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Il Tempo Un’idea fuggente TEMPO CHE SCORRE E' tutto ciò che si dice per verità di vita, si dice un fiume che scorre verso il mare è un pesce raro in un fondale sconosciuto. Rossella Dian Scuola Media Piancavallo (VB)

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Il Tempo

Un’idea fuggente

TEMPO CHE SCORRE

E' tutto ciò

che si dice per

verità di vita,

si dice un fiume

che scorre verso il mare

è un pesce raro in un fondale sconosciuto.

Rossella Dian

Scuola Media Piancavallo (VB)

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Il tempo: un’idea fuggente

Cos’è il tempo?

Un quotidiano mistero.

Una domanda che attraversa i secoli

e a cui ancora oggi è difficile dare una risposta.

In tanti si sono misurati con questo mistero,

altri lo prendono come viene senza pensarci più di tanto.

Perché è difficile definire il tempo?

Perché non esiste un Tempo ma esistono tanti tempi diversi.

C’è un tempo segnato dalle lancette dell’orologio.

C’è un tempo segnato dalla successione degli eventi.

C’è il tempo della storia, il tempo della natura, il ciclo delle stagioni.

Un tempo della biologia ma anche un tempo della vita e,

qui a Piancavallo, anche un tempo della cura.

Ci sono ore che “passano troppo in fretta” e ore che “non finiscono mai”.

Tempi diversi, tempi che si intrecciano tra loro

come i fili che formano un tessuto.

Spendiamo bene il nostro tempo!

Un antico proverbio contadino ci ricorda che :

“Gli uomini fanno gli almanacchi e Dio fa il Tempo”

I ragazzi e gli insegnanti della scuola media di Piancavallo

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TEMPO

Tempo cronologico

Tempo astronomico

Tempi della natura

Tempo meteorologico

Tempo e clima

Tempo musicale Tempo letterario

Il tempo passa- le cose cambiano

(come si misurano anni, secoli,

millenni)

Anno e calendario

Misura del tempo

La meridiana

Menhir e allineamenti

Calendario 2008

I tempi della natura

Adattamenti negli animali

Adattamenti nell’uomo

I diversi eventi meteo

Lampo e tuono

L’arcobaleno

I venti

Le previsioni meteo

Un fiore segnatempo

I cambiamenti climatici

I fattori che influenzano il clima

Azione dell’uomo sul clima

Inquinamento atmosferico

Le piogge acide

Il buco nell’ozono

Il problema dell’ozono al suolo

Effetto serra

La scomparsa dei ghiacciai

Animali e cambiamenti climatici

Autunno caldo

Il Ritmo il cuore della musica

The Times They Are A-Changing

Un paese a tempo di musica

Poesia “Ti auguro tempo”

Poesia “Il vento”

Poesia “Il tuono”

Poesia “Lampo”

Poesia “Nebbia”

Proverbi

Citazioni

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Il tempo passa “le cose cambiano”

L’ordine cronologico La data è un numero che indica un anno preciso e ci dice da quanto tempo l’oggetto o la persona

esiste. È un’indicazione che consente di mettere ordine in una moltitudine di fatti, di avvenimenti,

di cose che sono cambiate e si sono trasformate nel corso della storia dell’uomo. È quello che

chiamiamo l’ordine cronologico. Quest’ordine è stato stabilito a partire da una data di origine, da

un punto di partenza nel conto degli anni: la data zero.

Per noi la data zero è quella della nascita di Gesù Cristo: è il punto di partenza per contare le date di

quella che chiamano l’era cristiana.

Ma moltissimi avvenimenti erano accaduti prima della nascita di Cristo. Per stabilire le date di

questi avvenimenti, bisogna contare all’indietro rispetto all’anno zero. Al numero degli anni che si

contano in questo modo bisogna aggiungere la formula “prima di Cristo”, che si abbrevia con la

sigla a.C. (dal latino ante Christum natum).

Roma, ad esempio è stata fondata nel 753 a.C.

Anni , secoli, millenni

Cento anni sono un secolo.

Mille anni sono millennio.

La numerazione dei secoli e dei millenni segue la stessa regola della numerazioni degli anni.

Il primo secolo d.C. (dopo Cristo) comincia il primo giorno dell’anno 1 e termina l’ultimo giorno

dell’anno 99.

Il secondo secolo comincia con l’anno 100 a.C. e finisce con l’anno 199, è così via.

Il primo secolo a.C. (avanti Cristo) comincia nell’anno 100 a.C. e termina nell’ anno 1 a.C.

Il secolo può essere indicato in lettere oppure con numeri romani.

A partire dal 1300 d.C. i secoli si possono indicare anche in cifre arabe con un apostrofo al posto

delle migliaia: ‘300, ‘400, ‘500, ecc.

I tempi storici Quando si risale troppo indietro nel tempo, oltre la memoria delle persone viventi, non si può più

contare su testimonianze dirette degli eventi, dei modi di vita.

Tuttavia, ci si può basare su altri elementi: sui monumenti, sulle opere d’arte, sugli oggetti di uso

quotidiano, sui ricordi scritti.

I tempi storici sono i tempi della vita dell’uomo, dei quali è possibile avere testimonianze dirette o

trovare testimonianze scritte.

Gli studiosi misurano in anni, in decenni, in secoli o in millenni gli avvenimenti dei tempi storici.

I tempi preistorici

Prima dell’invenzione della scrittura vi fu il lunghissimo periodo della preistoria, che vuol dire:

prima della storia.

Della vita e delle attività dell’uomo prima del IV millennio a.C., nei tempi preistorici, restano

soltanto testimonianze mute: grandi pietre allineate e rivolte verso il cielo, pitture e graffiti sulle

pareti rocciose delle grotte, piccole pietre tagliate in modo particolare, resti scheletrici, tracce di

insediamenti.

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In assenza di documenti scritti, spesso è molto difficile trovare una spiegazione o una data e il

rischio di errore è grande. Per questo motivo il tempo viene calcolato in millenni.

Sito megalitico di Carnac in Bretagna

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Il calendario

Come facevano gli uomini antichi a misurare il tempo?

Il primo calendario fu la natura.

Anche gli uomini hanno sicuramente osservato che la luna cambia forma con regolarità.

Da una luna piena all’altra passa sempre lo stesso periodo di tempo: 29 giorni e mezzo.

Su questo intervallo costante e regolare, detto “lunazione”, furono costruiti alcuni dei primi

calendari dell’antichità, divisi in dodici mesi di 29 o 30 giorni, alternati.

Anche il movimento apparente del sole ha ritmi regolari e costanti.

Il tempo tra un passaggio del sole sul punto più alto che raggiunge nel cielo, detto zenit, e

successivo è sempre lo stesso: un giorno.

Ma l’altezza del sole allo zenit varia a seconda delle stagioni.

L’anno e il calendario

Anno è il periodo di tempo impiegato dalla Terra a compiere un intero giro di rivoluzione intorno al

Sole.

La durata dell’anno solare è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. L’anno civile corrisponde

ad un periodo di 365 giorni negli anni comuni e di 366 giorni negli anni bisestili. L’anno bisestile

che cade ogni quattro anni comuni serve per la correzione dovuta alle circa 6 ore che si perdono

effettivamente ogni anno.

L’anno civile, introdotto dagli Egizi, contava 365 giorni trascurando 6 ore ogni anno. Come

conseguenza, al tempo di Giulio Cesare, agli inizi della primavera, il calendario segnava già il mese

di giugno, quando il grano era maturo si era ormai in settembre.

Bisognava quindi correggere il calendario.

Fu Giulio Cesare a riformare il calendario, che proprio da lui prese il nome di calendario giuliano,

aggiungendo all’anno 708 di Roma 90 giorni per ritornare alle stagioni effettive.

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Dovendo recuperare circa 6 ore ogni anno, in quattro anni sono 24 ore che fanno un intero giorno, si

stabilì allora di aggiungere ogni quattro anni un giorno e precisamente dopo il sesto giorno prima

delle Calende di marzo. Tale giorno fu chiamato bis – sextus, da qui il termine bisestile con cui

viene chiamato l’anno con un giorno in più.

Ma anche in questo caso si commetteva un errore perché arrotondando a 6 ore si trascurava una

differenza di 11 minuti e 14 secondi che al termine del XVI secolo avevano già accumulato una

differenza di 10 giorni.

Il Pontefice Gregorio XIII volle correggere questo errore ordinando che il 4 ottobre 1582 diventasse

il 15 ottobre 1582 (giorni dedicati a San Francesco e a Santa Teresa).

Per evitare altri errori ordinò che ogni 400 anni fossero inseriti 97 anni bisestili anziché 100

precisando inoltre che dovevano essere bisestili tutti gli anni divisibili per quattro, fatta eccezione

per gli anni secolari in cui il numero formato dalle prime due cifre non fosse divisibile per quattro.

Ad esempio 1700 non è bisestile, 1800 nemmeno, 2000 invece è bisestile.

Il calendario gregoriano è stato successivamente adottato in quasi tutti i Paesi.

Le popolazioni mussulmane hanno invece un calendario che si basa sull’anno astronomico lunare

di 354 giorni, 8 ore e 48 minuti.

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Misura del tempo

Nelle prime civiltà il tempo era scandito dal sorgere e dal tramonto del Sole e dall’alternarsi delle

stagioni.

Ora l’unità di misura del tempo nel Sistema Internazionale è il secondo (s). Ci sono sessanta

secondi in un minuto e sessanta minuti in un’ora.

I sottomultipli del secondo seguono invece, il sistema decimale; dividendo il secondo in dieci parti

uguali abbiamo il decimo di secondo e analogamente il centesimo e il millesimo di secondo se

dividiamo rispettivamente per cento e per mille.

Gli antichi strumenti di misura del tempo includevano la clessidra a sabbia e la meridiana, il cui

funzionamento è basato sull’ombra proiettata da un’asta metallica su un quadrante.

Oggi gli scienziati misurano il tempo con grandissima precisione con gli orologi atomici.

I segnali orari in Italia sono forniti dall’Istituto Elettrotecnico Nazionale “Galileo Ferraris” di

Torino.

Con il suo moto di rotazione la Terra volge nell’arco delle 24 ore tutti i suoi punti al Sole.

Ad esempio il mezzogiorno di un luogo è dato dal passaggio del Sole sul meridiano di quel luogo.

Tutti i punti che si trovano sullo stesso meridiano avranno nello stesso istante il mezzogiorno e

quindi per tutti questi punti le ore corrispondono.

Le ore sono diverse per località che si trovano su meridiani diversi, cioè che hanno una diversa

longitudine.

Si chiama ora locale quella che viene calcolata sul meridiano di ogni singolo luogo. Per

semplificare si è stabilito di unificare l’ora di una Nazione adottando l’ora della capitale che diventa

l’ora nazionale.

La Terra è stata idealmente divisa in 24 fusi orari, spicchi sferici di 15° di longitudine che

corrispondono ad un tempo di un’ora.

Tutti i punti che si trovano all’interno dello stesso fuso orario hanno l’ora indicata dal meridiano

che divide il fuso in parti uguali, hanno cioè l’ora legale.

Il fuso in cui si trova l’Italia è quello che ha per meridiano centrale quello passante per l’Etna.

Passando da un fuso ad un altro si salta di un’ora, anticipando se si va verso Oriente, ritardando se

si va verso Occidente.

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Un viaggiatore che va da Londra verso Oriente anticipa di un’ora ad ogni fuso che passa per cui

ritornando al punto di partenza avrebbe compiuto l’intero giro della Terra con un anticipo di un

giorno; compiendo il percorso in senso inverso si troverebbe con un ritardo di 24 ore.

Per eliminare questo inconveniente si è stabilito che l’antimeridiano di Greenwich è la linea del

cambiamento di data, in quel punto si ripete la data del giorno precedente se si va verso Oriente, si

passa alla data del giorno successivo se si va verso Occidente.

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La meridiana…che fascino!

Lunedì 19 maggio, è venuto da noi, il dott. Renzo Rancoita, fisico, esperto e collaboratore del

centro didattico del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino.

Quest’anno ci ha proposto un laboratorio di astronomia, in particolare di gnomonica, avente come

filo conduttore la misura del tempo con il Sole.

Un laboratorio affascinante, basato sulla conoscenza e sulla costruzione di una semplice meridiana

in orizzontale.

Prima della attività pratica, Renzo ci ha fornito interessanti informazioni sulla definizione di

gnomonica, sulla storia della misurazione del tempo, sul significato e la magia della meridiana.

Ci ha spiegato la latitudine, come orientarsi verso il nord di giorno e di notte, i movimenti della

Terra, i solstizi e gli equinozi.

Come sempre ci ha portato molto materiale illustrativo e semplici strumenti, semplici ma molto

belli, che lui stesso ha realizzato con materiali facilmente reperibili da tutti e ci ha mostrato alcuni

esperimenti come ad esempio l’interessante esperienza del pendolo di Foucault.

Ma la vera attività è stata la realizzazione da parte di tutti i ragazzi presenti, da quelli delle

elementari a quelli delle superiori, di una semplice meridiana orizzontale con soli foglio di carta,

matita, forbici, goniometro di carta, colla e soprattutto attenzione ai suoi consigli.

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In effetti il lavoro per noi è stato semplice, non soltanto perché sa spiegare molto bene anche le cose

più difficili, ma soprattutto perché tutto il grosso lavoro di preparazione, di calcoli per la correzione

della latitudine ecc. è stato fatto da lui, che ha lavorato per noi anche la sera precedente.

Abbiamo così capito che non si può spostare una meridiana in qualunque posto perché, poiché

misura l’ora locale, non può essere precisa ad ogni latitudine.

Cambiando luogo bisogna rifare i calcoli con la nuova latitudine.

Leggendo la dispensa che ha dato a ciascuno di noi, infatti, abbiamo scoperto che gli antichi romani

avevano ‘rubato’ una meridiana a Catania per portarla a Roma…per circa 100 anni hanno avuto una

indicazione dell’ora errata! E ben gli stava!

Vi riportiamo alcuni motti pensati da alcuni di noi per le nostre meridiane, abbiamo scelto i più

carini:

“Come è vero che la galassia è infinita, il tempo non si ferma mai”

“Senza stelle non c’è notte, senza sole non c’è vita”

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“Desidero fermare il tempo…per tornare indietro a cambiare il mio passato”

“Vorrei che il tempo si fermasse per non far smettere mai questa esperienza di Piancavallo”

“Fino alla fine del tempo”

Vi proponiamo ora alcune riflessioni:

(Valentina 3 media): “…non avevo mai pensato di fare una cosa di questo genere; è stato molto

interessante e significativo.

…lui si è espresso molto bene e ci ha spiegato in modo che capissimo tutto.

…a volte ci faceva intervenire soprattutto per fare i calcoli, per vedere quanto eravamo attenti!

…adesso finalmente quando vedrò una meridiana so che cos’è e saprò spiegarla ad altri.

…a casa proverò a riprodurre la meridiana.

(Francesca 3 media): “…è stato un incontro molto bello ed interessante perché si è basato più

sulla pratica che sulla teoria.

…abbiamo visto delle foto di alcune belle meridiane, poi ognuno di noi ha provato a costruirne

una.

…abbiamo decorato il nostro orologio solare e abbiamo scritto il nostro motto.

Valentina e Francesca classe 3 media, Piero 1 media di Piancavallo

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Menhir e allineamenti

Un calendario a cielo aperto

Menhir: dal bretone men hir che significa pietra lunga; pietra irregolare innalzata, isolata o in

allineamento. Può essere grezza, scheggiata o può portare delle raffigurazioni simboliche incise.

L’altezza può variare da appena un metro ad un massimo di venti metri.

Allineamento: fila semplice di menhir o serie di menhir della stessa orientazione; spesso con

sistemi complementari di pietre disposte a semicerchio.

Sito megalitico di Carnac - Bretagna

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Il megalitismo

Una delle grandi evoluzioni economiche dell’umanità fu l’acquisizione di tecniche di allevamento e

di agricoltura avvenute nel periodo della storia chiamato Neolitico.

Nata in Medio Oriente l’agricoltura ha raggiunto l’Europa attraverso la via danubiana e il

Mediterraneo.

Agricoltura e allevamento hanno cambiato drasticamente le condizioni di vita dell’uomo.

I contadini iniziarono a costruire villaggi permanenti trasformandosi da uomini nomadi in sedentari.

Questa nuova condizione permise la costruzione di monumenti perché questo richiedeva una lunga

presenza in un certo luogo.

Evolse la mentalità dell’uomo e cambiarono le religioni orientandosi soprattutto verso i culti

astronomici e verso la dea-madre protettrice di morti e raccolti.

Per rendere omaggio alle nuove divinità furono costruiti grandi templi all’aperto, gli allineamenti,

orientati secondo il sorgere e tramontare del Sole e della Luna.

Si innalzavano anche delle grandi pietre verso il cielo, i menhir.

Menhir a Ile aux Moines - Bretagna

Il principio della pietra innalzata verso il cielo fu adottato molto presto dai neolitici. Questo stava ad

indicare anche un grande risultato tecnico di notevole importanza poiché alcuni grandi menhir

potevano raggiungere le 350 tonnellate.

Inoltre su queste pietre era possibile l’incisione di simboli religiosi.

Infine potevano servire come punto di riferimento astronomico.

Più tardi questo sistema divenne sempre più complesso fino alla realizzazione di veri e propri

santuari all’aperto. All’inizio furono semplici file di menhir, poi insiemi di file a formare gli

allineamenti e infine costruzioni complesse con l’aggiunta di cinte o cerchi sulle estremità.

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Un insieme molto bello di allineamenti si può vedere nel sito megalitico di Carnac, in Bretagna,

risalenti al periodo Neolitico che copre un arco di tempo compreso tra il 5000 e il 2000 avanti

Cristo.

Gli allineamenti di Carnac sono i complessi più famosi e imponenti con quasi 4000 pietre erette a

menhir.

Allineamenti a Carnac - Bretagna

Sono state scoperte approssimate orientazioni riferibili al calendario solare, solstiziali o

equinoziali, poi stellari e lunari. Ci sono alcune ipotesi che portano alla possibilità di previsione

delle eclissi.

Secondo altri le pietre erette si riferivano al culto divino del sole che muore e che risorge ogni

giorno.

Ma anche la luna aveva un ruolo predominante, di primo piano nei calendari primitivi, che erano

basati sul ciclo lunare.

Inoltre essere in grado di predire le eclissi sarebbe stato sensazionale e prestigioso per la classe

sacerdotale per la quale la divinazione aveva un ruolo importante, in quanto la veggenza era una

qualità richiesta in ogni società.

Infine la suggestiva forma di certi menhir ha fatto supporre che simboleggiassero la fertilità che

quasi sempre si associa simbolicamente al Sole, generatore di tutte le cose.

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I Tempi della natura

Non ho tempo

Sono in ritardo

È scaduto il tempo

Cos’è il tempo? Quali sono le basi naturali di quell’entità così impalpabile ma così profondamente

influente nella nostra vita?

Tanto importante da farci rischiare malattie da stress se non ne abbiamo a sufficienza?

Il passare del tempo è scandito da fenomeni naturali che sono talmente ovvi che spesso tendiamo

a dimenticare che sono le reciproche posizioni di sole, terra e luna a determinare, in realtà, tutti quei

fenomeni a cui noi attribuiamo una durata come tempo scandita dalle ore, dai giorni e dalle stagioni.

Il principale segnatempo naturale, quello di più immediata e quotidiana percezione, è il

sorgere e il tramontare del sole.

Le stagioni, invece, hanno dei tempi di ritorno più lunghi, e per questo motivo non siamo in grado

di intuirne immediatamente la ciclicità.

Sappiamo poi che l’alternanza dei periodi di luce a periodi di buio influenzano il nostro

organismo e anche quello di piante ed animali.

A causa dell’inclinazione dell’asse terrestre, però, la durata del giorno e della notte non è costante

durante l’anno, fatta eccezione per le zone equatoriali, in cui l’irraggiamento solare è praticamente

uguale durante tutte le stagioni.

Al contrario, nelle zone polari la notte e il giorno si dividono equamente la durata dell’anno.

Una cosa, comunque, ormai è certa: dopo il tramonto verrà un’alba e viceversa.

Alba

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Tramonto

In passato, ormai molto lontano, anche questo fenomeno rappresentava per i primi esseri umani, un

momento di angoscia e di paura.

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Adattamenti negli animali

Negli animali, gli organi che sono in grado di percepire le variazioni luminose sono gli occhi, ma

non solo essi sono responsabili della percezione delle variazioni di intensità luminosa durante il

giorno.

Negli uccelli pare che l’illuminazione possa essere percepita dall’epifisi direttamente attraverso la

scatola cranica; questa ghiandola funge poi da orologio biologico, che regola le attività

dell’organismo attraverso una complessa catena di produzione di neurotrasmettitori e ormoni.

Poiché l’asse terrestre è inclinato di circa 23° rispetto al piano dell’orbita intorno al sole avremo

un periodo in cui l’emisfero boreale sarà illuminato da raggi solari più obliqui e pertanto più freddi,

dando origine alla stagione invernale; in quella estiva, al contrario, i raggi sono più vicini alla

perpendicolare, ottenendo un maggior riscaldamento sulla superficie terrestre.

Raggi brillanti di una giornata estiva

Raggi pallidi di una giornata invernale

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L’influenza di questo fenomeno sugli animali è notevole, tanto da indurre milioni di uccelli a

compiere una faticosa e pericolosa migrazione da un emisfero all’altro della terra.

Una maggiore durata del giorno significa anche più tempo per cacciare e alimentare la prole,

aumentando il numero di piccoli per ogni nidiata.

Quindi l’alternanza di buio e di luce è senza dubbio un ottimo segnatempo anche se in molti

organismi la scansione temporale è indipendente dalle stimolazioni luminose.

Molti mammiferi, evidentemente, sono in grado di riconoscere l’avvicinarsi della stagione invernale

e possono mettere in atto quei meccanismi adatti a superarla, come il letargo, che permette a piccoli

roditori come il ghiro o la marmotta di ridurre i consumi e di superare in una specie di sonno

profondo il periodo in cui non avrebbero modo di trovare cibo nell’ambiente in cui vivono.

Marmotta

Gli ungulati, invece, che non vanno in letargo, superano il lungo e freddo inverno con un mantello

più folto e protettivo rispetto a quello estivo.

Camoscio

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È quindi fondamentale un “calendario biologico” interno, per permettere agli animali di non essere

ingannati da un autunno troppo mite o da una primavera troppo precoce.

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Adattamenti nell’uomo

Quali sono invece gli adattamenti che permettono all’uomo di regolare le proprie attività evitando

i pericoli della stagione avversa?

L’illuminazione naturale è ormai soppiantata da quella artificiale e le giornate sono sempre più

lunghe e con una durata della luce quasi costante.

Le attività di svago si protraggono sempre di più nelle ore notturne, cioè in quelle ore dove

l’organismo ha un bisogno maggiore di sonno.

Le ferie sono ormai programmate in periodi diversi dalle condizioni climatiche.

Sono stati introdotti turni di lavoro notturni in molti settori.

Questi sono solo alcuni esempi.

La tecnologia ormai ci consente di muoverci, nel tempo e nello spazio, portandoci da un estremo

all’altro della Terra, con la conseguenza che il tempo relativo viene scombussolato completamente.

Il jet lag, che si verifica quando ci si sposta rapidamente di molti gradi di longitudine, è uno

sfasamento dei ritmi circadiani ai quali il nostro organismo si è faticosamente adattato.

Quindi, il nostro orologio biologico, deve risincronizzarsi con il tempo; questo avviene più

semplicemente se lo spostamento è avvenuto verso ovest, cioè verso un ritardo nei ritmi biologici.

Anche un grande spostamento di latitudine, con il conseguente salto di stagione, impone al fisico

riadattamenti del tutto innaturali alle condizioni ambientali.

Esperienze di isolamento volontario hanno dimostrato come la periodicità indotta dall’orologio e

dalla consuetudine, ad esempio sui cicli di riposo e di alimentazione, vada completamente in tilt se

non ci sono stimoli luminosi che ne scandiscono l’avvicendamento.

Inoltre l’uomo, in quanto animale sociale risente anche dell’isolamento; gruppi di persone riescono

a mantenere sincronizzato meglio il proprio orologio biologico.

In realtà l’abbassamento della temperatura corporea che coincide con il periodo di riposo

dell’organismo, mantiene la sua periodicità anche senza orologi ma è l’uomo che non riesce a

percepire questo orologio interno né tanto meno riesce a sincronizzarlo.

La ciclicità e il cambiamento delle situazioni ambientali hanno anche influssi psicologici molto

importanti.

La stagione estiva è quella in cui si è più attivi, più ottimisti e sereni, probabilmente in risposta ad

un periodo più lungo di luce e ad una situazione naturale di rigoglio e fioriture.

Fioritura estiva

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Viceversa nella stagione invernale si apprezza maggiormente il riposo, si diminuisce l’attività fisica

e si è maggiormente vittime di malumore o depressione.

Cupa giornata invernale

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Eventi meteorologici

La Meteorologia è la disciplina scientifica che studia le condizioni del tempo atmosferico e che

elabora sistemi di previsioni del suo andamento nell’arco di alcuni giorni.

Le condizioni atmosferiche di un luogo, non si riferiscono al tempo atmosferico, ma al clima.

Il clima, infatti è l’insieme delle variazioni delle condizioni meteorologiche in una zona della terra,

che si ripetono di anno in anno.

Il sole, scaldando la superficie terrestre, fa evaporare l’acqua dagli oceani, dai mari, dai laghi, dal

terreno e dalle foglie degli alberi, acqua che ritorna al suolo come precipitazioni.

Giunte al suolo, le precipitazioni che noi conosciamo come pioggia, grandine o neve possono

seguire vicende diverse.

La grandine si scioglie e penetra nel terreno; la neve in parte si scioglie e in parte, soprattutto in alta

montagna, si deposita formando nevai che poi con il tempo si trasformano in ghiacciai; le piogge si

disperdono sul suolo e penetrano nel terreno.

L’acqua che giunge sul terreno può seguire diversi percorsi:

- una parte viene assorbita dalla vegetazione;

- una parte evapora e ritorna di nuovo nell’atmosfera;

- une parte è convogliata ai fiumi, ai laghi e ai mari;

- una parte si infiltra nel terreno attraversando i pori e le fessure delle rocce, giunge nel sottosuolo e

circola all’interno di strati rocciosi, formando depositi che vengono detti falde acquifere.

Falda è una parola di origine tedesca che significa “piega”, quindi le falde sono una raccolta di

acque tra le pieghe rocciose, cioè tra gli strati di roccia.

L’acqua trasportata dai fiumi compie un percorso più o meno lungo, al termine del quale giunge al

mare. A sua volta l’acqua del mare in parte evapora ad opera del calore del sole, contribuendo a

formare l’umidità contenuta nell’atmosfera sotto forma di vapore acqueo.

Il vapore acqueo è uno dei componenti più importanti della atmosfera, infatti molti fenomeni

meteorologici sono provocati dalle sue trasformazioni fisiche.

Il vapore acqueo contenuto nell’atmosfera rappresenta l’umidità atmosferica e la sua quantità

dipende dalla temperatura; infatti, l’aria calda può contenere una quantità di vapor d’acqua

maggiore rispetto a un uguale volume di aria fredda. Come conseguenza, se una massa d’aria umida

si raffredda, il suo contenuto di vapor d’acqua diminuisce, perché una parte di esso condensa,

trasformandosi in goccioline liquide visibili.

Oceano sulla costa bretone

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L’80% dell’umidità contenuta nell’atmosfera proviene proprio dai mari e dagli oceani, che

ricoprono il 70% della superficie del pianeta.

Questo vapore acqueo nell’atmosfera, si condensa formando le nuvole che danno origine a nuove

precipitazioni.

A causa della continua evaporazione delle acque presenti sul nostro pianeta, l’aria contiene sempre

una certa quantità di vapore acqueo.

Quando questo vapor acqueo condensa si rende visibile.

Le diverse forme di condensazione del vapor acqueo sono: la rugiada, la brina, la nebbia, le nubi,

la pioggia, la neve, la galaverna e la grandine.

La rugiada

A volte attraversando un prato di mattina, sul finire dell’estate capita di bagnare le scarpe. Eppure

durante la notte il cielo è stato sereno, di sicuro non c’è stata la pioggia.

Perché allora tutte quelle gocce d’acqua?

Quelle piccole goccioline d’acqua sono gocce di rugiada.

La rugiada avviene se il vapor acqueo condensa vicino al suolo e questo si verifica nelle notti

serene primaverili e autunnali.

La rugiada si forma quando il vapore acqueo che si è formato il giorno precedente per effetto del

calore del sole condensa per contatto con pareti fredde come sassi, rami, fili d’erba, foglie e fiori,

sui quali possiamo osservare minutissime goccioline d’acqua.

Ecco per quale motivo si trova soltanto negli strati più bassi, non si trova la rugiada alla sommità di

un grande albero.

La brina

Ai primi freddi di fine autunno o di inizio inverno è possibile invece vedere al mattino un sottile

strato bianco luccicante sui prati, sui tetti, sulle strade. Osservando con attenzione potreste notare

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che non si tratta di goccioline d’acqua come nel caso della rugiada bensì di piccoli cristalli di

ghiaccio. È la brina.

La brina è un insieme appunto di cristalli di ghiaccio che ricopre i vari corpi e si forma nelle

stagioni fredde quando la temperatura scende al di sotto dello zero e pertanto il vapor acqueo

dell’atmosfera passa per sublimazione allo stato solido, cristallino.

Sembra neve ma non lo è. I cristalli di neve cadono dal cielo, la brina si forma a contatto con il

suolo.

La nebbia

Un altro fenomeno molto frequente sempre sul finire dell’autunno e in inverno, soprattutto nelle

campagne e alle periferie delle grandi città del nord è la nebbia.

La nebbia può essere molto interessante per l’aspetto misterioso che dona al paesaggio ma

rappresenta sempre un grosso pericolo per la viabilità.

Può capitare a volte, di andare a letto in una notte serena e fredda e di alzarsi al mattino con la

nebbia.

Che cos’è la nebbia e come si forma?

Durante certe notti serene la terra si raffredda perché perde velocemente il calore accumulato

durante il giorno; il vapore acqueo contenuto nell’aria si condensa a contatto con il terreno e forma

la nebbia, costituita quindi da un insieme di minutissime goccioline d’acqua che per la loro estrema

leggerezza restano sospese a poca distanza dal suolo.

La formazione della nebbia viene favorita inoltre dalla presenza nell’aria di particelle di pulviscolo,

o di altre impurità, che rappresentano dei nuclei di condensazione del vapore acqueo presente in

atmosfera.

Le nubi

Anche le nubi si formano quando le particelle presenti nell’aria sotto forma di pulviscolo, sali e

altre impurità, formano tanti nuclei di condensazione attorno ai quali il vapore acqueo condensa.

In base all’altezza alla quale si formano, le nubi hanno colore, forma e nomi diversi. Le goccioline

d’acqua che formano una nuvola sono così piccole che restano sospese perché sono sostenute

dall’aria stessa a causa delle loro piccolissime dimensioni.

Una goccia di pioggia, al confronto, invece è molto più grande.

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Ci vogliono circa un milione di goccioline presenti nella nube per formare una sola goccia di

pioggia.

Ma le piccole goccioline nelle nubi non stanno mai ferme, si muovono in modo caotico, si

scontrano e si uniscono diventando sempre più pesanti finché precipitano e a seconda della

temperatura portano al suolo pioggia, neve o grandine.

La pioggia

La pioggia, così frequente e uggiosa specialmente in autunno, si forma quando la quantità di vapore

acqueo presente nell’aria è molto elevato e la temperatura continua a diminuire.

In questa situazione le minuscole goccioline che formano le nuvole si ingrandiscono e, divenute più

pesanti, cadono al suolo generando la pioggia.

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La grandine

La formazione della grandine avviene meno frequentemente ma è altrettanto semplice. Si basa

sempre sulle differenze di temperatura che ci sono tra uno strato e l’altro dell’atmosfera.

Una corrente d’aria trasporta verso l’alto piccoli granelli di polvere e sabbia, i più pesanti ricadono

a terra mentre i più piccoli continuano a salire sempre più in alto. Se durante il tragitto incontrano

una nube queste particelle provocano la condensazione delle piccole goccioline d’acqua dando

inizio alla formazione del chicco di grandine.

Se hanno sotto di sé uno strato di aria fredda e umida cadono sotto forma di pioggia, se invece

hanno sotto di sé uno strato d’aria calda evaporano dopo una breve caduta.

Ma se incontrano una nuova corrente di risalita vengono respinte in alto dove per effetto della

minore temperatura, si congelano e diventano chicchi di ghiaccio che ogni volta che il fenomeno si

ripete aumentano di volume.

Ecco perché i chicchi di grandine hanno la forma sferica e sono composti da tanti anelli concentrici.

Cioè ad ogni risalita diventano sempre più grossi e pesanti finché non riescono più a stare sospesi a

causa del troppo peso e cadono a terra.

La neve

Quando per un ulteriore abbassamento della temperatura, la nuvola diventa molto fredda, le

goccioline d’acqua che la formano si trasformano in minuscoli cristalli che cadono al suolo sotto

forma di candidi e soffici fiocchi di neve.

Ogni fiocco di neve ha una sua fisionomia ma quello che accomuna tutti i fiocchi è la presenza di

sei braccia tutte della stessa lunghezza.

Perché allora a volte cadono piccoli fiocchi e a volte fiocchi molto grandi?

Dipende dalle diverse condizioni ambientali, dalla temperatura, dalla ricchezza d’acqua, dalla

velocità di crescita del chicco di neve.

Ciascun fiocco quindi trasmette e riflette la luce a modo suo dando luogo al fenomeno della

diffusione che è di tipo acromatico, cioè di un solo colore.

Vale a dire che, alla luce del sole, la neve appare bianca come il latte.

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Perché una lastra di ghiaccio è trasparente?

Se la neve viene compressa, ad esempio con le mani, i vuoti che ci sono tra i fiocchi scompaiono e i

cristalli tendono ad unirsi insieme, il mezzo diventa più omogeneo e riacquista la trasparenza.

Se i cristalli di neve sono talmente compatti da costituire una lastra di ghiaccio, il suo aspetto ritorna

ad essere molto simile a quello dell’acqua, cioè incolore e capace di trasmettere in modo nitido le

immagini dei diversi oggetti.

La galaverna

La galaverna è un deposito di ghiaccio sotto forma di aghi e scaglie che può prodursi quando la

temperatura è inferiore a 0 °C e c'è la presenza di una leggera nebbia.

La galaverna è costituita da un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide;

di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via.

Essa si forma perché le goccioline d'acqua in sospensione nell'atmosfera possono rimanere liquide

anche a temperature inferiori allo zero (stato di sopraffusione).

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Questo stato è instabile e non appena le gocce toccano una superficie solida come il suolo o la

vegetazione si trasformano in galaverna: si tratta quindi di solidificazione, ovvero passaggio dallo

stato liquido a quello solido.

In particolare, la galaverna richiede piccole dimensioni delle gocce di acqua, temperatura bassa,

ventilazione scarsa o nulla, accrescimento lento e dissipazione veloce del calore latente di fusione.

La galaverna si distingue dalla brina perché questa non è coinvolta dal processo di sopraffusione

delle gocce d'acqua e si forma per il brinamento del vapore sulle superfici raffreddate a causa della

perdita di calore per irraggiamento durante la notte. Le formazioni di ghiaccio, simili alla galaverna,

che si producono in assenza di nebbia con temperature inferiori a -8 °C e un'umidità relativa

dell'aria superiore al 90% sono più propriamente dette brinone, dato il differente processo di

formazione.

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Lampo e tuono

Un fulmine si propaga ad una temperatura elevatissima, fino a 15000 °C , quindi superiore alla

temperatura superficiale del Sole. Questa alta temperatura causa il surriscaldamento dell’aria che si

trova lungo il percorso del fulmine.

La massa d’aria che si trova sul passaggio del fulmine si espande con una tale violenza da generare

il tuono.

Se il fulmine cade lontano, il rumore del tuono è sordo e prolungato; se il fulmine cade vicino si ode

invece un colpo molto secco. Questo accade perché le onde sonore vengono rifratte dalle pareti di

edifici, colline e montagne.

Di solito si vede prima il lampo e poi si ode il tuono perché la luce viaggia ad una velocità

notevolmente maggiore di quella del suono.

Calcolando il tempo che passa tra il lampo e il tuono possiamo conoscere a quale distanza è caduto

il fulmine.

Fulmine Temperatura elevatissima

Surriscaldamento

dell’aria

Espansione

dell’aria surriscaldata

Onda d’urto

Tuono

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L’arcobaleno

Per capire questo interessante fenomeno della natura, legato alle piccole goccioline d’acqua che

rimangono sospese in cielo dopo un temporale, è indispensabile avere un minimo di conoscenza

della composizione della luce che proviene dal Sole.

La luce è formata da particolari onde che hanno la caratteristica di avere una piccolissima lunghezza

d’onda, che si misura con una speciale unità che prende il nome di angstrom, che corrisponde ad un

metro diviso in ben 10 milioni di parti.

La lunghezza d’onda della luce solare va da 4000 a 7000 angstrom.

Al di sotto dei 4000 angstrom si hanno i raggi ultravioletti; al di sopra dei 7000 angstrom si hanno

i raggi infrarossi.

Nell’intervallo compreso tra i 4000 e i 7000 angstrom, si trovano le onde luminose responsabili

delle sensazioni visive dei sette colori che formano quello che si chiama lo spettro della luce.

Questo spettro va dal colore rosso al violetto, passando nell’ordine, da arancione, giallo, verde, blu

e indaco.

La luce che vediamo è data dalla composizione di questi sette colori.

Tutti i colori che noi osserviamo si originano quindi dalla luce.

L’azzurro brillante del cielo, i rossi e i gialli del tramonto e dell’alba sono dovuti al fatto che la luce

proveniente dal Sole si scompone nei differenti colori che la compongono.

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Il grande Newton, con i suoi esperimenti con il prisma ha dimostrato che la luce bianca è costituita

in realtà dall’unione di tutti i colori, cioè il bianco è la somma di tutti gli altri colori.

La luce che proviene dal Sole è bianca, ma in alcune situazioni i colori che la compongono possono

essere scomposti come nel caso della formazione dell’arcobaleno.

Il fenomeno della dispersione della luce spiega il formarsi dell’arcobaleno dopo un temporale.

La luce attraversando le gocce d’acqua sospese nell’atmosfera, viene scomposta nei suoi sette colori

e da origine all’arcobaleno che si può osservare solo volgendo le spalle al Sole.

Questo perché le goccioline d’acqua che rimangono sospese nell’aria dopo la pioggia si comportano

come tanti piccoli prismi naturali. Ciascuna gocciolina scompone la luce solare bianca in un

minuscolo spettro. Osservando le goccioline, più in alto si vedono solo i rossi. Quindi la parte

superiore dell’arcobaleno è sempre una striscia di colore rosso. Al di sotto ci sono gli altri sei colori

dello spettro visibile.

Perché l’arcobaleno assume la forma di un arco?

Già sei secoli fa un monaco tedesco, Teodorico di Freiberg, ha cercato di dare una risposta a questa

domanda, utilizzando per i suoi esperimenti, bocce di vetro piene d’acqua.

Innanzitutto il Sole deve essere sempre alle spalle dell’osservatore.

Inoltre, benché la luce colpisca la goccia in tanti punti diversi, il massimo dell’intensità luminosa

per i raggi uscenti e diretti verso l’osservatore, si ottiene quando l’angolo con i raggi provenienti dal

Sole è di 42 gradi.

In realtà poco meno di 42 gradi per il violetto e poco più di 42 gradi per il rosso.

Questo spiega perché il colore rosso occupa sempre la parte più alta della striscia dell’arcobaleno.

Per ragioni di simmetria poi, la luce giunge all’osservatore principalmente da goccioline che si

trovano su di un arco circolare, lungo dei punti dove i raggi solari e i raggi riflessi formano l’angolo

voluto.

L’osservatore si trova sull’asse della circonferenza e se si sposta ha la netta sensazione che

l’arcobaleno si muove con lui mantenendo sempre identica forma e posizione.

Non si può invece, definire la distanza tra osservatore ed arcobaleno, le goccioline possono essere a

pochi metri o a chilometri di distanza, non importa, purché soddisfino il requisito dei 42 gradi di

angolo. Questo spiega perché non si forma l’arcobaleno al termine di ogni temporale ma è un

fenomeno piuttosto raro da osservare e questo ne amplifica il fascino!

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I venti

"La risposta, amico mio, soffia nel vento..."

(Bob Dylan - Blowin'in the wind"

Il vento, gli antichi greci ne avevano fatto un dio capriccioso, Eolo, che decideva il destino e le

peregrinazioni di eroi e marinai.

Popolo di navigatori, i greci conoscevano i venti alla perfezione.

I più importanti erano quattro: Borea, il vento impetuoso del nord; Noto, l'umido vento del sud;

Zefiro, il vento della primavera che soffia da ovest; Euro, il vento che spira da sud-est.

Anche i venti minori erano tenuti in grande considerazione e rappresentati in forma umana, con le

ali e le guance gonfie nel soffio.

La differenza di pressione tra masse d’aria di zone vicine sono all’origine dei venti.

Vediamo in che modo.

Partiamo da una zona in cui vi è elevata temperatura al suolo. L’aria riscaldata diventa più leggera e

umida e si muove verso l’alto, formando una corrente ascensionale: si crea quindi una zona di bassa

pressione o ciclonica indicata con la lettera B, che corrisponde a tempo umido e piovoso.

Raggiunti gli strati alti dell’atmosfera, l’aria si raffredda, diventa più pesante e secca e forma una

corrente discendente diretta in un altro punto dove la temperatura è minore: qui si crea una zona di

alta pressione o anticiclonica, indicata con la lettera A caratterizzata da cielo sereno e tempo

secco.

Nello stesso tempo, l’aria più fredda e pesante giunta al suolo, viene “risucchiata” dalla zona che si

trova a pressione minore: si stabilisce così un movimento ciclico detto moto convettivo.

I movimenti orizzontali di massa d’aria da zona ad alta pressione (anticicloniche) verso zone a

bassa pressione (cicloniche) danno origine ai venti.

I venti possono interessare solo determinate località e si chiamano brezze, oppure ampie zone della

superficie terrestre distinti in venti costanti e venti periodici.

Le brezze sono venti leggeri che spirano in particolare nelle località di mare e sono dovute al fatto

che nel corso della giornata la terraferma e il mare si riscaldano e si raffreddano con tempi diversi.

Durante il giorno la terraferma si riscalda più velocemente del mare: su di essa si determina una

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zona di bassa pressione, mentre sul mare si stabilisce una pressione maggiore; di conseguenza,

l’aria fresca dal mare si muove verso la terraferma formando la brezza di mare.

Di notte, la situazione si inverte, la terraferma si raffredda più velocemente del mare, l’aria

soprastante si rinfresca e si muove verso il mare sostituendosi all’aria più calda che sale dalla

superficie marina, è la brezza di terra.

I venti costanti sono quelli che spirano tutto l’anno nella stessa direzione su estese regioni della

terra.

Essi comprendono venti molto importanti per la navigazione a vela come gli alisei che spirano dai

tropici all’equatore.

I venti periodici sono quelli che variano di direzione in determinate periodi.

I più conosciuti sono i monsoni che spirano in inverno dal continente asiatico all’Oceano Indiano e

in estate spirano invece dal mare verso la terra portando abbondanti piogge.

In un tempio di Tokio i nomi dei caduti in guerra vengono scritti su foglietti di carta di riso: il vento

li muove e fa sì che quei guerrieri continuino a vivere...

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Le previsioni del tempo

Prevedere l’andamento del tempo a livello locale rappresenta un problema molto complesso poiché

i fenomeni atmosferici dipendono da un numero molto elevato di fattori, che richiedono

l’effettuazione di varie misure in più punti della Terra, sia al suolo sia in quota e la raccolta e

l’interpretazione dei dati così ottenuti.

A questo compito provvede una fitta rete di stazioni di rilevamento distribuita a livello

internazionale e dotata dei più sofisticati strumenti tecnologici.

Le osservazioni effettuate in ogni minuto del giorno e della notte, in qualsiasi parte della Terra,

confluiscono e vengono scambiate attraverso uno speciale sistema di telecomunicazioni denominato

GTS (Global Telecomunication System).

I dati raccolti riguardanti le variazioni di pressione, temperatura, umidità e le caratteristiche dei

venti vengono elaborati presso i principali centri meteorologici da potentissimi computer e vengono

utilizzati per effettuare previsioni per periodi di 24 ore o anche di una settimana.

Le stazioni di rilevamento possono essere fisse, cioè collocate sulla terraferma, oppure installate su

satelliti artificiali, navi, aerei, boe galleggianti, lasciate alla deriva e trasportate dalle correnti oppure

fissate su palloni sonda.

L’impiego dei satelliti meteorologici ha consentito grandi progressi nel settore delle previsioni del

tempo.

I satelliti Meteosat sono i più avanzati e sono stazionari cioè fermi in un punto sopra l’Equatore a

circa 36000 km di altezza.

Un gruppo di cinque di essi è in grado di fornire un’immagine della Terra quasi completa in tempo

reale.

Le immagini inviate dai satelliti possono essere simili a quelle che vedrebbe l’occhio umano oppure

immagini all’infrarosso.

Con questo secondo tipo di immagini è possibile mettere in evidenza le diverse temperature sulla

superficie del pianeta.

Utilizzando i dati ricevuti dai satelliti vengono realizzate le carte meteorologiche, carte che vediamo

in televisione e sui quotidiani.

In Italia le carte meteorologiche e i rilevamenti locali sono effettuati dal Servizio Meteorologico

dell’aeronautica.

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Un fiore segnatempo

La Carlina

Carlina Acaulis

In montagna il fiore considerato segnatempo per eccellenza è la Carlina Acaulis o molto più

semplicemente Carlina. In alcune zone la chiamano anche Cardo di San Pellegrino.

È un fiore particolare, di aspetto erbaceo fino a raggiungere i 10 centimetri.

Le foglie sono tutte alla base e possono arrivare a 20 centimetri.

I fiori, a volte un po’ violacei, sono riuniti in capolini sessili e sono circondati da un involucro di

squame disposte a raggi, di forma lanceolata e di colore argenteo.

Il periodo di fioritura va da giugno a settembre a seconda dell’altitudine ed è diffusa dal piano fino

ai 2200 metri circa.

È diffusa in gran parte dell’Europa centrale mentre in Italia è comune in tutte le regioni del nord e

del centro. È piuttosto rara nelle regioni meridionali ed è totalmente assente nelle isole.

Il suo habitat è rappresentato dai prati aridi e dai pascoli dove sono presenti numerosi sassi.

Perché la Carlina viene chiamata segnatempo?

Perché si apre e rimane aperta se le condizioni meteo sono di bel tempo, si chiude all’avvicinarsi del

brutto tempo e rimane chiusa per tutto il perdurare delle avverse condizioni, riprende timidamente

ad aprirsi all’arrivo del tempo bello.

Inoltre mantiene questa capacità di segnalare il tempo bello o brutto anche staccata dalla piantina ed

anche dopo alcuni mesi o addirittura anni.

E questo lo abbiamo realmente sperimentato!

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I cambiamenti climatici

I cambiamenti del clima sono reali oppure soltanto apparenti?

Oggi si cerca di scoprire quali siano le cause dell’alterazione.

E’ accertato che i valori delle temperature, precipitazioni, umidità, insolazione, densità dell’ozono

stratosferico e troposferico, i movimenti delle masse d’aria atmosferiche, la frequenza di cicloni

tropicali sono diversi da quelli del passato recente.

Questi risultati sono frutto di imponenti investimenti in risorse umane e finanziarie profusi in

programmi di ricerca da molti paesi e da organizzazioni internazionali.

La conoscenza ormai profonda sulle vicende del passato ci permette di affermare che l’evoluzione

del clima è continua e molto più rapida di quanto non si credesse.

L’effetto-barriera esercitato dai rilievi dell’Antiappennino e delle Alpi Apuane contro i venti umidi

provenienti dall’atlantico assicura precipitazioni a sufficienza anche in periodi di carenza idrica

globale.

Testimonianze di rapidi cambiamenti climatici, e del loro stretto legame con le grandi migrazioni, ci

arrivano anche dall’Estremo Oriente.

Le variazioni climatiche più recenti, sono ben note nei loro dettagli in Europa e anche in Nord

America, là in particolare per merito delle analisi dendro-cronologiche: i cerchi di accrescimento

dei tronchi secolari sono grandi e ben segnati nei periodi di bel tempo, stretti e irregolari, sintomo di

sviluppo stentato negli anni difficili, per freddo o per mancanza di umidità.

All’inizio del secolo scorso i ghiacciai raggiunsero l’espansione massima degli ultimi 7.000 anni

privando le popolazioni alpine dei pascoli più alti, sbarrando i valichi fino alla chiusura di vie

storiche di comunicazione, interne alla catena alpina.

Il 1816 fu il momento più critico perché il gelo e l’umidità vennero aggravati dall’esplosione del

vulcano Tambura in Indonesia. Si valuta un’eruzione di circa 150 chilometri cubi di ceneri.

Sotto la spinta di venti in quota, le particelle leggere hanno reso torbida l’atmosfera su tutto il

pianeta, intercettando anche la radiazione solare.

Giugno, luglio e agosto portarono ovunque freddo, neve e ghiaccio: fu definito l’anno senza estate.

L’intervento umano, negli ultimi decenni, ha causato l’aumento della concentrazione di anidride

carbonica in atmosfera e del vapore acqueo, frutto della combustione di sostanze organiche fossili.

Questo ha portato ad un progressivo riscaldamento della Terra. Il Sole, irradia la Terra che a sua

volta riflette verso l’esterno la radiazione cambiata di lunghezza d’onda. Questa energia viene

assorbita dai cosiddetti gas – serra e produce il global warming, cioè il riscaldamento globale.

Il rapporto di causa effetto fra questi fenomeni è avvenuto altre volte nella storia geologica del

pianeta.

Nel Carbonifero, l’alta temperatura e la forte umidità favorirono lo sviluppo di dense foreste

pluviali di felci giganti.

Verso la fine del periodo, i grandi movimenti tettonici produssero insistenti dissesti idrogeologici

che distrussero il bosco seppellendo i tronchi sotto spesse coltri di sedimenti erosi, trasportati e

depositati dai fiumi in piena.

Il periodo successivo, il Permiano, fu segnato da lunghi e ricorrenti periodi glaciali. L’improvviso

raffreddamento è con tutta probabilità causato dalla rarefazione dei gas – serra.

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Oggi, bruciando carbone e petrolio, li diffondiamo con grande rapidità riportando l’ambiente alle

antiche condizioni.

È molto difficile stabilire quanta parte ha l’azione dell’uomo con le oscillazioni naturali del clima.

L’uomo è per sua natura un conservatore e vede con timore qualunque variazione dell’habitat nel

quale vive, perché questi cambiamenti alterano gli equilibri che si è costruito.

I mutamenti in atto sono già abbastanza vistosi come il riscaldamento delle acque dei mari con la

conseguente dilatazione, che ha portato in circa trent’anni ad un aumento della superficie oceanica

di qualche decina di centimetri.

Se in futuro si sommerà l’effetto della fusione dei ghiacciai, l’impatto sulle coste sarà devastante.

Inoltre i pericoli collegati con i cambiamenti ambientali, ad esempio, in alta quota aumentano con la

crescita del turismo in montagna, dello sci e delle vie di comunicazione realizzate attraverso la

catena alpina.

Pecore alla ricerca d'acqua in un laghetto ormai prosciugato

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I fattori che influenzano il clima

La parola “clima” deriva dal greco klìma e significa “inclinazione della Terra dall’Equatore ai

Poli”.

Le zone intorno all’Equatore ricevono la massima quantità di calore, l’inclinazione dei raggi solari è

minima lungo tutto l’anno e quindi c’è la massima insolazione; se ci spostiamo verso i poli, la

quantità di calore ricevuta diminuisce sempre di più, perché i raggi del sole giungono con una

inclinazione sempre maggiore.

Questo fattore geografico connesso con la latitudine, determina di per sé, tra le varie regioni della

Terra, sensibili differenze di temperatura e, di conseguenza, di pressione e di umidità che

costituiscono gli elementi climatici fondamentali.

Vi sono tuttavia altri fattori geografici che, a loro volta, influiscono sugli elementi climatici e

quindi sul clima: per esempio, l’altitudine, la distanza dal mare, la vegetazione, le correnti marine,

l’esposizione al sole.

L’importanza del clima e le zone climatiche

Le complesse relazioni che si stabiliscono tra irraggiamento solare, atmosfera e idrosfera hanno

conseguenze importanti per la distribuzione degli organismi viventi sulla terra: il clima, infatti,

determina il tipo di vegetazione e quindi anche il tipo di fauna che da essa dipende.

Purtroppo, anche l’attività umana è diventata un fattore di modificazione del clima, a causa

dell’immissione massiccia nell’atmosfera di sostanze inquinanti che ne alterano le caratteristiche.

Le regioni della Terra che presentano climi abbastanza simili vengono raggruppate in grandi zone

climatiche. Se partiamo dell’Equatore e andiamo verso i Poli, incontriamo la zona tropicale o torrida,

compresa tra i due Tropici, la cui parte centrale è caratterizzata da climi caldi, umidi e con

abbondanti precipitazioni.

Tra i tropici e i Circoli polari vi è la zona temperata, settentrionale e meridionale, caratterizzata da

un periodo freddo e un periodo caldo e da precipitazioni moderate.

In queste zone, il clima, è maggiormente favorevole all’insediamento umano.

Infine, la zona compresa tra i Circoli polari e i Poli è la zona polare, artica ed antartica, in cui la

temperatura è molto bassa durante l’anno e le precipitazioni sono scarse.

Questi climi, comprendono a loro volta climi ancora più specifici, che riguardano particolari

regioni.

Per esempio, al clima temperato appartiene il clima oceanico che interessa la Gran Bretagna e il

Nord della Francia e il clima mediterraneo, tipico dell’Italia meridionale.

Le diverse combinazioni di temperatura e di umidità, oltre ai diversi climi determinano i tipi di

organismi animali e vegetali che possono vivere in una certa zona.

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L’uomo modifica l’atmosfera e il clima

Nel processo di combustione di un chilogrammo di carbone, che supponiamo per semplicità fatto

di carbonio puro, si formano circa 3,5 chilogrammi di anidride carbonica.

Anche gli altri combustibili fossili, cioè il petrolio, da cui si ricavano la benzina e la nafta, e il gas

naturale formato soprattutto da metano, quando bruciano producono anidride carbonica, anche se

in quantità un po’ inferiore.

Allo stesso modo, la legna secca, costituita in gran parte da cellulosa, che è un composto del

carbonio, nella combustione libera anidride carbonica in una quantità che è all’incirca una volta e

mezzo il suo peso; noi stessi, ne emettiamo una certa quantità ogni volta che espiriamo aria dai

polmoni.

L’anidride carbonica, non è una sostanza dannosa, anzi è indispensabile per le piante che la

utilizzano nella fotosintesi; tuttavia, il suo accumulo nell’atmosfera rischia di causare un

riscaldamento della Terra con l’effetto serra.

L’anidride carbonica è una sostanza nociva per l’ambiente perché può modificare il clima, ma non è

nociva per la salute dell’uomo e degli altri esseri viventi; tuttavia, nei processi di combustione, a

seconda delle condizioni, si formano altri prodotti gassosi residui, che possono essere molto dannosi

per gli esseri viventi.

Questi inquinanti atmosferici comprendono:

il monossido di carbonio,

l’anidride solforosa,

gli ossidi di azoto,

gli idrocarburi

le polveri sospese.

Le polveri sospese sono particelle solide presenti nei fumi e nei gas di scarico o provenienti da

lavorazioni industriali.

Ci sono altre sostanze inquinanti che non provengono da processi di combustione come il metano e

i clorofluorocarburi (CFC).

Le principali fonti di inquinamento connesso a processi di combustione sono le centrali

termoelettriche, seguite da mezzi di trasporto, dagli impianti industriali e da altre fonti come gli

impianti di riscaldamento domestico, gli inceneritori di rifiuti e gli incendi appiccati alle foreste

a scopo di disboscamento.

I maggiori problemi ambientali causati dagli inquinanti atmosferici possono avere effetti locali

come lo smog fotochimico, che interessa i centri urbani in quanto causato dal traffico veicolare,

oppure possono interessare zone più estese come le piogge acide o riguardare l’intero pianeta come

l’effetto serra o la riduzione dello strato di ozono, il cosiddetto “buco dell’ozono”.

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Inquinamento atmosferico

I gas di scarico dei mezzi di trasporto rappresentano la più consistente fonte di inquinamento

atmosferico dei centri urbani.

Le sostanze tenute sotto controllo sono in particolare:

il monossido di carbonio CO

il biossido di azoto NO2

le polveri sottili.

Il monossido di carbonio si forma per la combustione incompleta dei carburanti; impedisce il

trasporto dell’ossigeno da parte del sangue alle cellule e ad elevate concentrazioni causa la morte

per asfissia. Ha per l’emoglobina del sangue una affinità 240 volte superiore a quella dell’ossigeno

e pertanto, se respirato, tende a prendere il posto dell’emoglobina impedendo la respirazione.

Il biossido di azoto è una sostanza dannosa e in particolari condizioni meteorologiche può

contribuire a provocare lo smog fotochimico. È questo un fenomeno molto più complesso del solo

smog, cioè la semplice cappa di fumi e nebbia che a volte nelle giornate invernali ristagna sulle

grandi città. Il termine smog deriva da due vocaboli della lingua inglese: ‘smoke’ che significa fumo

e ‘fog’ che significa nebbia.

Nello smog fotochimico la luce innesca una catena di reazioni tra l’ossigeno dell’aria e gli ossidi di

azoto e idrocarburi provenienti dai carburanti non bruciati emessi con i gas di scarico degli

autoveicoli. La miscela che si forma è fortemente irritante per occhi e vie respiratorie.

L’utilizzo della marmitta catalitica che ripulisce i gas di scarico riduce in parte l’inquinamento

urbano da traffico.

Gli ossidi di azoto si formano nei processi di combustione a elevata temperatura e nelle centrali

termoelettriche.

Sono responsabili anche di danni seri alle vie respiratorie, alla formazione delle piogge acide e alla

riduzione dello strato di ozono.

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Le piogge acide

L’estrazione e l’utilizzo di grandi quantità di combustibili fossili ha determinato la reinmissione

nell’atmosfera di una grande quantità di composti del carbonio, dello zolfo e dell’azoto e di polveri

contenenti metalli pesanti, idrocarburi quindi derivati del petrolio e altre molecole molto complesse

che derivano dalla combustione incompleta.

Queste sostanze in effetti sono già presenti nell’ambiente ma in quantità molto inferiori.

Il problema deriva dal fatto che tutte queste molecole interagiscono, in modi e tempi diversi nei

cicli biologici determinando dei disturbi agli equilibri raggiunti dagli ecosistemi.

L’acqua piovana si origina dall’evaporazione delle superfici acquatiche dei mari, dei laghi, dei

fiumi e dalla traspirazione soprattutto dei vegetali come le piante.

L’acqua piovana è senza sali, praticamente è come l’acqua distillata.

In atmosfera però il vapore acqueo condensa a contatto con particelle solide che incontra

sciogliendo i gas che sono contenuti nell’atmosfera.

Inoltre si arricchisce di materiali vari che possono essere anche molto diversi a seconda delle zone

dove si forma. Materiali vari come polveri e detriti del suolo sollevati dal vento, oppure gas che

provengono dalle eruzioni vulcaniche, dagli incendi dei boschi, dalla decomposizione degli

organismi viventi, dai cicli di alcuni elementi come il ciclo dell’azoto e dello zolfo e dai fenomeni

di combustione.

Quindi la pioggia non è proprio pura ed inoltre è anche leggermente acida avendo un pH di circa

5,5 – 5,6.

Ricordiamo che un valore 7.0 di pH rappresenta la neutralità, sostanze con valori al di sotto sono

considerate acide, con valori superiori basiche. La scala dei valori del pH arriva fino a 14.

Un aumento di acidità della pioggia ha avuto inizio nella seconda metà del secolo scorso, cioè

da quando è iniziato l’uso massiccio dei combustibili fossili.

Per indicare questa variazione chimica delle piogge è stato coniato il termine di piogge acide,

termine impiegato per la prima volta nel 1853 dal chimico inglese Smith, che per primo lo utilizzò

per indicare le piogge che caddero in quegli anni sulla città di Manchester e dintorni provocando

molti danni, in particolare la corrosione dei metalli, la decolorazione della biancheria stesa ad

asciugare all’aperto e soprattutto la successiva scomparsa di alcune piante.

Inoltre si possono citare i devastanti effetti sulle foreste dell’Europa centrale come in Germania,

Cecoslovacchia, e Polonia, i danni agli ecosistemi d’acqua dolce in Scandinavia, Canada e Stati

Uniti d’America.

Il fenomeno è stato riconosciuto agli inizi degli anni sessanta sia in Europa sia in America

Settentrionale, fenomeno sempre più vistoso nelle zone ad alta concentrazione industriale.

Inoltre il problema è alquanto difficile da contenere in quanto le piogge acide non cadono

necessariamente nel luogo ove si formano ma anche a centinaia di chilometri di distanza perché le

sostanze inquinanti possono essere trasportate a grandi distanze in atmosfera.

Studi effettuati sull’origine degli inquinanti, hanno portato alla certezza che essi derivano in

quantità significativa da sorgenti lontane.

Quindi sono interessati Paesi che non sono gli stessi che producono le sostanze inquinanti, in

quanto si tratta di molecole trasportate facilmente dai venti e dalle precipitazioni. Si parla infatti di

inquinamento transfrontaliero.

Le principali sostanze responsabili delle piogge acide sono alcuni prodotti di attività industriali e dai

veicoli a motore. In particolare: l’anidride solforosa la cui molecola è SO2 perché formata da un

atomo di zolfo e due di ossigeno; gli ossidi di azoto con molecole NO e NO2,, cioè un atomo di

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azoto con uno o due atomi di ossigeno rispettivamente che si trovano in atmosfera e che si

sciolgono nell’acqua formando acido solforico di formula H2SO4 formato da idrogeno, zolfo e

ossigeno e infine acido nitrico HNO3.

Tutte queste sostanze vengono prodotte normalmente anche in natura, ad esempio durante l’attività

vulcanica o per opera dell’azione di alcuni batteri che vivono nel suolo, ma a concentrazioni

piuttosto basse.

Tuttavia sono le molte attività dell’uomo che ne hanno notevolmente aumentato la quantità.

Il fenomeno delle piogge acide rappresenta anche in Italia un problema e un grosso rischio anche

per il nostro patrimonio artistico, poiché provoca un deterioramento molto veloce dei monumenti.

Né sono da sottovalutare gli effetti sulla vegetazione e sul suolo.

Ad esempio si è osservato la modificazione delle dimensioni delle foglie o delle gemme,

l’ingiallimento, l’accartocciamento delle foglie, la rarefazione della chioma, la diminuzione degli

accrescimenti.

Le piogge acide corrodono i manufatti di metallo e le costruzioni in marmo; inoltre sono dannose e

pericolose per gli organismi viventi.

Gli ambienti dove si hanno danni maggiori sono le foreste, poiché vengono indebolite le difese delle

piante rendendole maggiormente esposte all’attacco di organismi patogeni e gli ambienti lacustri,

ambienti in cui molte specie e soprattutto i pesci muoiono a causa dell’aumento di acidità.

Studi approfonditi effettuati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche con sede a Verbania, hanno

portato alla conclusione le deposizioni acide sulle acque dei fiumi e dei grandi laghi subalpini non

sono particolarmente preoccupanti grazie alle favorevoli caratteristiche geologiche del territorio.

Il problema invece è più marcato per le acque dei piccoli laghi alpini d’alta quota, in quanto sono

caratterizzati da bacini di raccolta di dimensioni modeste e si trovano in aree con rocce poco

solubili, che non sono in grado di tamponare l’acidità delle precipitazioni.

Un altro grave inquinante atmosferico è l’anidride solforosa, emessa dalle centrali termoelettriche a

carbone e a nafta, dalle fonderie e dalle varie industrie.

Il biossido di azoto e l’anidride solforosa a contatto con le goccioline d’acque che sono sospese in

atmosfera formano soluzioni diluite di acido nitrico e acido solforico, che possono essere

trasportate a grandi distanze e raggiungendo il suolo sotto forma di piogge che hanno una acidità da

10 a 100 volte superiore a quella della pioggia ‘normale’.

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Il buco nell’ozono

A tutte le latitudini, nell'alta stratosfera, le radiazioni provenienti dal Sole, scindono le molecole

biatomiche di ossigeno in due atomi fortemente reattivi che reagiscono con un'altra molecola di O2

determinando la formazione di una molecola a tre atomi di ossigeno chiamata ozono (O3).

Le molecole di ozono sono instabili, si dissociano e si riformano continuamente.

L’ozono costituisce solo una parte per milione dei gas atmosferici, tuttavia svolge un ruolo

estremamente importante per la vita.

La continua formazione e demolizione dell'ozono ha un duplice effetto: da un lato assorbe le

radiazioni ultraviolette che sarebbero pericolose se arrivassero sulla superficie terrestre, dall'altro

costituisce un meccanismo che consente di mantenere, con un equilibrio naturale, la concentrazione

di ozono nell'atmosfera.

La presenza nell'atmosfera di alcune sostanze rompe questo equilibrio. Secondo alcuni studiosi

l'ipotesi più attendibile del processo distruttivo dell'ozono è dovuto principalmente ai

clorofluorocarburi (CFC). I CFC sono composti chimici che hanno una vita lunga e che non

ricadono sulla superficie terrestre con le piogge. Nel giro di 10 anni raggiungono la stratosfera,

dove il cloro si combina con l’ozono riducendone il numero di molecole disponibili.

A partire dagli anni settanta si è assistito ad una forte riduzione dello strato di ozono. L'estensione

del buco dell'ozono varia da un anno all'altro ed è influenzato da un fenomeno atmosferico noto col

nome di "onde su scala planetaria". Secondo Paul Newman, fisico dell'atmosfera al Centro

"Goddard", gli andamenti di questi fenomeni atmosferici su grande scala devono essere considerati

quasi casuali.

Il buco nell'ozono segnalato nel 1984 in Antartide, aveva una dimensione paragonabile alla

superficie degli Stati Uniti e un'altezza pari all'Everest. Da quando, con il protocollo di Montreal del

1987, la comunità internazionale ha adottato misure di difesa dello strato protettivo ozono, si è

sostanzialmente stabilizzata la quantità di gas nocivi, che tuttavia rimarranno ancora per decenni

nella stratosfera, assottigliando lo strato che protegge la Terra dagli effetti peggiori dei raggi

ultravioletti.

Secondo lo scienziato statunitense Hofman, la concentrazione nell'atmosfera degli agenti chimici

dannosi per l'ozono si sta stabilizzando e la fascia di ozono potrà spontaneamente recuperare lo

spessore che aveva prima del 1980. Il processo richiederà circa mezzo secolo, tempo necessario

perché siano smaltite le quantità ancora presenti nell'atmosfera di clorofluorocarburi, messi al bando

con il protocollo di Montreal. E’ stata anche istituita una rete internazionale (World Meteorological

Organization) che raccoglie i dati globali sullo strato di ozono e li pubblica periodicamente. Poiché

questi fenomeni sono studiati da meno di un secolo non sappiamo se questi assottigliamenti abbiano

un andamento ciclico naturale e quale sia la loro eventuale frequenza; sono quindi necessari

ulteriori studi.

Come unici provvedimenti, nel frattempo, è stato bandito l’uso di tutti i gas contenenti

colrofluorocarburi e limitato il consumo di combustibili fossili che, insieme ai policlorobifenili

(PCB), ai pesticidi, e ai metalli pesanti come il piombo e il mercurio rappresentano i fattori più

altamente inquinanti.

La presenza dello strato di ozono è molto importante perché impedisce alle radiazioni UV di

arrivare sulla superficie della Terra, proteggendo così l'integrità di tutti gli esseri viventi. Le

radiazioni solari che colpiscono l'atmosfera sono ricche di raggi ultravioletti le cui bande più

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studiate sono la A e la B ed hanno un effetto dannoso su tutte le strutture biologiche. Alcuni danni

provocati dai raggi UVA e UVB vanno dalla fotodermatite alle neoplasie della cute.

I raggi UVB sono quasi 100 volte più efficaci dei raggi UVA nel provocare eritemi solari.

L’esposizione senza protezioni provoca inoltre vari danni all’apparato visivo anche molto gravi

come congiuntiviti, infiammazioni della membrana media della parete del globo oculare, insorgenza

precoce della cataratta e perdita acuta della capacità visiva con fotofobia.

Gli influssi sul sistema immunitario sono meno noti, ma vi sono modelli sperimentali che

dimostrerebbero vari complicazioni.

L'eventuale scomparsa di alcune specie modificherebbe la condizione umana, vegetale e animale

del futuro. Non sempre l’effetto delle radiazioni ultraviolette è dannoso: ad esempio nei laboratori e

negli ospedali vengono utilizzati raggi UVC per la sterilizzazione. La luce solare ha inoltre effetto

benefico su malattie come il diabete e la sclerosi multipla.

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Il problema dell’ozono al suolo nelle città

Accanto al benefico ozono che difende dalle radiazioni ultraviolette, ne esiste un altro estremamente

tossico, che si produce durante la stagione estiva soprattutto nelle aree intorno alle grandi città.

Questo ozono, che si forma in prossimità del suolo, è il risultato di una serie di complesse reazioni

chimiche: gli ossidi di azoto che si producono dalla combustione delle benzine delle automobili ed

emessi dai tubi di scappamento si combinano con l’ossigeno presente nell’aria con l’azione dei

raggi ultravioletti che, durante la stagione estiva, colpiscono la superficie terrestre con maggiore

intensità.

La presenza nell’aria di questo ozono nocivo provoca la formazione di altri composti volatili, quali

alcuni idrocarburi, che sono altamente pericolosi per l’uomo, molto più pericolosi dell’ozono stesso.

L’ozono che si forma nella troposfera è molto tossico perché distrugge i vegetali, colpisce le cellule

dell’apparato respiratorio, può causare irritazioni agli occhi e forti emicranie.

Vista la gravità del problema, il Ministero dell’Ambiente ha definito i sistemi di sorveglianza per

informare il cittadino quando i livelli di ozono raggiungono valori pericolosi per la salute e quindi

per limitare la circolazione agli autoveicoli, almeno per qualche ora della giornata.

Poiché la quantità di ozono che si forma al suolo dipende dalla quantità di radiazioni ultraviolette

che colpiscono la superficie terrestre, segue che il buco dell’ozono presente nell’atmosfera, che a

sua volta lascia passare le radiazioni, è in gran parte responsabile della formazione dell’ozono al

suolo.

Grazie ai rilevamenti giornalieri della quantità di radiazioni ultraviolette, rilevamenti eseguiti dai

satelliti in orbita intorno alla Terra, l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, ha stabilito

l’Indice di Ultravioletto (UVI), ricavato da una scala divisa in 10 gradi che corrispondono a

diversi livelli di allarme:

- un UVI compreso tra 0 e 3 gradi corrisponde ad un livello minimo di esposizione e richiede

l’uso di creme sulla pelle;

- un UVI tra 4 e 6 gradi richiede abiti e occhiali specifici per i raggi ultravioletti;

- un UVI tra 7 e 10 gradi determina il divieto di esporsi al Sole tra le 13 e le 16 del

pomeriggio.

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Effetto serra

L’energia emessa dal Sole raggiunge la Terra e viene assorbita dal suolo e dalle acque che di

conseguenza si riscaldano.

L’energia viene così trasformata in calore che viene poi emesso verso lo spazio sotto forma di

radiazioni infrarosse o raggi IR.

Se queste radiazioni attraversassero completamente l’atmosfera, la temperatura sul nostro pianeta

nelle ore notturne scenderebbe di parecchi gradi al di sotto dello zero, come avviene ad esempio

sulla Luna.

Si calcola che la temperatura media sarebbe di tipo polare, circa -20°C invece dei 15°C circa

effettivi.

Infatti, la maggior parte di queste radiazioni infrarosse viene assorbita da parte di alcune molecole

di gas presenti nell’atmosfera terrestre e in questo modo si riesce a trattenere una parte del calore

emesso.

Questi gas sono costituiti in prevalenza da anidride carbonica e vapore acqueo e agiscono come le

pareti di vetro di una serra, che si lasciano attraversare dai raggi solari ma trattengono il calore in

modo che la temperatura interna della serra viene mantenuta più elevata rispetto a quella

dell’ambiente esterno.

Per questo il fenomeno si chiama effetto serra e i gas che ne sono la causa sono detti gas serra.

È ovvio che se in atmosfera aumenta la presenza di uno di questi gas, aumenta il calore che viene

trattenuto.

Questo è quanto si sta verificando ormai da parecchi anni sul nostro pianeta ed in particolare ne è la

causa l’aumento della concentrazione di anidride carbonica.

Del resto l’uomo ricava la maggior parte dell’energia che gli serve bruciando combustibili fossili

liberando nell’aria su scala mondiale quantità enormi di anidride carbonica.

Solo nell’ultimo secolo la concentrazione di questo gas in atmosfera è aumentata di circa il 20%.

A peggiorare ulteriormente la situazione è stato l’aumento anche di altri gas a effetto serra, in

particolare il metano e il protossido di azoto, che contribuiscono all’incremento del fenomeno.

Un altro fattore responsabile dell’aumento di anidride carbonica è la deforestazione. Ogni anno si

abbattono e si bruciano grandi aree di foresta tropicale immettendo in atmosfera grandi quantità di

anidride carbonica riducendo nello stesso tempo la quantità di alberi in grado di ridurre la

concentrazione di questo gas con il suo utilizzo nella fotosintesi.

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Tutti questi fenomeni fanno aumentare di conseguenza la temperatura media della Terra,

provocando un continuo riscaldamento globale.

In effetti, gli ultimi decenni sono stati i più caldi del secolo con effetti preoccupanti sia

sull’ambiente sia sugli esseri viventi animali e vegetali.

Assistiamo infatti allo scioglimento continuo dei ghiacciai continentali e allo scioglimento e

riduzione delle calotte polari con conseguente innalzamento del livello delle acque dei mari e degli

oceani.

Si assiste inoltre alla modificazione del regime delle precipitazioni e al conseguente inaridimento di

molte aree del pianeta.

Molte zone costiere sono destinate ad essere sommerse dalle acque; le grandi zone pianeggianti

dell’Asia produttrici mondiali di riso, grosse città come New York, Londra, Sidney e Venezia,

alcune piccole isole oceaniche potrebbero essere ampiamente e inesorabilmente sommerse dalle

acque.

Ci potrebbero essere anche profonde alterazioni del clima generale; estati sempre più calde e più

lunghe, inverni più corti e meno freddi; uragani sempre più violenti e frequenti; piogge più

abbondanti ma con un andamento meno regolare; periodi con ondate di calore alternati a periodi

dove la temperatura scende a picco; periodi di siccità sempre più gravi e diffusi.

I ghiacciai alpini potrebbero addirittura scomparire nell’arco di pochi decenni e le nostre regioni

meridionali potrebbero andare incontro alla desertificazione.

Quali potrebbero essere i rimedi a questo preoccupante fenomeno?

Sicuramente la riduzione della emissione in atmosfera di inquinanti e gas serra, intervenendo:

- sul miglioramento tecnologico dei processi di combustione, con l’utilizzo di filtri,

depuratori ed altri dispositivi idonei all’abbattimento di gas e polveri inquinanti; oppure

utilizzando combustibili “puliti” come ad esempio il metano;

- sulla diminuzione dei consumi energetici a livello domestico, commerciale e industriale;

promuovendo tutte le forme possibili di risparmio energetico e diffondendo una maggiore

educazione all’uso di energia;

- incrementando e promuovendo l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili come l’energia

solare ed eolica;

- limitando il traffico urbano con il potenziamento del servizio di trasporto pubblico.

Nel 1992 si è svolto a Rio de Janeiro uno storico convegno con la partecipazione di 170 Nazioni per

discutere dei problemi ambientali del nostro pianeta e per la disponibilità ad impegnarsi per la

salvaguardia dell’ambiente.

Nel 1997 a Kyoto è stato sottoscritto un accordo da parte di 84 Paesi, noto come Protocollo di

Kyoto, che impegna gli stati a prendere provvedimenti per limitare le immissioni di gas in atmosfera

e per diminuire il consumo e l’utilizzo di combustibili fossili.

Ad oggi non è ancora stata raggiunta l’unanimità per quanto riguarda i criteri da adottare per

l’attuazione di questi provvedimenti.

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La scomparsa dei ghiacciai

Sulle Alpi in 150 anni è scomparso il 50% della superficie glaciale.

Nel 2005 il 94% dei ghiacciai italiani era in arretramento, il 6% era stazionario, nessuno era in

avanzamento.

Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti, basta confrontare le immagini storiche dei ghiacciai alpini di

soli alcuni decenni fa con le fotografie attuali.

Per tornare indietro di alcuni secoli ci possono essere di aiuto i dipinti dei primi ‘viaggiatori’ alpini

e il confronto può essere drammatico.

La situazione è la stessa per gli altri ghiacciai nel mondo.

Il ghiacciaio di Aurona sul Monte Leone nel 2003 e nel 2008

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Un fenomeno preoccupante, che interessa la stabilità di intere montagne a causa del pericolo di

crolli delle pareti rocciose.

Dimostrazione come le montagne siano un ambiente delicato e sensibile, in rapida trasformazione.

Situazione allarmante di un nevaio nel 2004, nel 2005 e nel 2006

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Ai Poli la situazione è ancora più allarmante. Nel 2002, tra gennaio e marzo, è avvenuto il collasso

di un’intera piattaforma, un’area di ghiaccio estesa come la valle d’Aosta scomparsa in soli 35

giorni. Un’area di 3250 chilometri quadrati con uno spessore di 220 metri.

I satelliti, inoltre, ci confermano che la calotta polare si restringe sempre più ma le grida di allarme

del popolo Inuit che vive in queste terre rimangono, purtroppo, quasi sempre inascoltate.

Fino a pochi decenni fa il fronte del ghiacciaio entrava nel lago

Secondo gli esperti il livello medio del Mare Mediterraneo, a causa della fusione dei ghiacciai

continentali, è destinato a salire tra i 18 e i 59 centimetri nel 2100.

In Italia saranno esposte all’invasione del mare soprattutto le coste dell’Alto Adriatico e della

Versilia.

A livello mondiale si assisterà alla salinificazione delle falde acquifere, all’erosione delle coste e a

conseguenti grandi migrazioni di popolazioni.

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Come alcune specie animali affrontano i cambiamenti del clima

Ogni specie animale affronta a modo suo i cambiamenti, ormai troppo repentini, del clima. Chi

migra in altri ambienti, chi si adatta e rimane e purtroppo c’è chi si estingue, muore.

Negli ultimi decenni, soprattutto l’uomo, ha commesso errori gravi con danni enormi al pianeta e a

tutti gli esseri viventi che lo abitano.

Ha continuato ad immettere in atmosfera quantitativi sempre maggiori di anidride carbonica, non ha

dato ascolto ai moniti degli studiosi del clima e dell’ambiente, ha continuato il taglio insensato delle

foreste, ha bruciato gran parte del patrimonio boschivo, ha continuato l’inquinamento del suolo,

dell’aria e dell’acqua.

L’effetto più vistoso della sua dissennata azione è il continuo aumento della temperatura media del

pianeta; si dice infatti che la Terra ha la febbre.

La natura sappiamo che ha i suoi ritmi ma purtroppo l’uomo continua a stravolgerli.

Il problema grosso non è tanto il cambiamento climatico perché sul nostro pianeta ci sono sempre

stati periodi caldi alternati a periodi freddi, il problema serio è il cambiamento troppo veloce. Un

tempo i cambiamenti climatici avvenivano in tempi molto più lunghi.

Questi cambiamenti troppo repentini non danno modo alle diverse specie di adattarsi.

Inoltre si assiste sempre più spesso ad eventi meteo estremi come trombe d’aria, uragani,

inondazioni, siccità eccessiva.

Riduzione vistosa del livello delle acque di un laghetto d'alta quota

Assistiamo a comportamenti anomali da parte di molti animali, animali che vedono modificate le

tappe del loro ciclo vitale oltre alle interazioni con l’ambiente in cui vivono e con le altre specie con

cui condividono il cibo e il territorio.

Nelle zone polari assistiamo all’aumento della temperatura dell’acqua del mare e lo scioglimento di

gran parte della banchisa con la conseguente scomparsa di una parte molto importante delle catene

alimentari, il krill, le cui larve si sviluppano sotto la banchisa. Negli ultimi anni il krill è diminuito

di quasi l’80%.

Come conseguenza è diminuito il successo riproduttivo sia dei grandi cetacei sia delle foche,

pinguini e uccelli marini vari.

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Gabbiani sulla scogliera bretone

Tra le tartarughe marine, il rapporto numerico tra maschi e femmine è fortemente influenzato

dalla temperatura dell’acqua del mare in cui si tuffano i piccoli appena dopo la schiusa delle uova.

L’acqua a temperatura più elevata favorisce lo sviluppo delle femmine.

Nel Mar Mediterraneo hanno fatto la comparsa alcune specie di pesci tropicali che stanno sempre

più prendendo il posto a specie autoctone.

Al centro e al sud dell’Italia sono arrivati uccelli esotici provenienti sia dall’Asia sia dall’Africa.

Viceversa ci sono molti animali che sfuggono al caldo spingendosi sempre più a nord e per alcuni è

una fuga senza scampo perché non trovano aree adatte alla loro sopravvivenza. Molti animali che

vivono in alta quota hanno visto la continua riduzione della copertura nevosa, importante per il

mimetismo durante la stagione invernale e per la costruzione di tane per il riparo dei piccoli. Non

riuscendo a spostarsi verso nord salgono sempre più di quota, riducendo il loro habitat e il numero

di individui, votati quindi ad una precoce estinzione.

Anche numerose specie di farfalle italiane ed europee si sono spostate molto più a nord con la

conseguente scomparsa del cibo di cui si nutrono.

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Un problema che coinvolge anche l’uomo è la continua riduzione delle api. Infatti un terzo

dell’alimentazione umana è legato alla instancabile attività di questi piccoli impollinatori.

Gli sciami sono disorientati e frastornati dalle variazioni nelle fioriture, nella diminuzione di

profumo dei fiori, nell’aumento della siccità, nella proliferazione di un loro parassita favorita dalle

miti temperature dell’autunno.

Anche molti uccelli migratori manifestano problemi legati all’orientamento, tendono a spostare le

partenze, anticipano il momento della riproduzione ed in alcuni casi rinunciano addirittura alla

migrazione.

Anche il letargo risente dei cambiamenti del clima. L’aumento della temperatura ha portato a molti

risvegli anticipati anche di circa un mese sul periodo previsto, con la conseguente alterazione degli

equilibri alimentari. Al risveglio non trovano l’erba o i fiori di cui si nutrono perché non sono

ancora comparsi. In alcuni casi si devono cibare con il nutrimento normalmente utilizzato da altre

specie con cui entrano quindi in competizione.

Secondo gli esperti continuando in questa direzione nel 2050 il 25% delle specie attuali sarà

estinto…ma attenzione perché l’uomo potrebbe ritrovarsi in quella percentuale.

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Autunno caldo

Riflessioni

Fioritura anomala di genziana a novembre

L’autunno 2007, secondo molti esperti è stato il più caldo degli ultimi 150 anni.

Tutti ci siamo accorti delle temperature ancora particolarmente gradevoli, del perdurare delle belle

giornate, della mancanza di pioggia, dell’assenza di brinate…e questo è indubbiamente piacevole!

È bello poter fare delle lunghe passeggiate ammirando i dorati colori autunnali.

È bello indossare ancora le giacche leggere.

È bello risparmiare nel consumo energetico.

È bello ammirare ancora molti fiori nei giardini e nei prati, fioriture fuori stagione.

Ma ci chiediamo:

Ci sarà un rovescio della medaglia?

Se cala la temperatura repentinamente, che cosa succede?

Fioriranno di nuovo al momento giusto?

Quali potrebbero essere le conseguenze?

Non siamo in grado di dare risposte precise e scientificamente corrette ma cercheremo di fare

alcune riflessioni.

Molto probabilmente la temperatura potrebbe diminuire bruscamente per portarsi su valori più

adeguati al periodo e questi fiori o teneri germogli saranno a dir poco “così stressati” da impedire

un loro ulteriore sviluppo.

I germogli arresteranno la loro crescita, i teneri fiori anneriranno e geleranno.

Al ritorno del tenero tepore primaverile non avranno le nuove gemme per una seconda fioritura.

Ma quello che più preoccupa è che abbiamo visto altre volte che quando si verificano fioriture

anomale nel periodo sbagliato, spesso il fiore, il cespuglio o l’albero vanno incontro alla morte nel

volgere di uno o due anni.

Questo è uno scenario terribile!

Consideriamo che ciò che abbiamo osservato su di un piccolo territorio come il nostro deve essere

riportato su una zona molto più vasta a livello globale.

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Le conseguenze potrebbero essere non solo la perdita di molte unità vegetative ma il cambiamento

di alcune specie a favore di altre che meglio si adattano al clima mutato con conseguenze gravi

sull’equilibrio molto delicato dell’ambiente.

Fioriture anomale che abbiamo osservato nello strano autunno 2006 sia in piano che a quote più

elevate:

azalee

rododendri

magnolia stellata (gemme)

mimosa (gemme)

primule

gelsomino d’inverno

giacinti (germogli)

tulipani (germogli)

fiori di rovo

genziane e genzianelle.

Livio classe 1 media di Piancavallo

Germoglio di giacinto a dicembre

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The Times They Are A-Changin

Bob Dylan

Venite intorno gente

dovunque voi vagate

ed ammettete che le acque

intorno a voi stanno crescendo

ed accettate che presto

sarete inzuppati fino all’osso.

E se il tempo per voi

rappresenta qualcosa

fareste meglio

ad incominciare a nuotare

o affonderete come pietre

perché i tempi

stanno cambiando.

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Il tempo musicale

Il cuore della musica: il ritmo

La musica si svolge nel tempo, con suoni che si susseguono più o meno lunghi, più o meno corti.

Ritmo è il nome che si dà alla successione dei suoni nel tempo.

La successione può essere tale da generare un effetto di regolarità, di ordine prevedibile, oppure di

irregolarità e imprevedibilità: nel primo caso si parla di ritmo regolare o periodico; nel secondo, di

ritmo mutevole o aperiodico.

Anche gli oggetti che cadono sotto i nostri occhi possono presentare l’uno o l’altro di questi due

ritmi.

I mulini a vento sono un esempio di ritmo regolare.

Le chiome degli alberi soono un esempio di ritmo mutevole.

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La pulsazione

Le musiche della nostra tradizione, per esempio le canzoni, si basano tutte su un ritmo regolare.

E’ come se ogni musica portasse dentro di se un cuore che batte, che pulsa regolarmente.

I battiti del cuore non si sentono con le orecchie, ma ci sono, e guai se non ci fossero! Appoggia le

dita sulle vene del polso e del collo e te ne accorgerai subito.

Anche la musica è animata da pulsazioni regolari, nascoste all’orecchio come quelle del cuore,

eppure chiare e continue.

La velocità

Le pulsazioni possono variare di velocità.

Se sei seduto tranquillo dietro il banco, anche il battito del cuore è tranquillo; se hai fatto una corsa

o se hai la febbre alta o se ti aspetti di essere interrogato su una lezione che non hai studiato, le

pulsazioni si fanno rapide rapide.

Così succede anche nella musica: in certe musiche le pulsazioni cambiano lentamente, in altre

corrono allegramente.

Quando ascoltiamo una canzone, sta alla nostra abilità capire la velocità delle pulsazioni.

Certe melodie sono lente, altre sono vivaci.

Lento, vivace…: in musica si usano aggettivi ben precisi per ciascun andamento, o velocità, delle

pulsazioni.

Ecco lo schema completo, in base alle abitudini dei musicisti:

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Numero di pulsazioni al minuto Andamento o velocità

40 – 52 Largo

52 – 60 Lento

60 – 69

Adagio

69 – 84

Andante

84 – 100 Moderato

Accelerando o rallentando

In musica, l’aumento progressivo della velocità si chiama accelerando.

Quando l’aumento è piuttosto brusco, si dice stringendo.

La diminuzione progressiva si chiama rallentando o ritardando.

Infine, il termine rubando che in musica non ha significato…di disonesto!Lo si usa per indicare una

fluttuazione minima della velocità nel corso dell’esecuzione.

Il metronomo

Nel 1816, l’austriaco Maelzel ideò un pendolo capace di battere un numero di colpi variabile da 40

a 208 al minuto.

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Un paese a tempo di Musica

Quarna

L'ingresso al paese

Il paese di Quarna si raggiunge da Omegna percorrendo una tortuosa strada di montagna per circa 8

chilometri, superando un dislivello di circa 500 metri.

Dalla località Belvedere, dove sorge un albergo-ristorante con una grande balconata panoramica a

sbalzo sul vuoto, si gode una vista mozzafiato sul lago d’Orta, i monti circostanti e la pianura fino a

Novara.

Quarna, o meglio Le Quarne, sono in effetti due paesi distinti, con due sindaci, due amministrazioni

comunali ecc.

Quarna Sotto è un comune di 427 abitanti.

Quarna Sopra è un comune di 318 abitanti.

Quarna Sopra e Quarna Sotto sorgono sulla sponda occidentale del lago d’Orta, a 800/900 metri di

altitudine.

Sull’origine del nome Quarna esiste un’ipotesi che derivi da “locus Carnium” cioè luogo dei

Carnii, divenuto poi Cocarna. Quindi il paese sarebbe stato fondato da genti profughe dalla Carnia,

che in queste zone hanno trovato rifugio all’epoca della conquista romana.

A Quarna ci sono altre località il cui nome è di origine latina, da cui la conferma che il paese sia di

origine romana.

Ad esempio le località Mazzegno significa il grande pianoro e Montelucco significa il bosco sacro.

Nulla si sa delle epoche preistoriche perché non ci sono caverne e non sono mai stati trovati utensili

o armi in pietra o in bronzo.

Probabilmente perché questa zona era un po’ tagliata fuori nel periodo dell’espansione degli

Etruschi, a causa della sua posizione geografica.

Sembra invece che gli Etruschi sono arrivati fino al lago Maggiore e al Ticino salendo dal centro

dell’Italia.

Per lo stesso motivo la zona di Quarna è rimasta esclusa dal passaggio dei Liguri e dei Galli.

Queste terre iniziarono ad essere abitate probabilmente durante le incursioni dei Galli che stavano

oltralpe e qualche secolo più tardi durante il passaggio dei romani verso la conquista della Gallia.

È sicuro che all’epoca dell’impero romano la zona era abitata da gente di lingua latina e di abitudini

romane, mescolate con usanze galliche o celtiche.

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Gente dedita soprattutto alla pastorizia.

Così come è certo che la popolazione era di religione pagana; si suppone che nelle vicinanze del

bosco sacro ci fosse un piccolo tempio dedicato a qualche dio silvestre.

Forse il tempietto sorgeva dove ora c’è la chiesa, poiché solitamente le chiese cristiane venivano

costruite sullo stesso posto dei templi pagani demoliti.

Il cristianesimo si è diffuso nel Cusio ai tempi di San Giulio, cioè nel IV secolo (dal 350 al 400

circa), dopo che con l’editto di Costantino del 313, era stata concessa la libertà di essere cristiani,

ponendo fine al periodo delle persecuzioni romane, all’epoca dei martiri.

I primi documenti che attestano con certezza la presenza di un nucleo abitato, sono del XII secolo,

periodo in cui gli abitanti vivevano sull’allevamento del bestiame, la coltivazione della segale e su

attività silvo - pastorali, attività tipiche delle regioni alpine e che si sono protratte ininterrottamente

fino alla metà del ‘900.

Il centro storico del paese si trova a nord rispetto alla attuale configurazione urbana; centro è la

piazza Pasquer dove un tempo si svolgeva il consiglio degli anziani chiamato “credenza”; sulla

piazza si affaccia la chiesetta di San Rocco che risale al XIV secolo.

Un po’ ovunque, sia nel centro abitato sia lungo i sentieri di campagna sorsero altri oratori e

cappellette devozionali.

La chiesa parrocchiale fu eretta nel 1517 ed è dedicata a Santo Stefano. Al suo interno si trova un

grande organo riconosciuto come il secondo del Piemonte per dimensioni e per importanza.

La popolazione di Quarna ha vissuto per secoli con i prodotti dell’agricoltura di montagna e

dell’allevamento del bestiame. Gli uomini di solito andavano all’estero a lavorare come calzolai,

tessitori, muratori o commercianti.

A Quarna Sotto, nella prima metà dell’800 ebbe inizio la fabbricazione degli strumenti musicali a

fiato, per iniziativa di 3 artisti che avevano imparato questo mestiere presso un artigiano di Milano e

successivamente lo diffusero nel loro paese di origine.

In poco tempo questa attività ebbe grande fortuna con la creazione di una vera azienda che già nella

metà dell’800 era famosa in tutto il mondo; un’azienda che produsse ogni tipo di strumento a fiato

sia in legno sia in metallo.

Per questo motivo Quarna Sotto è chiamato il “Paese della Musica”.

La piazzetta di Quarna Sotto

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Oggi sono ancora attive due aziende e alcuni piccoli artigiani.

È possibile visitare un museo dedicato agli strumenti musicali a fiato, in cui non solo sono esposti

tutti gli strumenti ma vengono anche spiegate ed illustrate le tecniche artigianali di costruzione.

La mostra, all’interno del museo, segue dei criteri espositivi molto moderni e particolari. Inoltre

questo museo, tra i pochissimi musei musicali esistenti, si distingue perché presenta anche i vecchi

metodi di lavorazione. Inoltre aiuta il visitatore alla scoperta e comprensione della musica sinfonica,

bandistica, antica e moderna. Nella prima parte vengono presentate brevi notizie sull’artigianato

quarnese e le fotografie di alcuni suoi artefici con le loro genealogie.

È poi illustrata la disposizione dei vari strumenti in una banda musicale.

Cinque settori successivi raggruppano strumenti simili per le caratteristiche della lavorazione e sono

esposti anche esemplari di grande valore storico e documentativo, nonché modelli e prototipi per lo

studio della meccanica e dell’intonazione.

Ci sono anche macchinari e strumenti costruiti dagli stessi operai per eseguire meglio il lavoro.

La prima sezione comprende strumenti come il clarinetto, gli oboi e i fagotti con i diversi campioni

di legno che vengono impiegati nella lavorazione.

La seconda sezione è dedicata al saxofono; la terza sezione al flauto; la quarta agli ottoni come

trombe, tromboni, corni, ecc; l’ultima sezione presenta strumenti attuali, strumenti particolari e

documenti delle vecchie aziende.

Tutte queste sezioni si trovano al piano superiore.

L'edificio che ospita il Museo della Musica

Gli strumenti a fiato si dividono in due grandi famiglie: legni e ottoni, a seconda del materiale con

cui sono costruiti. I legni comprendono: il flauto dolce, il flauto traverso, il clarinetto, l’oboe e il

fagotto. Il legno maggiormente usato è l’ebano perché molto resistente; inoltre è molto bello ed

elegante per il colore nero e la particolare lucentezza.

L’oboe deriva dalla zampogna, il fagotto dalla bombarda russa.

Gli ottoni sono così chiamati perché costruiti in ottone e comprendono: la tromba, il corno, il

trombone, la tuba e il basso tuba.

Sono tutti strumenti che troviamo nella composizione della banda, hanno un suono molto potente

che arriva a grande distanza senza bisogno di amplificazione.

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Al piano inferiore si trova un’ampia documentazione di storia rurale alpina dove si possono vedere

fedeli ricostruzioni della vecchia cucina, della camera da letto, del locale per la conservazione del

latte.

Inoltre ogni ambiente è arredato con oggetti d’epoca di uso quotidiano; è ricostruita la torneria con

il tornio a pedale e il banco del falegname con alcuni esempi di manufatti comuni.

Infine, il museo è dotato anche di un auditorium.

La visita dura almeno mezza giornata. È necessaria la prenotazione contattando l’Associazione

Museo di Storia Quarnese (tel.0323 826117); la struttura può accogliere una o due classi per una

visita didattica ma anche per una pausa intelligente di divertimento.

A Quarna Sotto si producono da alcuni decenni articoli casalinghi in acciaio.

La meridiana della chiesa di Quarna Sotto

Percorrendo ancora un chilometro di strada si raggiunge l’abitato, altrettanto caratteristico di

Quarna Sopra, un nucleo di case con una propria chiesa, un altro comune, un altro cimitero, altre

piazzette.

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Ti auguro tempo

Non ti auguro un dono qualsiasi,

ti auguro soltanto quello che i più non hanno.

Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;

se lo impiegherai bene potrai ricavarne qualcosa.

Ti auguro tempo per il tuo Fare e il tuo Pensare,

non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.

Ti auguro tempo, non per affrettarti e correre,

ma tempo per essere contento.

Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,

ti auguro tempo perché te ne resti,

tempo per stupirti e tempo per fidarti

e non soltanto per guardarlo sull’orologio.

Ti auguro tempo per toccare le stelle

E tempo per crescere, per maturare.

Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e amare.

Non ha più senso rimandare.

Ti auguro tempo per trovare te stesso,

per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.

Ti auguro tempo per perdonare.

Ti auguro di avere tempo,

tempo per la vita.

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Il Vento

Il vento

A volte forte come il vento

A volte dolce come una carezza

Fischia fra i rami dei larici

Un canto

Che odora di resina e sudore

Che batte come un’ascia su verdi cortecce

Che racconta di minestre bollenti

Di letti di paglia

Di manine intirizzite

Con parole che luccicano

Come lacrime

Con la luna piena.

Irene Alby Tregsch

Broahut - Agosto 2001

Da rivista Augusta 2002

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IL TUONO

G. Pascoli

E nella notte nera come il nulla,

a un tratto, col fragor d'arduo dirupo

che frana, il tuono rimbombò di schianto:

rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,

e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,

e poi vanì. Soave allora un canto

s'udì di madre, e il moto di una culla.

IL LAMPO

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;

il cielo ingombro, tragico, disfatto:

bianca bianca nel tragico tumulto

una casa apparì sparì d'un tratto;

come un occhio, che, largo esterefatto,

s'aprì si chiuse, nella notte nera.

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NEBBIA

G. Pascoli

Nascondi le cose lontane,

tu nebbia impalpabile e scialba,

tu fumo che ancora rampolli,

su l'alba,

da' lampi notturni e da' crolli,

d'aeree frane!

Nascondi le cose lontane,

nascondimi quello ch'è morto!

Ch'io veda soltanto la siepe

dell'orto,

la mura ch'ha piene le crepe

di valerïane.

Nascondi le cose lontane:

le cose son ebbre di pianto!

Ch'io veda i due peschi, i due meli,

soltanto,

che danno i soavi lor mieli

pel nero mio pane.

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Proverbi

Il tempo è danaro.

Il tempo è tiranno.

Il tempo scappa e non torna più.

Il tempo è oro.

La natura ha i suoi tempi.

C'è un tempo per ogni cosa.

Al tempo non si comanda.

In meteorologia le anomalie sono molto di più delle regole.

Candelora, Candelora se nevica o se plora de l'inverno semo fora, ma se fa sole o tira vento

nell'inverno sema dentro.

Temporale d'agosto rinfresca il bosco.

Spender tanto e piover piano è la rovina del villano.

Quando piove alla buon ora, prendi i buoi, va e lavora.

Rosso di sera bel tempo si spera.

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Rosso di mattina bel tempo si avvicina.

Cielo a pecorelle acqua a catinelle.

Non ti bagnare prima di piovere.

Non ci sono più le mezze stagioni.

Aprile ogni goccia un barile.

Modi di dire:

Qual buon vento.

Parlare al vento.

Seminare vento.

Avere il vento in poppa.

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Meteorologia della primavera

Chi non può vedere il vento?

Non voi, non io…

Ma quando gli alberi chinano la testa

il vento passa vicino.

(Cristina Rossetti)

Meteorologia dell'estate

Di nubi grigie ad un tratto

il cielo fu sporco;

e il tuono brontolò

con voce d'orco.

(Corrado Covoni)

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Meteorologia dell'autunno

L'autunno: eran le nebbie, e l'uva

ed il seminatore, all'alba

che andava dietro le processioni dei buoi…

(Corrado Govoni)

Meteorologia dell' inverno

Sui campi e sulle strade,

silenziosa e lieve

volteggiando, la neve

cade.

(Ada Negri)

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“ Tutti si lamentano del tempo e nessuno fa niente per cambiarlo ”

Jerome K. Jerome

"La risposta, amico mio, soffia nel vento..."

(Bob Dylan - Blowin'in the wind" )

“...quando a primavera

tra i ghiacci l'acqua riprenderà la corsa

saprò di aver ricominciato

a vivere”

(dalla poesia di Luisanna Cuccini “Testamento”)

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BIBLIOGRAFIA

M. Buzzi, M. Gusso, A. Olivieri, A. Solari “Tempi e civiltà – La storia intorno a noi” Ed. Giunti

Marzocco

P. Landini, A. Fabris “La terra e l’universo” Ed. Lattes

L. Leopardi, M. Gariboldi “Il libro delle Scienze – La materia e l’energia” Ed. Garzanti Scuola

A. Rullini, C. Nicola, T. Vercellino “ Scoprire la Terra e il Sistema Solare” Ed. Atlas

T. Durante, G. Moreno, E. Totano Aloj “Introduzione alle scienze sperimentali” Ed. Le Monnier

A. Vallega “Geopercorsi – Italia” Ed. Le Monnier

A. Biancotti “Il clima sta cambiando: alla ricerca delle cause” da Piemonte Parchi

G. Frangioni “Non ci sono più le mezze stagioni” da Le Rive anno XVII n°6

C. Bordese “Un caldo da impazzire” da Piemonte Parchi anno XXIII n°172

S. Capanni, D. Cat Berro “Per l’Homo erectus era tutta un’altra aria” da Piemonte Parchi anno

XXIII n°172

J. Briard “I megaliti di Bretagna” Ed. Jean Paul Gisserot

P. R. Giot “Preistoria in Bretagna- Menhir e Dolmen” Ed. D’Art Jos Le Doarè

R. Dian "La vita in versi" stampato Cooperativa Solidarietà

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INDICE

Introduzione pag. 1

Schema ipertesto 2

Il tempo passa, le cose cambiano 3 - 4

Anno e calendario 5 - 6

Misura del tempo 7 - 8

La meridiana…che fascino 9 - 11

Menhir e allineamenti 12 – 14

I tempi della natura 15 – 16

Adattamenti negli animali 17 – 19

Adattamenti nell’uomo 20 – 21

I diversi eventi meteo 22 – 28

Lampo e tuono 29

L’arcobaleno 30 – 31

I venti 32 – 33

Le previsioni meteo 34

Un fiore segnatempo 35

I cambiamenti climatici 36 – 37

I fattori che influenzano il clima 38

Azione dell’uomo sul clima 39

Inquinamento atmosferico 40

Le piogge acide 41 – 42

Il buco nell’ozono 43 – 44

Il problema dell’ozono al suolo 45

L’effetto serra 46 – 47

La scomparsa dei ghiacciai 48 – 50

Animali e cambiamenti climatici 51 – 53

Autunno caldo 54 – 55

The Times They Are A – Changing 56

Il Ritmo 57 – 59

Un paese a tempo di musica 60 – 63

Poesia “Ti auguro Tempo” 64

Poesia “Il vento” 65

Poesie “Il tuono” “Lampo” “Nebbia” 66 – 67

Proverbi 68 – 69

Citazioni 70 – 72

Bibliografia 73

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Autori

Alunni delle classi 1, 2, 3 media di Piancavallo

Prof.ssa Rita Torelli e prof.ssa Palmina Trovato

Hanno collaborato i prof. DonatoTucciariello e Maurizio Guercio

Le foto tutte originali sono della prof.ssa Torelli