23
SEBASTIANO MAFFETTONE IL VALORE DELLA VITA COSA CONTA DAVVERO E PERCHÉ

ILVALORE DELLAVITA - LUISS University Press · ILVALORE DELLAVITA COSA CONTA DAVVERO ... riguardadicertol’attualità,tuttaviabisognaammetterechechiscrive –postodifronteaquantoavevapensatoinunaltroperiododellasua

  • Upload
    dangthu

  • View
    214

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

SEBASTIANO MAFFETTONE

IL VALOREDELLA VITACOSA CONTA DAVVEROE PERCHÉ

SEBA

STIAN

OM

AFFETTO

NE

ILV

ALO

RE

DELLA

VITA

“Una vita non esaminata non è degna d’essere vissuta”socrate

luissuniversitypress.it

Sebastiano Maffettone, ideatore del concettodi “etica pubblica" e studioso del pensiero diJohn Rawls, ha insegnato nelle più prestigio-se università mondiali, tra cui Harvard, Lon-don School of Economics, Delhi University eSciences Po. È Professore di Filosofia politicaalla LUISS Guido Carli, dove dirige il Centerfor Ethics and Global Politics. Autore di nu-merosi volumi e saggi sia specialistici che di-vulgativi, per LUISS University Press ha giàpubblicato Un mondo migliore. Giustizia glo-bale tra Leviatano e Cosmopoli (2014) e Filo-sofia politica. Una piccola introduzione (2016).

In copertina:Bertel ThorvaldsenThe Ages of Love, 1824Thorvaldsens Museumwww.thorvaldsensmuseum.dk

€ 16,00

Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre 1910, a piùdi ottantadue anni, Lev Tolstoj lasciò la suacasa di Jasnaja Poljana. Dopo una fuga di quat-tro giorni, egli si ammalò e, costretto a fermarsialla stazione di Astapovo, vi morì la mattinadel 7 novembre.Cosa aveva spinto il grande romanziere a ungesto in apparenza tanto sconsiderato? Forsela stessa ansia di vivere della giovane Anna Ka-renina, o forse la ricerca della solitudine che,come aveva lasciato scritto alla moglie, gli sa-rebbe stata indispensabile per guardare in-dietro alla sua vita e forse accorgersi, come ilsuo Ivan Il’ic, che “non era stata come doveva”.Ma come deve essere una vita? Cosa conta dav-vero nell’arco della nostra esistenza? E se lagrande letteratura, da Omero a Shakespeare,da Tolstoj e Dostoevskij a Beckett, ha affron-tato più volte la questione del valore della vitae del senso dell’essere, forse più difficile è ilcompito di chi intende cercare una rispostamuovendo da una prospettiva e da interessi in-tellettuali diversi. In altre parole, di chi intendediscutere di tali questioni nell’orizzonte di scel-te pubbliche di natura morale. In questo sag-gio Sebastiano Maffettone tenta, assumendoun punto di vista filosofico laico e pluralista,l’analisi di questioni spesso curiosamente tra-scurate dalla filosofia occidentale. costruen-do una teoria del valore della vita che possaservire per valutare la nostra stessa esistenza.

Maffettone 04:Copertina 11-05-2016 17:45 Pagina 1

Sebastiano Maffettone

Il valore della vita

Cosa conta davvero e perché

Per la presente edizione italiana© 2016 Sebastiano MaffettoneTutti i diritti riservatiISBN 978-88-6105-238-3

LUISS University PressViale Pola 1200198 RomaTel. 06 85225485E-mail [email protected]

Editing Spell s.r.l.Progetto grafico e impaginazione HaunagDesign

Questo libro è stato composto in ITC Chartere stampato su carta Favini Shiro Eco White da 80grpresso Geca Industrie GraficheVia Monferrato 54, 20098 San Giuliano Milanese (Milano)

Finito di stampare: maggio 2016

Indice

Prefazione ..........................................................................pag. ixIntroduzione ...........................................................................“ 1

parte prima............................................................................“ 17capitolo primoUna scelta cruciale ..............................................................“ 191.1 Una neonata anancefalica.............................................“ 191.2 Una fine difficile ............................................................“ 231.3 Una fuga imprevedibile .................................................“ 261.4 Filosofie della vita .........................................................“ 291.5 Il vitalismo di Nietzsche ................................................“ 351.6 Una sola questione con due soluzioni diverse ................“ 431.7 Alla ricerca di un argomento sul valore della vita...........“ 48

capitolo secondoIl concetto di vita ................................................................“ 512.1 Diversi modi di riferirsi alla vita ....................................“ 522.2 Una metrica per la vita ..................................................“ 532.3 Rispetto per la vita ........................................................“ 552.4 La teleologia improbabile di Hans Jonas........................“ 592.5 La tutela della vita comune............................................“ 622.6 Un cerchio che si allarga (1): la vita vegetale .................“ 662.7 Le conseguenze etiche del biocentrismo ........................“ 692.8 Un cerchio che si allarga (2): la vita animale .................“ 752.9 Si può parlare di valore economico della vita? ...............“ 792.10 La visione religiosa......................................................“ 872.11 La concezione scientifica della vita ..............................“ 942.12 Ricapitolando..............................................................“ 105

vi il valore della vita

parte seconda ..................................................................pag. 109capitolo terzoEtica e valore ......................................................................“ 1133.1 La natura del valore ......................................................“ 1133.2 Il dilemma etico ............................................................“ 1163.3 La natura della morale ..................................................“ 1203.4 Sulla struttura delle teorie morali..................................“ 1223.5 Alcune distinzioni significative ......................................“ 1253.6 Raccomandazioni di metodo .........................................“ 1293.7 Principali teorie morali..................................................“ 1323.8 La nozione di giustificazione .........................................“ 1353.9 Il concetto di valore.......................................................“ 1383.10 Una posizione sul valore..............................................“ 1413.11 Teoria del valore e valore della vita .............................“ 151

capitolo quartoBioetica...............................................................................“ 1554.1 Le origini ......................................................................“ 1554.2 Alcuni casi significativi ..................................................“ 1604.3 La natura del dilemma ..................................................“ 1624.4 Bioetica tra politica e metafisica ....................................“ 1654.5 Bioetica e politica..........................................................“ 1674.6 Bioetica liberale (1).......................................................“ 1694.7 Bioetica liberale (2).......................................................“ 1724.8 Critiche alla neutralità ..................................................“ 1744.9 Rispetto del pluralismo .................................................“ 1804.10 Una questione metafisica.............................................“ 1814.11 Da politica a metafisica................................................“ 183

capitolo quintoMetafisica pubblica .............................................................“ 1875.1 Un mare senza riva........................................................“ 1885.2 Critica dell’antimetafisica..............................................“ 1905.3 Metafisica speculativa e metafisica pubblica ..................“ 1955.4 Prolegomeni di una metafisica pubblica ........................“ 1995.5 Pluralismo ontologico ...................................................“ 2025.6 Contro lo scetticismo pragmatista .................................“ 208

viiindice

5.7 Verso un costruttivismo metafisico ...........................pag. 2125.8 Valore della vita e metafisica pubblica ...........................“ 215

parte terza............................................................................“ 219capitolo sestoMorte..................................................................................“ 2256.1 La morte nella vita ........................................................“ 2256.2 La morte in una società secolarizzata ............................“ 2306.3 Una soluzione cristiana .................................................“ 2336.4 La visione esistenzialista ...............................................“ 2386.5 L’implausibilità delle due tesi precedenti .......................“ 2446.6 Morte e valore della vita................................................“ 2466.7 Una possibile critica alla mia tesi ...................................“ 248

capitolo settimoEutanasia............................................................................“ 2517.1 La questione eutanasica ................................................“ 2517.2 Un problema complesso ................................................“ 2537.3 La disponibilità della vita umana...................................“ 2567.4 Alcune distinzioni fondamentali....................................“ 2587.5 Bioetica liberale ed eutanasia non volontaria ................“ 2617.6 Teoria del valore e scelta eutanasica..............................“ 2657.7 La dignità del morente ..................................................“ 2687.8 Le dovute cautele ..........................................................“ 271

capitolo ottavoAborto ................................................................................“ 2758.1 Pro-vita e pro-scelta ......................................................“ 2758.2 Critica della tesi di Dworkin ..........................................“ 2778.3 Due interpretazioni della vita ........................................“ 2858.4 Uno sfondo metafisico laico e liberale............................“ 2878.5 Argomenti antiabortisti .................................................“ 2908.6 Le potenzialità del feto ..................................................“ 2928.7 Una conclusione morale sull’aborto...............................“ 295

Nota bibliografica .....................................................................“ 299

Prefazione

Il valore della vita viene pubblicato dopo circa venti anni dalla prima edi-zione. Sebbene, come spesso capita nei libri di filosofia, il contenuto nonriguarda di certo l’attualità, tuttavia bisogna ammettere che chi scrive– posto di fronte a quanto aveva pensato in un altro periodo della suacarriera e della sua vita – incontra qualche difficoltà a ripubblicare. Nonmi riferisco tanto al fatto che la bibliografia e gli stessi temi discussi nellibro siano invecchiati, quanto al fatto che un’opera come questa aspi-ra a una qualche forma di equilibrio tra autore e testo, equilibrio che gio-coforza rispecchia il momento in cui il libro è stato pubblicato per la pri-ma volta. Superata questa difficoltà iniziale, anche per l’affettuosa in-sistenza di quanti mi chiedevano di poter leggere ora un libro che nonsi poteva più acquistare, mi sono trovato di fronte ai consueti problemidi chi ripresenta un testo dopo parecchi anni: «lasciare tutto come era,nella convinzione che il lettore sia in grado di scontare il tempo, oppu-re cambiare radicalmente?». Mi sono deciso per una soluzione intermedia.Ho letto e riletto il tutto e apportato qua e là alcune modifiche che misembravano indispensabili. La maggior parte di queste consiste incambiamenti molto semplici e di piccola entità, per esempio trasformandoespressioni come «il nostro secolo» in «il secolo scorso» (il libro è statoscritto nel Novecento!). Ci sono poi alcune modifiche meno banali, là dovemi sembrava che il testo non fosse sufficientemente chiaro. Ci sono, in-fine, un paio di modifiche più significative nel capitolo sull’etica, che èpoi quello in cui ho mutato in parte alcune tesi che avevo al momentodella prima edizione.

Sul tema centrale del libro sono invece rimasto dello stesso pareredi allora. Ancora oggi credo che valga la pena discutere en philosophe,e che anzi bisognerebbe farlo di più, del «valore della vita». E tuttora sonoconvinto che il migliore modo per farlo sia sulla scorta delle tesi prin-

x il valore della vita

cipali di questo libro, sarebbe a dire che la questione sul valore della vitanon debba essere affrontata a partire da un’intuizione o comunque daun accesso privilegiato alla vita in quanto tale, ma che la questione stes-sa necessiti di un detour attraverso quella che è per noi la migliore teo-ria filosofica in materia. Come si può sapere facilmente leggendo le pa-gine che seguono, quest’ultima – ai miei occhi – presuppone un’analisidi problemi di natura etica e metafisica. L’esito di questa analisi è, oracome allora, che la mia visione filosofica sul valore della vita si inqua-dra nell’ambito di una teoria morale basata sulla nozione di scelta cri-tica e sulla struttura della metafisica pubblica. Se su tutto ciò non ho cam-biato parere, devo ammettere che ci sono aspetti delle tesi principale cheoggi affronterei in maniera diversa da prima. Oltre alla già ricordata re-visione del capitolo sull’etica, c’è un aspetto della metafisica pubblica sucui rifletterei di più. In questo libro, la metafisica pubblica – cioè la con-divisione di una filosofia di sfondo all’interno di una cultura – viene piut-tosto rigidamente contrapposta a quella che io chiamo «metafisica spe-culativa», che partirebbe invece dal sé e dalle sue reazioni esistenziali.Nel libro, l’importanza della metafisica speculativa viene – per quel checredo adesso – sottovalutata. Convinto anche dall’esperienza dell’India,oggi come oggi sarei più incline a rivalutare il rapporto tra la teoria delvalore in qualche modo universale e pubblica e l’esperienza del sé chele dà un senso unico.

Certe volte ripubblicare un libro che per te è stato importante è dav-vero un’esperienza significativa, che assomiglia in qualche modo a quel-la di leggere da adulto un libro che ti ha colpito quando eri molto gio-vane. Ti prende lo stesso, ma in un altro modo! E nel fare questa espe-rienza tu capisci quanto passare di là sia stato decisivo per te stesso. Perquesta esperienza così intensa, devo un ringraziamento speciale a Da-niele Rosa di LUISS University Press, che ha seguito il lavoro di pubbli-cazione de Il valore della vita in seconda edizione.

Dedico questo libro a mio figlio Pietro che ha iniziato da poco la car-riera di professore e di padre con l’augurio che la sua vita sia piena divalore.

Introduzione

Ci sono periodi della nostra esistenza in cui appare normale, se non ad-dirittura indispensabile, riflettere sul valore della vita. Penso per esem-pio agli anni dell’adolescenza, quando si cresce al cospetto di un mon-do che non si condivide ancora abbastanza, e a quelli della vecchiaia,quando si ricorda un lungo passato nella prospettiva di un futuro che siaccorcia sempre più. Oppure ancora ai numerosi traumi, di cui l’esistenzaè inevitabilmente intessuta, fino ad arrivare alla morte, passando per amo-ri e odi, successi e fallimenti, paci e guerre, unioni e divisioni. In certimomenti speciali siamo così particolarmente consapevoli di noi stessi,riflessivi e introspettivi. Non saprei dire se – in queste circostanze – sia-mo al meglio delle nostre potenzialità, intendo allo stesso tempo più ric-chi di umanità e consapevolezza. È certo invece che, ripensandoci, talioccasioni ci appaiono terribilmente importanti, anzi addirittura decisi-ve per capire noi stessi e il senso della vita.

Proprio per ciò sembra strano che i filosofi occidentali non se ne oc-cupino maggiormente nelle loro opere. Pochi sono, infatti, i testi – dal-l’Etica di Aristotele ai Saggi di Montaigne e all’Emilio di Rousseau, da qual-che pagina di Nietzsche fino alla Vita pensata di Robert Nozick – nei qua-li un filosofo affronta esplicitamente il tema del valore della vita in ma-niera coerente con la propria visione del mondo. Naturalmente, si puònotare, questa scarsità di testi intorno all’argomento dipende soprattuttodalla difficoltà dell’impresa. Soprattutto per chi sia intenzionato a evi-tare un tono oracolare, per chi voglia stare alla larga da un puro e sem-plice appello ai sentimenti o da una retorica fastidiosa, il tema in que-stione risulta impervio se non proibitivo. Sembra quasi, anzi, di essereal cospetto di un ostacolo insormontabile, costituito dalla resistenza chel’oggetto dei nostri interessi e della nostra curiosità intellettuale, e cioèla vita stessa, pare offrire a ogni tentativo di razionalizzarla, di spiegarla,

di comprenderla o di fornirle un senso. Insomma, la vita sembra esse-re un fenomeno troppo complicato perché noi possiamo discuterla ra-zionalmente e pacatamente, sarebbe a dire con il linguaggio e i metoditradizionali dei filosofi. Anzi, a ben riflettere, la filosofia rischia di ap-parire, da questo punto di vista, tutt’al più una distrazione o una con-solazione, in sostanza un modo per mantenersi alla larga dal cuore delproblema sul valore della vita. Quest’ultimo potrebbe essere invece af-frontato, se si accetta una simile premessa, solo facendo appello alla let-teratura, alla religione e all’arte.

C’è da aggiungere che la complessità intrinseca del tema non costi-tuisce, come del resto è intuitivo, l’unica difficoltà che incontriamo se vo-gliamo parlare seriamente del valore della vita. Aristotele poteva infat-ti credere, ai suoi giorni, che ci fosse un modello unico di «vita buona»cui ispirarsi, pressappoco quello degli happy few ateniesi del suo tempo.Ma oggi chi mai potrebbe seriamente credere qualcosa del genere? Di-versamente da lui, siamo infatti, e senza alcun bisogno di evocare sus-sulti postmoderni o nichilisti, del tutto convinti che il valore della vitaabbia un senso differente a seconda delle persone. Gauguin dovette la-sciare la civiltà e andare nei mari del Sud per realizzarsi pienamente, eTolstoj scappò di casa a più di ottant’anni con l’ansia di vivere di una gio-vane Anna Karenina. La maggior parte della gente, per la verità, non fascommesse così impegnative sulla propria esistenza, ma la consapevo-lezza di un pluralismo ineliminabile delle forme di vita e dei modi di va-lutarle mi sembra oggi diffusa e salda. Anche al di là di esempi di uominiillustri, rimanendo solo nella cerchia dei nostri amici come non notareche c’è tra loro chi predilige la religione e chi la riflessione laica, chi in-vece punta tutto sul lavoro, o piuttosto sullo sport o la famiglia, e chi al-fine non trova nulla di interessante negli obiettivi più comuni e passa ma-gari gran parte della giornata davanti al computer o a guardare la tele-visione? In presenza di tanta diversità, come si può avere anche solo l’ar-dire di parlare di un valore della vita? Il pluralismo delle morali e delleforme di vita pare rendere obsoleto e impraticabile ogni argomento delgenere.

Peggio ancora, chiunque tentasse di presentarne uno, specialmen-te se da professore, passerebbe infatti, oltre che per troppo audace, an-che per arrogante e illiberale. Come si può essere – non si potrebbe farea meno di osservare – così presuntuosi da voler dire agli altri in che cosa

il valore della vita2

consiste il valore della vita? Anche nel dire a un adolescente che sareb-be meglio suonare il piano o leggere un romanzo, invece di guardare latelevisione oppure trastullarsi con un videogioco, provo qualche imba-razzo. Temo infatti di invadere la sua privacy, urtare la sua suscettibili-tà, soprattutto di pretendere di sostituirmi a lui nel decidere sull’impiegodel tempo libero dalla scuola. Dopotutto, come mi diceva il mio genitoreliberale, nessuno è tanto felice da poter dire agli altri, con la speranzadi essere creduto, quale scopo perseguire. E Thomas Hobbes diede ra-gione di questa infelicità diffusa, sostenendo addirittura che la vita è népiù né meno che «solitaria, povera, ostile, brutale e corta» (meno maleche almeno è corta!, verrebbe fatto di osservare). Figuriamoci la per-plessità che viene dalla pretesa di parlare in generale, rivolgendosi a unpubblico anonimo, di cui neppure si conoscono i gusti e i valori. Pensandoa questo, è arduo non chiedersi: chi meglio dell’interessato/a potrebbesapere ciò che fa al caso suo e in che cosa consiste per lei o per lui il va-lore della vita?

Se nonostante queste comprensibili remore ho scritto ugualmenteil libro che avete tra le mani, la ragione è che le mie pretese sono di cer-to molto meno ambiziose. Da un lato, infatti, si tratta di un’esigenza piut-tosto personale. Come diceva mia madre quando ero bambino, il tem-po passa spaventosamente in fretta: solo ieri eravamo ragazzi, e stiamodiventando vecchi. Durante il percorso viene spontaneo interrogarsi. Fareuna sorta di bilancio. Come in un film, le cui immagini scorrono dallafine al principio a velocità accelerata, gli eventi di una vita si succedo-no rapidi: studi, amore, matrimonio, lavoro, genitori, figli, amici, ses-so, religione, benessere economico. Che importanza abbiamo dato e dia-mo a ognuna di queste cose? E, soprattutto, in base a quale criterio? Ari-stotele proponeva il criterio dell’eudaimonia, parola greca tradotta in ita-liano normalmente con «felicità». Ma che, secondo alcuni studiosi, for-se vuol dire qualcosa di più generale e indeterminato, e indica una sor-ta di corrispondenza ben riuscita tra desideri e risultati, qualcosa che as-somiglia, piuttosto che a «felicità», ad «autorealizzazione» o «fiorituraumana». Kant proponeva quello assai più rigido dell’adempimento delpuro dovere. A me (forse perché sono mediterraneo e non tedesco) sem-bra più naturale, dovendo optare tra questi due criteri, seguire il sug-gerimento di Aristotele, senza che ciò implichi peraltro un’opzione fi-losofica più generale. Quando penso a un bilancio della mia vita, tendo

introduzione 3

così a farlo approssimativamente in termini di eudaimonia. Valuto, qua-si in modo istintivo, le mie decisioni passate in termini di soddisfazio-ni per ciò che ho fatto e di rimpianti per quello che non sono riuscito afare, il tutto alla luce di un ideale di realizzazione del sé. Naturalmen-te, come gli altri sono influenzato dall’esperienza quotidiana, e questoesercizio valutativo diviene per me carico di ricordi, teorie e argomen-ti che possiamo chiamare in senso lato filosofici.

Fin qui la pretesa sarebbe davvero modesta, forse anche troppo. Lapratica diffusa del ricordo, della soddisfazione o del rimpianto si tinge-rebbe di colore filosofico sul canovaccio di uno che fa di mestiere il pro-fessore di filosofia. In realtà, sotto questo primo e naturale impulso si na-sconde una pretesa più generale e perciò, spero, di qualche interesse teo-rico. Non ho, infatti, alcuna intenzione di sottoporre al lettore le mie espe-rienze individuali, e neppure desidero raccontargli come personalmen-te interpreto il senso dell’esistenza. Piuttosto, intendo presentare nellepagine che seguono una tesi di natura filosofica sul valore della vita, no-nostante le difficoltà dell’impresa. Parto, in questo tentativo, dal pre-supposto che la teoria filosofica non sia priva di indicazioni che vanno aldi là del percorso individuale, delle esperienze dei singoli e dei loro vis-suti. Credo anzi che, se si accetta questa premessa, anche i problemi dicui stiamo parlando diventino più affascinanti e densi di significato. A co-minciare dal primo e più evidente, sarebbe a dire: quale tipo di teoria fi-losofica può avere rilievo per un esame valutativo della vita, e perché?

Sarebbe impossibile, però, rispondere a questa domanda, meglio an-cora a questo tipo di domande, con un’indicazione precisa e immedia-ta. Non si può, in altre parole, se si vuole tentare di farlo progressivamentee con metodo, evitare di partire da alcune nozioni fondamentali, che co-stituiscono lo sfondo su cui una teoria filosofica può cercare di costrui-re le sue tesi. Da questo punto di vista, un esame del valore della vita pre-suppone una questione che, temo in maniera oscura per chi non si oc-cupi di filosofia abitualmente, possiamo definire ontologica. Con «on-tologia», una parola di origine greca entrata nel gergo filosofico si intendedi solito quel ramo della metafisica che più direttamente si occupa di ciòche esiste. La metafisica è, a sua volta, quella parte della filosofia che cer-ca di indagare la natura ultima della realtà. Le tipiche domande onto-logiche sono: «Che cosa esiste?» e «Come possiamo affermarlo?». Nonsi intende, in questo caso, rispondere presentando una lista o un inventario

il valore della vita4

delle cose che ci risulta esistano, dal computer con cui sto scrivendo agliabiti che indosso, ma piuttosto discutendo i caratteri fondamentali del-la realtà. Ciò che, seguendo Aristotele, si dice lo studio dell’essere in quan-to essere.

Sono sicuro che, a questo punto, non mancherà, tra i lettori, chi saràpreso da un comprensibile sconforto, perlomeno per due ragioni. An-zitutto, è difficile intendere perché abbiamo bisogno di discutere del-l’essere in quanto essere, se il nostro scopo rimane quello di valutare ilsenso della vita. In secondo luogo, sembra che la soluzione proposta siaancora più controversa e complicata del problema iniziale. Cercherò quin-di di affrontare brevemente tali questioni in questa Introduzione, anchese solo l’intero libro può sperare di riuscirci in maniera più attendibile.

La discussione sull’essere in quanto tale serve in primo luogo a vin-colare la nostra fantasia, ancorandola alla realtà. Possiamo, infatti, con-siderare la parola «realtà» alla stregua di un sinonimo, impreciso quan-to si vuole ma forse più comprensibile, di «essere». E aggiungere che pro-prio la ricerca aristotelica di una fioritura umana, di una vita vissuta cioèall’altezza dei propri desideri, ci apparirebbe priva di senso se non aves-se qualche contatto con la realtà. Sarebbe, infatti, soltanto un sogno,un’esperienza puramente soggettiva, in cui il principio del piacere – perdirla con Freud – non incontrerebbe mai il principio di realtà. L’appel-lo alla realtà, per quanto vago, serve dunque a rendere più verosimili lenostre esigenze di autorealizzazione.

La complessità del rinvio all’ontologia è poi innegabile, ma, a mio av-viso, altrettanto necessaria per il bene dell’argomento. Essa serve, anzi-tutto, a renderci consapevoli del rapporto tra essere (o realtà) e teoria.In polemica con una tradizione che diceva il contrario, Kant cercò di mo-strare come la pura ragione non possa indicare, in maniera aprioristica,quali entità devono necessariamente esistere. Detto in modo rudimen-tale, ma spero efficace, Kant separò così la nozione di essere (o realtà)da ogni intuizione primitiva con cui si può pretendere di coglierlo, da ognitentazione cioè di conoscere la realtà prima e indipendentemente dalleversioni che, attraverso la teoria, possiamo darne. Dopo di lui, ogni vi-sione dell’ontologia che si basi su un accesso privilegiato e spontaneo allarealtà, non mediato cioè dalle interpretazioni sistematiche che siamo ingrado di fornire, divenne implausibile. E, come cercheremo di argomentarenel prosieguo, questo vale anche per la nozione di vita.

introduzione 5

La conclusione del capoverso precedente ci invita subito, ancorchémolto genericamente per la verità (ma il tema sarà discusso a lungo inseguito), a prendere partito per una visione in cui la vita non viene esa-minata nella sua immediatezza, ma piuttosto attraverso la mediazionedella propria teoria filosofica preferita. Già accettare una tesi come que-sta implica a mio avviso optare per una visione della vita diversa, e sta-rei per dire opposta a quella che hanno offerto, nel secolo ventesimo ein quello precedente, molte cosiddette «filosofie della vita» nonché le tra-dizionali religioni rivelate. Né l’essere (o realtà), né la vita stessa si dan-no, secondo la mia tesi, in maniera diretta, senza che le categorie teo-retiche e pratiche siano coinvolte nel corso dell’esperienza.

Una tesi del genere può apparire inquietante per una ragione sem-plice da comprendere. Se, infatti, come ho già prima affermato, la realtànon si dà indipendentemente dalla teoria, e se – come del resto apparenormale pensare oggi – ci sono diverse teorie scientifiche, etiche e on-tologiche, allora non potremo mai convergere su una visione unitaria diciò che è. Il pluralismo delle teorie diventerebbe in tal caso automati-camente il pluralismo dei modi di vedere e costruire il mondo. E ciò, comesi accennava, preoccupa molti, che ritengono ci sia una connessione ine-liminabile tra buon senso, decoro morale e unicità della realtà. Costo-ro, però, hanno torto. Il pluralismo è un elemento di fatto non trascu-rabile della nostra cultura. E, quindi, della nostra metafisica. Proprio perciò l’ontologia, se diamo ascolto alla mia proposta, riflette il pluralismodi cui si parlava poc’anzi, e non può essere più ispirata a un pigro rea-lismo monistico. In un universo pluralista nessuno può, così, afferma-re in buona fede di conoscere il «vero» valore della vita, mentre è pos-sibile presentare una visione teorica del valore della vita che appaia mi-gliore e più plausibile delle altre.

Se si accetta, per il momento, tale conclusione, che discuterò ana-liticamente nel corso del libro, si fa meno fatica ad accettare anche l’al-tra, secondo cui l’etica, in quanto teoria del valore, rappresenta il modomigliore in cui possiamo valutare una vita. Questa tesi, che faccio miain tutto il libro, non rappresenta una specie di escamotage per mette-re da parte le esperienze drammatiche e decisive di cui si faceva men-zione all’inizio dell’Introduzione, esperienze da cui peraltro inizia di so-lito un esame autentico della vita. L’esperienza che si può provare sulletto di morte, rivedendo tutta l’esistenza come in un lungo flashback,

il valore della vita6

nel senso che vi attribuiva per esempio Marco Aurelio, è sicuramenteunica e irripetibile per riflettere sul valore della vita. E lo stesso può dir-si per l’esperienza, che ognuno di noi avrà fatto almeno una volta, diun’epifania, di un momento cioè rivelatore e illuminante, in cui un de-stino, che avevamo sempre dapprima cercato senza trovarlo, ci appa-re all’improvviso chiaro e a portata di mano. Introdurre il discorso sul-l’etica non vuol dire così togliere spazio o significato a questo tipo di espe-rienze. Vuol dire soltanto che, per parlarne in un orizzonte di com-prensione ampio e tendenzialmente universalistico, noi dobbiamo as-sumere una teoria del valore.

L’etica rappresenta, da questo punto di vista, soltanto un modo au-torevole e tradizionale di trattare una teoria del valore. Quest’ultima do-vrà, per le ragioni cui si accennava in precedenza, costituire un luogo diincontro tra vissuti ed esperienze morali diversi. Una società aperta e mul-ticulturale si riconosce in una cultura ispirata al pluralismo e quindi inun’ontologia, cioè nell’architettura profonda delle credenze e dei sen-timenti, basata sulla diversità e la tolleranza. Ma ancora di più si riflet-te nell’etica, e perciò nella teoria del valore, che deve fare di questo es-senziale pluralismo un suo punto di partenza. Per cui, la teoria etica deveconfrontarsi con il paradosso di essere, come è sempre stata, un elementocostitutivo dell’identità individuale e di gruppo, consentendo al tempostesso il massimo di pluralismo e differenza.

Si possono cogliere, anche intuitivamente, due difficoltà della tesiproposta. Da un lato, sembra infatti evidente che il termine «valore» ri-sulta ambiguo. Per alcuni pensatori come Platone, i padri della Chiesa,in qualche modo Bentham e i cosiddetti intuizionisti morali (coloro percui ci sono verità morali primitive che possiamo apprendere tramite in-tuizioni sui generis), il valore consiste nel perseguimento di un bene –anche il più generale, come la conoscenza, l’utilità o la perfezione mo-rale – oggettivamente inteso. Per altri invece, come Kant, Habermas, Rawlse i contrattualisti (questi ultimi sono coloro per i quali i principi mora-li dipendono da una virtuale intesa originaria), un bene di tal fatta nonesiste, per cui il valore consiste nella coerenza generale, nell’adempimentodegli obblighi o nel rispetto dei principi. Io, come si vedrà nel seguito dellibro, propendo per la seconda di queste versioni. Una versione che pog-gia a sua volta su una peculiare teoria, che basa il valore sulla nozionedi scelta critica.

introduzione 7

A tale proposito vale la pena di anticipare che, nel prosieguo, cercheròdi collegare questa versione del valore a una tesi metafisica di fondo, cheintroduce all’interno dell’ontologia nozioni morali come quella di tol-leranza. In sostanza, a mio avviso, ci sono buone ragioni teoriche per op-tare a favore di un’ontologia intrinsecamente pluralista, che consente,escludendone altre, soltanto una versione peculiare del valore. Intendocontrappormi, collegando in questo modo etica e metafisica, a una diffusae perversa connessione tra realismo monistico in ontologia, oggettivi-smo in etica e fondamentalismo in politica, connessione cui sono pro-fondamente contrario, e che critico nelle pagine seguenti, proponendoleun’alternativa filosofica laica e pluralista.

Su tale connessione tra realismo metafisico e fondamentalismo valela pena di spendere qualche parola in più sin da ora, poiché si tratta diun obiettivo critico centrale di questo libro. Secondo la tesi del monismometafisico tradizionale, nella mia lettura, esiste una versione privilegiatadei fatti. Quest’ultima dipende di solito da qualche forma di corrispon-denza tra detta versione e la realtà ultima del mondo, intesa come «so-stanza» alla maniera di Aristotele, o in altri e più sofisticati modi. Secondoi realisti metafisici, in altre parole, esiste una realtà indipendente dal no-stro modo di osservarla e interpretarla, che tutti condividiamo prima diogni esperienza teoretica o pratica.

Tale credenza in una versione privilegiata dei fatti genera una diffi-coltà, se non addirittura un’impossibilità, a prendere sul serio il plurali-smo, e perciò il realismo metafisico si coniuga sovente con forme di fon-damentalismo. Se, infatti, c’è una sola Verità (con la «V» maiuscola), comesi può accettare serenamente la diversità delle opinioni? Da ciò dipen-de quindi la tentazione di affidarsi al fondamentalismo in etica e in po-litica, di cui si diceva prima. Si noti che, in questa prospettiva, tanto i fau-tori di una religiosità intollerante quanto i sostenitori delle svariate filo-sofie della vita, che il secolo ventesimo ci ha proposto sulla scorta di quel-lo precedente, sono accomunati da un percorso simile. I fan del Tutto, no-nostante le apparenze, prosperano gomito a gomito con quelli del Nien-te, e, forzando la mano, si può persino dire che un unico modo di ragio-nare sottintende le visioni metafisiche di Nietzsche o di Heidegger e deifondamentalisti islamici. Il culto dell’originario, infatti, accomuna le fi-losofie della vita con la forza della parola rivelata per attaccare dalle ori-gini il discorso critico, e cioè la base intellettuale di una società aperta.

il valore della vita8

Ora a me sembra che, come vedremo in seguito, se c’è qualcosa sucui la filosofia contemporanea mostra un accordo di fondo questo è pro-prio la intrinseca problematicità dei fatti, intesi come evidenze prima-rie. Tale problematicità viene sottolineata, per restare in ambito filoso-fico contemporaneo, tanto dai pensatori di matrice fenomenologica (comeHusserl e Heidegger), quanto dalle scuole analitiche dal secondo Witt-genstein a Quine (secondo cui l’ontologia dipende dalla teoria). Per riu-scire a ribaltare queste tesi, allora, occorrerebbe una forza argomenta-tiva straordinaria, che il realismo metafisico, nelle sue molteplici versioni,non sembra fin qui aver dimostrato. Il realista metafisico dovrebbe, in-fatti, riuscire a dimostrare una connessione univoca, tanto profonda quan-to improbabile, tra il linguaggio e il mondo, le parole e le cose.

Tuttavia, proprio l’impraticabilità del realismo spesso genera una con-tromisura eccessiva e disperante. Intendo riferirmi a tutte quelle proposteche, magari radicalizzando l’idea heideggeriana di differenza ontologica,e cioè sostenendo l’incomunicabilità di fondo tra noi e il mondo, risolvo-no la problematicità del dato nell’impossibilità del discorso. La sfiducia nel-le possibilità del realismo si ribalta, in tal modo, in un nichilismo pervasi-vo, per il quale ogni tentativo di costruire un dialogo ragionevole è desti-nato al fallimento, se pure non nasconde intenzioni perverse di dominio.

Tutto il presente libro è costruito sull’idea, di ispirazione kantiana,secondo cui tra il realismo metafisico di molte tradizioni religiose e il ni-chilismo radicale di queste ipotesi c’è una possibilità intermedia, che purresistendo al primo non finisca per accettare il secondo. Tale ipotesi dilavoro insiste così sulla fecondità del discorso e sulla possibilità di co-struire al suo interno distinzioni concettuali e argomentative che valu-tino, comparandole, diverse proposte intellettuali e filosofiche.

Da questo punto di vista, sembra chiaro il motivo per cui le filosofiedella vita – come cercherò di argomentare – non rispondono alle nostreesigenze allo stesso modo degli appelli mistici. L’idea che la vita sia unprius categoriale sembra, infatti, o frutto di un’ipostatizzazione impro-pria, che presupponga una realtà primitiva e condivisa come voglionole tesi del realismo metafisico, oppure l’esternazione disperata di un so-lipsismo incapace di comunicare. Solo se la vita viene pensata in terminidi teoria e di dialogo, al contrario, è ipotizzabile una valutazione ra-gionevole, e cioè un argomento non puramente descrittivo e non me-tafisico-realistico, sul valore della vita.

introduzione 9

L’altra difficoltà evidente nella mia proposta consiste nel fatto che gliesseri umani di solito non cercano soltanto il valore in quello che fanno.Il valore, in altre parole, non è l’unica dimensione valutativa che teniamopresente quando pensiamo alla vita. Noi, per esempio, vogliamo anche chele nostre vite abbiano significato. Il problema del significato della vita in-terseca, in tal modo, quello del valore della vita. Secondo alcuni, signifi-cato e valore della vita sono sinonimi. Non sarebbe possibile, se seguia-mo questa interpretazione, valutare granché una vita che non sia parti-colarmente significativa, e, viceversa, non avrebbe molto significato unavita scarsamente dotata di valore. Io preferisco distinguere, invece, tra si-gnificato e valore della vita. Come ha sostenuto Robert Nozick, il concettodi significato è sempre pensato alla luce dei limiti di qualche cosa, limitimagari da attraversare o superare, mentre il concetto di valore presupponeun’integrazione all’interno di confini presupposti. Se si accetta questa di-stinzione, su cui tornerò più avanti, si può anche comprendere perché hodeciso di parlare nel seguito di valore della vita piuttosto che di significatodella vita. Si può dire, infatti, che il significato della vita presupponga unvalore, e non viceversa. Per pure ragioni concettuali la ricerca del signi-ficato della vita, rimandando a limiti sempre ulteriori, ci condannerebbea un regresso infinito. Ciò a meno di un limite che noi poniamo alla ricercastessa. Tale limite può essere costituito per l’appunto dal valore.

Proprio per questa ragione la ricerca di un significato della vita puòessere concepita come vana e disperante. Freud sostenne una volta inuna lettera a Marie Bonaparte che essa costituiva addirittura un segnotipico di una «libido insoddisfatta», anche se ammise in un secondo tem-po di aver esagerato in quell’occasione per eccesso di pessimismo. E Nietz-sche concepì ancor prima di lui la ricerca di significato come il sintomodi una malattia squisitamente umana. Tra i filosofi del Novecento, Lud-wig Wittgenstein, in un momento mistico, ebbe a sostenere:

La soluzione del problema della vita va vista alla luce della scom-parsa di questo problema […] Ma è mai possibile per un essereumano vivere la vita smettendo di essere problematico? Non equi-varrebbe a vivere nell’eternità e non nel tempo?È questa forse la ragione per cui le persone cui il significato del-la vita è divenuto chiaro dopo lungo dubitare non riescono a direin che cosa tale significato consiste?

il valore della vita10

Tale diffuso scetticismo sul significato della vita si traduce spesso in uncorrispondente pessimismo sul valore. Anzi il pessimismo nichilisticocostituisce probabilmente la tendenza dominante nella letteratura fi-losofica in materia. Penso qui alle posizioni di scrittori come Scho-penhauer e Nietzsche, oppure, per restare più vicino a noi, agli esi-stenzialisti. Costoro, anche se con argomenti diversi, hanno tutti so-stenuto una tesi nichilista che in senso lato possiamo chiamare «as-surdista», tesi efficacemente riformulata ai giorni nostri da Thomas Na-gel, in Questioni mortali, in termini di conflitto permanente tra impe-gno del singolo e mancanza di senso del mondo. Una conseguenza ti-pica della tesi assurdista consiste nel non poter credere in ogni ipotesiteorica sul valore della vita.

Come è noto, Schopenhauer basava la sua visione tragica dell’esi-stenza sul fatto che ogni evento naturale e umano appare dominato daun principio insensato e brutale, che resiste a qualsivoglia nostro ten-tativo di attribuirgli significato e valore. A questa volontà oggettiva divita, priva di ogni comprensibile senso, corrisponde – sempre nella suaprospettiva – una perdurante infelicità soggettiva. Ognuno di noi puòriconoscere tale supremo principio metafisico privo di scopo che governatutto il creato, ma nulla può fare per mutare il corso degli eventi. L’uni-ca via d’uscita rimane quella di una dignità individuale disposta alla com-passione per la sofferenza che accompagna ogni forma di vita. Partendoda premesse non troppo dissimili, Nietzsche intende ribaltare quello chea suo avviso è un esito puramente negativo della filosofia di Schopen-hauer. Ai suoi occhi, la profonda distruttività della volontà vitale nonimplica l’impossibilità di vivere produttivamente. Se la totalità del mon-do appare anche a lui priva di spirito e ragione, non per questo dobbiamofare a meno di crearci un destino di coraggio e nobiltà. Potremmo direin proposito che il pessimismo cosmico di Nietzsche rassomiglia a quel-lo di Schopenhauer dal punto di vista descrittivo, nel senso che la sof-ferenza è centrale nell’esperienza della vita, ma che se ne distacca dalpunto di vista delle raccomandazioni normative, perché il forte, lungidall’avvilirsene, trova in ciò il coraggio per vivere pienamente.

C’è sicuramente nelle idee di Nietzsche qualcosa che cattura i sen-timenti dell’uomo del nostro tempo, anche se – come vedremo più avan-ti – la sua posizione si rivela teoricamente debole e moralmente inso-stenibile. Attraverso la mediazione dell’esistenzialismo e della feno-

introduzione 11

menologia tedeschi, una simile prospettiva nichilista e drammatizzan-te viene resa popolare dagli scrittori tipici dell’assurdismo, come lo ab-biamo chiamato prima, quali Jean-Paul Sartre e Albert Camus. Que-st’ultimo, soprattutto, chiarisce la posizione assurdista in termini di unafondamentale discrepanza tra la ricerca umana di «felicità e ragione» ela consapevolezza che non esiste nulla nell’universo capace di soddisfarla.L’assurdo nasce così dal conflitto strutturale e tragico tra «i bisogni uma-ni e il silenzio irragionevole del mondo».

Questo assunto dilemmatico è stato tradotto nel gergo della filoso-fia morale contemporanea da Thomas Nagel, nel libro prima citato. Quiil conflitto decisivo diviene quello tra le esigenze contrapposte e irri-nunciabili di «autotrascendenza» e «autoconsapevolezza». L’uomo nonpuò evitare di pensarsi né da un punto di vista oggettivo, né da un pun-to di vista soggettivo. Il senso dell’assurdo nasce dall’impossibilità di nonprendere sul serio i nostri valori soggettivi, congiunta alla parallela im-possibilità di radicarli oggettivamente nella realtà. Per cui la tesi di Ca-mus secondo cui nulla ha importanza viene riproposta in termini di man-canza di ogni certezza oggettiva.

Qualsiasi persona ragionevole, io credo, può riconoscere che la spro-porzione fra l’attaccamento ai nostri valori e la difficoltà di attribuire loroqualsivoglia significato oggettivo genera un senso di assurdo. Il proble-ma consiste nel vedere quanto tale conflitto sia decisivo e ultimo. Ho l’im-pressione, infatti, che le tesi assurdiste tendano a esagerarne la portatapervasiva. Dopotutto noi non viviamo nell’eternità ma nel tempo, e nonpossiamo prescindere dalla creazione di valore nell’ambito di vite de-terminate e attuali, le nostre vite. Da questo punto di vista, è chiaro chequalsiasi tentativo di giustificare tale esigenza genera uno spiazzamen-to esistenziale e una sorta di vortice tragico. Ma d’altra parte è pure evi-dente che la nostra interrogazione sul valore della vita non può prescindereda ciò che noi facciamo, per così dire, indipendentemente dal tutto, nel-le nostre esistenze limitate e, per quel che sappiamo, irripetibili.

Questo complesso argomento, che costituisce la parte teorica cen-trale del libro, non è privo di una finalità pratica, se così la vogliamo chia-mare. Tale finalità consiste proprio nel dare allo spirito laico e liberaleuno sfondo teorico adeguato ad affrontare la questione sul valore del-la vita. A molti è parso spesso che solo i mistici e i nichilisti avessero dal-la loro parte il conforto di un retroterra culturale all’altezza di un simi-

il valore della vita12

le formidabile quesito esistenziale e morale. La mia tesi principale in que-sto libro intende formulare un attacco alle posizioni mistiche e nichili-ste e insieme una proposta positiva per uomini e donne liberali. La parsdestruens, che riguarda mistici e nichilisti, è stata in parte anticipata daquanto detto finora. La pars construens, invece, consiste nella formula-zione di un’ipotesi di teoria del valore che, collegata a una visione me-tafisica di fondo, consenta agli spiriti liberali di affrontare dilemmi pra-tici che riguardano il valore della vita, del tipo di quelli posti dalla bioe-tica, con la convinzione di avere alle spalle una visione del mondo piùarticolata e coerente di quanto essi stessi talvolta non credano. I liberali,nella mia ricostruzione, hanno infatti dalla loro parte la migliore versionedella metafisica e dell’etica che i nostri tempi mettono a disposizione. Tut-to ciò non vuol dire che siano in grado di risolvere in maniera filosofi-camente soddisfacente problemi drammatici e profondi come quelli cheriguardano, per esempio, l’aborto e l’eutanasia. Ma vuol dire che – ar-mati di modestia e pluralismo – possono nutrire speranze più solide de-gli altri nell’accostarsi a essi.

Questo libro discute, in maniera analitica, i temi cui finora ho soltantoaccennato. È diviso in tre parti che, pur presentando un’unità di fondo,sono concettualmente distinguibili con sufficiente chiarezza. I due ca-pitoli della Parte prima affrontano il problema del valore della vita neisuoi molteplici aspetti. Più precisamente, il capitolo I afferma che la que-stione della vita non viene filosoficamente ben trattata se non attraver-so il concetto di valore, mentre il capitolo II indaga sui modi diversi incui si può parlare di valore della vita. In entrambi i capitoli, vengono an-che criticate le visioni alternative del valore della vita, preparandosi intal modo la strada alla mia posizione.

Questa viene presentata nella Parte seconda e terza. La Parte seconda,nel complesso, tratta temi affatto generali, che sono apparsi comunqueindispensabili per la comprensione della questione sul valore della vita.Più precisamente, il capitolo III fornisce alcuni rudimenti generali di eti-ca come teoria del valore. Questo stesso capitolo, che per gran parte svol-ge una funzione introduttiva, si chiude con una mia versione di teoriadel valore come scelta critica, versione importante per comprendere latesi principale del libro. Il capitolo V presenta una peculiare versione dimetafisica, da me chiamata «metafisica pubblica», che dovrebbe servi-

introduzione 13

re, oltre che a criticare posizioni diverse, allo scopo prima dichiarato dicongiungere ontologia e pluralismo. Il capitolo IV di questa parte generaleè invece dedicato alla bioetica, cioè a quella branca dell’etica cheaffronta la vita sotto particolari condizioni critiche. La prima metà delcapitolo discute la bioetica nei suoi lineamenti generali, ispirandosi, siapur criticamente, a una recente ma intensa tradizione soprattutto an-glosassone. La seconda metà si muove nella prospettiva di un peculia-re composto di metafisica e politica, riconducendo la bioetica al libera-lismo filosofico, così come ha fatto da non molto Ronald Dworkin nel suolibro Il dominio della vita.

Nella Parte terza, infine, gli ultimi tre capitoli – il VI, il VII e l’VIII –applicano il paradigma precedentemente presentato a tre classi di casio problemi, rispettivamente l’esame filosofico della morte, dell’eutana-sia e dell’aborto. Parlare di applicazioni, per la verità, è eccessivo, poi-ché non credo che vi siano teorie da applicare alla lettera in casi del ge-nere. Tuttavia, mi è parso utile concludere l’analisi del problema centraledel libro attraverso la discussione di questioni pubbliche in cui il valo-re della vita stia al centro di dilemmi attuali e profondi.

Chi avrà la pazienza di leggermi sarà certamente deluso dal fatto che,in tutto il libro, non si dice che cosa sia in effetti il valore della vita. Datele premesse che abbiamo presentato in questa Introduzione, ciò non sa-rebbe stato però possibile. Dubito, tuttavia, che qualcosa del genere siasemplice anche per chi parte da premesse diverse dalle mie, perlome-no se intende farlo in una prospettiva critica e impersonale com’è tipi-co della filosofia. Questa prevedibile conclusione non equivale, comunque,a un invito allo scetticismo. E neppure afferma che la filosofia sia inuti-le nella ricerca del valore della vita. Può però tutt’al più servire, per quelche io credo, da viatico. Ci accompagna nel nostro cammino, ma non cidice che cosa troveremo a destinazione. Del resto non si tratta di una sor-presa, dato che, come già osservava criticamente Sören Kierkegaard neisuoi diari, i filosofi di solito sostengono che la vita si comprende sempre«da dopo», lasciando alquanto insoddisfatto chiunque noti che, però, lasi vive «da prima».

Un’indicazione, che si può trarre comunque dal volume considera-to nel suo insieme alla maniera di un solo lungo argomento, consiste cosìnell’invito a guardare alla vita come a una scelta, e per meglio dire comea una scelta criticamente orientata. Il valore della vita dipende, in tal

il valore della vita14

modo, dalla capacità di creare percorsi esistenziali insieme interessan-ti per noi e giustificabili da un punto di vista universale. In questo modo,ci si pone – noi suggeriamo – al riparo dai pericoli intellettuali sia del dog-matismo sia dello scetticismo. Mi ricongiungo, così, a una tradizione dipensiero liberale, che possiamo retrodatare perlomeno fino al famosoSaggio sulla libertà di John Stuart Mill e che arriva oggi fino a John Rawls.E cerco di estendere questa tradizione oltre i suoi limiti abituali, scon-finando in un terreno che è stato di solito più adatto alle speculazioniesoteriche che alla filosofia pubblica e sperando, com’è ovvio, di far rien-trare questo stesso terreno nell’ambito del discorso razionale e più in ge-nerale della cultura di una società aperta.

introduzione 15