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IL TORRENTE COSIA: FILO CONDUTTORE DELLA BIODIVERSITA' TRA NATURA E UOMO BANDO CARIPLO - SCUOLA 21, A.S. 2013/14 FASE 1: "ESPLORAZIONE DELL'ARGOMENTO" CLASSE III UNITA' DI APPRENDIMENTO 1: L'AGROECOSISTEMA Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch" 1

IL TORRENTE COSIA: FILO CONDUTTORE DELLA BIODIVERSITA… · il torrente cosia: filo conduttore della biodiversita' tra natura e uomo bando cariplo - scuola 21, a.s. 2013/14 fase 1:

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IL TORRENTE COSIA: FILO CONDUTTORE DELLA

BIODIVERSITA' TRA NATURA E UOMO

BANDO CARIPLO - SCUOLA 21, A.S. 2013/14

FASE 1: "ESPLORAZIONE DELL'ARGOMENTO"

CLASSE III

UNITA' DI APPRENDIMENTO 1:

L'AGROECOSISTEMA

Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch"

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INTRODUZIONE

Noi che amiamo “contarla su” in dialetto, forse

non ci rendiamo conto, proprio per l’abitudine di

parlare come i nostri nonni, della bellezza e

delle tante altre doti della parlata vernacola.

Prendiamo per esempio il bel dialetto che noi

lombardi della fascia pedemontana abbiamo in

bocca, che potremmo chiamare “insubrico”,

anche se la sua sorgente è proprio Milano.

Ebbene, questo modo di parlare possiede virtù

di cui non dispone nemmeno la lingua italiana.

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pelabròcch"

… Il dialetto è un patrimonio immenso che

però rischia di scomparire molto in fretta, come

tanti altri valori. Inesorabile, l’incalzare del

tempo, oltre a farci diventare vecchi in fretta,

appanna i ricordi e rimuove tante cose che

abbiamo vissuto e apprezzato, magari anche

amato.

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pelabròcch"

… Se ci si guarda intorno ci si accorge che il

patrimonio delle cose che si stanno via via

perdendo è assai ampio. Quindi l’opera tesa alla

conversazione è davvero molto difficile. Può

scoraggiare se si pensa alla quantità di cose che

si stanno perdendo, l’occuparsi dei vecchi

mestieri e del dialetto che li contraddistingueva,

può forse sembrare un traguardo modesto, o per

lo meno parziale.

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pelabròcch"

… Legate ai vecchi mestieri vi sono tante storie:

un’infinita schiera di aneddoti, di episodi che

hanno avuto come protagonisti questi artigiani

del tempo che fu, i quali erano, ognuno per la

sua piccola parte, un pezzo di storia, spesso

molto intensa e singolare, di una contrada, di

una comunità, addirittura di un’intera città come

Milano.

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UL PELABRòCCH

L’esercizio del “pelabròcch” non era di sicuro un

mestiere vero, o una professione seria, ma tanto

meno un’arte. La colorita espressione

“pelabròcch” era piuttosto sulla bocca maligna e

insolente di gente che voleva additare giovani

lazzaroni, senza arte né parte. Quella del

“pelabròcch”, tuttavia, è stata una figura

importante, addirittura indispensabile nei tempi

in cui l’industria e l’economia della seta

dominavano, con il beneficio e prepotenza, nelle

nostre contrade alto lombarde. Inoltre nel mondo

contadino il baco era un enorme beneficio. 6

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La storia dei “pelabròcch”, sgusciava fuori, ogni

tanto, ancora nei primi anni del dopoguerra,

quando ormai la grande stagione dell’agricoltura

era già quasi in agonia, dai tranquilli, malinconici

“conversari” nelle serate invernali dentro il

tepore delle stalle. Mi ricordo di aver ascoltato,

più volte, racconti di “pelabròcch” quando ero

ancora un bambino. Spesso però emozioni,

curiosità, sentimenti vissuti in età acerba restano

dentro come parole incise su una lapide.

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La mia curiosità era sollecitata inevitabilmente

dal contrasto che tra quel “brott pelabròcch”

lanciato di frequente dalla nonna verso un

cugino, e lo stesso termine di cui tanto parlava

un vecchio che si vantava, di essere da

giovinetto, lui stesso, un abilissimo “pelabròcch”.

Veniva dalla bassa comasca il vecchio

narratore, capace di tenere il pallino della

conversazione per tutta la serata, davanti a una

piccola platea che lo ascoltava a bocca aperta.

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Quel bel parlare era, per noi “bagaiòtt”, come se

ci affacciassimo al mondo. Ancora non

sapevamo, infatti, cosa fosse la televisione e al

cinema ci sedevamo solo qualche volta, quando

andava bene, la domenica pomeriggio dopo la

dottrina. Sicchè il vecchio si vantava di essere

salito un’infinità di volte, quando ero poco più di

un bambino, sugli alberi del gelso, il “muron”,

per raccogliere la foglia da dare da mangiare ai

“cavalee”, i bachi che voraci, aspettavano di fare

il bozzolo sui loro “letti” ben apposta allestiti. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Nella sua concione, partiva da lontano,

prendendola molto alla larga, il vecchio che di

cognome era Aldobrandi, come spesso faceva

ricamare con enfasi e sottintesi legami a nobili

discendenze fiorentine. Cominciava parlando di

mutande, creando, cosi, sollecito e maturale

interesse tra noi “bagai” e scamni repentini

d’occhiate ammiccanti e di appena accennati

sorrisi tra le donne che da poco avevano

terminato il rosario.

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Aldobrandi, la cui vera provenienza nessuno

conosceva, ammiccava a sua volta tirando in

ballo un’illustre concittadina fiorentina

rinascimentale, l’ardita signora nobildonna

Caterina de’ Medici, la quale, come raccontato

tanti storici, ebbe la disinvoltura di dare gloria

alle mutande. Caterina era, come colorava con

ossequioso tono di voce “ul sciur Aldobrandi”,

un’ appassionata cavallerizza.

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Caterina che cavalcava come gli uomini, lanciò

addirittura una nuova moda di montare in sella.

Poneva il piede sinistro sulla staffa e la gamba

destra piegata, con la coscia ben in alto

sostenuta da uno stalliere. Scopriva cosi “ben

sopra il ginocchio” e minacciava di esporre alla

vista le sue grazie femminili. Pensò pertanto di

ricorrere alla “mutanda”, indumento di cui poi le

francesi si appropriarono.

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Qualche secolo dopo sarebbe dovuto toccare

alle giovani femmine lombarde il compito di

salire in alto, questa volta sui “muron” a pelare i

rami e raccogliere le foglie per i bachi.

Nonostante Caterina de’ Medici, le contadine

lombarde, ancora nell’Ottocento, però non

portavano le mutande. Sui “muron” a “pelà i

bròcch” toccò quindi ai ragazzi che erano distolti

in fretta e furia da altri impegni.

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Oppure erano adoperati quei “bagai” non sorretti

da gran dedizione al lavoro, sempre in giro a

tirar sera e a combinare guai. Forse questa

realtà sta il tono spregiativo del termine

“pelabròcch”. Aldobrandi terminava la concione

sostendendo che anche lui era stato uno di

questi poveri ragazzi. Però, poi, nella vita aveva

fatto strada.

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Era diventato sensale e poi mediatore di terreni.

Tutto grazie a una fanciulla ricca che si innamorò

di lui e che poi lo sposò. La signorina oltre che

ricca era disinvolta e di gran classe. Portava le

mutande. “Che indossasse le mutande non so.

Di certo, in casa era lei a portare i calzoni”

commentava, sarcastico, mio nonno.

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UL FAMELL

Nei dialetti alto lombardi,anche quelli del Canton

Ticino e del Milanese, per “famèll” si intende il

lavoratore della stalla, il giovane che tiene dietro

agli armamenti, alla pulizia e a tutti i lavori di

mungitura, di governo dello stallaggio e della

concimaia: mansioni utili e molto faticose. Solo

in questi ultimi anni, grazie alle macchine, e a

nuovi metodi di lavoro, ad attrezzature

sofisticate, il lavoro del “famèll” si è un pò

alleggerito.

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Il termine deriva dal latino “famulus” (famiglio,

servo) che indicava il servo più fidato, tanto da

essere considerato un pò come uno della

famiglia. “Famulo” è pure un termine italiano,

anche se poco usato, per indicare il garzone che

gode di fiducia, quello molto vicino al maestro di

bottega. Oggi “famèll” è un vocabolo che indica

un lavoro di bassa levatura, di tanta fatica e

svolto in mezzo allo sterco degli animali: un

lavoro da cui i giovani cercavano, appena

potevano di scantonare. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Mi ricordo quando ero un ragazzo ed ero di casa

nella cascina e nella stalla dei miei nonni

contadini brianzoli, che mio nonno, ormai molto

in là negli anni e piegato in due dalle fatiche

tremende patite tra i solchi, le messi, i campi di

patate, di “medica” e sopratutto nella stalla,

uscire, qualche volta nell’ accorata invocazione:

“Ga vureva un famèll”. L’implorazione, che era

un pò anche un’imprecazione, era rivolta ai miei

cugini, ormai quasi giovanotti che avevano

preferito andare in fabbrica. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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In questà realtà, pur ristretta alla povera cascina

di mio nonno, vi è la sintesi del repentino declino

dell’agricoltura e del mondo rurale della Brianza

del dopoguerra e dell’insediarsi delle industrie.

Di quel mondo contadino però quelli della mia

età, o pressappoco, hanno fatto in tempo a

cogliere gli aspetti più belli, le atmosfere

caratteristiche, conservando ricordi che,

perdendosi un pò nelle foschie della memoria,

conquistano, via via, dolcezze e commozioni.

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Ricordo di aver provato ammirazione profonda,

addirittura un incanto, quando ero ancora un

ragazzetto sui dieci-undici anni, per i “famèll”

che lavoravano, o almeno davano l’impressione

di affaticarsi, accudendo gli armenti della

Capanna Palanzone, posta appena sotto la

vetta del monte lariano e che un tempo era la

Capanna Volta e adesso è il Rifugio Riella.

Verso la fine degli anni Quaranta d’estate,

trascorrevo, con mio immenso piacere, un paio

di settimane al Palanzone che era assieme un

tipico rifugio di montagna, con i letti a castello e i

servizzi in un bugigattolo, e una stalla con le

mucche. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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La gran parte degli armenti però se ne stava

sempre all’aperto, sui pascoli ripidi appena sotto

la vetta, o sui prati un pò più dolci della Preaola

e del Pizzo dell’Asino. A provvedere a queste

bestie c’erano alcuni giovani aiutanti, sempre a

torso nudo, che tagliavano pure l’erba non

riservata al pascolo e facevano il fieno. Erano

sempre allegri questi giovani uomini, che per il

padrone del rifugio e della stalla erano i “famèll”.

Mi sorridevano ed erano sempre pronti a

regalarmi caramelle e cioccolato. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Ai ragazzi un pò più grandi e soprattutto alle

ragazze regalavano invece sigarette. Mi

meravigliavo un pò perchè un paio di “Famèll”,

quelli a me più simpatici, non si dannavano

molto per il lavoro, ma passavano ore a dormire

sul prato o a stare in compagnia di signorine in

gita in montagna quasi tutte con i calzoni corti.

Erano le prime donne che vedevo con le gambe

nude. Ma a incuriosirmi ancor di più era che, i

miei amici, al tramonto se ne andavano,

“lasciandosi via” quasi senza farsi accorgere. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Qualche volta riuscivo a vedere che avevano

calzato scarponi pesanti e si avviavano verso il

basso, prendendo il sentiero che scendeva al

lago. Uno di questi “famèll”, che si chiamava

Carletto, lo ritrovai anni dopo. Faceva l’autista di

auto pubbliche. Gli ricordai del Palanzone e gli

chiesi: “Ma dove andavate tutte le sere?”. “Ma

come? Non lo hai mai capito?”, chiese a sua

volta. Poi davanti al mio stupore aggiunse: “Ma

non lo hai mai saputo?”

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Facevamo il contrabbando. Eravamo “spalloni”.

La sera, verso il tramonto scendevamo al lago,

caricavam le bricolle piene di sigarette e ogni

notte compivamo percorsi diversi per portare su

i carichi, passarli ad altri “spalloni” che poi li

portavano giù verso Canzo, Eupilio, Pusiano,

Suello, Ogni notte la stessa storia”. “Altro che

famèll. Quello era un mestiere finto, in realtà

eravate contrabbandieri. Era pericoloso?”, gli

chiesi. Lui rispose che a volte si era trovato in

pericolo, ma era la fatica il male peggiore. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Comunque gli era andata bene. Si era fatto la

macchina con cui lavorava come fosse un taxi.

In un primo momento ci rimasi un pò male. Mi

sentivo preso un pò in giro. Poi, un pò alla volta,

presi ad ammirare ancora di più il Carletto

“famèll” per finta.

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UL CUSTòD E’ chiaro come il sole che nel dialetto lombardo,

“ul custòd”, è il custode. Però a Cantù, fino a

pochi decenni fa, “ul custòd”era qualcosa di più,

anzi era molto più di un semplice addetto alla

sorveglianza e alla vigilanza, o di un’attività.

Nella tradizione vernacola brianzola e in

particolare canturina quello del “custòd” era un

mestiere che pur, essendo solo una

caratteristica della città del mobile, a Cantù era

tenuto in grande considerazione, stimato, caro

alla popolazione intera e in particolare a quello

stupendo mondo dell’artigianato e del

commercio del mobile. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Chi erano dunque queste figure sempre sulla

bocca dei “legnamee”, dei maestri di bottega,

dei disegnatori del mobile in classico stile

canturino, nonchè della gente comune?

Certamente a Cantù molti ancora si ricordano di

quei personaggi che girandolavano qua e là,

dando l’impressione li per caso, in piazza

Garibaldi e vie adiacenti, il cuore pulsante della

città del mondo mobiliero.

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Portavano il berretto con la scritta del consorzio

o dell’associazione ai quali appartenevano e dai

quali erano stipendiati. Con quel berretto

sembravano vedette marinare che scrutavano

l’orizzonte. Non sfuggiva niente al loro sguardo,

tanto meno quelle persone che giungevano da

lontano per comperare i famosi mobili di Cantù.

Capitavano in piazza anche le coppie in attesa

di sposarsi. Molti arrivavano dal Meridione.

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Non facevano in tempo a spuntare da via

Manzoni,da “la Pianèla”, o da via Ariberto, che

“zacch”, erano acchiappati dallo sguardo

iffallibile del “custòd”. C’era una gara tra questi

fornidabili agenti commerciali dallo stile antico e

colorato.

Nei tempi d’oro del “mobile di Cantù”, in città

imperavano “La Permanente” e il “Consorzio dei

piccoli artigiani del mobile canturino” che

avevano i loro palazzi dell’esposizione proprio in

piazza Garibaldi. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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Più tardi venne la “Galleria d’arte”. Quando

aveva combinato l’aggancio, “ul custòd”

conduceva i probabili clienti nell’esposizione, per

far vedere loro gli “ambienti”. Con questo

termine, a Cantù, si usava indicare la camera da

letto, poi la sala, il tinello. Di solito si cominciava

con la stanza, che era sempre l’ambiente più

richiesto in quanto a metter su casa erano le

giovani coppie.

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Appena i cliente aveva scelto, il custode partiva

di gran carriera, un tempo in bicicletta, poi con il

“Galletto”. Poi arrivò il telefono. Dove andava?

Chi chiamava “ul custòd”? Faceva entrare in

scena l’artigiano che aveva cotruito la stanza

che era stata scelta dal cliente. Era l’artigiano

che concludeva l’affare. Il giro, tuttavia, non era

semplice come poteva apparire. C’era una vera

e propria gara tra i “custòd” delle associazioni

per conquistare i clienti.

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Poi però c’era tutto un gioco intorno ai clienti per

la vendità degli “ambienti” aggiuntivi, la sala, il

tinello, le future camere per i bambini,

l’anticamera, mobili e mobiletti vari. Il custode

quindi aveva un ruolo particolare e poteva

favorire l’artigianato amico. Quindi si creara tutta

un’infinità serie di pettegolezzi, di accuse, di

“sussuri e grida”. Però non si andava mai oltre

alla chiacchera, come mi raccontava un amico

canturino, che molto se ne intende di queste

cose e ha vissuto in quegli anni. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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La figura del custode scomparve quando gli

artigiani smisero di vendere direttamente le loro

produzioni e presero a lavorare per gli architetti.

A complicare le cose c’era, almeno al Consorzio,

un regolamento un pò strano, che stabiliva la

presenza nell’esposizione di un “legnamee”

socio. Agli artigiani però non piaceva molto

andare a fare il turno all’esposizione. Pareva

loro di perdere tempo. Preferivano stare in

bottega a “laurà”.

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Così mandavano i figli che non erano destinati a

continuare la tradizione del padre e che quindi

andavano a scuola. Uno dei ragazzi, figlio del

falegname ma diventato ragionere, ricorda che

una volta riuscì a vendere una sala stupenda,

ricca, molto costosa e con l’aggiunta del tinello.

Era fiero di questa sua performance. Quando

giunse il padre per stendere il contratto, per lo

studente fu una doccia fredda. Aveva venduto la

sala assicurando che era di noce. Il “legnamee”,

però onestamente dovette ammettere: “Macchè

nus, l’è da castan”. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött

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UL CICLISTA “Ciclista” è uno di quei termini che, senza

scomporsi, possono essere pronunciati sia in

italiano che in dialetto. Nell’ una e nell’altra

circostanza hanno la stessa dignità. Però una

cosa è dire “il ciclista” un’altra “ul ciclista”.Il

ciclista è quello che va in biclicletta, colui che

spinge sui pedali. L’altro invece era il meccanico

che aggiustava la bicicletta. Oppure era il

commerciante che vendeva le biciclette e i

ricambi. Il più delle volte “ul ciclista” era abile nel

mestiere di riparare copertoni e camere d’aria,

freni e raggi delle ruote, sia nel “cacciare” la bici

dell’ultima moda. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch"

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“Devi nà in dal ciclista”, è la mentanzione ancora

sulla bocca di molta gente. Per fortuna la

bicicletta, anche per uso, per cosi dire domestico

è mezzo di locomozione ancora di molto aiuto e

perfino sempre più adoperato, anche a causa

dell’aumento del traffico automobilistico.

Per i veri appassionati del pedale, quelli che

fanno cicloturismo, la vecchia figura del “ciclista”

riparatore è forse del tutto scaduta e ha lasciato

il posto al meccanico vero e proprio, tipo quello

che maneggia e tiene in perfetta efficenza le bici

dei corridori. Per le donne che vanno a far la

spesa, o lo shopping, in bicicletta, “ul ciclista”

tradizionale può possedere ancora l’aureola dell’

“ultimo santo di paradiso. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch"

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Senza di lui, senza la sua abilità e, soprattutto la

sua pazienza, le biciclette resterebbero sempre

ferme.

Ecco quindi perchè “ul ciclista” è un artigiano di

primaria importanza. A questa figura sono legate

storie bellissime. “Ul ciclista” che apriva la sua

bottega a metà della stretta contrada dove sono

venuto “grande” si chiamava Augusto, ma tutti lo

chiamavano “Gusten”. Quando gli portavo la

“bici” con la gomma sgonfia, non c’era bisogno

di tante parole. Prendeva il velocipide delle

nostre evoluzioni e ormai svilito alla condizione

di un cavallo azzoppato, o di un’arma senza

munizioni, lo metteva in un angolo. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch"

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Poi diceva: “Ga pensi mé”. Faceva un pò il

prezioso, tuttavia. Dai suoi occhietti pungenti,

semichiusi, emergeva un’espressione che

sembrava voler dire: “Se non ci fossi io, voi non

potreste mai andare in giro in bicicletta e

pedalare spensierati, su e giù per le strade del

paese, fare gincane e spaventare le donnette”.

Non voleva dare l’impressione di essere li ad

aspettare che qualcuno gli portasse la bici con la

gomma sgonfia o i freni rotti. Per prima cosa,

quindi, prendeva la bici rotta e la metteva in un

angolo. Appena il cliente se n’era andato però,

“Gusten” dava inizio alla sua preziosa opera.

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Prendeva un grosso catino, lo riempiva d’acqua.

Poi estraeva la camera d’aria dal copertone. La

gonfiava. Con destrezza “faceva scorrere il

budello gonfio dentro l’acqua, tirandolo

leggermente, premendolo qua e là, palpandolo.

Pareva un medico intento ad auscultare.

Quando scopriva che dalla gomma uscivano le

bollicine d’aria, premeva il dito. Lì cera il buco.

Noi intanto eravamo tornati, di soppiatto, a

osservare il lavoro. Ci piaceva l’odore del

mastice che tra un attimo avrebbe steso sulla

camera d’aria: intorno al buco appena

individuato. Prima c’erano altre operazioni

specifiche. Svuotare l’aria, poi asciugare la

camera d’aria, passare la carta vetrata sulla

zona del buco.

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Dopo aver steso il mastice, “Gusten” provvedeva

a compiere l’operazione più delicata. Da un

vecchio budello ritagliava la pezza. Poi puliva

con la carta vetrata e la spalmava di mastice.

Stava in attesa che il mastice si seccasse un pò.

Per controllare vi ci appoggiava leggermente le

labbra. Poi l’appiccicava sopra il buco. Noi

guardavamo estasiati. “Ul ciclista” però preferiva

stupirci con altre attrazioni: “tappini” dei freni in

fibre sintetiche, cambi a cinque rapporti e

sempre più sofisticati, telai superleggeri. Lui si

appassionava a tutte le innovazioni tecniche,

anche se, purtroppo, il suo mondo coinvolgeva

solo noi ragazzini e i genitori che usavano la

bicicletta per andare a lavorare. Bando Cariplo 2013/2014 U.A.1 "I brött pelabròcch"

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I tempi avanzavano veloci e qualcuno di noi vide

realizzato il grande sogno della “bici da corsa”.

“Ul ciclista” però aveva chiuso. Era

misteriosamente scomparso. Per noi ragazzi

ormai diventati giovanotti fu una gioia ritrovarlo

un giorno sull’ “ammiraglia” di una squadra

ciclistica di professionisti. “Gusten” era diventato

meccanico dei campioni del pedale.

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