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IL TRANSFER PRICING
LA DISCIPLINA E I CRITERI DI DETERMINAZIONE DEL
PREZZO DI LIBERA CONCORRENZA
Relatore: Prof. Giovanni Caggiano
INDICE
INTRODUZIONE ................................................................................................................. 1
Capitolo primo
IL QUADRO NORMATIVO E LA PRASSI SUL TRANSFER PRICING ...................... 3
1.1 Il principio di libera concorrenza ............................................................................................... 3
1.1.1 La prassi internazionale ...................................................................................................... 3
1.1.2 La normativa italiana .......................................................................................................... 7
1.2 La documentazione a supporto dei prezzi di trasferimento ......................................................... 9
Capitolo secondo
LA DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLE TRANSAZIONI INTERCOMPANY
............................................................................................................................................. 13
2.1 L’analisi comparativa ..............................................................................................................13
2.1.1 I fattori dell’analisi comparativa ........................................................................................14
2.1.2 Fasi in cui si sviluppa l’analisi comparativa .......................................................................18
2.2 I metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento.........................................................19
2.2.1 Metodi tradizionali ............................................................................................................21
2.2.1.1 Metodo del confronto del prezzo ............................................................................21
2.2.1.2 Metodo del prezzo di rivendita ...............................................................................24
2.2.1.3 Metodo del costo maggiorato .................................................................................27
2.2.2 Metodi reddituali ...............................................................................................................30
2.2.2.1 Metodo del margine netto delle transazioni..............................................................31
2.2.2.2 Metodo di ripartizione dei profitti globali ................................................................33
CONCLUSIONI .................................................................................................................. 36
BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................ 37
1
INTRODUZIONE
La tematica del transfer pricing ha un rilievo trasversale che coinvolge studi di carattere
economico-aziendale e giuridico-fiscale, i quali si focalizzano su obiettivi spesso in contrasto
tra loro, richiedendo sforzi di integrazione tra le diverse prospettive di interesse da parte delle
imprese.
Dal punto di vista macroeconomico si studia l'effetto che tale fenomeno ha avuto sulla
distribuzione del reddito fra le nazioni in conseguenza ai processi di delocalizzazione, mentre
dal fronte delle imprese si indagano le implicazioni gestionali, strategiche ed organizzative
della disarticolazione della catena del valore.
Il mio studio si focalizza sul punto di vista giuridico-fiscale, ovvero sulle disposizioni rivolte
alla determinazione del valore da attribuirsi agli scambi che hanno ad oggetto beni e servizi tra
società residenti in Paesi diversi, qualora le stesse siano legate da rapporti di collegamento o
controllo (Maisto 2002). La ratio della normativa, come sostiene Cordeiro (2000), è impedire
che nel contesto di un centro di interessi unitario si possa spostare materia imponibile
all’estero.
La lente di ingrandimento è posta dunque sulle imprese multinazionali, le quali si sono
sviluppate con la proliferazione dei fenomeni di internazionalizzazione, mantenendo un'unità
materiale della forma economica contrapposta ad una pluralità di organizzazioni sotto il
profilo giuridico (Valente 2009), ovvero esiste un unico soggetto economico che ha il potere
di influenzare le scelte imprenditoriali delle imprese sottoposte al suo controllo.
L’internazionalizzazione ha favorito il perseguimento di obiettivi unitari, fra cui vi è la ricerca
del miglior profitto per il gruppo attraverso un’attenta pianificazione fiscale, intesa come
l’insieme dei comportamenti pianificati al fine di ottenere l’ottimizzazione dell’onere fiscale.
La mia scelta di approfondimento su questo tema nasce dalla mia esperienza di stage presso
Baxi S.p.A., consociata del gruppo BDR Thermea, che opera a livello internazionale. Baxi
S.p.A. genera un fatturato annuo caratterizzato per circa un terzo del suo ammontare dalle
vendite intercompany e ciò richiede un forte interesse e dispendio di risorse per la definizione
2
dei prezzi di trasferimento e la predisposizione della relativa Documentazione Nazionale.
Da qui la curiosità di approfondire nella mia relazione gli elementi essenziali della disciplina,
con la consapevolezza di non poterne trattare in modo esauriente i molteplici aspetti di
interesse.
Nel primo capitolo individuo il quadro normativo di riferimento e le indicazioni della prassi
nazionale e internazionale (la cosiddetta soft law), che si fondano sulla definizione del
principio di libera concorrenza (arm’s length principle). L’oggetto della normativa è
rappresentato dalla sostituzione dei valori degli scambi pattuiti dalle parti collegate con il
valore che si sarebbe formato sul libero mercato tra imprese indipendenti.
Nel secondo capitolo, entro nel dettaglio dell’analisi dei criteri per la determinazione dei
prezzi intercompany nel rispetto dell’arm’s length principle, attraverso la descrizione dei
fattori dell’analisi comparativa e dei metodi che la prassi ha individuato per determinare i
prezzi di libera concorrenza, suddivisi tra metodi tradizionali e metodi reddituali.
3
Capitolo primo
IL QUADRO NORMATIVO E LA PRASSI SUL TRANSFER PRICING
1.1 IL PRINCIPIO DI LIBERA CONCORRENZA
Il principio di libera concorrenza rappresenta il cardine della normativa inerente alla corretta
determinazione dei prezzi di trasferimento.
Con la disciplina sul transfer pricing si intende evitare che, attraverso la manipolazione dei
suddetti prezzi, le imprese di un gruppo fiscalmente residenti in Paesi diversi possano operare
una razionalizzazione del reddito imponibile allo scopo di minimizzare il carico fiscale
complessivo. Per esempio si può verificare che un'impresa X, localizzata in un Paese ad
elevata fiscalità, la quale effettua transazioni di vendita verso una consociata Y, dislocata in un
Paese con un basso livello di tassazione, concordi contrattualmente un prezzo di trasferimento
al di sotto del valore di libero mercato in modo tale da concentrare la formazione del profitto
nel Paese di destinazione. La stessa transazione di materia imponibile avviene nell'ipotesi in
cui l'impresa Y venda beni o servizi all'impresa X ad un corrispettivo maggiore rispetto al
valore di mercato, con l'effetto di incrementare i costi deducibili dell'impresa sorella X.
Affermando il principio di libera concorrenza si richiede pertanto alle singole unità
organizzative di stabilire dei corrispettivi nelle transazioni controllate che siano omogenei con
quelli che si sarebbero formati in transazioni indipendenti sul libero mercato.
1.1.1 La prassi internazionale
L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) è un organismo
internazionale istituito nel secondo dopoguerra per rispondere all’esigenza di cooperazione e
coordinamento degli stati europei. Successivamente ha allargato la sua adesione a livello
4
mondiale fino a comprendere oggi 30 Paesi membri1 e strette collaborazioni con oltre 70 paesi
non membri, economie in via di sviluppo e in transizione.
L’OCSE ha elaborato nel 1963 (con successiva modifica nel 1974) il Modello di Convenzione
OCSE nel quale si inserisce all'art. 9, paragrafo 1, l’affermazione dell'arm’s length principle:
"[allorchè] le due imprese [associate] … nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono
vincolate da condizioni accettate o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute
tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati
da una delle imprese ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere
inclusi negli utili di tale impresa e tassati di conseguenza."
Nonostante questa prima definizione, il problema del transfer pricing è rimasto privo di una
disciplina fino a quando, in conseguenza della diffusa sensazione di urgenza di una
regolamentazione per gli investimenti internazionali e le attività svolte dalle multinazionali,
l’OCSE ha richiesto al Comitato per gli Affari fiscali di predisporre un rapporto sul tema.
Il Rapporto del 1979, denominato Transfer Pricing and Multinational Enterprises, rappresenta
il primo documento emanato dall’OCSE sui prezzi di trasferimento, il quale contiene
indicazioni dettagliate relative alla disciplina e alle metodologie da applicarsi per rispettare
l’arm’s length principle. Sono seguite negli anni successive modifiche e integrazioni confluite
nel Transfer pricing guidelines for multinational enterprises and tax administration del 1995 e
nella revisione delle Transfer pricing guidelines emanata nel 2010.
Il Rapporto del 1979 recepisce il principio di libera concorrenza, volto ad assicurare la
determinazione della corretta base imponibile, affermando la definizione del transfer price
quale “prezzo che sarebbe stato concordato tra imprese indipendenti per operazioni identiche o
similari a condizioni similari o identiche sul libero mercato”.
I tratti essenziali dell’arm’s length principle sono individuati nei seguenti elementi (Maisto
2002):
L’analisi per singola operazione: il prezzo deve essere determinato sulla singola
operazione (o considerando una serie di operazioni identiche o collegate);
1 Nel portale del Ministero degli Affari Esteri sono elencati come Paesi membri Australia, Austria, Belgio,
Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia,
5
La comparazione: la transazione avvenuta tra le imprese associate deve essere
comparata con un operazione con caratteristiche similari o identiche;
La qualificazione civilistica del rapporto contrattuale tra le imprese associate: il prezzo
deve considerare il contratto concluso tra le parti;
Le condizioni di mercato: il valore normale deve riflettere quanto convenuto nella
prassi commerciale;
L’aspetto soggettivo: il valore normale deve considerare le condizioni soggettive della
transazione;
L’analisi funzionale: il prezzo deve considerare infine le funzioni effettivamente
esercitate dalle parti nella transazione.
Il principio di libera concorrenza è ampiamente accettato perché evita di creare vantaggi e
svantaggi fiscali tra le singole imprese associate. Qualora l’Amministrazione finanziaria
evidenzi la non conformità con il principio di libera concorrenza nella transazione in verifica,
essa può operare una rettifica sui prezzi di trasferimento praticati dall’impresa residente, con
effetto limitato ai fini fiscali, senza alterare le obbligazioni contrattuali tra le imprese
associate.
Inoltre il Modello di Convenzione dell’OCSE all’art.9, paragrafo 2, dispone:
“Allorché uno Stato contraente include tra gli utili di un’impresa di detto Stato (..) gli utili sui
quali un’impresa dell’altro Stato contraente è stata sottoposta a tassazione in detto altro
Stato, e gli utili così inclusi sono utili che sarebbero stati realizzati dall’impresa del primo
Stato se le condizioni convenute tra le due imprese fossero state quelle che si sarebbero
convenute tra imprese indipendenti, allora l’altro Stato farà un apposita correzione
all’importo dell’imposta ivi applicata su tali utili. Nel determinare tale correzione dovrà
usarsi il dovuto riguardo alle altre disposizioni della presente Convenzione e le autorità
competenti degli Stati contraenti si consulteranno, se necessario.”
Il paragrafo appena citato delinea l’obiettivo della Convenzione di tutelare il contribuente in
modo da evitare il fenomeno della doppia imposizione economica internazionale2,
2 Il fenomeno della doppia imposizione economica internazionale è esemplificato da Valente (2009, p.818) come
la situazione nella quale “l’impresa di uno Stato (A), i cui utili sono rettificati in aumento, è assoggettata a
tassazione su di un ammontare che è già stato assoggettato a tassazione in capo all’impresa correlata, avente sede
6
ovverosia la tassazione della medesima ricchezza in capo a soggetti giuridici diversi da parte
di più Stati, che può derivare da una rettifica dell’Amministrazione finanziaria in seguito
all’accertamento di prezzi non at arm's length. La ricchezza doppiamente tassata corrisponde
alla differenza tra il reddito dichiarato e il reddito accertato, in base allo scostamento dei
prezzi dal valore di libera concorrenza.
Al fine di evitare la doppia imposizione economica internazionale l’art.9 par.2 del Modello
OCSE prevede che sia effettuata una rettifica corrispondente (c.d. corresponding o correlative
adjustment) da parte del Paese dove risiede la controparte dell’impresa soggetta ad
accertamento sui prezzi di trasferimento e alla rettifica del reddito imponile (c.d. primary
adjustment). Tali aggiustamenti non sono automatici, ma derivano dalla posizione assunta da
parte del Paese chiamato a farli, il quale può ritenere o meno tali rettifiche in linea con le
condizioni che si sarebbero prodotte nel libero mercato.
Gli aggiustamenti correlativi rientrano nel campo di applicazione della Procedura amichevole
convenzionale (Mutual agreement procedure o MAP) stabilita sulla base dell’art.25 del
Modello OCSE. Il MAP è uno strumento di “risoluzione secondaria” delle controversie tra gli
Stati contraenti il quale prevede un obbligo in capo alle autorità competenti di “fare del loro
meglio” per dirimere la questione, ma non necessariamente giungere ad un accordo.
Ciascuno Stato ha poi la facoltà di inserire o meno nelle proprie convenzioni bilaterali per
disciplinare le doppie imposizioni gli strumenti sopra esposti.
Esiste infine la Convenzione 90/436/CEE multilaterale stipulata tra i Paesi dell’UE (ratificata
dall’Italia nel 1993) che prevede una procedura arbitrale3, supplementare alla procedura
amichevole, da attivare qualora il fenomeno non sia stato risolto tramite accordo tra le
Autorità degli Stati contraenti entro due anni dalla data in cui il caso è stato sottoposto per la
prima volta. La procedura prevede l’istituzione di una Commissione Consultiva chiamata ad
esprimere un giudizio per eliminare la doppia imposizione, vincolante per gli Stati nel caso in
cui nei successivi sei mesi gli stessi non giungano a una risoluzione alternativa della
controversia.
in uno stato diverso (Stato B).” Il fenomeno della doppia tassazione economica può essere anche interno se
riguarda le pretese impositive di un singolo Stato.
3 La procedura arbitrale è stata introdotta nel 2009 anche nell’art. 25, paragrafo quinto, del Modello OCSE.
7
1.1.2 La normativa italiana
In Italia la principale fonte normativa in materia è costituita dall'art. 110, comma 7, del Tuir, il
quale stabilisce:
"I componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello
Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono
controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono valutati in base al valore
normale dei beni ceduti, dei servizi prestati(...), se ne deriva un aumento del reddito; la stessa
disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma soltanto in
esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli stati esteri a seguito delle
speciali procedure amichevoli previste per le convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni sui redditi. La presente disposizione si applica anche per i beni ceduti e i servizi
prestati da società non residenti nel territorio dello Stato per conto delle quali l’impresa
esplica attività di vendita e collocamento di materie prime o merci o di fabbricazione o
lavorazione prodotti."
L’art. 110, comma 2, del Tuir, afferma che “per la determinazione del valore normale dei beni
e dei servizi (..), si applicano, (..), le disposizioni dell’art.9”. Dall'art. 9, comma 3, del Tuir,
deriva dunque la definizione dell’ordinamento italiano di valore normale:
"Per valore normale(..) si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente applicato per i beni
e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo
stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti
o prestati,(..). Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile,
ai listini e alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni e i servizi e, in mancanza, alle
mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto
degli sconti d'uso.(..)"
Le disposizioni sopra riportate individuano i presupposti soggettivi ed oggettivi della
disciplina del transfer pricing in Italia; ulteriori chiarimenti possono inoltre essere individuati
negli atti interpretativi emessi dal Ministero delle Finanze, la Circolare n.32/1980 e la
Circolare n.42/1981.
8
La norma dell'art. 110, comma 7, del Tuir, riconosce il presupposto soggettivo nel rapporto
di controllo, diretto o indiretto, intercorrente tra l'impresa residente e una società non residente
e nell’ipotesi che entrambi i soggetti siano sottoposti a comune controllo.
Con l’espressione impresa residente il Legislatore ha voluto ricomprendere "chiunque
eserciti professionalmente - in forma individuale o collettiva - un'attività economica
organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi" così come indicato
nell'art. 2082 del Codice Civile, ovvero tutti i soggetti che producono reddito d’impresa.
Più ambigue sono le interpretazioni della dottrina sull’indicazione di società non residente
(Maisto 2002), frammentate tra sostenitori della tesi secondo cui tutte le organizzazioni estere
giuridicamente individuate come società nei rispettivi ordinamenti rispettano il presupposto
soggettivo indicato, e altri favorevoli ad un’interpretazione restrittiva che esclude i soggetti
non aventi forma societaria.
Infine, il concetto di controllo va interpretato in modo ampio, avendo riguardo alla
definizione giuridica riportata dall'art. 2359 c.c. (controllo in senso economico) ma altresì alle
mere situazioni di fatto (controllo in senso giuridico), come risulta dalla circolare n.32/1980.
L’art. 2359 c.c. individua il rapporto di controllo nelle fattispecie in cui una società dispone
nei confronti di un’altra società della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea
ordinaria, ovvero dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante in assemblea
ordinaria, ovvero esercita un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli con essa. Il
controllo di fatto corrisponde invece ad ogni circostanza di effettiva influenza economica di un
impresa sulle decisioni imprenditoriali dell'altra che va oltre i vincoli contrattuali o azionari,
tale da condurre a un'alterazione dei prezzi di trasferimento. La circolare n.32/1980 elenca
alcune situazioni che possono delinearsi come influenza di un’impresa sulle decisioni
imprenditoriali dell’altra. A mero titolo esemplificativo riporto alcune di esse nel seguito:
i. vendita esclusiva di prodotti fabbricati dall'altra impresa;
ii. impossibilità di funzionamento dell'impresa senza il capitale, i prodotti e la cooperazione
tecnica dell'altra impresa;
iii. membri comuni del Cda;
iv. partecipazione delle imprese a cartelli o consorzi.
In ogni caso le fattispecie concrete riconducibili ad ipotesi di controllo devono essere
9
caratterizzate da elementi di stabilità.
Il presupposto oggettivo si riconosce nell’anormalità del corrispettivo stabilito in una
transazione tra soggetti collegati e richiede l'elaborazione del concetto stesso di valore normale
e l’individuazione delle operazioni rilevanti, nonché dei criteri necessari ad effettuare il
confronto tra la transazione controllata e la transazione indipendente.
Il valore normale disciplinato nel Tuir all’art 9, comma 3, recepisce il concetto di prezzo di
libera concorrenza dell’OCSE, anche se autorevole dottrina (Cordeiro Guerra 2000, Della
Valle 2009) sottolinea che esso è stato concepito per disciplinare la valorizzazione nel diritto
tributario generale delle transazioni in natura o prive del corrispettivo, risultando inadeguato
per quanto concerne “l’individuazione del (..) prezzo di trasferimento infragruppo
astrattamente congruo” (Della Valle 2009, p.157).
Le operazioni rilevanti ai fini della disciplina del transfer pricing possono essere individuate
(Valente 2009) in:
cessione infragruppo di beni materiali, semilavorati e prodotti finiti;
cessione infragruppo di beni immateriali, quali ad esempio marchi, brevetti,
concessione di licenze, ecc.;
prestazione di servizi, che possono avere carattere amministrativo, commerciale o
avere inerenza con la gestione del personale.
Nella prassi4 si richiamano per la determinazione del valore normale le metodologie indicate
dall’OCSE, il quale distingue tra metodi tradizionali basati sulla transazione (confronto del
prezzo, prezzo di rivendita e costo maggiorato) e metodi alternativi basati sugli utili
(ripartizione degli utili e margine netto delle transazioni).
1.2 LA DOCUMENTAZIONE A SUPPORTO DEI PREZZI DI TRASFERIMENTO
Vorrei concludere la parte che riguarda il quadro normativo del transfer pricing con un
accenno alla novità più consistente presentata nel 2010 nella normativa italiana attraverso
4 La circolare n.32/1980 ha recepito il contenuto del primo Rapporto OCSE del 1979, mentre i successivi rapporti
OCSE non sono stati recepiti attraverso circolare specifica. Il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 29
settembre 2010, però, ha fatto un esplicito rinvio alle ultime raccomandazioni OCSE del 2010.
10
l’art. 26 del DL n.78/2010, il quale introduce la necessità di predisporre una documentazione
dettagliata a supporto delle transazioni intercompany tra imprese residenti e società non
residenti volta a dimostrare la congruità al valore normale dei prezzi di trasferimento
determinati. L’assolvimento dell’onere documentale permette al contribuente di beneficiare
della non applicabilità delle sanzioni in caso di accertamento da parte del Fisco, vale a dire che
per coloro che adempiono agli oneri documentali indicati diventa esigibile solo la quota di
maggior imposta derivante dal controllo.
Sulla base del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 29 Settembre 20105 la
documentazione necessaria si articola nel Masterfile e nella Documentazione Nazionale, in
linea con le indicazioni del Codice di Condotta approvato dall’Unione Europea nel 2006 e con
le recenti disposizioni OCSE. L’onere è diverso a seconda della tipologia di contribuente:
Tipologia di contribuente6 Documentazione idonea
Holding o subholding masterfile riguardo al gruppo
documentazione nazionale circa le
proprie transazioni con soggetti non
residenti
Partecipata documentazione nazionale
La predisposizione della documentazione è stata concepita come adempimento spontaneo del
contribuente. Le imprese che decidono di utilizzare questo strumento manifestano pertanto un
atteggiamento collaborativo al dialogo con l’Amministrazione finanziaria e permettono di
incrementare l’efficacia dell’attività di controllo e di vigilanza attiva sulle imprese. Per tale
ragione alle società che effettuano la comunicazione viene assegnato un “profilo di rischio”
inferiore.
5Si veda il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 29 Settembre 2010. Disponibile su <
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/531de980442227faa4c0af05cd3f91ea/Provv+29092010+e+al
legato+A.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=531de980442227faa4c0af05cd3f91ea> [Data di accesso:
20/06/2012]
6 Si riferisce anche alle stabili organizzazioni in Italia di holding, subholding o consociate estere.
11
I requisiti per accedere al regime premiale sono la previa comunicazione della volontà di
produrre la documentazione e l’esibizione dei documenti nel corso dell’attività istruttoria.
Inoltre il Fisco dovrà accertare che i contenuti siano conformi e completi e le informazioni
corrispondano al vero. Se l’impresa produce la documentazione con la finalità di
strumentalizzare il mezzo per accedere all’esenzione dalle sanzioni, la prassi prevede un
inasprimento delle stesse.
Nel Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 29 Settembre 2010 e successivamente in
modo più approfondito nella Circolare n.58/E del 20107 viene descritto il contenuto del
Masterfile e della Documentazione Nazionale, i tempi e le modalità di trasmissione della
comunicazione al Fisco.
Il Masterfile contiene informazioni relative al gruppo nel suo complesso e dovrebbe fornire
una rappresentazione del sistema di determinazione dei prezzi di trasferimento valido per tutti
gli Stati dove si trovano le consociate del gruppo, con il vantaggio per le amministrazioni
finanziarie di avere accesso alle medesime informazioni. Il documento deve presentare nei
primi tre capitoli (descrizione del gruppo, struttura e strategia generale) un quadro generale del
gruppo multinazionale; successivamente ai capitoli 4 e 5 deve essere indicato il diagramma di
flusso che espone i flussi di operazioni intercompany e una descrizione di ciascuna operazione
infragruppo; il capitolo 6 è dedicato alla descrizione generale delle funzioni, dei rischi assunti
e dei beni strumentali impiegati da ogni parte, con particolare attenzione ai cambiamenti
intervenuti rispetto al periodo d’imposta precedente; il capitolo 7 è invece dedicato alla
trattazione dei beni immateriali; il capitolo 8 concerne la descrizione della politica dei prezzi
di trasferimento adottata e delle motivazioni che supportano l’aderenza all’arm’s length
principle, inserendo anche sintetiche informazioni circa le condizioni contrattuali pattuite;
infine al capitolo 9 si informa circa l’esistenza di eventuali accordi preventivi con le
Amministrazioni fiscali sui prezzi di trasferimento (APA).
La Documentazione Nazionale concerne la singola società residente ed integra il Masterfile
con un livello di dettaglio maggiore. La struttura generale non differisce sostanzialmente dal
Masterfile, salvo che per il riferimento esclusivo ad una singola impresa del gruppo.
7Si veda la Circolare n.58/E dell’Agenzia delle Entrate, 2010. Disponibile su
<http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/wcm/connect/8f9de000450de4f09356df510c1b3107/cir58e+del+15.12.10
.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=8f9de000450de4f09356df510c1b3107> [Data di accesso: 20/06/2012]
12
I primi quattro capitoli (descrizione generale della società, settori in cui opera, struttura
operativa e strategie generali perseguite) forniscono un quadro generale dell’impresa. Il
capitolo 5 rappresenta il cuore della documentazione fornendo la descrizione delle operazioni
infragruppo, suddivise in paragrafi, con la possibilità di accorpare in un unico gruppo le
transazioni omogenee; per ciascuna tipologia di operazione si deve sviluppare:
L’analisi di comparabilità, che deve essere predisposta sulla base dei cinque fattori
indicati dalle Guidelines OCSE al fine di individuare il grado di confrontabilità tra
l’operazione infragruppo e un operazione indipendente in condizioni similari;
La spiegazione del metodo scelto come “il più appropriato” (illustrando le ragioni per
le quali si ritiene conforme all’arm’s length), l’esposizione dei criteri di applicazione
del metodo e dei risultati che ne sono derivati.
Nel prossimo capitolo andrò ad approfondire il significato di queste due indicazioni
descrivendo i fattori dell’analisi di comparabilità e i metodi indicati dalla prassi per la
determinazione dei prezzi di trasferimento.
Infine cito per completezza l’ultimo capitolo della Documentazione Nazionale che prevede
l’illustrazione delle operazioni infragruppo rientranti nei cosiddetti Cost Contribution
Agreements.
13
Capitolo secondo
LA DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLE TRANSAZIONI
INTERCOMPANY
Dall’esposizione dei fondamenti normativi della disciplina del transfer pricing si evince che il
principio sul quale si innestano le disposizioni della prassi nazionale e internazionale è il
concetto di valore normale (arm’s length) degli scambi intercompany. Al fine di indicare in
modo più operativo alle imprese e al Fisco le modalità per ottenere evidenza del valore
normale, la prassi internazionale ha sviluppato approfondimenti dettagliati che indicano come
svolgere l’analisi della transazione rispetto al libero mercato e quali metodi si consiglia
implementare per ottenere l’intervallo di risultati conformi al principio di libera concorrenza.
2.1 L'ANALISI COMPARATIVA
Lo strumento necessario per determinare il prezzo di libera concorrenza è l'analisi comparativa
tra le condizioni applicate nella transazione controllata e le condizioni rilevate in transazioni
indipendenti8. L’OCSE afferma che le transazioni sono effettivamente comparabili laddove si
verifichi la conformità ad almeno una delle seguenti condizioni:
nessuna delle differenze (se esistono) tra le transazioni comparate può sostanzialmente
incidere sulla condizione da esaminare dal punto di vista della metodologia;
l’effetto di tali differenze, se significativo, può essere eliminato con opportuni
“aggiustamenti”.
Il confronto è interno quando l’operazione campione intercorre tra un’impresa del gruppo e un
8 Maisto (1995) sottolinea, come riportano le Linee Guida OCSE, che la comparazione è rilevante per ogni
metodo di determinazione del prezzo prescelto, modificando di volta in volta l'oggetto di paragone: il prezzo nel
metodo del confronto del prezzo, il margine lordo nel metodo del prezzo maggiorato e nel metodo del prezzo di
rivendita , l'utile nei metodi basati sull'utile.
14
impresa terza indipendente, è esterno quando l’operazione campione avviene tra imprese
indipendenti.
Le nuove Guidelines OCSE (riprese in Italia dalla Circolare 58/E del 2010) riconoscono
l’analisi comparativa come una fase fondamentale nella predisposizione della
Documentazione Nazionale, ampliando le indicazioni per valutare il grado di comparabilità
delle transazioni attraverso i cinque fattori della comparabilità:
1. caratteristiche di beni e servizi;
2. analisi delle funzioni svolte, dei rischi assunti e degli assets utilizzati;
3. termini contrattuali;
4. condizioni economiche;
5. strategie d’impresa.
2.1.1 I fattori dell’analisi comparativa
1) Caratteristiche di beni e servizi
Il valore di mercato di beni e servizi certamente non può prescindere dalle caratteristiche degli
stessi. L'OCSE individua alcune caratteristiche rilevanti per i diversi oggetti della transazione:
beni materiali: si dovranno considerare le caratteristiche fisiche, la qualità e
affidabilità, la reperibilità sul mercato e i volumi di vendita;
beni immateriali: si dovrà valutare la forma giuridica della transazione (vendita o
licenza), il tipo di bene, la durata e i vantaggi attesi dalla transazione, le forme di
protezione e la loro intensità;
servizi: si dovranno esaminare la tipologia e l'estensione del servizio.
L’OCSE sottolinea come siano più rilevanti questi aspetti laddove si operi un paragone sui
prezzi delle transazioni comparabili, mentre l'influenza è contenuta quando si confrontano i
margini di utile. È inoltre importante evidenziare che la comparabilità è verificata anche in
transazioni simili o sostituibili, seppur non identiche.
15
2) Analisi funzionale
Dalle Guidelines OCSE emerge l'importanza primaria dell'analisi funzionale per valutare il
grado di comparabilità tra le transazioni di imprese differenti. Esse assumono che imprese
indipendenti stabiliscano il corrispettivo applicato nelle cessioni di beni e nelle prestazioni di
servizi considerando le funzioni economiche9 svolte dalle parti, non solo in termini di
“numero”, ma considerando la frequenza, la natura e il valore delle stesse. Le funzioni hanno
dunque un'influenza diretta nella determinazione del prezzo e indiretta nel margine lordo e
nell'utile, indici che rappresentano i possibili oggetti della comparazione.
Complementare allo studio delle funzioni aziendali è la definizione degli assets impiegati e
dei rischi assunti dall'impresa controllata rispetto all'impresa indipendente. Ci si aspetta
infatti che la remunerazione delle transazioni aumenti di fronte a una consistenza maggiore dei
rischi assunti. A titolo esemplificativo si possono citare i rischi di mercato, i rischi di
magazzino, i rischi legati alla garanzia del prodotto, i rischi di perdite connesse agli
investimenti e all'utilizzo di impianti e macchinari, i rischi finanziari, i rischi legati al credito e
così via.
Operativamente l'analista deve inizialmente raccogliere le informazioni sulle attività esercitate
dalle imprese associate, successivamente stabilire l'effettiva ripartizione delle funzioni, in
considerazione dello studio e della scomposizione della value chain, e infine procedere alla
loro valorizzazione rispetto all'operazione considerata.
L'analisi così concepita è però un'attività complessa e presenta margini di approssimazione e
opinabilità non trascurabili, resi maggiori dalla scarsità di informazioni disponibili sulle
transazioni comparabili. Qualora evidenzi delle differenze nelle funzioni tra la transazione
controllata e quella indipendente si possono, se possibile ed oggettivamente determinabile,
effettuare degli aggiustamenti per allineare le funzioni svolte dalle imprese comparate. Nel
caso di intangibles l’aggiustamento diventa particolarmente critico, in quanto il contributo di
queste risorse aziendali è dotato di un alto grado di unicità e singolarità che rende la
9 Le funzioni possono essere accorpate nel seguente elenco riportato nelle Guidelines OCSE: progettazione,
produzione, assemblaggio, ricerca e sviluppo, prestazione di servizi, acquisti, distribuzione, marketing,
pubblicità, trasporto, finanziamento e management.
16
valorizzazione soggettiva e difficilmente quantificabile.
Riassumendo il confronto tra le transazioni è tanto più affidabile quanto maggiore è la
comparabilità delle funzioni, dei rischi e degli assets impiegati dall'impresa controllata e
dall'impresa indipendente.
3) Termini contrattuali
Le condizioni contrattuali pattuite tra imprese indipendenti stabiliscono la ripartizione dei
rischi, dei vantaggi e delle responsabilità. La comparazione deve pertanto prendere in
considerazione le previsioni contrattuali e, in assenza di pattuizioni esplicite, il
comportamento effettivo delle parti, analizzando le comunicazioni e la corrispondenza
informale.
Nel caso di imprese associate inoltre non è presente conflitto di interesse tra le parti, quindi è
auspicabile verificare la corrispondenza tra le clausole contrattuali documentate e i
comportamenti effettivi delle parti. L’Amministrazione finanziaria può rettificare la
ripartizione dei rischi e delle funzioni tra le imprese associate stabilite contrattualmente
laddove l’allocazione non appaia conforme a quella generalmente seguita da imprese
indipendenti o alla strategia commerciale perseguita.
4) Condizioni economiche
Un altro fattore rilevante per la determinazione dei prezzi di trasferimento è l’insieme delle
condizioni del mercato rilevante. A parità di caratteristiche dei beni e servizi, infatti, influisce
nella loro valorizzazione il mercato presso il quale vengono ceduti, rendendo comparabili solo
le transazioni che sono effettuate all’interno dello stesso contesto economico, ovvero le
transazioni per le quali vengono neutralizzate con appositi aggiustamenti le differenze
rilevanti tra i mercati.
Le caratteristiche che devono essere considerate per apprezzare la comparabilità dei differenti
mercati sono principalmente l’ubicazione geografica, l’ampiezza, il grado di concorrenza e le
relative posizioni competitive di acquirenti e venditori, la disponibilità o il rischio di beni
17
succedanei, i livelli di offerta e domanda, il potere di acquisto del consumatore, le
regolamentazioni amministrative, i costi di produzione, i costi di trasporto, la data e la durata
delle transazioni.
Infine le recenti Guidelines OCSE affermano che, nel caso in cui i Paesi dove opera il gruppo
siano ragionevolmente omogenei, si può condurre un’analisi multi-country del contesto
economico.
5) Strategia d'impresa
Un altro fattore rilevante per l'analisi comparativa è l'individuazione delle strategie aziendali
perseguite dalle imprese in quanto possono influenzare la politica dei prezzi. Le strategie
possono essere legate alle decisioni in merito all'innovazione e allo sviluppo di nuovi prodotti,
alle scelte di diversificazione produttiva, all'inseguimento di politiche espansionistiche o di
difesa di quote di mercato (Valente 2009).
L'OCSE ritiene che non ci sia contrasto con il principio di libera concorrenza se nel breve
periodo si rilevino differenze nei prezzi applicati dall'impresa controllata rispetto ad imprese
indipendenti comparabili, qualora giustificate da una strategia aziendale ragionevole che mira
ad aumentare i risultati nel medio-lungo periodo. Ad esempio un'impresa potrebbe attuare una
strategia di penetrazione posizionando il proprio prodotto con un prezzo più basso della
concorrenza con l'aspettativa di aumentare il proprio market share e la reddittività futura. Le
strategie possono anche, a parità di prezzo, influenzare l’utile conseguito. Si pensi ad
un’azienda che per aumentare le quote di mercato sostenga forti costi di pubblicità e marketing
con l’aspettativa di favorire la maggior conoscibilità e diffusione del brand in futuro, ma
sopporti ora materialmente l’onere della campagna abbattendo l’utile realizzabile.
Le politiche sopra illustrate sono accettabili qualora a fronte di un’analisi di comparabilità si
rilevi che una parte indipendente le persegue o avrebbe potuto perseguirle in circostanze
analoghe. In ogni caso, laddove l’Amministrazione finanziaria ritenga che la strategia ha
superato un limite di tempo ragionevole può riconoscere il maggior valore al prezzo di
trasferimento applicato dall'impresa alla transazione in verifica.
18
2.1.2 Fasi in cui si sviluppa l’analisi comparativa
Al fine di procedere all’analisi di comparabilità è indispensabile ripercorrere la valutazione dei
cinque fattori fino ad ora descritti. Come sottolinea Valente (2009) nella selezionare dei
comparables è auspicabile escludere i soggetti che si trovano in situazioni non ordinarie, come
ad esempio le società in fase di start up o società soggette a procedure fallimentari o in
bancarotta. Un altro aspetto rilevante nella selezione dei comparables è l’esame della
dimensione dell’impresa in termini di fatturato, assets utilizzati e numero di dipendenti, con
riferimento ai dati di bilancio.
Secondo l’OCSE le fasi per il processo di selezione dei comparables devono ricomprendere
questi step, senza imporre un severo ordine di esecuzione:
1. Identificazione degli anni oggetto di analisi;
2. Analisi generale delle circostanze in cui opera il contribuente;
3. Comprensione delle transazioni controllate attraverso l’esame dei cinque fattori al fine
di identificare la tested party10
e il metodo più appropriato di determinazione del
prezzo di trasferimento;
4. Verifica della possibilità di utilizzare comparabili interni;
5. Identificazione delle fonti di informazione relative a comparabili esterni e verifica
della loro affidabilità;
6. Scelta del metodo di determinazione del prezzo di trasferimento e successiva selezione
degli indicatori finanziari rilevanti per l’applicazione del metodo;
7. Selezione dei comparabili;
8. Effettuazione di eventuali aggiustamenti per rendere le transazioni comparabili;
9. Interpretazione dei dati ottenuti e determinazione della remunerazione at arm’s length;
La procedura esposta non rappresenta un iter di condotta obbligatorio per chi si approccia
all’analisi comparativa e si configura come un processo iterativo: le aziende possono
10 La Tested party può essere definita (Cottani 2009, p.39 s.) come “l’entità che tendenzialmente svolge le
funzioni più semplici all’interno della filiera produttiva e che non è titolare giuridica di beni (tangibili o
intangibili) unici, quindi ad alto valore aggiunto”.
19
ripercorrere le fasi da 5 a 7 fino a ritenersi soddisfatte. Ad esempio se le informazioni relative
ai comparabili selezionati allo step 7 si rivelano non sufficienti o se gli aggiustamenti per
rendere le transazioni comparabili allo step 8 sono poco affidabili, l’analista dovrà ripercorrere
l’analisi partendo dallo step 4 e implementare un metodo che sia praticabile con le
informazioni disponibili.
Operativamente gli step suggeriti dall’OCSE sono da considerare come una good practice, un
tentativo di guidare le imprese nell’applicazione corretta e agevole del principio di libera
concorrenza. Ciò che è importante, affermano le Guidelines OCSE 2010, è che si arrivi a una
definizione di comparabili affidabili (most reliable comparables) che non dipende solo
dall’implementazione dei vari passaggi, peraltro non necessaria e non sufficiente.
2.2 I METODI PER LA DETERMINAZIONE DEI PREZZI DI TRASFERIMENTO
La prassi amministrativa italiana e i rapporti OCSE identificano una serie di metodologie11
che
idealmente permettono di quantificare il prezzo di libera concorrenza per le transazioni
controllate.
I metodi attualmente previsti e applicabili sono quelli indicati dalle nuove Guidelines OCSE, a
cui il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 201012
rinvia:
Metodi transazionali tradizionali:
o Metodo del confronto del prezzo (Comparable Uncontrolled Price);
o Metodo del prezzo di rivendita (Resale Minus);
o Metodo del costo maggiorato (Cost plus);
11 Nell’illustrazione delle metodologie che farò di seguito avrò come riferimento lo scambio di beni materiali,
mentre tralascio le disposizioni specifiche per lo scambio di beni immateriali e servizi. Gli esempi che propongo
nel seguito per illustrare i metodi prendono a riferimento quelli riportati in Simontacchi S., 2002, Profili tributari
dei prezzi di trasferimento, in Bianchi Martini S., et al., I prezzi di trasferimento: determinanti e metodologie di
calcolo.
12 D’Avossa (2011, p.5) sottolinea che il provvedimento rappresenta una “presa di posizione da parte
dell’Agenzia stessa sull’utilizzabilità delle Linee Guida come fonte teorica unica, con ciò sancendo il definitivo
superamento della (..) circolare n.32/1980 e di tutti i concetti ivi espressi che erano non allineati al dettato delle
nuove Linee Guida OCSE”. In particolare si possono considerare superate le descrizioni dei metodi alternativi
indicati nella circolare quali la comparazione dei profitti, la ripartizione dei profitti, i margini lordi del settore
economico e la reddittività del capitale investito.
20
Metodi transazionali reddituali:
o Metodo del margine netto delle transazioni (Transactional Net Margin
Method);
o Metodo di ripartizione dei profitti globali (Profit Split).
Sostanzialmente la disciplina italiana e le raccomandazioni OCSE sono allineate sulla scelta
del metodo più appropriato alle circostanze del caso.
Quest’ultimo principio è stato formulato con la revisione delle Guidelines del 2010, andando a
sostituire la rigida gerarchia dei metodi sostenuta nel 1995, la quale prevedeva l’applicazione
preferenziale del metodo del confronto del prezzo e, solo in via sussidiaria all’impossibilità di
utilizzarlo, si potevano analizzare i metodi del prezzo di rivendita e del costo maggiorato.
Infine, l’utilizzo dei metodi reddituali era segnalato come “last resort method” valido solo in
situazioni eccezionali.
Il nuovo criterio di selezione del best method ha eliminato il carattere di eccezionalità e la
gerarchia dei metodi di determinazione del prezzo di trasferimento, mantenendo però una sorta
di “gerarchia implicita” dei metodi13
. Nella prassi italiana, che ha recepito le Guidelines
OCSE, la “gerarchia implicita” comporta che “nel caso di selezione di un metodo
transazionale reddituale , in presenza del potenziale utilizzo di un metodo transazionale
tradizionale, occorrerà dare conto delle motivazioni di esclusioni di tale ultimo metodo. Stesso
discorso vale in caso di selezione di un metodo diverso dal metodo di confronto del prezzo, in
presenza di potenziale utilizzo di tale ultimo metodo” (Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle Entrate del 29 Settembre 2010, p.6).
Il contribuente che si affaccia ora alla scelta del best method può adottare il criterio che ritiene
più appropriato alle circostanze del caso, anche se non rientra tra i metodi indicati dalle
normative (Other methods), ma deve essere in grado di spiegare le ragioni per le quali i metodi
suggeriti dalla prassi fossero meno appropriati e, in caso di adesione agli oneri documentali,
darne evidenza.
13 Maisto (2012, p.176) sostiene che la gerarchia “is still fully operative in 2010” e che non sono chiare le
circostante per le quali più metodi possono essere qualificati ugualmente appropriati, comportando
l’applicazione del metodo che tra quelli utilizzabili risulta preferito dalla prassi.
21
L’OCSE suggerisce tre criteri per la selezione del most appropriate method: (i) considerare
punti di forza e debolezza di ogni metodo;(ii) considerare l’appropriatezza del metodo in
considerazione della transazione controllata attraverso l’analisi funzionale; (ii) valutare la
disponibilità delle informazioni necessarie all’applicazione del metodo. Maisto (2012) a tale
proposito afferma che è necessario un intervento che specifichi in quale modo i contribuenti
possano provare di aver scelto il metodo più appropriato senza incorrere in un rigetto da parte
delle Autorità fiscali. È invece chiarito nelle nuove Guidelines OCSE che la selezione del
metodo non comporta l’analisi di ogni metodo possibile.
È possibile ugualmente integrare l’analisi svolta con l’applicazione sussidiaria di un secondo
metodo, in modo tale da comprovare i risultati ottenuti con il metodo prescelto nel processo di
analisi (c.d. checking method).
2.2.1 Metodi tradizionali
2.2.1.1 Metodo del confronto del prezzo
Il metodo del confronto del prezzo prevede la comparazione del prezzo di beni o servizi
trasferiti nel corso di una transazione tra imprese associate con il prezzo applicato a beni o
servizi trasferiti nel corso di una transazione comparabile sul libero mercato in circostanze
comparabili (Rapporto OCSE 1995, p. II-2).
Il confronto può essere effettuato avendo riguardo a:
Operazioni comparabili concluse dall’impresa con un terzo indipendente (confronto
interno);
Operazioni comparabili concluse tra imprese indipendenti nel libero mercato
(confronto esterno).
L’Amministrazione finanziaria italiana nella circolare n.32/1980 ha espresso una preferenza
per il confronto interno, giustificando la propria posizione in riferimento alla maggior
probabilità di individuare i requisiti della comparabilità e alla difficoltà, in caso di confronto
esterno, di reperire informazioni quando il mercato rilevante è quello estero. Oltre a ciò
22
l’applicazione del metodo del confronto esterno presuppone l’esistenza di un mercato
concorrenziale per lo specifico prodotto, situazione che molto spesso non rispecchia la realtà.
Per l’applicazione del metodo occorre individuare il mercato rilevante, nel quale devono
essere ricercate le transazioni campione. La scelta del mercato è molto importante in quanto
possono esserci forti differenze di prezzo per il medesimo prodotto in mercati non omogenei,
influenzate in particolare dai fattori competitivi. Ad esempio se l’azienda Alfa commercializza
il prodotto X in due mercati, A e B, laddove A presenta un numero di competitors molto più
alto rispetto a B, si può avere che il prezzo che si forma nel mercato B è superiore rispetto a
quello del mercato A, nonostante i due prodotti siano sostanzialmente identici.
Affinché sia possibile stabilire il corrispettivo attraverso il metodo del confronto del prezzo
occorre che nessuna delle differenze riscontrate tra l’operazione controllata e l’operazione
indipendente siano rilevanti nella determinazione del valore dello scambio, ovvero si possano
apportare delle correzioni sufficientemente accurate per rendere le transazioni comparabili.
Potrebbero essere rilevate differenze, a parte con riferimento al mercato rilevante, in modo
particolare riguardo a:
Qualità del prodotto: i prodotti oggetto della transazione devono essere confrontabili
sia per quanto riguarda l’identità fisica del prodotto, sia nell’aspetto esteriore se
rilevante;
Rilevanza economica delle transazioni: affinché due transazioni risultino comparabili
non ci può essere una forte differenza dei volumi di vendita14
;
Altri requisiti di commerciabilità del prodotto: ad esempio trasposto, imballaggio,
pubblicità, tecnica di commercializzazione, garanzia, vendite promozionali, sconti;
Beni immateriali ceduti unitamente al prodotto.
Laddove si rilevino delle differenze nei fattori di comparabilità, che possono essere
ragionevolmente quantificate, si deve procedere con gli aggiustamenti del prezzo della
transazione indipendente al fine di renderla comparabile.
14Si pensi ad un produttore Alfa che ogni anno vende 10000 pezzi a Beta e 100 pezzi a Gamma. Probabilmente i
prezzi concordati saranno differenti per l’incidenza dei volumi di vendita e pertanto non comparabili.
23
Ad esempio potremo avere il caso della vendita del prodotto X sopra menzionato da parte
della società Beta (comparable) al prezzo di 100, che differisca dalla transazione operata da
Alfa (tested party) per questi aspetti:
I costi di trasporto sono a carico del compratore per Beta, mentre Alfa li sostiene a
proprio carico, e sono quantificabili in misura pari a 5;
I costi dei diritti doganali, quantificabile in misura pari a 15, sono a carico del
compratore per Beta e a carico del produttore nel caso di Alfa;
Le condizioni di pagamento applicate da Beta sono molto più lunghe di quelle di Alfa
ed è possibile individuare una componente di interessi attivi nel prezzo pari a 1.
Il prezzo sarà così aggiustato sulla base di questi dati:
Prezzo della cessione di Beta 100
a) Costi di trasporto +5
b) Costi dei diritti doganali +15
c) Differenza condizioni di pagamento -1
Prezzo aggiustato della transazione 119
Rettifiche di questo tipo sono facilmente attuabili, ma la realtà mostra che frequentemente le
differenze concernono le caratteristiche dei beni o servizi, con particolare rilievo degli
intangibles. Ad esempio nel mondo dell’elettronica possiamo trovare due computer con le
stesse caratteristiche hardware e software e un design esteriore appetibile, ma la percezione
della qualità e del valore dei due prodotti è diverso da parte del cliente e di conseguenza il
prezzo non può essere fissato allo stesso livello. Ne deriva la necessità di quantificare la
differenza del valore del brand, ma l’approssimazione di tale congettura può non permettere
l’applicabilità del metodo.
Si può concludere affermando che il metodo CUP è teoricamente il più consono al
perseguimento del principio di libera concorrenza, ma trova effettive e reali limitazioni
pratiche tali da renderlo attuabile solo in ipotesi di materie prime o beni fungibili.
24
2.2.1.2 Metodo del prezzo di rivendita
Il metodo del resale minus individua il valore normale della transazione controllata come “il
prezzo a cui un prodotto che è stato acquistato da un’impresa associata viene rivenduto ad
un’impresa indipendente (..) ridotto di un adeguato margine lordo (..)”(Rapporto OCSE 1995,
p. II-5) al fine di coprire le spese di vendita e di gestione e ricavarne un appropriato utile.
La prassi sottolinea che tale metodo è maggiormente utile nei casi in cui il venditore effettua
solamente attività di commercializzazione, senza accrescere significativamente il valore del
bene oggetto di scambio con altre attività di trasformazione, ivi inclusa l’incorporazione del
prodotto in uno più complesso.
Essendo il prezzo di rivendita un dato oggettivo, l’oggetto dell’indagine comparativa risiede
nel margine lordo applicato in una transazione indipendente (attraverso confronto interno o
esterno) da sottrarre al suddetto prezzo.
Il margine lordo remunera le funzioni svolte dal distributore (tested party). Emerge così la
rilevanza dell’analisi funzionale, dell’individuazione delle funzioni particolari svolte dal
distributore e della verifica del mercato geografico dove vengono svolte. Assume un’influenza
minore invece la considerazione del tipo di prodotto e delle sue caratteristiche15
.
Al fine di illustrare il metodo propongo un semplice esempio. L’impresa Alfa produttrice
vende all’impresa associata Beta distributrice che si occupa della sola commercializzazione
dei prodotti tramite una rete di agenti.
I dati noti sono quelli riportati in tabella, dove la variabile X rappresenta il prezzo di
trasferimento da individuare:
PRODUTTORE Alfa DITRIBUTORE Beta
Vendite X 200
Costo del venduto (140) X
Margine lordo Y Z
15 Le caratteristiche del bene scambiato devono essere analizzate perché in alcuni casi rilevanti, ma solo per
quanto riguarda l’impatto che esse hanno sulle funzioni svolte dal distributore. Nel Rapporto OCSE 1995 ad
esempio si afferma che presumibilmente un distributore di frullatori e uno di tostapane svolgono le medesime
funzioni e sono pertanto comparabili al fine dell’applicazione del metodo del prezzo di rivendita.
25
In questo scenario l’analista ha identificato un distributore comparabile D1 che si occupa della
sola commercializzazione dei prodotti. I dati che riguardano D1 sono:
DISTRIBUTORE COMPARABILE D1
Vendite 400
Costo del venduto (350)
Margine lordo 50
Di conseguenza otteniamo che:
La tabella di seguito mostra il risultato dell’applicazione del metodo:
PRODUTTORE Alfa DITRIBUTORE Beta
Vendite 175 200
Costo del venduto (140) (175)
Margine lordo 35 25
Attraverso l’analisi funzionale può emergere che le attività svolte dal rivenditore possono
limitarsi al processo di commercializzazione dei beni come nell’esempio, oppure possono
comprendere anche ruoli di responsabilità a cui sono associati dei rischi, come nel caso in cui
il distributore contribuisce alla creazione del bene immateriale associato al prodotto
(pubblicità o atre attività di marketing) o sostiene personalmente i rischi della proprietà del
prodotto (rischio di invenduto e di deperimento/obsolescenza delle scorte).
26
Quando le funzioni svolte dal distributore associato vanno oltre l’attività di rivendita, la
comparazione con un impresa indipendente che non esercita queste funzioni può portare a
sottostimare il margine e in questi casi il metodo può risultare non adeguato. In altri casi le
differenze funzionali che incidono sui margini lordi possono essere corrette con opportuni
aggiustamenti.
Spesso è difficile individuare le funzioni realmente svolte quindi la prassi, soprattutto
statunitense, ha sviluppato un’assunzione semplificatrice per la quale costi operativi più alti
corrispondono a maggiori funzioni svolte. Seguendo questa assunzione se il distributore
comparato ha maggiori costi operativi, ergo svolge più funzioni, verranno effettuate variazioni
in diminuzione del margine lordo per renderlo comparabile con quello realizzato dal
distributore associato. Nel caso di costi operativi minori dovrà invece essere aggiunto un
margine per il distributore associato che possa remunerare le attività ulteriori da esso svolte (la
rettifica non dovrebbe essere operata nel caso in cui la differenza dei costi operativi sia dovuta
a inefficienze).
Gli aggiustamenti possono essere di due tipologie:
Arithmetical adjustment: aumenta o diminuisce il margine in misura pari alla
differenza della struttura dei costi;
Multiplicative adjustment: aumenta o diminuisce il margine in misura pari alla
differenza della struttura dei costi sulla base di un indice di aggiustamento.
Riprendendo l’esempio proposto sopra, si può ipotizzare uno scenario nel quale il distributore
indipendente selezionato (D2) presenta i seguenti risultati rispetto al distributore associato:
DISTRIBUTORE Beta DISTRIBUTORE D2
Vendite 200 200
Costo del venduto (165)
Margine lordo 35
Costi operativi (10) (20)
Margine netto 15
27
Possiamo a questo punto applicare le due metodologie partendo da questi dati:
A margine lordo (D2) / vendite(D2) 17,5%
B costi operativi (D2) / vendite (D2) 10%
C costi operativi (Beta) / vendite (Beta) 5%
Arithmetical adjustment:
La differenza (C-B) = -5% viene sottratta ad A per ottenere il margine lordo di Beta,
ovvero 12,5% = 25. Il costo del venduto (Beta) = prezzo di trasferimento = 175
Multiplicative adjustment
L’indice di aggiustamento (C/B) = 50% viene moltiplicato ad A per ottenere il margine
lordo di Beta, ovvero 8,75% = 17,5. Il costo del venduto (Beta) = prezzo di
trasferimento = 182,5
Gli algoritmi delineati che automatizzano il calcolo dei prezzi di trasferimento possono
portare, se applicati in modo meccanico, a sottovalutare l’impatto di efficienze ed inefficienze,
e trasformano i metodi tradizionali basati sulle transazioni in confronti di margine netto.
Essendo particolarmente influenzabile dalle variazioni funzionali, l’applicazione del metodo è
consigliata quando le funzioni svolte dai distributori comparati sono le medesime, ovvero i
distributori confrontati non apportano valore aggiunto in maniera significativa.
2.2.1.3 Metodo del costo maggiorato
Il metodo del costo maggiorato “considera i costi sostenuti dal fornitore di beni (o servizi) nel
corso di una transazione controllata per beni trasferiti o servizi forniti ad acquirente collegato
[aumentati di] un’appropriata percentuale di ricarico (..) così da ottenere un utile adeguato”
(Rapporto OCSE 1995, p.II-11).
28
Il ricarico, che valorizza la remunerazione del produttore per le funzioni svolte e i rischi
assunti, deve essere ottenuto attraverso la comparazione del margine di utile lordo della
transazione in verifica e:
il margine di utile lordo realizzato dall’impresa associata nella vendita di beni similari
ad imprese indipendenti sul libero mercato (confronto interno);
il margine di utile lordo realizzato in una transazione similare tra soggetti terzi
indipendenti che svolgono le medesime funzioni (confronto esterno).
La prassi sottolinea l’importanza dello studio delle funzioni esercitate dal produttore, con
peculiare attenzione alle funzioni particolari, e dell’individuazione del mercato rilevante.
Qualora l’analisi dei comparables evidenzi differenze in termini di funzioni svolte che
incidono significativamente sui margini lordi, saranno necessari adeguati aggiustamenti. Se le
differenze di margine sono generate da efficienze o inefficienze, invece, non si dovrebbe
praticare alcuna correzione.
A differenza del metodo del resale minus, che è indicato per la valorizzazione di transazioni di
prodotti finiti tra produttore-distributore, il cost plus si addice a transazioni che hanno ad
oggetto la vendita di prodotti semilavorati o la prestazione di servizi.
I temi centrali di questo metodo sono la tipologia di costo preso come riferimento e le
funzioni svolte dal produttore associato rispetto ai comparables.
La prassi internazionale indica, in generale, l’utilizzo di una base di costo che comprende sia
gli oneri diretti sia quelli indiretti di produzione, con esclusione delle spese generali non
attribuibili. Sottolinea poi la necessità, nei casi di fluttuazione dei valori di spesa, di utilizzare i
costi medi o standard, e l’importanza di verificare la comparabilità delle basi di costo
confrontate.
Inoltre i costi da considerare al fine di ottenere la base per il calcolo del margine lordo
dovrebbero essere solo quelli sostenuti dall’impresa produttrice. Per tale ragione è opportuno
ricollegare i costi alle funzioni effettivamente svolte, cercando di smascherare possibili
comportamenti elusivi dell’impresa acquirente, la quale potrebbe abbassare la base imponibile
29
della consociata venditrice sostenendo costi senza aver effettivamente svolto le attività
correlate.
Riporto qui nel seguito un esempio tratto alla stregua di quelli proposti dalla Circolare
n.32/1980 sugli aggiustamenti per differenze nelle funzioni svolte, e un secondo esempio che
evidenzia un approccio diverso sostenuto da Simontacchi S., Profili tributari dei prezzi di
trasferimento, cit.16
.
IPOTESI A – AGGIUSTAMENTO CON MARK UP MEDIO
Analizziamo il caso dell’impresa Alfa, che produce e vende semilavorati all’impresa Beta, la
quale provvede alla finitura del prodotto. Alfa vuole determinare il prezzo di trasferimento con
il metodo del cost plus e ha individuato un impresa comparabile P1 che, diversamente da Alfa,
non sostiene spese di ricerca e sviluppo.
I dati di P1, sintetizzati in tabella, permettono di individuare la percentuale di mark up medio
da applicare al totale dei costi sostenuti da Alfa in modo da ottenere un valore per il prezzo di
trasferimento:
Alfa P1
Costo industriale di produzione 100 100
Spese di R&S 30
Spese commerciali 15 15
Oneri finanziari 5 5
Totale costi 150 120
Margine lordo 15 12
Mark up medio 10% 10%
Prezzo di trasferimento 165
16 L’approccio descritto è tratto dall’articolo “The cost-plus method: determination of the margin and cost base”,
International Transfer Pricing Journal, S.Simontacchi (1999), pp.88 e ss.
30
IPOTESI B – AGGIUSTAMENTO CON MARK UP PER FUNZIONE
Nella precedente ipotesi si tralascia la possibilità che le diverse funzioni presentino percentuali
di rendimento differenti, tali da portare ad una variazione del mark up medio qualora cambi il
mix di attività. Ecco come potrebbe essere analizzata la situazione sopra riportata se lo studio
delle funzioni fosse approfondito in modo tale da stimare il rendimento di ciascuna di esse:
Alfa P1 Mark up
Costo industriale di produzione 100 100 10%
Spese di R&S 30 15%
Spese commerciali 15 15 7%
Oneri finanziari 5 5 20%
Totale costi 150 120
Margine lordo 16,5 12
Mark up medio 11% 10%
Prezzo di trasferimento 166,5
Questo sistema apparentemente semplice nasconde in sé un forte grado di ambiguità e
approssimazione per la difficoltà di determinare l’impatto delle singole funzioni, e quindi delle
funzioni differenziali, sul margine lordo. Considerando le indicazioni dell’OCSE, la quale
afferma che in caso di differenze nella natura delle funzioni svolte deve essere corretto il mark
up, sembra più corretto questo ultimo sistema presentato.
2.2.2 Metodi reddituali
I metodi reddituali hanno l’obiettivo di quantificare il valore della transazione come risultato
di un processo di ripartizione del “valore” creato dall’azienda, che è rappresentato dall’utile,
diversamente dai metodi tradizionali che individuano il valore normale della transazione
partendo dalla definizione del prezzo.
La gerarchia riguardo l’utilizzazione dei metodi tradizionali in via preferenziale assoluta
rispetto ai metodi reddituali è stata sfumata con le novità introdotte dall’OCSE nel 2010
31
riguardo alla scelta del best method come metodo più appropriato alle circostanze del caso.
Questa scelta di cambiamento dipende dal fatto che nella pratica si è segnalato un utilizzo di
tali metodi maggiore rispetto a quanto ci si poteva aspettare.
Le ragioni si possono individuare essenzialmente nella difficoltà di reperire informazioni:
sulle funzioni svolte, i rischi assunti e i beni impiegati da imprese indipendenti che
realizzano transazioni comparabili;
sui prezzi e sui margini lordi praticati e realizzati da imprese indipendenti in
transazioni comparabili.
I metodi reddituali da un lato richiedono un grado di comparabilità funzionale meno elevato
dei metodi tradizionali, dall’altro richiedono informazioni più facilmente reperibili anche solo
analizzando i bilanci pubblici delle società comparabili.
2.2.2.1 Metodo del margine netto delle transazioni
Il TNMM, secondo la disposizione OCSE, “esamina il margine di utile netto in relazione a una
base adeguata (costi, vendite, attivi) che un contribuente realizza da una transazione
controllata”. Dalla disposizione è evidente che l’unica differenza rispetto al Cost plus e al
Resale minus è l’oggetto di calcolo, cioè il margine netto, pertanto il TNMM deve essere
utilizzato in modo conforme alle condizioni di applicazione dei metodi tradizionali, nei casi in
cui non siano reperibili informazioni pubbliche sui margini lordi.
L’analisi comparativa è la base di partenza per l’identificazione del profitto netto corretto,
implementata attraverso confronto interno o, in via sussidiaria, confronto esterno.
Riporto nel seguito un esempio dell’applicazione del metodo in una transazione controllata tra
il produttore Alfa e il distributore Beta (tested party), i cui dati sono i seguenti:
PRODUTTORE Alfa DITRIBUTORE Beta
Vendite X 190
Costo del venduto (140) X
Margine lordo
Costi operativi (10) (10)
32
Per individuare il valore della transazione (X) utilizziamo la marginalità netta di un
distributore comparabile D1:
DISTRIBUTORE Beta DISTRIBUTORE D1
Vendite 190 200
Costo del venduto (165,7) (165)
Margine lordo 24,3 35
Costi operativi (10) (20)
Margine netto 14,3 15
Applicando l’indice alle vendite di Beta si trova un margine netto pari a 14,3 e ,per differenza,
il costo del venduto, che coincide con il prezzo di trasferimento e con le vendite di Alfa, pari a
165,7.
Nell’esempio ho utilizzato come denominatore dell’indice di reddittività le vendite (return of
sales), che è indicato soprattutto quando la tested party è un impresa distributrice. In
alternativa si può utilizzare come denominatore l’ammontare dei costi (costi pieni o spese
operative) quando questi siano in grado di rappresentare meglio il valore delle funzioni svolte
e dei rischi assunti. Infine è previsto l’utilizzo del capitale investito operativo per le imprese
produttrici capital intensive, con l’accortezza di utilizzare i valori di mercato delle attività e
non i valori contabili.
Nel primo “Bollettino del ruling di standard internazionale”17
, emanato dall’Agenzia delle
Entrate il 21 Aprile 2010, è indicato che nel periodo 2004-2009 si realizza questo trend18
:
17 L’istituto del ruling è stato introdotto nell’ordinamento italiano dall’art.8 del D.L. 30 settembre 2003, n.269. È
uno strumento negoziale indirizzato alle imprese con attività transfrontaliera che intendono definire in via
preventiva possibili conflitti con l’Amministrazione finanziaria, tra cui rientra la quantificazione del valore
normale ai fini del transfer pricing tramite gli Advance Pricing Agreements (Valente 2011). 18
Si veda “Bollettino del ruling di standard internazionale”, p.12, disponibile su:
<http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Documentazione/Ruling+internazionale/ > Data di
accesso [10/07/2012].
33
Questo andamento non pare tuttavia confermato dai dati della ricerca di Ernst & Young (2010)
che attestano ancora una generale preferenza per i metodi tradizionali rispetto ai metodi
reddituali.
Tra i punti di forza la dottrina sottolinea che gli indici di redditività netta utilizzati dal TNMM
sono meno sensibili alle differenze nelle caratteristiche dei prodotti scambiati nelle transazioni
comparate rispetto al metodo del CUP; ancora, diversamente dal margine lordo utilizzato nel
Cost plus e nel Resale Minus, il margine netto del TNMM risente in modo contenuto delle
differenze funzionali tra le operazioni comparate. Infatti le differenze di funzioni si riflettono
in un aumento dei ricavi da un lato e in maggiori costi operativi dall’altro, mantenendo
pressoché costante l’indice di reddittività netta.
Contrapposti ai diversi vantaggi che il metodo sembra offrire, esistono una serie di altri fattori
che influenzano i margini netti, mentre non provocano effetti sui margini lordi, e possono
costituire dei punti deboli del TNMM. In particolare i margini lordi sono condizionati dalla
ripartizione tra costi fissi e costi variabili dell’impresa e dal livello di assorbimento dei costi
fissi, vale a dire il diverso grado di utilizzo della capacità produttiva da parte dell’impresa
associata e dell’impresa indipendente comparabile.
2.2.2.2 Metodo di ripartizione dei profitti globali
Il profit split method consiste nell’identificazione del profitto che deriva da una serie di
transazioni tra imprese associate e la sua ripartizione tra le stesse imprese, sulla base di
un’analisi economica volta da individuare le “chiavi” di allocazione che avrebbero adottato
imprese indipendenti per ripartirsi l’utile.
0
5
10
15
TNMM PSM CUP CPM RPM
34
Il vantaggio della ripartizione dell’utile risiede soprattutto nella possibilità di utilizzarlo
qualora tutti gli atri metodi risultino non praticabili. L’OCSE individua tale ipotesi nei casi in
cui le funzioni svolte dalle imprese associate siano molto integrate o quando entrambe le
imprese apportino unique contributions nella transazione.
La ripartizione dell’utile richiede infatti di analizzare entrambe le parti della transazione
controllata (cosiddetto two-side method), proponendo un rimedio alla questione denominata
dalla letteratura economica continuum price problem. Il problema dei cosiddetti one-side
method riguarda l’assegnazione del risultato economico residuale che deriva dalla sinergia
dell’integrazione tra più imprese, in quanto selezionando una sola tested party, la cui
remunerazione sarà fissata in base alla comparazione con terzi indipendenti, il valore
dell’integrazione viene attribuito interamente all’altra impresa. Anche il metodo del CUP
permette di limitare questo problema, ma per le ragioni che ho già descritto è il metodo più
difficile da implementare in pratica.
Il metodo di ripartizione dei profitti presenta essenzialmente i seguenti punti di debolezza:
non è usualmente applicato da imprese indipendenti;
c’è una scarsa relazione con i dati di mercato;
è più oneroso perché comporta l’analisi di entrambe le imprese coinvolte nella
transazione e la misurazione dei costi e ricavi aggregati.
Per applicare il profit split è necessario innanzitutto individuare la quota di utile combinato
emergente (generalmente l’utile operativo) da ripartire. Per suddividere il profitto tra le parti,
le Guidelines OCSE individuano, senza la pretesa di essere esaustive, le seguenti metodologie:
a) Contribution analysis: se esistono comparabili esterni i profitti vengono suddivisi sulla
base della ripartizione negoziata tra le imprese indipendenti; nel caso manchino dati
attendibili sui comparables, si devono classificare funzioni e rischi legati alle
transazioni controllate (avendo riguardo anche alle informazioni desumibili dai
contratti) e attribuire alle stesse una quota percentuale dell’utile. È molto complesso
valutare le contributions di ogni parte, in particolare quando si tratta di unique
contributions.
35
L’esempio di seguito considera le transazioni tra un impresa produttrice e una
distributrice associate, con ripartizione dell’utile complessivamente generato sulla base
delle funzioni individuate in tabella:
Funzione Percentuale di utile
complessivo
Produttore Distributore
Produzione 40% 40%
Distribuzione 20% 20%
Attività amministrativa 10% 10%
Ricerca e sviluppo 12% 12%
Attività di marketing 10% 5% 5%
Rischio garanzia 3% 3%
Rischio invenduto 5% 5%
Ripartizione dell’utile 100% 70% 30%
b) Residual analysis: questo approccio prevede due distinti step:
1. Determinazione della remunerazione di ciascuna parte sulla base di un metodo
tradizionale o del TNMM;
2. Ripartizione degli utili (o perdite) che residuano al fine di remunerare le
funzioni non suscettibili di facile valutazione (intangibles). Si potrebbe ripartire
l’utile residuo in funzione della quota di beni immateriali posseduta dalle
singole imprese associate rispetto al valore totale dei beni immateriali posseduti
da entrambe le imprese. Allo stesso potrebbero configurarsi come opportune
chiavi di allocazione le spese di marketing o le spese di ricerca e sviluppo.
36
CONCLUSIONI
La linea di approfondimento sulla tematica del transfer pricing che ho seguito si sviluppa
essenzialmente intorno al focus della determinazione dei prezzi di trasferimento in linea con la
disciplina fiscale, aspetto sempre più rilevate nelle scelte di pricing dei gruppi, come
confermano i dati dell’indagine effettuata da Ernst & Young (2010) su un campione di 877
multinazionali nella quale si riscontra che la maggior parte degli intervistati (74%) classifica il
transfer pricing come assolutamente critico o molto importante e il 30% lo considera come la
più rilevante questione fiscale.
Analizzando la prassi e la normativa nazionale ed internazionale si evidenziano innumerevoli
sforzi per definire delle linee guida all’individuazione del prezzo at arm’s length e la volontà
di coordinare la disciplina a livello mondiale, nonostante l’assenza di un autorità impositiva
sovranazionale.
La recente introduzione in Italia di una normativa per recepire gli oneri documentali e i
cambiamenti principali delle Linee Guida OCSE, ha rappresentato da un lato un importante
passo verso l’apertura al dialogo con i contribuenti e l’instaurazione di un rapporto
maggiormente collaborativo, dall’altro colloca il nostro Paese in una condizione di similarità
rispetto alle altre Nazioni.
La tematica del transfer pricing rimane per natura permeata da un certo grado di
indeterminatezza e ambiguità. Sulla questione mi sembra pertinente riportare un paragrafo
dell’OCSE in conclusione alla relazione:
Because transfer pricing is not an exact science, there will also be
many occasions when the application of the most appropriate method
or methods produces a range of figures all of which are relatively
equally reliable.
OECD Guidelines, § 1.45
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