Upload
hakien
View
216
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
1
Il “risveglio” e il linguaggio tonale Conversazione con Michel Balat di Laura GRIGNOLI
— Comment on dit en italien 'Musement' ? — Cosa ? rispondo distratta. — Non esiste traduzione letterale... è un neologismo... — Bon, on dira 'Musamento'. — Ci pensa un po', poi — Et 'scriba'— ? — Scriba! È… é latino... rispondo soddisfatta di essere preparata all'interrogazione
a sorpresa. Stiamo recandoci all'incontro con degli studenti in formazione psicoanalitica e lui
mentalmente coagula, forse, i suoi pensieri attorno a temi a lui familiari, di cui probabilmente vuol parlare... Si accerta, dunque, se l'interprete naïve (la sottoscritta scoprirà poi cosa lui intende per interprete!) sia in grado di cavarsela di fronte a parole intraducibili...
Approfitto di Michel Balat presente a due seminari presso due nostre strutture abruzzesi per approfondire i temi di cui in questi giorni l'ho sentito parlare.
Avevo tentato di leggere qualche suo scritto in proposito (2000), ma un po' per le difficoltà a leggere in una altra lingua (è una scusa... i romanzi li leggo senza fatica...), un po' per il tema ostico della semiotica peirciana avevo abbandonato disillusa.
È tutt'altra cosa sentir parlare Balat dal vivo e quegli stessi temi, che l'inchiostro tipografico rende piuttosto ipnotici, nel racconto verbale, farcito di aneddoti e di casi clinici, risultano addirittura affascinanti.
Non si fa pregare per rilasciare questa intervista. È domenica pomeriggio : il lavoro è finito, la tensione sparita, la convivialità di un buon pranzo all'abruzzese ci ha reso più complici. È visibilmente contento di poter approfondire i temi a lui cari. Ma se la sua è
2
un'emozione gradita, la mia è un'ansia da scolaretta. Mi mostro curiosa di sapere di più su un Pierce il cui nome avevo da sempre legato al pragmatismo deweyano quando affrontai in 'un'altra vita' la mia preparazione all'insegnamento. Fine anni sessanta. Quasi mezzo secolo fa...
Ma torniamo alla conversazione. Si avvisa il lettore che molti concetti non sono esaustivi, che le risposte danno per scontato che si abbia una conoscenza almeno vaga del suo lavoro con pazienti in risveglio dal coma. Tuttavia, l'interrogativo che mi preme di far emergere è quello di far risaltare il linguaggio nelle sfumature e nelle funzioni interlocutorie.
G. — Mi piacerebbe se potesse chiarire tre concetti appena abbozzati durante l'incontro di stamattina: quello di scriba, quello di museur e quello di interprete.
B. — Sono concetti che hanno un legame estremamente stretto tra loro, tanto che potremmo dire che non c'è l'uno senza l'altro. Anzi no, non è esattamente così. Il terzo, il museur, è il più insolito. Vorrei provare a chiarire non tanto questi tre concetti quanto la loro articolazione, cosa essenziale per i concetti.
Il punto di partenza sotteso a questi termini è una certa concezione del segno. Da tempo, il trattamento del segno sotto la forma significante/significato, non mi soddisfaceva più. Questa sorta di incollatura tra i due termini "significante" e "significato" non permette di rendere conto degli effetti della parola, del numero di gesti, di sensazioni, di atmosfere, ogni cosa che eventualmente potremmo attribuire al significante, ma il cui significato sfugge un po'. Tanto per parlare solamente dell'atmosfera, del tonale, per esempio, il significante trova difficile da afferrare il significato. E tuttavia siamo in un registro completamente umano, in un registro che fa parte, come sanno tutti, dell'esercizio della parola, dei segni.
Notiamo, pur attribuendo l'onore che merita a De Saussure, che lui escludeva la parola dal campo d'uso di questi termini, procedendo allo studio anatomico dei linguaggio e l'anatomia necessita, come sappiamo, di un cadavere.
G. — Come è giunto a questi nuovi modi di spiegare tali concetti ? B. — Cercando... cercando tra tantissimi pensatori, uno mi è sembrato enunciare
delle cose molto interessanti : Charles Peirce. Egli descriveva il segno non come un tipo di entità fissa, morta, ma come un processo.
G. — In cosa si è maggiormente riconosciuto : nell'intenzione di evitare i 'Cadaveri' o in una maggiore attendibilità teorica ?
B. (ride) — Bon... mi sento molto più vicino alla sua idea perché anche nell'essere del segno si rimarca una certa durata : come sappiamo è frequente che, quando qualcuno vi dice qualche cosa in un dato momento, gli effetti di questa parola trovano la loro risonanza un po' più tardi. Vediamo bene che c'è un tipo di processo ed è questo quello che Peirce ha provato a formalizzare — in quanto matematico e logico — creando tre termini al posto dei due saussuriani. Il primo termine è il più vicino a quello che conosciamo come il significante. Lo chiama a volte segno a volte il representamen, — termine definito "schibboleth" dai peircieni. Avendo un debole per il vecchio francese, amerei chiamarlo "représentement", lo preferisco.
G. — Sarebbe a dire ripresentazione? Raffigurazione... immaginazione... B. — Sì, questo représentement, è ciò che si ha sotto gli occhi, nell'orecchio,
l'atmosfera, ovvero quel quid che è presente, là, nell'immediato, ma che è presente al posto di qualcos'altro, come un luogotenente, e noi lo sappiamo bene, il luogotenente è luogotenente di altro.
3
Questo altro, da Peirce chiamato l'oggetto, sulla scia della vecchia tradizione medievale secondo cui il segno è luogotenente di qualcosa, per qualcuno è il proprio oggetto. Ed infine, il termine interpretante (fr. l'interprétant) ha un compito estremamente preciso : interpretante è chi è incaricato di stabilire la relazione tra il représentement e gli oggetti. E' questo terzo che stabilisce la relazione, in modo che regolarmente davanti ad ogni segno siamo chiamati a questo triplo lavoro : da una parte riconoscere il représentement come tale, dall'altra parte la produzione di un certo numero di processi ideativi in vista di fabbricare, forgiare, liberare qualche oggetto attraverso questo représentement.
G. — Mi sembra molto più chiaro sentendoglielo dire così che leggendo il suo libro... B. — Non mi spingerò più in là nella descrizione della semiotica di Peirce perché
non avremmo il tempo per articolare con precisione tutto. Mi fermo su questa idea di processo dunque.
G. — Sì, non possiamo non parlare di come lei ha applicato tutto questo nel suo lavoro... So che lei, oltre ad essere psicoanalista, si occupa di pazienti in risveglio dal coma, so che da molto tempo lei supervisiona le équipes che hanno in trattamento tali persone...
B. — Sì, bien sûr, parlerò di un'esperienza completamente particolare che mi è capitato di fare, e che faccio tuttora da parecchi anni, ovvero il lavoro con le persone in risveglio dal coma, si tratta di quelle persone che hanno gli occhi aperti ma che non parlano, che sono avare di segni. Dunque, grande paradosso visto che ci troviamo di fronte ad una mancanza di segni , tuttavia abbiamo trovato un modo di far apparire quanto è necessario...
Questa esperienza, perseguita ostinatamente da parecchi anni, ci ha spinto a cercare di sapere cosa accade con queste persone, fino al momento in cui all'improvviso accadono tantissime cose. Abbiamo realizzato un piccolo protocollo, empiricamente, che ci ha evidenziato che talvolta queste persone riprendono a parlare durante le riunioni, in vari modi : talvolta in modo diretto talvolta creando nuovi segni, segni nuovi per loro, come un battito di palpebra, manifestando per esempio un brivido di fronte a certi enunciati, o talvolta emettendo parole perfettamente articolate come ad esempio quella signora che, ad un certo momento, ci chiedeva di togliere i bambini a suo marito perché lo si sospettava di averla picchiata provocando così il suo coma, esclamando improvvisamente : — Ah, questo, no ! ", lasciandoci totalmente stupefatti — Questo per dirvi che ci sono cose che capitano. Allora, poichè queste cose succedono, bisogna provare a dame delle spiegazioni.
G. — So che detto così potrebbe far pensare a un miracolo, ma so che dietro tutto questo c 'e un lavoro di équipe e uno studio approfondito su quello che accade nell'inconscio di questi pazienti ... nonostante lo stato vegetativo.
B. — Certo, il coma non interrompe la vita psichica... Al loro risveglio non è ricominciare da zero psichicamente parlando.
G. — Come le è successo di scegliere un compito così arduo ? Immagino che il lavoro con questi pazienti non sia sempre gratificante...
B. — Oh, bon, ho cominciato quasi per caso. Me ne occupo da oltre 20 anni, con Edwige Richer e la sua équipe. Lavorando coi cosiddetti feriti vegetativi, arrivammo alla conclusione che, se uno si metteva a traspirare, ovvero faceva una crisi vegetativa, questa accadeva in risposta a qualcosa.
G. — Eperché ha coniato il termine 'musement?'
4
B. — In occasione di queste sedute con l'équipe e i pazienti mi è sorta quest' idea del musement. Tutto sommato — ci siamo chiesti — cosa si potrebbe fare con soggetti comatosi? (il termine esatto è persone in fase vegetativa di risveglio dal coma) e pensammo che la cosa migliore era quella di canticchiare insieme. Pensai che era il caso di comportarsi in un certo modo verso di loro come se stessimo a tessere insieme la stessa trama; per condividere almeno qualcosa. Questo, per varie ragioni, lo abbiamo chiamato 'musement'. È stato Peirce ad adoperare per primo questo termine, sebbene nel senso inglese è un po' differente, come in Chrétien de Troyes e in Perceval che, forse, canterellava su das Ding.
Allora, l'idea è che c'è forse un "das Ding" in mezzo a noi, là, nelle nostre riunioni di équipe con queste persone in coma, c'è probabilmente un das Ding al centro dei tavolo e noi vi canterelliamo intorno. Il fatto di canticchiare ad alta voce può trascinare la persona in coma nel nostro musement, in ciò che accade, e la si può interessare a fare improvvisamente a qualcosa. È evidente che c'è là dentro un'idea, ed è un'idea che è presente fin da Chrétien de Troyes del resto, a prendere il ferito — è così che chiamiamo queste persone — un po' alla larga, ovvero quando si ha qualcuno in questa situazione, non bisogna porgli direttamente delle domande, è opportuno fare domande in modo vago. Mi ricordo di una riunione con un ferito che nessuno sapeva come prendere e poi durante la seduta abbiamo avuto l'impressione improvvisamente che qualche cosa precipitasse — nel senso chimico del termine — nel mezzo dei tavolo. Qualche cosa. Qualche cosa che precipita.
Allora vediamo come la funzione di questo musement sembra essere quella di poter far circolare e lanciare qualcosa.
G. — II musement allora cos'è ? Riguarda tutti ? Ce lofaccia capire meglio... B. — Per esempio, quando abbiamo musement non facciamo niente, non pensiamo
a niente, vuoto, così, vagamente addormentati, non abbiamo l'impressione di sentire, di pensare a niente di preciso, ed improvvisamente qualche cosa capita, vuoi un rumore esterno, vuoi l'entrata di qualcuno o una presenza che si impone, improvvisamente ci diciamo : "ah toh, stavo pensando a qualche cosa"...
G. — A me capita tutte le sere... mi ritrovo dinanzi casa e so di aver guidato, pensato, ma niente, non ricordo niente...
B. (ride e annuisce) G. — Mi piacerebbe approfondire, ma ho anche altro da chiederle. Lei parla di spazio
tonale... che intende precisamente ? B. — Da tanto avevo in testa la questione dello spazio tonale, mi dicevo insomma
che ci sono delle tonalità proprie ad un linguaggio. È qualcosa che osserviamo molto bene tra una madre ed un bambino : una madre apprende il linguaggio dei suo bambino guardandolo o vedendolo vivere, cioè lui apprende e poi è capace di ripetere delle cose che distingue grazie a questi stati. Mi sembra che sia intorno a questo che si costituisce la nozione di linguaggio.
G. — È tipo quello che comunemente diciamo atmosfera ?... B. — Nella lingua ci sarebbe qualcosa di più, ma nel linguaggio si ha questo: buone
basi; e le distinzioni appaiono nello spazio tonale. Lo spazio tonale è un concetto interessante ; potremmo dire anche atmosfera, ma parlare di spazio tonale è più specifico, perché esso è collegato all' aspetto linguistico. Con il termine atmosfera si ha semplicemente l'idea di qualcosa che accade tra le persone, invece là si tratta di un
5
qualcosa di molto più specifico, e così si potrebbe dire che delle distinzioni e delle ripetizioni appaiono nello spazio tonale del bambino.
G. — Come concilia questa teoria peirciana con la pratica psicanalitica ? B. — Per gli oggetti che hanno in comune, e talvolta occorre dei tempo per saperlo.
Ecco una prima cosa: il foglio di asserzione. Lo scriba iscrive le cose, ma attenzione, non sa ciò che va ad iscrivere, Lo scriba non fa neanche l'interprete, dunque non sa ciò che ha iscritto. Voilà la funzione dello psicanalista, perché questi, quando fa ciò che chiamiamo un'interpretazione, si limita ad iscrivere qualche cosa, non sa ciò che ha appena detto, non sa ciò che va a dire, perché è l'altro che ha interamente tra le sue mani tutto il destino di ciò che è iscritto. L'interprete è il paziente stesso. Il nostro lavoro psicanalitico è di far vivere la funzione scriba, per potere permettere all'analizzando (o al ferito che si risveglia dai coma) di compiere la funzione interprete.
G. — Affascinante... In sintesi, come potremmo definire in un linguaggio meno tecnico i termini da lei utilizzati in questa semiotica 'non cadavere'?
B. — Innanzitutto il représentement, l'oggetto e l'interpretante non sono delle entità. Se lasciassimo che le due entità, significante e significato, restassero tali, nulla sarebbe cambiato. Mi preme dire invece che questi tre elementi sono delle funzioni. Inoltre avendo una mentalità da logico, mi son detto : una funzione ha sempre un qualche soggetto, c'è il soggetto in una funzione. Mi è sembrato allora normale pensare che il représentement era una funzione di un soggetto — che ho chiamato scriba — che il musement, come oggetto del segno, era una funzione di cui il soggetto sarebbe il museur e che il soggetto della funzione che "interpreta" poteva essere chiamato l'interprete (interpretante...).
L'intervista è terminata, ma non lo scambio di altre idee e la condivisione di
momenti emozionali. Città S. Angelo ci aspetta. Balat vuoi visitare la regione 'ferita'. Chissà — penso io — che non avvenga anche in questo caso un risveglio dal coma...
Arresto questa trascrizione chiedendomi : sto facendo lo 'scriba'? il 'museur'? l'interprete?
Chissà... note 1. Michel Balat è uno psicoanalista francese, professore di semiotica e psicologia
all'università di Perpignan, che da decenni si occupa dei traumatizzati cranici in risveglio dal coma presso istituzioni specializzate.
BIBLIOGRAFIA Balat M. (2000), Des fondements sémiotiques de la psychanalyse, Paris :
L'Harmattan. LAURA GRIGN0LI, VIALE ALCIONE, 137G, 66023 FRANCAVILLA AL MARE e‐mail: lauragrignolihotmail. com