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Italogramma, Vol. 2 (2012) hp://italogramma.elte.hu Identà italiana e civiltà globale all’inizio del ventunesimo secolo Donatella Cherubini IL RISORGIMENTO ITALIANO E LA NASCITA DI UNA OPINIONE PUBBLICA NAZIONALE La libera stampa è il “mezzo principale di civiltà e di progresso di un popolo” e senza di essa “le società moderne, qualunque fossero i loro ordinamenti, riamarrebbero stazionarie , e anzi indietreggerebbero”. Questa affermazione di Cavour consente di sottolineare alcuni aspetti cruciali nella storia del Risorgimento italiano, una storia tanto evocata ma anche condannata nel 150° dell’Unità d’Italia. In verità, alla medesima affermazione è ricorso anche Valerio Castronovo nella prefazione alla ristampa del volume di Franco Della Peruta sul Gior- nalismo italiano nel Risorgimento. 1 Non è un caso che si sia ristampato un volume uscito nel 1979. 2 In- fatti in questi ultimi anni, da un lato sono soprattutto fiorite le discus- sioni – in sede pubblicistica, storiografica e politica – sulla consistenza del nostro sentimento nazionale; sulla effettiva presenza di una salda co- scienza italiana all’avvento del Regno d’Italia; sull’esistenza di un comune sentire tra gli italiani di allora, e perciò tra quelli di oggi. 3 D’altro lato, 1 Cfr. V. Castronovo, Prefazione, in F. Della Peruta, Il giornalismo italiano del Risorgi- mento. Dal 1847 all’Unità, F.Angeli, Milano 2011, p. 11. 2 F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità, in La stampa italiana del Risorgi- mento, in Storia della stampa italiana, a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Vol. II, Laterza, Roma-Bari 1979. Cfr. inoltre Giornalismo del Risorgimento, Introduzione di G. Spadolini, Loescher, Torino 1961. 3 Per le diverse analisi e motivazioni di questo fenomeno tra la metà degi anni ’90 e il 2011, cfr. E. Galli della Loggia, La morte della patria: la crisi dell’idea di nazione

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Italogramma, Vol. 2 (2012) http://italogramma.elte.huIdentità italiana e civiltà globale all’inizio del ventunesimo secolo

Donatella Cherubini

IL RISORGIMENTO ITALIANO E LA NASCITA DI UNA OPINIONE PUBBLICA

NAZIONALE

La libera stampa è il “mezzo principale di civiltà e di progresso di un popolo” e senza di essa “le società moderne, qualunque fossero i loro ordinamenti, riamarrebbero stazionarie, e anzi indietreggerebbero”.

Questa affermazione di Cavour consente di sottolineare alcuni aspetti cruciali nella storia del Risorgimento italiano, una storia tanto evocata ma anche condannata nel 150° dell’Unità d’Italia. In verità, alla medesima affermazione è ricorso anche Valerio Castronovo nella prefazione alla ristampa del volume di Franco Della Peruta sul Gior-nalismo italiano nel Risorgimento.1

Non è un caso che si sia ristampato un volume uscito nel 1979.2 In-fatti in questi ultimi anni, da un lato sono soprattutto fiorite le discus-sioni – in sede pubblicistica, storiografica e politica – sulla consistenza del nostro sentimento nazionale; sulla effettiva presenza di una salda co-scienza italiana all’avvento del Regno d’Italia; sull’esistenza di un comune sentire tra gli italiani di allora, e perciò tra quelli di oggi.3 D’altro lato,

1 Cfr. V. Castronovo, Prefazione, in F. Della Peruta, Il giornalismo italiano del Risorgi-mento. Dal 1847 all’Unità, F.Angeli, Milano 2011, p. 11.2 F. Della Peruta, Il giornalismo dal 1847 all’Unità, in La stampa italiana del Risorgi-mento, in Storia della stampa italiana, a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Vol. II, Laterza, Roma-Bari 1979. Cfr. inoltre Giornalismo del Risorgimento, Introduzione di G. Spadolini, Loescher, Torino 1961.3 Per le diverse analisi e motivazioni di questo fenomeno tra la metà degi anni ’90 e il 2011, cfr. E. Galli della Loggia, La morte della patria: la crisi dell’idea di nazione

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nel 2011 sono numerose le iniziative di divulgazione, con la diffusa e sentita partecipazione della cittadinanza nelle varie parti del Paese, che di fatto sembra smentire gli interrogativi di stampo antirisorgimentale.

Nella recente produzione non mancano tuttavia approfondite ri-letture storiografiche del Risorgimento. Basti ricordare il ricco e arti-colato volume degli Annali Einaudi a cura di Paul Ginsborg e Alberto Mario Banti – in parte collegato al filone di analisi sul ’48 quale grande momento di partecipazione collettiva alla vita pubblica –, così come le altre pubblicazioni dello stesso Banti.4 Quest’ultimo si è infine soffer-mato sulla continuità dei pilastri simbolici che avrebbero accompagna-to la rappresentazione della nazione dal Risorgimento al fascismo, al di là dei diversi valori civili e politici che caratterizzarono i due periodi.5

tra Resistenza, antifascismo e Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1998; E. Gentile, Italiani senza padri: intervista sul Risorgimento, a cura di S. Fiori, Laterza, Roma-Bari 2011. Sulla saggistica revisionistica “antirisorgimentale” di ispirazione “meridionalista” cfr. P. Aprile, Terroni: tutto quello che è stato fatto perché gli Italiani del Sud diventassero meridionali, Milano, Piemme, 2010; cfr. inoltre G.B. Guerri, Il sangue del Sud: anti-storia del Risorgimento e del brigantaggio, Mondadori, Milano 2010; G. Di Fiore, Gli ultimi giorni di Gaeta: l’assedio che condannò l’Italia all’unità, Rizzoli, Milano 2010. Per precedenti interventi riguardo a questo tema, cfr. C. Alianello, La conquista del Sud, Rusconi, Milano 1972; R. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita: 1855–1964, San-soni, Milano 1999; F.Izzo, I lager dei Savoia, storia infame del Risorgimento nei campi di concentramento per meridionali, Controcorrente, Napoli 1999; L. Del Boca, Male-detti Savoia, Piemme, Casale Monferrato 2001. Sulla saggistica “antirisorgimentale” di ispirazione cattolico-intransigente, cfr. G. Formigoni, L’Italia dei cattolici: fede e nazione dal Risorgimento alla Repubblica, Il Mulino, Bologna 1998 ; Id., L’Italia dei cattolici: dal Risorgimento a oggi, Il Mulino, Bologna 2010; G. Biffi, Risorgimento, stato laico e identità nazionale, Piemme, Casale Monferrato 1999; A. Pellicciari, Risorgi-mento da riscrivere: liberali e massoni contro la Chiesa, Ares, Milano 1999; Ead., L’altro Risogimento: una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Monferrato 2000; M. Viglione, Libera Chiesa in libero Stato?: il Risorgimento e i cattolici: uno scontro epoca-le, Città nuova, Roma, 2005; Id., 1861. Le due Italie: identità nazionale, unificazione, guerra civile, Ares, Milano 2011. 4 Cfr. Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, a cura di A.M. Banti e P. Ginsborg, Einaudi, Torino 2007; cfr. A.M. Banti, Il Risorgimento italiano, Laterza, Roma-Bari 2010; Id., La Nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Einaudi, Torino 2011; Id. (a cura di), Nel nome dell’Italia: il Risorgimento nelle testimonianze, nei documenti e nelle immagini, Laterza, Roma-Bari 2011 [3a ediz]. Cfr. inoltre S. Soldani, Il lungo quarantotto degli italiani, in Il movimento nazionale e il 1848, Teti, Milano 1986; M. Isnenghi, L’Italia in piazza. I luoghi della vita pubblica dal 1848 ai giorni nostri, Milano, 1994 [Bologna, 2004]. 5 A.M. Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011.

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9Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

Senza cadere nella oleografia celebrativa, interessa qui sottoli-neare come il nostro Risorgimento si inserisca nel generale contesto culturale e politico europeo di metà Ottocento. Un contesto ribadito da Lucio Villari e ben presente negli studi e nelle riflessioni di grandi storici del passato, da Franco Venturi a Alessandro Galante Garrone – ai quali si sono ispirate alcune ricerche di nuovi studiosi italiani e stranieri.6

Con il Risorgimento si affermarono i valori di indipendenza, libertà, partecipazione politica e civile. Si trattò di un fenomeno principalmente elita-rio, ma non mancò una diffusa adesione popolare.

Questo resta un punto fermo nella storia italiana e europea, an-che se dopo la fiammata del ’48 la realizzazione dell’Unità d’Italia doveva raggiungersi attraverso scelte diplomatiche e militari – e istitu-zionali – che a più riprese procurarono polemiche, divisioni, o almeno temporanei compromessi. È vero inoltre che la dialettica politica spe-rimentata nel Risorgimento (monarchico-liberal-moderati e democratico-repubblicani-mazziniani) ebbe vita breve nella dialettica parlamentare del Regno d’Italia, schiacciata dal trasformismo. Così come la scelta accentratrice dalla nuova classe dirigente sacrificò le aspirazioni ad una unità che salvaguardasse le differenze interne al Paese, alimen-tando perciò la questione meridionale. È vero infine che al grande en-tusiasmo per le iniziative di Pio IX nel ‘47-’48, doveva seguire quella questione romana che pesò sui cattolici italiani fino all’età giolittiana.

Sono questi solo alcuni dei temi con cui gli intellettuali e gli sto-rici hanno nel tempo analizzato anche i limiti e gli errori del Ri-sorgimento, in risposta all’epopea sabaudo-garibaldina di crociana memoria.7 Alle “minoranze consapevoli ed attive” del Risorgimento, secondo Gaetano Salvemini mancò una più concreta influenza di Car-lo Cattaneo mentre la legittimità del nuovo Stato italiano era diven-

6 Cfr. L. Villari, Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, Laterza, Roma-Bari, 2009. Per i riferimenti alla “elaborazione di un’interpretazione in chiave cosmopolita ed europea del Risorgimento” da parte di F. Venturi, A.Galante Garrone e S. Mastel-lone, ma anche per l’ampia bibliografia internazionale di studi sul Risorgimento italiano, cfr. M. Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle ri-voluzioni, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 4 e p. 9. Cfr. inoltre L. Riall, Il Risorgimento: storia e interpretazioni, Donzelli, Roma 2001. 7 Cfr. C. Bonanno, I problemi del Risorgimento nei consensi e nei dissensi dei protagonisti e degli storici, 1789–1919, Liviana, Padova 1961.

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tava progressivamente un simbolico “atto di fede”.8 Gioacchino Volpe (prima della propria svolta nazionalista e fascista) intendeva superare l’idea del Risorgimento come “mero patriottismo”; il Risorgimento “senza eroi” di Piero Gobetti fu anch’esso influenzato dal regionalismo “realista” di Cattaneo; Nello Rosselli si ispirò ai perdenti e ai critici del Risorgimento: Mazzini, Pisacane e il suo maestro Salvemini; Alfredo Oriani impostò lo studio del Risorgimento sui moduli nazionalisti, il fascismo ne manipolò valori e ideali; Antonio Gramsci stigmatizzò la rivoluzione mancata; Alfredo Omodeo rivendicò le istanze etiche risorgimentali. Nell’Italia repubblicana Luigi Salvatorelli ribadiva il pensiero e l’azione del Risorgimento, finché si delineò la storiografia del secondo dopoguerra, con Venturi, Galante Garrone, Della Peru-ta ecc., ma anche con la rivisitazione del Risorgimento in seno alla complessiva storia d’Italia da parte delle diverse correnti politico-sto-riografiche.9

Nelle “scuole” sulle interpretazioni del Risorgimento ha inoltre un peso centrale la storiografia inglese, fin dal rigoroso studio di H. Bolton King sull’economia ma anche sul ruolo degli intellettuali nel processo di unificazione italiana.10 Si tratta cioè di analisi e tesi che hanno se-gnato la cultura e la storiografia nel passaggio dal positivismo all’idea-lismo, dalle ascendenze liberali a quelle nazionaliste e fasciste, dalle in-fluenze del liberal-socialismo e del marxismo alla “deologizzazione del Risorgimento”. Le interpretazioni del Risorgimento hanno inizialmen-te consentito di superare sia la rappresentazione celebrativa del Regno d’Italia, fornita fino al fascismo dalle classi dirigenti post-unitarie – che quindi così celebravano anche sé stesse –, sia la “storiografia epica” di stampo carducciano.11 D’altro lato, seppur per lo più strettamente col-

8 Cfr. G. Salvemini, Scritti sul Risorgimento, a cura di P. Pieri e C. Pischedda, in Opere, Vol. II, Feltrinelli, Milano 1963, pp. 432 e ss.9 Cfr. W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento: lezioni di storia della storiografia; prefazione di E. Sestan; aggiornamento bibliografico di R. Romeo, Einaudi, Torino 1962; F. Fonzi, La storiografia sul Risorgimento nel secondo dopoguerra (1945–1965), in Cento anni di storiografia sul Risorgimento italiano, Istituto per la storia del Risor-gimento italiano, Roma 2000. Cfr. inoltre per esempio T. Detti, G. Gozzini, E. Ragionieri e la storiografia del dopoguerra, F. Angeli, Milano 2001. 10 Cfr. H. Bolton King, Storia dell’Unità italiana, ossia storia politica dell’Italia dal 1814 al 1871, tradotta dall’Inglese da A. Comandini, 2 Voll., Fratelli Treves, Milano 1909–1910 [A History of Italian Unity, 2 vols., London 1899].11 Cfr. Letture del Risorgimento italiano, scelte e ordinate da Giosué Carducci (1749–1830) Ditta N. Zanichelli di Cesare e Giacomo Zanichelli Tip. Edit., Bologna 1895.

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11Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

legati alle ascendenze politiche dei loro autori, si tratta pur sempre di contributi nell’ambito di una ricostruzione critica della storia del nostro Paese che però non nega il percorso risorgimentale nel suo complesso.

Se una tale ricostruzione critica quindi ha un indubbio valore in sede appunto storiografica, non per questo si deve oggi guardare solo agli aspetti negativi del periodo risorgimentale e trasportarli stru-mentalmente in sede politica. Senza il Risorgimento l’Italia sarebbe rimasta ai margini di un grande processo che nel corso dell’800 in-vestiva tutta l’Europa, portando a compimento la realizzazione dello Stato nazionale, e inserendosi nel progresso e nella modernità che si affermavano in tutto il continente.12 Affinché gli italiani, come gli altri popoli europei, possano identificarsi con la propria storia (e anche questo era un auspicio di Cavour),13 è perciò oggi necessario e naturale che i valori risorgimentali si consolidino e parallelamente si saldino definitivamente con quelli emersi in altri momenti cruciali della no-stra storia, innanzitutto la Resistenza da cui è nata la Costituzione repubblicana.

Tra i valori affermati nel Risorgimento, la libertà di stampa si collo-ca, sia come obiettivo implicito nelle istanze costituzionali e parla-mentari, sia come fattore fondamentale nel costituirsi di una opinione pubblica nazionale,14 sia – infine – come diritto acquisito, che fin dal 1848 concorse alla leadership del Regno di Sardegna. In particolare, la stampa periodica avrebbe vissuto due fasi ben definite, con la ini-ziale spinta propulsiva delle più aperte riviste culturali, seguita dalla vasta diffusione dei quotidiani politici nel ‘47-‘48 in diversi Stati ita-liani, ben presto però stroncata dalla “seconda Restaurazione” con l’eccezione appunto del Regno di Sardegna.

Del resto i periodici avevano già avuto un importante ruolo nel diffondersi delle idee libertarie, democratiche e giacobine alla fine del ‘700: basti per tutti pensare a Eleonora Fonseca Pimentel e al suo “Monitore napolitano”.15 Dopo che la Rivoluzione francese aveva af-

12 Cfr. L. Villari, Bella e perduta, op. cit. 13 Cfr. E. Gentile, Italiani senza padri, op. cit. 14 Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari 2005 [Bari 1971]. 15 Cfr. G. Spini, Una testimone della verità: Eleonora de Fonseca Pimentel tra impegno civile e riflessione etico-religiosa, La città del sole, Napoli 2007.

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fermato la “libertà di stampa assoluta o illimitata”, nell’età napoleoni-ca il giornalismo acquisiva più definiti connotati politici.16

I giornali furono cioè manifesta espressione di una nascente opi-nione pubblica, rispecchiando il variegato mondo delle diverse posi-zioni politiche – secondo una articolazione che in Europa si era defini-ta con la Rivoluzione francese, e che in Italia avrebbe aperto la strada al formarsi di quei nuclei rispettivamente moderato e democratico, che concorsero al processo risorgimentale e a lungo furono entrambi definiti “liberali”.

Nel susseguirsi di entusiasmi e delusioni per la presenza francese e poi per la vicenda di Napoleone Bonaparte, a partire dal 1796 in Italia si affermavano innanzitutto i valori giacobini, libertari, egalitari e patriottici, che trovarono sedi e personaggi centrali per la loro dif-fusione nei giornali, nei giornalisti e negli intellettuali che scrivevano sulle riviste letterarie e scientifiche. Il giornalista illuminista veneto Giuseppe Compagnoni consacrò il tricolore della Repubblica Cispa-dana come “stendardo universale”. Ugo Foscolo aveva collaborato al rivoluzionario “Monitore italiano”.17 Se poi attraverso le parole di Ja-copo Ortis illustrò la delusione per la cessione di Venezia all’Austria, continuò in seguito a scrivere sui giornali per l’indipendenza dell’Ita-lia ma anche della Grecia. Gioacchino Murat restò un riferimento per i liberali del Risorgimento napoletano, quando fioriranno le sette politiche ma anche i fogli clandestini che ricordavano le istanze indi-pendentiste del suo proclama di Rimini.18

Con la Restaurazione, in Italia doveva subito confermarsi il ruolo della Lombardia nell’impegno scientifico, giuridico, letterario – e perciò giornalistico –, rispetto agli altri Stati pre-unitari.19 Un impegno condot-to da intellettuali in cui coincidevano la figura del philosophe, del cosmo-polita, del patriota e del giornalista, quando ancora “incomparabilmente

16 V. Castronovo, G. Ricuperati, C. Capra, La stampa italiana dal 500 all’800, in Storia della stampa italiana, a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, Vol. I, Laterza, Roma-Bari 1976.17 Cfr. M. Isabella, Risorgimento in esilio, op. cit. pp. 93 e ss.18 Cfr. A. Scirocco, S. de Majo, Due sovrani francesi a Napoli: Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, Giannini, Napoli 2006. 19 Cfr. A. Galante Garrone, I giornali della Restaurazione, in La stampa italiana del Risorgimento, op. cit. Cfr. inoltre S. La Salvia, Giornalismo lombardo: gli Annali univer-sali di statistica (1824–1844), ELIA, Roma 1977.

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13Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

peggiore era la situazione nel Regno sardo”.20 Anche se in verità era sta-to il piemontese Vittorio Alfieri a parlare per primo del Risorgimento ita-liano, con una patria finalmente “virtuosa, magnanima, libera, e una”.21

Come Cesare Beccaria e il nucleo del “Caffè” avevano precoce-mente indicato la via del progresso, così Silvio Pellico si opponeva apertamente al regime asburgico e Ugo Foscolo denunciava le “leg-gi inibitrici dei governi”, mentre nasceva il Romanticismo italiano. Come nel passaggio tra età napoleonica e Restaurazione Gian Do-menico Romagnosi già aveva prospettato una Costituzione “pensata come patto tra il popolo e il sovrano”, (influenzando anche Alessan-dro Manzoni e Giuseppe Mazzini),22 così ora continuava ad auspicare l’“incivilimento” di tutta la penisola, guardando al lombardo Becca-ria ma anche al campano Gaetano Filangieri.23 Infine Carlo Cattaneo avrebbe prospettato un’Italia repubblicana, laica e federale, ben lontana perciò dal progetto sabaudo, con i suoi confessionali.24 Ma anche Alfieri allontandandosi dal Piemonte si era sentito “come allargato il respiro”.

Proprio a Cattaneo la vicina Svizzera offrì una sponda di libertà – con i libri e i giornali delle Edizioni elvetiche di Capolago – e proprio da lì veniva l’artefice dell’altra grande pagina per la stampa pre-qua-rantottesca italiana: Giovan Pietro Vieusseux, che a Firenze fondava l’“Antologia”.

Di fatto erede del “Conciliatore”, fino alla chiusura nel 1833 il periodico toscano fu il punto di riferimento degli intellettuali filo-italiani: da Mazzini a Cattaneo a Romagnosi, grazie all’impegno del nucleo inzialmente raccolto intorno a Gino Capponi – e promotore di un più ampio numero di periodici fiorentini.25 Da questo milieu

20 Cfr. C. Barbieri, Il giornalismo dalle origini ai nostri giorni, Centro di documenta-zione giornalistica, Roma 1982; V. Castronovo, Prefazione, op. cit.21 Per una analisi del richiamo alfieriano ad una “rivoluzione morale” dell’Italia e ad un Risorgimento come “processo spirituale”, cfr. L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Einaudi, Torino 1963 [1a ediz. Torino 1943], pp. 50 e ss. 22 L. Villari, Bella e perduta, op. cit. p. 51. 23 Cfr. F. Colao, Avvocati del Risorgimento nella Toscana della Restaurazione, Il Mulino, Bologna 2006. 24 Per un suggestivo quadro dell’evoluzione del pensiero politico di Cattaneo in pa-rallelo con quello di Mazzini, cfr. M. Thom, Europa, libertà e nazioni: Cattaneo e Maz-zini nel Risorgimento, in Storia d’Italia, Annali 22, Il Risorgimento, op. cit. pp. 331 e ss. 25 C. Rotondi, La stampa periodica toscana dal 1815 al 1847, in Atti del II Convegno nazionale di storia del giornalismo, Trieste, 18-20 ottobre 1963, Trieste 1966.

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14 Donatella Cherubini

emersero i futuri leader del giornalismo, e quindi del Risorgimento, nel Granducato dei Lorena: Bettino Ricasoli, Vincenzo Salvagnoli e Raffaello Lambruschini.26

Per i moderati toscani il passaggio all’Unità fu comunque partico-larmente dibattuto. In primo luogo perché implicava il superamento della tradizione illuminista e illuminata locale, che con Pietro Leopol-do aveva visto un alto impegno culturale e legislativo, non solo per la precoce abolizione della pena di morte, ma anche per lo sviluppo pro-prio dell’editoria e del giornalismo.27 Intanto cominciava a comparire un giornalismo di ascendenza democratica: l’“Indicatore livornese” di Francesco Domenico Guerrazzi si allineò con quello “genovese”, su cui scrisse Giuseppe Mazzini e ben presto chiuso dal governo sardo.

Mentre nel resto dell’Italia il ruolo dei periodici era ancora limi-tato, nel Paese esplodeva la nuova ondata cospirativa, sulla scia degli avvenimenti francesi dopo la Rivoluzione del luglio 1830. Allora si svilupparono “echi di rivoluzioni europee” (animati dagli stessi fran-cesi, dai belgi, dai polacchi) e “sensazioni di imminenti rivolgimenti” (confermate dai moti nelle Legazioni pontificie).28

La ripresa politica della Carboneria; l’emergere dell’impegno po-litico – e quindi ancora una volta giornalistico – di Giuseppe Mazzi-ni; la nascita della Giovine Italia e la diffusione clandestina del suo giornale, resero complessivamente più pesante la censura: a Milano come nella Toscana di Leopoldo II, dove chiudevano l’“Antologia” e l’“Indicatore”.

Da qui alla nuova e ben più vasta fiammata del ’47-’48, il ruolo della stampa clandestina sarà centrale per la causa italiana, talvolta diffondendosi anche sul piano popolare – come a Livorno e Venezia –, quale fattore propulsore per la opinione pubblica nazionale.29

26 Cfr. G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia (1846–1852), Giuffrè, Milano 1982.27 Cfr. D. Cherubini, Giornalismo e Università, in Insieme sotto il tricolore. Studenti e professori in battaglia. L’Università di Siena nel Risorgimento, a cura di D. Cherubini, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2011.28 F. Bertini, Risorgimento e paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830–1849), Le Monnier, Firenze 2003, pp. 16-18. La citazione è già stata riportata in D. Cherubini, Giornalismo e Università, op. cit. 29 G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, op. cit.; D. Orta, Le piazze d’Italia, 1846–1849, Comitato di Torino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 2008; S. La Salvia, Le correnti democratiche nella rivoluzione a Venezia, in

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15Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

Inoltre gli anni ’30 portarono novità anche nel vero e proprio giornalismo, a Napoli e in Sicilia, e finalmente nel Regno di Sarde-gna: a Torino, è lo stesso sovrano Carlo Alberto a favorire una novità. L’ufficiosa “Gazzetta piemontese” diventa da trisettimanale quotidia-no: anche se sulla politica interna non presenta cambiamenti, risulta comunque più aperta alla scienza, all’arte, alla musica.30

Si trattava di una scelta significativa, mentre sul piano europeo si diffondeva quel Romanticismo che dava sacralità all’ideale di na-zione e di patria, instaurando così un rapporto nuovo e diretto tra l’artista e il popolo a cui intendeva rivolgersi.31 In Italia l’opinione pubblica nazionale era animata da un impegno letterario che vide il romanziere-politico Massimo D’Azzeglio delineare i caratteri del Romanticismo, trovando i massimi esponenti in Alessandro Manzoni (e il suo rapporto familiare con D’Azeglio pesò sotto molteplici punti di vista), Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Ma anche Vincenzo Gio-berti, Cesare Balbo, Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini negli anni ’30 e ’40 testimoniano come “la storia e la critica letteraria hanno le premesse di una rilettura, per così dire, militante della storia d’Italia e dell’Europa fatta nel tempo della Restaurazione. E non soltanto della storia politica; anzi, la storia e la critica letteraria […] furono strutture portanti di una visione strettamente politica del Risorgimento, cioè anzitutto dell’indipendenza dell’Italia”.32

È ben noto come anche la musica, insieme alla letteratura, la poesia ed altre manifestazioni artistiche, sia stata una componente fondamentale del Risorgimento, che Giuseppe Mazzini individuava dichiaratamente in uno scritto del 1836. Nel campo musicale doveva spiccare il ruolo del melodramma – anche per il significato artistico complessivo di questo genere nell’800 (dalle opere di Giuseppe Verdi, ai Puritani di Vincenzo Bellini) – concorrendo così al consolidarsi del-le aspirazioni indipendentiste italiane.33

1848-49. Costituenti e Costituzioni: Daniele Manin e la Repubblica di Venezia, a cura di P.L. Ballini, Istituto veneto di lettere, scienze e arti, Venezia 2002.30 Cfr. La gazzetta piemontese, n. 1 (2 ago. 1814), n. 2 (3 gen. 1860); La gazzetta pie-montese, a. 1, n. 1 (9 Feb. 1867), a. 28, n. 354; La stampa: gazzetta piemontese, a. 29, n. 1 (1/2 gen. 1895).31 R. Monterosso, La musica nel Risorgimento, Vallardi, Milano 1948.32 L. Villari, Bella e perduta, op. cit. pp. 51 e ss. 33 Cfr. C. Sorba, Teatri: l’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento, Il Mulino, Bologna 2001.

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16 Donatella Cherubini

Tornando al giornalismo piemontese, negli anni ’30 la vera novità di Torino è rappresentata da Giuseppe Pomba, il tipografo-editore che darà vita a diversi periodici – mostrandosi moderno sul piano tecni-co e liberale nei contenuti.34 Da segnalare, infine, ancora due periodici di Milano: la “Rivista europea”, fondata dal critico letterario Carlo Tenca, mazziniano e vicino a Cattaneo; il “Politecnico”, “Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e cultura sociale”, con intenti civili e ancora una volta di modernizzazione.35

Un decisivo punto di svolta fu segnato dalle novità legislative che tra il ’47 e il ’48 investirono gli Stati italiani, in parallelo con la mobili-tazione di tante piazze.36 Dopo decenni di gazzette e giornali “officiali” tornavano a comparire i periodici politici e i quotidiani già emersi nel periodo francese; si sarebbe così progressivamente consolidato il panorama di una stampa peridioca di stampo moderato oppure de-mocratico.

Se una temporanea apertura costituzionale si ebbe anche nel Regno delle Due Sicilie, la possibilità di un allentamento della censura diventò nevralgica nello Stato della Chiesa – fino all’Editto sulla stampa con-cesso da Pio IX nel marzo 1847.37 Poco dopo, in Toscana si aveva un Editto ancor più moderno – sollecitato da Ricasoli e Salvagnoli – fino alla Costituzione e alla nuova legge che sostituiva la censura preventiva con quella repressiva.38

34 L. Firpo, Vita di Giuseppe Pomba da Torino: libraio, tipografo, editore, Unione tipo-grafico-editrice torinese, Torino 1975. 35 Cfr. T. Massarani, Carlo Tenca e il pensiero civile del suo tempo, Ulrico Hoepli, Milano 1886; G. Armani, Cattaneo riformista: la linea del Politecnico, Marsilio, Venezia 2004.36 Cfr. D. Orta, Le piazze d’Italia, op. cit.37 Cfr. G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, op. cit.; D. Orta, Le piazze d’Italia, op. cit. 38 Cfr. G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, op. cit. Cfr. inoltre C. Rotondi, Il diritto di stampa in Toscana, L. S. Olschki, Firenze, 1980. Cfr inoltre D.M. Bruni, La censura della stampa nel Granducato di Toscana (1814–1859), in Potere e cir-colazione delle idee. Stampa, accademie e censura nel Risorgimento italiano, a cura di D.M. Bruni, F.Angeli, Milano 2007, pp. 340-341, nota 28. Cfr. inoltre M. Berengo, L’or-ganizzazione della cultura nell’età della Restaurazione, in Il movimento nazionale e il 1848, op. cit. pp. 45 e ss. [Id., Cultura e istituzioni nell’Ottocento italiano, a cura di R. Pertici, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 45 e ss.]; A. Chiavistelli, Dallo Stato alla nazione. Costi-tuzione e sfera pubblica in Toscana dal 1814 al 1849, Carocci, Roma 2009; M. Brotini, La censura sulle stampe tra mercato e politica: i registri della Censura libraria di Firenze per l’anno 1842, in Bollettino del Museo del Risorgimento di Bologna, LI-LII, 2006–2007. Cfr infine L. Lotti, Leopoldo II e le riforme in Toscana, Rassegna storica toscana, XLV, 2, 1990.

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17Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

Nel caso romano la vicenda avrebbe portato al superamento delle istanze moderate, con il prevalere di quelle insurrezionali nel ’48-’49 da cui nacque la mazziniana Repubblica romana.39

Quella Repubblica romana, che nel recente film di Mario Martone (dal romanzo di Anna Banti) viene evocata come il punto più alto del Risorgimento.40 Un punto da cui doveva nascere l’Italia repubblicana, e che invece marcò la fine del sogno per gli antimonarchici – come i de-mocratici del Sud mobilitati fin dai moti del Cilento: Noi credevamo…

Quella Repubblica romana che richiamava la vicenda capitolina del 1798-99, illuminata dai principi costituzionali del napoletano Ma-rio Pagano. Quella Repubblica romana di cui ci resta la vivida testi-monianza nei giornali che seguirono le vicende dei palazzi, ma anche della piazza, fin dall’elezione di Pio IX.

Quella Repubblica romana la cui bandiera venne issata nella ca-pitale anche nel gennaio del 1948, perché la nostra Costituzione post-fascista ad essa si era ispirata in nome dei principi democratici e laici.41

A fronte dell’esito rivoluzionario di Roma, la crisi del movimento mazziniano e democratico era già altrove emersa a metà degli anni ’40. In altri Stati si era allora aperta “una grande e diffusa aspetta-tiva nel ruolo di Pio IX, per la nascita di una federazione italiana di stampo liberal-moderato. Al metodo cospirativo di Mazzini si con-trapponevano così le teorie neoguelfe ispirate dal piemontese Vincen-zo Gioberti, che trovarono importanti adesioni nel Granducato dei Lorena”.42

In tale ambito si inseriscono le riforme toscane del ’47-’48 – con la nascita dei periodici moderati e democratici tra cui spiccava la “Pa-tria” di Ricasoli e Salvagnoli;43 ma anche la prima apertura nei con-fronti del Piemonte; la partecipazione dei volontari, dei docenti e degli studenti toscani alla Prima guerra d’indipendenza e soprattutto alla battaglia di Curtatone e Montanara.

39 Per la bibliografia sulla Repubblica Romana del 1849, cfr. D. Orta, Le piazze d’Italia, op. cit. (in particolare nota 100, p. 36).40 Cfr. A. Banti, Noi credevamo, Mondadori, Milano 2010.41 Cfr. P. Calamandrei, Questa nostra Costituzione, Bompiani, Milano 1995. 42 D. Cherubini, Giornalismo e Università, op. cit. 43 Cfr. C. Rotondi, Bibliografia dei periodici toscani:1847–1852, L.S. Olschki, Firenze 1952; C. Ceccuti, Salvagnoli e l’esperienza de “La Patria”, in Il Risorgimento nazionale di Vincenzo Salvagnoli: politica, cultura giuridica ed economica nella Toscana dell’Ottocento, Pacini, Ospedaletto, Pisa 2004.

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18 Donatella Cherubini

Il vento del ’48 portò poi alla fuga del Granduca, fino al triunvi-rato di Giuseppe Montanelli, Giuseppe Mazzoni e Francesco Dome-nico Guerrazzi e poi ai pieni poteri di quest’ultimo. Ben presto segui-vano comunque l’esito negativo della guerra e il ritorno di Leopoldo II. Ma ormai in Toscana cominciava a maturare la scelta piemontese, anche per la presenza delle truppe di occupazione austriaca: quelle truppe avvertite come tedesche dalla popolazione e che ormai facevano dei Lorena una dinastia straniera.44

Perciò la svolta decisiva e permanente rimase solo nel Piemonte di Carlo Alberto, con lo Statuto del marzo 1848 e il successivo Editto sulla stampa, che superava definitivamente l’ancien régime abolendo la cen-sura preventiva – e poi recepito dalla normativa del Regno d’Italia fino al fascismo.45 È pur vero che lo Statuto albertino era ben lontano dalla Costituzione romana e ricalcava le Costituzioni monarchiche francesi – con tutta la sua parte introduttiva dedicata alle prerogati-ve regie. Tuttavia lo Statuto e l’Editto restarono in vigore ben oltre il ‘48 e consentirono la presenza di giornali politici diversi e capaci di diffondere l’ideale nazionale, in primo luogo il moderato “Risorgi-mento” dello stesso Cavour, e la “Concordia” del liberal-democratico Lorenzo Valerio.

Dopo il ’49 il Regno di Sardegna era perciò, “non solo l’unico Stato d’Italia ad avere la forza militare e a contare le alleanze più ap-propriate nel giro delle potenze europee, oltre alle risorse materiali e a un robusto apparato amministrativo, per realizzare un obiettivo di così vasto respiro. Era anche l’unico Stato ad avere una carta costitu-zionale, un regime parlamentare, una libera stampa”.46

Il decennio fino alla Seconda guerra d’indipendenza nel 1859 vide quindi l’alternarsi di istanze patriottiche e di scelte diplomatico-militari. Da un lato, la Società nazionale filo-sabauda diventava il riferimento centrale anche per tanti ex-democratici (come i suoi stessi fondatori, il siciliano Giuseppe La Farina e il difensore della Repub-blica di Venezia Daniele Manin), mentre Massimo D’Azeglio tesseva legami in tutto il Paese (e i suoi articoli si diffondevano come era avvenuto per i suoi scritti letterari e politici).

44 Cfr. D. Cherubini, Giornalismo e Università, op. cit. 45 Cfr. V. Castronovo, La stampa italiana dall’Unità al fascismo, Laterza, Roma-Bari 1991 [1a ediz. Bari 1970].46 V. Castronovo, Prefazione, op. cit. p. 10.

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19Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

D’altro lato, Cavour tesseva la trama diplomatica, mentre emer-gevano le mire espansionistiche di Napoleone III, ma anche le esigen-ze di equilibrio europeo da parte dell’Inghilterra. Così la rinuncia a Venezia con l’armistizio di Villafranca fu parallela al percorso verso i plebisciti nel Centro Italia. A segnare l’annessione della Lombardia intanto nascevano quotidiani dai nomi emblematici ed evocativi, la “Nazione” a Firenze e “La Perseveranza” a Milano, entrambi legati alla nuova classe dirigente dell’imminente Regno d’Italia.

Se il disegno sabaudo fu poi coronato grazie alla scelta compiuta da Giuseppe Garibaldi a Teano, la risposta di Vittorio Emanuele II al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi sembrava echeggiare le parole del suo conterraneo Vittorio Alfieri, che voleva il Risorgimento di una Italia, per secoli rimasta “inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente”…

Questo ultimo richiamo ad Alfieri vale anche per un altro mo-tivo: se il poeta astigiano ancora guardava con sospetto alla stampa periodica e ai giornalisti – considerandoli di gran lunga inferiori ri-spetto alla letteratura e ai letterati47 –, con la Restaurazione e il Ri-sorgimento si era poi definitivamente saldato il legame tra gli scrittori italiani e il giornalismo.

Lo avevano già dimostrato Ugo Foscolo e Silvio Pellico; doveva poi dimostrarlo Giuseppe Bandi – con i suoi Mille che tanto hanno colpito anche gli intellettuali futuri come Luciano Bianciardi, ma an-che con il suo ruolo di punta nel giornalismo toscano post-unitario.48 Lo dimostrarono Carlo Collodi, oppure Edmondo De Amicis con i suoi articoli sulla “Nazione” di Firenze, fino a Giosuè Carducci e tanti altri.49 In definitiva tutti i protagonisti del Risorgimento, famosi e meno noti, furono anche scrittori e giornalisti. All’indomani dell’Uni-tà i giornali italiani – in particolare quelli di provincia –, dovevano perciò vivere una fase di ripiego sul piano della tensione ideale, dopo l’alto impegno risorgimentale dei loro direttori, redattori, collabora-tori. Proprio allora sarebbe stato invece necessario alimentare ulte-riormente l’opinione pubblica nazionale, anziché celebrare l’epopea ri-

47 Intorno al 1780 Vittorio Alfieri fu protagonista di una polemica contro i giorna-listi “pedanti” che non sapevano far altro che correre, “sudati e ansanti”, dietro alla creatività dei veri intellettuali, cfr. C. Barbieri, Il giornalismo dalle origini ai nostri giorni, op. cit. 48 Cfr. D. Cherubini, Giornalismo e Università, op. cit. 49 Ibidem.

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sorgimentale troppo spesso solo in termini agiografici. Si sarebbe così evitato che l’italianità diventasse quel mero “atto di fede” denunciato da Gaetano Salvemini, impegnandosi piuttosto a “fare” davvero “gli italiani” come aveva indicato Massimo d’Azeglio.

Per concludere voglio ancora una volta sottolineare lo stretto legame del Risorgimento italiano con quanto avveniva in altre parti d’Europa.

Un legame rafforzato dai tanti esuli italiani, spaziando dalla conte-stualità degli altri movimenti per l’indipendenza nazionale (dalla Gre-cia, al Belgio, alla Polonia, e all’Ungheria);50 al significato che alcuni tra i protagonisti del Risorgimento italiano – e in primo luogo Giuseppe Mazzini51 – dettero al ruolo dell’Italia in ambito europeo; alla parteci-pazione reciproca degli europei nelle lotte per la libertà dei loro Paesi.52

A tale proposito spiccano i rapporti tra patrioti italiani e unghe-resi, spesso cementati dalle ascendenze massoniche e alimentati da Giuseppe Garibaldi, ma comunque consolidati dalla comune lotta contro l’Austria – e per questo sostenuti anche da Bettino Ricaso-li all’indomani dell’Unità. Del resto tra le tappe del processo verso l’unificazione italiana, l’allontanamento dell’Austria dal Lombardo-Veneto – come ha scritto Lucio Villari – venne assumendo una “ri-levanza europea, poiché nazione e libertà, nazione e progresso erano divenuti sinonimi”.53

Il poeta-combattente Sándor Petõfi dedicò una famosa lirica all’Italia; un nucleo italiano (o per meglio dire del Lombardo-Veneto) partecipò alla rivolta ungherese del ’48-‘49; una Legione ungherese rima-se attiva per quasi venti anni nel Risorgimento italiano, e con Stefano Türr si avvicinò decisamente ai garibaldini; l’ungherese Gustave Frig-yesi guidò una colonna nell’impresa di Mentana. E ne raccontò poi le vicende sotto forma di feuilleton, in un periodico stampato a Ginevra proprio dal 1867 – con il suggestivo titolo di Les Etats-Unis d’Europe.54

50 Cfr. M. Isabella, Risorgimento in esilio, op. cit.51 S. Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, L.S. Olschki, Firenze 1994. 52 Cfr. La rivoluzione liberale e le nazioni divise, a cura di P.L. Ballini, Istituto veneto di scienze, lettere e arti, Venezia 2000. 53 Cfr. L. Villari, Bella e perduta, op. cit. 54 Cfr. D. Cherubini, Si Vis Pacem Para Libertatem et Justitiam. Les Etats-Unis d’Europe, 1867–1914, in M. Petricioli D. Cherubini A. Anteghini, (éds)., Les Etats-Unis d’Europe. Un Projet Pacifst. The United States of Europe. A Pacifist Project, Berne, Peter Lang, 2004.

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21Il Risorgimento italiano e la nascita di una opinione pubblica nazionale

Si tratta di un tema che ho già affrontato in un precedente Conve-gno organizzato dalla Professoressa Ilona Fried,55 proprio perché que-sta scadenza biennale costituisce un importante appuntamento per riflettere sulla storia, la letteratura, la cultura dell’Italia, a confronto con quelle ungheresi e costantemente inserite nel contesto europeo.

55 Cfr. D. Cherubini, Giornalismo e letteratura tra ‘800 e ‘900. L’esperienza risorgi-mentale di Gustave Frigyesi e la parabola finanziaria di E.E. Oblieght, in Le esperienze e le correnti culturali europee del Novecento in Italia e in Ungheria, a cura di I. Fried, A. Carta, ELTE, Budapest 2003.