto al pas-sato, proprio grazie alla scienza.

E qui ricordo le parole di un grande scien-ziato dei nostri giorni qual è Umberto Ve-ronesi: «Gli ostracismi alle staminali, al-la fecondazione assistita e agli Ogm mifanno paragonare questi nostri anni alSeicento, quando al genio di Newton,Cartesio e Galilei si affiancò una profon-da regressione culturale. Tanto per fareun esempio furono mandate sul rogo mi-

gliaia di donne accusate follementedi stregoneria. Oggi non bruciamo piùle donne, ma in tv sono tornati gliesorcisti, la superstizione».

La regressione culturale consegnatanti a cavernose convinzioni sugliuomini, si finisce col credere a dise-gni cosiddetti intelligenti, a sciama-ni e sciamannati. Mi hanno detto …ma sarà vero? ... che ci sono perfinopersone le quali credono che oltre2000 anni fa ci fu una donna che con-cepì e partorì un bambino senza ac-coppiamento sessuale o, addirittura,credono che si possa resuscitare do-

po la morte e ritrovarsi in un affollato tri-bunale dove si dispensano premi e, so-prattutto, punizioni! Già, ma allora per-ché non credere al barone di Mün-chhausen che sale in cielo tirandosi peri capelli.

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Armando Adolgiso, scrittore e regista (con-duce il webmag www.nybramedia.it).

Abbiamo un papa gesuita. “Bella sco-perta – direte voi – e allora?”. Allora,cari miscredenti, sappiate che nei gior-ni scorsi è stata presentata al SantoPadre una proposta elaborata daun’apposita commissione di cardinalie teologi che dovrebbe risolvere il pro-blema, divenuto scottante ed attualis-simo, relativo alla somministrazionedel “sacramento della comunione” aicattolici risposati. Forse la cosa non fané caldo né freddo alle persone indif-ferenti ed insensibili ai problemi delladottrina e della fede, come si dice di

voi atei, ma a me la cosa dà da pensa-re, e parecchio. Non per motivi di af-flato religioso, intendiamoci, ma per-ché mi pongo, idealmente, nella vestedel Santo Padre in quanto gesuita epertanto mentalmente predisposto al-la disamina scrupolosa dei vari “casi”di colpa, ai vari “distinguo”, alle sotti-gliezze teologiche che un gesuita alle-nato non può non utilizzare immedia-tamente e, direi, inconsciamente,quando gli viene sottoposto un quesi-to di natura spirituale. La “casistica”,come voi atei ben sapete, è l’arte ela-

borata e perfezionata dai Gesuiti rela-tivamente alla scrupolosa e metodicaanalisi dei “casi” di peccato, veniale omortale, nei quali un credente può ve-nirsi a trovare, tanto è vero che “ca-suisti” venivano chiamati proprio i ge-suiti in quanto specialisti in questa tec-nica teologica.

Tanto per fare un esempio: quando pa-pa Alessandro VII (1655-1667) sotto-pose un preciso quesito all’ordine deiGesuiti ovvero quale fosse il grado dipeccato del fedele che baciasse una

Il problema del giorno: la “Comunione” ai risposatidi Eraldo Giulianelli, [email protected]

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donna con lui non canonicamente spo-sata, si sentì rispondere che si com-mette peccato veniale se il bacio è da-to di sfuggita, lievemente, su unaguancia o altra superficie esposta (ma-no o avambraccio), ma se il bacio è da-to in bocca allora ... allora bisogna di-stinguere: se avviene senza che la lin-gua tocchi l’altrui lingua siamo ancoranel campo del veniale ma se il contat-to avviene e s’incontrano canini e in-cisivi ... allora il peccato diventa mor-tale, e mortalissimo diviene se la lin-gua arriva al livello dei molari.

Non ci credete? Vi sottopongo poche ri-ghe tratte dalla “Theologia moralis”del santo e dottore della Chiesa Alfon-so de’ Liguori che, pur non essendodell’ordine dei Gesuiti, aveva di co-storo perfezionato la metodica:

«Ci sono parti del corpo, seno, braccia,cosce, che sono molto più ignobili nel-la donna che nell’uomo. Le parti delcorpo “ignobili” vale a dire le parti ses-suali e quelle immediatamente vicine(partes inhonestae, turpes, obscenae)delle donne non possono essere guar-date o toccate senza commettere pec-cato mortale: baci e toccamenti, anchelievi, sia delle loro parti nobili che del-le meno nobili sono peccato mortalequalora si verifichino per piacere ses-suale, così il lieve tocco della mano diuna donna può essere peccato morta-le se accade per fini impuri».

Torniamo dunque alla proposta elabo-rata dalla commissione di cui sopra:ebbene i dotti cardinali e teologi han-no proposto che ai coniugi “risposati”il sacramento della comunione possaessere concesso, ma soltanto dopo unpercorso penitenziale di un anno conl’assistenza di un sacerdote apposita-mente addestrato e, badate bene, sol-tanto una volta all’anno, esattamentea Pasqua. Io immagino così l’incontrocon il papa gesuita.

• Santo Padre, la commissione propo-ne alla Santità Vostra che la santa co-munione possa essere somministrataai “risposati” una volta all’anno, in oc-casione della resurrezione del Signo-re, a Pasqua. • È una proposta giusta e condivisibi-le ma ... generica, mi pare.

• ???• Voglio dire, bisogna esaminare casoper caso, occorre distinguere. Se il “ri-sposato” si unisce con una donna,mettiamo, che è alla sua prima espe-

rienza matrimoniale, ebbene costeinon può avere la stessa pena del ma-rito. Concorre, è vero, alla colpa di co-stui ma essendo la prima sua espe-rienza, la pena per lei va dimezzata,quindi a lei la comunione sarà con-cessa ogni sei mesi. Se poi il “risposa-to” si unisce con una vedova, alloraper costei, colpevole di una primaunione carnale, la comunione sarà con-cessa ogni otto mesi, da calcolare sulcalendario liturgico.

• E se anche il coniuge è “risposato”? • Allora entrambi saranno comunica-ti una volta all’anno ma, per poter me-glio distribuire la grazia sacramenta-le alla famiglia neo-formata, il maritosarà comunicato a Pasqua e la mogliea Natale.

• Allora siamo a posto? • Ahimé, no. Dobbiamo considerare lapresenza della prole! Se il primo ma-trimonio ha dato figli ad uno dei neo-coniugi, costui resterà senza comu-nione per un anno e mezzo mentre l’al-tro neo-coniuge aspetterà solo un an-no. Se poi entrambi avessero avuto fi-gli dal primo matrimonio l’attesa saràdi un anno e tre quarti per ciascuno co-minciando a contare l’anno liturgicodal mese del secondo matrimonio. Perfare un esempio: se il nuovo sposalizio

avviene a settembre 2015, la primaostia sarà distribuita a entrambi al-l’Avvento del 2016, con lo sconto di tremesi ma se dovessero ri-sposarsi a di-cembre 2015 riceveranno il santissimosacramento a Pasqua 2017.

• E se avessero avuto figli anche dalsecondo matrimonio?• In questo caso aggiungeranno un pe-riodo di astinenza di tre mesi del ca-lendario lunare da cui saranno però ec-cezionalmente dispensati nel caso diuna eclissi anche parziale di luna.

• Certo, se il Signore non avesse isti-tuito quel sacramento la sera dell’ulti-ma cena ci saremmo risparmiati tuttiquesti laboriosi e complicati calcoli ...• Dobbiamo essere generosi con Lui.Non per niente il prossimo Giubileo sichiamerà “della Misericordia”! Lo per-doneremo!

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Eraldo Giulianelli, marchigiano, classe 1940,laureato in Giurisprudenza, in pensione dopouna vita nel settore chimico-farmaceutico.Coordinatore del Circolo UAAR di Terni dal2007. Ateo ed anticlericale, sbattezzato efelicemente apostata, con una spiccata pre-dilezione per aforismi e sonetti irriverentisuggeriti dalla cronaca clericale di tutti igiorni.

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Il rituale della comunione, per i cattolici(sembra davvero incredibile e non si haidea di come possa apparire bizzarro eanche blasfemo ai fedeli di altre creden-ze religiose, persino a quelli più primiti-vi che adorano i totem!), consisterebbein effetti nel cibarsi del proprio dio, pro-prio nel senso di metterlo in bocca, orasotto forma di ostia e inserirlo quindi co-me cibo nei processi biologici della ma-sticazione, digestione e defecazione,quelli che precipuamente ci identificanocome parte integrante della vita anima-le. Ecco dapprima un invito ad avvici-narsi al sacramento e anche una suapuntuale e dettagliata descrizione, in for-ma poetica:

«Nutriti, o uomocol pane consacratofatto col grano bianco e bevi la bevanda di salvezzafatta coi rossi chicchi … Per impossessarti della vita eternati comunicherai con questo cibo celeste …».

Sono versi che sembrano de-scrivere proprio quel sacra-mento e l’assunzione orale delpane e del vino (l’ostia fu unaversione successiva, più sbri-gativa) con perfetta e formaleaderenza al rito e all’ortodos-sia cattolica!

Peccato che appartengano in-vece al “Libro dei morti”, o Per-Em-Ra, nella versione egizianae sono databili almeno a seimilaanni prima della nascita di Cristo!Anzi sono addirittura precedenti ancheall’Egitto delle dinastie e delle piramidi:furono rinvenuti, infatti, incisi in lapi-slazzuli, sopra una grande lastra di mar-mo che il primo archeologo della storia dicui si abbia notizia, il Principe Herutataf,nipote del faraone Micerino o Men-Kau-Ra, ebbe la sorte di disseppellire e tra-durre, da una già allora arcaica scritturaaccàdica! Sulla stessa lastra, compaionoe per la prima volta nella storia delle re-ligioni, anche dei precisi accenni a un Diounico e creatore, che diverse migliaia dianni dopo avrebbe costituito, almeno peril mondo occidentale, una delle “novità”della fede cattolica:

«Tu, Dio Unicoregnavi già nel cieloquando la terra e le montagnenon esistevano ancora …Tu, l’unico creatoredi ciò che esiste …».

Ma torniamo all’eucarestia: allora il Cri-sto che secondo i Vangeli avrebbe isti-tuito per primo il sacramento e i ritualidella comunione durante l’ultima cena,non ha inventato proprio niente, si è so-lo limitato ad “adottare”, nella forma enella sostanza e senza la minima ”va-riatio”, una procedura liturgica codifica-ta migliaia di anni prima, da un popoloche già allora credeva peraltro in un so-lo Dio creatore e certamente prima del-la proliferazione delle affollate teogonieegiziane, greche e romane! Po-teva Cristo non essere a co-noscenza degli scrittiaccàdici? Possiamo an-che saltare a piè pari

questo problema,

in fondo marginale, ma non certo i dub-bi che ne conseguono sull’attendibilitàdi certi testi “sacri”, che pretendevanoil diritto di primogenitura anche per il Diounico, autore del mondo creato!

Del resto, esistono finanche altre possi-bili fonti di “ispirazione” dove i plagi,perché di veri e propri plagi si tratta, ap-paiono sempre più evidenti … Per quan-to attiene alla tradizione etrusca, con ilpretesto di cancellare ogni traccia di una

ideologia ritenuta pagana, quella straor-dinaria civiltà fu del tutto cancellata dairomano-cristiani (cosi accadrà per manospagnola ai manoscritti e a ogni altro do-cumento dei maya!) proprio per far spa-rire anche le prove delle robuste “con-taminazioni” e saccheggi operati dallanuova fede e anche della chiara originee dipendenza etrusca dalla stessa civiltàromana! (Tucidide stesso aveva affer-mato che i ladri fanno sempre sparire ilricordo dei derubati!).

Ma i cattolici di quell’epoca forse non po-tevano essere ancora consapevoli di co-me il loro diavolo a volte facesse le pen-tole ma non i coperchi! Infatti, accaddeche dal secolo XVII in poi, una nuova on-data di scoperte archeologiche, con re-perti e prove non più distruggibili o oc-

cultabili, si riversasse sul mondo del-la cultura con l’apertura di tantetombe etrusche che avevanodormito per millenni per volontàdella chiesa e dei prelati che ave-vano posseduto quei terreni,smentendo con i ritrovamenti

e i contenuti alcune verità difede cattolica, evidente-

mente solo presunte!

Infatti, in una di que-ste riportate alla luce a

Tarquinia e ancora oggi visi-tabile, la Tomba degli Sposi, vi è

dipinta la cerimonia della “confar-reatio” o matrimonio sacro, dove, in

un clima mistico e solenne, entrambi icontraenti si cibano con il pane sacro,ben visibile tra le mani dell’uomo, chelo solleva in alto: ha la forma precisae tonda di una piccola ostia: insom-

ma, ancora un’altra possibile fonte del-l’eucarestia cristiana!

E ancora nel Lazio e in Grecia il gridoche gli iniziati a certi misteri urlavanodi notte, invocando Bacco o Dioniso,mentre correvano per selve e monti era:«Nama, nama Sebesio!», oppure «Evoinama Saboi!».

Per i greci e i romani era forse solo unpretesto per sbronzarsi e darsi ad al-tre sfrenatezze di gruppo, come insi-nua qualcuno! Ma certamente a en-

Il “nuovo” sacramento della comunione, gli antichi riti e il “nama” dei paganidi Fulvio Caporale, [email protected]

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Non è certo questa una commemorazio-ne (Irenäus Eibl-Eibesfeldt è fortunata-mente sempre vivo e vegeto), né unosdolcinato ricordo del lavoro e dell’im-pegno di questo grande etologo, ma èsolo un timido invito a tutti i nostri let-tori a scovare e leggersi qua e là quantoha fatto e scritto il più prestigioso allie-vo di Konrad Lorenz (noto ai più forse per

quella sua foto nell’acqua, dalla qualeemerge solo la testa, circondato dalla ni-diata di ochette “imprintate”, compre-sa la più famosa ed unica: l’oca Martina).Eibesfeldt non è molto conosciuto dalpubblico comune (anche quando pre-sentammo l’UAAR all’Université Libredi Bruxelles risultò “ignoto” a tutti i no-stri interlocutori) – Italia compresa – e

quindi sono scarsamente valorizzati i ri-sultati delle sue ricerche di una vita, siaal Max-Planck-Institut für Verhaltens-physiologie di Seewiesen sia quelle re-lative alle sue incursioni nei luoghi più di-sparati e sconosciuti del pianeta per lostudio del comportamento dell’uomo, eparticolarmente di quello “primitivo”.L’unico riconoscimento italiano è l’aver

trambe le loro lingue, quel termine eraabbastanza noto, pur appartenendo difatto ad altre e più antiche civiltà: il“nama” era infatti il liquido consacra-to di antichi riti orientali, la bevanda al-colica di una loro comunione, anchequesta in uso ben prima dell’eucare-stia cristiana.

E difatti anche a Camiro, nell’isola di Ro-di, fu ritrovato un vasetto risalente al VIsecolo a.C., con la scrittura in greco ar-caico, a caratteri ionici, che ripete pro-prio quel termine «kei te okou nama kei-

tai» dove “nama” è ancora una volta labevanda divina di una comunione mi-stica e salvifica.

In conclusione, la religione cattolica, nonsolo nel sacramento della comunione,ma anche negli altri rituali e nei testi chelei stessa definisce sacri, non ha fatto al-tro che rabberciare e mettere insiememolto rozzamente miti e leggende, cre-denze e presunte “rivelazioni” che ap-partenevano alle confessioni più antichedel mondo intero, attribuendo per giun-ta alla presenza divina il ruolo, la spre-

giudicatezza e la colpa di aver ispiratouna simile, pasticciata confusione, di cuila genesi stessa rappresenta il culminee la sintesi!

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Fulvio Caporale, nato a Trivigno (Potenza) do-ve risiede, ha fondato e diretto il mensile dicultura “La Grande Lucania”. Musicista, giàOrdinario di Lettere nei Licei, ha al suo atti-vo numerose pubblicazioni, tra le tante “Co-me fosse primavera” (Laterza di Bari) e la piùrecente, “Il Villaggio sull’altopiano” (Tele-maco, Acerenza).

Irenäus Eibl-Eibesfeldtdi Baldo Conti, [email protected]

� MAURIZIO DI BONA, Ereticomix: 100vignette eretiche di theHand, ISBN 978-88-96337-58-5, Adagio (http://www.adagioebook.it/), Milano 2015, pa-gine 208, € 7,89, copertina flessibile (di-sponibile anche per ebook).

Che cosa regaleranno gli atei, questoNatale? Ma senza dubbio questa rac-colta di vignette di theHand, al seco-lo Maurizio Di Bona, che da ben diecianni a questa parte disegna le coper-tine de “L’Ateo”. Si tratta di una va-ria e sapida miscellanea, che com-prende fatti di cronaca (dalla riabili-tazione di Galileo del 30 ottobre 1992alla strage del Charlie Hebdo del 7gennaio 2015, passando per le sen-tenze sui crocifissi, l’abolizione delLimbo, il caso Sapienza, Benedetto-sedicesimo che scivola in bagno e sirompe un braccio, l’immissione incommercio della RU486, l’arresto del“corvo” … e tante altre notizie); vitti-me della Chiesa (Campanella, Gior-dano Bruno, Valentino Gentile, Car-tesio, Savonarola, Pico della Mirando-la, Cecco d’Ascoli, gli abitanti di Bé-ziers, 118 donne e un uomo accusatidi aver prolungato l’inverno con un in-

cantesimo, Pietro d’Abano, 2000 val-desi, Miguel Servet, Giulio CesareVanini); miracoli (da quelli classici diGesù Cristo come la moltiplicazionedei pani e dei pesci, la trasformazio-ne dell’acqua in vino, la passeggia-ta sulle acque ad alcune bizzarreperformances di Padre Pio, senza di-menticare una miracolosissima Ma-donna che ride); cazzate papali (or-ganizzate nella serie “prove di in-fallibilità”).

Ci sono poi alcune vignette più filo-sofiche (con una marcata ispirazionerelativista, che Papa Ratzinger lo ri-perdoni!), come quelle che illustra-no l’aforisma di sapore feuerbachia-no “… e l’uomo fece Dio a sua im-magine e somiglianza”, un campio-nario di 24 dei bianchi, neri, gialli, al-ti, bassi, grandi, piccoli, incazzati, in-cazzati neri, furbi, depressi, rock – echi più ne ha più ne metta. Tra lecento vignette edite e inedite ritro-verete tante copertine de “L’Ateo”.

Maria [email protected]

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ricevuto nel 1975 la Laurea honoris cau-sa in Psicologia dall’Università di Bolo-gna, e questo ci fa molto piacere e direianche proprio “onore”.

Può colpire, per esempio, scorrendo perla prima volta le pagine di Eibesfeldt, l’a-bitudine tribale di portare doni andandoin visita ad altre tribù ... le quali acco-glievano gli ospiti, talvolta con altri do-ni, ma presentandosi ordinatamente: inprima fila i bambini, dietro le femmineed infine per ultimi gli uomini ... Perchéi doni qualcuno si chiederà? Per inibirel’aggressività! Anche oggi, quando an-diamo in visita o a cena da un amico gliportiamo sempre qualcosa ... come mi-nimo una bottiglia di Prosecco o di Chian-ti (dipende solo da dove abitiamo). Tan-ti dei nostri atteggiamenti, più o menocuriosi e spesso inspiegabili ce li portia-mo dietro da millenni, ma è difficile pernoi realizzare che all’origine del nostrocomportamento ci sia stata proprio l’in-tenzione di inibire l’aggressività, maga-ri del ... nostro vecchio amico Pippo! Ri-pensandoci bene, il dono l’abbiamo sem-pre ritenuto fatto “per educazione” omagari “per generosità” ... ma le vie diquel tizio sembrerebbero talvolta ... infi-nite, come qualcuno sostiene.

Eibl-Eibesfeldt venne in visita a Firen-ze tanti anni orsono in Università e lo in-vitammo a tenerci una conferenza (gra-zie anche alla Felicita Scapini, etologa eallieva di Leo Pardi), sull’argomento dalui preferito, ma che egli ci “impose”presso il Circolo Culturale Valdese di ViaManzoni (sosteneva, infatti, che i veri“religiosi” italiani – degni di attenzione

– fossero appunto “solo” i Valdesi e vo-leva proprio rivolgersi a loro) al tempocondotto da Marco Ricca. Sorprenden-temente tutte le sue pubblicazioni cheuna grande libreria del centro cittadinoportò alla conferenza furono vendute,cosa unica e mai accaduta prima in oc-casione di una conferenza, tenuta per dipiù in tedesco anche se con traduzionesimultanea in italiano. In precedenzaportammo “per forza” Eibesfeldt a co-lazione alle Giubbe Rosse, il noto centroculturale fiorentino (che per anni ci hatenuto L’Ateo e dove tra l’altro “nac-que” il Futurismo), sempre accessibilee coinvolgente grazie alle ampie vedu-te di Fiorenzo Smalzi.

Il nostro grande etologo ha oggi una no-vantina d’anni (nacque infatti a Viennanel 1928) e difficilmente potrebbe oggitornare da queste parti per parlarci del-la sua “creatura”: l’etologia umana, mapotremmo sicuramente imparare moltodai suoi scritti e dove riporta minuziosa-mente i risultati delle sue osservazioni“umane”, dall’Africa al Sud America, dal-l’Asia alle Galápagos, con risultati sicu-ramente sorprendenti, almeno per noiche siamo in genere abituati ad avereun’idea “pre-concetta” e “superiore” delnostro comportamento.

Le opere consigliabili e tradotte in ita-liano, sono più o meno queste: L’alberod’oro della vita (Bollati Boringhieri 1994),Fondamenti di etologia (Adelphi, Colla-na: Ethologica 1995), Amore e odio. Peruna storia naturale dei comportamentielementari (Adelphi 1996), Le invariantinell’evoluzione delle specie (Collana Dia-

loghi Scienza, Di Renzo Editore 1997),Etologia della guerra (Bollati Boringhie-ri 1999), Etologia umana. Le basi biolo-giche e culturali del comportamento (Bol-lati Boringhieri 2001), Dall’animale al-l’uomo: le invarianti nell’evoluzione del-le specie (Di Renzo Editore 2005). E chiha avuto l’opportunità d’imparare il te-desco scoverà in lingua originale tantealtre cose piuttosto interessanti [1].

Una sola cosa da sottolineare: leggendole pagine anche di altri grandi “natura-listi” ... quando si parla di animali, ricor-diamoci sempre di definirli “gli altri ani-mali” (visto che animali a tutti gli effet-ti lo siamo anche noi che facciamo partedi quel “regno” di aristotelica memoria),con la sorprendente constatazione chepiù o meno noi abbiamo lo stesso com-portamento dei nostri predecessori dimigliaia e migliaia di anni fa, magari contecniche più “evolute” e raffinate, masostanzialmente identiche. Ed è forseanche piuttosto “traumatico”, per noisapiens, constatarne le originarie moti-vazioni.

Un grande grazie quindi a Irenäus (ingreco Eirene, significa “pace”) per il suocontributo alla nostra “umanità” ed an-cora un invito a tutti a dare un’occhiataa quanto ha pubblicato. In genere si sco-prono i risultati di ciò che hanno fatto igrandi uomini solo dopo la loro morte esarebbe quindi riprovevole doverlo sco-prire postumo o forse – sfortunatamen-te per noi – non scoprirlo affatto ...

Note

[1] Galápagos: Die Arche Noah im Pazifik (Li-psia 1966), Grundriß der vergleichendenVerhaltensforschung (Monaco 1967), Im Rei-ch der tausend Atolle: Als Tierpsychologe inden Korallenriffen der Malediven und Niko-baren (Lipsia 1966), Die !Ko-Buschmann-gesellschaft. Gruppenbindung und Aggres-sionskontrolle (Colonia 1972), Liebe und Haß:Zur Naturgeschichte elementarer Verhalten-sweise (Monaco 1970), Der vorprogrammier-te Mensch. Das Ererbte als bestimmender Fak-tor im menschlichen Verhalten (Molden, Vien-na-Zurigo-Monaco 1973), Krieg und Friedenaus der Sicht der Verhaltensforschung (Mo-naco 1975), Menschenforschung auf neuenWegen: Die naturwissenschaftliche Betrach-tung kultureller Verhaltensweisen (Vienna1976), Die Biologie des menschlichen Verhal-tens. Grundriß der Humanethologie (Monaco1984/1995), Der Mensch, das riskierte Wesen(Monaco 1988), Und grün des Lebens goldnerBaum (Colonia 1992), Wider die Mißtrauen-sgesellschaft. Streitschrift für eine bessereZukunft (Monaco 1994), In der Falle des Kurz-zeitsdenkens (Monaco 1998).

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INDEX LIBRORUM LEGENDORUM

n. 6/2015 (103) Inserto speciale libri

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18 n. 6/2015 (103)

STUDI STORICO-CRITICI NEOTESTAMENTARI O BIBLICI

�ALESSANDRO TORTI, Gli “Atti” e le vi-sioni, ISBN 978-88-940813-1-2, Arti Gra-fiche Francescane Edizioni, Genova2015, pagine 138, brossura.

Probabilmente quello degli Atti degliApostoli è il libro più apologetico delNuovo Testamento, un trait d’union trai vangeli e le lettere neotestamentarie(che andrebbero lette a ritroso per ri-spettarne la cronologia) perfettamentecongegnato per essere asservito alladottrina del Cristo paolino, che rompedefinitivamente con i canoni della pri-ma comunità apostolica perfettamen-te integrata con i Giudei osservanti e,non a caso, non distinguibili nel mon-do romano.

Ma oltre ad essere un testo di pura pro-paganda, che su un vago substrato sto-rico imposta l’exemplum mitizzato del-la comunità perfetta, gli Atti si rivelanoun vero corollario di fenomeni misticied interventismo divino su cui Ales-sandro Torti si sofferma talvolta met-tendone in evidenza le contraddizionilogiche non senza qualche nota argu-ta. Stefano, Pietro, Saulo-Paulo hannouna linea diretta con il mondo preter-naturale ai quali adeguano la propriapredicazione. Che dire poi della teofa-nia iniziale dell’Ascensione, che inve-ro, non pochi problemi crea con il van-gelo di Luca (a cui è attribuita anche laredazione degli Atti), laddove Gesù ri-sorge dopo tre giorni mentre negli Attisi attarda per almeno 40 giorni?

D’altronde l’approccio di Torti è, dalpunto di vista strettamente storiografi-co, ineccepibile: partire da ciò che è sto-ricamente autentico per allargarsi in-duttivamente su ciò che è meno certo ecercando di emendare l’improbabileleggendo oltre le righe di aggiunte edinterpolazioni. Evento principe su cui

ruota tutta la costruzione catechetico-ideologica del cristianesimo paolinistaè, non a caso, la distruzione di Gerusa-lemme del 70 d.C. ad opera delle trup-pe romane di Tito. Scomparso Giacomo,bisogna cominciare a staccare Cristodai Giudei dandogli un’aura universali-sta e spiritualista, innocuo come rivo-luzionario, e vittima dei perfidi scribi efarisei, le cui scritture stravolge e il cuipotere religioso sfida. E se i vangeli con-segneranno alla storia un popolo deici-da e il torvo Pilato quasi incolpevole del-la condanna di Gesù, negli Atti si ripe-te lo stesso copione: Paolo si fa scudodella sua romanità che gli salva la vitadalla perfidia dei Giudei che voglionoprocessarlo e ucciderlo.

Torti non manca poi di sottolineare lemolte incongruenze che danno creditoall’idea di diverse mani nella scritturadegli Atti e si sofferma anche sull’am-biguità del termine “cristiani” che de-signa un gruppo presente ad Antiochiache quasi si distingue dagli apostoli edalla comunità di Gerusalemme (il van-gelo gnostico di Filippo su questo par-ticolare sembra essere più credibile de-gli Atti); gli stessi “Dodici” (che ad uncerto punto diventano Undici, poi nespuntano altri Sette) sembrano muo-versi nell’alveo della tradizione ebrai-ca: lo stesso Pietro, presunto capo del-la nuova chiesa istituita da Gesù (se-condo quanto riporta il solo vangelo diMatteo, passo da sempre consideratoun’aggiunta postuma dalla critica piùsevera) entra a pregare nel tempio co-me un qualsiasi giudeo.

La tesi di Torti, tutt’altro che peregri-na, è che sia Pietro sia gli altri apostoli(probabilmente un numero superiore aicanonici Dodici) e lo stesso Paolo piùche cristiani siano diretti discendentidegli esseni, e in un caso sono chiama-

ti Nazorei termine riconducibile all’es-senismo (gli evangelisti hanno mutua-to questo termine in Nazareno o di Na-zaret). Paolo dopo avere rinnegato il fa-riseismo, rinnega l’essenismo e s’in-venta un messia gradito anche ai pa-gani (quindi i romani) per affermare lasua supremazia sugli altri vangeli e for-se, ricorda il libro, anche per motivi piùabietti.

Quanto alle visioni e alle voci dal cie-lo, Torti rileva come siano decisamen-te bislacche se parlano in ebraico men-tre al tempo la lingua ufficiale era l’a-ramaico! Insomma un libro anche di-vertente oltre che utile ad aprire var-chi sul variegato mondo della prima co-munità gesuana.

Stefano [email protected]

� PAOLO FLORES D’ARCAIS, Gesù. L’in-venzione del Dio cristiano, ISBN 978-88-9687-333-5, Add Editore, Torino 2011,pagine 128, € 5,00, copertina flessibile.

Il fermento del variegato mondo mi-scredente e anticlericale nostrano, ri-lanciato soprattutto grazie ad internet,ha tra i suoi terreni di allenamento pre-feriti la critica testuale ai Vangeli e lostudio della figura di Gesù. Si nota cosìun fiorire di pubblicazioni e siti “arti-gianali” che sviscerano i racconti evan-gelici. D’altronde, ora che possedere eleggere certi testi non è più reato o ap-pannaggio della casta clericale, qua-lunque scettico può prendere in manouna copia del Nuovo Testamento e met-tere nero su bianco tutte le evidenti con-traddizioni che trova. Senza sapere ma-gari che la critica di stampo illuministi-

Studi storico-critici o di teologia critica, comunque li si voglia chiamare, il dato sorprendente è che a dare il volàno a questi lavori,almeno in Italia (laddove all’estero esistono da molti decenni) è stato quel “Gesù di Nazareth” di Joseph Ratzinger, che ha tenta-to di spacciare sul piano storico istanze di tipo devozionale. Contributi per lo più indipendenti o comunque sganciati dalla grandeeditoria se non ignorati dai circuiti accademici, si sono concentrati sulla genesi del cristianesimo primitivo. L’utilità di questi scrit-ti è quella di avere attinto all’eredità di studiosi del calibro di Bultmann (che per primo ha disgiunto un Gesù della fede da un Ge-sù della storia), Brandon e Barbaglio per enucleare su basi eminentemente divulgative, una controstoria sganciata dalla mistifica-zione della teologia-ideologia che ha stravolto il senso degli avvenimenti in nome della catechesi.

Sia Flores D’Arcais sia Tommasi affrontano la problematica offrendo, il primo in forma sintetica, il secondo in forma esaustiva, unapanoramica sulla “scuola” critica e i loro più celebri esponenti, mentre Tranfo e Torti, su un livello più bellicoso, a tratti faceto, af-frontano le icastiche contraddizioni della narrazione canonica.

Altri lavori, che pure esistono, sono stati tralasciati in questa sede per via di autori troppo “spirituali” che hanno finito per fagoci-tare ogni residuo di materialità, dei loro, pur apprezzabili, contributi.

[SM]

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STUDI STORICO-CRITICI NEOTESTAMENTARI O BIBLICI

co e razionalista ha fatto lo stesso, giàda qualche secolo. E che anzi il filonestorico-critico è vivo anche nei giorninostri e di alto livello, nonostante ri-manga nella nicchia delle accademie eresti poco diffuso nel nostro Paese.

Il risultato è che non di rado toni pole-mici e pirotecnici e tesi discutibili so-pravanzano la qualità delle argomen-tazioni. Quello che manca è, infatti, unretroterra culturale adeguatamente me-tabolizzato e approfondito, si ignora unaschiera di studiosi di riferimento la cuiproduzione è soprattutto in inglese etedesco. È anche vero che per tanti dub-biosi la produzione più schiettamentepolemica è quella più abbordabile e fa-cilmente reperibile. Soprattutto perquelli alle prime armi, desiderosi di ri-sposte e conferme per consolidare lapropria scelta esistenziale di non cre-denza. Ma sarebbe auspicabile tra-ghettare i curiosi e gli appassionati ver-so opere più sostanziose.

È per questo che risulta particolar-mente utile il recente libricino di Pao-lo Flores d’Arcais su Gesù. L’autore,infatti, presenta le tesi di esperti delcalibro di Bart Ehrman e Geza Ver-mes (solo per citare un paio di pesimassimi), in maniera chiara e sinteti-ca. Meglio ancora, lo fa con un’operaconcepita per essere divulgativa e dalcosto veramente abbordabile. Chiara-mente, non può essere esaustiva di tut-to il dibattito accademico sui resocontievangelici e sulla vita di Gesù. Ma puòessere una bussola per chi volesse av-venturarsi in quel mondo, indirizzan-dosi verso opere più serie e stimolanti.

Così, d’Arcais punta a fornire un’a-gile guida per smantellare una peruna le «bugie» di Benedetto XVI,col quale già aveva duellato a colpidi fioretto quando ancora questi vesti-va la porpora cardinalizia. Diventato pa-pa, Ratzinger ha avviato a tambur bat-tente e con grancassa mediatica e cul-turale al seguito la sua opera di revi-sionismo storico e filosofico integrale (ointegralista, a seconda dei palati), coni suoi tomi sulla figura di Gesù. D’al-tronde, il disegno è facilitato anche dal-la generalizzata ignoranza su ciò che itesti effettivamente dicono e sulla loroevoluzione nei primissimi secoli di sto-ria cristiana. E per contrastare ciò, ec-co che Flores d’Arcais pensa ad un li-bro che invece è piccolo e snello. Si di-rebbe, in un patetico impeto di lirismo,come un seme che può germogliare ne-gli spiriti più recettivi. O versatile ed es-

senziale come una frombola, se voles-simo proprio scomodare lo scontro bi-blico tra un Golia “ratzingeriano” e unDavide “razionalista”.

Così scopriamo (si fa per dire) che tan-ti di quei dogmi veicolati dal cattolice-simo non reggono al confronto della piùnavigata e attendibile ricerca storica.Già gli stessi seguaci del proclamato“messia” erano ebrei osservanti. Un’al-tra «bugia» è che la parusia sia stataannunciata come lontana, quando in-vece lo stesso Gesù in maniera inequi-vocabile l’ha proclamata imminente. E

così aveva fatto Paolo, con successivoslittamento dei tempi nelle lettere suc-cessive, fatte passare come opere de-gli apostoli per giustificare il cambia-mento di rotta. Si capisce, infatti, cheprorogare ad libitum la parusia diventaun’assicurazione per la Chiesa, che puòquindi auto legittimare la sua esisten-za virtualmente all’infinito. Negli stes-si testi del Nuovo Testamento si trova-no gli indizi di una modifica della dog-matica cristiana, che ad un’analisi piùattenta si mostra molto relativa (o rela-tivista). D’Arcais parla in certi casi di«criterio di imbarazzo»: se i detti attri-buiti a Gesù entrano in contrasto con lateologia successiva allora dovevano es-

sere stati ritenuti originali e per questonon espunti dai testi.

Altro dogma di cui vengono mostrati gliingranaggi difettosi è quello della re-surrezione. Paolo ne ha una concezio-ne prettamente mistica, mentre i Van-geli mostrano ricostruzioni discordantie aggiunte molto tarde.

Andando a sezionare le varie versionidei Vangeli, la critica – pur con conclu-sioni e approcci differenti, come corret-tamente rilevato da Flores d’Arcais – leconsidera come espressione della «con-correnza» tra le varie correnti cristiane,su punti fondamentali quali il primatodi Pietro rispetto a Giacomo, fratello diGesù. Infatti, proprio il Nuovo Testa-mento, grattando la patina dell’orto-dossia, mette in luce le aspre diatribetra le varie comunità. Prima di tutto,tra quella di Gerusalemme legata al-la tradizione israelitica, di cui è rap-presentante Giacomo, e le correntiellenistiche, che ammettono i genti-li e sorvolano sull’osservanza dellepratiche ebraiche. Lo stesso Paolo siscaglierà contro Pietro e la comunitàoriginaria, bollandoli come “falsi apo-

stoli”. Contrapposizioni che nella rie-laborazione dell’ortodossia saranno ap-pianate da una «ricostruzione poste-riore». Tanto che Pietro e Paolo ora for-mano per la dottrina cattolica un’ac-coppiata inscindibile.

Anche il canone evangelico si formamolto più tardi rispetto ai fatti chesuppone di narrare e in manieratutt’altro che lineare. Va conside-rato prima di tutto che Gesù dove-va predicare in aramaico e solo agli

ebrei, mentre i Vangeli sono in gre-co e diffusi tra ellenisti e non circon-

cisi. Si ritiene che il nucleo di partenzasiano stati gli oscuri logia (i detti attri-buiti a Gesù), diffusi oralmente e fusi –l’autore sostiene in buona fede – con i«carismi» profetici delle comunità, concorollario di glossolalia, estasi misticheet similia. Dato il metodo di ricostruzio-ne non propriamente attendibile, non èstrano che si siano diffusi «misunder-standing» anche clamorosi. Come glierrori di traduzione e ortografia più omeno involontari (si vedano i casi arci-noti della “vergine” o del “cammello”)nel corso della «diffusione/evoluzione»delle storie su Gesù.

Tutto questo processo fa dire a d’Ar-cais: «pensare ai canonici e agli apocri-fi in termini di autenticità o falsità» dalpunto di vista dell’analisi storica «sa-

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rebbe semplicemente demenziale». Fi-no al IV secolo infatti c’è un «caleido-scopio» di «cristianesimi» con «teolo-gie inconciliabili» e non eresie stacca-tesi dal tronco di una ortodossia già de-finita. Di fatto, è solo con l’imposizionedel cristianesimo come unica religionedi Stato nell’Impero romano che pre-varranno una ortodossia e una Chiesa.Opera fondamentale per capire questorevisionismo teologico è Contro le ere-sie di Ireneo, dove il padre della Chiesacataloga le sètte cristiane considerateeretiche e in particolare si scaglia con-tro Marcione. Il noto “eretico” della fi-ne del II secolo, paradossalmente, saràil primo ad organizzare su larga scalauna Chiesa e ad elaborare un canone.Lo farà espungendo dai testi alcune let-tere false di Paolo «con perizia filologi-ca straordinaria per quei tempi» e ac-cettando il Vangelo di Luca senza la na-tività e senza nemmeno prendere inconsiderazione gli altri tre canonici.D’altra parte, saranno proprio gli “ere-tici” ad accusare gli “ortodossi” di fal-sificare le scritture a proprio piacimen-to, per controbattere alle obiezioni.

Punto forse deludente per alcuni è ched’Arcais non mette in dubbio la stori-cità di Gesù, interessato com’è a se-guire la traccia dei testi rimasti e a ren-dere conto dei risultati della ricerca piùseriosa. Proprio sulla base degli scrittiperò contesta l’idea che egli si sia pro-clamato “messia” o tanto più Dio. La di-vinizzazione di Gesù e la sua trasfor-mazione in Cristo sono «astrazioni suc-cessive» e riflettono piuttosto le diatri-be successive tra rabbini e cristiani. Sul-la scorta soprattutto di Ehrman, l’auto-re sostiene che saranno poi i cristianiad alterare i testi per introdurre ele-menti tesi a legittimare la credenza inun Gesù divino. Come le storie «postic-ce» sulla nascita da una vergine. Rac-conti tesi piuttosto a rispondere alle ere-sie adozionistiche, secondo cui Gesùnon è nato “divino” ma al limite è sta-to “adottato” da Dio dopo la nascita.

Capitolo interessante è quello dedica-to a Gesù secondo l’ottica islamica. Unfilo rosso legherebbe il cristianesimo“originario” di Gerusalemme (quelloebionita) a Maometto. D’Arcais riporta

che il profeta arabo si è probabilmenteispirato ai discendenti di gruppi di ebio-niti diffusi in Arabia. Tanto che secon-do alcuni testi islamici sarebbero statiproprio i cristiani ad abbandonare la re-ligione di Gesù istigati da Paolo, peradattarsi ai costumi romani. La tradi-zione giudeo-cristiana, ritenuta ereti-ca perché considerava Gesù sempliceprofeta ed era anti-trinitaria, sarebbepoi confluita nell’islam. E quindi il Ge-sù più “genuino” sarebbe quello cheemerge dai testi islamici, non quellodella Chiesa.

La conclusione dell’autore è secca: Ge-sù non era un messia (o il Messia), maun profeta apocalittico errante nonchéebreo osservante. In sostanza Gesùnon è mai stato “cristiano”, ma lo di-venterà nel pio sforzo fideistico dei suoiseguaci e dopo un percorso ideologico-teologico lungo e contraddittorio.

(Da http://www.uaar.it/).

Valentino [email protected]

Divulgare la fisica, anche quella che po-tremmo definire classica, è un’impresapiuttosto ardua. Ho fatto personalmen-te l’esperienza che rendere i profani in-teressati alle più elementari nozioni sul-le quali si fonda la fisica di base – te-matiche galileiane o newtoniane, tantoper intenderci, quali la gravitazione, ilmoto dei corpi, le proprietà delle onde(sonore o luminose) – è già impresa nonfacile. Perché, come diceva Galileo,“parlare oscuramente lo sa fare ognu-

no, ma chiaro pochissimi”. Rendere poii lettori consci della rilevanza culturaledi questi concetti, che toccano la nostravita quotidiana e quella dell’universo,e dell’esportabilità della metodologiascientifica ad altre attività umane, è an-cora più difficile. Eppure è quanto unbuon divulgatore dovrebbe porsi comeobiettivo, giacché la divulgazione scien-tifica ha un senso non tanto dal puntodi vista informativo – per questo bastal’opera dei giornalisti che trasmettono

le notizie – quanto per il processo for-mativo di una mente, processo che ri-mane in atto per l’intera vita.

Le cose sono ancor più gravi quando siviene a parlare della fisica dell’ultimoNovecento, quella che è scaturita dallegrandi rivoluzioni della meccanicaquantistica (per citare un nome emble-matico, Werner Heisenberg), della re-latività (Albert Einstein), della naturaquantizzata della luce (Max Planck e an-

DIVULGARE LA FISICA CONTEMPORANEA

Divulgare – o “comunicare”, come oggi si preferisce dire – la scienza non è impresa facile. Particolarmente difficile appare il com-pito di spiegare ai non addetti ai lavori la fisica contemporanea, così concettualmente difficile ed anti-intuitiva. Le analogie e gliesempi comunemente utilizzati dai divulgatori hanno spesso il risultato di confondere più che di chiarire: tra treni che viaggiano adiverse velocità, gatti in scatola, gemelli che invecchiano diversamente è difficile arrivare a un’idea adeguata.

Recentemente hanno avuto un largo successo di pubblico le Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, che qui recensiamo. So-prattutto, abbiamo chiesto un autorevole parere ad Andrea Frova, che affronta la questione e fornisce anche ai lettori curiosi e dibuona volontà utilissimi suggerimenti bibliografici.

[MT]

La schiuma spazio-temporale.Divulgare la fisica contemporaneadi Andrea Frova, [email protected]

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DIVULGARE LA FISICA CONTEMPORANEA

cora Einstein), della cosmologia più re-cente (Georges Lemaître e Edwin Hub-ble, ovvero il Big Bang e l’universo inespansione), della scienza più avanza-ta dei materiali (John Bardeen, ovveroil transistor, e a seguire il fantastico svi-luppo dei circuiti integrati digitali), deiprodigiosi nanomateriali, della fotonicae dell’ottica coerente (Charles Townese Arthur L. Schawlow, ovvero i laser agas e poi quelli a semiconduttore).

Due sono i principali motivi di difficoltàche il divulgatore incontra: primo, eglideve necessariamente utilizzare un lin-guaggio che risulta estraneo anche apersone acculturate, ma prive di unaspecifica base scientifico-tecnologica;secondo, a differenza della fisica clas-sica, i concetti spesso esulano da quel-li che possono apparire “intuibili”, “ra-gionevoli” o “sensati”, talvolta suo-nando invece magici, se non tout courtincredibili o assurdi. Un esempio tra imeno astrusi di entrambi gli aspetti, sipuò prendere da p. 154 dell’ultimo librodi Carlo Rovelli, La realtà non è come ciappare – La struttura elementare dellecose: «Non appena teniamo conto del-la meccanica quantistica, invece, dob-biamo riconoscere come anche il tempodebba avere quegli aspetti di indeter-minazione probabilistica, granularità edi relazione che sono comuni a tutta larealtà. […]. Lo scorrere del tempo è in-terno al mondo, nasce dal mondo stes-so, dalle relazioni fra eventi quantisticiche sono il mondo e generano essi stes-si il proprio tempo». E aggiunge, co-gliendo il lettore in contropiede: «Inrealtà, l’inesistenza del tempo non si-gnifica nulla di molto complicato». Il ter-mine che è stato introdotto per espri-mere questa nuova realtà è quello di“schiuma spazio-temporale”, una strut-tura che potrebbe venir confermatasperimentalmente – si auspica – dal te-lescopio Fermi della NASA, il quale ana-lizza le radiazioni provenienti dagli an-goli più remoti dell’universo.

A queste difficoltà, si aggiunge un terzoelemento, come viene ben evidenziatoda Amedeo Balbi nel suo libro Cercatoridi meraviglia. Storie di grandi scienziaticuriosi del mondo. Egli scrive: «raccon-tare l’impresa scientifica sacrificando lasua dimensione umana ed emotiva […]è uno dei fattori che hanno contribuito ascavare un fossato tra gli scienziati e ilresto delle persone. […] Comunicare lapassione che anima la ricerca è impor-tante quanto illustrare i suoi risultati». Inparticolare quando la divulgazione è ri-volta a individui in fase di formazione.

Spiegare cos’è la schiuma spazio-temporale è un obiettivo ardito: è facilecadere in risibili paralleli di stampo zi-chichiano, nella fattispecie quello con lasuperficie porosa di un cappuccino o conquella increspata di un oceano in conti-nua fluttuazione, che appaiono entram-be perfettamente lisce se viste da unacerta distanza (nel secondo caso, da unaereo di linea in quota). Paralleli che spie-gano poco o nulla e anzi rendono le ideepiù confuse di prima, anche perché laschiuma di cui si parla qui ha una gra-nularità su scala indicibilmente piccola,circa dieci miliardesimi del diametro delnucleo di un atomo di idrogeno (vale a di-re 10-35 metri, che è la cosiddetta lun-ghezza di Planck). Chi prova curiositàper questa ultramicroscopica schiuma,provi a leggere quanto ne scrive il gior-nalista scientifico Sandro Iannaccone sulsito Galileo (http://www.galileonet.it/2015/03/uno-sguardo-nella-schiuma-dello-spazio-tempo/); oanche i riferimenti che compaiono al si-to http://www.astrofisica.me/la-struttura-schiumosa-dello-spaziotempo/, dal quale ho tratto la fi-gura sottostante.

Bellissimo libro quello di Rovelli, dove,dopo una prima parte in cui si espongo-no con chiarezza gli antefatti e si passa-no in rassegna i succitati grandi pro-gressi del Novecento, ci si imbatte in uncapitolo intitolato “Il tempo non esiste”e in una successiva parte “Al di là dellospazio e del tempo”, che conduce allestupefacenti conclusioni finali intitolatesignificativamente “Il mistero”. Dirò, perconfortare i possibili lettori, cui suggeri-sco di leggere almeno la prima metà dellibro e le considerazioni conclusive, cheanch’io – fisico sperimentale apparte-nente a tutt’altra parrocchia, quella del-le proprietà della materia condensata o,se vogliamo, della scienza dei materiali– non sempre sono riuscito ad afferrarele argomentazioni dell’autore. Del restolo stesso Rovelli testimonia la difficoltàdi capire a fondo la tematica persino daparte degli addetti ai lavori. Lo confer-mano subito alcune sue frasi, piene diverità, queste sì, immutabili.

A p. 226 si legge: «La consapevolezzadei limiti della nostra conoscenza è an-che consapevolezza del fatto che quelloche sappiamo, o crediamo di sapere, pos-sa poi risultare impreciso o sbagliato. So-lo se teniamo ben presente che le nostrecredenze potrebbero essere sbagliatepossiamo liberarcene e imparare di più[…]. La scienza nasce da questo atto diumiltà: non fidarsi ciecamente delle pro-prie intuizioni […]. Perfino il sapere piùefficace, come quello costruito da New-ton, può rivelarsi alla fine ingenuo, co-me ha mostrato Einstein». E poco sotto:«Qualche volta si rimprovera alla scien-za di pretendere di spiegare tutto, di sa-per rispondere a tutte le domande […].La realtà è il contrario, come sa qualun-que ricercatore in qualunque laborato-rio del mondo: fare scienza significascontrarsi quotidianamente con i proprilimiti, con le innumerevoli cose che nonsi sanno, che non si riesce a fare». E al-la pagina seguente: «Se non siamo sicu-ri di nulla, come possiamo fare affida-mento su quello che ci racconta la scien-za? La risposta è semplice: non è che lascienza sia affidabile perché ci dà rispo-ste certe. È affidabile perché ci forniscele risposte migliori che abbiamo al mo-mento presente». Per concludere: «Ilmondo è più straordinario e profondo diuna qualunque delle favole che ci rac-contano i padri […]. Siamo immersi nelmistero e nella bellezza del mondo. Ilmondo svelato dalla gravità quantisticaè un mondo nuovo, strano, ancora pienodi mistero, ma coerente nella sua sem-plice e limpida bellezza […]. È un mon-do che non esiste nello spazio e non evol-ve nel tempo».

Parole che raccontano il fascino emozio-nante della ricerca scientifica e del fati-coso, graduale, incessante disvelamen-to dei segreti dell’universo, contrasse-gnato da improvvisi “cambi di paradig-ma”, nella definizione di Thomas S. Kuhnin La struttura delle rivoluzioni scientifi-che: dalla fisica ingenua pre-galileiana aquella dove i fenomeni si svolgono in mo-do diverso da quanto si vede; dall’ener-gia e dallo spazio continui a quelli quan-tizzati; dal tempo assoluto al tempo re-lativistico, che differisce per i diversi os-servatori in moto; infine dal tempo chefluisce con continuità al tempo parcel-lizzato dell’odierna schiuma spazio-temporale. Per quanto riguarda la di-vulgazione, la domanda d’obbligo è al-lora: si potrà mai rendere partecipi delpiacere di tale conoscenza coloro che fi-sici non sono e parlano linguaggi diver-si e lontani da quelli della scienza odier-na? Purtroppo dubito che esistano mo-

Rappresentazione d’artista della strutturaschiumosa dello spaziotempo.

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DIVULGARE LA FISICA CONTEMPORANEA

di per farlo, i profani possono soltantoavere fiducia nelle affermazioni di chi aquesta materia si dedica per mestiere, egioire di riflesso, in quanto esseri uma-ni, dell’avanzamento nella comprensio-ne del mondo. La fisica d’oggi non è co-me quella del Seicento – la fisica neona-ta di Galileo & Co. – che può essere ac-quisita con un minimo d’interesse e d’im-pegno anche da chi non è andato oltrele scuole medie. Né è come la musi-ca colta dove, senza necessità diun background professionale,basta ascoltare un pezzoripetute volte perchéesso riveli in modospontaneo la suabellezza.

L’ultima frase citatadi Rovelli richiama la“gravità quantistica”,già sopra menzionata,ossia il problema cen-trale dell’odierna co-smologia, quello che,per quanto ci rie-sce d’immaginare(e sperare) inquesto momen-to, dovrebbe po-ter delucidare itanti misteri einterrogativi cheancora affliggono il Big Bang e la vi-cenda evolutiva dell’universo. La gra-vità quantistica è quella parte della fi-sica teorica che aspira a unificare la teo-ria quantistica dei campi, la quale de-scrive le tre forze fondamentali della na-tura, elettromagnetica, forza nuclearedebole e forza nucleare forte, con la teo-ria della relatività generale, la quale de-scrive la gravitazione. Semplificando al-l’estremo, potremmo dire che le dueteorie si occupano rispettivamente del-l’enormemente piccolo e dell’enorme-mente grande. Quello che ci si propo-ne, unificandole, è di arrivare a formu-lare una “teoria del tutto”. Il profanodovrà accettare le verità degli espertiquasi fossero principi di fede, ben sa-pendo tuttavia che dovrà credervi solofino al giorno in cui esse non sarannosopravanzate da verità “più vere”, me-glio dire più mature.

Mi accorgo, rileggendo quanto ho scrit-to, di aver assunto una posizione forsetroppo pessimista in merito alla possi-bilità di divulgare la fisica degli ultimidecenni in modo costruttivo, così da ele-varla al di sopra della semplice, epider-mica informazione, portandola a svol-gere quel ruolo educativo e a suscitare

nel lettore quel coinvolgimento intel-lettuale ed emotivo che ritengo essen-ziali. Ma se gli interessati accetterannodi prendere le mosse dai mattoni costi-tutivi della fisica, avvicinandosi preli-minarmente alla divulgazione scientifi-ca dei fenomeni quotidiani che stannodavanti ai nostri occhi (e che del restorientrano nei programmi di studio deilicei e dovrebbero essere patrimonio di

qualsiasi persona accultura-ta, ciò che purtroppo non è),allora forse anche opere co-me quella di Rovelli darannoi loro frutti.

Naturalmente ci sono libripiù semplici di quello cita-to, qualcuno anche dello

stesso autore, ce ne sono al-tri che si mantengono nei

confini dell’uno o dell’altro deivari aspetti della fisica contem-

poranea. Concludo pertanto que-sto discorso proponendo un elenco

di testi che possono offrire argomen-tazioni a vari livelli di complessità,

risultando più o meno accessibili al-le diverse categorie di lettori. Lamia scelta è ovviamente parziale enon implica giudizi di merito. Cia-

scuno dei libri elencati ne proponea sua volta altri, talvolta fornendo

un commento dei contenuti. Un validoaiuto nella scelta delle letture, natural-mente, può venire dalla rete.

Sono spiacente di non aver saputo re-perire un buon testo divulgativo cheillustri l’attività nel mio settore di ri-cerca, dove nell’ultimo mezzo secolosi è avuta la straordinaria evoluzioneche ci ha portato dal transistor ai cir-cuiti integrati digitali e che ha resopossibili i grandiosi progressi fatti neicampi dell’informazione, dell’automa-zione, della medicina, dell’elaborazio-ne delle immagini, oltre che nel po-tenziamento della ricerca scientifica.Un altro cambio di paradigma. Basti latestimonianza della sonda Kepler che,grazie al suo sensore d’immagine amosaico di CCD, dispositivo a semi-conduttore che ha procurato il PremioNobel ai suoi inventori, viaggia nellospazio alla ricerca di pianeti simili al-la Terra (Kepler può rilevare un ab-bassamento nella luminosità di unastella, causato dal transito di un suopianeta, pari ad alcune parti per mi-lione). Mi auguro che qualcuno vogliaimpegnarsi a mettere insieme un librodel genere, sebbene in rete non man-chi una ricca messe di riferimenti allespecifiche problematiche. Io ne ho ac-

cennato in un mio libro semi-autobio-grafico del 2012, La passione di cono-scere, che umilmente oso proporre ailettori, pronto ad accoglierne pareri ecritiche.

Suggerimenti bibliografici

Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Il Sag-giatore 1961. Un grande classico scritto dal-l’ideatore della meccanica quantistica.Enrico Bellone, Storia della fisica modernae contemporanea, UTET 1998. Dal punto divista di uno storico della scienza. Carlo Rovelli, Che cos’è il tempo? Che cos’èlo spazio?, Di Renzo 2000.Q. Ho-Kim, N. Kumar e C.S. Lam, Invitationto contemporary physics, 2a edizione, WorldScientific Publ. Co. 2004. Utile per tastareil polso della ricerca nella fisica contempo-ranea.Bruce Colin, I conigli di Schrödinger. Fisicaquantistica e universi paralleli, Cortina 2006.Jim Baggott, The Quantum Story: A Historyin 40 Moments, Oxford University Press2011. Una dettagliata ricostruzione dei prin-cipali passi della meccanica quantistica dal-la nascita ad oggi. Vittorio Degiorgio e Ilaria Cristiani, Note difotonica, Sprinter Verlag 2012. L’invenzio-ne del laser ha generato una nuova disci-plina, la fotonica, con innumerevoli appli-cazioni ottiche e optoelettroniche. Testo alivello universitario.Andrea Frova, La passione di conoscere. Sto-ria intima della scienza che ha cambiato ilmondo, RCS-BUR 2012. Testo autobiografi-co con appendici divulgative sull’ultimomezzo secolo di travolgente progresso nel-la scienza dei semiconduttori.Mauro Dorato, Che cos’è il tempo? Einstein,Gödel e l’esperienza comune, Carocci 2013.Sulla modificazione einsteiniana del con-cetto di tempo e le sue implicazioni.Leon M. Lederman e Christopher T. Hill, Fi-sica quantistica per poeti, Bollati Boringhieri2013. Spiega fenomeni reali, seppur miste-riosi e apparentemente assurdi.Leon M. Lederman, Oltre la particella di Dio.La fisica del XXI secolo, Bollati Boringhieri2014. Più accessibile di altri che trattano lastessa tematica.Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica,Adelphi 2014. In Italia, best seller assoluto,ma soggetto a giudizi molto controversi. SuAmazon ha ben 253 recensioni che vannoda “Affascinante” e “Magistrale leggerez-za ed efficacia espositiva”, a “Chi sa di fi-sica non troverà nulla di interessante o diparticolarmente illuminante”.Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appa-re. La struttura elementare delle cose, Cor-tina 2014. Uno sguardo sul futuro, con va-lidi richiami agli sviluppi della fisica del No-vecento.Kenneth W. Ford, Il mondo dei quanti. La fi-sica quantistica per tutti, Bollati Boringhie-ri 2014.Carlo Donadio, L’universo informato, arti-colo in rete, 2014: (http://www.scien

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DIVULGARE LA FISICA CONTEMPORANEA

zaeconoscenza.it/articolo/teorie-fisica-contemporanea.php).Amedeo Balbi, Cercatori di meraviglia. Sto-rie di grandi scienziati curiosi del mondo,Rizzoli 2014.Thibault Damour, Albert Einstein, La rivo-luzione della fisica contemporanea. AlbertEinstein, la teoria della relatività e la ricer-ca dell’unità in fisica, Einaudi 2015.

Pietro Greco, Marmo pregiato e legno sca-dente, Carocci 2015. Successi e insuccessi diEinstein e riflessi sulla fisica del Novecento.

——————————-

Andrea Frova, già Ordinario di Fisica Gene-rale all’Università di Roma La Sapienza è au-tore di numerose pubblicazioni su riviste in-

ternazionali nell’ambito della fisica e dellaspettroscopia dei semiconduttori e di libri didivulgazione scientifica tra i quali ricordia-mo, oltre a La passione di conoscere (BUR2012) menzionato in questo articolo e New-ton & Co. geni bastardi (scritto con Maria-piera Marenzana, Carrocci 2015) qui recen-sito, Parola di Galileo (scritto con Mariapie-ra Marenzana, BUR 1998).

� CARLO ROVELLI, Sette brevi lezioni difisica, ISBN 978-88-459-2925-0, Adelphi(Collana “Piccola Biblioteca” 666), Mi-lano 2014, pagine 94, € 10,00, brossura.

Uno dei più bei libri di divulgazionescientifica che io abbia mai letto (e neho letti parecchi). Per la qualità lettera-ria, in primo luogo. Non a caso è rima-sto in cima alle classifiche dei libri piùvenduti per mesi. Un best seller, insom-ma. Il che – vi dico la verità – me ne hatenuta lontana abbastanza a lungo: ingenere le vendite non premiano i librimigliori. Poi la curiosità ha avuto la me-glio e ho potuto constatare che questolibro è un’eccezione.

Come ricorda Andrea Frova nei consiglibibliografici del suo articolo qui pubbli-cato, ha avuto giudizi molto controver-si: «su Amazon ha ben 253 recensioniche vanno da “Affascinante” e “Magi-strale leggerezza ed efficacia espositi-va”, a “Chi sa di fisica non troverà nulladi interessante o di particolarmente il-luminante”». Per noi che non sappiamodi fisica rappresenta comunque un aiu-to: non impareremo molto, ma qualche“idea adeguata” – almeno un pochinopiù adeguata di quella che si può formareun non addetto ai lavori utilizzando laletteratura divulgativa corrente, che èpessima – riusciremo a farcela. Ci riusci-remo guidati dalla bella prosa. Ci riusci-remo perché Rovelli evita tutte quelle in-sulse analogie – i gemelli che invecchia-no diversamente, i gatti nelle scatole –ripetute all’infinito e sempre uguali dagiornalisti-divulgatori che per primi nonle capiscono. Ci arriveremo perché Ro-velli ricorre a volte a uno strumento chealmeno per qualcuno (non per tutti) è ef-ficace: l’immagine.

E se non impareremo molto, verremocomunque stimolati a fare un piccolosforzo aggiuntivo e a leggere un librodello stesso autore da cui si impara mol-to di più, La realtà non è come ci appa-re. La struttura elementare delle cose(Cortina 2014).

Miei cari atei, agnostici e razionalisti,questo libro dovreste proprio leggerlo,anche se non vi interessa la fisica con-temporanea o se rinunciate in parten-za all’obbiettivo di comprenderla. Do-vreste leggerlo per il piacere – vero pia-cere – di arrivare al capitolo conclusivoche riesce a rendere l’idea della bellez-za di pensare da materialisti e raziona-listi. È un capitolo che mostra come l’im-magine scientifica del mondo non siaaffatto «in contraddizione con il nostropensare in termini morali, psicologici,con le nostre emozioni e il nostro senti-re», perché «quanto è specificamenteumano non rappresenta la nostra se-parazione dalla natura, è la nostra na-tura». La conoscenza scientifica ci ren-de più ricchi, ci regala occhi nuovi perguardare il mondo ad ogni nuovo avan-zamento, ci colloca in una posizioneemozionante: «qui, sul bordo di quelloche sappiamo, a contatto con l’oceanodi quanto non sappiamo, brillano il mi-stero del mondo, la bellezza del mondo,e ci lasciano senza fiato».

Maria [email protected]

� ANDREA FROVA e MARIAPIERA MA-RENZANA, Newton & Co. geni bastardi.Rivalità e dispute agli albori della fisica,ISBN 978-88-430-7653-6, Carocci edito-re (Collana “Le Sfere” 102), Roma 2015,pagine 304, € 22,00, brossura.

Newton, un “bastardo”? E anche Hooke,Hallen, Leibniz, Huygens, Hevelius …“bastardi”? Un po’ sì. Certamente mol-to competitivi, a volte decisamente scor-retti, irascibili e molto, molto litigiosi. Una“singolare congiunzione” (come la defi-nisce Piergiorgio Odifreddi nell’Introdu-zione intitolata appunto Congiunzioniastrali) di geni di prima grandezza che sisono incontrati e frequentati a cavallotra Seicento e Settecento, litigando pa-recchio. Lo apprendiamo da questo av-

vincente libro di Andrea Frova e Maria-piera Marenzana che è anche un libro didivulgazione scientifica.

Anche, perché è molto di più. Non c’èsolo la fisica ai suoi albori. C’è un’In-ghilterra tormentatissima – guerre ci-vili, regicidio, peste, il grande incendiodi Londra del 1666 – che fa da sfondoalle dispute dei “geni bastardi”. Ci so-no i nuovi interessi e bisogni dell’etàmoderna – innanzitutto lo sviluppo deicommerci, con la navigazione e l’esi-genza di “orologi marini” precisi per de-terminare la longitudine; con l’affer-marsi del sistema monetario bullioni-sta, le conseguenti necessità della Zec-ca Reale, la lotta ai falsari. Tutte fac-cende pratiche in cui i “geni bastardi”son coinvolti a fondo. C’è la ricerca pu-ra, che tuttavia ha bisogno di strumen-ti potenti e sofisticati, come i telescopiriflettori e zenitali. C’è la matematica, ilpurissimo calcolo – quello infinitesima-le, nella fattispecie. E persino su quel-lo i “geni bastardi” riescono a litigare.

Più che litigare: sono dispute (la “dispu-ta su luce e colore” tra Hooke e Newton,oggetto del cap. 5), gare (gli “orologi ingara” del cap. 6, una corsa al brevettotra Hooke e Oldemburg), guerre (cap. 7,“telescopi e guerre stellari” che coin-volgono ancora Hooke, Newton, Ol-demburg e Hevelius), scontri (“lo scon-tro con Leibniz”, Newton contro Leibnizsul calcolo infinitesimale, cap. 13), bat-taglie (“la battaglia sulla gravità” cheporterà a una rottura definitiva tra New-ton e Hooke, ricostruita nel cap. 10). Dia-tribe, discussioni, scoppi d’ira, ma anchecolpi bassi e innegabili scorrettezze. Dif-ficile dire se uno spirito più sereno e in-cline alla collaborazione avrebbe potutoanticipare certi risultati, o se invece lacompetizione sia stata uno stimolo im-portante. Certo in quest’ottica la scien-za risulta un’attività molto umana,tutt’altro che avulsa dalle passioni; mol-to sociale, legata com’è agli interessi e alpotere; e – qui sta il bello del libro – mol-to avvincente.

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DIVULGARE LA FISICA CONTEMPORANEA

Il lettore vuole proprio sapere “comeva a finire”: tra Hooke e Newton, peresempio, nel loro scontro sulla naturadella luce – onda o particella? E per sa-perlo è più che disposto a entrare nelmerito delle ipotesi scientifiche, dei lo-ro presupposti, della loro fondatezza,del loro futuro. Ecco perché questo li-bro è anche un’ottima divulgazionedella fisica.

Della fisica fino a Newton, quanto me-no. Sulle possibilità di divulgare la fisi-ca contemporanea Andrea Frova è ab-bastanza pessimista, come si evincedall’articolo qui pubblicato. Ma non èpoco, perché anche sulla fisica moder-

na le idee dei non addetti ai lavori sonomolto confuse, prescientifiche. In un al-tro bel libro di Andrea Frova e Maria-piera Marenzana, Parola di Galileo (neabbiamo recensito la seconda edizione,BUR 2014, nel n. 2/2015 de L’Ateo), c’è… la prova del nove. C’è un piccolo te-st, all’inizio del libro, intitolato Il pre-giudizio universale, che sottopone al let-tore una serie di interrogativi cui già Ga-lileo e altri scienziati dell’epoca aveva-no dato risposte corrette. Si tratta di co-noscenze relative a fenomeni fisici ele-mentari che dovrebbero risultare scon-tate per chiunque abbia ricevuto unanormale educazione scolastica, sullequali prevalgono invece – più spesso di

quanto si pensi – vecchi pregiudizi duria morire, anzi, sostengono gli autori, de-stinati “a mantenersi vivi per i secoli avenire”. Vale la pena di sottoporsi a que-sta piccola prova: serve a far percepirea ciascuno di noi quanto costi fatica ac-quisire anche le nozioni più elementari– ma spesso, ahimè, anti-intuitive – del-la fisica galileiana. Figuriamoci la fisicanewtoniana! Figuriamoci la fisica con-temporanea! Ma cerchiamo di fare unosforzo: il premio, ogni volta, sono “oc-chi nuovi” (come dice Carlo Rovelli) concui guardare il mondo.

Maria [email protected]

� LEE HARRIS, La civiltà e i suoi nemi-ci: Il prossimo passo della storia, ISBN978-88-498-1960-1, Rubbettino Editore(Collana “Problemi aperti” 121), Sove-ria Mannelli (Catanzaro) 2009, pagineXX + 312, € 18,00, brossura.

L’analisi di Harris, politologo statuni-tense, è articolata e complessa, ma so-prattutto inquietante. Come fronteg-giare un Islam sempre più aggressivo eche ha radicalizzato il conflitto di civiltà,favorito in questo dalla decadenza oc-cidentale? Harris ha un’idea precisa: èinutile illudersi che l’Islam possa com-piere, o essere costretto a compiere,tantomeno in breve tempo, quel per-corso che ha portato l’Occidente allamodernità, superando in particolare iconflitti religiosi. Purtroppo l’Occiden-te sembra aver dimenticato come ciò èavvenuto e come ha costruito la sua for-za ideale. Appagato dalla ricchezza ma-teriale di cui gode, l’americano medio(inteso come prototipo dell’uomo occi-dentale) è oramai incapace di com-prendere che questa sua prosperità èun bene (o un valore) acquisito tramite

una lunga lotta ed a duro prezzo, e so-prattutto qualcosa da difendere a den-ti stretti. Nella società dei consumi man-cano infatti uomini sprezzanti del peri-colo, pronti a morire e ad uccidere, perproteggere il proprio stile di vita.

L’Occidente edonista e relativista èubriacato dalla propria sazietà, illusodall’utopia post-illuminista e vive comeimmerso in un parco giochi, quasi igna-ro dei pericoli che lo circondano. L’11settembre e le sue conseguenze, lo han-no frastornato, giacché al suo internomanca la capacità di leggere la realtà aldi fuori del mito delle “magnifiche sor-ti e progressive”. Pur scoprendo im-provvisamente di avere un nemico ag-gressivo e fortemente motivato, l’uomooccidentale manca degli strumenti perfronteggiarlo, per costruire una strate-gia di difesa; dopo la fine della guerrafredda e dopo la caduta del comunismo,il pensiero politicamente corretto ha ge-nerato infatti uno stato d’animo ingiu-stificatamente ottimistico sul trionfo de-finitivo di un pacifico ed appagante mul-ticulturalismo.

Ma, pensando così e agendo conse-guentemente, l’Occidente ha commes-so un errore fatale; principalmente, il-ludendosi che le sue regole valesseroprima o poi anche per gli “altri”, in par-ticolare per le masse di migranti isla-mici che, accolti nelle nostre città sen-za particolare ostilità, si sarebbero do-vuti convertire facilmente ai modi di vi-ta ed ai codici etici occidentali. Ed in-vece, il fallimento di questa illusione èoramai sotto gli occhi di tutti: sono gliimmigrati islamici, e gli islamici in ge-nerale a pretendere piuttosto una no-stra conversione al loro modo di vive-re, alla loro religione, ai loro “valori”;ed il tempo non potrà che peggiorarequesto stato di cose, stante la nostraindolenza verso un’adeguata controf-fensiva.

La conclusione di Harris è sconfortan-te: il nostro occidentale è davvero, at-tualmente, il migliore dei mondi possi-bili; ma il terrorismo islamico rischia disovvertire tutto, di renderci sudditi diun nuovo terrorismo politico, che rite-nevamo impossibile dopo la sconfitta

SCONTRI DI CIVILTÀ

Le tre opere qui di seguito recensite mettono a confronto la civiltà giudaico-cristiana e quella islamica, domandandosi se si potràmai giungere a una pace costruttiva fra i grandi monoteismi alla luce della presenza di un fondamentalismo islamico sempre piùestremo ed aggressivo che sembra continuamente cogliere di sorpresa, con i suoi attentati, un mondo occidentale ormai laicizza-to, decadente ed edonista.

In questa sezione presentiamo le recensioni a due libri di Lee Harris (“La civiltà e i suoi nemici” e “Il suicidio della ragione”) e aduno di F.V. Tommasi (“Incontro di civiltà”) che mettono in evidenza, da un lato, alcune delle ragioni del contrasto fra la civiltà oc-cidentale e quella islamica e dall’altro alcuni dei motivi, soprattutto storici ed ideologici, per cui questo contrasto potrebbe diven-tare sempre più radicale ed ineluttabile.

[ER]

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SCONTRI DI CIVILTÀ

delle grandi ideologie totalitarie del No-vecento. Dunque è assolutamente ne-cessario reagire con forza, riscoprendole nostre radici culturali, incluse quellereligiose. Per quanto egli appaia sgra-devole ed unilaterale (ma soprattuttoduro ed arrabbiato; perfino disposto acompromessi con le più inconciliantiespressioni del pensiero papale), que-sta analisi lascia ampiamente il segnoe merita una seria riflessione.

Francesco D’[email protected]

� LEE HARRIS, Il suicidio dellaragione: La minaccia del fonda-mentalismo islamico all’Occi-dente, ISBN 978-88-498-2336-3,Rubbettino Editore (Collana“Problemi aperti” 122), SoveriaMannelli (Catanzaro) 2009, pagi-ne VIII + 292, € 16,00, brossura.

Lee Harris sembra essere dive-nuto, dopo l’11 settembre, un po’l’erede di Oriana Fallaci. Il suicidiodella ragione, che reca come sottoti-tolo La minaccia del fondamentalismoislamico all’Occidente, ricorda nei toniLa rabbia e l’orgoglio e suona come unavera e propria chiamata alle armi. Di-ciamola tutta: a leggere questo libroqualche anno addietro non si sarebbepotuto fare a meno di tacciarlo di cata-strofismo. Poi, appunto dopo l’11 set-tembre, Theo Van Gogh, i talebani , l’ISe Boko Haram, Madrid piuttosto che Pa-rigi, Tunisi o Garissa, anche la perce-zione rispetto alla questione dello scon-tro di civiltà rimane una faccendada non poter liquidare contanta leggerezza. I toni unpo’ apocalittici con i qua-li Harris condisce i suoiscritti sono solo un utileespediente ad attizzare ilfuoco del dibattito.

La chiave di lettura di questo vo-lume ruota attorno ad un unico con-cetto che andiamo ad espletare. Perl’Harris-pensiero il guaio delle tradizioniculturali di ogni civiltà è quello di riposa-re sui miti. Se guardiamo al nostro, sem-pre più vulnerabile, Occidente, si può mi-surare tangibilmente quanta ingenuitàvi fosse nel mito del buon selvaggio dirousseauiana memoria. Quanto all’Illu-minismo, che ha avuto il merito sommodi far uscire dall’oscurantismo tanta par-te della civiltà europea, se un rimprove-

ro vi si può muovere, è di essere rimastoimbrigliato sul mito della Modernità, ri-tenendolo un processo irreversibile, unpo’ come la fine della storia che avrebbedeterminato, secondo Fukuyama, iltrionfo del Capitalismo. Anche il Capita-lismo, per molti versi, è figlio del don’tworry, be happy, tipico dell’edonismo in-dividualista occidentale.

Tutto bene se questa nostra parte dimondo ha preso certe bisettrici assicu-rando, nonostante molte contraddizio-ni, benessere a gran parte dei suoi po-poli. Se non fosse che il mondo-villaggio

globale, sempre più interconnesso, ciha svelato che esiste, ol-

tre al nostro, un altromondo, che detesta

la modernità e che

si compiace di far tornare in-dietro l’orologio della storia. Il fonda-mentalismo islamico è la punta di dia-mante di questa concezione antimo-derna e totalizzante. Il villaggio globa-le è divenuto una giungla (Welcome tothe jungle cantavano i Guns N’ Roses)fatta di tribù contrapposte votate al-l’annientamento reciproco.

L’Occidente ha un handicap in più, quiil suicidio della ragione, rappresenta-to da una sorta di rimozione collettivache nega lo scontro di civiltà e mini-mizza le azioni terroristiche, circoscri-vendole spesso a mere iniziative di po-chi esaltati e continuando a pensareche il nostro sia il migliore dei mondipossibili e che il progresso avanzi ine-sorabile e senza sosta. Eppure l’arrivodel nostro stile di vita in molti Paesi ditradizione fondamentalista piuttostoche una contaminazione positiva hadeterminato, quasi per riflesso condi-zionato, una maggiore radicalizzazio-ne dei gruppi religiosi. L’illusione del-le cosiddette primavere arabe ne è lariprova lampante, come il trionfo di Ha-mas nei Territori Occupati ad ogni ele-zione o la deriva di Paesi come l’Iraq ola Libia che sarebbero dovuti avviarsial pluralismo e alla democrazia parte-cipata.

Analisi rigorosa, quella di Harris, consfoggio di autori (Condorcet, piuttostoche Hegel o Kant o Darwin) che tradi-

scono il suo retroterra filosofico. Il pa-radigma però appare eccessiva-

mente cerebrale e schematico,ideologicamente orientato.

Non certo nella sopravvalu-tazione dell’islamismo fa-

natico, che rimane unafaccenda serissima,quanto piuttosto nelpensare all’Occidentecome unica Pangea, didemocrazia compiuta eragione trionfante.

La debolezza della de-mocrazia sta nella suamancata radicalità.Anche la vituperatademocrazia andrebbe

presa sul serio, per dir-la con Flores d’Arcais.

Stefano [email protected]

� FRANCESCO VALERIO TOM-MASI (a cura di), Incontro di ci-viltà, ISBN 978-88-498-3467-3,

Rubbettino Editore, SoveriaMannelli (Catanzaro) 2012, pagine 176,€ 12,00, brossura.

Questa raccolta di brevi interventi sultema dello scontro di civiltà tradisceun pregiudizio: che la soluzione ai più

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SCONTRI DI CIVILTÀ

preoccupanti conflitti odierni possagiungere da una pace costruttiva fra itre monoteismi. Francamente, un’u-topia. Basta guardare alle guerre delpassato; a come e quanto religioni di-chiaratesi “pacifiche e pacificatrici”hanno fomentato e mantenuto unaconflittualità perenne, fra gli Stati edal loro interno. Ma anche un contro-senso, se prendiamo in considerazio-ne l’inarrestabile declino del cristia-nesimo in Occidente, anche sul pianopolitico.

Possiamo realisticamente stimare co-me religione di pace, una che nei suoilibri sacri ridonda di richiami all’unicoesclusivo dio, al quale si dovrebbe for-zatamente sottomettere chi crede inun altro dio, o anche a nessun dio? Il

tema della pacificazione interreligiosaha una indubbia componente fascina-toria, quando non affronta il nucleocentrale (più genuino e duro, dei di-versi credo); ed i giovani autori quichiamati ad esprimere il proprio pare-re (ed a manifestare le proprie spe-ranze) sottolineano ampiamente quan-to apprezzano nelle rispettive religio-ni: ma ne lasciano purtroppo alquantoin ombra la carica distruttiva, l’inade-guatezza ed arretratezza rispetto alprogresso civile. E non è certo un casoche nessuno di loro palesi quegli at-teggiamenti integralisti, che ci aspet-teremmo in base alla logica intrinsecadei rispettivi credo.

Guardare al positivo ciò che ci sareb-be nei tre monoteismi elude un pro-

blema di fondo: l’Islam in primo luogo(probabilmente anche quello modera-to) non sembra per nulla disponibilead accettare ciò che ha caratterizzatolo sviluppo della cultura occidentale(possibilità di apostasia, primato del li-bero pensiero, diritti umani, liberazio-ne femminile, ecc.) ed a permettere lalaicizzazione della società, come ha in-vece fatto (non senza ripulsione) il cri-stianesimo. Ogni alternativa pacificaalla guerra fra religioni comporterebbela rinuncia a qualcuno dei valori fon-danti di ciascuna. Potrà l’Islam anda-re incontro ad una “islamità” non reli-giosa, così come l’Occidente ha accet-tato una “cristianità” non religiosa?

Francesco D’[email protected]

� ROBERTO CARAMAGNA, La vergognadi Dio. Storie di fede e di dubbio, ISBN978-88-517-2340-8, L’autore Libri Fi-renze (Collana “Biblioteca” 80), 2011,pagine 128, € 11,20.

È un testo anticlericale e antireligiosocon spunti autobiografici relativi alledolorose esperienze adolescenziali del-l’autore in seminario. La ribellione po-lemica alle religioni nasce innanzituttodalla loro pervicacia oppressiva che ten-de ad annullare la facoltà di pensare,cioè la Ragione, in nome di verità rive-late e indiscutibili. Qualsiasi religioneè il frutto di un fatto irrazionale, in quan-to la religione stessa si assume un com-pito superiore alla Ragione. La religio-ne è un paravento dell’ignoranza poi-ché pretende di rispondere a tutte ledomande e a tutte le questioni, dive-

nendo un oggettivo ostacolo allo svi-luppo del pensiero scientifico e filosofi-co. Per chi avesse osato cercare rispo-ste diverse erano previste pene spa-ventose tali da terrorizzare chiunque.Le religioni sono fucine di falsità e di-struzioni di quello che di positivo è ve-nuto creandosi nell’evoluzione dell’u-manità.

L’autore si colloca tra gli agnostici-razionalisti poiché ammette l’eventua-le esistenza di Dio: “Dio, se esiste, è innoi”. Nel testo si presentano ragiona-menti storico-filosofici per spiegare lasua scelta di non aderire ad alcuna re-ligione. La critica antibiblica è presen-te riferendosi in particolare alla sem-plicità e all’ignoranza dei fondatori del-l’ebraismo: favole di pastori e stallaggicui si nega un’origine storica. Le con-

traddizioni dei dogmi cattolici sono evi-denziate con vigore critico: ammessoche Dio sia un essere astrattamente in-finito e fuori dal mondo materiale, co-me può materializzarsi per risolvere lepiccole e grandi beghe dell’uomo?

Se Dio ci ha dato la Ragione, perché cichiederebbe di aderire, semplicemen-te per fede, alle sue religioni? Perchénon ci fornisce prove inequivocabili eriproducibili? Come può un essere me-tafisico convertirsi in un germe sper-matico e illuminare l’utero di una ver-gine, prendere un vestito di vera car-ne e diventare uomo? Perché con la na-scita si eredita una colpa, così, gratui-tamente? Il battesimo non è altro cheun trucco pacchiano per arruolare nuo-vi membri al servizio del clero. Nel te-sto si attaccano le “gnagne” clericali,

SU ALCUNE TEMATICHE DELLA NON-CREDENZA

In questa sezione abbiamo raccolto alcune recensioni di testi di autori che affrontano vari temi tipici del pensiero ateo-agnostico erazionalista: la critica alle religioni in quanto forme di pensiero irrazionale che fomentano la superstizione e l’ignoranza; la polemi-ca nei confronti della chiesa cattolica, colpevole di avere mercificato il messaggio cristiano originario per adattarlo ai suoi scopi dipotere; l’analisi critica dei testi sacri, dei quali viene messa in rilievo soprattutto l’infondatezza dal punto di vista storico, dunquela sostanziale falsità; la critica ai dogmi cattolici, in quanto assurdi e contraddittori; il richiamo a Darwin e al pensiero scientifico ingenerale, che ci mostrano una realtà ben diversa da quella immaginata dalle religioni …

Alcuni autori illustrano inoltre il percorso di vita da essi intrapreso verso la loro personale visione del mondo, atea o agnostica chesia. Uno dei testi inclusi (Paola Cioni, Un ateismo religioso: Il bolscevismo dalla Scuola di Capri allo stalinismo), infine, mette in guar-dia i non-credenti, sulla base di concreti esempi storici, da ogni forma di fanatismo, per evitare che la non-credenza si radicalizzi di-ventando essa stessa una religione.

Nel loro insieme i testi proposti possono costituire una buona introduzione per chi volesse avvicinarsi al pensiero ateo e agnosticoo approfondirne alcune delle principali tematiche.

[ER]

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SU ALCUNE TEMATICHE DELLA NON-CREDENZA

i sermoni assurdi e ripetitivi e le pre-ghiere inutili.

Da duemila anni i fideisti aspettano in-vano il Giudizio Universale e la resur-rezione della carne, ma aprano gli oc-chi una buona volta! Laddove si anni-dano fame e guerra, ignoranza e po-vertà, vive e vegeta più gagliarda chemai la classe sacerdotale e il suo clero.

Pierino [email protected]

�PAOLOCARUSO, Vivere senza dio, ISBN:978-88-317-0980-4, Marsilio Editore (Col-lana “Gli specchi”), 1a ed., Venezia 2011,pagine 96, € 12,00, brossura.

Per l’autore l’agnosticismo è un chiarosegno di onestà intellettuale. Entrambele ipotesi, favorevoli o contrarie all’esi-stenza di Dio, sono irragionevoli dal pun-to di vista conoscitivo, entrambe né ve-re né false, ma prive di significato. La so-luzione migliore sarebbe quindi “viveresenza dio” ma ciò è difficile poiché “chis-sà per quanto tempo ancora il genereumano dovrà fare i conti con i resti del-l’ingombrante pachiderma denominatodio”. Da un punto di vista storico-sociologico le religioni potrebberoanche avere avuto in passato unruolo positivo ma ciò non toglieche “dio è morto” checché nepensino i teologi di ogni orienta-mento. I fideisti confondono i lorodesideri spirituali con la crudarealtà della travagliatissima evolu-zione del nostro pianeta e della nostraspecie, in cui non si riscontra alcunaprovvidenza divina a nostro favore,ma solo catastrofi e carneficine diogni genere.

Il testo tratta con equilibrio il di-battito scientifico tra darwinisti eneodarwinisti, concludendo checomunque la nostra specie è sottopostaad un’infinità di condizionamenti gene-tici, ambientali, demografici, ecc. tali dainficiare tutte le teologie fondate sul li-bero arbitrio. Bisogna contrastare l’inva-denza teistica e denunciare l’intolleran-za dei preti, favorire quelle organizzazionilaiciste che si battono per uno Stato lai-co come l’UAAR: la nostra associazioneè segnalata esplicitamente nel libro.

Infine l’autore cita come esempio da imi-tare, l’autodefinizione di se stesso fattada Darwin in una sua lettera del 1879:

«Non sono mai stato un ateo, nel sensodi negare l’esistenza di Dio. Mi pare chegeneralmente (e tanto più quanto più in-vecchio) la miglior definizione del miopensiero sarebbe agnostico».

Pierino [email protected]

� CARMELO LA TORRE, Il Grande Nulladel Vaticano, ISBN 978-88-6752-101-2,Abel Books (www.abelbooks.net), Ci-vitavecchia 2014, pagine 323, Kindle,4,3 MB, € 4,99 (€ 0 per acquisto direttodall’editore).

Il saggio (distribuito dai maggiori cana-li distributivi) vuole essere un contribu-to ad atei, miscredenti, agnostici, sen-zadio, umanisti, liberi pensatori, areli-giosi, anticlericali, non credenti, scettici,razionalisti, brights, che desiderano ac-quisire altri elementi sul loro non-credo,in particolare sulla “ameba pulsante, ap-piccicata sulla pelle dell’uomo”, com’èdefinito il Vaticano nella Premessa e aconclusione del testo. È uno studio a ca-rattere divulgativo, con argomentazionipratiche, piacevole nella lettura perché

ricco di richiami ironici, ma rigoroso neiriferimenti ai passi biblici e ai fatti stori-ci e pseudo-storici, compatibilmente conl’accertata volatilità delle fonti vetero- eneo-testamentarie.

Il testo si può suddividere in quattroparti: (a) considerazioni sull’Antico Te-stamento; (b) considerazioni sul NuovoTestamento e sulla vita di Gesù; (c) na-scita, sviluppo e magagne del cristia-nesimo; (d) idee del libero pensiero. Nonrientra negli obiettivi di questo lavoroscoprire se Dio esiste o no, ma che non

esiste il Dio cristiano e che si può vive-re bene senza questo maresciallo par-torito dalla paura e dall’ignoranza del-l’uomo e poi reinventato ad hoc dallaChiesa di Roma. Una caratteristica delsaggio è che i brani della Bibbia sono ri-portati secondo l’ultima editio princeps2008 della CEI e, tra parentesi quadra,sono segnalati gli scostamenti dalla pre-cedente editio princeps 1971 della CEI,a dimostrazione di come sia stata con-tinuamente manipolata da parte del Va-ticano la poco divina parola di Dio.

[CLT]

� PAOLA CIONI, Un ateismo religioso: Ilbolscevismo dalla Scuola di Capri allostalinismo, ISBN 978-88-4306-401-4, Ca-rocci Editore (Collana “Studi Storici”178), Roma 2012, pagine160, € 17,00.

Nel 1909, grazie al ricco scrittore e me-cenate Maksim Gor’kji, si istituì nell’i-

sola di Capri unascuola di formazio-

ne per operai. Laproblematica dell’a-

teismo fu uno degli ar-gomenti di studio. In so-

stanza, all’inizio del secoloXX, si ipotizzavano tra gli atei

russi due interpretazioniantireligiose: (1) Le-nin proponeva che lalotta alla religionefosse “l’ABC di ogni

materialismo” sullabase di un ateismo radi-

cale; (2) alcuni organizzatori della scuo-la di Capri teorizzavano la trasforma-zione del socialismo in una religione lai-ca, completamente liberata dalla tra-scendenza.

Gli atei marxisti di quell’epoca si atten-devano una catastrofe sociale universa-le provocata dal capitalismo che avreb-be preceduto l’instaurazione del “para-diso socialista”. Un “uomo nuovo”, pret-tamente razionalistico, e che “non av-vertiva alcuna necessità di un comple-tamento religioso al suo ideale” avreb-be popolato questa nuova entità politi-ca. Le radici di questo materialismo siidentificavano in particolare nel pensie-ro di Feuerbach: si riteneva che nessunmaterialista avesse dato un colpo al-trettanto mortale alla religione come lui.

L’autrice mette in guardia dall’ateismofanatico: non bisogna fare dell’antireli-

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SU ALCUNE TEMATICHE DELLA NON-CREDENZA

giosità un culto, non si deve creare unareligione della propria antireligiosità. InURSS fu istituita una specie di Inquisi-zione per reprimere le “eresie filosofi-che” con metodi intolleranti che ricor-dano il Medioevo. Fu istituito un Indicedei libri religiosi vietati: nelle bibliote-che si dovevano conservare nella se-zione concernente la religione soltantolibri antireligiosi.

In conclusione, noi atei contemporaneiveniamo messi in guardia da questo li-bro sul pericolo di trasformare il nostroanti-fideismo in un movimento di carat-tere troppo dogmatico e simil-clericale.

Pierino Giovanni [email protected]

� LEO ZEN, Il falso Jahvè: Genesi e in-voluzione del monoteismo biblico, ISBN978-88-8410-112-9, Editrice Clinamen(Collana “Il Diforàno” 24), Firenze 2007,pagine 143, € 15,00.

Dopo il convincente L’invenzione del cri-stianesimo Leo Zen affronta il tema delmonoteismo biblico, precursore di unareligione, quella cristiana, che si di-chiara universale ed affratellante, main verità generatrice di pregiudizi ed in-tolleranza. Il primo e fondamentale ber-saglio del processo di demistificazioneè il patriarca Abramo, padre idealizza-to della nazione ebraica, leader politicoche seppe inculturare nel contestoisraelita una concezione del “Dio Tutto-Dio Uno”, sviluppatasi in Egitto, ma chepresso gli ebrei non avrebbe mantenu-to la sua assoluta spiritualità.

Abramo venne celebrato come “elet-to di Dio” all’epoca di Giosia, allor-ché prese corpo un mito israelitadelle origini che seppe fondere al-lo scarno patrimonio culturale diun popolo incolto ed abbrutito dasecoli di schiavitù i più svariatielementi della cultura, della mi-tologia e delle usanze sumeriche.Con Abramo, l’universale, astrat-to ed elitario dio egizio si mutònel personale, tribale ed uma-nizzato dio degli ebrei, perdendola sua originaria forza concettua-le. Sulla scia di questo dio arcaico, in-teressato più alle cose terrene che adimprobabili dimensioni metafisiche, ilcristianesimo modellò e pretese di im-porre una sua diversa divinità, del tut-to esclusiva, accompagnandola poi con

un variegato pantheon di comprimari,capaci di trasformare l’originario mo-noteismo in quel mascherato politei-smo, quale oggi sempre più consta-tiamo.

In questa sua fatica, Leo Zen proseguedunque felicemente la propria fruttuo-sa esplorazione delle sacre scritture,soffermandosi in particolare su alcunilibri del vecchio testamento, ed evi-denziando quale fu l’evoluzione realedel paradigma monoteista, opera degliscribi e dei loro committenti regali, piut-tosto che ispirata da un qualche dio. Ilrisultato è appagante e sembra pro-mettere ulteriori contributi.

Francesco D’[email protected]

� GAETANO PAGLIALONGA, La comme-dia delle Sante Menzogne, Collepasso2007 (edito in proprio), pagine 192, €10,00 (per richieste: [email protected]).

Bibbia e Storia della chiesa sono i temiaffrontati da Gaetano Paglialonga (au-todefinitosi “un materialista che non siè lasciato andare a fantasie”) nel suo op-porsi a quel “pensiero unico” politico-religioso che vuole clericalizzare la no-

stra società: un atto d’accusa della fal-sità radicale di parte del Vecchio Te-stamento (assolutamente priva di ri-scontri storici); della ricostruzione fan-tasiosa e tendenziosa della vita e delpensiero del Gesù reale; della mercifi-cazione del messaggio cristiano da par-te della chiesa quale potere politico at-tento più alla propria sopravvivenza cheal benessere dei suoi fedeli.

Le prime pagine del volume sono oc-cupate da una inusuale esposizione inversi di temi ripresi nel prosieguo.Quindi si passa ad una lunga esposi-zione, con sovrabbondanti citazioni,delle ragioni per non credere nellescritture. Una sottolineatura partico-lare è riservata alla cristologia, che piùche definire chi fosse realmente Gesùha moltiplicato le idee contrastanti sudi lui, dimenticando il senso autentico(e contestualizzato) del suo messag-gio, ed ingenerando divisioni e lutti nelmondo cristiano.

Paglialonga si dichiara rispettoso del-la religiosità autentica e dell’uomo Ge-sù, del quale cerca perfino di parlarebene; ma è piuttosto severo nei con-fronti di coloro che hanno costruito ilsuo mito e soprattutto della chiesa chevi basa il suo potere, accusata per il suooscurantismo e per le sue posizioni intema di schiavitù, donne, proletariato,omosessualità, scienza e quant’altro. Il

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SU ALCUNE TEMATICHE DELLA NON-CREDENZA

Agli inizi del 1998 è stato aperto aglistudiosi l’archivio della Congregazioneper la dottrina della fede, al quale inprecedenza pochi, con permessi limi-tati a documenti specifici, avevano po-tuto accedere. L’archivio contiene ladocumentazione delle due congrega-zioni del Sant’Uffizio dell’Inquisizionee dell’Indice dei libri proibiti, soprav-vissuta a vicende che ne hanno di-strutto una parte consistente.

Nell’agosto 1559 morì Paolo IV Cara-fa, che prima di assurgere al trono diPietro era stato il capo del Sant’Uffi-cio e da papa aveva continuato a diri-gerlo e a condizionarne le decisioni. Ilpopolo romano, esasperato dalla suadurezza e ferocia, esplose in un tu-multo liberatorio. Tra l’altro venneroassaliti il convento domenicano dellaMinerva e il carcere dell’Inquisizionedi Ripetta, dai quali furono liberati tut-ti i detenuti per eresia. La prigionevenne data alle fiamme e con essa bru-ciarono molti documenti, compresi gliatti dei processi.

Una seconda perdita si verificò nel1810, a seguito della decisione di Na-poleone di costituire a Parigi un centrodi cultura sopranazionale, trasferen-

dovi libri e manoscritti da bibliotechee archivi europei. Nel febbraio partiro-no dal Vaticano migliaia di ceste di do-cumenti, poste su carri malsicuri, de-stinati ad attraversare le Alpi. Duran-te il tragitto molte di esse finirono neitorrenti. Sparirono così processi, sen-tenze, decreti, corrispondenze dell’ar-chivio del Sant’Uffizio. Dopo la cadutadi Napoleone, monsignor Marino Ma-rini, inviato da Roma per recuperare lecarte, rinunciò a gran parte dei docu-menti del Sant’Uffizio, soprattutto ver-bali di processi. Molti volumi vennerovenduti a cartiere e a commercianti,che usarono i fogli per incartare le mer-ci. Solo una parte esigua fu recupera-ta e più tardi venduta alla Santa Sede.Una trentina di volumi di sentenze fu-rono acquistati dal Trinity College diDublino e altri dalle biblioteche diBruxelles e Parigi.

Altre perdite, meno cospicue, si verifi-carono durante la Repubblica Romanadi metà Ottocento. Alcune di questefurono positive. Per esempio furono digrande utilità i furti perpetrati dal con-te romagnolo Giacomo Manzoni, pa-triota, bibliofilo, collezionista di codiciantichi e studioso della vita religiosadel Cinquecento. Approfittando della

fuga di Pio IX, fece un’ispezione negliarchivi del Sant’Uffizio e si imposses-sò di documenti riguardanti i processiGalilei, Morone e Carnesecchi, del qua-le pubblicò un estratto.

Al netto di queste consistenti perdite,nell’archivio della Congregazione perla dottrina della fede, che il 7 dicem-bre 1965, giorno di chiusura del Con-cilio Vaticano II, subentrò al Sant’Uffi-zio dell’Inquisizione, sono conservati4500 volumi, dei quali solo pochi ri-guardano processi per eresia. La granparte sono dossier relativi alle grandicontroversie teologiche seguite allaRiforma protestante e al Concilio diTrento. Altri riguardano i movimentispirituali del Seicento e Settecento, ilconfronto con l’Illuminismo e le nuoveteorie filosofiche e scientifiche dell’800.Altri documenti si riferiscono alla vitainterna del dicastero romano e alle suerelazioni con le sedi periferiche del-l’Inquisizione. Infine è conservato l’in-tero archivio della Congregazione del-l’Indice dei libri proibiti.

Questo per quanto riguarda l’Archiviovaticano. A livello locale la soppres-sione dei monasteri durante il periodonapoleonico ha fatto sì che alcuni fon-

tocco personale dell’autore traspare nelritratto di alcuni personaggi: il Gesùreale (uomo “notevole”), Paolo (inven-tore del cristianesimo, ma anche “fal-sificatore dell’idea originaria”), Gio-vanni (che scrive l’Apocalisse sostan-zialmente per rabbia verso i Romani,palesando un incontenibile odio piut-tosto che amore evangelico).

Nelle pagine conclusive, le più sentite,Paglialonga giustamente sostiene checredere o non credere è per lo più in-dipendente dal grado di cultura, e chechi crede lo fa per ragioni sentimenta-li; ma perché allora preferire il Cristia-nesimo ad altre religioni, ad esempio ilBuddismo? Su questo punto, l’autorenon fornisce una risposta plausibile,

probabilmente per mancanza di chia-vi di lettura appropriate. Ma in fin deiconti, il suo scopo era proprio quello diraccontare un percorso personale di li-berazione, intento che sembra suffi-cientemente riuscito.

Francesco D’[email protected]

Tra le tante opere storiche, recensiamo qui un libro di Emanuele Amodio sulle “Costituzioni melfitane” di Federico II di Svevia, con-siderate un’importante tappa prerisorgimentale della laicizzazione dello Stato; e il saggio di Cesare Bianco sul “papa santo e as-sassino”, Pio V al secolo Antonio Michele Ghisleri, spietato inquisitore, particolarmente interessante anche per le informazioni sul-la documentazione archivistica relativa all’Inquisizione e la ricca bibliografia sugli studi in proposito. Cesare Bianco ci offre ancheun originale contributo sugli archivi dell’Inquisizione aperti agli studiosi nel 1998 dopo una serie di vicende storiche che ne hannoin parte compromesso l’integrità.

[MT]

Gli archivi dell’Inquisizione romanadi Cesare Bianco, [email protected]

PAGINE DI STORIA

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PAGINE DI STORIA

di inquisitoriali, conservati nei con-venti domenicani, fossero trasferiti inistituzioni pubbliche. I più cospicui so-no quelli conservati negli Archivi diStato di Modena e di Venezia. Unagrande mole di documenti inquisito-riali è tuttora conservata negli archividiocesani, ma solo alcuni di questi so-no accessibili agli studiosi.

Lo scarso numero di processi rimastinell’Archivio del Sant’Uffizio ha fattosì che la sua apertura non abbia riser-vato sorprese per gli studiosi. Perquanto riguarda il Cinquecento, giàdal 1981 al 1995 erano stati editi, a cu-ra di Massimo Firpo e Dario Marcatto,i documenti del processo contro il car-dinal Giovanni Morone, reperiti in ar-chivi privati e pubblici, mentre gli at-ti originali giacevano secretati nellestanze dell’archivio romano. Grazie adun permesso speciale del cardinal Rat-zinger, dal 1981 al 2005 prefetto dellaCongregazione per la dottrina della fe-de, gli stessi Firpo e Marcatto studia-rono gli atti del processo contro il pro-tonotario apostolico Pietro Carnesec-chi, editi poi nel 1998-2000. Dopo l’a-pertura dell’archivio, nel 2004 Firpo ePagano hanno curato l’edizione delprocesso contro il vescovo di Berga-mo, Vittore Soranzo. Ancora Firpo eMarcatto hanno pubblicato una nuovaedizione del processo Morone (2011-2014), sulla base dei documenti resiaccessibili dall’apertura dell’Archiviodella Congregazione per la dottrinadella fede.

L’edizione di questi tre processi e lenumerose opere di Firpo e altri studiosipermettono di avere una visione ap-profondita dell’operato dei primi deci-sivi decenni del Sant’Uffizio, istituitoda Paolo III Farnese il 21 luglio 1542. Isei cardinali, che componevano la con-gregazione, la prima e più potente del-le quindici che alla fine del Cinque-cento costituirono la struttura portan-te del governo papale, avevano il com-pito di estirpare l’eresia da tutta la cri-stianità. Di fatto agirono soprattuttonegli Stati italiani e in Francia, dal mo-mento che le inquisizioni spagnola eportoghese rimasero sotto il controllodei rispettivi sovrani. Primo capo del-la Congregazione fu il cardinal Giam-piero Carafa, che ne indirizzò subitol’operato contro i vescovi ritenuti vici-ni alle posizioni riformate, i predicato-ri che parlavano dal pulpito della giu-stificazione per fede, e i libri, stru-mento privilegiato della diffusione del-l’eresia.

Gli uomini presi di mira furono soprat-tutto i prelati, nobili e letterati che fe-cero parte del circolo napoletano diJuan de Valdés e, dopo la sua morte,di quello viterbese del cardinale in-glese Reginald Pole, nel quale si ven-ne elaborando una spiritualità, basatasu alcuni principi protestanti, in primoluogo la giustificazione per sola fede,senza per questo mettere in discus-sione la gerarchia ecclesiastica. Essicostituirono il nucleo degli “spiritua-li”, uomini di profonda cultura umani-stica, che propugnavano un radicalerinnovamento della chiesa e un accor-do teologico col mondo protestante.

Il gruppo opposto degli “intransigen-ti” ebbe in Carafa il suo massimo espo-nente; puntava a una restaurazioneteocratica della chiesa sotto il control-lo papale e a una lotta senza esclu-sione di colpi contro l’eresia, a partireda quella annidata ai vertici della chie-sa romana stessa. L’Inquisizione fu laloro arma vincente.

Un momento decisivo di questo scon-tro fu il concilio. A Trento non si potédiscutere dell’Inquisizione e dei suoicompiti. Al contrario fu il Sant’Uffizioa controllare da Roma il comporta-mento dei padri, a denunciare quellifavorevoli all’accordo con i protestan-ti, a processare successivamente al-cuni vescovi per le opinioni espressenella suprema assise della chiesa, pri-ma ancora della formulazione dei de-creti dogmatici.

Parimenti gli intransigenti controlla-rono i conclavi tenutisi tra il 1549 e il1566, riuscendo a far escludere gli spi-rituali che stavano per essere elettipapi (Pole e Morone), accusandoli dieresia, e poi a far eleggere gli inquisi-tori stessi (Carafa e Ghislieri). IlSant’Uffizio, quando non ebbe un pro-prio uomo sul trono papale, si mossespesso all’insaputa e contro le diretti-ve del pontefice, raccogliendo testi-monianze contro gli esponenti dellaparte avversa.

Figura emblematica di questo scon-tro al vertice fu il cardinal GiovanniMorone (1509-1580). Sotto il pontifi-cato di Paolo III Farnese e di Giulio IIIde’ Ciocchi del Monte fu eminente di-plomatico presso l’imperatore, legatopapale a Bologna, seconda città delloStato della Chiesa, rappresentantepontificio alla prima convocazione delConcilio, fallita per lo scontro tra Fran-cia e Spagna, uomo di punta di Carlo

V nel Sacro Collegio. Durante il papa-to di Paolo IV Carafa venne processa-to per eresia e incarcerato per due an-ni in Castel Sant’Angelo, assieme adaltri prelati («Il papa – scrisse la no-bildonna Giulia Gonzaga – attende aempiere le prigioni di cardinali e ve-scovi per conto dell’inquisitione»). As-solto e riabilitato da Pio IV de’ Medi-ci di Marignano fu delegato a presie-dere la fase finale del Concilio di Tren-to, che riuscì a concludere grazie allasua consumata perizia diplomatica.Sotto il pontificato di Pio V Ghislieri(1566-1572) venne nuovamente so-spettato di essere stato eretico e ri-schiò il carcere e un altro processo,che non si fece, forse grazie al ruolodecisivo avuto nella conclusione delConcilio.

Diventato papa Michele Ghislieri, cheaveva percorso tutta la sua carriera ec-clesiastica nelle file dell’Inquisizione,l’istituzione repressiva chiuse defini-tivamente la partita e nel lungo pro-cesso al nobile e prelato fiorentino Pie-tro Carnesecchi (1508-1567), conclusocon la condanna capitale, ricostruì latrama che aveva portato la “peste ere-ticale” ai vertici della chiesa. Neglistessi anni, alternando interventi du-ri ad altri che concedevano facilitazio-ni ai pentiti e delatori, vennero debel-late le comunità eterodosse formate-si in tutta la penisola, composte pre-valentemente da artigiani e mercanti,in stretto contatto con intellettuali eprofessionisti (notai, medici, speziali).Molti di coloro che rischiavano di più(la pena per i recidivi era la morte)scelsero l’esilio in terra protestante,come fin dagli anni quaranta avevanofatto religiosi, predicatori, letterati.

Pio V irrigidì anche il controllo sulla cir-colazione libraria. Già nel 1549, ad ope-ra del nunzio Giovanni Della Casa, erastato compilato un Indice dei libri proi-biti a Venezia, dove erano attive nu-merose tipografie e che costituiva unodei più vasti mercati librari d’Europa.Dieci anni dopo Paolo IV fece promul-gare il primo Indice per tutta la cristia-nità, nel quale venivano proibite, oltrealle opere dei protestanti, tutte le tra-duzioni in volgare della Bibbia, l’operaomnia di Erasmo, Machiavelli, Rabelaise diversi altri. Inoltre erano vietati il DeMonarchia di Dante, Il Decameron diBoccaccio, varie epistole e sonetti diPetrarca. Il Concilio tridentino attenuòin parte questi divieti, ma Pio V volleripristinarli, istituendo la Congrega-zione dell’Indice dei libri proibiti.

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PAGINE DI STORIA

Gigliola Fragnito ha significativamen-te intitolato due libri sulla censura ec-clesiastica: La Bibbia al rogo e Proibi-to capire. Pio V affermava che leggerela Scrittura procurava danni alla reli-gione cattolica, che la stampa era lacausa di tutte le eresie e che, se aves-se potuto, l’avrebbe abolita del tutto.Lo scopo delle proibizioni era il mono-polio della verità, che si doveva ac-cettare con la semplice obbe-dienza, e la difesa dalle ideeche caratterizzavano ilmondo moderno. Lapermanenza di que-sti intenti è dimo-strata da quello chescrisse tre secoli dopoGioacchino Belli: «Cquinun z’ha da capì mmass’ha da crede» e «Li librinun so rrobba da cristiani.Fijji, pe carità nun li leggete».

L’Inquisizione che ebbe la supre-mazia su ogni altra autorità ecclesia-stica e che, come scrisse Adriano Pro-speri nella sua monumentale operaTribunali della coscienza. Inquisitori,confessori, missionari, «fu l’unica for-ma di potere centralizzato che fun-zionò in Italia durante tutta l’epocamoderna», dopo la sconfitta dell’ere-sia ampliò il proprio campo d’azioneal controllo di varie forme di creden-ze e comportamenti, trasformandosi«da tribunale dell’eresia in tribunaledella moralità collettiva». Ci furono fa-mosi processi per eresia, come quellicontro Bruno, Campanella, Galilei, masi trattò di singole personalità e nondi movimenti vasti, come quelli degli“spirituali” e delle comunità eretica-li degli anni ’40-’60 del Cinquecento.

Nell’archivio vaticano sono consulta-bili i documenti fino al 1903. Rimango-no esclusi i processi contro gli aderen-ti al modernismo e, dopo il Concilio Va-ticano II e la trasformazione delSant’Uffizio in Congregazione per ladottrina della fede, la teologia della li-berazione, teologi come Küng, vesco-vi e sacerdoti dissidenti su questionimorali, esponenti delle comunità di ba-se. Non c’è dato sapere quando questidocumenti saranno disponibili per co-loro che volessero studiare l’inquisi-zione contemporanea.

——————————-

Cesare Bianco, laureato in Lettere, ha pub-blicato saggi sul movimento ereticale mo-denese del Cinquecento sulla “Rivista Sto-

rica Italiana” e sul “Bollettino della Societàdi Studi valdesi”. Ha curato l’edizione criti-ca de: Il Sommario della Santa Scrittura el’ordinario dei cristiani, Claudiana, Torino1988. Nel 2014 ha pubblicato Il papa santoe assassino, una raccolta di racconti storicisu eresia e inquisizione.

� CESARE BIANCO, Il papa santo e as-sassino, ISBN 978-88-99067-07-6, Edi-zioni Leucotea, Sanremo 2014, pagine230, € 14,90.

Cesare Bianco si è laureato in letterea Torino con una tesi sul movimentoereticale modenese del ‘500 ed ha poiproseguito le ricerche soprattutto at-traverso l’esame di numerosi processidell’inquisizione. In questo libro, traen-do spunto da alcuni processi inquisi-toriali, ha riunito quattro racconti sto-rici ambientati nel clima della spieta-

ta repressione messa in opera dallacontroriforma cattolica, soprattutto ne-gli anni ’50 e ’60 del Cinquecento e conl’ascesa al papato, nel 1566, con il no-me di Pio V (il “papa santo e assassi-no”), di Antonio Michele Ghislieri, giàfrate domenicano, capo del Sant’Uffi-zio, spietato inquisitore e persecutoredegli eretici. I racconti contengono nu-

merose informazioni storichee sono corredati da citazio-

ni e note illustrative mol-to utili, che fanno rinvioalla copiosa documenta-

zione archivistica consul-tata dall’autore, completa

dell’indicazione dei luoghiove viene conservata, non-ché agli studi fondamentaliin materia, soprattutto adopera di Massimo Firpo.Non manca, inoltre, una bi-bliografia sull’eresia e l’In-quisizione nell’Italia del ‘500.

Cesare Bianco espone le vi-cende dei protagonisti ed irapporti che li legano – facen-do percepire il clima di sospet-to e di paura in cui gli eretici

perseguitati erano costrettia vivere – nel rispetto della

verità storica, basandosisui documenti proces-suali pervenuti fino aigiorni nostri, che inte-gra con invenzioni ve-rosimili là dove i do-cumenti sono caren-ti. Riviviamo così ildolore di chi era co-stretto ad abbando-nare i propri cari per

fuggire in un luogo piùsicuro, di chi veniva abbandonato alsuo destino dai propri cari che teme-vano per la propria vita, di chi vedevagli altri “fratelli” (così si chiamavanofra loro gli eretici della comunità mo-denese) allontanarsi per strada senzasalutare, né parlare, per timore dellespie dell’Inquisizione (essendo ormaicostretti ad incontrarsi clandestina-mente nel timore continuo di esserescoperti), di chi in prigione viveva nelterrore sapendo che sarebbe stato ri-chiamato nella stanza della tortura fi-no a quando non avesse confessato,tra sofferenze atroci, ciò che gli inqui-sitori volevano sentirsi dire.

Ma siamo partecipi anche dell’affettoe della solidarietà che univano, nono-stante tutto, i membri delle comunitàdi eretici, dell’orgoglio di chi mante-

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PAGINE DI STORIA

neva intatta la libertà di pensiero an-che quando era privato della libertàpersonale stando alla mercé degli in-quisitori, del coraggio di coloro che ma-nifestavano le proprie opinioni espo-nendosi pubblicamente, contro l’orto-dossia cattolica dominante, per divul-gare le tesi teologiche della Riformaprotestante (innanzitutto, la teoria del-la giustificazione per fede), come queiseguaci di Erasmo, Lutero e Calvinoche a Modena avevano costituito ilGruppo Accademia, accusati, cometanti altri, di avere “false opinioni con-tro la santa fede cattolica … eretiche,erronee, temerarie e scandalose”. Co-loro che sostenevano tali opinioni (frai quali vi erano anche alti prelati) furo-no, infatti, il principale obiettivo dellasistematica repressione che vennemessa in atto dall’Inquisizione con lu-cida volontà omicida (emblematica fu,al riguardo, la strage dei Valdesi in Ca-labria nel 1561).

Il fanatismo religioso e le conseguenticondotte criminali dell’Inquisizionecattolica costituiscono, perciò, il filoconduttore dei quattro racconti stori-ci, a partire dalla vicenda drammaticadi Monsignor Pietro Carnesecchi, nobi-le prelato di Firenze, che, dopo esserestato processato per eresia sotto i pa-pi Paolo III Farnese e Paolo IV Carafa,venne poi imprigionato, decapitato ebruciato sotto Pio V Ghislieri, il qualesperava soprattutto che Carnesecchidenunciasse il cardinale Giovanni Mo-rone (vescovo di Modena, il più auto-revole degli “spirituali” rimasto in vi-ta), oltre ad utilizzarlo come testimoneper la ricostruzione della trama della“peste” ereticale (con personaggi dispicco quali il nobile castigliano Juande Valdés, il cardinale inglese ReginaldPole, le nobildonne Vittoria Colonna eGiulia Gonzaga, il predicatore Bernar-dino Ochino).

Con gli altri racconti conosciamo le sto-rie, ricche di profonda umanità, di unmaestro di italiano e latino, GiovanniMaria Tagliati, detto Maranello (mem-bro della nutrita comunità degli ereti-ci modenesi, di cui facevano parte nonsolo letterati e nobili, ma anche arti-giani, commercianti e artisti), di un fra-te agostiniano, Pietro Antonio da Cer-via (rafforzò la sua simpatia per il pro-testantesimo dopo avere scoperto, aRoma, i lussi e la corruzione del clerocattolico) e di una donna del popolo,Chiara, la “strega” di Campogalliano(umile serva accusata di aver provo-cato la malattia di una delle sue pa-

drone e costretta, sotto tortura, a con-fessare di averle fatto un maleficio conl’aiuto del “demonio”).

Tra i meriti dell’autore varicordata, infine, anchela capacità di av-vincere il lettorecoinvolgendolo inun clima di su-spense tinto avolte di giallo,pur trattando divicende tragichee di drammi umaniveri. Il papa santo e assassinoè un libro che, fin dal titolo, par-la forte e chiaro a chi vuoleascoltare e informarsi. A mioparere, è anche una sfida al-l’ipocrisia dominante, per ri-cordare a tutti un dato di fat-to inconfutabile, del quale sivuole fare perdere la memo-ria (nel dibattito pubblico, l’amnesiatende a colpire soprattutto gli “esper-ti” in materia di violazioni dei dirittiumani e di crimini contro l’umanità): lachiesa cattolica rientra a pieno titolofra le organizzazioni dotate di un “cur-riculum vitae” degno di vere e proprieassociazioni per delinquere di stamporeligioso.

Giuseppe [email protected]

� EMANUELE AMODIO, Stupor mundi(Federico II di Svevia e le radici delloStato moderno), Sicilia Punto L Edito-re, Ragusa 2012, pagine 45, € 4,00.

Breve saggio inerente anche alla lai-cità dello Stato poiché Federico II diSvevia «fece rinascere l’idea di un im-pero politicamente unitario, di cui rin-novò il modello, proprio pretendendouna separazione dei due poteri» laicoed ecclesiastico. Nelle sue “Costitu-zioni melfitane” cerca di anticiparemolte conquiste laiche dell’epoca ri-sorgimentale: (1) la giustizia spetta ai

magistrati dello Stato e non a quellidiocesani per i reati commessi da reli-giosi: (2) gli ecclesiastici non possonoacquistare terre e se le ereditano de-vono venderle; (3) gli eretici non pos-sono essere giudicati dai tribunali ec-clesiastici ma sono sotto la giurisdi-zione civile; (4) tutti i sudditi devonopagare i tributi regi, secondo le loro

possibilità e i loro possessi(nessuna esenzione per ipreti).

Separare il governoumano dal governo di-vino fu il suo più chia-ro tentativo, che loportò inevitabilmen-te allo scontro mor-tale con il papato.Cercò di svolgereun’azione decisacontro l’enorme ric-chezza del clero im-pedendo loro di car-

pire le eredità dei de-funti.

Federico II cercò in un cer-to senso di “sacralizzare ilpotere laico” limitando ilpotere clericale per cui in-corse in una doppia sco-munica: una per le sue ri-vendicazioni laiciste in“contrapposizione tra l’im-

pero federiciano e la chiesa”e una per aver ottenuto il dominio suGerusalemme tramite un accordo pa-cifico con i saraceni infedeli. Tali sco-muniche furono rimandate al mittentecon amare e polemiche parole antipa-pali. Il Machiavelli, grande teorico estorico del rinnovamento politico delsecolo XVI, cita Federico II “soprat-tutto per la sua lotta contro il papato”.

Infine, un altro elemento di attualità diquesto personaggio storico è anche ilmulticulturalismo del suo Stato in cuicercava di far convivere pacificamen-te cristiani, ebrei e islamici.

Pierino Giovanni [email protected]

I disegni che illustrano questo supplemento libri sono di Danilo Mainardi, etologo,ecologo e divulgatore scientifico – e presidente onorario dell’UAAR. Sono tratti dalsuo libro Nella mente degli animali (Cairo Editore, 2006), una godibilissima raccoltadi brevi saggi attraverso i quali, ragionando sul comportamento di cani, gatti, topi,pappagalli, scimpanzé, ci si interroga sulla “intelligenza” animale. Per sfatare un luo-go comune: pensare non è una capacità esclusivamente umana.

[MT]

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CONTRIBUTI

«Proteggimi dal saperequello che ho bisogno di sapere. /

Proteggimi dal sapere che bisognerebbesapere cose che non so. /

Proteggimi dal sapere che ho deciso di nonsapere le cose che ho deciso di non sapere. /

E infine, proteggimi dalle conseguenzedella succitata preghiera. /

Amen».

Douglas Adams [1], nella sua celeber-rima opera, dedica questa speciale pre-ghiera al mellifluo protagonista Arthur,il quale si rifiuta categoricamente diconvivere con la nozione, incontrover-tibile nel suo caso, di non essere il cen-tro del proprio universo.

Per un uomo pigro, semplice e tutt’al-tro che coraggioso come egli stesso sidefiniva, la relazione tra la propria sta-tura e l’incommensurabilità dell’uni-verso che aveva casualmente cono-sciuto era troppo sbilanciata per con-sentirgli di condurre l’esistenza pacifi-ca e fatta di piccole cose che aveva sem-pre sognato.

Il desiderio di ignoranza di Arthur è per-fettamente comprensibile, dal momen-to che tutti gli uomini nascono e spes-so crescono con la convinzione di esse-re il centro assoluto del proprio univer-so. Fateci caso. Ciascuno considera lapropria esperienza come la più veritie-ra in assoluto. Ciascuno vede l’amore,o il dolore, o l’origine delle proprie con-vinzioni attraverso sfaccettature che glialtri nemmeno possono sognarsi. Cia-scuno si innervosisce quando trovatroppa gente sdraiata sulla propriaspiaggia preferita.

Tutte le mie decisioni, persino gli erro-ri e le sfortune che mi sono capitate,hanno contribuito a rendermiquello chesono e dal momento che sono vivo, sa-zio, in grado di affrontare la vita e il mon-do e soprattutto dal momento che mipiaccio moltissimo, allora è lecito pen-sare che ci vedo sempre giusto. Corro-borata da cotanto intuito, l’ipotesi cheil mio Sole giri intorno al mio pianeta oche il mio creatore, l’unico plausibile,sia sempre nei paraggi ad ascoltare lemie preghiere e a formulare ineffabiliprogetti costruiti in relazione alla miavita, si trasforma velocemente in qual-

cosa che va ben oltre la semplice ipo-tesi. Anzi, questa cosmologia circon-centrica sembra persino la più logica edesteticamente appagante.

In alternativa, mi toccherebbe ammet-tere che quando mi lamento della folla,mi sto lamentando di qualcosa del qua-le sono io stesso un insignificante ele-mento, o che il mio sole, a guardarlo me-glio, sia in effetti una nana gialla di mer-da di una galassia che non è nemmenosto granché. È solo questione di tempoe prima o poi dovrò convivere con l’ideache il mio creatore è lungi dall’essere ilpiù plausibile tra le migliaia di ipotesi edi alternative che costellano la fantasiae la storia dell’umanità.

Decisamente, chiedere ad Arthur di ab-bracciare una simile visione del mon-do sarebbe chiedere troppo, ecco per-ché gli viene suggerito di appuntarsi iversi di cui sopra. Quella di Arthur èuna delle due sole preghiere esaudibi-li che io conosca; chiunque preghi confede, a prescindere dall’oggetto dellapropria richiesta, sta infatti chiedendoesattamente questo: di rimanere all’o-scuro di tutte quelle nozioni che lo co-stringerebbero ad alzarsi dalla propriapoltrona esistenziale preferita. Dettoquesto.

La controversa ipotesi che tenterò dicorroborare in questa sede è che la fe-de religiosa costituisca, al pari dell’a-teismo, dell’agnosticismo e del razio-nalismo, una risposta derivante da unapproccio logico alle domande sulla vi-ta, sull’universo e su tutto il resto, mache purtroppo tale analisi deduttiva siaportata avanti con mezzi scarsi e ina-deguati. Dunque religione non comefrutto dell’irrazionalità, ma di malara-zionalità. Allo stesso tempo cercherò dimostrare come anche l’ateismo è, peralcuni versi, la risultante di un approc-cio non privo di spinte poco razionali ein parte egocentriche.

Lo scopo di tutto questo è tentare dimappare almeno un pezzetto di terre-no dove ragione e fede possano dialo-gare e dove nessuno possa denigrare ipropri simili bollandoli come irraziona-li, perché una persona irrazionale è unapersona irrecuperabile e “irrecuperabi-

le” è proprio una brutta parola. Adessomi tocca parlarvi un po’ di me.

Nell’estate del 1998 avevo 19 anni. Par-tecipavo alle riunioni del cammino neo-catecumenale. Le mie copie di “Wal-den” e de “La disobbedienza civile”erano ancora sigillate. A quei tempi la-voravo come guida subacquea alle iso-le Tremiti. Al centro di immersioni tra-scinavo bombole d’acciaio per 12 ore algiorno, 7 giorni su 7 e sotto il sole pu-gliese, che a quella latitudine tutto sem-bra tranne che una nana gialla di peri-feria; mi immergevo sott’acqua tal-mente spesso da non saper distingue-re più le cose bagnate da quelle asciut-te e ingoiavo ogni benedetto pasto conl’orecchio teso verso il compressore ele gambe pronte ad alzarsi per scatta-re in caso di problemi alla ricarica. Unlavoro estenuante. Eppure, dal mo-mento che affrontavo il mio lavoro conpassione, la fatica non mi pesava.

Un giorno però, il proprietario del di-ving, a cena, mi ha fatto sapere che nonero portato per fare la guida subacquea.Il motivo della mia inadeguatezza erache il sottoscritto fosse, be’, pigro. Nonmi ha invitato a fare le valigie, perchéla manovalanza era necessaria e io ave-vo muscoli e cuore da vendere, a di-ciannove anni, però sentirmi rivolgerele parole “Sei” e “pigro”, mentre anco-ra ero sudato, in affanno e stracarico diazoto, ha attivato tutta una serie di rea-zioni chimiche, nel mio corpo allora sta-tuario. Serie di reazioni chimiche che

L’ateismo irrazionaledi Marco Iacobucci, [email protected]

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CONTRIBUTI

riassumerò così: “lo shock peggiore del-la mia vita”.

Ho impiegato i successivi 12 mesi percapire che il tizio del diving aveva ra-gione da vendere. Nel frattempo ho po-tuto iniziare e finire di leggere la bi-bliografia di Thoureau, iniziare e finireil servizio militare, tornare alle riunionidel cammino e quindi abbandonarle de-finitivamente. Avevo avuto modo di ri-flettere e sperimentare cosa fosse la pi-grizia e cosa fosse il suo contrario. Finoad allora, per quanto stakanovista fos-se stato il mio approccio alla vita e al la-voro, mi ero sempre accontentato di sa-per discernere tra le poche nozioni pro-pedeutiche alle mie mansioni e a tirareavanti.

Non sapevo disegnare i percorsi delleimmersioni, per dire. Non sapevo faremanutenzione alle rubinetterie dellebombole. Non conoscevo le numerosedifferenze che intercorrono tra i serpu-lidi e i sabellidi. Ma soprattutto, di tut-te queste nozioni me ne sbattevo alta-mente; fin quando riuscivo a bypassa-re tali lacune in modo che non ostaco-lassero la mia routine prestabilita e pos-sibilmente immutabile, non avevo pro-prio motivo di alzare quel dito in più.Recitavo la preghiera di Arthur appli-cata alla subacquea. Né più né meno.

Si, vabbe’, ma questo che c’entra con lafede e la ragione, mi chiederete voi. In-nanzitutto vi ringrazierei per la do-manda e poi vi risponderei così: “cre-dere, dicevamo, è un processo di dedu-zione logica portato avanti con mezziscarsi e inadeguati”.

Con la mia storiella autobiografica vo-levo chiarire che con la parola “Mezzi”non intendevo le capacità intellettualio cognitive, che amiamo tirare in balloper definire il credente di turno che,mettiamo, ha appena sostenuto di avervisto una luce divina nel cielo di Medju-gorje. Non si fa; il me stesso dicianno-venne, l’Arthur autostoppista galatticoe il turista religioso hanno un altro pro-blema in comune: Sono tutti pigri.

Un concetto pieno di “i”, la pigrizia,sui quali apporrò man mano i dovutipuntini.

Noi atei non saremo perfetti, ma mi pia-ce pensare che tra i difetti che non ab-biamo ci sia soprattutto la pigrizia; noiaberriamo la preghiera di Arthur più diogni altra cosa. La nostra visione ego-centrica del mondo è il nemico più dif-

ficile da abbattere che conosciamo, ep-pure ogni giorno ci sforziamo di esserepiù relativi possibile e di mettere in dub-bio qualsiasi nozione crediamo di ave-re acquisito, anche se ciò richiede unosforzo terribile e se non sempre riu-sciamo nell’intento.

Ad esempio, dobbiamo ammettere cheanche l’ateismo sia in fondo una sceltaaprioristica e non del tutto razionale.Abbiamo deciso di credere che Dio nonesista. Spesso ci sentiamo dire che l’a-teismo è una particolare forma di fede,perché in fondo rappresenta la condi-zione logica “Not” della fede. Esatto.

Noi atei abbiamo deciso di escludere lapossibilità che Dio esista e di liberarciper sempre di tale questione, al fine dirivendicare ad ogni costo il nostro di-ritto all’autodeterminazione. Vogliamoessere liberi di esercitare, seppure en-tro i limiti dell‘etica umanista, la nostravolontà e solo quella. Per chi invece ri-nuncia a un simile slancio, che a mio av-viso è una delle poche cose belle che lavita adulta ci offre, cosa c’è di meglio diun Dio buono e onnipotente che si pren-de cura di noi e che ci offre un pacchet-to di logica da primo prezzo, buona perqualsiasi benedetta cosa non siamo ingrado di capire al volo?

Preconfezionata ed etichettata: “Dise-gno imperscrutabile. Made in Haeven“.C’è persino lo slogan: “Sia fatta la suavolontà”. Il pigro non chiede di meglioche di rimettersi alla volontà altrui, co-sì può accomodarsi sulla solita poltronae da lì ringraziare Dio per l’ottima birrae per gli eccellenti tappezzieri che hacreato.

Platone classificava l’ateismo in tre for-me: Negazione dell’esistenza della di-vinità. Negazione della provvidenza del-la divinità nei confronti degli uomini.Negazione della possibilità di modifi-care il comportamento della divinità tra-mite offerte o preghiere [2].

A me sta bene una qualsiasi delle tre;sapere chi o cosa abbia creato l’Univer-so sarebbe sfizioso, ma non è quello ilmio cruccio. Il mio cruccio sta nel fattoche se dovessi ricevere la prova che Dionon si limita ad esistere, ma intervienenelle mie cose in base al suo umore o se-guendo la sua visione estetica delle co-se, o per intercessione di qualche miosimile, mi toccherebbe affrontare il se-condo più grande shock della mia vita.Scoprire di avere un padre celeste mifarebbe rimanere di stucco più di quan-

to non ci sia rimasto Luke Skywalker.Una vita eterodiretta equivale a unapartita truccata e qualunque giocatoredotato di spirito agonistico, scoprendoun tale misfatto, maledirebbe se stes-so per aver corso inutilmente tutto queltempo invece di, mettiamo, stendereuna tovaglia in area di rigore, accomo-darsi e mangiare un sandwich al pro-sciutto guardando gli altri che fanno fin-ta di giocare.

Noi atei abbiamo deciso di credere chela nostra partita non sia truccata, di cre-dere che solo il nostro impegno possainfluenzare il risultato e nient’altro. Èper accontentare questo profondo bi-sogno di libertà se arriviamo ad essereirrazionalmente atei: quando dichiaria-mo che Dio non esiste, in fondo, stiamofacendo quello che fanno tutti i creden-ti: riteniamo vero ciò che desideriamoprofondamente essere vero.

Se Dio venisse scientificamente dimo-strato e la preghiera si rivelasse scien-tificamente efficace, io mi sbattezzereicomunque e ne accetterei le conse-guenze senza remore. Be’, per fortunapare che tale rischio sia remoto.

Non essendo pigri e accettando la no-stra natura fallace e decentrata rispet-to ai fatti del mondo, noi atei siamo in-fatti andati a leggerci Nietzsche, Rus-sell, Epicuro e tanta altra gente che con-divideva la nostra stessa speranza e cheha scritto un sacco di cose interessan-tissime sull’argomento. Qualcuno si èpersino dedicato allo studio della logi-ca modale e ci ha spiegato, in parolesemplici ma efficaci, che tra l’accetta-zione aprioristica di una ipotesi moltoimprobabile e l’adesione critica a unaipotesi difficilmente confutabile c’è unabisso di proporzioni inaudite.

Credere e non credere non si dividonomica l’universo delle possibilità al cin-quanta per cento. Dal punto di vista lo-gico e stando ai fatti osservabili, anzi,l’ipotesi Dio Cristiano è risibile.

Semplicemente, per onestà intellet-tuale, non la si può escludere del tut-to; diciamo che azzeccarla equivar-rebbe a lanciare una biglia da unBoeing 737 in volo random e colpireproprio il sandwich al prosciutto cheun calciatore stava per addentare, insegno di protesta per i fatti di calcio-poli, comodamente seduto su di unatovaglia stesa nell’area di rigore. Nem-meno questa ipotesi si può escluderedel tutto, ma voi ci puntereste tutti i

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CONTRIBUTI

soldi che avete sul conto? Se sei cat-tolico, lo prendo come un sì. Se sei ateo,immagino che tu tenda a simpatizzareper chi protesta mangiando.

Cosa succede invece a chi non credeche un tale evento possa accadere?Personalmente, posso riportarvi cheda quando ho rifiutato l’ipotesi Dio, hocontinuato a condurre lo stesso unavita piena di significato e a provareamore e compassione verso il prossi-mo. Ho conservato tutti quei filtri eti-ci senza i quali chiunque,per dire, indosserebbe a tra-colla un mitragliatore o con-serverebbe una capsula dicianuro nel portafogli perogni evenienza. Altrettantostupefacente è stato sco-prire l’esistenza di tantissi-mi uomini e donne i quali,pur non credendo in puni-zioni e ricompense divine, sifanno carico delle caratteri-stiche eusociali della specieumana e dedicano una ge-nerosa parte della sola vitache hanno al proprio prossi-mo, anche in modi per nien-te attraenti [3].

Adesso arriva la domanda più diffici-le: Perché? Perché non dovremmo es-sere pigri? Perché non dovremmo com-portarci come gli economisti ci sugge-riscono di fare e quindi limitarci a cam-pare facendo il minimo sforzo possibi-le? Perché non dovremmo accettare diessere eterodiretti, se tanto il piatto dirisposte quotidiano al tavolo delle do-mande esistenziali non ci manchereb-be comunque, in qualunque punto delpianeta la biglia finirà con l’imprimerela sua energia cinetica?

In primo luogo perché la persona nonpigra preferisce ottenere le risposteche cerca attraverso un metodo certi-ficato e garantito: il metodo scientifi-co. Magari le risposte non saranno co-sì lucide, perfette e a lunga conserva-zione come quelle made in haeven, maalmeno sai cosa mangi. In secondo luo-go perché saper considerare le diver-se opzioni in maniera razionale con-viene. Conviene tantissimo.

Limitarsi ad avere fede, ovvero appli-care una logica fallace alle cose al so-lo scopo di farle aderire alle propriesperanze esistenziali ci pone innanzi aun grosso problema sociale, perchéapre la strada a tutta una serie di ri-nunce intellettuali a favore di una in-

finita mole di ipotesi poco razionali edel tutto indimostrabili, dunque inne-gabili. I cristiani razionalisti sono più omeno in fissa con un concetto di que-sto tipo: la non esistenza di Dio nonpuò essere provata.

Tale affermazione è innegabile, cosìcome è innegabile diritto di ciascunoscommettere il senso della propria esi-stenza su ciò che si ritiene vero. Di cer-to non sono qui a negarvi la possibilitàdi lanciare la vostra biglia dal vostro

aeroplano; al massimo vi sto invitandoa prendere, per quanto possibile, la mi-ra. E di affidarvi, nel farlo, ai migliorimezzi a vostra disposizione.

Noi atei saremo irrazionali come il re-sto dell’umanità, ma siamo ancheumanisti, ovvero siamo convinti so-stenitori del valore della tolleranza ein nessun modo la nostra analisi vorràaffermare che una certa interpreta-zione della realtà sia sicuramente giu-sta e un’altra sicuramente falsa. Pur-troppo però questo ci porta a rispet-tare non solo la posizione di chi credenel Dio cristiano, ma anche quella dichi crede nell’oroscopo, in Allah, nel-la cristalloterapia, nelle scie chimiche,nell’omeopatia, nel legame tra vacci-ni e autismo, nel metodo stamina, nel-la cartomanzia, in Geova, nella DeaAtena, nel rapimento alieno di Elvis,nei benefici derivanti dall’abbraccia-re gli alberi, nel Dio pastafariano e intutte le altre ipotesi strampalate chealbergano nella testa di un sacco deinostri fratelli.

Ecco quanto ci costa rinunciare pigra-mente alla nostra capacità di indaga-re, di ragionare con impegno e di rifiu-tare l’indimostrabile a priori, per amorproprio.

Denaro sonante, ci costa. Mancanza diprogresso. Spreco di risorse. Articolidel CICAP e articoli di lalucedimaria.it ci costa. La religione, per sus-sistere, ha bisogno che gli uomini sia-no scarsi in logica, che abbiano pauradi non sentirsi al centro del proprio uni-verso e che siano abbastanza pigri dacedere volentieri parte della propria re-sponsabilità a un ente esterno.

Autodeterminarsi, al contrario, è unafaticaccia. Bisogna prendere atto che

il mondo è complesso enon sempre è alla nostraportata; che la conoscen-za non è uno stato, ma unpercorso che ha attraver-sato e attraverserà le ge-nerazioni; che in tuttoquesto mosaico dell’uni-verso noi siamo cosa? For-se il più figo dei tasselli;forse il tassello più ipe-rattivo dell’intero mosai-co; forse l’unico tasselloin grado di leggere Plato-ne, di imparare dal pas-sato, di discutere di logi-ca modale e di possederela recondita ma terribilecapacità di non conside-

rarsi necessariamente il motivo fon-dante di tutto il mosaico, ma pur sem-pre un tassello.

Concludo ringraziandovi per l’atten-zione e rivolgendovi un invito. Quandoincontrate una sentinella in piedi, unodei tanti preti in buona fede o un ra-gazzo che ancora non distingue tra unverme marino e l’altro, invece di darglidell’idiota, fategli sapere a chiare let-tere qual è il suo problema. Ditegli“Sei” e ditegli “pigro”. In quest’ordi-ne e con l’espressione più seria di cuisiete capaci. Dopo 18 anni magari scri-verà un intero articolo per dirvi grazie.

Note

[1] Douglas Adams, Praticamente innocuo,dalla saga “Guida galattica per gli auto-stoppisti”, Best sellers Mondadori, 2013,pag. 549.[2] Platone, Le leggi, libro X.[3] Liberamente ispirato a Questa è l’acqua,discorso di David Foster Wallace, tenutosial Kenyon College il 21 maggio 2005.

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Marco Iacobucci, laureato in comunicazio-ne e sociologia, coltiva da sempre l’hobbydella scrittura creativa e della vita erra-bonda.

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36 n. 6/2015 (103)

CONTRIBUTI

Alfieri del razionalismo e vigorosi so-stenitori dell’autodeterminazione. Èquanto siamo, nel nostro impegno quo-tidiano. Ma è anche quanto, ogni tan-to, ci spinge a pensare che una letturalaico-razionalista del mondo possa tro-vare una soluzione a tutto. Non è così,come già sperimentarono i positivisti. Enon è solo il fatto che Homo sapiensnonè una bestia così facile da gestire. Il pro-blema è che anche i principi che ci orien-tano possono entrare in frizione. Ragio-ne e libertà, per esempio.

Sono sempre stato refrattario a vestir-mi ammodo. Quando lavoravo a con-tatto con i clienti, per esempio, pur dirinunciare alla cravatta “di rito” ricor-revo al papillon. Ancora oggi, la cra-vatta la indosso soltanto quando, perconto dell’Uaar (che dio maledical’Uaar), devo accedere ad ambienti isti-tuzionali dove è obbligatoria. Sono piùvolte andato in tv abbigliato in viola, ilcolore che gran parte del mondo dellospettacolo ritiene portare sfortuna.Giorgio Villella, che mi ha precedutonell’incarico di segretario, è andato inonda calzando sandali da frate. Com-prendo quindi bene quanto possa es-

sere insopprimibile l’esigenza di sen-tirsi se stessi in ogni situazione.

Qualche mese fa, nella lista riservataagli attivisti dei Circoli Uaar, si è di-scusso dell’abbigliamento con cui pre-sentarsi ai nostri eventi pubblici, a co-minciare dai banchetti. Un dress codeè sembrato a tutti fuori luogo: è robada ministri di culto, non da Uaar. Se isacerdoti devono stare estremamenteattenti a come si vestono sub deo, du-bito fortemente che il collegio dei pro-biviri intimorisca allo stesso modo i no-stri soci.

E tuttavia il problema c’è, se ci si pre-senta in modo inadeguato alle aspet-tative del pubblico. Gli abiti trasmet-tono un messaggio e l’Uaar lo sa be-nissimo (nell’area shop del suo sito so-no in vendita fantastiche t-shirt, nonperdetevele). È sacrosanto diritto diogni donna vestirsi, se lo desidera, inmodo provocante. È sacrosanto dirittodi ogni essere umano indossare ma-gliette estremamente trasgressive. Enessuno dovrebbe anche solo pensaredi torcere loro un capello. Resta però ilfatto che non sono pochi quelli che,

senza nemmenopensarci su troppo,potrebbero torcereloro ben più di uncapello. Se mi fossechiesto un parere,non consiglierei ab-bigliamenti del ge-nere per rientrare dinotte a Mea Shea-rim, a Mosul, o inqualche sordida pe-riferia texana.

Se mi sono dilunga-to su tale vicenda èperché penso che,ogni tanto, occorraanche ragionare suinostri limiti. Una cir-costanza che notosempre più spessoal nostro interno èche, qualunque sial’argomento su cuisi discute, chi pren-de posizione è soli-tamente non solo

molto convinto delle proprie ragioni,ma anche parecchio sorpreso che altrila pensino in maniera diametralmenteopposta. Eppure non c’è proprio dastupirsi che accada: non solo siamouna comunità estremamente pluralema, per l’appunto, ragione e libertànon vanno necessariamente nella stes-sa direzione (e non è che uno dei pun-ti di contrasto).

L’atteggiamento migliore è probabil-mente scegliere di fare ciò che si vuo-le, purché ben consapevoli delle pos-sibili implicazioni. Talvolta ci troviamoperò alle prese con desideri incompa-tibili: e chi meglio di noi sa quanto siaimpossibile quadrare i cerchi. E quin-di, se la realizzazione di un evento pub-blico è finalizzata a uno scopo, è quel-lo scopo che deve fungere da guida.

Ne dà un altro significativo esempio ilnostro manifesto d’intenti, in cui scri-viamo che l’Uaar «difende la libertà diespressione, ma non pratica e non in-vita a praticare la blasfemia». Ci sia-mo schierati con il Charlie Hebdo, ab-biamo organizzato mostre di autori sa-tirici, abbiamo difeso in tribunale cit-tadini accusati di vilipendio, siamo sce-si in piazza per chiedere la liberazionedi blogger detenuti per aver “offeso”il sentimento religioso dei credenti, an-diamo a dire la nostra in convegni in-ternazionali sulla libertà di parola, cibattiamo quotidianamente affinchéognuno possa dire la sua senza ri-schiare conseguenze legali, affinché,in particolare, sia abolita ovunque ognitutela penale del sacro, ma … per faretutto questo, non c’è alcun bisogno divilipendere la religione. Se questo è ilnostro scopo, la nostra stessa ragiond’essere, non ha senso annichilire lepossibilità di conseguirlo per il sem-plice piacere che ci dà il dare sfogo al-la nostra pancia. Altrimenti detto: puòdarsi che, così facendo, stiamo limi-tando la nostra libertà di espressione.(Può darsi: perché come sottolineiamonello stesso manifesto, noi vogliamo«argomentare, non urlare»). Ma, se lalimitiamo, la limitiamo affinché quelladi tutti sia enormemente ampliata.

Limitiamo in tal modo anche la libertà diespressione dei singoli soci? Sì e no. Per-

Quando libertà e ragione entrano in conflittodi Raffaele Carcano, [email protected]

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CONTRIBUTI

Quando il papa rivoluzionario (secon-do una leggenda metropolitana ormaiconsolidata) Francesco I è entrato perla prima volta in un tempio valdese, il22 giugno scorso, tutte le agenzie distampa internazionali hanno sottoli-neato lo storico perdono che lo stessoha chiesto per i crimini commessi dal-la Chiesa che rappresenta. Invero, unaltro papa, Wojtyla, nell’anno duemilachiese “sette volte perdono” per i ge-nocidi perpetrati “dai figli della Chie-sa”. La formula apparve a molti ambi-gua e comunque non tutti i cardinali,compreso l’allora decano Ratzinger, fu-rono d’accordo sull’opportunità di untale passo. Questa volta Bergoglio haparlato a nome della sua Chiesa rife-rendo di “atteggiamenti non cristiani,persino non umani”. Sembrava un co-pione perfetto, un formidabile scur-dammoce ‘o passato ed invece qualco-sa è andato storto.

Due mesi dopo le eclatanti parole delpontefice, il Sinodo della Chiesa evan-gelica valdese, ha reso noto di avere in-viato una missiva al papa nella qualepur accogliendo “con rispetto e com-mozione” la richiesta di perdono, ha ri-tenuto di non potersi sostituire “a quan-ti hanno pagato col sangue o con altripatimenti la loro testimonianza alla fe-de evangelica e perdonare al posto lo-ro”. Una risposta clamorosa ma che po-ne una questione complessa che ri-guarda carnefici e vittime: se cioè siapossibile chiedere perdono per le colpedi qualcun altro o accettarle per inter-posta persona. Interrogativi certo nonbanali la cui risposta non è affatto scon-tata. Nondimeno sarebbe oltremodoutile approfondire con un breve excur-sus storico la materia del contendere.

Quali furono i misfatti di cui si macchiòla Chiesa cattolica? Chi sono i Valdesie da dove traggono la loro origine?

Il valdismo nasce nell’alveo dei movi-menti pauperistici che caratterizzano ilBasso Medioevo. Una leggenda – giàdiffusa nelle valli valdesi (Alpi Cozie)verso la fine del Medioevo e quasi con-cordemente accolta dagli storici valde-si fino alla metà del secolo XIX – vuoleidentificare il movimento valdese conun residuo della primitiva chiesa apo-stolica che si sarebbe mantenuta intat-ta nelle valli delle Alpi Cozie e che i se-guaci di Valdo avrebbero trovato quan-do essi giunsero in quei luoghi. In realtàquella di Pietro Valdo, a cui si fa risali-re il movimento, ricco mercante lionesespogliatosi dei beni per seguire le ormedel Vangelo (anno 1173 e.v.) sembraun’anticipazione di quella di Francescod’Assisi; anche qui storia e agiografiasi confondono. All’inizio i Poveri di Lio-ne, come vennero chiamati, rientraro-no appieno nell’alveo della ortodossiacattolica, pur sottolineando le esigen-ze di un ritorno alla semplicità evange-lica, tanto che furono ricevuti da papaAlessandro III che pensò di servirsenein funzione anti catara la cui eresia siera propagata soprattutto nei centri ur-bani.

Ma il pontefice non poteva tollerare chedei laici (comprese alcune donne) po-tessero insegnare come dei chierici edimpose loro il divieto di predicare. L’in-timazione però non sortì alcun effetto,mentre il movimento continuava a cre-scere anche fuori dalla Francia, cosic-ché nel 1184 a Verona, con la bolla Adabolendam, il nuovo papa Lucio III (tri-stemente noto per avere sancito, con

l’approvazione di Federico I Barbaros-sa, il principio secondo cui gli eretici do-vevano essere perseguiti penalmentee per avere bandito la terza crociata)non ebbe alcuna remora a scomunica-re i Poveri di Lione. Nel 1205 la primascissione tra il gruppo ortodosso con acapo Valdo e una nutrita compagine diValdesi che era arrivata in Lombardiaunendosi a vario titolo ad altri movi-menti ereticali e partecipando alle vi-cissitudini di quei territori, stretti nellaguerra tra i comuni e tra Guelfi e Ghi-bellini (che per opportunismo arrideva-no agli eretici in funzione anticlericale).Alla morte di Valdo ci furono ulterioriscissioni; addirittura alcuni (detti ri-conciliati) vollero rientrare nella Chie-sa romana ma guardati sempre con dif-fidenza, tant’è che il papa Innocenzo IIIvolle creare i cosiddetti Poveri Cattoli-ci in veste antiereticale e per contra-starne la crescente popolarità.

Erano già cominciate le crociate controi Catari: a Béziers e a Marmande, nelsud della Francia, furono trucidate al-meno 25.000 persone; ben presto l’In-quisizione si rivolse anche contro i Val-desi che vennero arsi vivi a centinaiasia in Francia, in Italia (dove il Sant’Uf-fizio il 2 febbraio 1554, forte dell’ap-poggio del braccio secolare, emanavaun decreto nel quale si ordinava di pro-cedere contro i seguaci di Pietro Valdo)ma anche in Austria. Il massacro piùgrande è del 1545, in Provenza, quan-do ne vennero trucidati quasi tremila;allora i Valdesi erano parte della Rifor-ma calvinista mentre in Boemia faran-no causa comune con gli Hussiti. Pochianni dopo, nel 1561, sarà la volta delmartirio di altri duemila Valdesi in Ca-labria. Il XVII secolo sarà caratterizza-

ché ci muoviamo comunque all’interno diun quadro di regole approvato dai soci eche i soci possono cambiare in congres-so, se vogliono (e il prossimo congressoè soltanto tra pochi mesi). Ma soprat-tutto, perché iscriversi a un’associazio-ne – qualunque associazione – significacondividere con altri soci l’impegno peril raggiungimento di determinati scopi.Seguendo prioritariamente il proprioestro ci si comporta invece come quei

fantasisti che non si pongono al serviziodella squadra, ma del pubblico o del pro-prio ego. Parte del pubblico potrà anchedeliziarsi: ma se poi si perde, il pubblico(tutto) se la prende. È forse più facile gio-care a calcio senza allenatore che in die-ci contro undici. E tuttavia, ciò non im-plica in alcun modo che occorra tarparele ali. Ogni fantasista, da Pelé a Mara-dona a Messi, si è realizzato all’internodi una squadra.

Il buon senso dovrebbe quindi farcicomprendere che presentarsi in tenu-ta da spiaggia o con vestiti politica-mente orientati, insultare i credenti oimprecare contro le divinità (per quan-to inesistenti) difficilmente attirerà l’at-tenzione di chi ci osserva sugli scopisociali. Difficilmente ci aiuterà a cam-biare il mondo. La potenza è nulla sen-za il controllo, diceva una vecchia pub-blicità Pirelli. Figuriamoci la ragione.

I Valdesi e la memoriadi Stefano Marullo, [email protected]

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CONTRIBUTI

to da nuovi massacri in Valtellina e nel-le valli alpine ad opera dei cattolici. Lafuria omicida, tra sgozzamenti e roghi,non risparmiò né donne, né vecchi, nébambini.

I sopravvissuti, raccontano le cronachedell’epoca, tradotti in carcere morirono distenti o a seguito delle torture subite. Inparticolare il 1685 sarà un anno terribileper i Valdesi, a causa della revoca dell’e-ditto di Nantes da parte del duca di Sa-voia Vittorio Amedeo II alla quale seguìuna truculenta repressione dal Pinerole-se fino alla Valle del Pellice a sud di To-rino. Molti Valdesi scelsero la via dell’e-silio a Ginevra. Nel 1689, grazie al finan-ziamento del re inglese Guglielmo III d’O-range, alla testa di Enrico Arnaud, un mi-gliaio di Valdesi rientrarono in Piemon-te (fatto passato alla storia come glorio-so rimpatrio), ma rimasero ghettizzati. Sidovette aspettare il 1848 perché CarloAlberto riconoscesse diritti politici e ci-vili alla sparuta schiera di Valdesi so-pravvissuti ad un vero e proprio genoci-dio. Ancora durante il fascismo, grandealleato della Chiesa cattolica, i Valdesihanno patito ostracismo ed ostilità.

Nel 1979 è stato siglato un patto di inte-grazione tra Metodisti e Valdesi in un’u-nica comunità confessionale che si è con-traddistinta per una grande sensibilitàverso i temi etici (con aperture sul temadell’aborto, eutanasia, ricerca sulle cel-lule staminali spesso in aperto contrastocon la Chiesa cattolica) e la laicità delloStato (contro l’esposizione dei simboli re-ligiosi nei luoghi pubblici come il croci-

fisso). Non casualmente il Sino-do valdese nel rispondere al pa-pa, ha voluto marcare le diffe-renze con la Chiesa romana, purauspicando il superamento del-le divisioni. Una comunità chenon vuole dimenticare il suopassato. A Bergoglio ha prefe-rito l’orgoglio.

Bibliografia

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desi di Calabria, 1554-1703, Ed. Scientifica1999.Jalla, I valdesi e la casa di Savoia, Società diStoria Valdese 1935.G. Spini, Il glorioso rimpatrio dei valdesi dal-l’Europa all’Italia: storia, contesto, significa-to, Claudiana 1988.V. Tedesco, Storia dei Valdesi in Calabria: traBasso Medioevo e prima età moderna, Rub-bettino 2015.A. De Pasquale, I Valdesi una setta religiosa.Storia europea di Eresie: persecuzioni, inqui-sizioni, processi, condanne, Edizioni Brenner2006.

Spesso nei riti e nei testi cristiani si ri-corre alla frase «secondo la tradizione»per cercare di dare credibilità a qualchestoria o cerimonia, magari ripetuta mec-canicamente dalla notte dei tempi, dicui non c’è alcun riscontro storico, mail cui ripetersi si vuol far credere, da par-te del clero e dei creduli, come una sor-ta di reale testimonianza di ciò che siracconta e si tramanda, mentre, inrealtà, è solo una favola.

Quando ero piccolo, mia madre mi por-tava alla processione del vascelluzzo, che

si svolge ogni anno a Messina nel gior-no del corpus domini. Il vascelluzzo è unmodellino di galeone con tre alberi, lun-go circa un metro, di legno ricoperto dilamine d’argento; pare sia stato realiz-zato da artisti messinesi verso la fine delXVI secolo. Secondo la tradizione, du-rante una carestia del 1603, mentre unanave transitava lungo lo Stretto di Mes-sina, la madonna fece alzare del vento ditraverso che spinse la nave a riparare nelporto messinese; conteneva 5.000 salmedi grano (una salma equivaleva a 275 li-tri), di cui s’impadronirono i messinesi,

ponendo fine alla carestia. Per ricordarel’episodio, sul vascelluzzo si mettono al-cune spighe di grano che, al termine del-la processione, sono date ai fedeli.

La reliquia più importante del simulacroè però una ciocca di capelli della ma-donna, collocata in una piccola teca suuno dei tre alberi, e che spiega il moti-vo per cui la madre di dio pose fine allapresunta carestia messinese del 1603:la città era sotto la sua protezione. Rac-contiamo la storia, secondo la tradizio-ne, e poi verifichiamone l’attendibilità.

La favola della “Madonna della Lettera”di Carmelo La Torre, [email protected]

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CONTRIBUTI

L’incontro dei delegati con Maria

Occorre fare un passo indietro nei tem-pi: si narra che, in data imprecisata, sanPaolo si trovasse a predicare a Messina;molti cittadini si convertirono e la cit-tadinanza espresse il desiderio che al-cuni di loro andassero in Palestina a co-noscere la madre di dio. Fu così che, nel42 d.C., una delegazione di quattro mes-sinesi portò una lettera a Maria (non siprecisa in quale lingua sia stata scrit-ta), implorandone la protezione. Si co-noscono i nomi dei quattro: GeronimoOriggiano, Marcello Benefacite, Otta-vio Brizio e il centurione Mulè. I nomi liha forniti una monaca agrigentina, cheli ebbe in visione da Maria nel 1647; co-me si nota, sono nomi troppo moderni,che difficilmente potevano essere con-temporanei a Gesù e ai Romani. L’in-contro avvenne il 3 giugno del 42 d.C.,secondo alcuni a Gerusalemme, secon-do altri a Nazareth. Maria accolse i quat-tro e scrisse – o fece scrivere – una let-tera, in ebraico, che arrotolò e legò conuna ciocca di capelli, perché a quel tem-po non c’era lo scotch.

Trascorso oltre un millennio e quattrosecoli (un millennio e quattro secoli …),la lettera fu casualmente trovata nel1490 in un manoscritto e fu tradotta inlatino da Costantino Lascaris, un notofilologo messinese. Altrettanto casual-mente – si narra – fu trovata una copiadella lettera in un antico codice arabodi proprietà di un tale, vescovo di Mar-din di Siria, donatogli dal patriarca sirocattolico Ignazio Andrea I; siamo nellametà del XVII secolo. Un abate diede lalettera a un maronita che lavorava allaBiblioteca Vaticana, che fece una tra-duzione molto simile a quella del La-scaris. Dopo oltre mezzo secolo, nel1716, questa traduzione fu portata daun monaco a Messina e, dopo quasi unmillennio e sette secoli, iniziarono i fe-steggiamenti. Di quanto si racconta sul-le due lettere e del loro copyright nonc’è alcuna testimonianza.

La lettera di Maria

Leggiamo cosa scrisse la madre di dio,nella versione più diffusa:

«Maria vergine, figlia di Gioacchino, umilis-sima serva di Dio, Madre di Gesù crocifisso,della tribù di Giuda, della stirpe di Davide,salute a tutti i messinesi e Benedizione di DioPadre Onnipotente. Ci consta per pubblicostrumento che voi tutti con fede grande ave-te a noi spedito Legati e Ambasciatori, con-

fessando che il Nostro Figlio, generato da Diosia Dio e uomo e che dopo la sua resurrezio-ne salì al cielo; avendo voi conosciuta la viadella verità per mezzo della predicazione diPaolo apostolo eletto per la qual cosa bene-diciamo voi e la vostra città della quale noivogliamo essere perpetua protettrice. Geru-salemme 3 giugno anno 42 di Nostro Figlio.Indizione 1 luna XXVII».

Non è necessario essere degli esperti perrendersi conto dell’ingenua falsità dellalettera, molto probabilmente scritta daun esponente del clero; prima di passa-re a un’analisi storica più profonda, sof-fermiamoci su ciò che risalta a prima vi-sta, oltre allo stile clerico-letterario. An-zitutto la data: è chiaro che deve esse-re stata posta dal “traduttore” dall’e-braico in latino, perché Maria non sa-peva ancora che quello era l’anno 42d.C. L’indizione, misura del tempo pri-ma del calendario progressivo a partiredall’anno 1 (non esiste l’anno zero per-ché il numero zero non era noto e fu di-vulgato in Europa da Fibonacci solo nel1202), era un periodo di 15 anni, finitoil quale si ricominciava daccapo con unaltro ciclo quindicennale, utilizzato daiRomani e poi nel Medioevo, quando an-cora non si contavano gli anni dalla pre-sunta data di nascita di Cristo; chi vuolfarsi venire una cefalea, può approfon-dire l’argomento dell’indizione. Altroaspetto che risalta è il plurale maiestatisusato con poca modestia da Maria, quan-do ancora suo figlio, seppur divino, erauno sconosciuto. Infine la lingua: Mariaparlava aramaico, mentre la lettera sa-rebbe scritta in ebraico (in qualche ver-sione si parla persino di un generico “ara-bo” con caratteri siriaci); poiché Mariaera analfabeta e non si narra che abbiaavuto il dono miracoloso della glossola-lia, come taluni apostoli, ammettiamobenevolmente che dettò il testo in ara-maico e uno scrivano-traduttore lo scris-se in ebraico.

Il viaggio di san Paolo

Entriamo nel merito storico. Non si han-no notizie che san Paolo sia stato a Mes-sina prima del 42 d.C.; la Bibbia ripor-ta, abbastanza in dettaglio, dei suoiviaggi tra Palestina, Siria, Cipro, l’at-tuale Turchia, spingendosi sino in Ma-cedonia. In particolare, tra il 37 e il 44san Paolo predicava a Tarso, in Siria, inCilicia, ad Antiochia (At 9,30; At 11,25;Gal 1,21), ben lontano dalla Sicilia. Du-rante il lungo “viaggio della prigionia”che portò san Paolo a Roma, e che duròalmeno cinque mesi, la nave si fermò a

Reggio Calabria; ma siamo nel 60 ± 2d.C. Una nota del lemma su Wikipediadedicato a san Paolo (certamente com-pilato dal clero), riporta: «Secondo unaversione della leggenda relativa al cul-to della Madonna della Lettera, il gior-no successivo alla sosta a Reggio, Pao-lo si recò a Messina per portare alla cittàuna lettera da parte della Vergine Ma-ria». Sempre dalla Bibbia si desume chesan Paolo, benché in arresto, durante illungo viaggio per Roma disponesse diuna certa libertà. Anche la nota del lem-ma non sembra realistica, perché l’ap-prodo a Reggio Calabria pare sia dura-to un solo giorno (At 28,14) e l’indoma-ni, essendosi alzato lo scirocco, la naveripartì subito per Pozzuoli. È difficilepensare che san Paolo, durante la bre-ve sosta, abbia attraversato lo Stretto diMessina, trascurando i calabresi, perandare a portare la buona novella e lalettera mariana ai messinesi: a queltempo non c’erano né traghetti né ali-scafi. Inoltre, come richiamato, siamointorno al 60 ± 2 d.C. e, come vedremo,la madonna doveva essere morta daqualche anno. C’è un altro argomentoche può escludere quanto afferma la no-ta: Maria pare dovesse trovarsi a Efe-so, come più avanti ipotizzato, e in que-sta città Paolo vi era stato intorno solonel 52-53 d.C.; è difficile che Paolo ab-bia serbato la lettera mariana per ottoanni e che Maria abbia risposto ai mes-sinesi dopo una decina di anni!

Maria, da giovane e da anziana

Di Maria la Bibbia non ne parla molto esolo dopo diversi secoli il culto marianol’ha elevata a figura di primo piano.Qualcosa si ricava da due vangeli apo-crifi, il “protovangelo di Giacomo”, for-se del II secolo, e il tardivo “Pseudo Mat-teo” del VI secolo. Nella rigida vita delmondo ebraico di quei tempi, i maschidovevano sposarsi intorno ai 18 anni edera costume che le ragazzine giunges-sero al matrimonio già dai dieci, undicianni. La comunità della piccola Maria,che pare fosse brava a tessere la lana,decise di trovarle un marito a 14 anni,secondo lo “Pseudo Matteo”, e partorìa 16 anni; secondo il “protovangelo diGiacomo” il marito lo prese a 12 anni epartorì subito, a dodici, 13 anni. Insom-ma, Maria quando partorì il figlio del pa-dreterno, in linea con i costumi tribaliebraici, era un’immatura adolescenteanalfabeta.

Sono affermazioni che non hanno alcunriscontro, ma che, in qualche modo, ri-

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CONTRIBUTI

specchiano lo stile di vita di quelle tribùnel tempo; nella loro stravaganza, lan-ciano almeno un fascio di luce tremulasu quegli ambienti sociali. Ne conse-gue, immediata, l’ennesima falsa ico-nografia cattolica, che non ci fornisceMaria poco più di una bambina, col sa-cro figlio neonato in braccio, ma una Ma-ria all’incirca venticinquenne; è una ma-donna che, miracolosamente (d’altraparte, ne aveva facoltà), appare quasiidentica, circa 35 anni dopo il parto,quando è presentata sul Golgota, ai pie-di del figlio morente. La prima donnache ricorse al lifting!

Gli studi più recenti collocano la nasci-ta di un eventuale Gesù tra il 7 e il 5a.C.; quindi, stando ai due apocrifi, Ma-ria nacque tra il 21 e il 17 a.C. e nel 60± 2 d.C. doveva avere un’età tra i 75 egli 83 anni. In un periodo in cui pochiraggiungevano il mezzo secolo di vita,è poco probabile che Maria stesse an-cora in vita, nonostante le sue eleva-tissime referenze; del resto, la stessatradizione mariana colloca la sua morteintorno al 48 d.C.

Altra questione. I creduli parlano di unincontro della delegazione messinese, i“quattro dell’Ave Maria”, con la ma-donna a Gerusalemme o a Nazareth, e lastessa lettera è datata a Gerusalemme,dimostrando che non conoscono nem-meno la Bibbia. Infatti, si legge (Gv19,26): “Gesù [crocifisso, nda] allora, ve-dendo la madre e accanto a lei il disce-polo che egli amava, disse alla madre:«Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al di-scepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’o-ra il discepolo l’accolse con sé [nella pre-cedente versione CEI: “…il discepolo laprese nella sua casa”, perché l’Onnipo-tente talvolta corregge ciò che scrive]”.Quindi Maria, dopo la morte del figlio, inaccordo con la Bibbia, andò a stare col di-scepolo prediletto di Gesù. Secondo laChiesa, il discepolo sarebbe san Gio-vanni, perché il verbale del concilio di

Efeso del 431 riporta che Giovanni pre-se con sé Maria e si stabilì a Efeso (inTurchia, l’attuale Selçuk, presso Smirne,oltre 1.500 km da Gerusalemme), ma se-condo studi più recenti a Efeso dovreb-be esserci andato Giovanni il Sacerdote,che mise casa – non si sa in che anno –sulla collina di Bülbül Dag, dove gli alle-gri pellegrini possono oggi visitare la ca-sa della Madonna. L’altra casa della Ma-donna, quella di Nazareth, è stata in par-te trasportata dagli angeli a Loreto ed èvisibile all’interno del locale Santuario.(NB: Secondo una favola più recente, nonla trasportarono gli angeli bensì i cro-ciati, che la smontarono e poi la rimon-tarono pezzo per pezzo; insomma, la ma-donna di Loreto, invece di essere patro-na degli aviatori, dovrebbe essere pa-trona dei muratori).

Detto ciò, vien da chiedersi come i“quattro dell’Ave Maria”, partiti daMessina, abbiano potuto scovare doveabitava Maria, senza l’aiuto di un “gps”.Secondo la tradizione l’incontro avven-ne il 3 giugno 42 d.C. e il ritorno trion-fale a Messina con la lettera avvennel’8 settembre, proprio il giorno in cui sifesteggia la natività della beata Maria,ovviamente vergine.

Miracoli e non

È sconcertante come, a dimostrare laveridicità di una favola, si portano comeprove altre favole e altri fumosi docu-menti, evitando di fare un’analisi, an-che modesta, dei fatti. A dimostrazio-ne della protezione che Maria attuava(e attua, ovviamente) nei confronti deimessinesi, si narrano alcuni episodi. Ol-tre alla lettera ai messinesi e all’episo-dio miracoloso del 1603 concernente lanave carica di grano, c’è un altro mira-colo mariano a favore dei messinesi: nel1302, durante l’assedio della città daparte di Roberto di Calabria, un mona-co di nome Alberto, che diverrà santo,

supplicò Maria e giun-sero in porto navi congrano e derrate. Nonbasta: altra nave mi-racolosa giunse aMessina nel 1282 du-rante l’assedio di Car-lo I d’Angiò. Sorgespontaneo un interro-gativo: durante il ter-ribile terremoto diMessina del 1908, ovemorirono 80.000 mes-sinesi, la madonna erain ferie? Probabilmen-

te qualche credulo risponderà che, dei140.000 abitanti, Maria, nella sua im-mensa bontà, ne salvò 60.000.

Chi non credette nella favola della let-tera ai messinesi e lo scrisse a chiarelettere fu Rocco Pirri, abate e storico(1577-1651), canonico a Palermo e sto-riografo di Filippo IV, re di Spagna; erail periodo in cui Messina e Palermo aspi-ravano a divenire capitale della Sicilia e,quindi, per i messinesi l’abate era, ed èrimasto, fazioso e settario.

Tradizione e realtà

Come si è accennato all’inizio di questanota, è un dato di fatto che le tradizio-ni sfociano, quasi tutte, in azioni reali,che si perpetuano nel tempo: l’irrealtàcrea la realtà! A gonfiare ancor più ta-le condizione, assume un ruolo impor-tante la stampa; oltre all’editoria catto-lica, anche quotidiani e periodici laicifanno da cassa di risonanza, eviden-ziando pomposamente, con articoli diparte, quanto evoca la tradizione, sen-za instillare nemmeno una goccia didubbio obiettivo, evitando d’impattarecon lo strale di qualche vescovo o, peg-gio, di qualche cardinale.

Sin dallo scorso secolo, la frase che silegge nella lettera mariana “benedi-ciamo voi e la vostra città” è riportataa caratteri cubitali in latino – «Vos etipsam civitatem benedicimus» – all’in-gresso del porto di Messina, su un ba-stione che protegge una stele alta 35m, dove c’è la statua di bronzo doratodella madonna, alta 7 m, posata nel1934 e illuminata, con un comando ra-dio e sotto il controllo di Guglielmo Mar-coni, da papa Pio XI, che si trovava aCastel Gandolfo. Al campanile del duo-mo di Messina – all’interno del quale c’èuno dei più grandi orologi meccanici almondo e che, ogni mezzodì, fa muove-re diverse statue dorate – è anche rap-presentata la scena della madonna cheaccoglie i delegati messinesi e dà lorola famosa lettera. A testimonianza, in-fine, della tradizione, molti sono i mes-sinesi che ancora oggi si chiamano Let-teria e Letterio, diminutivo Lilla e Lillo.

——————————-

Carmelo La Torre, ingegnere in pensione esaggista attivo, autore di centinaia di artico-li tecnici e vari manuali, ha scritto “Il trionfodelle quaglie, ovvero il peggio del Pentateu-co” (Lampi di stampa, 2006) e l’e-book “IlGrande Nulla del Vaticano” (Abel Books,2014). Collabora alla rivista NonCredo.

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41n. 6/2015 (103)

PAROLE, PAROLE, PAROLE …

Fin dall’antichità ci si era posti la do-manda se il diritto sia un qualcosa dinaturale, ovvero basato su norme in-nate ed universalmente valide inquanto, per l’appunto, derivate dallanatura, oppure se sia invece un qual-cosa di artificiale, un insieme di norme“positive” (nel senso di “convenzio-nali” – dal latino positivus), create divolta in volta dall’uomo per poter go-vernare le comunità e gli Stati. Da qui,le due principali teorie del diritto chesi sono contrapposte nel corso dei se-coli: quella “giusnaturalistica” o deldiritto naturale e quella “giuspositivi-stica” ovvero del diritto convenziona-le o “positivo”.

Nel corso della storia le due teorie han-no subito sorti alterne: al tempo degliantichi greci, ad esempio, vi era chi pro-pendeva per la positività del diritto, co-me i Sofisti, e chi invece insisteva sullasua naturalità, come Aristotele, che pro-prio sulla base dell’origine “naturale”degli ordinamenti umani giungeva a le-gittimare l’esistenza della schiavitù.Inutile dire poi che ai tempi del buio Me-dioevo prevalse la visione aristotelica,nella versione riveduta e corretta diTommaso d’Aquino, che è tuttora quel-la accettata dalla chiesa e sulla qualetorneremo in seguito.

Il pensiero giusnaturalistico diede il me-glio di sé in epoca moderna quando, po-nendo l’accento sull’esistenza dei dirit-ti naturali, ovvero innati ed “inaliena-bili”, degli uomini, portò alla rivendica-zione delle libertà individuali e colletti-ve che devono venire garantite dalleleggi ed alla conseguente elaborazionedel concetto di Stato di diritto, e trovòla sua consacrazione nel documento piùcelebre della Rivoluzione francese, laDichiarazione dei Diritti dell’Uomo e delCittadino del 1789 e, ancor prima, nel-la Dichiarazione di Indipendenza Ame-ricana (1776).

Oggigiorno il concetto di “diritto natu-rale” è stato in larga parte abbandona-to dalla giurisprudenza a tutto favoredel “positivismo giuridico”; ciò nono-stante, vale la pena di esaminarlo an-cora per un attimo in quanto esso restaalla base della concezione della chiesa.Dunque, tutte le teorie del diritto natu-rale si basano su almeno due presup-

posti: (1) l’idea che esistano una natu-ra (e una natura umana) sempiterne, in-variabili e astoriche, sulle quali fonda-re l’oggettività del diritto; (2) l’equipa-razione di “naturale” a “buono”, ovve-ro il mito della bontà della natura comefondamento della “bontà” del diritto.Entrambi questi presupposti so-no stati ampiamente smentitidalla teoria dell’evoluzione: daDarwin in poi, da un lato la na-tura non può più costituire ilfondamento dell’oggettività deldiritto non essendo essa stessaun qualcosa di fisso, immutabi-le e avulso dalla storia come pre-cedentemente si pensava; e,dall’altro, la natura non può piùneanche costituire la garanziadella “bontà” del diritto inquanto essa stessa è tutt’altroche “buona”!

Per parte sua la chiesa cattolica,del tutto impermeabile alla teo-ria dell’evoluzione, ancor oggisclerotizzata sulle posizioni diSan Tommaso e come lui con-vintissima dell’esistenza di unanatura umana sempiterna (perché de-terminata da Dio una volta per tutte) edotata di caratteristiche ben precise (dicui il “peccato” è sicuramente quellaprincipale), continua a riproporre, com-pletamente inalterata, la sua peculiareteoria del diritto di natura – una naturadel tutto sui generis, impregnata deiconcetti di peccato e redenzione e nel-la quale vige un’unica legge generalis-sima: “bonum faciendum, malum vi-tandum” (fare il bene ed evitare il ma-le – nel senso di fare ciò che piace a Dioed evitare di fare ciò che non gli piace)[1]; una natura che di “naturale” nonha proprio nulla ma che in compenso hamoltissimo di “divino”, che viene postaa garanzia di un presunto “diritto” chealtro non è che diritto divino camuffa-to. Più che di giusnaturalismo, quindi,nel caso della chiesa cattolica sarebbeforse meglio parlare di “gius-teismo”.

Il mito della natura ha sempre esercita-to sull’uomo un forte fascino. L’idea diuna natura originaria e incontaminata èun qualcosa che ci incanta, quasi un ri-chiamo atavico che si può forse ricolle-gare alla nostra nostalgia per l’infanziaperduta o al desiderio di tornare nel

grembo materno. Sia come sia, ricorre-re alla natura per conferire credibilità al-le proprie teorie è sempre stata una stra-tegia vincente ... una cosa che certo nonsfugge a Santa Madre Chiesa, che dasempre cerca di spacciare le sue ridico-le favolette morali sull’uomo, sulla realtà

e sulla vita come se fossero, appunto,“naturali” (pensiamo anche soltanto al-la cosiddetta “famiglia naturale”) e alcontempo bolla come “contro-natura”tutto ciò che non concorda con le sueconcezioni. E molti, purtroppo, ci ca-scano.

Noi che abbiamo imparato a memoria lalezione di Darwin non possiamo invecese non diffidare di tutti coloro che si fan-no forti di una natura idealizzata ed as-solutizzata e la prendono a prestito peravallare le loro teorie: nella migliore del-le ipotesi sono dei nostalgici persi, nellapeggiore dei grandi furbastri, molto pro-babilmente in completa malafede.

Note

[1] Riguardo ai concetti di “bene” e “male”scriveva il d’Holbach: “In ogni religione, sol-tanto i preti hanno il diritto di decidere checosa piace o dispiace al loro dio; si può starsicuri che essi decideranno che piace o di-spiace a dio ciò che piace o dispiace a loro”(“Il buon senso”): ecco qua, in poche parole,tutto quanto è necessario per comprenderea fondo in che cosa davvero consistano que-sti due concetti morali sui quali molte reli-gioni fondano le loro concezioni del diritto.

Diritto naturaledi Enrica Rota, [email protected]

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42 n. 6/2015 (103)

PAROLE, PAROLE, PAROLE …

Mistero

Sul mistero

È il momento delle domande.

* Scusi, ma perché devo giustificare ilmio ateismo, è semmai il credente a do-ver giustificare la sua fede in Dio.

* Ma senza Dio come si fa a dare una ri-sposta al senso della vita – mi ribatte ilrelatore.

* È un mistero – rispondo.

Il relatore è il filosofo genovese Ro-berto Giovanni Timossi che qualchemese fa presentava alla Feltrinelli ilsuo libro “Nel segno del nulla – criti-ca dell’ateismo moderno”. Il saggiocerca di smontare le critiche che gli in-tellettuali laici, dagli illuministi fino aComte, Marx, Freud, Sartre, Camus,Dawkins, Dennett, ecc., hanno fatto alconcetto cristiano di Dio, per esempiol’incompatibilità tra bontà e onnipo-tenza. Io, ora come ora, non ho nullada farmi smontare, non faccio critichemetafisiche e di questi tempi me loposso anche permettere: rivolto sem-plicemente la frittata. E anche lui inun certo senso la rivolta a sua volta af-fermando che l’Uomo non può accet-tare il mistero perché vuole avere sem-pre una risposta alle sue domande. Ineffetti, penso, cos’è il miracolo o la pu-nizione divina se non l’ostinata vo-lontà di colmare il vuoto della nostraignoranza in accordo coi nostri desi-deri, le nostre paure, o le esigenze dicoesione sociale? Quale più semplicetrovata quella di ipotizzare un aldilàche elimina il mistero della vita e ri-sponde al nostro desiderio di eternità.

Tuttavia nella rubrica sulle “Parole,parole, parole ...”, giustamente, è sta-to messo in luce il lato oscuro del mi-stero, quello utilizzato dalla ChiesaCattolica (e non solo) per fermare laragione umana di fronte a quelle do-mande legittime che rischiavano dimetterne in dubbio l’autorità e quindiil suo potere temporale. L’inevitabiledestino di chi vuole spiegare tutto etroppo in fretta è di lacerare il tessu-to di una troppo estesa verità così chei buchi che si formano vengono chia-mati “misteri”. In questo equivoco ilsenso positivo del mistero si perde,quel senso che è proprio la critica delvoler appunto rispondere subito al-l’ansia impaziente dell’Uomo di volersaper Tutto.

Il lato illuminista del mistero è quelloinvece di ammettere i nostri limiti dianimali fatti “non” a immagine e so-miglianza di un dio onnipotente e on-nisciente ma modellati da una naturabizzarra, né buona né cattiva, di cuisiamo parte. Quando si è parte di qual-cosa e non fuori di essa, lo sguardo nonpotrà mai vedere il tutto. Semmai ognisguardo di essere umano potrà essereintegrato da un altro sguardo di esse-re umano e questa è la scienza. Le do-mande ultime rassicuranti o terroriz-zanti così care al pensiero religioso o aun certo pensiero filosofico che ne è lacaricatura non possono avere risposta.Il nostro cervello non è fatto origina-riamente per discutere di metafisica dicui pur bisogna accettare l’esistenzavisti i duemila anni di dibattiti filosofi-ci che abbiamo alle spalle. Il nostro cer-vello non è adatto a risolvere né il pa-radossale dio elaborato dal teologo An-selmo (ciò di cui non si può pensarenulla di più grande, ciò che non ha con-fini) né il contraddittorio punto di par-tenza del geometra Euclide (ciò di cuinon si può pensare nulla di più picco-lo, ciò che non ha parti). L’infinita-mente grande e l’infinitamente picco-lo sono solo effetti collaterali del no-stro modo umano di afferrare il mon-do, di includerlo in contesti o di ana-lizzarne i componenti. Non si tratta dinegarne l’attrazione, è forse utile an-che ascoltarne il suono, ma ben legatial palo della nave come Ulisse. La me-tafisica in fondo non è che l’orizzonteimperscrutabile di una scimmia nudadella savana.

Giampiero [email protected]

Parole da salvare

Leggendo le prime “parole” poste al va-glio del pensiero ateo, in genere ten-dente a dissacrarle in relazione all’usoche ne viene fatto, per non rischiare disacralizzarle demonizzandole (sacraliz-zazione e demonizzazione sono due fac-ce di una stessa medaglia), per non ri-schiare insomma di trasformarle in tabù... ho sentito la necessità di istituire unavirtuale rubrica dal titolo “parole da sal-vare”. Da cosa? Da tante ambiguità ...ma nel contesto di una rivista come L’A-teo, per salvarle soprattutto dall’uso chene ha fatto – e continua a farne – il pen-siero magico-religioso. E ciò ... più cheper recuperarne la corretta etimologia(operazione sempre complicata, anche

perché molta della “storia” di certe pa-role è costituita proprio dall’uso fatto-ne dal pensiero magico-religioso, quan-do non risalenti ad esso direttamente)... per vedere cosa potrebbero signifi-care al di fuori di tale pensiero.

Per quanto mi riguarda un’operazionedel genere ho provato a compierla “re-cuperando” la parola “metafisica”, unadelle più compromesse (e per questo fa-cilmente trasformabile – e spesso tra-sformata – in tabù) col pensiero magi-co-religioso ... e un’operazione del ge-nere ritengo sia utile compierla ancheper la parola presa di mira nell’ultimonumero de L’Ateo, cioè la parola “mi-stero”.

Premessa d’obbligo. Quanto argomen-tato da Enrica Rota e da Stephen Lawnei loro articoli è da sottoscrivere pun-to per punto, proprio in quanto denun-cia puntuale della strumentalizzazionedi un termine utilizzato in realtà per ri-dare surrettiziamente una qualche for-ma di spiegazione, appiccicandovi co-munque un’etichetta, a ciò che invecenon regge ad alcuna spiegazione mini-mamente razionale.

Ma cosa si potrebbe intendere per “mi-stero”? Come richiama Enrica Rota,niente di ciò che ... per quanto allo sta-to non conosciuto ... si debba per que-sto smettere di cercare di conoscere, ocomunque di collocare nella dimensio-ne del conoscibile, anche perché, se co-sì fosse, cosa ci starebbe a fare la scien-za? (Infatti, tanto pensiero religioso –esplicitamente o come retropensiero –quando si tratta di “conoscenza vera”,o di “verità” tout court, si chiede pole-micamente cosa ci stia a fare la scien-za, cosa mai può pretendere). Meno chemeno poi – come argomenta Law – il mi-stero può essere tirato in ballo quandodi mezzo c’è la questione della teodi-cea: in questo caso il ricorso al misteroè proprio l’ultima misera risorsa di chinon riesce, né mai riuscirà, a conciliarerazionalmente la “bontà divina” col ma-le del mondo.

Allora il mistero? Dobbiamo, una volta“smascherato”, gettarlo tra i tanti ri-fiuti costituiti dai concetti, più ancorache inutili, dannosi, perché fuorvianti,alienanti? Sia pure consapevole del ri-schio che corro di esercitarmi in un’o-perazione puramente accademica, cioèinutile, credo che si debba “salvare” lanozione di mistero ... e proprio perchéè possibile porla su un piano tra i menoaccademici, in quanto di forte impatto

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43n. 6/2015 (103)

PAROLE, PAROLE, PAROLE …

esistenziale. E poi – o soprattutto – persottrarlo alla speculazione religiosa.

Di che si tratta? Esiste una dimensionedella cosiddetta realtà che costituisceun muro oltre il quale, per quanti sfor-zi faccia, la nostra mente non è in gra-do di andare: si tratta del muro costi-tuito da ciò che Kant ha chiamato la «co-sa in sé», cioè la realtà che esiste al dilà di come noi ce la rappresentiamo. Inaltre parole, uscendo dal riferimento fi-losofico, possiamo senz’altro parlare di“mistero” quando avanziamo un qual-siasi “perché” in merito alla ragion d’es-sere di quella che chiamiamo realtà, al-lo scopo, alla finalità della sua esisten-za, e conseguentemente al perché del-la nostra stessa esistenza ... tutte do-mande delle quali la realtà non sa chefarsene, perché siamo noi che ce le po-niamo, perché solo noi ne sentiamo l’e-sigenza. In altre parole ancora, riferen-dosi al più frequentato dei luoghi co-muni – subendo la sorte di tutti i luoghicomuni, delle frasi fatte, spesso giu-stamente sbeffeggiati – ci si può sem-pre chiedere «chi siamo, da dove venia-mo, dove andiamo, che senso ha tuttoquesto, ecc.» ... ed è comunque anchein questo caso che la parola mistero as-sume un significato completamente di-verso a seconda che sia evocata da un

credente o da un non credente. Per ilcredente, in quanto credente, in realtànon esiste alcun mistero di questa na-tura, perché la fede permette di dareuna risposta a tutti i “perché” menzio-nati. Se mai, da questo punto di vista,è proprio la scienza che non è in gradodi dare alcuna risposta ... ma per il sem-plice motivo che non si pone alcuna do-manda di questo tipo ... e se mai quin-di è proprio la scienza che rende plau-sibile – ovviamente in modo indiretto, aldi là del proprio statuto epistemologico– parlare di mistero.

Ma, come anticipavo, è soprattutto ilpossibile impatto esistenziale a darevalore al mistero. Impatto “possibile”,certo, in quanto può essere tale per al-cuni e lasciare del tutto indifferenti al-tri, ma non credo che vivere e sentirequesta dimensione della realtà nellaquale, volenti o nolenti, siamo tutti in-seriti, comporti una forma di aliena-zione. Non credo sia alienare la propriaumanità riconoscere in essa tutta laprecarietà della nostra esistenza sin-gola, e della condizione umana in ge-nerale, il loro nonsenso quale che sia-no le spiegazioni che se ne danno. Chela scienza può darne. Alienante inve-ce è non accettare questo tipo di mi-stero e ritenere di poterlo “svelare” ta-

citando così l’angoscia che ne potreb-be derivare, facendo appello ... nontanto all’uomo, ai cui limiti conoscitivinon ci si può certo affidare ... ma a qual-cosa o qualcuno che trascenda la con-dizione umana. Insomma, le religioni.

Parlando ovviamente a nome di chi “vi-ve” il mistero per quello che è real-mente, non si deve lasciare che ne di-storca il vero significato chi ne appro-fitta per contrabbandare illusorie con-solazioni.

Bruno [email protected]

� ANTONIO LOMBATTI, La vera storia diDio, ISBN 978-88-98862-21-4, EdizioniYume, Torino 2015, pagine 208, € 15,00,brossura.

Si può scrivere una realistica storia di Dio(del dio ebraico-cristiano, in particolare)?Certamente sì, come ci viene spiegato inquesto breve ma denso saggio. La storiadi Dio è infatti quella di un concetto, lacui secolare elaborazione ha lasciato am-pie tracce documentarie, che occorre benconoscere ed interpretare, per andare ol-tre ciò di cui ci parla la Bibbia; un testoche la maggior parte dei credenti ritieneerroneamente di conoscere almeno persommi capi, ed il cui reale contenuto èinvece ben lontano dalla vulgata: giac-ché il testo “sacro” è stato sempre pro-tetto, filtrato e infine somministrato aifedeli come un pasto precotto, facilmen-te digeribile, senza che se ne possa co-noscere del tutto la vera essenza.

Da buon docente, Lombatti non ponti-fica ex cathedra, ma invita piuttosto il

lettore curioso a ragionare da sé su ciòche legge, ad andare oltre; e per que-sto gli suggerisce alcune basi docu-mentarie (letterarie, storiche, archeo-logiche) utili a capire cosa nascondaogni affermazione scritturale (sia essastorica, geografica, o di qualunque al-tro genere). L’ostacolo da superare, in-fatti, è innanzitutto la diffusa ignoran-za dei credenti, legata per lo più allascelta di una fede comoda, che non sipreoccupa di comprendere a cosa real-mente si riferisca il testo, né a maggiorragione si chiede chi l’ha scritto, quan-do e perché.

Grazie all’apporto di diverse scienze(con in primo piano l’archeologia) og-gi conosciamo molte delle ragioni edoccasioni che hanno portato alla reda-zione del canone biblico. La storia diDio comincia con la sua invenzione, èmolto più remota del costituirsi diIsraele, e ben poco di tutto ciò che èattribuito al dio ebraico-cristiano è ori-ginale. La decifrazione dei geroglifici

egizi, delle tavolette di Ebla, dei roto-li del Mar Morto e l’analisi di mille al-tre fonti hanno squarciato il velo sullaoscura genealogia del dio ebraico-cristiano e del testo che ne parla. Neisuoi tratti fondamentali, Yahweh è lametamorfosi di altri dei: El, Baal, Mot,Yam, e così via. Questi molti padri so-no i progenitori di un asserito mono-teismo, che comunque alle sue origininon disdegnava né l’idea di dèi fra lo-ro rivali né quella di una regina del cie-lo posta al fianco di Yahweh: la popo-larissima Asherah.

Sviscerata la genealogia di Dio, il vo-lume si concentra sull’analisi di alcunitopos biblici, dal diluvio universale al-la risurrezione di Gesù, mettendo an-che qui criticamente in evidenza la nonoriginalità del pensiero ebraico-cristiano. La conclusione dell’autore èun caldo invito al lettore perché trovivoglia e capacità per andare da sé ol-tre questo semplice “antipasto”. Nonun invito esplicito a disertare dal cam-

RECENSIONI

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44 n. 6/2015 (103)

RECENSIONI

po credente, ma piuttosto uno stimoloa quella curiosità necessaria di frontead una storia così radicalmente umana.

Francesco D’Alpa,[email protected]

� ÉTIENNE LIEBIG, Come sedurre la cat-tolica sul cammino di Compostela, ISBN978-88-7615-230-6, Castelvecchi (Col-lana “Le Navi” 64), Roma 2008, pagine222, € 12,80, brossura.

Che cosa succede, veramente, durantei pellegrinaggi cattolici? E le donne cat-toliche sono davvero così “caste” e dif-ficili da rimorchiare come ci si potrebbeaspettare considerando che la loro fedeè estremamente repressivanei confronti della sessua-lità? Per scoprirlo, l’autorefinge di essere uno “scapo-lone mistico” e si avvia lun-go il “Cammino di Vézelay”che dalla Borgogna condu-ce, attraverso la Francia,verso il santuario di Santia-go de Compostela.

Armato di zaino, crocifissodi legno al collo, un certonumero di letture edifican-ti ed un prezioso taccuinonel quale ha accuratamen-te trascritto citazioni di au-tori, riferimenti letterari eduna serie di frasi in latinoche potrebbero tornargliutili al momento opportuno– e senza scordare di por-tarsi dietro anche qualchepaio di perizoma molto sexy– il nostro Étienne, che de-finisce se stesso come «unfottuto miscredente»,«ateo, scaltro, di un cinismoa prova di bomba», intra-prende dunque il suo pelle-grinaggio con lo spirito delcacciatore e con l’obiettivoben preciso di sedurre ilmaggior numero possibiledi donne cattoliche, da luisuddivise in quattro cate-gorie principali: la cattolicadi sinistra, la cattolica borghese, la cat-tolica integralista e la cattolica “buo-na” o generica – alle quali poi ne ag-giungerà anche una quinta, per amoredi completezza: la capo-scout.

Questo libro è dunque, da un lato, il re-soconto dei successi dell’autore, che si

rivelano di gran lunga superiori alle sueaspettative e che vengono da lui de-scritti in maniera “oltraggiosamentesessuali” – proprio come piace ai letto-ri, afferma; dall’altro è uno studio per-spicace e dissacrante che svela tutte lecontraddizioni, le ambiguità e le ipocri-sie di cui il cattolicesimo è permeato,qui esemplificate da quella che l’auto-re definisce “la mente contorta” delladonna cattolica, con il suo rapporto in-naturale e ambiguo con la sessualità econ tutti i suoi complessi e sensi di col-pa derivanti dalla fede che vengono inogni caso regolarmente ed opportuna-mente placati dalla confessione del gior-no dopo. E, del resto, «cos’altro ci si puòaspettare da una religione che vieta ilsesso ai suoi sacerdoti, ma tollera tan-ti pedofili all’interno del suo personale

secolare, se non un solido pragmati-smo?», si domanda l’autore.

Completo di una versione “hard” di uncanto scout, di un glossario di espres-sioni oscene a sfondo ecclesiastico e diuna serie di suggerimenti pratici riguar-do ai luoghi di culto più adatti per la se-

duzione delle cattoliche, il libro costi-tuisce un ottimo esempio di letteraturaerotico-libertina, è spiritoso, irriverente,a tratti esilarante e spesso anche auto-ironico: Étienne finirà infatti per caderenella sua stessa trappola innamorando-si di una delle sue “vittime” e con lei pro-seguirà il pellegrinaggio (che aveva in-vece deciso di interrompere, avendo or-mai raggiunto i suoi “obiettivi”) fino aSantiago de Compostela …

Enrica [email protected]

� PAUL KURTZ, Il frutto proibito. L’eti-ca del secolarismo, ISBN: 978-88-97476-17-7, Ariele Editore (Collana “Cogito,

ergo sum”), Milano 2013,pagine 309, € 20,00.

Ampio testo di filosofia mo-rale corredato da indice deinomi e degli argomenti chelo rende utile anche cometesto di consultazione laici-sta. L’etica laica viene illu-strata con spunti polemicianticlericali a partire dal“Fallimento della moralitàteistica”. I sistemi moraliteistici sono radicati su unterreno arbitrario e illuso-rio, ostacolano il rinnova-mento dei codici morali chesono stati sorpassati dallascienza moderna. Le vec-chie religioni si oppongonoall’autonomia sessuale e al-la liberazione delle donneper cui occorre mostrareche esiste un’oggettiva econcreta base umanistadella condotta morale.

L’etica normativa propostadall’autore si basa su quat-tro princìpi fondamentali:naturalismo metodologico,naturalismo scientifico, na-turalismo non-teistico e “eu-prassofia” cioè, letteral-mente, buona sapienza pra-tica applicata all’ambitopubblico. Il religioso fanati-

co si basa invece su presunte rivelazionivecchie di millenni disprezzando le ca-pacità di giudizio morale dell’uomo.

Nulla può sostituire la ricerca criticaindipendente, non essendovi provesufficienti dell’esistenza di un dio on-nipotente e onniscente. Tutti i testi re-

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45n. 6/2015 (103)

RECENSIONI

ligiosi sono semplicemente espressio-ne di esseri umani a partire dalla Bib-bia che viene attaccata polemicamen-te sia a proposito di Gesù Cristo siadella vicenda di Abramo e Isacco. Lereligioni sono da evitare anche perchédividono gli uomini e coinvolgono neiloro conflitti gli Stati fino a “bagnaredi sangue umano la terra”. Le religio-ni hanno tollerato e al massimo con-dannato in maniera troppo blanda laschiavitù ed inoltre, invadendo la sfe-ra interna della coscienza, rendonol’uomo schiavo della sua fede religio-sa, una marionetta nelle mani del suoministro di culto. Al contrario l’eticalaica promuove ricerca e razionalitàrompendo definitivamente lo storicomatrimonio tra religione e morale.

Il testo tratta ampiamente la questionedella libertà di procreazione difenden-do l’autodeterminazione delle donne:“la società non ha alcun diritto etico dirichiedere che porti avanti una gravi-danza che non desidera”. Sulle temati-che di fine vita l’autore sostiene aper-tamente l’opportunità del Testamentobiologico presentando ragioni etiche maanche l’esperienza personale della suafamiglia a proposito di ictus molto in-validante che colpì sua suocera: “Biso-gnerebbe redigere le proprie volontàprima che capiti una malattia, in modoche si sappia cosa fare”.

Pierino Giovanni Marazzani [email protected]

� ANTONIO TACCONE, Repressione so-ciale dell’erotismo: radici, conseguenze,prospettive, ISBN 978-88-91181-29-9,Youcanprint Self-Publishing, Tricase(Lecce) 2015, pagine 186, € 12,00, bros-sura.

Il modo in cui si estrinsecano i com-portamenti sentimentali e sessuali al-l’interno di una società è in larga par-te determinato dalle strutture socio-economiche caratterizzanti quella so-cietà, dall’organizzazione del “potere”(sia politico sia economico sia religioso)al suo interno. In questo libro l’autoreesamina la società occidentale e le coar-tazioni che essa esercita sui suoi mem-bri a livello sia individuale sia colletti-vo soprattutto in campo sessuale, in-canalando la “libido” e reprimendo ognilibera espressione della sessualità.

Nei primi capitoli vengono illustrati va-ri ambiti in cui si manifesta la repres-

sione dell’erotismo nella società: a par-tire dall’istruzione dei giovani, spessolasciata in mano alle chiese o da esselargamente influenzata, che discono-sce o reprime la sessualità; per poi pas-sare alla rigida regolamentazione deirapporti fra i sessi ad opera dell’istitu-zione del matrimonio, che li rende in-naturali e ne accentua gli aspetti egoi-stici; per arrivare alla famiglia tradi-zionale monogamica, uno “schema in-gabbiante” che, come scrive l’autore,non è altro che «il punto di inizio di unreplicato ciclo di creazione e sottomis-sione di ulteriori soggetti da manipo-lare ...»; per non parlare del lavoro“alienante” come ad esempio descrit-to da Herbert Marcuse … Nel corso del-le sue analisi Taccone dedica partico-lare spazio al ruolo della donna nellasocietà e al dibattito femminista al ri-guardo, citando varie autrici che han-no proposto delle tesi interessanti eoriginali.

Nella seconda parte del libro l’autoredelinea alcune caratteristiche di una so-cietà meno coercitiva e più rispettosadegli individui e delle loro pulsioni na-turali, passando attraverso alcuni esem-pi di tentativi di attuazione pratica dicomunità “libertarie” e non sessual-mente repressive del passato (quellaauspicata da Charles Fourier, quella diWilhelm Reich e quella dell’anarchicoparigino Ernest Armand) per poi arri-vare alle esperienze di “poliamore” deinostri giorni e alla descrizione del pe-culiare comportamento sessuale dellacomunità dei Mósuo della Cina sudoc-cidentale.

Dal fallimento delle esperienze del pas-sato l’autore trae la conclusione che perrealizzare un effettivo cambiamento insenso libertario della società è neces-sario partire dal basso, mettendo in at-to ad esempio un progetto educativoche rispetti la spontaneità e la natura-le tendenza al piacere degli esseri uma-ni e che sia scevro da autoritarismi,standardizzazioni e repressioni di qual-siasi genere. La nuova società auspica-ta dall’autore lascerà spazio all’auto-determinazione di ciascuno e si baseràsul rifiuto della violenza e sul vicende-vole rispetto dei suoi membri.

Il libro si apre – e si conclude – con unriferimento a Sigmund Freud che ebbeil merito, secondo Taccone, di esserestato il primo a rendersi conto della por-tata del problema della repressione so-ciale dell’erotismo e a comprendernel’essenza.

Per la trattazione di largo respiro, la va-rietà dei riferimenti bibliografici e la ric-chezza dei contenuti questo libro offremolti spunti di riflessione ed è sicura-mente consigliabile a chi voglia avvici-narsi al tipo di problematica affrontato.

Enrica [email protected]

� SANTE SGUOTTI, Prete pedofilo si di-venta. Pedofilia e celibato nella Chiesadi Papa Francesco, ISBN 978-88-99113-14-8, Edizioni La Zisa (Collana “La Lan-terna” 14), Palermo 2015, pagine 224,€ 16,00, hardcover.

L’autore afferma che la morale cattoli-ca obbliga il prete, di necessità, all’i-pocrisia e alla doppia vita: quella di fac-ciata e quella intima-privata. Il sacer-dote è educato, fin dai seminari mino-ri, a dimostrare ciò che è insostenibi-le, specie in materia di sessualità. Qua-si nessuno protesta ma poi, preti e lai-ci fanno quel che gli pare, inventan-dosi le più curiose giustificazioni, per-fino teologiche. Il sistema formativodel prete nei seminari è criticato inquanto pieno di storture: «Ragione-volmente si può solo supporre che èproprio quel sistema a generare pretipedofili».

Le diocesi boicottano tutti i processicontro i preti pedofili: i vescovi mento-no nei tribunali, gli archivi diocesaninegano i documenti a giudici e giorna-listi, oscure pressioni dietro le quintecondizionano la magistratura. L’autoreipotizza l’esistenza di un’associazionea delinquere volta all’occultamento deireati sessuali clericali. La verità è chela chiesa propone condanne solo di fac-ciata ma nella sostanza mantiene tut-to immutato: inoltre, grazie al concor-dato clerico-fascista del 1929 ed a quel-lo craxiano del 1984 «l’eventuale ri-chiesta di risarcimento non può esse-re accollata alla curia. È quindi suffi-ciente che il prete si dichiari nullate-nente e la vittima si dovrà far carico ditutte le spese anche in caso di vittorialegale». Il testo ha anche qualche otti-mo spunto di satira anticlericale: i ve-scovi che dovrebbero sorvegliare i pre-ti pedofili pentiti sono paragonati a«delle volpi messe a guardia di altrevolpi perché non vadano nottetempoa rubare i polli nei vicini pollai». I gua-sti psicologici dell’educazione religio-sa di tipo bigotto-integralista sono sta-tisticamente confermati nel paragrafo

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46 n. 6/2015 (103)

RECENSIONI

�Milord e Bocca di Rosa

Ho letto con interesse lo scritto di Gio-vanni Ruggia sulla prostituzione (L’Ateo3/2015, n. 100, pag. 36). Brevemente, vor-rei aggiungere una piccola notazione.

Per la prostituzione si parla comune-mente di vendita del corpo. A parte il fat-to che nessuno vende alcunché, vistoche si tratta del noleggio di una parte, co-me fanno tutti gli onesti lavoratori di que-sto mondo, è stupido e strano che nes-suno si renda conto del fatto che, nellanostra società, chi vende effettivamen-te il proprio corpo, ed in qualche caso an-che l’anima, e per sempre, sono le moglie le suore. Sarebbe l’ora che i troppi ben-pensanti se ne rendessero conto, e lasmettessero di stigmatizzare una one-sta e socialmente utilissima attività.

Davide Carbone,[email protected]

� Risposta all’articolo di GiovanniRuggia su L’Ateo [n. 3/2015 (100),pag. 36]

Sono rimasta veramente sconcertatadall’articolo di cui sopra, la cui tesi è cheil sesso è “un servizio indispensabile al-la società” (società che, in quanto libe-rata sessualmente, dovrebbe avere bi-sogno di tutto meno che di questo).Quindi, secondo l’autore dell’articolo, ilsesso è un diritto di alcuni a scapito dialtre/i (che proprio perché vengono pa-gate/i non hanno diritto a scegliere ilpartner sessuale e soprattutto, non han-no diritto al piacere con tutto ciò checomporta), e naturalmente quegli alcu-ni sono nella stragrande maggioranzauomini. Questo è un assunto della so-cietà che credevamo avere alle spalle,ovvero quella fascista e patriarcale. Al-l’epoca si diceva che l’uomo aveva di-ritto ad andare nella casa chiusa per “ri-spettare le mogli, perché le donne perbene certe cose non le fanno”, quindile facevano le cittadine di serie B, quel-le che non avevano diritti in quanto ri-dotte a merce.

Oggi si è arrivati al punto di far crederead alcune donne che “vendersi è un at-to femminista”. Be’, questa è la rispostadi una di quelle donne che a questa co-sa ci credeva e l’ha messa in atto:(http://www.resistenzafemmini-sta.it/femme-fatale-contro-inganno-sex-work/).

Flavia [email protected]

Buongiorno,

Rispondo a questa mail che solleva un’o-biezione importante: è illusorio pensareche la prostituzione sia una libera scel-ta. Certo, essa è condizionata da moltifattori, compresa la carenza di alternati-ve migliori per guadagnarsi il pane; ed èanche vero che bande criminali di sfrut-tatori organizzano lo sfruttamento e latratta. Aspetti che cerco di affrontare nelmio articolo.

Tuttavia non credo che la risposta siail proibizionismo, anzi spesso così la si-tuazione peggiora. Ma non esistono soluzioni-miracolo: come per l’alcooli-smo, le dipendenze da droghe, il giocod’azzardo, ecc., nemmeno la depena-lizzazione risolve tutti i problemi, ma,se non altro, permette di affrontarli conmisure appropriate e pro-porzionate riducendo nellimite del possibile i dan-ni alle persone coinvolte.Cordiali saluti,

Giovanni [email protected]

Buongiorno,

Quanto da lei affermato èstato contraddetto dai fat-ti, basta guardare adesempio la situazione inGermania, in cui proprio leprostitute dicono che “Se

si parla di una soluzione per la tratta,con i bordelli legali la tratta non è maistata più fiorente” e che “le cooperati-ve di prostitute da noi non hanno maifunzionato non reggono la concorren-za di gestori più potenti, con giri e ri-cambio continuo di ragazze sempre piùgiovani”.

E invece di partire dall’assunto che ilsesso sia un diritto, come afferma lei nelsuo articolo, si può partire dalla pre-venzione, ovvero combattere la prosti-tuzione a livello culturale e sociale, stig-matizzando i clienti quali responsabilidella tratta. Come lei m’insegna, se nonc’è domanda non c’è mercato, quindi èlì che bisogna agire, soprattutto a livel-lo culturale.

Per fortuna ci ha pensato l’Europa conla Direttiva 2011/36/UE contro la do-manda di prostituzione e con la “Riso-luzione su sfruttamento sessuale e pro-stituzione, e sulle loro conseguenze perla parità di genere” approvata il23/1/2014, in cui si stabilisce che la vio-lenza di genere deve essere affrontataa livello comunitario e che bisogna sol-lecitare ulteriori provvedimenti per pre-venirla seguendo l’esempio di quanto èstato fatto in Svezia e non solo. Saluti,

Flavia [email protected]

LETTERE

intitolato “I dati americani”. Infine iltesto presenta vari riferimenti a suici-di o tentati suicidi indotti dai preti pe-dofili sulle loro vittime: «alcuni si sonosuicidati», a Ratisbona in un istituto

religioso «il compagno di classe Jo,provò a togliersi la vita tra il 1965 e il1966», una delle vittime del pluripre-giudicato prete genovese don Seppiafu intercettato dai carabinieri mentre

diceva al telefono «se non la smette miuccido».

Pierino Giovanni [email protected]

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47n. 6/2015 (103)

COS’È L’UAAR

L’UAAR, Unione degli Atei e degli Agno-stici Razionalisti, è l’unica associazionenazionale che rappresenti le ragioni deicittadini atei e agnostici. È iscritta, con ilnumero 141, all’albo nazionale delle As-sociazioni di Promozione Sociale, istituitopresso il Ministero della Solidarietà So-ciale. L’UAAR è completamente indipen-dente da partiti o da gruppi di pressionedi qualsiasi tipo.

I VALORI DELL’UAAR

Tra i valori a cui si ispira l’UAAR ci sono:la razionalità; il laicismo; il rispetto dei di-ritti umani; la libertà di coscienza; il prin-cipio di pari opportunità nelle istituzioniper tutti i cittadini, senza distinzioni ba-sate sull’identità di genere, sull’orienta-mento sessuale, sulle concezioni filosofi-che o religiose.

COSA VUOLE L’UAAR

L’associazione persegue tre scopi:• tutelare i diritti civili dei milioni di citta-dini (in aumento) che non appartengono auna religione: la loro è senza dubbio la vi-sione del mondo più diffusa dopo quellacattolica, ma godono di pochissima visi-bilità e subiscono concrete discrimina-zioni;• difendere e affermare la laicità delloStato: un principio costituzionale messo seriamente a rischio dall’ingerenza eccle-siastica, che non trova più alcuna opposi-zione da parte del mondo politico;• promuovere la valorizzazione sociale e culturale delle concezioni del mondo non religiose: non solo gli atei e gli agnostici per i mezzi di informazione non esistono, ma ormai è necessario far fronte al dila-gare della presenza cattolica sulla stam pae sui canali radiotelevisivi, in particolarequelli pubblici.

www.uaar.itIl sito internet più completo su ateismoe laicismo.Vuoi essere aggiornato mensilmentesu ciò che fa l’UAAR? Sottoscrivi la

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SOSTEGNO ALL’ASSOCIAZIONE

È possibile sostenere indirettamentel’UAAR secondo varie modalità. Essendol’UAAR un’associazione di promozione so-ciale, le somme ad essa corrisposte a ti-tolo di erogazione liberale possono esse-re detratte dall’imposta lorda IRPEF. Sem-pre grazie al suo stato di APS, l’UAAR puòanche ricevere donazioni e lasciti testa-mentari. Infine, acquistando libri da IBS eLaFeltrinelli.it attraverso il sito UAAR,l’associazione percepisce una commis-sione. (Maggiori informazioni alla paginahttp://www.uaar.it/uaar/erogazioni). Codice Fiscale: 92051440284.

SEGRETARIORaffaele Carcano

[email protected]

PRESIDENTI ONORARILaura Balbo, Carlo Flamigni,

Dànilo Mainardi, Piergiorgio Odifreddi,Pietro Omodeo, Floriano Papi, Valerio Pocar, Sergio Staino.

COMITATO DI COORDINAMENTORaffaele Carcano (Segretario)[email protected]

Isabella Cazzoli (Cerimonie laico-umaniste)[email protected]

Massimo Redaelli (Relazioni internazionali)[email protected]

Roberto Grèndene (Campagne)[email protected]

Stefano Incani (Merchandising)[email protected]

Massimo Maiurana (Tesoriere)[email protected]

Paolo Ferrarini (Comunicazione interna)[email protected]

Liana Moca (Circoli)[email protected]

Flaviana Rizzi (Assistenza morale non confessionale) [email protected]

COLLEGIO DEI PROBIVIRI [email protected]

Rossano Casagli, Michelangelo Licata,Maurizio Mei

RECAPITO DEI CIRCOLIANCONA (G. Gioacchini) Tel. 349.6348314

ASCOLI PICENO (E. Angelini) Tel. 320.2593664BARI (M. Lacriola) Tel. 080.5248082

BOLOGNA (B. Amadesi) Tel. 331.1331237BRESCIA (O. Cavagnini) Tel. 331.2174284CAGLIARI (S. Incani) Tel. 338.4364047CATANIA (F. Giurbino) Tel. 331.1330657

COSENZA (S. Sangiovanni) Tel. 393.3279094FIRENZE (B. Conti) Tel. 331.1331149

FORLÌ-CESENA (P. Cortesi) Tel. 347.8962164GENOVA (M. Melis) Tel. 331.1331144

GROSSETO (G. Sensalari) Tel. 329.2650989L’AQUILA (L. Moca) Tel. 328.1227901LA SPEZIA (C. Bisleri) Tel. 366.8985459

LIVORNO (C. Sturmann) Tel. 393. 3267086MILANO (V. Rosini) Tel. 331.1331121

MODENA (E. Matacena) Tel. 059.767268NAPOLI (S. Veneruso) Tel. 338.3307518PADOVA (M. Albertin) Tel. 331.1331109PARMA (C. Ravasi) Tel. 392.1603089PAVIA (F. Padovani) Tel. 338.2086797

PESCARA (A. Marimpietri) Tel. 349.5290417PISA (P. Corradini) Tel. 331.1330597

RAGUSA (M. Maiurana) Tel. 366.8951787RAVENNA (C. Pagnani) Tel 328.0026748

REGGIO EMILIA (M. Bagni) Tel. 366.8984731RIMINI (G. Bertuccioli) Tel. 331.1330686ROMA (C. Visciano) Tel. 338.3163509

SALERNO (F. Milito Pagliara) Tel. 328.9147853SAVONA (F. Marzadori) Tel. 349.3827339

SIENA (A. Massi) Tel. 346.8468650TARANTO (G. Malatesta) Tel. 345.0629815TERNI (E. Giulianelli) Tel. 331.1330643TORINO (D. Degiorgis) Tel. 331.1330651TREVISO (A. Monda) Tel. 331.1330649TRIESTE (G. Murante) Tel. 327.7013685UDINE (C. Chinaglia) Tel. 333.7262074VARESE (G. Barbieri) Tel. 328.3971088VENEZIA (C. Vigato) Tel. 331.1331225

VERONA (A. Campedelli) Tel. 045.6050186VICENZA (E. Rossi) Tel. 0444.348507

RECAPITO DEI REFERENTIALESSANDRIA (A. Bassi) Tel. 333.1980388

AOSTA (M. Pilon) Tel. 339.1055742BARLETTA-ANDRIA-TRANI(P. Ruggieri) Tel. 347.8464695

BIELLA (A. Ferraris) tel. 338.1667136BOLZANO (F. Brami) Tel. 320.6239987

CAMPOBASSO (N. Occhionero) Tel. 333.4591217CASERTA (M. Pignetti) Tel. 328.7082597COMO (I.N. Brambilla) Tel. 338.6458366FERRARA (S. Guidi) Tel. 349.4435997

FOGGIA (G.M. Gasperi) Tel. 335.7184729LECCO (M. Zuccari) Tel. 348.6040721

MASSA-CARRARA (F. Bernieri) Tel. 348.8544605PORDENONE (L. Bellomo) Tel. 392.0632246

POTENZA (A. Tucci) Tel. 333.4249093ROVIGO (M. Padovan) Tel. 0426.44688SONDRIO (T. Invernizzi) Tel. 333.1223030VITERBO (G. Goletti) Tel. 327.7316746

RECAPITO DEI REFERENTI ESTERI

BELGIO (A. Albertazzi) Tel. +32 484993801GERMANIA (A. Raccanelli) Tel. +49 1639087777

Tutti i Coordinatori/Referenti sono con-tattabili anche per e-mail, inviando unmessaggio a: nomecittà@uaar.it(esempio: [email protected], ecc.).

UAARUAAR, Via Ostiense 89, 00154 Roma

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48 n. 6/2015 (103)

In questo numeroEditorialedi Francesco D’Alpa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

ECOPAPA

Bergoglio e Boff: due svolte ambientaliste a confrontodi Stefano Marullo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

«Laudato si’» … una enciclica “innovativa” … ma anche nodi Enrica Rota . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

Purché non rimanga lettera morta ...di Fabio Fantini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Meglio tardi che mai di Valerio Pocar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

CONTRIBUTI

Premio Brian 2015: Spotlight, di Tom McCarthydi Paolo Ferrarini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

Un ostacolo chiamato Ipaziadi Stefano Scrima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

L’arte del disingannodi Armando Adolgiso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

Il problema del giorno: la “Comunione” ai risposatidi Eraldo Giulianelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

Il “nuovo” sacramento della comunione, gli antichi riti e il “nama” dei paganidi Fulvio Caporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

Irenäus Eibl-Eibesfeldtdi Baldo Conti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

Inserto speciale libri - INDEX LIBRORUM LEGENDORUM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

La schiuma spazio-temporale. Divulgare la fisica contemporaneadi Andrea Frova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

Gli archivi dell’Inquisizione romanadi Cesare Bianco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29

CONTRIBUTI

L’ateismo irrazionaledi Marco Iacobucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

Quando libertà e ragione entrano in conflittodi Raffaele Carcano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

I Valdesi e la memoriadi Stefano Marullo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

La favola della “Madonna della Lettera”di Carmelo La Torre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

PAROLE, PAROLE, PAROLE …

Diritto naturaledi Enrica Rota . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

Recensioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

Lettere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

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